Giovanni
Boccaccio
Il
Filostrato
Edizione
di riferimento:
Giovanni
Boccaccio: Filostrato, a cura di Vittore Branca, in Tutte le opere,
a cura di V. Branca, vol. II, Mondadori, Milano 1964.
FILOSTRATO
È IL TITOLO DI QUESTO LIBRO, E LA CAGIONE È QUESTA: PER CIÒ CHE OTTIMAMENTE SI
CONFÀ CON L'EFFETTO DEL LIBRO. FILOSTRATO TANTO VIENE A DIRE QUANTO UOMO VINTO
E ABBATTUTO D'AMORE; COME VEDER SI PUÒ CHE FU TROIOLO DALL'AMOR VINTO SÌ
FERVEMENTE AMANDO CRISEIDA E SÌ ANCORA NELLA SUA PARTITA.
PROEMIO
Filostrato
alla sua più ch'altra piacevole Filomena salute.
Molte
fiate già, nobilissima donna, avvenne che io, il quale quasi dalla mia puerizia infino a questo
tempo ne' servigi d'Amore sono stato, ritrovandomi nella sua corte intra i
gentili uomini e le vaghe donne dimoranti in quella parimente con meco, udii
muovere e disputare questa quistione, cioè: uno giovane ferventemente ama una donna, della quale niun'altra cosa gli è
conceduta dalla fortuna se non il poterla alcuna volta vedere, o talvolta di
lei ragionare con alcuno, o seco stesso di lei dolcemente pensare. Quale gli è
adunque di queste tre cose di più
diletto? Né era mai che ciascuna di queste tre cose, da cui l'una e da cui
l'altra, non fosse da molti studiosamente e con acuti argomenti difesa. E
perciocché a' miei amori, più focosi che
avventurati, pareva cotal quistione ottimamente esser conforme, mi ricorda che,
vinto dal falso parere, più volte mescolandomi tra' quistionanti, tenni e
difesi di gran lunga esser maggiore il diletto potere della cosa amata talvolta
pensare, che quello che porgere potesse alcuna dell'altre due; affermando, tra gli altri argomenti da me a
ciò indotti, non essere piccola parte della beatitudine dello amante, potere
secondo il disio di colui che pensa disporre la cosa amata, e lei rendere
secondo quello benivola e rispondente, come che ciò solamente durasse quanto il
pensiero, il che del vedere né del ragionare non potea così certamente
avvenire. O stolto giudizio, o sciocca estimazione, o vano argomentare, quanto dal vero eravate
lontani! Amara esperienza, me misero, mel dimostra al presente. O speranza
dolcissima dell'afflitta mente, e unico
conforto del trafitto core, io non mi vergognerò d'aprirvi con qual forza nel
tenebroso intelletto m'en trasse la verità contro la quale io puerilmente errando
avea l'armi prese. E a cui il potre' io dire, che alcuno alleggiamento potesse
porre alla penitenza datami, nor so s'io mi dica da Amore o dalla Fortuna, per
la falsa oppinione avuta, se non a voi?
Affermo
adunque, bellissima donna, esser vero che, poi che voi nella più graziosa
stagione dell'anno della dilettevole città di Napoli dipartendovi e in Sannio
andandone, alli occhi miei, più del vostro angelico viso vaghi che d'altra
cosa, vi toglieste subitamente, quello: che io per la vostra presenza doveva
conoscere, molto meglio, non conoscendolo, per lo suo contrario prestamente mi
si fece conoscere, cioè per la privazione di quella; la quale tanto fuori d'ogni dovuto termine
m'ha l'anima contristata, che assai apertamente posso comprendere quanta fosse
la letizia, allora poco da me conosciuta, che mi veniva dalla vostra graziosa e
vaga vista. Ma perché alquanto appaia più questa verità manifesta, non mi fia
grave, né il voglio intralasciare, come che altrove più che qui si distenda,
che avvenuto mi sia, a dichiarazione di tanto errore, dopo la vostra
partenza. Dico adunque, se Iddio tosto
coll'aspetto del vostro bel viso gli occhi miei riponga nella perduta pace, che
poscia che io seppi che voi di qui partita eravate e in parte andatane dove
niuna onesta cagione a vedervi mi doveva mai potere menare, che essi, per li
quali la luce soavissima dei vostri Amore mi menò nella mente, oltre la fede
che porgere possono le mie parole, hanno assai volte di tante e di sì amare
lagrime bagnata la faccia mia e il dolente seno riempiuto, che non solamente è
stata mirabile cosa onde tanta umidità sia ad essi venuta, ma ancora non che in
voi, la quale credo che come gentile siete così siate pietosa, in uno che mio
nimico fosse, ancora che di ferro avesse il petto, a forza di sé avrebbero
messa pietate. Né solamente questo è
avvenuto quante volte ricordato mi sono d'avere la vostra piacevole presenza
perduta con gli effetti tristi, ma qualunque cosa è davanti a loro apparita, di
loro maggior miseria è stata cagione. Oh me, quante volte per minor doglia sentire si sono essi
spontanamente ritorti da riguardare li templi e le logge e le piazze e gli
altri luoghi ne' quali già vaghi e disiderosi cercavano di vedere, e talvolta
lieti videro, la vostra sembianza, e dolorosi hanno il cuor costretto a dir con
seco quel misero verso di Geremia: «O come siede sola la città la quale in qua addietro era piena di popolo e
donna delle genti!». Certo io non dirò ogni cosa parimente attristandoli, ma io
affermo solo una esser quella che alquanto la lor tristizia mitiga riguardando,
e questa è riguardare quella contrada, quelle montagne, quella parte del cielo,
fra le quali e sotto la quale io porto ferma oppinione che voi siate. Quindi
ogni aura o soave vento che viene, così
nel viso ricevo quasi come il vostro sanza niuno fallo abbia tocco. Né è perciò
troppo lungo questo mitigamento, ma quale sopra le cose unte veggiamo fiamme
talvolta discorrere, tale sopra l'afflitto cuore questa soavità discorre,
fuggendo subita per lo sopravvegnente pensiero che mi mostra non potervi
vedere, essendo già di ciò sanza misura acceso il mio disio.
Che
dirò de' sospiri li quali nel passato piacevole amore e dolce speranza mi soleano infiammati trarre
del petto? Certo io non ho altro che dirne se non che, multiplicati in molti
doppi di gravissima angoscia, mille volte ciascuna ora di quello per la mia
bocca di fuori sono sforzatamente sospinti. E similmente le mie voci, le quali già alcuna volta mosse, non so da che
occulta letizia procedente dal vostro sereno aspetto, in amorosi canti e in
ragionamenti pieni di focoso amore, s'udirono sempre poi in chiamare il vostro
nome di grazia pieno e amore per mercede, o la morte per fine de' miei dolori,
o in grandissimi ramarichii permutate possono essere sute udite da chi m'è
presso.
In
cotal vita adunque vivo a voi lontano, e sanza pro comprendo quanto fosse il bene e il piacere e
il diletto che da' vostri occhi per addietro male da me conosciuto mi
procedea. E come che tempo assai pur mi
prestassero e le lacrime e' sospiri a potere del vostro valore ragionare e
ancora a pensare della vostra leggiadria, dei costumi gentili, della donnesca
alterezza e della sembianza vaga più ch'altra, la quale io sempre con gli occhi
della mente riguardo tutta, e niente perciò di tale ragionamento o pensiero non
dico che piacere l'anima non ne senta, ma questo piacere viene mescolato con un
disio ferventissimo il quale tutti gli altri miei disii accende in tanta fiamma
di vedervi, che appena in me reggere li posso che non mi tirino, posta giù ogni
debita onestà e ragionevole consiglio, colà dove voi dimorate; ma pur vinto dal volere il vostro
onore più che la mia salute guardare gli raffreno, e non avendo altro ricorso,
sentendomi la via chiusa del rivedervi per la cagione mostrata, alle lacrime
intralasciate ritorno. Ahi, lasso,
quanto m'è la Fortuna, crudele e inimica de' miei piaceri, sempre stata rigida
maestra e correggetrice de' miei errori! Ora, misero me, il conosco, ora il
sento, ora apertissimamente il discerno, quanto di bene, quanto di piacere,
quanto di soavità, più nella luce vera degli occhi vostri, veggendola co' miei,
che nella falsa lusinga del mio pensiero dimorasse.
Così
adunque, o splendido lume della mia mente col privarmi della vostra amorosa
vista, ha Fortuna risoluto la nebula dell'errore per addietro da me sostenuto.
Ma nel vero sì amara medicina non bisognava a purgare la mia ignoranza; più
lieve castigamento m'avrebbe nella
diritta via ritornato. Ora così è: le mie forze a quelle della Fortuna, quantunque
la mia ragione sia molta, non possono resistere. E come che si vada, io son
pure per la vostra partenza a tal punto venuto, quale di sopra v'hanno le mie
lettere dichiarato, e con mia gravissima noia sono divenuto certo di ciò che io prima, non certo, in contrario disputava.
Ma da venire è oramai a quel termine, per lo quale scrivendo infino a qui
trascorso sono, e dico che, veggendomi in tanta e così aspra avversità per lo
vostro partire pervenuto, prima proposi di ritenere del tutto dentro dal tristo
petto l'angoscia mia, acciocché palesata per avventura non fosse nel futuro di
molto maggior efficacia cagione. E ciò sostenendo con forza, fu ora che assai
vicino a disperata morte mi fece venire, la quale allora se pur venuta mi
fosse, sanza niuno fallo cara mi sarebbe stata. Ma poi, non so da che occulta
speranza di dovervi pure quando che sia
rivedere, e nella prima felicità gli occhi miei ritornare, mi nacque non
solamente di morte paura, ma disidero di lunga vita; quantunque misera, non
vedendovi, la dovessi menare. E conoscendo assai chiaramente che, tenendo io del tutto come
proposto avea la mia concetta doglia nel petto nascosa, era impossibile che
delle molte volte che essa abbondante e ogni termine trapassallte sopravveniva,
alcuna in tanto non vincesse le forze mie, già debolissime divenute, che morte
sanza fallo ne seguirebbe e poi per conseguente non vi vedrei, da più utile
consiglio mosso, mutai proposto e pensai di volere con alcuno onesto ramarichio
dare luogo a quella e uscita del tristo petto, acciocché io vivessi e vi
potessi ancora vedere e più lungamente vostro dimorassi vivendo. Né prima tal
pensiero nella mente mi venne, che il
modo subitamente con esso m'occorse; del quale avvenimento, quasi da nascosa
divinità spirato, certissimo augurio presi di futura salute. E il modo fu
questo: di dovere in persona d'alcuno passionato sì come io era e sono,
cantando narrare li miei martiri. Meco adunque con sollicita cura cominciai
a rivolgere l'antiche storie per trovare
cui io potessi fare scudo verisimilmente del mio segreto e amoroso dolore. Né
altro più atto nella mente mi venne a tale bisogno che il valoroso giovaneTroiolo, figliuolo di
Priamo nobilissimo re di Troia, alla cui vita, in quanto per amore e per
lontananza della sua donna fu dolorosa, se fede alcuna alle antiche lettere si
può dare, poi che Criseida da lui sommamente amata fu al suo padre Calcàs
renduta, è stata la mia similissima dopo la vostra partita. Per che della persona di lui e de' suoi
accidenti ottimamente presi forma alla mia intenzione, e susseguentemente in
leggier rima e nel mio fiorentino idioma, con stilo assai pietoso, li suoi e i
miei dolori parimente compuosi; li quali e una e altra volta cantando, assai
gli ho utili trovati secondo che fu nel principio l'avviso.
È
vero che, dinanzi alle sue più amare lagrime, in simile stilo parte della sua
felice vita si trova, la quale puosi non perch'io disideri che alcuno creda che
io di simile felicità gloriare mi possa – perciocché né mi fu mai tanto
favorevole Fortuna né, sforzandomi di sperarlo, mel può in alcun modo concedere
la credenza che ciò avvenga – ma per questo le scrissi, perché la felicità
veduta d'alcuno, molto meglio si comprende quanta e quale sia la miseria sopravvenuta. La qual
felicità nondimeno, in tanto è alli miei fatti conforme, in quanto non meno di
piacere io dagli occhi vostri traeva, che Troiolo prendesse dall'amoroso frutto
che di Criseida gli concedea la Fortuna.
Adunque,
valorosa donna, queste cotali rime in forma d'uno picciolo libro, in
testimonianza perpetua a coloro che nel futuro il vedranno, e del vostro
valore, del quale in persona altrui esse sono in più parti ornate, e della mia
tristizia, ridussi; e ridottole, pensai non essere onesta cosa quelle ad
alcun'altra persona prima pervenire alle mani che alle vostre, che d'esse siete
stata sola e vera cagione. Per la qual
cosa, come che picciolissimo dono sia da mandare a tanta donna quanta voi siete
nondimeno, perciocché l'affezione di me mandatore è grandissima e piena di pura
fede, le vi pure ardisco mandare, quasi sicuro che non per mio merito ma per
vostra benignità e cortesia, da voi ricevute saranno.
Nelle
quali se avviene che leggiate, quante volte Troiolo piangere e dolersi della
partita di Criseida troverete, tante apertamente potrete conoscere le mie
medesime voci, le lagrime e sospiri e angosce; e quante volte la bellezza e
costumi, e qualunque altra cosa laudevole in donna, di Criseida scritta
troverete, tante di voi esser parlato potrete intendere. Dell'altre cose che oltre a queste vi sono assai, niuna, sì come già
dissi, a me n'appartiene né per me vi si pone, ma perciocché la storia del
nobile e innamorato giovane ciò richiede. E se così siete avveduta come vi
tegno, da esse potrete comprendere quanti e quali siano i miei disii, dove
terminino e che cosa più ch'altro dimandino e se alcuna pietà meritino. Ora io
non so se esse fieno di tanta efficacia
che a voi, leggendole voi con alcuna compassione, possano toccare la
casta mente, ma Amore ne priego che questa forza lor presti. Il che se avviene,
quanto più umilmente posso, priego voi che alla vostra tornata mettiate
sollicitudine, tale che la vita mia, la quale ad un sottilissimo filo pendente
è da speranza con fatica tenuta in forse, possa, vedendovi io, lieta nella
prima certezza di sé ritornare; e se ciò non può forse così tosto com'io disidererei avvenire, almeno con alcun
sospiro o pietoso priego per me ad Amore, fate che alle mie noie presti alcuna
pace, e lei smarrita riconfortiate. Il mio lungo sermone da se medesimo chiede
fine, e perciò, dandogliele, priego colui che nelle vostre mani ha posto la mia
vita e la mia morte, che elli nel vostro cuore quello disio accenda che solo
può essere cagione della mia salute.
PARTE
PRIMA
Qui comincia la prima parte del libro chiamato
Filostrato, dell'amorose fatiche di Troiolo, nella quale si pone come Troiolo
s'innamorasse di Criseida, e gli amorosi sospiri e le lacrime per lei avute
prima che ad alcuno il suo occulto amore discoprisse.
E
primamente la invocazione dell'autore.
1
Alcun
di Giove sogliono il favore
ne'
lor principii pietosi invocare,
altri
d'Apollo chiamano il valore;
io
di Parnaso le Muse pregare
solea
ne' miei bisogni, ma Amore
novellamente
m'ha fatto mutare
il
mio costume antico e usitato,
po'
fui di te, madonna, innamorato.
2
Tu,
donna, se' la luce chiara e bella
per
cui nel tenebroso mondo accorto
vivo;
tu se' la tramontana stella
la
quale io seguo per venire a porto;
àncora
di salute tu se' quella
che
se' tutto 'l mio bene e 'l mio conforto;
tu
mi se' Giove, tu mi se' Apollo,
tu
se' mia musa, io l'ho provato e sollo.
3
Per
che, volendo per la tua partita,
più
grieve a me che morte e più noiosa,
scriver
qual fosse la dolente vita
di
Troiolo, da poi che l'amorosa
Criseida
di Troia sen fu ita,
e
come prima gli fosse graziosa,
a
te convienmi per grazia venire,
s'i'
vo' poter la mia 'mpresa fornire.
4
Adunque,
o bella donna, alla qual fui
e
sarò sempre fedele e suggetto,
o
vaga luce de' begli occhi in cui
Amore
ha posto tutto il mio diletto;
o
isperanza sola di colui
che
t'ama più che sé d'amor perfetto,
guida
la nostra man, reggi lo 'ngegno,
nell'opera
la quale a scriver vegno.
5
Tu
se' nel tristo petto effigiata
con
forza tal, che tu vi puoi più ch'io;
pingine
fuor la voce sconsolata
in
guisa tal che mostri il dolor mio
nell'altrui
doglie, e rendila sì grata,
che
chi l'ascolta ne divenga pio.
Tuo
sia l'onore e mio sarà l'affanno,
se'
detti alcuna laude acquisteranno.
6
E
voi, amanti, priego ch'ascoltiate
ciò
che dirà 'l mio verso lagrimoso,
e
se nel core avvien che voi sentiate
destarsi
alcuno spirito pietoso,
per
me vi priego che Amor preghiate,
per
cui, sì come Troiolo, doglioso
vivo,
lontan dal più dolce piacere
ch'a
creatura mai fosse in calere.
Come
Calcàs fuggì di Troia e la cagione e perché.
7
Erano
a Troia li greci re d'intorno,
nell'armi
forti, e, giusto a lor potere,
ciascuno
ardito, fier, pro' e adorno
si
dimostrava, e colle loro schiere
ognor
la stringean più di giorno in giorno
concordi
tutti in un pari volere,
di
vendicar l'oltraggio e la rapina,
da
Parìs fatta, d'Elena reina;
8
quando
Calcàs, la cui alta scienza
avea
già meritato di sentire
del
grande Apollo ciascuna credenza,
volendo
del futuro il vero udire,
qual
vincesse, o la lunga sofferenza
de'
Troiani o de' Greci il grande ardire,
conobbe
e vide, dopo lunga guerra,
li
Troian morti e distrutta la terra.
9
Per
che segretamente di partirsi
diliberò
l'antiveduto saggio,
e
preso luogo e tempo di fuggirsi,
ver
la greca oste si mise in viaggio;
onde
allo 'ncontro assai vide venirsi,
che
'l ricevetter con lieto visaggio,
da
lui sperando sommo e buon consiglio
in
ciascheduno accidente o periglio.
Come
Criseida si va a scusare ad Ettore del fallo di Calcàs suo padre.
10
Fu
'l romor grande quando fu sentito,
per
tutta la città generalmente,
che
Calcàs era di quella fuggito,
e
parlato ne fu diversamente,
ma
mal da tutti, e ch'elli avea fallito,
e
come traditor fatto reamente;
né
quasi per la più gente rimase
di
non andargli con fuoco alle case.
11
Avea
Calcàs lasciato in tanto male,
sanza
niente farlene sapere,
una
sua figlia vedova, la quale
sì
bella e sì angelica a vedere
era,
che non parea cosa mortale:
Criseida
nomata, al mio parere,
accorta,
onesta, savia e costumata
quant'altra
che in Troia fosse nata.
12
La
qual sentendo il noioso romore
per
la fuga del padre, assai dogliosa
quale
era in tanto dubbioso furore,
in
abito dolente e lagrimosa
ginocchion
si gittò a piè d'Ettore,
e
con voce e con vista assai pietosa,
scusando
sé ed il padre accusando,
finì
'l dir suo mercé addimandando.
13
Era
pietoso Ettòr di sua natura;
per
che, vedendo di costei il pianto,
ch'era
più bella ch'altra creatura,
con
pio parlar la confortò alquanto,
dicendo:
– Lascia con la ria ventura
tuo
padre andar che n'ha offeso tanto,
e
tu sicura, lieta e sanza noia,
con
noi, mentre t'aggrada, ti sta' 'n Troia.
14
L'onore
ed il piacer qual tu vorrai,
come
Calcàs ci fosse, abbi per certo,
sempre
da tutti quanti noi avrai;
a
lui rendan gli dii il degno merto. –
Ella
di questo il ringraziò assai
e
più volea, ma non le fu sofferto;
ond'ella
si drizzò, e ritornossi
a
casa sua, e quivi riposossi.
15
Quivi
si stette con quella famiglia
ch'al
suo onor convenia di tenere,
mentre
fu 'n Troia, onesta a maraviglia
in
abito ed in vita, né calere
le
bisognava di figlio o di figlia,
come
a colei che mai nessuno avere
n'avea
potuto; e da ciascuno amata
che
la conobbe fu ed onorata.
Ne'
sacrifici fatti a Pallade nel tempio Troiolo schernisce gl'in-namorati; in
quell'ora egli medesimo s'innamora.
16
Le
cose andavan sì come di guerra,
tra
li Troiani e' Greci assai sovente;
tal
volta uscieno i Troian della terra
sopra
li Greci vigorosamente,
e
spesse volte i Greci, s'el non erra
la
storia, givano assai fieramente
fino
in su' fossi e d'intorno rubando,
castella
e ville ardendo e dibruciando.
17
E
come che' Troian fosser serrati
dalli
Greci nemici, non avvenne
che
per ciò fosser mai intralasciati
li
divin sacrificii, ma si tenne
per
ciascun sempre in quelli modi usati;
ma
con maggiore onore e più solenne,
ch'alcuno
altro, Pallade onoravano
in
ogni cosa, e più ch'altro guardavano.
18
Per
che, venuto il vago tempo il quale
riveste
i prati d'erbette e di fiori,
e
che gaio diviene ogni animale
e
'n diversi atti mostra suoi amori,
li
Troian padri al Palladio fatale
fer
preparare li consueti onori;
alla
qual festa donne e cavalieri
fur
parimente, e tutti volentieri.
19
Tra
li qua' fu di Calcàs la figliuola
Criseida,
quale era in bruna vesta,
la
qual, quanto la rosa la viola
di
biltà vince, cotanto era questa
più
ch'altra donna bella; ed essa sola
più
ch'altra facea lieta, la gran festa,
stando
del tempio assai presso alla porta,
negli
atti altiera, piacente ed accorta.
20
Troiolo
giva, come soglion fare
i
giovinetti, or qua or là veggendo
per
lo gran tempio, e co' compagni a stare
or
qui or quivi si giva ponendo;
ed
ora questa ed or quella a lodare
incominciava
e di ta' riprendendo,
sì
come quelli a cui non ne piaceva
una
più ch'altra, e sciolto si godeva.
21
Anzi
talora in tal maniera andando,
veggendo
alcun che fiso rimirava
alcuna
donna seco sospirando,
a'
suoi compagni ridendo il mostrava,
dicendo:
– Quel dolente ha dato bando
alla
sua libertà, sì gli gravava,
ed
a colei l'ha messa tra le mani:
vedete
ben se' suoi pensier son vani.
22
Che
è a porre in donna alcuno amore?
Ché
come al vento si volge la foglia,
così
'n un dì ben mille volte il core
di
lor si volge, né curan di doglia
che
per lor senta alcun loro amadore,
né
sa alcuna quel ch'ella si voglia.
O
felice colui che del piacere
lor
non è preso, e sassene astenere!
23
Io
provai già per la mia gran follia
qual
fosse questo maladetto foco,
e
s'io dicessi ch'amor cortesia
non
mi facesse, ed allegrezza e gioco
non
mi donasse, certo i' mentiria;
ma
tutto il bene insieme accolto, poco
fu
o niente, rispetto a' martiri
volendo
avere ed a' tristi sospiri.
24
Or
ne son fuor, mercé n'abbia colui
che
fu di me più ch'io stesso pietoso,
io
dico Giove, dio vero, da cui
viene
ogni grazia, e vivomi in riposo;
e
benché di veder mi giovi altrui,
io
pur mi guardo dal corso ritroso,
e
rido volentier degl'impacciati,
non
so s'i' dica amanti o smemorati. –
25
O
ciechità delle mondane menti,
come
ne seguon sovente gli effetti
tutti
contrarii a' nostri intendimenti!
Troiol
va ora mordendo i difetti
e'
solliciti amor dell'altre genti,
sanza
pensare in che il ciel s'affretti
di
recar lui, il quale Amor trafisse
più
ch'alcun altro, pria del tempio uscisse.
26
Così
adunque andandosi gabbando
or
d'uno or d'altro Troiolo, e sovente
or
questa donna or quella rimirando,
per
caso avvenne che in fra la gente
l'occhio
suo vago giunse penetrando
colà
dov'era Criseida piacente,
sotto
candido velo in bruna vesta
tra
l'altre donne in sì solenne festa.
27
Ella
era grande, ed alla sua grandezza
rispondeano
li membri tutti quanti,
e
'l viso avea adorno di bellezza
celestiale,
e nelli suoi sembianti
quivi
mostrava una donnesca altezza;
e
col braccio il mantel tolto davanti
s'avea
dal viso, largo a sé faccendo
ed
alquanto la calca rimovendo.
28
Piacque
quell'atto a Troiolo e 'l tornare
ch'ella
fé 'n sé alquanto sdegnosetto,
quasi
dicesse: «E' non ci si può stare».
E
diessi a più mirare il suo aspetto,
il
qual più ch'altro in sé degno li pare
di
somma lode, e seco avea diletto
sommo
tra uomo ed uom di mirar fiso
gli
occhi lucenti e l'angelico viso.
29
Né
s'avvedea colui, ch'era sì saggio
poco
davanti in riprendere altrui
che
Amor dimorasse dentro al raggio
di
quei vaghi occhi con li dardi sui,
né
s'ammentava ancora dell'oltraggio
detto
davanti de' servi di lui;
né
dello strale, il quale al cor gli corse,
finché
nol punse daddover, s'accorse.
30
Piacendo
questa sotto il nero manto
oltre
ad ogni altra a Troiol, sanza dire
che
cagion quivi il tenesse cotanto,
occultamente
il suo alto disire
mirava
di lontano, e mirò tanto,
sanza
niente ad alcuno discoprire,
quanto
duraro a Pallade gli onori;
poi
co' compagni uscì del tempio fori.
31
Né
se n'uscì qual dentra v'era entrato
libero
e lieto, ma n'uscì pensoso
ed
oltre al creder suo innamorato,
tenendo
bene il suo disio nascoso
per
quel che poco avanti avea parlato:
non
forse in lui ritorto l'oltraggioso
parlar
fosse, se forse conosciuto
fosse
l'ardor nel quale era caduto.
Troiolo,
placiutagli Criseida, di lei pensando seco dilibera di seguire il nuovo amore,
d'essere innamorato ringraziando.
32
Poi
fu del nobil tempio dipartita
Criseida,
Troiol al palagio tornossi
co'
suoi compagni, e quivi in lieta vita
con
lor per lungo spazio dimorossi;
per
me' celar l'amorosa ferita,
di
quei ch'amavan gran pezza gabbossi,
e
poi mostrando ch'altro lo stringesse,
disse
a ciascun ch'andasse ove volesse.
33
E
partitosi ognun, tutto soletto
in
camera n'andò ed a sedere
si
pose, sospirando, a piè del letto,
e
seco a rammentarsi del piacere
avuto
la mattina dello aspetto
di
Criseida cominciò, e delle vere
bellezze
del suo viso, annoverando
a
parte a parte, e quelle commendando.
34
Lodava
molto gli atti e la statura,
e
lei di cuor grandissimo stimava
ne'
modi e nell'andare, e gran ventura
di
cotal donna amar si reputava,
e
vie maggior, se per sua lunga cura
potesse
far, se quanto egli essa amava,
cotanto
o presso da lei fosse amato,
o
per servente almen non rifiutato.
35
Immaginando
affanno né sospiro
poter
per cotal donna esser perduto,
e
che esser dovesse il suo disiro
molto
lodato, se giammai saputo
da
alcun fosse, e quinci il suo martiro
men
biasimato essendo conosciuto,
argomentava
il giovinetto lieto,
male
avvisando il suo futuro fleto.
36
Per
che, disposto a seguir tale amore,
pensò
voler oprar discretamente,
pria
proponendo di celar l'ardore,
concetto
già nell'amorosa mente,
a
ciascheduno amico o servidore,
se
ciò non bisognasse, ultimamente
pensando
che amore a molti aperto,
noia
acquistava e non gioia per merto.
37
Ed
oltre a questo, assai più altre cose,
qual
da scoprire e qual da provocare
a
sé la donna, con seco propose,
e
quindi lieto si diede a cantare,
bene
sperando, e tutto si dispose
di
voler sola Criseida amare,
nulla
pregiando ogni altra che veduta
ne
gli venisse, o fosse mai piaciuta.
38
E
verso Amore tal fiata dicea
con
pietoso parlar: – Signor, omai
l'anima
è tua che mia esser solea;
il
che mi piace, però che tu m'hai,
non
so s'io dica a donlla ovvero a dea,
a
servir dato, ché non fu giammai,
sotto
candido velo in bruna vesta,
sì
bella donna come mi par questa.
39
Tu
stai negli occhi suoi, signor verace,
sì
come in loco degno a tua virtute;
per
che, se 'l mio servir punto ti piace,
da
quei ti priego impetri la salute
dell'anima,
la qual prostrata giace
sotto
i tuoi piè, sì la ferir l'acute
saette
che allora le gittasti,
che
di costei 'l bel viso mi mostrasti. –
Come
Troiolo è soprappreso d'amore oltre il suo avviso, e qual fosse la sua vita.
40
Non
risparmiarono il sangue reale,
né
d'animo virtù ovver grandezza,
né
curaron di forza corporale
che
in Troiolo fosse, o di prodezza
l'ardenti
fiamme amorose, ma quale
in
disposta materia secca o mezza
s'accende
il foco, tal nel novo amante
messe
le parti acceser tutte quante.
41
Tanto
di giorno in giorno col pensiero
e
col piacer di quello or preparava
più
l'esca secca dentro al core altiero,
e
da' belli occhi trarre immaginava
acqua
soave al suo ardor severo;
per
che astutamente gli cercava
sovente
di veder, né s'avvedea
che
più da quegli il foco s'accendea.
42
Costui
o qua o là ch'el gisse, andando,
sedendo
ancora, o solo o accompagnato,
com'el
volesse, bevendo o mangiando,
la
notte e 'l giorno ed in qualunque lato,
di
Criseida sempre gia pensando;
e
'l suo valore e 'l viso dilicato
di
lei – diceva – avanza Pulissena
d'ogni
bellezza, e similmente Elena.
43
Né
del dì trapassava nessuna ora
che
mille volte seco non dicesse:
–
O chiara luce che 'l cor m'innamora,
o
Criseida bella, Iddio volesse
che
'l tuo valor, che 'l viso mi scolora,
per
me alquanto a pièta ti movesse;
null'altro
fuor che tu lieto può farmi,
tu
sola se' colei che puoi atarmi. –
44
Ciascun
altro pensier s'era fuggito
della
gran guerra e della sua salute,
e
sol nel petto suo era sentito
quel
che parlasse dell'alta virtute
della
sua donna; e, così impedito,
sol
di curar l'amorose ferute
sollicito
era, e quivi ogni intelletto
avea
posto, e l'affanno e 'l diletto.
45
L'aspre
battaglie e gli stormi angosciosi,
ch'Ettor
e gli altri suoi fratei facieno
seguiti
da' Troian, dagli amorosi
pensieri
però niente il rimovieno;
come
che spesso, ne' più perigliosi
assalti,
anzi ad ogni altro lui vedieno
mirabilmente
nell'armi operare
color
che stesser ciò forse a mirare.
46
Né
a ciò odio de' Greci il movea,
né
vaghezza ch'avesse di vittoria
per
Troia liberar, la qual vedea
stretta
d'assedio, ma voglia di gloria:
per
più piacer tutto questo facea
e
per amor, se 'l ver dice la storia,
divenne
in arme sì feroce e forte,
che
li Greci il temien come la morte.
Troiolo
più che mai acceso, prima dubita non Criseida ami altrui, appresso seco di sé
ragiona e duolsi d'Amore.
47
Aveagli
già amore il sonno tolto,
e
minuito il cibo, ed il pensiero
multiplicato
sì che già nel volto
ne
dava pallidezza segno vero,
come
che egli il ricoprisse molto
con
riso infinto e con parlar sincero;
e
chi 'l vedea pensava ch'avvenisse
per
noia della guerra ch'el sentisse.
48
E
qual si fosse non è assai certo:
o
che Criseida non se n'accorgesse
per
l'operar di lui ch'era coverto,
o
che di ciò conoscer s'infignesse;
ma
questo n'è assai chiaro ed aperto,
che
niente pareva le calesse
di
Troiolo e dell'amor che le portava,
ma
come non amata dura stava.
49
Di
quinci sentia Troiol tal dolore
che
dir non si poria, talor temendo
non
Criseida fosse d'altro amore
presa,
e per quello lui vilipendendo,
ricever
nol volesse a servidore;
né,
mille modi seco ripetendo,
veder
poteva di farle sentire
onestamente
il suo caldo disire.
50
Onde
quand'elli aveva spazio punto,
seco
d'Amor si giva a lamentare
a
sé dicendo: – Troiolo, or se' giunto
che
ti solevi degli altri gabbare!
niun
ne fu mai quanto tu consunto
per
mal saperti da Amor guardare;
or
se' nel laccio preso, il qual biasmavi
tanto
negli altri ed a te non guardavi.
51
Che
si dirà di te intra gli amanti
se
questo tuo amor fia mai saputo?
di
te si gabberebbon tutti quanti,
di
te direbbono: «ecco il provveduto
che'
sospir nostri ed amorosi pianti
morder
soleva gia, ora è venuto
dove
noi siamo; Amor ne sia lodato
ch'a
tal partito l'ha ora recato».
52
Che
si dirà di te fra gli eccellenti
re
e signor, se questo fia sentito?
Ben
potran dir, di ciò assai scontenti:
«Vedi
come questi è del senno uscito,
che
'n questi tempi noiosi e dolenti,
sì
nuovamente d'amore è 'nretito!
Dove
in la guerra dovria esser fiero,
egli
in amar consuma il suo pensiero».
53
Ed
or fostù, o Troiolo dolente,
poscia
ch'egli era dato che amassi,
preso
per tal ch'un poco solamente
d'amor
sentisse, onde ti consolassi!
Ma
quella per cui piangi nulla sente
se
non come una pietra, e così stassi
fredda
com'al sereno intero ghiaccio,
ed
io qual neve al foco mi disfaccio.
54
Ed
or foss'io pur venuto al porto
al
qual la mia sventura ora mi mena!
Questo
mi saria grazia e gran conforto,
perché
morendo uscirei d'ogni pena;
che
se 'l mio mal, del qual nessuno accorto
ancora
s'è, si scuopre, fia ripiena
la
vita mia di mille ingiurie al giorno,
e,
più ch'altro, sarò detto musorno.
55
Deh
aiutami, Amor! e tu per cui
io
piango, preso più che altro mai;
deh,
sii pietosa un poco di colui
che
t'ama più che la sua vita assai,
volgi
il bel viso oramai verso lui,
da
colui mossa che in questi guai
per
te, donna, mi tiene; io te ne priego,
deh,
non mi far di questa grazia niego.
56
Io
tornerò se tu fai, donna, questo,
qual
fiore in vivo prato in primavera,
né
mi fia poscia l'aspettar molesto,
né
il vederti sdegnosa od altiera;
e
s'el t'è grave, almeno a me, che presto
ad
ogni tuo piacer son, grida fera:
«Ucciditi»
ch'io il farò di fatto,
credendoti
piacere in cotal atto. –
57
Quinci
diceva molte altre parole
piangendo
e sospirando, e di colei
chiamava
il nome sì come far suole
chi
soverchio ama, e alli suoi omei
mercé
non trova, ma tutte eran fole
e
perdiensi ne' venti, ché a lei
nulla
ne pervenia, onde il tormento
multiplicava
ciascun giorno in cento.
PARTE
SECONDA
Qui
comincia la seconda parte del Filostrato, nella quale Troiolo manifesta il suo
amore a Pandaro cugino di Criseida, il quale lui conforta e a Criseida scuopre
l'occulto amore, e con prieghi e con lusinghe la induce ad amare Troiolo.
E
primamente, dopo altri ragionamenti, Troiolo a Pandaro, nobile giovane troiano,
discuopre in tutto il suo amore.
1
Standosi
in cotal guisa un dì soletto
nella
camera sua Troiol pensoso,
vi
sopravvenne un troian giovinetto
d'alto
legnaggio e molto coraggioso;
il
qual veggendo lui sopra il suo letto
giacer
disteso e tutto lacrimoso,
–
Che è questo – gridò – amico caro?
Hatti
già così vinto il tempo amaro? –
2
–
Pandaro, – disse Troiol – qual fortuna
t'ha
qui guidato a vedermi languire?
Se
la nostra amistà ha forza alcuna,
piacciati
quinci doverti partire,
ch'io
so che grave più ch'altra nessuna
cosa
ti fora il vedermi morire;
ed
io non son per più istare in vita,
tant'è
e la mia virtù vinta e smarrita.
3
Né
creder tu che l'assediata Troia
o
d'arme affanno, od alcuna paura
cagion
mi sia della presente noia;
quest'è
tra l'altre la mia minor cura.
Altro
mi strigne a pur voler ch'i' moia,
dond'io
mi dolgo per la mia sciagura;
che
ciò si sia non ten curare, amico,
ch'
i' 'l taccio per lo meglio e nol ti dico. –
4
Di
Pandar crebbe allora la pietate
ed
il disio di ciò voler sapere.
Ond'el
seguì: – Se la nostra amistate,
come
soleva, t'è ora in piacere,
discopri
a me qual sia la crudeltate
che
di morir ti fa tanto calere;
ch'atto
non è d'amico, alcuna cosa
al
suo amico ritener nascosa.
5
Io
vo' con teco patir queste pene,
se
dar non posso a tua noia conforto,
perciocché
all amico si convene
ogni
cosa partir, noia e diporto;
ed
io mi credo che tu sappi bene
s'
i' t'ho amato a dritto ed a torto,
e
s'io farei per te ogni gran fatto,
e
fosse che volesse, od in che atto. –
6
Troiolo
trasse allora un gran sospiro
e
disse: – Pandar, poscia che ti piace
pur
di voler sentire il mio martiro,
dirotti
brievemente che mi sface;
non
perch'io speri che al mio disiro
per
te si possa porre fine o pace,
ma
sol rer soddisfare al tuo gran priego,
al
qual non so com'io mi metta al niego.
7
Amore,
incontro al qual chi si difende
più
tosto pere ed adopera invano,
d'un
piacer vago tanto il cor m'accende
ch'io
n'ho per quel da me fatto lontano
ciascheduno
altro, e questo sì m'offende,
come
tu puoi veder, che la mia mano
appena
mille volte ho temperata
ch'ella
non m'abbia la vita levata.
8
Bastiti
questo, caro amico mio,
sentir
de' miei dolor, li quai giammai
più
non scoversi; e priegoti per Dio,
s'alcuna
fede al nostro amor tu hai,
ch'ad
altri non discovra tal disio,
ché
noia men poria seguire assai.
Tu
sai quel c'hai voluto; vanne, e lascia
qui
me combatter colla mia ambascia. –
9
–
Oh, – disse Pandar – com'hai tu potuto
tenermi
tanto tal foco nascoso?
ché
t'avrei dato consiglio od aiuto,
e
trovato alcun modo al tuo riposo. –
A
cui Troiolo disse: – Come avuto
da
te l'avrei, che sempre te doglioso
per
amor vidi, e non ten sai atare?
Me,
dunque, come credi soddisfare? –
10
Pandaro
disse: – Troiolo, i' conosco
che
tu di' 'l ver, ma spesse volte avvene
che
quei che sé non sa guardar dal tosco,
altrui
per buon consiglio salvo tene,
e
già veduto s'è andare il losco
dove
l'alluminato non va bene;
e
benché l'uom non prenda buon consiglio
donar
lo puote nell'altrui periglio.
11
lo
ho amato sventuratamente
ed
amo ancora per lo mio peccato;
e
ciò avvien perché celatamente
non
ho, sì come tu, altrui amato.
Sarà
che Dio vorrà ultimamente:
l'amore
ch'io t'ho semrre mai portato,
ti
porto e porterò, né giammai fia
chi
sappia che da te detto mi sia.
12
Però
ti rendi, amico mio, sicuro
di
me, e dimmi chi ti sia cagione
di
questo viver sì noioso e duro,
né
temer mai di mia riprensione
d'amor,
perciocché quei che savi furo
ne
dichiarar, con lor savio sermone,
ch'amor
di cuor non potea esser tolto
se
non da sé per lungo tempo sciolto.
13
Lascia
l'angoscia tua, lascia i sospiri
e
ragionando mitiga il dolore,
ché
sì faccendo passano i martiri,
e
molto ancora menoma l'ardore
quando
compagni in simili disiri
colui
si vede il quale è amadore;
ed
io, come tu sai, oltre mia voglia
amo,
né men può trar crescer di doglia.
14
Forse
fia tal colei che ti tormenta,
che
'n tuo piacer potrò oprare assai,
ed
io farei la tua voglia contenta,
se
io potessi, più ch'io non fei mai
la
mia; tu il vedrai, purché io senta
chi
sia colei per cui questa pena hai.
Leva
su, non giacer, pensa che meco
ragionar
puoi come con esso teco. –
15
Istette
alquanto Troiolo sospeso,
e
dopo il trarre d'un sospiro amaro,
e
di rossor nel viso tutto acceso
per
vergogna, rispose: – Amico caro,
cagione
assai onesta m'ha difeso
di
farti il mio amor palese e chiaro,
perciocché
quella che qui m'ha condotto,
è
tua parente. – E più non fece motto.
16
E
sopra il letto ricadde supino,
piangendo
forte e nascondendo il viso.
A
cui Pandaro disse: – Amico fino,
poca
fidanza t'ha nel petto miso
cotal
sospetto; orsù, lascia 'l tapino
pianto
che fai, ché, s'io non sia ucciso,
se
quella ch'ami fosse mia sorella,
al
mio poter, avrai tuo piacer d'ella.
17
Leva
su, dimmi, dì chi è costei
dimmi,
dì tosto, sì ch'io veggia via
al
tuo conforto, ch'altro non vorrei.
é
ella donna che sia 'n casa mia?
Deh,
dilmi,tosto, ché, s'ell'è colei
ch'io
vo meco pensando ch'ella sia,
non
credo che trapassi il giorno sesto,
ch'io
ti trarrò di stato sì molesto. –
18
Troiolo
a questo nulla rispondea,
ma
ciascuna ora più 'l viso turava;
e
pure udendo ciò che promettea
Pandaro,
seco alquanto più sperava,
e
volea dire e poi si ritenea,
tanto
d'aprirlo a lui si vergognava;
ma
stimolandol Pandaro, si volse
ver
lui piangendo, e ta' parole sciolse:
19
–
Pandaro mio, io vorrei esser morto,
pensando
a quel ch'amore m'ha sospinto,
e
s'io potessi, sanza farti torto,
celarlo,
già non men sarei infinto;
ma
più non posso, e se tu se' accorto
sì
come suo', veder puoi che distinto
Amor
non ha qual uom ami per legge,
fuor
che colei cui l'appetito elegge.
20
Altri,
come tu sai, aman le suore,
e
le suore i fratelli, e le figliuole
talvolta
i padri, e' suoceri le nuore,
le
matrigne i figliastri talor suole
anche
avvenir; ma me ha preso Amore
per
tua cugina, il che forte mi duole:
io
dico per Criseida. – E questo detto,
boccon
piangendo ricadde in sul letto.
21
Come
Pandaro udì colei nomare,
così
ridendo disse: – Amico mio,
per
Dio ti priego, non ti sconfortare.
Amore
ha posto in parte il tuo disio,
tal
che el nol potea meglio allogare,
perch'ella
il val veracemente, s'io
m'intendo
di costumi, o di grandezza
d'animo,
o di valore o di bellezza.
22
Nulla
donna fu mai più valorosa,
nulla
ne fu più lieta e più parlante,
nulla
più da gradir né più graziosa,
nulla
di maggiore animo tra quante
ne
furon mai; né è sì alta cosa
ch'ella
non imprendesse tanto avante
quanto
alcun re, e che 'l cor non le desse
di
trarla a fine, sol che si potesse.
23
Solo
una cosa alquanto a te molesta
ha
mia cugina in sé oltre alle dette,
che
ella è più che altra donna onesta,
e
più d'amore ha le cose dispette;
ma
s'altro non ci noia, credo a questa
troverò
modo con mie parolette
qual
ti bisogna. Possi tu soffrire,
ben
raffrenando il tuo caldo disire.
24
Ben
puoi dunque veder ch'Amor t'ha posto
in
loco degno della tua virtute;
sta'
dunque fermo nell'alto proposto
e
bene spera della tua salute
la
quale io credo che seguirà tosto
se
tu col pianto tuo non la rifiute.
Tu
sei di lei ed ella di te degno,
ed
io ci adoprerò tutto 'l mio 'ngegno.
25
Né
creder, Troiol, ch'io non veggia bene
non
convenirsi a donna valorosa
sì
fatti amori, e quel ch'ancor ne vene
ed
a lei ed a' suoi, se cotal cosa
alla
bocca del vulgo mai pervene;
ché,
per follia di noi, vituperosa
è
divenuta, dove esser dovea
onor,
dappoi per amor si facea.
26
Ma
perciocché 'l disio s'è impedito
all'operare,
e tutto simigliante
non
conosciuto, parmi per partito
poter
pigliar, che ciaschedun amante
possa
seguir il suo alto appetito,
sol
che sia savio in fatto ed in sembiante,
sanza
vergogna alcuna di coloro
a
cui tien la vergogna e l'onor loro.
27
Io
credo certo ch'ogni donna in voglia
vive
amorosa, e null'altro l'affrena
che
tema di vergogna; e s'a tal doglia
onestamente
medicina piena
si
può donar, folle è chi non la spoglia
e
poco parmi le cuoca la pena.
La
mia cugina è vedova e disia,
e
se 'l negasse non gliel crederia.
28
Per
che, sentendo te saggio ed accorto,
a
lei e ad amendue posso piacere,
ed
a ciascun donar pari conforto,
poscia
ch'occulto il dobbiate tenere,
e
fia come non fosse; e farei torto,
se
'n ciò non ne facessi il mio potere
in
tuo servigio; e tu sii savio poi,
in
tener chiusa tale opera altrui. –
29
Udiva
Troiol Pandaro contento
sì
nella mente, ch'esser gli parea
quasi
già fuor di tutto il suo tormento,
e
più nel suo amor si raccendea;
ma
poi ch'alquanto stato fu attento,
a
Pandaro si volse e gli dicea:
–
Io credo ciò che tu di' di costei,
e
troppo ne par più agli occhi miei.
30
Ma
come mancherà per ciò l'ardore
ch'io
porto dentro, che non vidi mai
ch'ella
s'accorgesse del mio amore?
Ella
nol crederà se tu 'l dirai;
poi,
per tema di te, questo furore
biasimerà,
e niente farai.
E
se nel cor l'avesse, per mostrarti
d'essere
onesta, non vorrà 'scoltarti.
31
Ed
oltre a questo, Pandar, non vorria
che
tu credessi che io desiassi
di
cotal donna alcuna villania
Che
e' le fosse a grado ch'io l'amassi
solamente
vorrei: questo mi fia
sovrana
grazia se io la 'mpetrassi.
Di
questo cerca, e più non ti dimando.
–
Poi bassò 'l viso alquanto vergognando.
32
A
cui, ridendo, Pandaro rispose:
–
Niente nuoce ciò che tu ragioni.
Lascia
far me, ché le fiamme amorose
ho
per le mani e sì fatti sermoni,
e
seppi già recar più alte cose
al
fine suo con nuove condizioni.
Questa
fatica tutta sarà mia
e
'l dolce fine voglio che tuo sia. –
33
Troiolo
destro si gittò in terra
del
letto, lui abbracciando e basciando,
giurando
appresso che la greca guerra
vincer
nulla sariegli triunfando,
a
petto a questo ardor che tanto 'l serra:
–
Pandaro mio, io mi ti raccomando,
tu
savio, tu amico, tu sai tutto
ciò
che bisogna a dar fine al mio lutto. –
Pandaro
discuopre a Criseida l'amore che Troiolo le porta, e lei contradicente conforta
ad amare lui.
34
Pandaro
disioso di servire
il
giovinetto, il quale e' molto amava,
lasciato
lui dove gli piacque gire,
sen
gì ver dove Criseida stava;
la
qual, veggendo lui a sé venire,
levata
in piè, di lungi il salutava,
e
Pandar lei, cui per la man pigliata
in
una loggia seco l'ha menata.
35
Quivi
con risa e con dolci parole,
con
lieti motti e con ragionamenti
parentevoli
assai, sì come suole
farsi
talvolta tra congiunte genti,
si
stette alquanto come quei che vuole
al
suo proposto, con nuovi argomenti,
venir,
se el potrà, e nel bel viso
cominciò
forte a riguardarla fiso.
36
Criseida
che il vide, sorridendo
disse:
— Cugin, non mi vedesti mai
che
tu mi vai così mente tegnendo?
A
cui rispose Pandaro: – Ben sai
ch'
i' t' ho veduta e di vedere intendo,
ma
tu mi par più che l'usato assai
bella,
ed hai più di che lodare Iddio
che
altra bella donna, al parer mio. –
37
Criseida
disse: – Che vuol dir cotesto?
Perché
più ora che per lo passato? –
A
cui Pandar rispose lieto e presto:
–
Però che 'l tuo è 'l più avventurato
viso
che donna avesse mai in questo
mondo;
se io non ne sono ingannato,
a
sì fatto uomo ho sentito che piace
oltre
misura sl che se ne sface. –
38
Criseida
alguanto arrossò vergognosa
udendo
ciò che Pandaro diceva,
e
risembrava mattutina rosa
Poi
ta' parole a Pandaro moveva:
–
Non ti far beffe di me, che gioiosa
d'ogni
tuo ben sarei. Poco doveva
avere
a far colui a cui io piacqui,
che
mai più non avvenne poi ch'io nacqui. –
39
–
Lasciamo star li motti – disse allora
Pandaro
– e dimmi: se' ten tu accorta? –
A
cui ella rispose: – Non ancora
più
d'un che d'altro, se io non sia morta.
é
vero ch'io ci veggio ad ora ad ora
passare
alcun che sempre alla mia porta
rimira,
non so io s'el va cercando
di
veder me, o altro va musando. –
40
Pandaro
disse: – Chi è el colui? –
A
cui Criseida disse: – Veramente
io
nol conosco, né ti so di lui
più
oltre dire. – E Pandaro che sente
che
di Troiol non dice ma d'altrui,
così
seguì a lei subitamente:
–
Non è colui il qual tu hai feruto,
uom
che non sia da tutti conosciuto. –
41
–
Chi è dunque costui che si diletta
sì
di vedermi? – Criseida disse.
A
cui Pandaro allora: – Giovinetta,
poi
che colui che 'l mondo circoscrisse
fece
il primo uom, non credo più perfetta
anima
mai 'n alcun altro venisse,
che
quella di colui che t'ama tanto,
che
dir non si potrebbe giammai quanto.
42
Egli
è d'animo altiero e di legnaggio
onesto
molto, e cupido d'onore,
di
senno natural più ch'altro saggio,
né
di scienza n'è alcun maggiore;
prode
ed ardito e chiaro nel visaggio,
io
non potrei dir tutto il suo valore.
Deh,
quanto ell'è felice tua bellezza,
poi
che tal uomo più ch'altro l'apprezza.
43
Ben
è la gemma posta nell'anello,
se
tu sei savia come tu sei bella:
se
tu diventi sua così com'ello
è
divenuto tuo, ben fia la stella
giunta
col sole; né mai fu donzello
giunto
sì bene ad alcuna donzella
come
tu seco, se savia sarai:
beata
te se tu 'l conoscerai!
44
Solo
una volta ha nel mondo ventura
qualunque
vive, s'ei la sa pigliare;
chi
lei vegnente lascia, sua sciagura
pianga
da sé sanza altrui biasimare
la
tua vaga e bellissima figura
la
t'ha trovata, or sappi adoperare.
Lascia
me pianger che 'n malora nacqui,
ch'a
Dio, al mondo ed a Fortuna spiacqui. –
45
–
Tentimi tu, o parli daddovero,
–
Criseida disse – o sei del senno uscito?
Chi
dee aver di me piacere intero
se
già non divenisse mio marito?
Ma
chi è questi, dimmi, è el stranero
o
cittadin, che per me è smarrito?
Dilmi
s'tu vuoi e se dir lo mi dei,
e
non chiamar sanza cagion gli omei. –
46
Pandaro
disse: – Egli è pur cittadino,
non
de' minori, e mio amico è molto;
dal
qual, per forza forse di destino
tratto
ho del petto ciò che io t'ho sciolto.
El
vive in pianto misero e meschino,
sì
lo splendor l'accende del tuo volto;
e
perché sappi chi cotanto t'ama,
Troiolo
è quei che più ch'altro ti brama. –
47
Dimorò
sovra sé Criseida allora
Pandaro
riguardando, e tal divenne
qual
da mattina l'aer si colora,
e
con fatica le lagrime tenne
venute
agli occhi per cadere fora.
Poscia
come il perduto ardir rivenne,
un
poco seco prima mormorando,
così
a Pandar disse sospirando:
48
–
Io mi credeva, Pandaro, se io
in
tal follia giammai fossi caduta,
che
Troiolo venuto nel disio
mi
fosse mai, tu m'avessi battuta
non
che ripresa, sì come uom che 'l mio
onor
cercar dovresti: oh Dio aiuta!
che
faran gli altri, poi che tu t'ingegni
di
seguir farmi gli amorosi regni?
49
Ben
so che Troiolo è grande e valoroso,
e
ciascuna gran donna ne dovria
esser
contenta; ma poi che 'l mio sposo
tolto
mi fu, sempre la voglia mia
da
amore fu lontana, ed ho doglioso
il
core ancor della sua morte ria,
ed
avrò mentre che sarò in vita,
tornandomi
a memoria sua partita.
50
E
se alcuno il mio amor dovesse
aver,
per certo a lui il donerei,
sol
ch'io credessi che e' gli piacesse.
Ma
come tu conoscer chiaro dei,
che
or vaghezze si trovano spesse
chente
egli ha ora, e quattro dì o sei
durano,
e passan poscia di leggero,
cambiando
amor, così cambia il pensiero.
51
Però
mi lascia tal vita menare
chente
Fortuna apparecchiata m'have;
el
troverà ben donna da amare
al
piacer suo ed umile e soave;
a
me onesta si convien di stare.
Pandar,
per Dio, deh, non ti paia grave
questa
risposta, e lui fa che conforti
con
piacer nuovi e con altri diporti –
52
Pandaro
seco si tenea scornato
udendo
il ragionar della donzella,
e
per partirsi quasi fu levato;
poi
pure stette, e rivolsesi ad ella
dicendo:
– Io t'ho, Criseida, lodato
quel
ch'io farei a mia carnal sorella
o
a mia figlia o moglie s'io l'avessi,
s'e
miei piacer da Dio mi sian concessi.
53
Però
ch'io sento che Troiolo vale
cosa
maggiore assai che non sarebbe
il
tuo amore, e vidil ieri a tale,
per
questo amor, che forte me ne 'ncrebbe.
Forse
non credi e però non ten cale;
ben
so ch a forza te ne 'ncrescerebbe,
se
sapessi quel ch'io del suo ardore.
Deh,
'ncrescati di lui per lo mio amore!
54
Io
non credo ch'al mondo sia alcuno
più
segreto uom di lui né con più fede,
ed
è leal quanto ne sia nessuno
né
più oltre di te disia o vede;
ed
a te, stando in vestimento bruno
giovane
ancor, d'amare si concede.
Non
perder tempo, pensa che vecchiezza
o
morte torrà via la tua bellezza.
55
–
Oh me, – disse Criseida – tu di' vero,
così
cen portan gli anni a poco a poco,
e'
più si muoion prima che 'l sentiero
si
compia, dato dal celeste foco.
Ma
lasciamo ora di questo il pensiero,
e
dimmi se d'amor sollazzo e gioco
ancor
poss'io avere. In che maniera
t'avvedesti
di Troiol la primiera? –
56
Sorrise
allora Pandaro e rispose:
–
Io 'l ti dirò da poi che 'l vuoi sapere.
L'altrieri,
essendo in quiete le cose
per
la triegua allor fatta, fu 'n calere
a
Troiol ch'io con lui per selve ombrose
m'andassi
diportando; ivi a sedere
postici,
a ragionar cominciò meco
d'amore,
e poi di lui a cantar seco.
57
Io
non gli era vicin, ma mormorare
udendol,
ver di lui mi feci attento,
e
per quel ch'io mi possa ricordare,
ad
Amor si dolea nel suo tormento,
dicendo:
«Signor mio, già mi si pare
nel
viso e ne' sospiri ciò ch'io sento
dentro
dal cor per leggiadra vaghezza,
la
qual m'ha preso con la sua bellezza.
58
Tu
stai colà dov'io porto dipinta
l'immagine
che più d'altro mi piace,
e
quivi vedi l'anima che vinta
dalla
folgore tua pensosa giace;
la
qual la tiene intorno stretta cinta,
chiamando
sempre quella dolce pace,
che
gli occhi belli e vaghi di costei
sol
posson dare, car signore, a lei.
59
Dunque,
per Dio, se 'l mio morir ti noia,
fallo
sentire a questa vaga cosa,
e
lei pregando, impetra quella gioia
che
suole a' tuoi suggetti donar posa.
Deh,
non voler, signor mio, che io moia,
deh,
fal, per Dio, tu ve' che l'angosciosa
anima
giorno e notte sempre grida,
tale
ha paura ch'ella non l'uccida.
60
Dubiti
tu sotto la bruna vesta
d'accender
le tue fiamme, signor mio?
Nulla
ti fia maggior gloria che questa;
entra
nel petto suo con quel disio
che
dimora nel mio e mi molesta;
deh,
fallo, i' te ne priego, signor pio,
sì
che per te li suoi dolci sospiri
conforto
portino alli miei disiri».
61
E
questo detto, forte sospirando,
bassò
la testa non so che dicendo,
poscia
si tacque quasi lagrimando.
In
me di quel che era, ciò veggendo,
entrò
sospetto, e proposi che, quando
tempo
più atto fosse, un dì ridendo
di
domandarlo ciò che la canzone
volesse
dire, e poi della cagione.
62
Ma
tempo a questo prima non occorse
che
oggi ch io 'l trovai tutto soletto:
andando
io nella sua camera, in forse
se
el vi fosse, ed egli era in sul letto,
e
me vedendo, altrove si ritorse;
di
che io presi alquanto di sospetto,
e
fattomi più presso, ch'el piangea
il
trovai forte, e forte si dolea.
63
Come
io seppi il più lo confortai,
e
con nuova arte e con diverso ingegno,
di
bocca quel ch'avesse gli cavai,
datagli
pria la mia fede per pegno
ch'io
nol direi ad alcun uom giammai.
Questa
pietà mi mosse, e per lei vegno
a
te, a cui in brieve ho soddisfatto
di
quel che prieghi in ogni modo e atto.
64
Tu
che farai? Deh, dimmi, starai altera,
e
lascerai colui, che sé non cura
per
amar te, a morte tanto fera
venire?
O reo distino, o rea ventura
ch'un
sì fatto uom per te amando pera!
Almanco
della tua vaga figura
non
gli fostù né de tuoi occhi cara,
forse
il campresti ancor da morte amara. –
65
Criseida
disse allora: – Di lontano
il
segreto scorgesti del suo petto,
come
ch'el ferma poi tenesse mano
quando
il trovasti pianger sopra il letto;
e
così 'l faccia Iddio lieto e sano,
e
me ancora, come per tuo detto
pietà
me n'è venuta. Io non son cruda
come
ti par, né sì di pietà nuda. –
66
E
stata alquanto, dopo un gran sospiro,
trafitta
già, seguì: – Deh, io m'avveggio
dove
ti trae il pietoso disiro,
ed
io il farò, poi piacer ten deggio,
ed
egli il vale, e bastigli s'i' 'l miro;
ma
per fuggir vergogna e forse peggio,
priegal
ch'el sia saggio, e faccia quello
ch'a
me biasmo non sia, né anche ad ello. –
67
–
Sorella mia, – allor Pandaro disse –
tu
parli bene, ed io nel pregheraggio
Vero
è che io non credo ch'el fallisse,
tanto
il conosco costumato e saggio,
fuor
se per iscia~ura non venisse;
tolgalo
Iddio, ect io ci metteraggio
compenso
tal che ti sarà 'n piacere;
fatti
con Dio e fa il tuo dovere. –
Come
Criseida, partito Pandaro, seco ragionando, esamina se amare deggia Troiolo o
no, e alla fine delibera di sì.
68
Partito
Pandar, se ne gì soletta
nella
camera sua Criseida bella,
seco
nel cor ciascuna paroletta
rivolvendo
di Pandaro e novella
in
quella forma ch'era stata detta,
e
lieta seco ragiona e favella
in
cotal guisa, seco sospirando
oltre
l'usato Troiol immaginando:
69
«Io
son giovane, bella, vaga e lieta
vedova,
ricca, nobile ed amata,
sanza
figliuoli ed in vita quieta,
perché
esser non deggio innamorata?
Se
forse l'onestà questo mi vieta,
io
sarò saggia, e terrò sì celata
la
voglia mia, che non sarà saputo
ch'io
aggia mai nel core amore avuto.
70
La
giovinezza mia si fugge ogni ora,
debbol'
io perder sì miseramente?
Io
non conosco in questa terra ancora
niuna
sanza amante, e la più gente,
com'io
conosco, veggio s innamora,
ed
io mi perdo il tempo per niente;
e
come gli altri far non è peccato,
né
ne può esser alcun biasimato.
71
Chi
mi vorrà se io c'invecchio mai?
Certo
nessuno, ed allora avvedersi
altro
non è se non crescer di guai.
Niente
vale il dì dietro pentersi
e
dir dolente ‘perché non amai?'
Buon
è adunque a tempo provvedersi:
costui
è bel, gentil, savio ed accorto,
che
t'ama, e fresco più che giglio d'orto,
72
di
real sangue e di sommo valore,
e
Pandar tuo cugin tel loda tanto;
dunque
che fai? Perché dentro dal core,
com'egli
ha te, lui non ricevi alquanto?
Perché
non gli dai tu il tuo amore?
Non
odi tu la pièta del suo pianto?
Oh
quanto bene ancora avrai con lui,
se
com'egli ama te, tu ami lui!
73
Ed
ora non è tempo da marito,
e
se pur fosse, la sua libertate
servare
è troppo più savio partito.
L'amor
che vien da sì fatta amistate
è
sempre tra gli amici assai gradito:
ma,
sia quanto vuol grande la biltate:
che
a' mariti tosto non rincresca,
vaghi
d'avere ogni dì cosa fresca;
74
l'acqua
furtiva assai più dolce cosa
è
che il vin con abbondanza avuto;
così
d'amor la gioia che sia nascosa
trapassa
assai del sempre mai tenuto
marito
in braccio. Adunque vigorosa
ricevi
il dolce amore, il qual venuto
t'è
fermamente mandandolo Iddio,
e
soddisfa al suo caldo disio».
75
E
stando alquanto, poi si rivolgea
nell'altra
parte: «Misera», dicendo
«che
vuoi tu far? Non sai tu quanto re
vita
si trae con esso amor languendo,
nella
qual sempre convien che si stea
in
pianti ed in sospiri ed in dolendo
avendo
poi per giunta gelosia
che
è peggio assai che ogni morte ria?
76
Appresso,
questi ch'al presente t'ama
è
di troppo più alta condizione
che
tu non sei; questa amorosa brama
gli
passerà, ed in abusione
sempre
t'avrà, e lasceratti grama,
d'infamia
piena e di confusione.
Guarda
che fai, ché il senno da sezzo
né
fu, né è, né fia mai d'alcun prezzo.
77
Ma
posto pur che questo amor lontano
debba
durar, come puoi tu sapere
ch'el
debba star celato? Assai è vano
fidarsi
alla Fortuna, e ben vedere
quanto
uopo fa non può consiglio umano;
e
se si scuopre aperto, puoi tenere
la
fama tua in etterno perduta,
la
qual sì buona hai fino a qui avuta.
78
Dunque
cotali amor lasciali stare
a
cui e' piaccion». Poi appresso il detto
incominciava
forte a sospirare,
né
si poteva già dal casto petto
il
bel viso di Troiolo cacciare;
per
che tornava sopra il primo effetto
biasimando
e lodando, in tale erranza
seco
faccendo lunga dimoranza.
Rapporta
Pandaro a Troiolo quel c'ha fatto, il quale, veduta Criseida, bene sperando,
sommamente si rallegra.
79
Pandar,
che da Criseida dipartito
s'era
contento, sanza altrove gire,
a
Troiolo diritto s'è reddito,
e
di lontano gli cominciò a dire:
–
Confortati, fratel, ch' i' ho fornito
gran
parte, credo, del tuo gran disire. –
E
postosi a seder, gli disse ratto,
sanza
interpor, com'era stato il fatto.
80
Quali
i fioretti, dal notturno gelo
chinati
e chiusi, poi che 'l sol gl'imbianca,
tutti
s'apron diritti in loro stelo,
cotal
si fé di sua virtute stanca
Troiolo
allora, e riguardalldo il cielo,
incominciò
come persona franca:
–
Lodato sia il tuo sommo valore
Venere
bella, e del tuo figlio Amore. –
81
Poi
Pandaro abbracciò mille fiate
e
basciollo altrettante, sì contento
che
più non saria stato se donate
gli
fosser mille Troie; e lento lento
con
Pandar solo, a veder la biltate
di
Criseida andò, guardando attento
se
alcun atto nuovo in lei vedeva,
per
quel che Pandar ragionato aveva.
82
Ella
si stava ad una sua finestra,
e
forse quel ch'avvenne ella aspettava;
né
si mostrò selvaggia né alpestra
verso
di Troiol che la riguardava,
ma
tutta volta in su la poppa destra,
onestamente
verso lui mirava.
Di
che allegro Troiol se ne gio,
grazie
rendendo a Pandaro ed a Dio.
83
E
quella trepidezza che 'ntra due
Criseida
tenea, sen fuggì via,
seco
lodando le maniere sue,
gli
atti piacevoli e la cortesia.
E
sì subitamente presa fue,
che
sopra ogni altro bene lui disia,
e
duolle forte del tempo perduto,
che
'l suo amor non avea conosciuto.
84
Troiolo
canta e fa mirabil festa,
armeggia
e dona e spende lietamente,
e
spesso si rinnuova e cangia vesta,
ogni
ora amando più ferventemente;
e
per piacer non gli è cosa molesta
ancor
seguir, mirar discretamente
Criseida,
la qual, non men discreta,
gli
si mostrava a' tempi vaga e lieta.
Il
riguarlare di Criseida accende più Troiolo; di che egli ragiona con Pandaro, il
quale il consigliò che egli le scrivesse ed egli il fa.
85
Ma
come noi, per continua usanza,
per
più legne veggiam foco maggiore,
così
avvien, crescendo la speranza,
assai
sovente ancor cresce l'amore;
e
quinci Troiol con maggior possanza
che
l'usato sentì nel preso cuore
l'alto
disio spronarlo, onde i sospiri
tornar
più fier che prima e li martiri.
86
Di
che Troiol con Pandaro talvolta
si
dolea forte: – Lasso me, – dicendo –
el
m'ha Criseida sl l'anima tolta
co'
suoi begli occhi, che morire intendo
per
lo disio fervente che s'affolta
sì
sopra il cuor nel quale io ardo e 'ncendo.
Deh,
che farò? che contento dovria
solo
esser della sua gran cortesia.
87
Ella
mi guata e soffere ch'io guati
onestamente
lei; questo dovrebbe
essere
assai a' miei disii 'nfiammati,
ma
l'appetito cupido vorrebbe
non
so che più, sì mal son regolati
gli
ardor che 'l muovon, e nol crederebbe
chi
nol provasse, quanto mi tormenta
tal
fiamma che maggiore ognor diventa.
88
Che
farò dunque? Io non so che mi fare
se
non chiamarti, Criseida bella;
tu
sola sei che mi puoi aiutare,
tu,
valorosa donna, tu sei quella
che
sola puoi il mio foco attutare
o
dolce luce e del mio cor fiammella:
or
stess'io teco una notte d'inverno,
cento
cinquanta poi stessi in inferno.
89
Che
farò, Pandar? Tu non di' niente?
Tu
mi vedi arder in sì fatto fuoco,
e
vista fai di non aver la mente
a'
miei sospiri? Deh, ve' com'io mi cuoco?
Aiutami,
io ten priego caramente,
dimmi
ch'io faccia, consigliami un poco;
se
da te e da lei non ho soccorso,
di
morte nelle reti son trascorso. –
90
Pandaro
allora disse: – Io veggio bene
ed
odo quanto di', né sonmi infinto,
né
mai m infingerò alle tue pene
donare
aiuto, e sempre son succinto
a
far non sol per te ciò che convene,
ma
ogni cosa sanza esser sospinto
o
da forza o da priego: fa tu ch'io
aperto
veggia il tuo alto disio.
91
Io
so che 'n ogni ccsa, per un sei
tu
vedi più di me, ma tuttavia
s'io
fossi in te, intera scriverei
ad
essa di mia man la pena mia,
e
sopra ciò per Dio la pregherei,
e
per amore e per sua cortesia,
che
di me le calesse; e questo scritto
io
glielo porterò sanza rispitto.
92
Ed
oltre a questo, ancora a mio potere
la
pregherò ch'abbi di te mercede.
Quel
ch'ella rispondrà potrem vedere,
e
già di certo l'animo mio crede
che
sua risposta ti dovrà piacere;
e
però scrivi, e ponvi ogni tua fede,
ogni
tua pena, ed il disio appresso:
nulla
lasciar che non vi sia espresso. –
93
Questo
consiglio a Troiol piacque assai
ma,
come amante timido, rispose:
–
Oh me, Pandaro, che tu vederai,
come
si vede che son vergognose
le
donne, ché lo scritto che portrai,
Criseida,
per vergogna, con noiose
parole
rifiutrà, e peggiorato
avremo
oltre misura il nostro stato. –
94
A
ciò Pandaro disse: – Se ti piace,
fa
quel ch'io dico e me poi lascia fare,
ché,
se Amor mi ponga in la sua pace,
io
te ne credo risposta arrecare
di
sua man fatta; se ciò ti dispiace,
timido,
e tristo te ne puoi stare.
Ripiaterai
poi te del tuo tormento:
ché
per me non riman farti contento. –
95
Allora
disse Troiol: – Fatto sia
il
piacer tuo; io vado e scriveraggio,
ed
Amor priego, per sua cortesia,
lo
scrivere e la lettera e 'l viaggio
fruttevol
faccia. – E di quindi s'invia
alla
camera sua, e come saggio
alla
sua donna carissima scrisse
una
lettera presto, e così disse:
Scrive
Triolo a Criseida che il muove a scriver l'amore ch'egli
le
porta e le sue pene, e domandale mercé.
96
«Come
può quei che in affanno è posto,
in
pianto grave ed in stato molesto
come
sono io per te, donna, disposto,
ad
alcun dar salute? credo chesto
esser
non dee da lui; ond'io mi scosto
da
quel che gli altri fanno, e sol per questo
qui
da me salutata non sarai
perch'io
non l'ho se tu non la mi dai
97
Io
non posso fuggir quel ch'Amor vuole,
il
qual più vil di me già fece ardito,
ed
el mi strigne a scriver le parole
che
tu vedrai, e vuol pure obbedito
esser
da me sì come egli esser suole;
perciò
se per me fia in ciò fallito
lui
ne riprendi, ed a me perdonanza
ti
priego doni, dolce mia speranza
98
L'alta
bellezza tua, e lo splendore
de'
tuoi vaghi occhi e de' costumi ornati,
l'onestà
cara e 'l donnesco valore,
li
modi e gli atti più ch'altro lodati,
nella
mia mente hanno lui per signore
e
te per donna in tal guisa fermati,
ch'altro
accidente mai fuor che la morte
a
tirarvine fuor non saria forte
99
E
che ch'io faccia, l'immagine bella
di
te sempre nel cor reca un pensiero,
ch'ogni
altro caccia che d'altro favella
che
sol di te, benché d'altro nel vero
all'anima
non caglia, fatta ancella
del
tuo valor, nel quale io solo spero:
e
'l nome tuo m'è sempre nella bocca
e
'l cor con più disio ognor mi tocca
100
Da
queste cose, donna, nasce un foco
che
giorno e notte l'anima martira,
sanza
lasciarmi in posa trovar loco
Piangonne
gli occhi e 'l petto ne sospira,
e
consumar mi sento a poco a poco
da
questo ardor che dentro a me si gira;
per
che ricorrere alla tua virtute
sol
mi convien, s'io voglio aver salute.
101
Tu
sola puoi queste pene noiose,
quando
tu vogli, porre in dolce pace,
tu
sola puoi l'afflizion penose,
madonna,
porre in riposo verace,
tu
sola puoi, con l'opre tue pietose,
tormi
il tormento che sì mi disface;
tu
sola puoi, sì come donna mia,
adempier
ciò che lo mio cor disia.
102
Dunque,
se mai per pura fede alcuno,
se
mai per grande amor, se per disio
di
ben servire ognora in ciascheduno
caso,
qual si volesse o buono o rio,
meritò
grazia, fa ch'io ne sia quello io,
cara
mia donna, fa ch'io sia quello io,
ch'a
te ricorro sì come a colei
che
se' cagion di tutti i sospir miei.
103
Assai
conosco che mai meritato
non
fu per mio servir quel per che vegno,
ma
sola tu che m'hai il cor piagato,
e
altri no, di maggior cosa degno
mi
puoi far, quando vogli; o disiato
ben
del mio cor, pon giù l'altiero sdegno
dell'animo
tuo grande, e sii umile
ver
me, quanto negli atti sei gentile.
104
Or
io son certo che sarai pietosa
come
sei bella, e la mia grave noia
discretamente
lieta e graziosa,
sanza
voler ch'io misero muoia
per
molto amarti, donna dilettosa,
ancora
tornerà in dolce gioia;
ed
io ten priego, se 'l mio priego vale,
per
quello amor del quale or più ti cale.
105
Io
come ch'io sia un piccol dono
e
poco possa e vaglia molto meno,
sanza
fallo alcun tutto tuo sono;
or
tu sei savia: s'io non dico appieno,
intenderai,
so, me' ch'io non ragiono,
e
spero simil che l'opere fieno
migliori
assai che' miei merti e maggiori;
Amore
a ciò ti disponga ed incuori.
106
El
mi restava molte cose a dire,
ma
per non farti noia le vo tacere,
e'n
questa fine priego il dolce sire
Amor
che, come te nel mio piacere
ha
posta, così me nel tuo disire
ponga
con quel medesimo volere,
sì
che, com'io son tuo, alcuna volta
tu
mia diventi, e mai non mi sia tolta».
107
Scritte
adunque tutte queste cose
in
una carta, per ordin piegolla,
e'n
sulle guance tutte lagrimose
bagnò
la gemma, e quindi suggellolla,
e
nelle mani a Pandaro la pose,
ma
mille volte e più prima basciolla:
–
Lettera mia – dicendo – tu sarai
beata,
in man di tal donna verrai. –
Porta
Pandaro la lettera di Troiolo a Criseida, la quale innanzi che la togliesse si
turbò un pochetto.
108
Pandaro,
presa la lettera pia,
n'andò
verso Criseida, la quale
come
'l vide venir, la compagnia
con
la quale era lasciata, cotale
gli
si fé 'ncontro parte della via,
qual
pare in vista perla orientale,
temendo
e disiando; e' salutarsi
di
lunge assai, poi per le man pigliarsi.
109
Quindi
disse Criseida: – Quale affare
or
qui ti mena? Hai tu altre novelle? –
Alla
qual Pandar sanza dimorare
disse:
– Donna, per te l'ho buone e belle,
ma
non tai per altrui, come mostrare
ti
potran queste scritte tapinelle
di
colui che per te mi par vedere
morir,
sì poco te n'è in calere.
110
Telle,
e vedraile diligentemente,
e
d'alcuna risposta il farai lieto. –
Stette
Criseida temorosamente
sanza
pigliarle; un poco il mansueto
viso
cambiò, e quindi pianamente
disse:
– Deh, Pandar mio, se in quieto
stato
ti ponga Amore, abbi rispetto
alquanto
a me, non pure al giovinetto.
111
Guarda
se quel che vuogli or si convene,
e
tu stesso sia giudice in questo,
e
vedi se prendendole fo bene,
e
se 'l tuo domandare è tanto onesto.
El
non si vuole per levar le pene
altrui,
per sé fare atto disonesto.
Deh,
non le mi lasciar, Pandaro mio
portale
indietro, per amor di Dio. –
112
Pandaro,
alquanto di questo turbato,
disse:
– Questo è a pensar nuova cosa,
che
quel ch'è più dalle donne bramato,
di
ciò ciascuna e ischifa e cruciosa
si
mostra innanzi altrui; io t'ho parlato
tanto
di questo, ch'omai vergognosa
non
dovresti esser meco: io te ne priego
che
or di questo non mi facci niego. –
113
Criseida
sorrise lui udendo,
e
quelle prese e miselesi in seno:
–
Quando avrò agio – poi a lui dicendo –
le
vederò com'io saprò appieno.
Se
io fo men che ben questo faccendo,
il
non poter del tuo piacer far meno
me
n'è cagione; Iddio del cielo il veggia
ed
alla mia simplicità provveggia. –
Legge
Criseida la lettera di Troiolo con diletto e, piacendole d'essergli benivole,
forte ad amare lui si dispone.
114
Partissi
Pandar poi gliel'ebbe date,
ed
essa, vaga molto di vedere
quel
che dicesser, sue cagion trovate,
le
compagne lasciò, ed a sedere
ne
gì nella sua camera, e spiegate,
lesse
e rilesse quelle con piacere,
e
ben s'accorse che Troiolo ardea
vie
più assai che 'n atto non parea.
115
Il
che caro le fu, perché trafitta
esser
sentiesi l'anima nel core,
di
che ella viveva molto afflitta,
come
che punto non paresse fuore;
e
ben notata ogni parola scritta,
di
ciò lodò e ringraziò Amore,
seco
dicendo: «A spegner questo foco
conviene
a me trovare e tempo e loco.
116
Ché
s'io il lascio in troppo grande arsura
multiplicare,
el potrebbe avvenire
che
nella scolorita mia figura
si
vederebbe il nascoso disire,
che
mi saria non piccola sciagura.
Ed
io per me non intendo morire,
né
far morire altrui, quando con gioia
posso
schifar la mia e l'altrui noia.
117
Io
non sarò per lo certo disposta,
come
io sono infino a quinci stata;
se
Pandar tornerà per la risposta,
io
gliela darò piacevole e grata,
s'el
mi costasse come non mi costa;
né
da Troiol sarò mai più spietata
potuta
dire. Or foss'io nelle braccia
dolci
di lui stretta e faccia a faccia!».
Torna
Pandaro a Criseida per la risposta, la quale dopo alquanti motti promise di
farla e fecela.
118
Pandaro
che da Troiolo sovente
era
studiato, a Criseida reddio,
e
sorridendo disse: – Donna, chente
ti
par lo scriver dello amico mio? –
Ella
divenne rossa incontanente,
sanza
dire altro se non: – Sallo Iddio. –
A
cui Pandaro disse: – Hai tu risposto? –
A
cui ella gabbando disse: – Tosto? –
119
–
S'io debbo mai potere adoperare
per
te, – Pandaro disse – or fa di farlo. –
Ed
ella a lui: – E' nol so io ben fare. –
–
Veh, – disse Pandar – pensa di appagarlo,
e'
suole Amor saper bene insegnare.
Io
ho sì gran disio di confortarlo
che
tu nol crederesti, in fede mia:
la
tua risposta sol questo poria. –
120
–
Ed io 'l farò poiché t'aggrada tanto,
ma
voglia Iddio che ben la cosa vada! –
–
Deh, sì andrà – disse Pandaro – in quanto
colui
il vale, a cui più ch'altro aggrada. –
Poi
si partì, ed ella dall'un canto
della
camera sua, ove più rada
usanza
di venire ad ogni altro era,
a
scriver giù si pose in tal manera:
Risponde
Criseida a Troiolo, il quale non legando né sciogliendo, del suo amore
cautamente il lascia sospeso.
121
«A
te amico discreto e possente,
il
qual forte di me inganna Amore,
come
uom preso di me 'ndebitamente,
Criseida,
salvato il suo onore,
manda
salute, e poi umilemente
si
raccomanda al tuo alto valore,
vaga
di compiacerti, dove sia
l'onestà
salva e la castità mia.
122
Io
ho avuto da colui che t'ama
tanto
perfettamente ch'el non cura
già
d'alcun mio onor né di mia fama,
le
carte piene della tua scrittura,
nelle
quai lessi la tua vita grama,
non
sanza doglia, s'io abbia ventura
che
mi sia cara, e benché sien fregiate
di
lucciole, pur l'ho assai mirate.
123
Ed
ogni cosa con ragion pensando
e
l'afflizioni e 'l tuo addomandare,
la
fede e la speranza essaminando,
non
veggio com'io possa soddisfare
assai
acconciamente al tuo dimando,
volendo
bene ed intero guardare
ciò
che nel mondo più è da gradite,
che
è onesta vivere e morire.
124
Come
che il piacerti saria bene,
se
'l mondo fosse tal chente dovrebbe,
ma
perché è tal quale a noi si convene
per
forza usarlo, seguir ne potrebbe,
altro
faccendo, disperate pene.
Alla
pietà per cui di te m'increbbe,
malgrado
mio, pur mi convien dar lato,
di
che sarai da me poco appagato.
125
Ma
è sì grande la virtù ch'io sento
in
te, ch'io so ch'aperto vederai
ciò
ch'a me si conviene, e che contento
di
ciò che io ti rispondo sarai,
e
porrai modo al tuo grave tormento,
che
nel cor mi dispiace e noia assai;
e
'n verità s'el non si disdicesse,
quel
volentier farei che ti piacesse.
126
Poco
è lo scriver, come puoi vedere,
e
mi arte in questa lettera, la quale
vorrei
che più ti recasse piacere,
ma
non si può ciò che si vuole aguale;
forse
farà ancor luogo il potere
al
buon volere, e se non ti par male,
presta
alla pena tua alquanto sosta,
perché
non ha ogni detto risposta.
127
Il
proferer che fai qui non ha loco,
ché
certa son ch'ogni cosa faresti;
ed
io nel ver, come ch'io vaglia poco
vie
più che mille volte mi potresti
e
puoi aver per tua, se crudel foco
non
m'arda, il che son certa non vorresti.
Né
dico più se non ch'io priego Iddio
che
ne contenti il tuo e 'l mio disio».
Riceve
Troiolo la risposta di Criseida e quella con Pandaro esamina, lieta speranza
per quella prendendo.
128
E
poi che ella ebbe in tal guisa detto,
la
ripiegò e suggellolla e diella
a
Pandaro, il qual, tosto il giovinetto
Troiol
cercando, a lui n'andò con ella,
e
presentagliel con sommo diletto;
il
qual, presala, ciò che scritto in quella
era
con festa lesse sospirando,
secondo
le parole il cor cambiando.
129
Ma
pure in fine, seco ripetendo
bene
ogni cosa che ella scrivea,
disse
fra sé: – Se io costei intendo
amor
la stringe, ma sì come rea,
sotto
lo scudo ancor si va chiudendo;
ma
non potrà, pur che forza mi dea
Amore
a sofferir, guari durare,
ch'ella
non vegna a tutt'altro parlare. –
130
E
'l simigliante ne pareva ancora
a
Pandaro, col quale el dicea tutto;
per
che più che l'usato si rincora
Troiol,
lasciando alquanto il tristo lutto,
e
spera in brieve deggia venir l'ora
ch'al
suo martiro deggia render frutto:
e
questo chiede, e dì e notte chiama
come
colui che solamente il brama.
Crescendo
l'ardore di Troiol, Pandaro desideroso di servirloinduce Criseida a dover esser
con lui.
131
Crescea
di giorno in giorno più l'ardore,
e
come che speranza l'aiutasse
a
sostener, pur gli era grave al core,
e
deesi creder che assai il noiasse;
per
che più, volte del suo gran fervore
stimar
si può che lettere dittasse.
Alle
quai quando lieta e quando amara
risposta
gli veniva, e spessa e rara.
132
Per
che sovente d'Amor si dolea
e
di Fortuna cui tenea nemica,
e
spesse volte: «Oh me», seco dicea
«s'un
poco pur la pungesse l'ortica
d'amor,
com'ella me trafigge e screa,
la
vita mia, di solazzo mendica,
tosto
verrebbe al grazioso porto,
al
qual prima ch io vegna sarò morto».
133
Pandaro,
che sentia le fìamme accese
nel
petto di colui cui egli amava,
era
de' prieghi suoi spesso cortese
a
Criseida, e tutto le narrava
ciò
che di Troiol vedeva palese;
la
quale, ancor che lieta l'ascoltava,
diceva:
– Io non posso altro, io gli fo quello
che
m'mponesti, caro mio fratello. –
134
–
Non basta questo: – Pandar rispondea –
io
vo' che tu 'l conforti e che gli parli. –
A
cui Criseida allo 'ncontro dicea:
–
Cotesto non intendo mai di farli,
ché
la corona dell'onestà mea,
per
partito verun non vo' donarli;
come
fratel, per la sua gran bontate
l'amerò
sempre con ferma onestate. –
135
Pandaro
rispondea: – Questa corona
lodano
i preti a cui tor non la ponno,
e
ciaschedun com'un santo ragiona,
e
poi vi colgon tutte quante al sonno.
Di
Troiol non sapra giammai persona;
or
pena assai e fa pur ben del donno.
Assai
fa mal chi può far ben nol face,
e
perder tempo a chi più sa più spiace. –
136
Criseida
dicea: – La sua virtute
tenera
so ch'ell'è del mio onore,
né
da me altro che cose dovute
domanderia,
tanto è il suo valore;
ed
io ti giuro, per la mia salute,
ch'io
son, da quel che tu dimandi in fore,
sua
mille volte più ch'io non son mia,
tanto
m'aggrada la sua cortesia. –
137
–
Se el t'aggrada, or che vai tu cercando?
Deh,
lascia star questa salvatichezza.
Intendi
tu che el si moia amando?
Ben
potrai cara aver la tua bellezza,
s'uccidi
un cotale uom; deh, dimmi quando
tu
vuoi ch'ei vegna a te, cui el più prezza
che
non fa 'l cielo, e dimmi come e dove;
non
voler vincer tutte le sue prove. –
138
–
Oimè lassa! a che m'hai tu condotta,
Pandaro
mio, e che vuoi tu ch'io faccia!
Tu
hai l'onestà mia spezzata e rotta,
io
non ardisco di mirarti in faccia.
Oh
me lassa, me misera, a che otta
la
riavrò io? il sangue mi s'agghiaccia
intorno
al cor, pensando quel che chiedi,
e
tu non te ne curi e chiaro il vedi.
139
Io
vorrei esser morta il giorno ch'io
qui
nella loggia tanto t'ascoltai;
tu
mi mettesti nel core un disio
ch'appena
credo ch'el n'esca giammai,
e
che mi fia cagion dell'onor mio
perdere
e, lassa, d'infiniti guai.
Ma
più non posso; poiché t'è 'n piacere,
sposta
sono a fare il tuo volere.
140
Ma
s'alcun priego può nel tuo cospetto,
ti
priego, dolce e caro mio fratello,
ch'a
tutti ciascun nostro fatto o detto
occulto
sia: tu puoi ben veder quello
che
seguir ne poria, se tale effetto
venisse
a luce. Deh, parlane ad ello
e
fannel savio, e come tempo fia,
io
farò quel che suo piacer disia. –
141
Rispose
Pandar: – Guarda la tua bocca,
ché
el per sé, né io, mai nol diremo. –
–
Or haimi tu – diss'ella – per sì sciocca,
che
vedi di paura tutta triemo
ch'el
non si sappia? Ma poiché ti tocca
l'onore
e la vergogna che n'avremo
sì
come a me, passerommene in pace,
e
tu ne fa omai come ti piace. –
142
Pandar
disse: – Di ciò non dubitare,
ché
in ciò avrem ben buona cautela.
Quando
vuoi tu ch'el ti vegna a parlare?
Traiamo
omai a capo questa tela,
ché
farlo tosto, poiché si dee fare,
fia
molto meglio, e molto me' si cela
dopo
il fatto l'amor, poscia ch'avrete
composto
insieme ciò che far dovrete. –
143
–
Tu sai – disse Criseida – che in questa casa
son
donne ed altre genti meco,
delle
quai parte alla futura festa
debbono
andare; allora sarò seco.
Questa
tardanza non gli sia molesta;
del
modo e del venire allora teco
favellerò;
fa pure ch'el sia saggio,
e
sappia ben celare il suo coraggio. –
PARTE
TERZA
Qui
comincia la terza parte del Filostrato nella quale, dopo la invocazione
dell'autore, Pandaro e Troiolo insieme ragionano del dovere occultare ciò che
con Criseida appresso si fa; alla quale Troiolo ua nascosamente, dilettasi e
ragionasi con lei, partesi e tornavi, sta in festa e in canti.
E
primieramente la invocazione dell'autore.
1
Fulvida
luce, il raggio della quale
infino
a questo loco m'ha guidato
com'io
volea per l'amorose sale,
or
convien che 'l tuo lume duplicato
guidi
lo 'ngegno mio, e faccil tale,
che
'n particella alcuna dichiarato
per
me appaia il ben del dolce regno
d'Amor,
del qual fu fatto Troiol degno.
2
Al
qual regno pervien chi fedelmente,
con
senno e con virtù, può sofferire
d'amor
le passioni interamente:
per
altro modo, rado pervenire
vi
si può bene; adunque sii presente,
o
bella donna, e 'l mio alto disire
riempi
della grazia ch'io dimando,
le
lodi tue continue cantando.
Vive
lieto con Pandaro che lieta risposta gli ha recata; e lungamente parlato la sua
gratitudine mostrando favella.
3
Troiolo
ancora che el molto ardesse,
nondimen
bene star pur li parea,
pensando
sol ch'a Criseida piacesse,
e
che ella umilmente rispondea
alle
lettere sue quando scrivesse,
ed
ancor più qualora la vedea:
ella
il guardava con sì dolce aspetto
ch'a
lui parea sentir sommo diletto.
4
Erasi
Pandar, com'è detto avanti,
dalla
donna in concordia dipartito,
e
lieto nella mente e ne' sembianti,
di
Troiolo cercava, cui smarrito
intra
lieta speranza e tristi pianti
lasciato
avea quando se n'era gito;
e
tanto il gì in qua e 'n là cercando,
ch'egli
il trovò in un tempio pensando.
5
Al
qual tantosto che esso pervenne,
da
parte il trasse e cominciògli a dire:
–
Amico, car, tanto di te mi tenne
quand'io
uguanno ti vidi languire
sì
forte per anlor, che 'l cor sostenne
per
te gran parte in sé del tuo martire,
che
per darti conforto riposato
non
ho giammai finch'io te l'ho trovato.
6
Io
son per te divenuto mezzano,
per
te gittato ho 'n terra il mio onore
per
te ho io corrotto il petto sano
di
mia sorella, e posto l'ho nel core
il
tuo amor; né passerà lontano
tempo
che 'l vederai con più dolzore
che
porger non ti può la mia favella,
quando
in braccio averai Criseida bella.
7
Ma
come Dio, che tutto quanto vede,
e
tu che 'l sai, a ciò non m'ha indotto
di
premio isperanza, ma sol fede,
che
come amico portoti, condotto
m'ha
ad ovrar che tu truovi mercede.
Per
ch'io ti priego, s'el non ti sia rotto
da
ria fortuna il disiato bene,
che
facci com'a savio far convene.
8
Tu
sai ch'egli è la fama di costei
santa
nel vulgo, né si disse mai
da
nullo altro che tutto ben di lei;
or
venuto è che tu nelle man l'hai
e
puogliel tor se fai quel che non dei;
benché
addivenir ciò non può mai
sanza
mia gran vergogna, ché parente
le
sono e trattator similemente.
9
Per
ch'io ti priego tanto quant io posso,
ch'occulto
sia tra noi questo mestiero:
i'
ho dal cuor di Criseida rimosso
ogni
vergogna e ciaschedun pensiero
che
contra t'era, ed hol tanto percosso
col
ragionar del tuo amor sincero,
che
ella t'ama ed è disposta a fare
ciò
che ti piacerà di comandare.
10
Né
fuor che tempo manca a tale effetto,
il
qual come l'avrà, nelle sue braccia
ti
metterò a prenderne diletto;
ma,
per Dio, fa che tale opra si taccia,
né
t'esca fuor per caso alcun del petto,
o
caro amico mio; né ti dispiaccia
se
molte volte ti priego di questo:
tu
vedi ben che 'l mio priego è onesto. –
11
Chi
poria dire intera la letizia
che
l'anima di Troiolo sentiva,
udendo
Pandar? Ché la sua tristizia,
com'
più parlava, più scemando giva.
Li
sospir, ch'egli aveva a gran divizia,
gli
dieder luogo e la pena cattiva
si
dipartì, e 'l viso lagrimoso,
bene
sperando, divenne gioioso.
12
E
sì come la nuova primavera
di
fronde e di fioretti gli arbuscelli,
ignudi
stati in la stagion severa,
di
subito riveste e fagli belli,
e
prati e colli e ciascuna rivera
riveste
d'erbe e di bei fior novelli,
così
di nuova gioia subito pieno,
si
rifé Troiol nel viso sereno.
13
E
dopo un sospiretto, riguardando
Pandar
nel viso, disse: – Amico caro,
tu
ti dei ricordare e come e quando
già
piangeer mi trovasti nello amaro
tempo
che io soleva avere amando,
ed
ancor simil quando procacciaro
le
tue parole di voler sapere
qual
fosse la cagion del mio dolere.
14
E
sai quant'io mi tenlli a discovrirlo
a
te che sol mi sei unico amico,
né
era a me alcun periglio il dirlo,
benché
per ciò non fosse atto pudico;
pensa
dunque ora come consentirlo
io
potrei mai, ché mentre teco il dico,
ch'altri
nol senta triemo di paura.
Tolga
Iddio via cotal disavventura.
15
Ma
nondimen per quello Iddio ti giuro
che
'l cielo e 'l mondo ugualmente governa,
e
s'io non vegna nelle man del duro
Agamennon,
che, se mia vita etterna
fosse
come è mortal, tu puoi sicuro
viver,
ch'a mio poter sarà interna
questa
credenza, e 'n ogni atto servato
l'onor
di quella che m'ha 'l cor piagato.
16
Quanto
per me tu aggi detto e fatto
assai
conosco e manifesto veggio,
né
meritar giammai in alcun atto
nol
ti potrei, ché d'inferno e di peggio,
in
paradiso posso dir m'hai tratto;
ma
per l'amistà nostra ti richieggio
che
quel nome villan tu non ti pogni
dove
sovvien dell'amico a' bisogni.
17
Lascialo
stare alli dolenti avari,
cui
oro induce a sì fatto servigio;
tu
fatto l'hai per trarmi degli amari
pianti
ov'io era e del cturo letigio
che
io avea con pensieri avversari
e
turbator d'ogni dolce vestigio,
sì
come per amico si dee fare,
quando
l'amico il vede tribulare.
18
E
perché tu conosca quanto piena
benivolenza
da me t'è portata,
io
ho la mia sorella Polissena
più
di bellezza che altra pregiata,
ed
ancor c'è con esso lei Elena
bellissima,
la quale è mia cognata:
apri
il cor tuo se te ne piace alcuna,
poi
me lascia operar con qual sia l'una.
19
Ma
poi che tanto hai fatto, assai più ch'io
pregato
non t'avrei, metti in effetto,
quando
tempo parratti, il mio disio;
a
te ricorro e sol da te aspetto
l'alto
piacere ed il conforto mio,
la
gioia e 'l bene e 'l sollazzo e 'l diletto,
né
più farò se non quanto dirai;
mio
fia 'l diletto e tu 'l grado n'avrai. –
20
Rimase
Pandar di Troiol contento,
e
ciascheduno a sue bisogne attese.
Ma
come ch'a Troiolo ogni dì cento
paresse
d'esser con quella alle prese,
pur
sofferia, e con sommo argomento
in
sé reggeva l'amorose offese,
dando
a' pensier d'amor la notte parte,
e
'l dì co' suoi al faticoso Marte.
Richiamasi
Troiolo agli amorosi diletti, il quale con Criseida le sovrane dolcezze
prendendo si sollazza.
21
In
questo mezzo il tempo disiato
da'
due amanti venne, donde fessi
Criseida
chiamar Pandaro e mostrato
tutto
gliel'ha; ma Pandaro dolessi
di
Troiolo che 'l dì davanti andato
era
con certi, per bisogni espressi
della
lor guerra, alquanto di lontano,
benché
dovea tornare a mano a mano.
22
Disselo
a lei, il che udir gravoso
molto
le fu, ma questo non ostante,
Pandar,
sì come amico studioso,
mandò
tosto per lui un presto fante,
il
qual sanza pigliare alcun riposo,
in
brieve spazio a Troiol fu davante;
il
quale, udito ciò per che venia,
lieto
per ritornar si mise in via.
23
E
giunto a Pandar, da lui pienamente
intese
ciò che esso far dovea;
laonde
esso assai impaziente
la
notte attese, la qual gli parea
che
si fuggisse; e poi tacitamente
con
Pandar solo il suo cammin prendea
in
ver là dove Criseida stava,
che
sola e paurosa l'aspettava.
24
Era
la notte oscura e tenebrosa
come
Troiol voleva, il quale attento
mirando
andava ciascheduna cosa,
non
forse alcuna desse sturbamento
poco
o assai alla sua amorosa
voglia,
la qual del suo grave tormento
fosse
sperava; ed in parte segreta
sol
se n'entrò nella casa già cheta.
25
E
'n certo loco remoto ed oscuro,
come
imposto gli fu, la donna attese,
né
gli fu l'aspettar forte né duro,
né
'l non veder dove fosse palese,
ma
baldanzoso, con seco, sicuro,
spesso
diceva: «La donna cortese
tosto
verrà, ed io sarò giocondo
più
che se sol signor fossi del mondo».
26
Criseida
l'aveva ben sentito
venire;
per che, acciò ch'ei la 'ntendesse
com'era
posto, ella aveva tossito,
e
perché l'esser non gli rincrescesse
spesso
parlava con suono espedito,
e
avacciava che ciascun sen gisse
tosto
a dormir, dicendo ch'ella avea
tal
sonno che vegghiar più non potea.
27
Poi
che ciascun sen fu ito a dormire,
e
la casa rimase tutta queta,
tosto
parve a Criseida di gire
dov'era
Troiolo in parte segreta,
il
qual, com'egli la sentì venire,
drizzato
in piè e con la faccia lieta,
le
si fé 'ncontro, tacito aspettando,
per
esser presto ad ogni suo comando.
28
Avea
la donna un torchio in mano acceso,
e
tutta sola discese le scale,
e
Troiol vide aspettarla sospeso,
cui
ella salutò; poi disse quale
ella
poté: – Signor, s'io t'ho offeso
in
parte tale il tuo splendor reale
tenendo
chiuso, priegoti per Dio,
che
mi perdoni, dolce mio disio. –
29
A
cui Troiolo disse: – Donna bella,
sola
speranza e ben della mia mente,
sempre
davanti m'è stata la stella
del
tuo bel viso splendido e lucente;
e
stata m'è più cara particella
questa,
che 'l mio palagio certamente,
e
dimandar perdono a ciò non tocco. –
Poi
l'abbracciò e basciaronsi in bocca.
30
Né
si partiron prima di quel loco,
che
mille volte insieme s'abbracciaro
con
dolce festa e con ardente gioco,
e
altrettante e vie più si basciaro,
sì
come quei ch'ardevan d'egual foco,
e
che l'un l'altro molto aveva caro;
ma
come l'accoglienze si finiro,
salir
le scale e 'n camera ne giro.
31
Lungo
sarebbe a raccontar la festa,
ed
impossibile a dire il diletto
che
'insieme preser pervenuti in questa;
el
si spogliaro ed entraron nel letto,
dove
la donna nell'ultima vesta
rimasa
già, con piacevole detto
gli
disse: – Spogliomi io? Le nuove spose
son
la notte primiera vergognose. –
32
A
cui Troiolo disse: – Anima mia,
io
te ne priego, sì ch'io t'abbi in braccio
ignuda
sì come il mio cor disia. –
Ed
ella allora: – Ve' ch'io me ne spaccio. –
E
la camiscia sua gittata via,
nelle
sue braccia si ricolse avaccio;
e
strignendo l'un l'altro con fervore,
d'amor
sentiron l'ultimo valore.
33
O
dolce notte, e molto disiata,
chente
fostù alli due lieti amanti!
Se
la scienza mi fosse donata
che
ebber li poeti tutti quanti,
per
me non potrebbe esser disegnata.
Pensisel
chi fu mai cotanto avanti
mercé
d'Amor, quanto furon costoro,
e
saprà 'n parte la letizia loro.
34
Ei
non uscir di braccio l'uno all'altro
in
tutta notte, e tenendosi in braccio,
si
credieno esser tolti l'uno all'altro,
o
che non fosse ver che 'nsieme in braccio,
sì
com'elli eran, fosse l'uno all'altro,
ma
sognar si credien d'essere in braccio;
e
l'uno all'altro domandava spesso:
–
Hotti io in braccio, o sogno, o sei tu desso? –
35
Ei
si miravan con tanto disio,
che
l'un dall'altro gli occhi non torcea,
e
l'uno all'altro diceva: – Amor mio,
deh,
può egli esser ch'io con teco stea? –
–
Sì, cuor del corpo, mercé n'abbia Dio –
sovente
l'uno all'altro rispondea.
E
stringendosi forte spessamente,
si
basciavano insieme dolcemente.
36
Troiolo
spesso i beli occhi amorosi
basciava
di Criseida, dicendo:
–
Voi mi metteste nel core i focosi
dardi
d'amor del qual io tutto incendo,
voi
mi pigliaste ed io non mi nascosi,
come
suol far chi dubita, fuggendo;
voi
mi tenete e sempre mi terrete,
occhi
miei bei, nell'amorosa rete. –
37
Poi
gli basciava e ribasciava ancora,
e
Criseida ancora i suoi basciava,
poi
tutto il viso e 'l petto, e nessuna ora
sanza
mille sospiri valicava,
non
de' dolenti per cui si scolora,
ma
di quei pii pe' quai si dimostrava
l'affezion
che giaceva nel petto:
e
dopo quei rinnovava il diletto.
38
Deh,
pensin qui li dolorosi avari,
che
biasiman chi è innamorato
e
chi, come fan essi, a far denari
in
alcun modo, non s'è tutto dato,
e
guardin se, tenendoli ben cari,
tanto
piacer fu mai da lor prestato,
quanto
ne presta amore in un sol punto,
a
cui egli è con ventura congiunto.
39
Ei
diranno di sì ma mentiranno,
e
questo amor, dolorosa pazzia
con
risa e con ischerni chiameranno,
sanza
veder che solo una ora fia
nella
qual sé e' denar perderanno,
sanza
aver gioia saputo che sia
nella
lor vita; Iddio gli faccia tristi,
ed
agli amanti doni i loro acquisti.
40
Rassicurati
insieme i due amanti,
insieme
cominciaro a ragionare,
e
l'uno all'altro i preteriti pianti
e
l'angosce e' sospiri a raccontare;
e
tai ragionamenti tutti quanti
spesso
rompien con fervente basciare,
e
sbandendo la lor passata noia
prendieno
insieme dilettosa gioia.
41
Ragion
non vi si fece di dormire,
ma
che la notte non venisse meno
per
bene assai vegghiar avien disire:
saziarsi
l'un dell'altro non potieno,
quantunque
molto fosse il fare e 'l dire
ciò
ch'a quell'atto appartener credieno,
e
sanza invan lasciar correr le dotte,
tutte
s'adoperaron quella notte.
42
Ma
poi che' galli presso al giorno udiro
cantar
per l'aurora che surgea,
dell'abbracciar
si raffocò 'l disiro,
dolendosi
dell'ora che dovea
lor
dipartir ed in nuovo martiro,
il
qual nessun ancor provato avea,
porgli,
per l'esser da sé separati,
vie
più che mai d'amor ora infiammati.
43
Li
quai come Criseida cantare
sentì,
delente disse: – O amor mio,
ora
si fa da doversi levare,
se
ben vogliam celar nostro disio,
ma
io ti voglio, amor mio, abbracciare,
pria
che ti lievi, un poco, acciò che io
men
doglia senta della tua partita;
deh,
abbraccia tu me, dolce mia vita. –
44
Troiolo
l'abbracciò quasi piangendo,
e
stringendola forte la basciava,
il
giorno che venia maladicendo,
che
lor così avaccio separava.
Poi
cominciò in verso lei dicendo:
–
Il dipartir sanza modo mi grava:
come
partir da te mi debbo mai,
che
'l ben ch'i' sento, donna, tu mel dai?
45
Non
so com'io non mora pur pensando
ch'andar
me ne convien contra 'l volere
e
già di vita ch'io n'ho preso il bando,
e
morte sopra me monta a potere
né
so del ritornar come né quando.
O
Fortuna perché da tal piacere
lontani
me, che più ch'altro mi piace?
Perché
mi togli il sollazzo e la pace?
46
Deh,
com' farò, se già nel primo passo
sì
mi stringe il disio del ritornarci,
che
vita nol sostiene, oh me lasso?
Deh,
perché vien' sì tosto a lontanarci,
o
dispietato giorno? quando basso
sarai
ch'io ti veggia ristorarci?
Oh
me, ch'io non so! – Quindi rivolto
a
Criseida basciava il fresco volto,
47
dicendo:
– S'io credessi in la tua mente
donna
mia bella, sì com'io ti tegno
dentro
la mia, star continuamente
più
caro mi saria che 'l troian regno,
e
di questo partir saria paziente,
poscia
ch'a quel contra mia voglia vegno,
e
spererei tornarci a tempo e loco,
a
temperar com'ora il nostro foco. –
48
Criseida
gli rispose sospirando,
mentre
che stretto nelle braccia il tene:
–
Anima mia, io udii, ragionando
già
è assai, s'i' mi ricordo bene,
ch'Amore
è uno spirto avaro, e quando
alcuna
cosa prende, sì la tene
serrata
forte e stretta con gli artigli,
ch'a
liberarla invan si dan consigli.
49
Ed
egli ha me ghermito in tal manera
per
te, caro mio ben, che s'io volessi
ritornarmi
ora quale in prima m'era,
non
ti cappia nel capo ch'io potessi;
tu
mi se' sempre da mane e da sera
nella
mente fermato, e s'io credessi
così
essere a te io, mi terrei
beata
più che chieder non saprei.
50
Però
sicuro vivi del mio amore,
il
qual mai per altrui più non provai,
e
se 'l tornarci disii con fervore,
io
il disio vie più di te assai,
né
prima mi fien date licite ore
sopra
di me, che tu ci tornerai;
cuor
del mio corpo, i' mi ti raccomando. –
E
così detto, il basciò sospirando.
51
Levossi
Troiol contr' a suo piacere,
poi
ribasciata l'ebbe cento volte,
ma
pur veggendo quel ch'era dovere,
si
vestì tutto, e poscia, dopo molte
parole,
disse: – Io fo il tuo volere,
io
me ne vo; fa che non mi sien tolte
le
tue promesse, e accomandoti a Dio,
e
teco lascio lo spirito mio. –
52
A
lei non venne alla risposta voce,
tanto
la noia la strinse del partire,
ma
Troiol quindi con passo veloce,
ver
lo palagio suo ne prese a gire,
e
sente ben ch'amor vie più il coce
ch'el
non facea prima nel disire,
tanto
ha da più Criseida trovata,
che
seco non l'avea prima stimata.
Ripensano
i due amanti ai trapassati atti, e più con cotale pensiero nel loro lieto amore
s'accendono.
53
Tornato
Troiol nel real palagio,
tacitamente
se n'entrò nel letto
per
dormir s'el potesse alquanto ad agio,
ma
non gli poté sonno entrar nel petto,
sì
gli facean nuovi pensier disagio,
rammemorando
il lasciato diletto,
pensando
seco quanto più valea
Criseida,
che el non si credea.
54
El
giva ciascun atto rivolgendo
nel
suo pensiero e 'l savio ragionare,
e
seco stesso ancora ripetendo
il
piacevole e dolce motteggiare;
l'amor
di lei ancor giva sentendo
troppo
maggior che 'l suo immaginare,
e
con tali pensier più s'accendea
in
amor forte, e non se n'avvedea.
55
Criseida
seco facea il simigliante,
di
Troiolo parlando nel suo core,
e
seco lieta di sì fatto amante,
grazie
infinite ne rende ad Amore,
e
parle ben mille anni che davante
a
lei ritorni lo suo amadore,
e
ch'ella il tenga in braccio e basci spesso,
come
la notte avea fatto da presso.
Viene
Pandaro a Troiolo, il quale con lui di lui e d'Amore sommamente si loda, li
suoi dolci accidenti dicendo.
56
Fu
la mattina Pandaro venuto
a
Troiolo levato, e salutollo;
Troiolo
gli rendé il suo saluto,
e
con disio gli si gittò al collo:
–
Pandaro mio, tu sii il ben venuto –
e
nella fronte con amor basciollo
–
tu m'hai d'inferno messo in paradiso,
amico
mio, se io non sia ucciso.
57
Io
non potrei giammai operar tanto,
se
per te mille volte il dì morisse,
che
io facessi un attimo di quanto
cognosco
aperto ti si convenisse;
tu
m'hai in gioia posto d'aspro pianto. –
E
da capo basciollo, e quindi disse:
–
Dolce mio ben che contento mi fai
quando
sarà ch'io più ti tenga mai?
58
Non
vede il sol, che tutto il mondo vede
sì
bella donna, né tanto piacente,
e,
se le mie parole mertan fede,
sì
costumata, vaga ed avvenente,
quanto
colei la cui buona mercede
più
ch'altro vivo allegro veramente.
Lodato
sia Amor che mi fé suo,
e
similmente il buon servigio tuo.
59
Dunque
non m'hai poca cosa donata,
né
me a poca cosa donato hai
la
vita mia ti fia sempre obbligata,
ad
ogni tuo piacer sempre l'avrai
tu
l'hai da morte a vita suscitata. –
E
qui si tacque allegro più che mai.
Pandaro,
uditol, stette alquanto, e poi
così
rispose lieto a' detti suoi:
60
–
S'io ho, bel dolce amico, fatto cosa
che
ti sia cara, assai ne son contento,
ed
èmmi sommamente graziosa;
ma
nondimen più che mai ti rammento
che
ponghi freno alla mente amorosa,
e
che sia savio, ché dove tormento
hai
tolto via con dilettosa gioia
per
favellar non ti ritorni a noia. –
61
–
Io il farò sì che a grado fieti –
rispose
Troiolo al suo caro amico.
Poi
gli contò gli accidenti suoi lieti
con
somma festa, e seguì: – Ben ti dico
ch'io
non fu' mai d'amor dentro alle reti
com'io
sono ora, e vie più che l'antico
ora
mi coce il foco, che tratto aggio
degli
occhi di Criseida e del visaggio.
62
Io
ardo più che mai, e questo foco,
ch'io
sento nuovo, è d'altra qualitate
che
quel di prima: el mi rinfresca gioco
sempre
nel cor, pensando alla biltate
che
n'è cagion, ma vero è che un poco
le
voglie mie più calde che l'usate
fa
di tornar nell'amorose braccia,
e
di basciar la dilicata faccia. –
63
Saziar
non si poteva il giovinetto
di
ragionar con Pandaro del bene
il
qual sentito aveva, e del diletto,
e
del conforto dato alle sue pene,
e
dello amor che portava perfetto
a
Criseida, in cui sola la spene
aveva
posta, e messone in oblio
ogni
suo altro fatto e gran disio.
Torna
Troiolo a Criseida al modo usato, e con lei ragionando amorosamente si
sollazza.
64
Tra
picciol tempo, la lieta fortuna
di
Troiolo rendé luogo a' suoi amori,
il
qual, poscia che fu la notte bruna,
del
suo palagio solo uscito fori,
sanza
nel ciel vedere stella alcuna,
per
lo cammino usato, a' suoi dolzori
nascosamente
se n entrò, e cheto
nel
luogo usato e' si stette segreto.
65
Come
Criseida altra volta venne,
così
a tempo venne questa volta
ed
il modo di prima tutto tenne;
e
poi che lieta e graziosa accolta
fatta
s'ebber fra lor quanto convenne,
presi
per man con allegrezza molta
nella
camera insieme se n'entraro,
e
sanza indugio alcun si coricaro.
66
Come
Criseida Troiolo in braccio ebbe,
così
gioiosa cominciò a dire:
–
Qual donna fu o mai esser potrebbe,
la
qual potesse tanto ben sentire
quant'io
fo ora? Deh, chi sen terrebbe
di
non volere a mano a man morire
se
altro non potesse, per avere
un
poco sol di così gran piacere? –
67
Poi
cominciava: – Dolce l'amor mio,
lo
non so che mi dir, né mai potrei
dir
la dolcezza e 'l focoso disio
che
m'hai nel petto messo, ov'io vorrei
averti
tutto sempre sì com'io
v'ho
l'immagine tua, né chiederei
a
Giove più, se questo mi facesse,
che
sì com'ora sempre ti tenesse.
68
Io
non mi credo ch'el possa giammai
questo
foco allenar, com'io credea
che
el facesse, poi che 'nsieme assai
fossimo
stati, ma ben non vedea:
l'acqua
del fabbro su gittata ci hai
sì
che egli arde più che non facea,
perché
mai non t'amai quant ora t'amo,
e
giorno e notte ti disio e bramo. –
69
Troiolo
a lei diceva il simigliante,
tenendosi
amenduni in braccio stretti,
e
motteggiando usavan tutte quante
quelle
parole ch'a cotai diletti
si
soglion dir tra l'uno e l'altro amante,
basciandosi
le bocche, gli occhi e' petti,
rendendo
l'uno all'altro le salute
che
scrivendosi insieme eran taciute.
70
Ma
il nemico giorno s'appressava,
come
per segno si sentiva aperto,
il
qual ciascun cruccioso biastemiava,
parendo
lor che el si fosse offerto
più
tosto assai ch'offrirsi non usava;
il
che doleva a ciascun per lo certo,
ma
poi che più non si poteva allora,
ciascun
su si levò sanza dimora.
71
E
l'un dall'altro fece dipartenza
al
modo usato, dopo più sospiri,
e
nel futuro ordinaron che senza
indugio
si tornasse a quei disiri,
sì
che potesser con la lor presenza
rattemperar
gli amorosi martiri,
ed
operar la lieta gioventute,
mentre
durasse, in sì fatta salute.
Scrive
l'autore che Troiolo per amore cantava e qual era la sua vita e di ché di
dilettava.
72
Era
contento Troiolo, ed in canti
menava
la sua vita e 'n allegrezza;
l'alte
bellezze ed i vaghi sembianti
di
qualunque altra donna nulla prezza,
fuor
che la sua Criseida, e tutti quanti
gli
altri uomin vivere in trista gramezza,
a
respetto di sé, seco credeva,
tanto
il suo ben gli aggradava e piaceva.
73
Esso
talvolta Pandaro pigliava
per
mano, e 'n un giardin con lui ne gia,
e
con el pria di Criseida parlava,
del
suo valore e della cortesia,
poi
lietamente con lui cominciava,
rimoto
tutto da malinconia,
dolcemente
a cantare in cotal guisa,
qual
qui sanz'alcun mezzo si divisa:
74
–
O luce etterna, il cui lieto splendore
fa
bello il terzo ciel dal qual ne piove
piacer,
vaghezza, pietate ed amore,
del
sole amica, e figliuola di Giove,
benigna
donna d'ogni gentil core,
certa
cagion del valor che mi move
a'
sospir dolci della mia salute,
sempre
lodata sia la tua virtute.
75
Il
ciel, la terra ed il mare e lo 'nferno,
ciascuno
in sé la tua potenza sente,
o
chiara luce, e s'io il ver discerno,
le
piante, i semi e l'erbe parimente,
gli
uccei, le fiere e' pesci, con etterno
vapor
ti senton nel tempo piacente,
e
gli uomini e gl'iddii; né creatura
sanza
di te nel mondo vale o dura.
76
Tu
Giove prima agli alti effetti lieto,
pe'
quai vivono e son tutte le cose,
movesti,
bella dea, e mansueto
sovente
il rendi all'opere noiose
di
noi mortali, il meritato fleto
in
liete feste volgi e dilettose,
e
'n mille forme già quaggiù 'l mandasti,
quand'ora
d'una ed or d'altra il piagasti.
77
Tu
'l fiero Marte al tuo piacer benegno
ed
umil rendi, e cacci ciascuna ira;
tu
discacci viltà e d'alto sdegno
riempi
chi per te, dea, sospira;
tu
d'alta signoria merito e degno
fai
ciaschedun, secondo ch'el disira;
tu
fai cortese ognuno e costumato
che
del tuo foco alquanto è infiammato.
78
Tu
'n unità le case e le cittadi,
li
regni e le province e 'l mondo tutto
tien',
bella dea; tu dell'amistadi
se'
cagion certa e del lor caro frutto;
tu
sola le nascose qualitadi
delle
cose conosci, onde il costrutto
vi
metti tal, che fai maravigliare
chi
tua potenza non sa ragguardare.
79
Tu
legge, o dea, poni all'universo,
per
la quale esso in esser si mantiene;
né
è alcuno al tuo figliuolo avverso
che
non sen penta, se d'esser sostiene;
ed
io che già con ragionar perverso
gli
fui, agual, sì come si conviene,
mi
riconosco innamorato tanto,
che
espriemer giammai non potrei quanto.
80
Il
che avvegna che alcun riprenda,
poco
men curo, ch'el non sa che dirsi
Ercole
forte in questo mi difenda,
che
da Amore non poté schermirsi,
avvegna
ch'ogni savio il ne commenda.
E
chi con frode non vuol ricoprirsi,
non
dirà mai ch'a me sia disdicevole
ciò
ch'ad Ercole fu già convenevole.
81
Adunque
io amo, ed intra i grandi effetti
tuoi,
quest'un molto mi piace e aggrada;
questo
seguisco, in cui tutti i diletti
son,
se diritto l'anima mia bada
più
che in altro compiuti e perfetti;
anzi
da questo ogn'altro si digrada,
questo
mi fa seguitar quella donna,
che
di valore più d'altro s'indonna.
82
Questo
m'induce aguale a rallegrarmi,
e
farà sempre, sol che io sia saggio;
questo
m'induce, dea, tanto a lodarmi
del
tuo lucente e virtuoso raggio,
per
lo qual benedico ch'alcune armi
non
mi difeser dal chiaro visaggio,
nel
qual la tua virtù vidi dipinta,
e
la potenza lucida e distinta.
83
E
benedico il tempo, l'anno e 'l mese,
il
giorno, l'ora e 'l punto che costei onesta,
bella,
leggiadra e cortese,
primieramente
apparve agli occhi miei;
benedico
figliuolto che m'accese
del
suo valor per la virtù di lei,
e
che m'ha fatto a lei servo verace,
negli
occhi suoi ponendo la mia pace.
84
E
benedico i ferventi sospiri
ch'io
ho per lei cacciati già del petto,
e
benedico i pianti e li martiri
che
fatti m'ha avere amor perfetto,
e
benedico i focosi disiri
tratti
del suo più bel che altro aspetto,
perciocché
prezzo di sì alta cosa
istati
sono, e tanto graziosa.
85
Ma
sopra tutti benedico Iddio
che
tanto cara donna diede al mondo,
e
che tanto di lume ancor nel mio
discerner
pose in questo basso fondo,
che
'n lei innanzi ogni altro il gran disio
io
accendessi, e fossine giocondo.
A
che grazie giammai non si porieno
render
per uom, quai render si dovrieno.
86
Se
cento lingue, e ciascuna parlante,
nella
mia bocca fossero, e 'l sapere
nel
petto avessi d'ogni poetante,
espriemer
non potrei le virtù vere,
l'alta
piacevolezza e l'abbondante
sua
cortesia; chi n'ha dunque potere,
priego
divoto che lei lungamente
mi
presti e me ne facci conoscente;
87
che
se' tu dessa, dea, che far lo puoi,
sol
che tu vogli, ed io ten priego molto.
Chi
più felice si potrà dir poi,
se
'l tempo che con meco esser dee volto,
tutto
disponi a' piacer miei e suoi?
Deh,
fallo, dea, poi ch'io mi son raccolto
nelle
tue braccia, donde uscito m'era,
non
ben sapendo la tua virtù vera.
88
Segua
chi vuole i regni e le ricchezze,
l'arme,
i cavai, le selve, i can, gli uccelli,
di
Pallade gli studi, e le prodezze
di
Marte, ch'io in mirar gli occhi belli
della
mia donna e le vere bellezze,
il
tempo vo' por tutto, ché son quelli
che
sopra Giove mi pongon, qualora
gli
miro, tanto il cor se ne innamora.
89
Io
non ho grazie quai si converrieno
a
te da me, o bella luce etterna;
però
prima tacer che non appieno
renderle
vommi; tu, chiara lucerna,
al
disidero mio non venir meno,
prolunga,
cela, correggi e governa
il
mio ardore e quel di questa a cui
son
dato, e fa ch'io non sia mai d'altrui. –
90
Nell'opere
opportune alla lor guerra
egli
era sempre nell'armi il primiero;
ché
sopra i Greci uscia fuor della terra,
tanto
animoso e sì forte e sì fiero,
che
ciascun ne dottava, se non erra
la
storia, e questo spirto tanto altiero
più
che l'usato gli prestava Amore,
di
cui egli era fedel servidore.
91
Ne'
tempi delle triegue egli uccellava,
falcon,
gerfalchi ed aquile tenendo,
e
tal fiata con li can cacciava,
orsi,
cinghiari e gran lion seguendo,
li
piccioli animal tutti spregiava;
ed
a' suoi tempi Criseida vedendo,
si
rifaceva grazioso e bello,
come
falcon ch'uscisse di cappello.
92
Era
d'amor tutto il suo ragionare,
o
di costumi, e pien di cortesia,
lodava
molto i valenti onorare,
e
simile i cattivi cacciar via;
piaceagli
ancora di vedere ornare
li
giovani d'onesta leggiadria,
e
tenea sanza amore ognl uom perduto,
di
che che stato el si fosse suto.
93
Ed
avvegna ch'el fosse di reale
sangue,
e volendo ancor molto potesse,
benigno
si faceva a tutti eguale,
come
ch'alcun talvolta nol valesse.
Così
voleva Amor che tutto vale,
che
el per compiacere altrui il facesse;
superbia,
invidia e avarizia in ira
aveva,
e ciò ch'ognun dietro si tira.
94
Ma
poco tempo durò cotal bene,
mercé
della Fortuna invidiosa,
che
'n questo mondo nulla fermo tene:
ella
gli volse la faccia crucciosa
per
nuovo caso, sì com'egli avviene
e
sottosopra volgendo ogni cosa,
Criseida
gli tolse e' dolci frutti,
e'
lieti amor rivolse in tristi lutti.
PARTE
QUARTA
Qui
comincia la quarta parte del Filostrato nella quale si mostra primamente perché
avvenisse che Criseida fosse renduta al padre; Calcàs domanda uno scambio di
prigioni e gli è conceduto Antenore; richiedesi Criseida; diliberasi di
renderla; Troiolo si duole primieramente seco, appresso con Pandaro ragionano
varie cose per consolazione di Troiolo; perviene la fama a Criseida della sua
futura partita; visitanla donne, le quali partite, Criseida piange; Pandaro
ordina con lei che Troiolo vi vada la sera; egli va; ella tramortisce; Troiolo
si vuole uccidere, ella si risente; vannosi a letto, piangono e ragionano varie
cose; ultimamente Criseida promette di tornare al decimo giorno; Troiolo si
parte.
E
primieramente combattono i Troiani dove molti ne sono presi e morti da' Greci.
1
Tenendo
i Greci la cittade stretta
con
forte assedio, Ettòr, nelle cui mani
era
tutta la guerra, fé seletta
de'
suoi amici e ancora de' Troiani,
e
valoroso con sua gente eletta
incontro
a' Greci uscì ne' campi piani
come
più altre volte fatto avea,
con
vari accidenti alla mislea.
2
Vennergli
i Greci incontro, e con battaglia
dura
quel giorno consumaron tutto;
ma
de' Troiani alfine la puntaglia
non
resse bene, onde opportuno al tutto
fu
il fuggir con danno e con travaglia,
e
molti ne moriro in doglia e lutto,
ed
assai ve ne furon per prigioni,
nobili
re ed altri gran baroni.
3
Tra
li quai fu 'l magnifico Antenore,
Polidamàs,
suo figlio, e Menesteo,
Santippo,
Sarpidon, Polinestore,
Polite
ancora ed il troian Rifeo,
e
molti più cui la virtù d'Ettore,
nel
partirsi, riscuoter non poteo;
sì
che gran pianto e cruccio fu in Troia,
e
quasi annunzio di vie piggior noia.
4
Chiese
Priamo triegua e fugli data,
e
cominciossi a trattare in fra loro
di
permutar prigioni quella fiata,
e
per li sopra più di donare oro.
Il
che Calcàs sentendo, con cambiata
faccia
si mise e con pianto sonoro
infra
li Greci, e per lo gridar fioco
pure
impetrò che l'udissero un poco.
Orazion
di Calcàs a' Greci, nella quale spiega loro i suoi meriti e poi domanda alcuna
prigione per cui riabbia Criseida.
5
–
Signor miei – cominciò Calcàs –
io
fui troian, sì come voi tutti sapete,
e
se ben vi ricorda, io son colui
il
qual primiero a quel per che ci sete
recai
speranza, e dissivi che vui
a
termine dovuto l'otterrete,
cioè
vittoria della vostra impresa,
e
Troia fìa per voi disfatta e 'ncesa.
6
L'ordine
e 'l modo ancora da tenere
in
ciò sapete, ch'io v'ho dimostrato;
e
perché tutte venissero intere
le
voglie vostre nel tempo spiegato,
sanza
fidarmi in alcun messaggiere,
o
in libello aperto o suggellato,
a
voi, com egli appar, ne son venuto
per
darvi in ciò e consiglio ed aiuto.
7
Il
che volendo far, fu opportuno
che
con ingegno e molto occultamente,
sanza
ciò fare assentire a nessuno,
io
mi partissi, e fello, di presente
che
'l chiaro giorno fu tornato bruno,
me
n'uscii fuori, e qui tacitamente
ne
venni, e nulla meco ne recai,
ma
ciò ch'aveva tutto vi lasciai.
8
Di
ciò nel ver poco o nulla mi curo,
fuor
d'una mia figliuola giovinetta
ch'io
vi lasciai; oh me, padre duro
e
rigido ch'io fui, costei soletta
menata
n'avess'io qui nel sicuro!
Ma
nol sofferse la tema e la fretta:
questo
mi duol di ciò ch'io lasciai 'n Troia,
questo
mi toglie ed allegrezza e gioia.
9
Né
tempo ancor di richieder poterla
veduto
ci ho, però taciuto sono,
ma
ora è tempo di potere averla,
se
da voi posso impetrar questo dono;
e
s'or non s'ha, giammai di rivederla
più
non ispererò, e 'n abbandono
la
vita mia omai lascerò gire,
sanza
curar più 'l viver che 'l morire.
10
Qui
son con voi di nobili baroni
troiani,
ed altri assai, cui voi cambiate
con
gli avversarii pe' vostri prigioni;
un
sol de' molti a me me ne donate,
in
luogo delle cui redenzioni
io
riabbia mia figlia: consolate,
per
Dio, signor, questo vecchio cattivo,
che
d'ogni altro sollazzo è voto e privo.
11
Né
d'aver or per li prigion vaghezza
vi
tragga, ch'io vi giuro per Iddio,
ch'ogni
troiana forza, ogni ricchezza
è
nelle vostre man per certo; e s'io
non
me ne inganno, tosto la prodezza
fallerà
di colui che al disio
di
tutti voi tien serrate le porte,
come
apparrà per violenta morte. –
Fu
conceduto Antenore a Calcàs, e in presenza di Troiolo domandata Criseida, e
diliberato ch'ella si rendesse.
12
Questo
dicendo il vecchio sacerdote,
umile
nel parlare e nell'aspetto,
sempre
rigava di pianto le gote,
e
la canuta barba e 'l duro petto
tutto
bagnato avea; né furon vote
le
sue preghiere di pietoso effetto;
ché,
lui tacendo, i Greci con romore
tutti
gridaron: – Diaglisi Antenore. –
13
Così
fu fatto, e Calcàs fu contento,
e
la bisogna impose a' trattatori,
li
quali al re Priamo il suo talento
dissero,
ed a' figliuoli ed a' signori
ch'ancora
v'erano, onde un parlamento
di
ciò si tenne, ed agli ambasciatori
risposer
brieve se gli addomandati
rendesser
loro, i lor fosser donati.
14
Troiolo
al domandare era presente
che
fero i Greci, e Criseida udendo
richieder,
dentro al cor subitamente
per
tutto si sentì ir trafiggendo
e
d'una doglia sì acutamente,
che
morir si credette ivi sedendo;
ma
con fatica pur dentro ritenne
l'amore
e 'l pianto, come si convenne.
15
E
pien d'angoscia e di fiera paura,
quel
che fosse risposto ad aspettare
incominciò,
con non usata cura
seco
volvendo quel ch'avesse a fare,
se
tanta fosse la sua isciagura
che
tra' fratei sentisse dilibrare
che
a Calcàs Criseida si rendesse,
come
sturbarlo del tutto potesse.
16
Amore
il facea pronto ad ogni cosa
doversi
opporre, ma d'altra parte era
ragion
che 'l contrastava, e che dubbiosa
faceva
molto quella impresa altiera,
non
forse di ciò fosse corrucciosa
Criseida
per vergogna: e 'n tal manera,
volendo
e non volendo or questo or quello,
intra
due stava il timido donzello.
17
Mentre
che egli in cotal guisa stava
sospeso,
molte cose ragionate
fur
tra' baron, di quel che bisognava
ora
al presente per le cose state,
e,
com'è detto, a chi quelle aspettava
fur
le risposte interamente date,
e
che fosse Criseida renduta
che
mai non v'era stata sostenuta.
Tramortisce
Troiolo udenlo che Criseida si rendeva, e subitamente si partì dal parlamento.
18
Qual
poscia ch'è dall'aratro intaccato
ne'
campi il giglio, per soverchio sole
casca
ed appassa, e 'l bel color cangiato
pallido
fassi, tale alle parole
rendute
a' Greci del diterminato
consiglio
infra' Troiani, 'n tanta mole
di
danno e di periglio, tramortito
lì
cadde Troiol d'alto duol ferito.
19
Il
qual Priamo prese infra le braccia,
ed
Ettore e' fratei, temendo forte
dell'accidente,
e ciascun si procaccia
di
confortarlo, e le sue forze morte
ora
i polsi fregando ed or la faccia
bagnandogli
sovente, come accorte
persone,
s'ingegnavan rivocare,
ma
poco ancor valeva l'adoprare.
20
Esso
giacea fra' suoi disteso e vinto
ed
un poco di spirto ancor avea,
e
'l viso suo pallido e smorto e tinto
era
tututto, e più morta parea
che
viva cosa, di pietà dipinto
in
guisa tal, ch'ognun pianger facea;
sì
grieve fu l'alto tuon che l'offese,
quando
di render Criseida intese.
21
Ma
poi che la sua anima dolente,
per
lungo spazio, pria che ritornasse,
vagata
fu, ritornò chetamente;
ond'esso,
quale alcun che si svegliasse
stordito
tutto, in piè subitamente
si
levò su, e pria che 'l domandasse
alcun
che fosse ciò ch'avea sentito,
altro
fingendo, da lor s'è partito.
22
E
verso il suo palagio se ne gio,
sanza
ascoltare o volgersi ad alcuno,
e
tal qual era sospiroso e pio,
sanza
voler compagnia di nessuno,
nella
camera ginne, e che disio
di
riposarsi avea, disse; onde ognuno,
amico
e servitor quantunque caro,
n'uscì,
ma pria le finestre serraro.
L'autore
che della sua donna suole l'aiuto chiamare, qui il rfiiuta dicendo come dolente
sanz'esso sapere gli altrui dolori raccontare.
23
A
quel che segue, vaga donna, appresso,
non
curo guari se non se presente,
perciocche
'l mio ingegno da se stesso,
se
la memoria debol non gli mente,
saprà
'l grave dolor, dal quale oppresso
per
la partenza tua tristo si sente,
ben
raccontar sanza alcun tuo soccorso,
che
se' cagion di sl amaro morso.
24
Io
ho infino a qui lieto cantato
il
ben che Troiol sentì per amore,
come
che di sospir fosse mischiato;
or
di letizia volgere in dolore
convienmi;
per che, se da te 'scoltato
non
son, non curo, che a forza il core
ti
cangerà, faccendoti pietosa
della
mia vita più ch'altra dogliosa.
25
Ma
se pur viene a' tuoi orecchi mai,
priegoti,
per l'amore il qual ti porto,
che
abbi alcun rispetto alli miei guai,
e
ritornando mi rendi il conforto
il
qual col tuo partir levato m'hai:
e
se discaro t'è trovarmi morto,
ritorna
tosto, ché poca è la vita,
la
qual lasciata m'ha la tua partita.
Discrive
l'autore i pianti l'angosce e' ramarichii di Troiolo per la futura partita di
Criseida.
26
Rimaso
adunque Troiolo soletto
nella
camera sua serrata e scura,
e
sanza aver di nessun uom sospetto,
o
di potere udito esser paura,
il
raccolto dolor nel tristo petto
per
la venuta subita sventura
cominciò
ad aprire in tal maniera,
ch'uom
non parea, ma arrabbiata fera.
27
Né
altrimenti il toro va saltando
or
qua or là, da poi c'ha ricevuto
il
mortal colpo, e misero mugghiando
conoscer
fa qual duolo ha conceputo,
che
Troiolo facesse, nabissando
se
stesso, e percotendo dissoluto
il
capo al muro e con le man la faccia,
con
pugni il petto e le dolenti braccia.
28
Li
miseri occhi per pietà del core
forte
piangean, e parean due fontane
ch'acqua
gittassero abbondevol fore;
gli
alti singhiozzi del pianto alle vane
parole
ancor toglievano il valore,
le
quali ancor delle passate strane
null'altro
fuor che morte gian chiededendo,
gl'iddii
e sé biastemmiando e schernendo.
29
Ma
poi che la gran furia diede loco,
e
per lunghezza temperossi il pianto,
Troiolo
acceso nel dolente foco,
sopra
il suo letto si gittò alquanto,
non
ristando però molto né poco
di
pianger forte e di sospirar tanto,
che
'l capo e 'l petto appena gli bastava
a
tanta noia quanta si donava.
30
Poi
poco appresso cominciò a dire
seco
nel pianto: – O misera Fortuna,
che
t'ho io fatto, ch'ad ogni disire
mio
sì t'oppon? Non hai tu più alcuna
altra
faccenda fuor che 'l mio languire?
Perché
sì tosto hai voltata la bruna
faccia
ver me, che già t'amava assai
più
ch'altro iddio, come tu crudel sai?
31
Se
la mia vita lieta e graziosa
ti
dispiacea, perché non abbattevi
tu
la superbia d'Ilion pomposa?
Perché
il padre mio non mi toglievi?
ché
non Ettòr, nel cui valor si posa
ogni
speranza in questi tempi grievi?
Perché
non ten portavi Polissena?
Deh,
perché non Parìs con tutta Elena?
32
Se
a me fosse Criseida sola
rimasa,
di niuno altro gran danno
non
curerei, né ne farei parola,
ma
li tuoi strai dirittamente vanno
sempre
alle cose donde s'ha più gola:
per
mostrar più la forza del tuo 'nganno,
tu
te ne porti tutto il mio conforto:
deh,
ora avessi tu 'nnanzi me morto!
33
Oh
me, Amor, signor dolce e piacente,
il
qual sai ciò che nell'anima giace,
come
farà la mia vita dolente,
s'io
perdo questo ben, questa mia pace?
Oh
me, Amor soave che la mente
mi
consolasti già, signor verace,
che
farò io se m'è tolta costei,
a
cui per tuo voler tutto mi diei?
34
Io
piangerò e sempre doloroso
starò
dove ch'io sia, mentre la vita
mi
durerà 'n questo corpo angoscioso!
O
anima tapina ed ismarrita,
ché
non ti fuggi dal più sventuroso
corpo
che viva? O anima invilita,
esci
del core e Criseida segui.
Perché
nol fai? Perché non ti dilegui?
35
O
dolenti occhi il cui conforto tutto
di
Criseida nostra era nel viso,
che
farete? Oramai in tristo lutto
sempre
starete, poi da voi diviso
sarà,
e 'l valor vostro fia distrutto
dal
vostro lagrimar vinto e conquiso.
Invano
omai vedrete altra virtute,
se
el v'è tolta la vostra salute.
36
O
Criseida mia, o dolce bene
dell'anima
dolente che ti chiama,
chi
darà più conforto alle mie pene?
Chi
porrà 'n pace l'amorosa brama?
Se
tu ten vai, oh me, morir convene
a
colui, lasso, che più che sé t'ama;
ed
io morrò sanza averlo mertato,
de'
dispietati iddii sia il peccato.
37
Deh,
or si fosse questo tuo partire
tanto
indugiato ch'apparato avessi
per
lunga usanza, lasso, il sofferire!
Io
non vo' dir che io non mopponessi,
a
mio potere, a non lasciarti gire,
ma
se pur ciò addivenir vedessi,
per
lunga usanza mi parrla soave
la
tua partenza ch'or mi par sì grave.
38
O
vecchio malvissuto, o vecchio insano,
qual
fantasia ti mosse, quale sdegno,
a
gire a' Greci, essendo tu troiano?
Era
onorato in tutto il nostro regno
più
di te nullo regnicola o strano?
O
iniquo consiglio, o petto pregno
di
tradimenti, d'inganni e di noia,
or
t'avess'io qual io vorrei in Troia!
39
Or
fostù morto il dì che tu ci uscisti,
or
fostù morto a piè de' Greci allora
che
tu la bocca primamente apristi
a
richieder colei che m'innamora!
Oh
quanto al mondo mal per me venisti!
Tu
se' cagion del dolor che m'accora;
la
lancia che passò Protesilao
t'avesse
nel cor fitta Menelao!
40
S'
tu fossi morto i' viverei per certo
ché
chi cercar Criseida non sarebbe;
s'
tu fossi morto i' non sarei diserto,
da
me Criseida non si partirebbe;
s'
tu fossi morto, i veggio assai aperto,
quel
che mi duole agual non mi dorrebbe.
Vunque
la vita tua è di mia morte
trista
cagione, e di dogliosa sorte. –
Addormentasi
Troiolo; poi fa chiamare Pandaro e insieme si dolgono e molte cose ragionano
per la salute di Troiolo.
41
Mille
sospiri più che fuoco ardenti
uscivan
fuor dell'amoroso petto,
misti
con pianto e con detti dolenti,
sanza
dar l'una all'altro alcun rispetto;
e
sì vinto l'avien questi lamenti,
che
più non potea oltre il giovinetto,
ond'el
s'addormentò; ma non dormio
guari
di tempo che si risentio.
42
E
sospirando, in piè si fu levato,
ginne
alla porta che serrata avea,
e
quella aperse, e ad un suo privato
valletto
disse: – Fa che tu non stea:
subitamente
Pandaro chiamato,
fa
ch'a me vegna. – E quindi si togliea
al
buio della camera, doglioso,
pien
di pensieri e tutto sonnacchioso.
43
Pandaro
venne, e già avea sentito
ciò
che chiedean li Greci ambasciatori,
e
come aveano ancora per partito
preso
di render Criseida i signori;
di
che nel viso tutto sbigottito,
di
Troiol seco pensando i dolori,
nella
camera entrò oscura e cheta,
né
sa che dir parola o trista o lieta.
44
Troiolo,
tosto che veduto l'ebbe,
gli
corse al collo sì forte piangendo,
che
bene raccontarlo uom non potrebbe.
Il
che 'l dolente Pandaro sentendo,
a
pianger cominciò, sì gliene 'ncrebbe,
e
'n cotal guisa, null'altro faccendo
che
pianger forte, dimoraro alquanto,
sanza
parlar nessuno o tanto o quanto.
45
Ma
poi che Troiolo ebbe presa lena,
pria
cominciò: – O Pandaro i' son morto,
la
mia letizia s'è voltata in pena,
misero
me, e 'l mio dolce conforto.
Fortuna
insidiosa se ne 'l mena,
e
con lui 'nsieme il sollazzo e 'l diporto.
Hai
tu sentito ancor come ne sia
da'
Greci tolta Criseida mia? –
46
Pandaro,
il qual non men forte piangea,
rispose:
– Sì, così non fosse 'l vero!
oimè
lasso, ch'io non mi credea
che
questo tempo sì dolce e sincero
mancasse
così tosto, né potea
meco
vedere ch'al tuo bene intero
potesse
nuocer fuor che palesarsi;
or
veggio i nostri avvisi tutti scarsi.
47
Ma
tu perché tanta angoscia ti dai?
Perché
tanto dolor e tal tormento?
Ciò
che disideravi avuto l'hai,
esser
dovresti sol di ciò contento;
lasciagli
a me e questi e gli altri guai,
c'ho
sempre amato, e mai un guatamento
non
ebbi da colei che mi disface,
e
che potrebbe sola darmi pace.
48
Ed
oltre a ciò, questa città si vede
piena
di belle donne e graziose,
e,
se 'l ben ch'io ti vo' merita fede,
nulla
ce n'è, quai vuoi le più vezzose,
ch'a
grado non le sia aver mercede
di
te, se tu per lei in amorose
pene
entrerai; però se noi perdemo
costei,
molte altre ne ritroveremo.
49
E
come io udii già sovente dire,
il
nuovo amor sempre caccia l'antico,
nuovo
piacere il presente martire
torrà
da te, se tu fai ciò ch'io dico.
Dunque
non vuogli per costei morire,
né
vuogli di te stesso esser nemico;
cre'
tu per pianto forse riaverla,
o
ch'ella non sen vada ritenerla? –
50
Troiolo,
udendo Pandaro, più forte
a
pianger cominciò, dicendo appresso:
–
Io priego Iddio che mi mandi la morte
prima
che io commetta un tale eccesso;
come
che belle, leggiadre ed accorte
sian
l'altre donne, ed io il ti confesso,
nulla
cen fu mai simile a costei
a
cui son dato, e tutto son di lei.
51
Da'
suoi begli occhi mosser le faville
che
del foco amoroso m'infiammaro;
queste
pe' miei passando a mille a mille,
soavemente
amor seco menaro
dentro
dal cor, nel quale esso sortille
come
gli piacque, e quivi incominciaro
primiere
il foco, il cui sommo fervore
cagione
è stato d'ogni mio valore.
52
Il
qual perch'io volessi, che non voglio,
spegner
non potrei mai, tant è possente,
e
se più fosse ancor non me ne doglio,
stesse
Criseida nosco solamente;
del
cui partir, non dell'amor, cordoglio
l'anima
innamorata dentro sente;
né
altra c'è, non dispiaccia a nessuna
ch'agguagliar
le si possa in cosa alcuna.
53
Dunque
come potrebbe Amor giammai,
o
d'alcuno i conforti, il mio disio
volgere
ad altra donna? I' ho assai
a
sostener d'angoscia nel cor mio,
ma
troppo piu fino agli stremi guai
ve
ne riceverei, prima che io
in
altra donna l'animo ponessi;
Amore
e Dio e 'l mondo questo cessi.
54
E
la morte e 'l sepolcro dipartire
questo
mio fermo amor soli potranno,
che
che di ciò mi si deggia seguire;
questi
con lui la mia alma merranno
giù
nello 'nferno all'ultimo martire;
quivi
insieme Criseida piangeranno,
di
cui sempre sarò dove ch'io sia,
se,
per morire, amor non se n'oblia.
55
Dunque,
per Dio, il ragionar di questo,
Pandaro,
cessa, ch'altra donna vegna
nel
cor, dov'io in suo abito onesto
Criseida
tegno come certa insegna
de'
miei piacer, quantunque ora molesto
sia
alla mente, ch'al suo mal s'ingegna,
il
suo partir del qual fra noi si parla,
ch'ancor
di quinci non veggiam mutarla.
56
Ma
tu favelli divisatamente,
quasi
ragioni che men pena sia
il
perder che il non aver niente
avuto
mai; ell'è chiara follia,
Pandaro,
sieti questo nella mente:
ch'ogni
dolor trapassa quel che ria
fortuna
adduce a chi stato è felice,
e
partesi dal ver chi altro dice.
57
Ma
dimmi, se del mio amor ti cale,
poscia
che el ti par così leggero
il
permutare amore come aguale
mi
ragionavi, tu perché sentiero
non
hai mutato, poi che tanto male
di
te si porta il tuo amor severo?
perché
non hai altra donna seguita,
ch'avesse
in pace posta la tua vita?
58
Se
tu che viver suoi d'amor cruccioso,
non
l'hai in altro potuto mutare,
io,
che con lui vivea lieto e gioioso,
come
'l potrò da me così cacciare,
come
ragioni, perché angoscioso
caso
subitamente soprastare
ora
mi veggia? Io son per altra guisa
preso,
che la tua mente non divisa.
59
Credimi,
Pandar, credimi ch'amore
quando
s'apprende per sommo piacere
nell'anima
d'alcun, cacciarnel fore
non
si può mai, ma puonne ben cadere
in
processo di tempo, se dolore,
o
morte, o povertà, o non vedere
la
cosa amata ne gli son cagione,
com'egli
avvenne già a più persone.
60
Che
farò dunque, lasso sventurato
s'io
Criseida perdo in tal maniera
che
l'ho perduta? Perciocché cambiato
a
lei è Antenore. Oh me, ch'el m'era
la
morte meglio, o non esser mai nato!
Deh,
che farò? Il mio cor si dispera,
deh,
morte, vieni a me che t'addomando,
deh,
vien, non mi lasciar languire amando.
61
Morte,
tu mi sarai tanto soave,
quant'è
la vita a chi lieta la mena:
già
l'orrido tuo aspetto non m'è grave,
dunque
vieni e finisci la mia pena;
deh,
non tardar, ché questo foco m'have
incesa
già sì ciascheduna vena,
che
rifrigero il tuo colpo mi fia;
deh,
vieni omai che 'l cor pur te disia.
62
Uccidimi,
per Dio, non consentire
ch'io
viva tanto in questo mondo, ch'io
il
cuor del corpo mi veggia partire:
deh,
fallo, morte, i' ten priego per Dio,
ch'assai
mi dorrà quel più che 'l morire:
contenta
in questa parte il mio disio;
tu
n'uccidi ben tanti oltre al volere,
che
ben puoi fare a me questo piacere. –
63
Così
piangendo si rammaricava
Troiolo,
e Pandar piangea similmente,
e
nondimen sovente il confortava
quanto
poteva il più pietosamente;
ma
tal conforto niente non giovava,
anzi
cresceva continuamente
il
pianto doloroso ed il tormento,
tant'era
di cotal cosa scontento.
64
A
cui Pandaro disse: – Amico caro,
se
non t'aggradan gli argomenti miei,
ed
ètti tanto quanto par discaro
il
dipartir futuro di costei,
perché
non prendi, in quel che puoi, riparo
alla
tua vita, e va rapisci lei?
Paris
andò in Grecia e menonne
Elena,
il fior di tutte l'altre donne,
65
e
tu in Troia tua non ardirai
di
rapire una donna che ti piaccia?
Tu
farai questo se me crederai;
caccia
via il dolor, caccial via, caccia
l'angoscia
tua e li dolenti guai,
rasciuga
il tristo pianto della faccia,
e
l'animo tuo grande ora dimostra
oprando
sì che Criseida sia nostra. –
66
Troiolo
allora a Pandaro rispose:
–
Ben veggio, amico, ch'ogni ingegno poni
per
levar via le mie pene angosciose;
io
ho pensato ciò che tu ragioni,
e
divisate ancor molte altre cose,
come
ch'io pianga e tutto m'abbandoni
nel
dolore ch'avanza ogni mia possa,
sì
grieve è stata la sua gran percossa.
67
Né
m'ha però da consiglio dovuto
potuto
tor nel mio fervente amore,
anzi
pensando ho con meco veduto
che
'l tempo non concede tale errore.
Se
ciaschedun de' nostri rivenuto
quiritto
fosse, ed ancora Antenore,
di
romper fede i' non mi curerei,
fosse
ciò che potesse, anzi il farei.
68
Poi
temo di turbar con violenta
rapina
il suo onore e la sua fama,
né
so ben s'ella ne fosse contenta,
ed
io pur so che ella molto m'ama;
per
ch'a prender partito non s'attenta
il
cor, che d'una rarte questo brama,
e
d'altra teme di non dispiacere,
ché
non piacendo, non la vorre' avere.
69
Pensato
ancora avea di domandarla
di
grazia al padre mio che la mi desse,
poi
penso questo fora un accusarla
e
far palese le cose commesse,
né
spero ancora ch'el dovesse darla,
sì
per non romper le cose promesse,
sì
perché la direbbe diseguale
a
me, al qual vuol dar donna reale.
70
Così
piangendo, in amorosa erranza
dimoro,
lasso, e non so che mi fare,
perocché
il valor se pure avanza
forte
d'amor, il mio sento mancare,
e
d'ogni parte fugge la speranza,
e
crescon le cagion del tormentare.
Vorrei
io esser morto il giorno ch'io
prima
m'accesi in sì fatto disio. –
71
Pandaro
disse allora: – Tu farai
come
ti piacerà, ma s'io acceso
fossi
come tu mostri essere assai,
quantunque
fosse grave questo peso,
avendo
la potenza che tu hai,
se
non mi fosse per forza difeso,
di
portarla farei il mio potere,
a
cui ch'el si dovesse dispiacere.
72
Non
guarda amor cotanto sottilmente,
quanto
par che tu facci, quando cuoce
ben
da dover la 'nnamorata mente;
il
qual se quanto di' fiero ti nuoce,
seguita
il suo volere, e virilmente
t'opponi
a questo tormento feroce,
e
vogli innanzi esser ripreso alquanto,
che
con martir morire in tristo pianto.
73
Tu
non hai a rapir donna che sia
dal
tuo voler lontana, ma è tale,
che
di ciò che farai, contenta fia,
e
se di ciò seguisse troppo male,
o
biasimo di te, tu hai la via
ti
riuscirne tosto, ch'è cotale:
renderla
indietro. La Fortuna aiuta
chiunque
ardisce e' timidi rifiuta.
74
E
se pur questa cosa a lei gravasse,
in
brieve tempo ne riavrai pace,
ben
ch'io non credo ch'ella sen crucciasse,
tanto
l'amor che le porti le piace.
Della
sua fama, perch'ella mancasse,
a
dirti il ver, men grava e men dispiace:
passisene
ella come fa Elena,
pur
ch'ella faccia la tua voglia piena.
75
Adunque
piglia ardir, sii valoroso,
amor
promessa non cura ne fede;
mostrati
un poco al presente animoso,
abbi
di te medesimo mercede;
io
sarò teco in ciascun periglioso
caso,
cotanto quanto mi concede
il
poter mio. Presumi pur di fare,
gl'iddii
ci avranno poscia ad aiutare. –
76
Troiolo
il detto molto bene intese
di
Pandaro, e rispose: – lo son contento
ma
s'elle fosser mille volte accese
le
fiamme mie, e maggio il mio tormento
che
el non è, alla donna cortese,
per
soddisfarmi, un picciol gravamento
io
non farei, prima vorrei morire;
però
da lei il vo' prima sentire. –
77
–
Dunque leviamci quinci e più non stiamo;
lavati
il viso, e ritorniamo a corte,
e
sotto il riso il dolore occultiamo;
di
nulla ancor si son le genti accorte,
che,
stando qui, maravigliar facciamo
ciascun
che 'l sa; or fa che tu sii forte
in
ben celare, ed io terrò manera
che
con Criseida parlerai stasera. –
Viene
a Criseida la novella della sua partenza, la quale non sanza sua grande noia
molte donne visitano.
78
La
fama velocissima, la quale
il
falso e 'l vero ugualmente rapporta,
era
volata con prestissime ale
per
tutta Troia, e con parola scorta
narrato
aveva chente fosse e quale
l'ambasciata
de' Greci stata porta,
e
che Criseida data dal signore
alli
Greci era in cambio d'Antenore.
79
La
qual novella sì come l'udio
Criseida,
che già non si curava
del
padre più: «Oh me, tristo il cor mio!»
disse
fra sé. E forte le noiava
come
a colei ch'avea volto il disio
a
Troiolo il quale più ch'altro amava.
E
per paura ciò ch'udia contarne
non
fosse ver, non ardia dimandarne.
80
Ma
come noi veggiamo ch'egli avviene,
che
l'una donna l'altra a visitare
ne'
casi nuovi va se le vuol bene,
così
sen venner molte a dimorare
con
Criseida il giorno, tutte piene
di
pietosa allegrezza, ed a contare
le
cominciaron per ordine il fatto,
com'ella
era renduta, e con che patto.
81
Diceva
l'una: – Certo assai mi piace
che
tu torni al tuo padre e sii con lui. –
L'altra
diceva: – E a me, ma mi spiace
vederla
dipartir quinci da nui. –
L'altra
diceva: – Ella potrà la pace
nostra
ordinare e far con esso lui,
il
qual sapete, come avemo udito,
che
prender fa qual vuol d'ogni partito. –
82
Questi
e molti altri parlar femminili,
quasi
quivi non fosse, udiva quella
sanza
risponder, tenendoli vili;
né
poteva celar la faccia bella
gli
alti pensier ch'avea d'amor gentili,
venuti
in lei per l'udita novella.
Il
corpo era qui e l'anima era altrove,
cercando
Troiol sanza saper dove.
83
E
queste donne che far le credieno
consolazione
stando, sommamente
parlando
seco assai le dispiacieno,
com'a
colei che sentia nella mente
tutt'altra
passion che non credieno
color
che v'erano, ed assai sovente
donnescamente
accomiatava quelle,
tal
voglia avea di rimaner sanz'elle.
84
Né
potea ritenere alcun sospiro,
e
tal fiata alcuna lagrimetta
cadendo,
dava segno del martiro
nel
qual l'anima sua era costretta;
ma
quelle stolte che le facean giro,
credevan
per pietà la giovinetta
far
ciò, ch'avesse d'abbandonar esse,
le
quali esser solean sue compagnesse.
85
E
ciascuna voleva confortarla
pur
sopra quello ch'a lei non dolea;
parole
assai dicean da consolarla
per
la partenza la qual far dovea
da
lor, né erano altro che grattarla
nelle
calcagne, ove il capo prudea;
ché
elia di lor niente si curava,
ma
di Troiolo solo il qual lasciava.
Partite
le donne, Criseida piange e duolsi della futura partita da Troiolo.
86
Ma
dopo molto cinguettare invano,
come
fanno le più, s'accomiataro
e
girsen via, ed ella a mano a mano
vinta
e sospinta dal dolore amaro,
nella
camera sua piangendo piano
se
n'entrò dentro, e sanza dar riparo
con
consiglio nessuno al suo gran male,
tal
pianger fé che mai non si fé tale.
87
Erasi
la dolente in sul suo letto
stesa
gittata, piangendo sì forte,
che
dir non si poria; e 'l bianco petto
spesso
batteasi, chiamando la morte
che
l'uccidesse, poi che 'l suo diletto
lasciar
le convenia per dura sorte,
e'
biondi crin tirandosi rompea,
e
mille volte ognor morte chiedea.
88
Ella
diceva: – Lassa sventurata,
misera
me dolente, ove vo io?
Oh,
trista me, che 'n mal punto fui nata,
dove
ti lascio, dolce l'amor mio?
Deh,
or foss'io nel nascere affogata,
o
non t'avessi, dolce mio disio,
veduto
mai, poi che sì ria ventura
e
me a te, e te a me or fura.
89
Che
farò io, dogliosa la mia vita,
allor
che più non ti potrò vedere?
Che
farò io da te, Troiol, partita?
Certo
io non credo mai mangiar né bere,
e
se per sé non sen va la smarrita
anima
fuor del corpo, a mio potere
la
caccerò con fame, perch'io veggio
che
sempre omai andrò di male in peggio.
90
Or
vedova sarò io daddovero,
poi
che da te dipartir mi conviene,
cuor
del mio corpo, e 'l vestimento
nero
ver testimonio fia delle mie pene.
Oimè
lassa, che duro pensiero
è
quello in che la partenza mi tiene!
Oh
me, come potrò io sofferire
Troiol,
vedermi da te dipartire
91
Come
potrò io sanza anima stare?
Ella
si rimarrà qui per lo certo
col
nostro amore e teco a lamentare
il
partir doloroso, che per merto
di
tanto buon amor ci convien fare.
Oh
me, Troiol mio, or fia el sofferto
da
te vedermi gir? Ché non t'ingegni,
per
amore o per forza mi ritegni?
92
Io
me n'andrò, né so se fia giammai
ch'io
ti riveggia, dolce mio amore,
ma
tu che tanto m'ami, che farai?
deh,
potrai tu sostenere il dolore?
Io
già nol sosterrò, io so che guai
soverchi
mi faran crepare il core.
Deh,
or fosse pur tosto, perché poscia
io
sarei fuor di questa grave angoscia.
93
O
padre mio, iniquo e disleale
alla
patria tua, sia tristo il punto
che
nel petto ti venne sì gran male
qual
fu volere a' Greci esser congiunto,
e
li Troian lasciar! Nell'infernale
valle
fostù, volesse Dio, defunto,
iniquo
vecchio, che negli ultimi anni
della
tua vita, hai fatti tali inganni!
94
Oimè
lassa, trista e dolorosa,
ch'a
me convien portar la penitenza
del
tuo peccato! Cotanto noiosa
vita
non meritai per mia fallenza.
O
verità del ciel, luce pietosa,
come
sofferi tu cotal sentenza,
ch'un
pecchi ed altro pianga, com'io faccio,
che
non peccai e di dolor mi sfaccio? –
Truova
Pandaro Criseida che piange, colla quale alquanto ragiona e ordina la venuta di
Troiolo.
95
Chi
potrebbe giammai narrare appieno
ciò
che Criseida nel pianto dicea?
Certo
non io, ch'al fatto il dir vien meno,
tant'era
la sua noia cruda e rea.
Ma
mentre tai lamenti si facieno,
Pandaro
venne, a cui non si tenea
uscio
giammai, e 'n camera sen gio
là
dov'ella faceva il pianto rio.
96
El
vide lei 'n sul letto avviluprata
ne'
singhiozzi del pianto e ne' sospiri,
e
'l petto tutto e la faccia bagnata
di
lagrime le vide, e due disiri
di
pianger gli occhi suoi, e scapigliata,
dar
vero segno degli aspri martiri.
La
qual come lui vide, fra le braccia
per
vergogna nascose la sua faccia.
97
–
Crudele il punto – cominciò a dire
Pandar
– fu quel nel qual io mi levai,
che
dovunque oggi vo, doglia sentire,
tormenti,
pianti, angosce ed alti guai,
sospiri,
noia ed amaro languire
mi
par per tutto. O Giove che farai?
Io
credo che del ciel lagrime versi,
tanto
ti son li nostri fatti avversi.
98
E
tu, o sconsolata mia sorella,
che
credi far? Cre' tu cozzar co' fati?
Perché
disfai la tua persona bella
con
pianti sì crudeli e smisurati?
Levati
su e volgiti e favella,
leva
alto il viso, e gli occhi sconsolati
rasciuga
alquanto, ed odi quel ch'io dico
a
te mandato dal tuo dolce amico. –
99
Voltossi
allor Criseida, faccendo
un
pianto tal che dir non si poria,
e
rimirava Pandaro dicendo:
–
Oh lassa me! che vuol l'anima mia
la
qual convienmi abbandonar piangendo,
né
so se mai ch io mel riveggia fia?
Vuol
ei sospiri, o pianti o che domanda?
Io
n'ho assai s'egli per questi manda. –
100
Ell'era
tale a riguardar nel viso
quale
è colei ch'alla fossa è portata,
e
la sua faccia fatta in paradiso,
tututta
si vedeva trasmutata;
la
sua vaghezza e 'l piacevole riso
fuggendosi,
l'aveano abbandonata,
e
ntorno agli occhi un purpureo giro
dava
vero segnal del suo martiro.
101
Il
che vedendo Pandaro, ch'avea
con
Troiol pianto il giorno lungamente,
le
lacrime dolenti non potea
tener,
ma cominciò similemente,
lasciando
star quel che parlar volea,
a
pianger con costei dogliosamente;
ma
poi ch'ebber ciò fatto insieme alquanto
temperò
prima Pandaro il suo pianto.
102
E
disse: – Donna, io credo c'hai udito,
ma
ne son certo, come se' richesta
dal
padre tuo, e preso è il partito
di
renderti dal re; sì che per questa
semmana
ten dei gir, s'ho 'l ver sentito;
e
quanto questo sia cosa molesta
a
Troiolo, appien non si poria dire,
il
qual del tutto in duol ne vuol morire.
103
Ed
abbiam tanto pianto oggi egli ed io,
ch'è
maraviglia donde egli è venuto;
ora
alla fine, pel consiglio mio,
alquanto
s'è di pianger ritenuto,
e
par che d'esser teco abbia disio;
per
ch io a dir, sì come gli è piaciuto,
tel
son venuto, pria che vi partiate
acciò
ch'insieme alquanto vi sfoghiate. –
104
–
Grande è – disse Criseida – il mio dolore,
come
di quella che più di sé l'ama,
ma
il suo m'è di gran lunga maggiore,
udendo
che per me la morte brama;
or
s'aprirà, s'aprir si dee mai core
per
fiera doglia, il mio; ora si sfama
la
nemica Fortuna in sui miei danni,
ora
conosco i suoi occulti inganni.
105
Grave
m'è la partenza, Iddio il vede,
ma
più m'è di veder Troiolo afflitto,
e
incomportabil molto, per mia fede,
tanto
ch'io ne morrò sanza rispitto.
E
morir vo sanza sperar mercede,
poi
che 'l mio Troiol veggio sì trafitto.
Di'
che quan' vuol venir, questo mi fia
sommo
conforto nell'angoscia mia. –
106
E
questo detto, ricadde supina,
poi
'n sulle braccia ricominciò 'l pianto.
A
cui Pandaro disse: – Oh me, meschina,
or
che farai? Non prenderai alquanto
di
conforto, pensando che vicina
sia
l'ora già che quel ch'ami cotanto
ti
sarà 'n braccio? Leva su, racconcia
te,
ch'esso non ti trovi così sconcia.
107
Se
el sapesse che così facessi,
esso
s'uccideria, né il potrebbe
ritenernel
nessuno; e s'io credessi
che
così stessi, el non ci metterebbe,
credimi,
il piè, se io far lo potessi,
ch'io
so che vita ne gli seguirebbe.
Però
levati su, rifatti tale
che
tu alleggi e non creschi il suo male. –
108
–
Va – Criseida disse – io t'imprometto,
Pandaro
mio, ch'io me ne sforzeraggio.
Come
partito ti sarai, dal letto
sanza
indugio niun mi leveraggio,
ed
il mio male e 'l perduto diletto
tutto
nel cor serrato mi terraggio.
Fa
pur ch'el vegna e vegna al modo usato,
che
troverà qual suol l'uscio appoggiato. –
Riconforta
Pandaro altra volta Troiolo, e dicegli che la sera seguente vada a Criseida ed
egli il fa.
109
Ritrovò
Pandar Troiolo pensoso,
e
sì forte nel viso sbigottito,
che
per pietà ne divenne doglioso,
ver
lui dicendo: – Or se' tu sì 'nvilito
come
tu mostri, giovin valoroso?
Ancor
non s'è da te 'l tuo ben partito;
perché
ancor cotanto ti sconforti
che
gli occhi in testa ti paion già morti?
110
Tu
se' vivuto assai sanza costei,
non
ti da 'l cuor poter vivere ancora?
Nascesti
tu al mondo pur per lei?
Dimostrati
uomo alquanto e ti rincora,
caccia
questi dolori e questi omei
almeno
in parte; io non fe' poi dimora
in
altro luogo se non qui con teco,
ch'io
le parlai e fui gran pezza seco.
111
E
per quel che mi paia, tu non senti
la
metà noia che la dolente face,
e'
suoi sospiri son tanto cocenti,
e
sì questa partenza le dispiace,
che
trapassano i tuoi per ognun venti.
Dunque
con teco datti alquanto pace,
ch'almen
puoi tu, in questo caso amaro,
conoscer
quanto tu a lei se' caro.
112
L'ho
con esso lei testé composto
che
tu ad essa ne vadi, e stasera
sarai
con seco, e quel c'hai già disposto
le
mostrerai per più bella maniera
che
tu potrai; tu t'avvedrai ben tosto
quel
ch'a grado le fia con mente intera:
forse
che troverete modi i quali
fien
grandi alleggiamenti a' vostri mali. –
113
A
cui rispose Troiol sospirando:
–
Tu parli bene, ed io così vo' fare. –
Ed
altre cose assai disse, ma quando
tempo
gli parve di dovere andare,
Pandaro
sopra ciò lasciò pensando,
ed
el sen gì, e mille anni gli pare
d'essere
in braccio al suo caro conforto,
il
qual fortuna poi gli tolse a torto.
Criseida
tramortisce nelle braccia di Troiolo, il quale credendo lei morta, tirata fuori
la spada, si vuole uccidere.
114
Criseida,
quando ora e tempo fue,
com'era
usata, con un torchio acceso
sen
venne a lui, e nelle braccia sue
il
ricevette, ed esso lei, compreso
da
grieve doglia, e mutoli amendue
nasconder
non potero il core offeso;
ma
abbracciati sanza farsi motto
incominciaro
un gran pianto e dirotto.
115
E
forte insieme amendue si stringieno
di
lagrime bagnati tutti quanti,
e
volendo parlarsi non potieno,
sì
gl'impedivan gli angosciosi pianti
e'
singhiozzi e' sospiri, e nondimeno
si
basciavan talvolta, e le cascanti
lagrime
si bevean, sanza aver cura
ch'amare
fossero oltre lor natura.
116
Ma
poscia che gli spiriti affannati
per
l'angoscia del pianto e de' sospiri,
furon
nelli lor luoghi ritornati
per
l'allentar de' noiosi martiri,
Criseida,
ver Troiolo levati
gli
occhi dolenti per gli aspri disiri,
con
rotta voce disse: – O signor mio,
chi
mi ti toglie, e dove ne vo io? –
117
Poi
gli ricadde col viso in sul petto
venendo
meno, e le forze partirsi,
da
tanta doglia fu il cor ristretto,
ed
ingegnossi l'alma di fuggirsi;
e
Troiolo guardando nel suo aspetto,
e
lei chiamando e non sentendo udirsi,
e
gli occhi suoi velati e lei cascante,
che
morta fosse gli pcrser sembiante.
118
Il
che vedendo Troiolo, angoscioso
di
doppia doglia, la pose a giacere,
spesso
basciando il viso lagrimoso,
cercando
se potesse in lei vedere
alcun
segno di vita, e doloroso
ogni
parte tentava, ed al parere
di
lui, di vita così sconsolata
dicea
piangendo ch'era trapassata.
119
Ell'era
fredda e sanza sentimento
alcun,
per quel che Troiol conoscesse,
e
questo gli parea vero argomento
che
ella i giorni suoi finiti avesse;
per
che, dopo lunghissimo lamento,
prima
che ad altro atto procedesse,
l'asciugò
'l viso e 'l corpo suo compose,
come
si soglion far le morte cose.
120
E
fatto questo, con animo forte
la
propria spada del fodero trasse,
tutto
disposto di prender la morte,
acciocché
il suo spirto seguitasse
quel
della donna con sì trista sorte,
e
nell'inferno con lei abitasse,
poi
che aspra fortuna e duro amore
di
questa vita lui cacciava fore.
121
Ma
prima disse, acceso d'alto sdegno:
–
O crudel Giove, e tu Fortuna ria,
a
quel che voi volete, ecco ch'io vegno;
tolta
m'avete Criseida mia,
la
qual credetti che con altro ingegno
tor
mi doveste, e dove ella si sia
ora
non so, ma 'l corpo suo qui morto
veggio
da voi a grandissimo torto.
122
Ed
io lascerò 'l mondo, e seguiraggio
con
lo spirito lei poi ch'el vi piace;
forse
di là miglior fortuna avraggio,
con
lei avendo de' miei disir pace,
se
di là s'ama, sì come io aggio
udito
alcuna volta vi si face;
poi
che vedermi in vita non volete,
l'anima
mia almen con lei ponete.
123
E
tu città la qual io lascio in guerra,
e
tu Priamo, e voi cari fratelli,
fate
con Dio, ch'io me ne vo sotterra,
di
Criseida dietro agli occhi belli;
e
tu per cui tanto dolor mi serra
e
che dal corpo l'anima divelli,
ricevimi,
Criseida – volea dire,
già
con la spada al petto per morire,
124
quand'ella,
risentendosi, un sospiro
grandissimo
gittò, Troiol chiamando.
A
cui el disse: – Dolce mio disiro,
or
vivi tu ancora? – E lagrimando,
in
braccio la riprese, e 'l suo martiro,
come
potea, con parole alleggiando,
la
confortò, e l'anima smarrita
tornò
al core onde s'era fuggita.
Vannosi
i due amanti a letto e quivi sospirano, piangono, e di molte varie cose
ragionano e al mattino si lievano.
125
E
stata alquanto tutta alienata,
si
tacque; e poscia la spada veggendo
cominciò:
– Quella perché fu tirata
del
foder fuori? – A cui Troiol, piangendo,
narrò
qual fosse la sua vita stata.
Ond'ella
disse: – Che è ciò ch'io 'ntendo?
Dunque,
s'io fossi stata più un poco,
ti
sarestù ucciso in questo loco?
126
Oh
me, dolente a me, che m'hai tu detto?
lo
non sarei in vita stata mai
di
dietro a te, ma per lo tristo petto
fitta
l'avrei. Or noi abbiamo assai
a
lodar Dio; per ora andiamo a letto,
quivi
ragionerem de' nostri guai;
s'io
considero il torchio consumato,
el
n'è di notte già gran pezzo andato. –
127
Come
altra volta gli stretti abbracciari
erano
stati, così furono ora,
ma
questi fur più di lagrime amari,
che
stati fosser di dolcezza ancora
piacevoli,
ed i tristi ragionari
fra
loro incominciar sanza dimora.
E
cominciò Criseida: – Dolce amico,
ascolta
bene attento quel ch'io dico.
128
Poscia
ch'io seppi la trista novella
del
traditor del mio padre malvagio,
se
Dio mi guardi la tua faccia bella,
nulla
giammai sentì tanto disagio
quant'io
ho poi sentito, come quella
ch'oro
non curo, città né palagio,
ma
sol di dimorar sempre con teco
in
festa ed in piacere, e tu con meco.
129
E
voleami del tutto disperare,
non
credendo giammai più rivederti,
ma
poi che tu la mia anima errare
vedesti,
e ritornar di nuovo, certi
pensier
mi sento per la mente andare
utili
forse, i quali vo' ch'aperti
prima
ti sien che noi più ci dogliamo,
ché,
forse, sperar bene ancor possiamo.
130
Tu
vedi che mio padre mi richiede,
al
qual di girne non ubbidirei
se
'l re non mi stringesse, la cui fede
convien
si servi, come saper dei.
Per
che andar men convien con Diomede,
ch'è
stato trattator de' patti rei,
qualora
tornerà: volesse Iddio
né
el tornasse mai né tempo rio.
131
E
sai che qui è ogni mio parente
fuor
che mio padre, e ciascuna mia cosa
ancora
ci rimane, e s'alla mente
mi
torna ben, di questa perigliosa
guerra
si tratta continuamente
pace
tra voi e' Greci, e se la sposa
si
rende a Menelao, credo l'avrete,
ed
io so già che voi presso vi sete.
132
Qui
mi ritornerò se voi la fate,
però
ch'altrove non ho dove gire;
e
se per avventura la lasciate,
nel
tempo delle triegue di venire
ci
avrò cagione, e cosl fatte andate
sai
che non s'usa alle donne disdire;
e'
miei parenti mi ci vederanno
di
buona voglia e mi c'inviteranno.
133
Allor
potremo alcun sollazzo avere,
come
che l'aspettar sia grave noia;
ma
conviensi apparare a sostenere
della
fatica chi vuol che la gioia
gli
venga poscia con maggior piacere;
io
veggio pur che stando noi in Troia,
sanza
vederci più dì ci conviene
talor
passar con angosciose pene.
134
Ed
oltre a questo, maggiore speranza,
o
pace o no, mi nasce del tornarci:
mio
padre ha ora questa disianza,
e
forse avvisa ch'io non possa starci,
per
lo suo fallo, sanza dubitanza
o
di forza o di biasimo acquistarci;
come
saprà ch'io ci sia onorata,
non
curerà della mia ritornata.
135
Ed
a che far tra' Greci mi terrebbe,
che,
come vedi, son sempre nell'armi?
E
s'el non mi tien ivi, ove potrebbe
in
altra parte io nol veggio mandarmi,
e
s'el potesse, credo nol farebbe,
però
ch'a' Greci non vorria fidarmi.
Qui
dunque mi rimandi è opportuno,
né
ben ci veggio contrario alcuno.
136
Egli
è, come tu sai, vecchio ed avaro,
e
qui ha ciò che el può fare o dire:
il
che io gli dirò, se el l'ha caro,
per
lo miglior mi ci facci reddire,
mostrandogli
com io possa riparo,
ad
ogni caso che sopravvenire
potesse,
porre, ed el per avarizia
della
mia ritornata avrà letizia. –
137
Troiolo
attento la donna ascoltava,
ed
il dir suo gli toccava la mente,
e
quasi verisimil gli sembrava
dover
ciò che diceva certamente
esser
così, ma perché molto amava,
pur
fede vi prestava lentamente;
ma
alla fin, come vago che fosse,
seco
cercando, a crederlo si mosse.
138
Laonde
parte della grieve doglia
da
lor partissi, e ritornò speranza,
e
divenuti poi di men ria voglia,
ricominciaron
l'amorosa usanza;
e
sì come augel di foglia in foglia
nel
nuovo tempo prende dilettanza
del
canto suo, così facean costoro,
di
molte cose parlando fra loro.
139
Ma
non potendo a Troiolo passare
del
cuor, che questa partir si dovea,
incominciò
in tal guisa a parlare:
–
O Criseida mia, più ch'altra dea
amata
assai, e più da onorare
da
me che dianzi uccider mi volea
credendo
morta te, che vita credi
che
sia la mia, se tosto tu non riedi?
140
Vivi
sicura come del morire
che
io m'ucciderei, se tu penassi
niente
troppo di qui rivenire;
né
veggio bene ancor com'io mi passi
sanza
doglioso ed amaro languire,
sentendot'io
altrove, e dubbio fassi
novello
in me, che el non ti ritegna
Calcàs,
e quel che parli non avvegna.
141
Non
so se pace fra noi si fia mai,
ma
pace o no, appena che tornarci
credo
che Calcàs ci voglia giammai,
perché
non crederia potere starci
sanza
infamia del fallo che assai
fu,
se in ciò non vogliamo ingannarci;
e
se con tanta istanza ti richiede
ch'el
ti rimandi appena vi do fede.
142
El
ti darà in fra' Greci marito,
e
mostreratti che stare assediata
è
dubbio di venire a reo partito;
lusingheratti,
e farà ch'onorata
sarai
da' Greci, ed el v'è riverito,
sì
com io 'ntendo, e molto v'è pregiata
la
sua virtu; per che, non sanza noia,
temo
che tu giammai non torni in Troia.
143
E
questo m'è a pensar tanto grave,
che
dir nol ti poria, anima bella,
e
tu sola hai nelle tue man la chiave
della
mia vita e della morte, e quella
so
che la puoi e misera e soave,
come
ti piace, fare, o chiara stella,
per
cui io vado a grazioso porto;
se
tu mi lasci, pensa ch'io son morto.
144
Dunque,
per Dio, troviam modo e cagione
che
tu non vadi, se trovar si puote:
andiamcene
in un'altra regione,
né
ci curiam se le promesse vote
vengon
del re, se la sua offensione
fuggir
possiamo; e' son di qui remote
genti
che volentieri ci vedranno,
e
per signori ancor sempre n'avranno.
145
Fuggiamci,
dunque, quinci occultamente,
e
là n'andiamo insieme tu ed io,
e
quel che noi abbiam di rimanente
nel
mondo a viver, cuor del corpo mio,
viviamlo
con diletto insiememente.
Questo
vorrei, e questo ho in disio,
s'el
ti paresse, e questo è piu sicuro,
ed
ogni altro partito mi par duro. –
146
Criseida
sosrirando gli rispose:
–
Caro mio belle e del mio cor diletto,
tutte
potrebbon esser quelle cose,
ed
ancor più, nella forma c'hai detto;
ma
io ti giuro per quelle amorose
saette
che p er te m'entrar nel petto,
comandamenti,
lusinghe o marito,
non
torceran da te mai l'appetito.
147
Ma
ciò che d'andar via tu ragionavi,
non
è savio consiglio al mio parere:
pensar
si deon questi tempi gravi,
e
di te e de' tuoi ti dee calere.
Se
n'andassimo via, come parlavi,
tre
cose ree ne potresti vedere:
l'una
vefrebbe della rotta fede,
che
porta più di mal ch'altri non crede.
148
E
ciò sarebbe de' tuoi il periglio,
che
sé per una femmina lasciati
vedendo
fuor d'aiuto e di consiglio,
darian
paura agli altri degli agguati;
e
se io ben con meco m'assottiglio,
voi
ne sareste molto biasimati,
né
vi saria il ver giammai creduto
da
chi avesse sol questo veduto.
149
E
se tempo niuno fede o leanza
richiede,
quel della guerra par esso,
perciocché
nullo ha tanto di possanza,
che
guari possa per sé solo stesso;
aggiungonvisi
molti ad isperanza
che
quel che metton per altrui sia messo
per
lor, che sé 'n aver ed in persona
mettono,
e 'n ciò sperando s'abbandona.
150
D'altra
parte, che pensi tra le genti
della
partita tua si ragionasse?
E'
non dirien ch'Amor co' suoi ferventi
dardi
a cotal partito ti recasse,
ma
paura e viltà: dunque ritienti
da
tal pensier se mai nel cor t'entrasse,
se
el t'è punto la tua fama cara,
che
del valor tuo suona tanto chiara.
151
Appresso
pensa la mia onestate
e
la mia castità, somme tenute,
di
quanta infamia sarien maculate,
anzi
del tutto disfatte e perdute
sarieno
in me, né giammai rilevate
per
iscusa sarieno, o per virtute
ch'io
potessi operar che ch'io facessi,
se
anni centomila in vita stessi.
152
Ed
oltre a questo vo' che tu riguardi
a
ciò che quasi d'ogni cosa avviene:
non
è cosa sì vil, pur ben si guardi,
che
non si faccia disiar con pene,
e
quanto tu più di possederla ardi,
più
tosto abbominio nel cor ti viene,
se
larga potestate di vederla
fatta
ti fia, ed ancor di tenerla.
153
Il
nostro amor che cotanto ti piace,
è
per ch'el ti convien furtivamente
e
di rado venire a questa pace;
ma
se tu m'averai liberamente,
tosto
si spegnerà l'ardente face
che
or t'accende, e me similemente;
per
che, se 'l nostro amor vogliam che duri,
com'or
facciam, convien sempre si furi.
154
Dunque
prendi conforto, e la Fortuna
col
dare il dosso vinci e rendi stanca;
non
soggiacette a lei giammai nessuna
persona
in cui trovasse anima franca.
Seguiamo
il corso suo, fingiti alcuna
andata
in questo mezzo, e 'n quella manca
li
tuoi sospiri, ch'al decimo giorno,
sanza
alcun fallo, qui farò ritorno. –
155
–
Se tu – disse allor Troiol – ci sarai
infra
'l decimo giorno, i' son contento,
ma
'n questo mezzo, i miei dolenti guai
da
cui avranno alcun alleggiamento?
Io
non posso ora, sì come tu sai,
passare
un ora sanza gran tormento
s'io
non ti veggio; come dieci giorni
passar
potrò infin che tu ritorni?
156
Deh,
per Dio, trova modo a rimanere,
deh,
non andar, se tu vedi alcun modo;
io
ti conosco d'arguto sapere,
se
bene intendo ciò che da te odo;
e
se tu m'ami, tu puoi ben vedere
che
pur di ciò pensar tutto mi rodo,
cioè
che tu ten vada; veder puoi,
se
tu ten vai, qual fia mia vita poi. –
157
–
Oh me, – disse Criseida – tu m'uccidi,
ed
oltre al creder tuo malinconia
troppa
mi dai, e veggio non ti fidi
quant'io
credea nella promessa mia.
Deh,
ben mio dolce, perché sì diffidi?
Perché
a te di te to' la balia?
Chi
crederia che uomo in arme forte,
un
aspettar dieci dì non comporte?
158
Io
credo di gran lunga sia 'l migliore
di
prendere il partito ch'io t'ho detto;
siene
contento, dolce mio signore,
e
cappiati per certo dentro al petto
ch'el
me ne piange l'anima nel core
d'allontanarmi
dal tuo dolce aspetto,
forse
più che non credi e non ti pensi;
ben
lo sent'io per tutti quanti i sensi.
159
Lo
spender tempo è utile talvolta
per
tempo guadagnare, anima mia;
io
non ti son, come tu mostri, tolta
perch'io
al padre mio renduta sia;
né
ti cappia nel cuor ch'io sia sì stolta
che
non sapria trovare e modo e via
di
ritornare a te, cui io più bramo
che
la mia vita, e vie più troppo t'amo.
160
Ond'io
ti priego, se 'l mio priego vale,
e
per lo grande amore il qual mi rorti,
per
quel ch io porto a te ch'è altrettale,
che
tu di questa andata ti conforti,
ché
s' tu sapessi quanto mi fa male
veder
li pianti e li sospiri forti
che
tu ne gitti, el te ne 'ncrescerebbe,
e
di farne cotanti ti dorrebbe.
161
Per
te in allegrezza ed in disio
spero
di vivere e di tornar tosto,
e
trovar modo al tuo diletto e mio.
Fa
ch'io ti veggia in tal guisa disposto,
pria
che da te io mi diparta, ch'io
non
abbia più dolor, che quel che posto
m'ha
nella mente amor troppo focoso;
fallo,
ten priego, dolce mio riposo.
162
E
priegoti, mentr'io sarò lontana,
che
prender non ti lasci dal piacere
d'alcuna
donna, o da vaghezza strana;
ché,
s'io 'l sapessi, dei per certo avere
che
io m'ucciderei sì come insana,
dolendomi
di te ch'oltre al dovere
mi
lasceresti per altra, che sai
che
t'amo più ch'uom donna amasse mai. –
163
A
quest'ultima parte sospirando
rispose
Troiol: – S'io far lo volessi
ciò
che tu ora tocchi sospicando,
non
so veder com'io giammai potessi,
sì
m'ha per te ghermito Amore amando;
né
so veder come in vita si cessi
questo
amor ch'io ti porto, e la ragione
ti
spiegherò, ed in brieve sermone.
164
Non
mi sospinse ad amarti bellezza,
la
quale spesso altrui suole irretire;
non
mi trasse ad amarti gentilezza
che
suol pigliar de' nobili il disire;
non
ornamento ancora né ricchezza
mi
fé per te amor nel cor sentire;
delle
quai tutte sei più copiosa,
che
altra fosse mai donna amorosa;
165
ma
gli atti tuoi altieri e signorili,
il
valore e 'l parlar cavalleresco,
i
tuoi costumi più ch'altra gentili,
ed
il vezzoso tuo sdegno donnesco,
per
lo quale apparien d'esserti vili
ogni
appetito ed oprar popolesco,
qual
tu mi sei, o donna mia possente,
con
amor mi ti miser nella mente.
166
é
queste cose non posson tor gli anni
con
mobile fortuna, laond'io,
con
più angoscia e con maggiori affanni,
sempre
d'averti spero nel disio.
Oimè
lasso, qual fia de' miei danni
ristoro,
se ten vai, dolce amor mio?
Certo
nessun, se non la morte omai,
questa
fia sola fine de' miei guai.
167
Poscia
ch'essi ebber molto ragionato
e
pianto insieme, perché s'appressava
già
l'aurora, quello hanno lasciato,
e
strettamente l'un l'altro abbracciava.
Ma
poi che' galli molto ebber cantato,
dopo
ben mille basci si levava
ciascun,
l'un l'altro sé raccomandando,
e
così dipartirsi lagrimando.
PARTE
QUINTA
Qui
comincia la quinta parte del Filostrato, nella quale Criseida è renduta;
Troiolo l'accompagna, tornasi in Troia, piange solo, e appresso con Pandaro,
per lo consiglio del quale alquanti dì vanno a dimorare con Sarpidone; tornasi
in Troia dove ogni luogo rammenta di Criseida a Troiolo, ed egli per mitigare i
suoi dolori, quelli medesimi canta, aspettando che'l dì decimo passi.
E
primieramente è Criseida renduta a Diomede la quale Troiolo accompagna infino
fuori della città, e partito da lei, ella con festa è ricevuta dal padre.
1
Quel
giorno stesso vi fu Diomede
per
volere a' Troian dare Antenore;
per
che Priamo Criseida gli diede,
di
sospiri, di pianti e di dolore
sì
piena che ne 'ncresce a chi la vede;
dall'altra
parte era il suo amadore
in
sì fatta tristizia, che alcuno
in
simil non ne vide mai nessuno.
2
Vero
è che con gran forza nascondea
mirabilmente
dentro al tristo petto
la
gran battaglia la quale egli avea
con
sospiri e con pianto, e nello aspetto
niente
o poco ancor gli si parea,
come
ch'egli attendesse esser soletto,
e
quivi piangere e rammaricarsi,
ed
a grande agio seco disfogarsi.
3
Oh
quante cose nell'altiera mente
gli
venner lì, Criseida vedendo
rendere
al padre! Questi parimente
d'ira
e di cruccio tututto fremendo,
seco
rodiesi e dicea pianamente:
–
Oh misero dolente, or che attendo?
non
è el meglio una volta morire,
che
sempre in pianto vivere e languire?
4
Ché
non turb'io con l'arme questi patti?
Perché
qui Diomede non uccido?
Perché
non taglio il vecchio che gli ha fatti?
Perché
li miei fratei tutti non sfido?
Che
ora fosser ei tutti disfatti!
Perché
in pianto ed in dolente grido
Troia
non metto? Perché non rapisco
Criseida
ora, e me stesso guarisco?
5
Chi
'l vieterà s'io il vorrò pur fare?
O
perché con li Greci non m'accosto
s'ei
mi volesser Criseida donare?
Deh,
perché più dimoro, che non tosto
corro
colà e follami lasciare? –
Ma
così fiero ed altiero proposto
gli
fé lasciar paura, non uccisa
Criseida
fosse in sì fatta divisa.
6
Criseida,
poi vide che partire
le
convenia, quale ella era dogliosa,
con
quella compagnia che dovea gire,
sopra
il caval montò, e dispettosa
con
seco stessa conlinciò a dire:
–
Ahi, crudel Giove, e Fortuna noiosa,
dove
me ne portate contra voglia?
Perché
v'aggrada tanto la mia doglia?
7
Voi
mi togliete, crudi e dispietati,
a
quel piacer che più m'andava al core,
e
forse vi credete umiliati
esser
con sacrificio e con onore
alcun
da me, ma voi sete ingannati:
in
vostro vitupero e disonore
mi
dorrò sempre finch'io non ritorno
a
riveder di Troiol il viso adorno. –
8
Quinci
si volse disdegnosamente
ver
Diomede e disse: – Andianne omai,
assai
ci siam mostrati a questa gente,
la
quale omai sperar può de' suoi guai
salute,
se ben mira sottilmente
all'onorevol
cambio che fatto hai:
ché
hai per una femmina renduto
un
sì gran re, e cotanto temuto. –
9
E
questo detto, al caval degli sproni
diè,
sanza dir fuor che a' suoi addio;
e
ben conobbe il re e' suoi baroni
lo
sdegno della donna. Indi sen gio
sanza
ascoltare o commiati o sermoni,
o
riguardare alcuno, e se n'uscìo
di
Troia, nella qual giammai tornare
più
non dovea, né con Troiolo stare.
10
Troiolo
in guisa d'una cortesia,
con
più compagni montò a cavallo
con
un falcone in pugno, e compagnia
le
fero infin di fuori a tutto il vallo,
e
volentieri per tutta la via
l'averia
fatta infino al suo istallo
ma
troppo discoverto saria stato,
e
poco senno ancora riputato.
11
E
tra lor già venuto era Antenore
dalli
Greci renduto, e con gran festa
ricevuto
l'aveano e con onore
li
giovani Troiani; e benché questa
tornata
fosse a Troiol dentro al core,
per
Criseida data, assai molesta,
pur
con buon viso il ricevette, e fello
con
Pandar cavalcar davanti ad ello.
12
E
già essendo per accomiatarsi,
egli
e Criseida si fermaro alquanto,
e
dentro agli occhi l'un l'altro guatarsi,
né
ritener poté la donna il pianto,
e
poscia per le man destre pigliarsi,
e
ver lei Troiol ancor s'accostò tanto,
che,
pian parlando, ella il poté udire,
e
disse: – Torna, non mi far morire. –
13
E
sanza più, rivoltato il destriere,
tutto
tinto nel viso, a Diomede
non
parlò punto, e di cotal mestiere
sol
Diomede s'accorse, e ben vede
l'amor
de' due, e dentro al suo pensiere
con
diversi argomenti ne fa fede;
e
di ciò mentre seco si pispiglia,
nascosamente
sé di colei piglia.
14
Il
padre la raccolse con gran festa,
come
ch'a lei gravasse tale amore;
ella
si stava tacita e modesta,
se
stessa seco con grave dolore
tutta
rodendo, ed in vita molesta,
pure
a Troiolo avendo fermo il core,
che
tosto si dovea permutare,
e
lui per nuovo amante abbandonare.
Troiolo
tornato in Troia spospira e piange, e rammaricandosi ripete i diletti avuti da
Criseida.
15
Troiolo
in Troia tristo ed angoscioso,
quanto
fu mai nessun, se ne rivenne,
e
nel viso fellone e niquitoso,
pria
ch'al palagio suo non si ritenne;
quivi
smontato, troppo più pensoso
che
stato fosse ancora, non sostenne
che
da alcun gli fosse nulla detto,
ma
se n entrò in camera soletto.
16
Quivi
al dolor ch'aveva ritenuto
diè
largo luogo, chiamando la morte,
ed
il suo ben piangeva, che perduto
gli
pare avere, e sì gridava forte,
che
'n forse fu di non esser sentuto
da
quei che 'ntorno givan per la corte;
e
'n cotal pianto tutto il giorno stette,
né
servo né amico nol vedette.
17
Se
'l giorno era con doglia trapassato,
non
la scemò la notte già oscura,
ma
fu il pianto e 'l gran duol raddoppiato;
così
il menava la sua isciagura:
el
biastemmiava il giorno che fu nato,
e
gli dii e le dee e la natura,
il
padre e chi parola conceduta
avea
ch'el fosse Criseida renduta.
18
Esso
se stesso ancor maldicea,
che
sì l'aveva lasciata partire,
e
che 'l partito che preso n'avea,
cioè
con lei di volersi fuggire,
non
l'avea fatto, e forte sen pentea,
e
di dolor ne voleva morire;
o
che almen non l'avea domandata,
che
forse gli saria stata donata.
19
E
sé in qua ed ora in là volgendo,
sanza
luogo trovar per lo suo letto,
seco
diceva talora piangendo:
«Che
notte è questa, volendo rispetto
avere
alla passata, s'io comprendo
qual'ora
or sia! Aguale il bianco petto,
la
bocca, gli occhi e 'l bel viso basciava
della
mia donna e stretta l'abbracciava.
20
Ella
basciava me, e ragionando
prendevam
festa lieta e graziosa;
or
sol mi trovo, lasso, e lagrimando,
in
dubbio se giammai tanto gioiosa
notte
deggia tornare; ora abbracciando
vado
il piumaccio, e la fiamma amorosa
sento
farsi maggiore, e la speranza
farsi
minor per lo duol che l'avanza.
21
Che
farò, dunque, misero dolente?
Aspetterò,
pur ch'io 'l possa fare;
ma
se così s'attrista la mia mente
nel
suo partir, come perseverare
io
spero di potere? Egli è niente
a
chi ben ama il potersi posare».
Per
che 'n tal guisa fece il simigliante
la
notte e 'l dì ch'era passato avante.
Troiolo
dogliendosi narra a Pandaro quale abbia avuta la passata notte, il quale il
riprende e lui conforta andare in alcun luogo.
22
Pandar
non era il dì potuto andare
a
lui, né alcun altro; onde il mattino
venuto,
tosto sel fece chiamare
per
poter seco alquanto il cor meschino,
parlando
di Criseida, alleggiare;
Pandar
vi venne, e bene era indovino
di
ciò che quella notte fatto avea,
ed
ancora di ciò ch'allor volea.
23
–
O Pandar mio, – disse Troiolo, fioco
per
lo gridare e per lo luogo pianto –
che
farò io, che l'amoroso foco
sì
mi comprende dentro tutto quanto,
che
riposar non posso assai né poco?
Che
farò io, dolente, poi che tanto
m'è
stata la fortuna mia nemica,
ch'i'
ho perduta la mia dolce amica?
24
Io
non la credo riveder giammai;
così
foss'i' allor caduto morto,
che
io da me partir ier la lasciai!
o
dolce bene, o caro mio diporto,
o
bella donna a cui io mi donai,
o
dolce anima mia, o sol conforto
degli
occhi tristi fiumi divenuti,
deh,
non ve' tu ch'io muoio? Ché non m'aiuti?
25
Chi
ti vede ora, dolce anima bella?
Chi
siede teco, cuor del corpo mio?
Chi
t'ascolta ora, chi teco favella?
Oimè
lasso più ch'altro, non io!
Deh,
che fai tu? Or ètti punto nella
mente
di me, o messo m'hai in oblio
per
lo tuo padre vecchio ch'ora t'have,
laond'io
vivo in pena tanto grave?
26
Qual
tu m'odi ora, Pandaro, cotale
ho
tutta notte fatto, né dormire
lasciato
m'ha questo amoroso male;
e
pur se sonno alcun nel mio languire
trovato
ha luogo, niente mi vale,
perché,
dormendo, o sogno di fuggire,
o
d'esser solo in luoghi paurosi,
o
nelle man di nemici animosi.
27
E
tanta noia m'è questo vedere,
e
sì fatto spavento m'è nel core,
che
vegghiar mi saria meglio e dolere;
e
spesse volte mi giugne un tremore
che
mi riscuote e desta, e fa parere
che
d'alto in basso i' caggia e, desto,
Amore
insieme con Criseida chiamo forte,
or
per mercé pregando ed or per morte.
28
A
cotal punto, qual odi, venuto
misero
sono, e duolmi di me stesso
e
del partir, piu che giammai creduto
io
non avrei. Oh me, che io confesso
che
io deggia sperare ancora aiuto,
e
che la bella donna ancor con esso
verrà
tornando; ma il cuor che l'ama
non
mel consellte ed ognora la chiama. –
29
Poscia
ch'egli ebbe in tal guisa gran pezza
parlato
e detto, Pandaro, doglioso
di
così grave e noiosa gramezza,
disse:
– Deh, dimmi, Troiol, se riposo
o
fine dee aver questa tristezza,
non
credi tu che il colpo amoroso
da
altri mai che da te sia sentito,
o
di partenza sia stato al partito?
30
Ben
son degli altri così innamorati
come
tu se', per Pallade tel giuro,
e
sonne ancor di quei che sventurati
son
più di te, men pare esser sicuro,
e
non si son però del tutto dati,
come
tu se, a viver tanto duro
ma
la lor doglia, quando troppo avanza
s'ingegnan
d'alleggiar con isperanza.
31
E
tu dovresti il simigliante fare:
tu
di' che ella infra 'l decimo giorno
t'ha
impromesso di qui ritornare;
questo
non è tanto lungo soggiorno,
che
tu nol debbi potere aspettare
sanza
attristarti, e star come musorno.
Come
potresti sofferir l'affanno,
se
allontanarsi convenisse un anno?
32
E'
sogni e le paure gitta via,
in
quel che son lasciali andar ne' venti;
essi
procedon da malinconia,
e
quel fanno veder che tu paventi;
solo
Iddio sa il ver di quel che fia,
ed
i sogni e gli auguri a che le genti
stolte
riguardan, non montano un moco,
né
al futuro fanno assai o poco.
33
Dunque,
per Dio, a te stesso perdona,
lascia
questo dolor cotanto fiero;
fammi
esta grazia, questo don mi dona,
levati
su, alleggia il tuo pensiero,
e
de' passati ben meco ragiona,
ed
a' futuri il tuo animo altiero
dispon,
che torneranno assai di corto;
dunque,
sperando ben, prendi conforto.
34
Questa
città è grande e dilettosa,
ed
ora è 'n triegua sì come tu sai;
andianne
in qualche parte graziosa
di
qui lontana, e quivi ti starai
con
alcun d'esti re, e la noiosa
vita
con esso lui trapasserai,
mentre
che passi il termine c'ha dato
la
bella donna che 'l cor t'ha piagato.
35
Deh,
fallo, i' te ne priego, leva suso,
non
è atto magnanimo il dolersi
come
tu fai, ed il giacer pur giuso;
e
s'e tuoi modi sì stolti e diversi
fuor
si sapesser, saresti confuso,
e
diria l'uom he tu de' tempi avversi,
come
codardo, e non d'amor, piangessi,
o
che d'essere infermo t'infingessi. –
36
–
Oh me, chi molto perde piange assai,
né
'l può conoscer chi non l'ha provato
qual
è quel ben che io andar lasciai;
per
ciò non doverei esser biasmato
s'altro
che pianger non facessi mai;
ma
poi che tu, amico, m'hai pregato,
conforterommi
a tutto mio potere,
in
tuo servigio e per farti piacere.
37
Mandici
Iddio il dì decimo tosto,
sì
ch'io mi torni lieto com'io era
quando
di render questa fu risposto:
non
fu mai rosa in dolce primavera
bella,
com'io a ritornar disposto
sono,
come vedrò la fresca cera
di
quella donna ritornata in Troia,
che
m'è cagion di tormento e di gioia.
38
Ma
dove potrem noi per festa andare
come
ragioni? Andianne a Sarpidone?
E
come vi potrò io dimorare?
Io
avrò sempre in l'animo questione
non
forse questa potesse tornare
anzi
il dì dato per nulla cagione;
ché
non vorrei non esserci se viene,
per
quanto il mondo vale e può di bene. –
39
–
Deh, io farò che sanza indugio, alcuno,
se
ella torna, fia per me venuto –
rispose
Pandar; – io porrò qui uno
per
questo sol, sì che ben fia saputo
da
noi. Or fosse el già! Non c'è nessuno
da
cui come da me fosse voluto;
sì
che per qnesto già non lascerai;
andianne
là dov'ora detto m'hai. –
Troiolo
e Pandaro insieme vanno a Sarpidone, dove appena poté sofferire Troiolo di
stare cinque dì.
40
I
due compagni nel cammino entraro,
e
forse dopo quattromila passi,
là
dove Sarpidone era, arrivaro;
il
quale come 'l seppe, incontro fassi
a
Troiol lieto, e molto gli fu caro.
Li
quali, avvegna che e' fosser lassi
del
molto sospirar, pur lietamente
festa
fer grande col baron possente.
41
Costui,
sì come quei che d'alto core
era
più ch'altri in ciascheduna cosa,
fece
a ciascun maraviglioso onore
or
con cacce, or con festa graziosa
di
belle donne e di molto valore,
con
canti e suoni, e sempre con pomposa
grandezza
di conviti tanti e tali,
che
'n Troia mai s'eran fatti eguali.
42
Ma
che giovavan queste feste al pio
Troiol
che 'l core ad esse non avea?
Egli
era là dove spesso il disio
formato
nel pensier suo nel traea,
e
Criseida come suo Iddio
con
gli occhi della mente ognor vedea,
or
una cosa or altra immaginando
di
lei, e spesso d'amor sospirando.
43
Ogni
altra donna a veder gli era grave,
quantunque
fosse valorosa e bella;
ogni
sollazzo, ogni canto soave,
noioso
gli era non vedendo quella,
nelle
cui mani Amor posto la chiave
avea
della sua vita tapinella;
e
tanto bene avea, quanto pensare
a
lei potea, lasciando ogni altro affare.
44
E
non passava sera né mattina
che
con sospiri costui non chiamasse:
–
O luce bella, o stella mattutina. –
Poi
come s'ella presente ascoltasse,
mille
fiate e più rosa di spina
chiamandola,
che ella il salutasse,
pria
ch'el ristesse, sempre convenia,
e
'l salutar col sospirar finia.
45
Nessuna
ora del giorno trapassava
che
non la nominasse mille fiate;
sempre
il suo nome in la bocca gli stava,
e
'l suo bel viso e le parole ornate
nel
cuore e nella mente figurava,
le
lettere da lei a lui mandate,
il
dì ben cento volte rileggea,
tanto
di rivederle gli piacea.
46
E'
non vi furon tre dì dimorati
che
a Pandar Troiol cominciò a dire:
–
Che facciam noi qui più? Siam noi legati
a
dovere qui vivere e morire?
Aspettiam
noi d'essere accomiatati?
A
dirti il vero, i' me ne vorre' ire.
Deh,
andianne, per Dio, assai siam suti
con
Sarpidone e volentier veduti. –
47
Pandaro
a lui: – Or siam noi per lo foco
venuti
qui, o è 'l decimo giorno
venuto?
Ancor deh, temperati un poco,
ché
l'andarne ora parria uno scorno.
Dove
n'andrai tu ora ed in qual loco
nel
qual tu facci più lieto soggiorno?
Deh,
stiamo ancor due dì, poi ce n'andremo,
e,
se vorrai, a casa torneremo. –
48
Come
che Troiol contra voglia stesse,
pur
si rimase ne' pensieri usati,
né
valea perché Pandar gliel dicesse,
ma
dopo il quinto dì accomiatati,
quantunque
a Sarpidon ciò non piacesse,
ver
le lor case si son ritornati,
dicendo
Troiol nel cammino: – Oh Dio,
troverò
io tornato l'amor mio? –
49
Ma
Pandar seco diceva altrimente,
come
colui che conosceva intera
la
'ntenzion di Calcàs, pur pianamente:
«Questa
tua voglia sì focosa e fiera
si
potrà raffreddar, s'el non mi mente
ciò
ch'io udii infin quand'ella c'era;
ed
il decimo giorno e 'l mese e l'anno,
pria
la riveggi, credo passeranno».
Troiolo
tornato in Troia va a vedere la casa di Criseida, e ogni luogo che vede dove
veduta l'avesse, di lei si rammenta.
50
Poi
che furono a casa ritornati,
intramendue
in camera n'andaro,
ed
a seder si furono assettati,
e
di Criseida molto ragionaro,
sanza
dar sosta Troiol agl'infiammati
sospir;
ma dopo alquanto si levaro,
Troiol
dicendo: – Andiamo, e sì vedremo
la
casa almen, poi ch'altro non potemo.
51
E
questo detto, il suo Pandaro prese
per
mano, e 'l viso alquanto si dipinse
con
falso riso, e del palagio scese,
e
varie cagion con gli altri finse
ch'eran
con lui, per nasconder l'offese
ch'el
sentiva d'amor; ma poi ch'attinse
con
gli occhi di Criseida la magione
chiusa,
sentì novella turbagione.
52
E'
parve che il cor gli si schiantasse,
poi
veduta ebbe la porta serrata
e
le finestre; e tanto di sé 'l trasse
la
passion novellamente nata,
ch'el
non sapea se stesse o se andasse,
e
nella faccia sua tutta cambiata
n'averia
dato segno manifesto
a
chi l'avesse riguardato presto.
53
Con
Pandar poi come potea doglioso
della
sua nuova angoscia ragionava;
poi
dicea: – Lasso, quanto luminoso
eri
luogo e piacevol, quando stava
in
te quella biltà che 'l mio riposo
dentro
degli occhi suoi tutto portava;
or
se rimaso oscuro sanza lei,
né
so se mai riaverla ti dei. –
54
Quando
sol gia per Troia cavalcando,
ciaschedun
luogo gli tornava a mente;
de'
quai con seco giva ragionando:
«Quivi
rider la vidi lietamente,
quivi
la vidi verso me guardando,
quivi
mi salutò benignamente,
quivi
far festa e quivi star pensosa,
quivi
la vidi a' miei sospir pietosa.
55
Colà
istava, quand'ella mi prese
con
gli occhi belli e vaghi con amore;
colà
istava, quand'ella m'accese
con
un sospir di maggior fuoco il core;
colà
istava, quando condiscese
al
mio piacere il donnesco valore;
colà
la vidi altera, e là umile
mi
si mostrò la mia donna gentile».
56
Poi
ciò pensando, giva soggiugnendo:
«Lunga
hai fatta di me, Amor, la storia,
s'io
non mi voglio a me gir nascondendo
e
'l ver ben mi ridice la memoria:
dove
ch'io vada o stea, s'io bene intendo,
ben
mille segni della tua vittoria
discerno,
c'hai avuta trionfante
di
me, che schernii già ciascuno amante.
57
Ben
hai la tua ingiuria vendicata,
signor
possente e molto da temere;
ma
poi ch'a te servir l'alma s'è data
tutta,
sì come chiaro puoi vedere,
non
la lasciar morire sconsolata;
ritornala
nel suo primo piacere,
stringi
Criseida sì come me fai,
sì
ch'ella torni a dar fine a' miei guai».
58
El
se ne gia talvolta in sulla porta
per
la quale era la sua donna uscita:
«Di
quinci uscì colei che mi conforta,
di
quinci uscì la mia soave vita;
fino
a quel loco le feci la scorta,
e
quivi da lei feci dipartita,
e
quivi, lasso, le toccai la mano»
seco
dicea, seguendo a mano a mano.
59
«Quindi
n'andasti, cuor del corpo mio;
quando
sarà che tu quindi ritorni,
caro
mio bene e dolce mio disio?
Certo
io non so, ma questi dieci giorni
più
che mille anni fien! Deh, vedrotti io
giammai
tornar con li tuoi atti adorni,
a
rallegrarmi sì com' hai promesso?
Deh,
fia el mai? Deh, or foss'egli adesso!»
Troiolo
seco medesimo considerata la qualità di se stesso, canta qual sia la sua vita.
60
Egli
pareva a se stessc nel viso
esser
men che l'usato colorito,
e
per questo faceva un suo avviso
d'esser
talvolta dimostrato a dito,
quasi
dicesser «Perché sì conquiso
è
divenuto Troiolo e smarrito?».
Color
che 'l dimostrassono, e non era,
ma
sospica chi sa la cosa vera.
61
Per
che gli piacque di mostrare in versi
chi
ne fosse cagione, e sospirando,
quando
era assai stanco di dolersi,
alcuna
sosta quasi al dolor dando,
mentre
aspettava nelli tempi avversi,
con
bassa voce si giva cantando
e
ricreando l'anima conquisa
dal
soperchio d'amore, in cotal guisa:
62
–
La dolce vista e 'l bel guardo soave
de'
più begli occhi che si vider mai,
ch'i'
ho perduti, fan parer sì grave
la
vita mia, ch'io vo traendo guai;
ed
a tal punto già condotto m'have,
che
'nvece di sospir leggiadri e gai,
ch'aver
solea, disii porto di morte
per
la partenza, sì me ne duol forte.
63
Oh
me, Amor, perché nel primo passo
non
mi feristi sì ch'io fossi morto?
Perché
non dipartisti da me, lasso,
lo
spirito angoscioso che io porto,
per
ciò che d'alto mi veggio ora in basso?
Non
è, Amore, al mio dolor conforto
fuor
che 'l morir, trovandomi partuto
da
quei begli occhi ov'io t'ho già veduto.
64
Quando
per gentil atto di salute,
ver
bella donna giro gli occhi alquanto,
sì
tutta si disfà la mia virtute,
che
ritener non posso dentro il pianto;
così
mi fan l'amorose ferute
membrando
la mia donna a cui son tanto,
oh
lasso me, lontano a veder lei
che
se 'l volesse Amor, morir vorrei.
65
Poi
che la mia ventura è tanto cruda
che
ciò che gli occhi incontra più m attrista,
per
Dio, Amor, che la tua man li chiuda,
poi
c'ho perduta l'amorosa vista;
lascia
di me, Amor, la carne ignuda,
ché,
quando vita per morte s'acquista,
gioioso
dovria essere il morire
e
sai ben dove l'alma ne dee gire.
66
Ella
n'andrà in quelle belle braccia
donde
ha fortuna rea 'l corpo gittato;
non
vedi tu che già nella mia faccia
io
son del color suo, Amor, segnato?
Vedi
l'angoscia che da me la caccia,
trannela
tu, e nel seno piu amato
da
lei la porta, ov'ella attende pace,
ché
già ogni altra cosa le dispiace. –
67
Poi
ch'egli avea cantando così detto,
al
sospirare antico si tornava,
il
dì andando, e la notte nel letto,
di
Criseida sua sempre pensava,
né
d'altro quasi prendea diletto;
e'
dì passati spesso annoverava,
non
credendo giammai giungere a' dieci,
ch'a
lui tornasse Criseida da' Greci.
68
Li
giorni grandi e le notti maggiori
oltre
all'usato modo gli parieno;
el
misurava dalli primi albori
infino
allor che le stelle apparieno;
e
dicea 'l sole entrato in nuovi errori,
né
i cavai come già fer corrieno;
della
notte diceva il simigliante,
e
l'una, due, diceva tutte quante.
69
Era
la vecchia luna già cornuta
nel
partir di Criseida, ed el l'avea,
da
lei uscendo in sul mattin, veduta;
per
che sovente con seco dicea:
«Allor
che questa sarà divenuta
colle
sue nuove corna, qual facea
quando
sen gì la nostra donna, fia
tornata
qui allor l'anima mia».
70
El
riguardava li Greci attendati
davanti
a Troia, e come già turbarsi,
vedendoli,
solea, così mirati
con
diletto eran; e ciò che soffiarsi
sentia
nel viso, sì come mandati
sospiri
da Criseida, solea darsi
a
creder fosser, dicendo sovente:
–
O qua o quivi è mia donna piacente. –
71
In
cotal guisa e 'n altri modi assai,
il
tempo sospirando trapassava;
e
con lui Pandaro era sempre mai,
che
a ciò far sovente il confortava,
ed
in ragionamenti lieti e gai,
a
suo poter, di trarlo s'ingegnava,
donando
a lui ognor buona speranza
della
sua vaga e valorosa amanza.
PARTE
SESTA
Qui
comincia la sesta parte del Filostrato, nella quale primieramente Criseida,
essendo appresso il padre, si duole esser lontana a Troiolo; viene a lei
Diomedès, favellagli, biasimali Troia e' Troiani e appresso le discuopre il suo
amore, al quale ella risponde e lascialo in dubio se ella gli piaccia o no; e
altrimenti intiepidita di Troiolo il comincia a dimenticare.
E
primieramente si duole piagnendo Criseida di essere da Troiolo lontana.
1
Dall'altra
parte in sul lito del mare,
con
poche donne, tra le genti armate,
stava
Criseida, ed in lagrime amare
da
lei eran le notti consumate,
ché
'l giorno più le convenia guardare
per
che le fresche guance e dilicate,
pallide
e magre l'eran divenute,
lontana
dalla sua dolce salute.
2
Ella
piangeva, seco memorando
di
Troiolo lo già preso piacere,
e
gli atti tutti andava disegnando
stati
tra loro, e le parole intere
tutte
con seco venia ricordando
qualora
ella n'avea tempo e potere;
per
che, da lui vedendosi lontana
fé
de' suoi occhi un'amara fontana.
3
Né
saria stato alcun sì dispietato
ch'udendo
lei rammaricar dolente,
con
lei di pianger si fosse temprato;
ella
piangeva sì amaramente,
quando
punto di tempo l'era dato,
che
dir non si potrebbe interamente,
e
quel che peggio ch'altro le facea,
era,
con cui dolersi non avea.
4
Ella
mirava le mura di Troia,
e
palagi, le torri e le fortezze,
e
dicea seco: «Oh me, quanta gioia,
quanto
piacere e quanto di dolcezze
n'ebb'io
già dentro, ed ora in trista noia
consumo
qui le mie care bellezze!
Oh
me, Troiolo mio, che fa' tu ora?
Ricordati
di me niente ancora?
5
Oh,
me lassa! or t'avessi io creduto,
e
'nsieme intrambedui fossimo giti
dove
e 'n qual regno ti fosse piaciuto,
ch'or
non sarien questi dolor sentiti
da
me, né tanto buon tempo perduto!
Quando
che sia saremmo poi redditi;
e
chi di me avria mai detto male
per
ch'andata ne fossi con uom tale?
6
Oimè
lassa, che tardi m'avveggio,
e
'l senno mio mi torna ora nemico;
io
fuggii 'l male e seguitai il peggio,
donde
di gioia il mio cuore è mendico;
e
per conforto invan la morte cheggio,
poi
veder non ti posso, o dolce amico,
e
temo di giammai più non vederti;
così
sien tosto li Greci diserti!
7
Ma
mio poter farò quinci filggirmi,
se
conceduto non mi fia 'l venire
in
altra guisa, e con teco reddirmi
com'io
promisi; e vada dove gire
ne
vuole il fumo, e ciò che può seguirmi
di
ciò ne siegua, ch'anzi che morire
di
dolor voglia, voglio che parlare
possa
chi vuole e di me abbaiareÈ.
8
Ma
da sì alto e grande intendimento
tosto
la volse novello amadore.
Or
prova Diomede ogni argomento
che
el potea per entrarle nel core,
né
gli fallì al suo tempo lo 'ntento,
e
'n brieve spazio ne cacciò di fore
Troiolo
e Troia, ed ogni altro pensiero
che
'n lei fosse di lui o falso o vero.
Come
Diomedès parla a Criseida di varie cose ultimamente l'amore il quale le porta
le scuopre.
9
Ella
non era il quarto giorno stata
dopo
l'amara dipartenza, quando
cagione
onesta a lei venir trovata
da
Diomede fu, che sospirando
la
trovò sola, e quasi trasformata
dal
dì che prima con lei cavalcando
di
Troia quivi menata l'avea;
il
che gran maraviglia gli parea.
10
E
seco disse nella prima vista:
«Vana
fatica credo fia la mia;
questa
donna è per altrui trista,
sì
com io veggio, sosplrosa e pia.
Troppo
esser converria sovrano artista
chi
ne volesse il primo cacciar via
per
entrarvi egli; oh me, che male andai
per
me 'n Troia quando qui la menai!».
11
Ma
come quei ch'era di grande ardire
e
di gran cuor, con seco stesso prese,
s'el
ne dovesse per certo morire,
poi
quivi era venuto, l'aspre offese,
ch'Amore
gli facea per lei sentire,
di
dimostrarle, e sì come s'accese
prima
di lei; e postosi a sedere,
di
lungi assai si fece al suo volere.
12
E
prima seco entrò a ragionare
dell'aspra
guerra tra loro e' Troiani,
lei
domandando quel che le ne pare,
s'e
lor pensier credea frivoli o vani;
quinci
discese poi a domandare
se
le parean de' Greci i modi strani,
né
molto poi s'astenne a domandarla
perché
stesse Calcàs di maritarla.
13
Criseida,
che ancor l'animo avea
in
Troia fitto al suo dolce amadore,
dell'astuzia
di lui non s'accorgea,
ma,
sì come piaceva al suo signore
Amore,
a Diomede rispondea,
e
spesse volte gli passava il core
con
grieve doglia, e talor gli donava
lieta
speranza di quel che cercava.
14
Il
qual, come con lei rassicurato
fu,
ragionando cominciò a dire:
–
Giovane donna, s'io ho ben guardato
nell'angelico
viso da gradire
più
ch'altro visto mai, quel trasformato
mi
par veder per noioso martire,
dal
giorno in qua che di Troia ci partimnlo,
e
qui come sapete ne venimmo.
15
Né
so ch'esser si possa la cagione
s'amor
non fosse, il qual, se savia sete,
gittrete
via, udendo la ragione,
per
che, sì com'io dico far dovete:
li
Troian son si può dire in prigione
da
noi tenuti, sì come vedete,
che
siam disposti di non mutar loco,
sanza
disfarla con ferro e con foco.
16
Né
crediate ch'alcun che 'n Troia sia
trovi
pietà da noi in sempiterno;
né
mai commise alcun altra follia
o
commettrà, se 'l mondo fosse eterno,
che
assai chiaro esempio non gli fia,
o
qui tra' vivi o tra' morti in inferno,
la
punizion ch'a Paride daremo,
della
fatta da lui, se noi potremo.
17
E
se vi fosser ben dodici Ettori,
com'un
ve n'è, e sei tanti fratelli,
se
Calcàs per ambage e per errori
qui
non ci mena, parimente d'elli,
quantunque
sieno, i disiati onori
avremo
e tosto; e la morte di quelli,
che
sarà 'n brieve, ne darà certanza
che
non sia falsa la nostra speranza.
18
E
non crediate che Calcàs avesse
con
tanta istanzia voi raddomandata,
se
ciò ch'io dico non antivedesse;
ben
ho io con esso lui trattata
questa
quistione in pria ch'egli li facesse,
e
ciascuna cagione esaminata;
ond'el
per trarvi di cotal periglio
di
rivolervi qui prese consiglio.
19
Ed
io nel confortai, di voi udendo
mirabili
virtù ed alte cose,
ed
Antenor per voi dargli sentendo,
m'offrersi
trattator, ed el m'impose
ch'io
il facessi, assai ben conoscendo
la
fede mia, né mi fur faticose
l'andate
e le tornate per vedervi,
per
parlarvi, udirvi e conoscervi.
20
Che
vo' dir, dunque, bella donna cara?
Lasciate
de' Troian l'amor fallace,
cacciate
via questa speranza amara,
che
'nvano sospirare ora vi face,
e
rivocate la bellezza chiara,
la
qual più ch'altra a chi intende piace;
ch'a
tal partito omai Troia è venuta,
ch'ogni
speranza ch'uom v'ha, è perduta.
21
E
s'ella fosse pur per sempre stare,
sì
sono il re e' figli e gli abitanti
barbari,
scostumati e da prezzare
poco
a rispetto de' Greci, ch'avanti
ad
ogni altra nazion possono andare,
d'alti
costumi e d'ornati sembianti;
voi
siete ora tra uomin costumati,
dove
eravate tra bruti insensati.
22
E
non crediate che ne' Greci amore
non
sia assai più alto e più perfetto
che
tra' Troiani; e 'l vostro gran valore,
la
gran biltà e l'angelico aspetto
troverà
qui assai degno amadore,
se
el vi ha di pigliarlo diletto;
e
se non vi spiacesse, io sarei esso,
più
volentier che re de' Greci adesso. –
23
E
questo detto, diventò vermiglio
come
fuoco nel viso, e, la favella
tremante
alquanto, in terra bassò 'l ciglio,
alquanto
gli occhi torcendo da ella;
ma
poi tornò da subito consiglio
più
pronto ch'el non era, e con isnella
loquela
seguitò: – Non vi sia noia,
io
son così gentil com'uom di Troia.
24
Se
'l padre mio Tideo fosse vissuto
com'el
fu morto a Tebe combattendo,
di
Calidonia e d'Argo saria suto re,
sì
com'io ancora essere intendo;
né
era stran nell'un regno venuto,
ma
conosciuto, antico e reverendo,
e,
se creder si può, di dio disceso,
sì
ch'io non son tra' Greci di men peso.
25
Priegovi
dunque, se 'l mio priego vale,
che
via cacciate ogni malinconia,
e
me, se io vi paio tanto e tale
qual
si conviene a vostra signoria,
in
servidor prendiate; io sarò quale
l'onestà
vostra e l'alta leggiadria,
ch'io
veggio in voi più che 'n altra, richiede,
sì
ch'ancor caro avrete Diomede. –
Criseida
maravigliandosi dell'ardire di lui, secondo le cose ragionate risponde.
26
Criseida
ascoltava, e rispondea
poche
parole e rade, vergognosa
secondo
che di lui 'l dir richiedea;
ma
poi, udendo quest'ultima cosa,
seco
l'ardir di lui grande dicea,
a
traverso mirandol dispettosa,
tanto
poteva ancor Troiolo in essa,
e
così disse con voce sommessa:
27
–
Io amo, Domede, quella terra
nella
qual son cresciuta ed allevata,
e
quanto può mi grava la sua guerra,
e
volentier la vedrei liberata;
e
se fato crudel fuor me ne serra,
questo
mi fa con gran ragion turbata;
e
d'ogni affanno per me ricevuto,
priego
buon merto te ne sia renduto.
28
Ben
so che' Greci son d'alto valore
e
costumati, sì come ragioni,
ma
de' Troian non è guari minore
l'alta
virtù, e le lor condizioni
l'hanno
mostrate nelle man d'Ettore;
né
senno è, credo, per divisioni,
o
per altra cagione, altrui biasmare,
e
poscia sé sopra gli altri lodare.
29
Amor
io non conobbi, poi morio
colui
al qual lealmente il servai,
sì
come a marito e signor mio,
né
greco né troian mai non curai
in
cotal atto, né m'è in disio
curarne
alcun, né mi sarà giammai.
Che
tu sie di real sangue disceso
cred'io
assai, ed hollo bene inteso.
30
E
questo assai mi dà d'ammirazione,
che
possi porre in una femminella,
come
son io, di poca condizione,
l'animo
tuo; a te Elena bella
si
converria; io ho tribulazione,
né
son disposta a sì fatta novella.
Non
per ciò dico che io sia dolente
d'essere
amata da te, certamente.
31
Il
tempo è reo, e voi siete nell'armi:
lascia
venir la vittoria ch'asretti,
allor
saprò io molto me' che farmi:
forse
mi piaceranno più i diletti
ch'ora
non fanno, e potrai riparlarmi,
e
per ventura più cari i tuoi detti
mi
fieno ch'or non son; l'uom dee guardare
tempo
e stagion quando altrui vuol pigliare.
32
Quest'ultimo
parlare a Diomede
fu
assai caro, e parvegli potere
isperar
sanza fallo ancor mercede,
sì
com'egli ebbe poi a suo piacere,
e
rispuosele: – Donna, io vi fo fede
quanto
posso maggiore, ch'al volere
di
voi io sono e sarò sempre presto. –
E
altro disse, e gissen dopo questo.
33
Egli
era grande e bel della persona,
giovane
fresco e piacevole assai,
e
forte e fier sl come si ragiona,
e
parlante quant'altro greco mai,
e
ad amor la natura avea prona;
le
quai cose Criseida ne' suoi guai,
partito
lui, seco venne pensando,
d'accostarsi
o fuggirsi dubitando.
34
Queste
la fer raffreddar nel pensiero
caldo
ch'avea pur di voler reddire;
queste
piegaro il suo animo intero
che
'n ver Troiolo aveva, ed il disire
torsono
indietro, e 'l tormento severo
nuova
speranza alquanto fé fuggire;
e
da queste cagion sommossa, avvenne
che
la promessa a Troiol non attenne.
PARTE
SETTIMA
Qui
comincia la settima parte del Filostrato, nella quale primieramente Troiolo il
dì decimo attende Criseida alla porta, la quale, non venendo, scusa, e tornavi
l'undecimo dì e più altri, e non venendo essa alle lacrime tornava; consumasi
Troiolo; Priamo il domanda della cagione; ta-cela Troiolo; sogna Troiolo
Criseida essergli tolta; dicelo a Pandaro e vuolsi uccidere; Pandaro il ritiene
e stornalo da ciò; scrive a Criseida; Deifobo s'accorge del suo male; giacendo
lui, le donne il visitano; Cassandra il riprende ed egli riprende lei.
E
primamente, venuto il decimo dì, Troiolo e Pandaro aspettan Criseida in sulla
porta.
1
Troiol,
sì com'egli è di sopra detto,
passava
tempo il dì dato aspettando,
il
qual pur venne dopo lungo aspetto;
ond'egli,
altre faccende dimostrando,
in
ver la porta se ne gì soletto,
con
Pandaro di ciò molto parlando;
e
n verso il campo rimirando gieno
s'alcuno
in ver Troia venir vedieno.
2
E
ciascun ch'era da costor veduto
venir
ver loro, o solo o accompagnato,
che
Criseida fosse era creduto,
fin
ch'el non s'era a lor tanto appressato
ch'apertamente
fosse conosciuto.
E
così stetter mezzo dì passato
beffati
spesso dalla lor credenza,
sì
come poi mostrava esperienza.
3
Troiolo
disse: – Anzi mangiare omai,
per
quel ch'io possa creder, non verrebbe:
ella
penrà a disbrigarsi assai
dal
vecchio padre più che non verrebbe,
per
mio avviso; tu che ne dirai?
Io
pur mi credo che ella sarebbe
venuta
se venire ella dovesse,
e
s'a mangiar con lui non si ristesse. –
4
Pandaro
disse: – lo credo dichi vero,
però
andianne e poi ci torneremo. –
A
Troiol piacque al fine, e così fero,
e
lo spazio che stettero, assai stremo
fu,
che tornar, ma gl'inganno 'l pensiero
sì
com'apparve, e trovaronlo scemo;
ché
questa gentil donna non venia,
e
già la nona su 'n alto salia.
5
Troiolo
disse: – Forse che 'mpedita
l'avrà
il padre, e vorrà che dimori
infino
a vespro, e però sua reddita
al
tardi fia omai; stiamci di fuori
sì
che ella abbia l'entrata espedita,
ché
spesse volte questi guardatori
soglion
tenere in parole chi viene,
sanza
distinguere a cui si conviene. –
6
Il
vespro venne e poi venne la sera,
e
molti avevan Troiolo ingannato,
il
quale in ver lo campo sospeso era
istato
sempre, e tutti riguardato
avea
color che di ver la rivera
veniello
a Troia, ed alcun domandato
per
nuove circostanze, e non avea
nulla
raccolto di ciò che chiedea.
7
Per
che si volse a Pandaro dicendo:
–
Fatto avrà questa donna saviamente,
se
de' suoi modi meco ben comprendo:
ella
vorrà venir celatamente,
perciò
la notte attende, ed io 'l commendo;
non
vorrà far maravigliar la gente,
né
dir: «Costei che fu raddomandata
per
Antenor, c'è sì tosto tornata?».
8
Però
non ci rincresca l'aspettare,
Pandaro
mio, io ten priego per Dio;
noi
non abbiam or altra cosa a fare,
non
ti gravi seguire il mio disio,
e
s'io non erro, veder la mi pare:
deh,
guarda in giù, non vedi tu quel ch'io? –
–
No, – disse Pandar – se ben gli occhi sbarro,
quel
che mi mostri pare a me un carro. –
9
–
Oh me, che tu di' ver! – Troiolo disse –
or
così va, cotanto mi trasporta
quel
ch'io vorrei ch'al presente avvenisse! –
Era
del sole già la luce smorta,
e
stella alcuna in ciel parea venisse,
quando
Troiolo disse: – El mi conforta
non
so che pensier dolce nel disire:
abbi
per certo ch'or ne dee venire. –
10
Pandaro
seco, ma tacitamente,
ridea
di ciò che Troiolo dicea,
e
conosceva manifestamente
la
cagion che a ciò dire il movea,
e
per non farlo di ciò più dolente
che
el si fosse, sembianti facea
di
crederlo, e dicea: «Di Mongibello
aspetta
il vento questo tapinello».
11
L'attendere
era nulla, e li guardiani
facean
sopra la porta gran romore,
dentro
chiamando cittadini e strani,
qual
non volesse rimaner di fore,
con
le lor bestie ancor tutti i villani;
ma
Troiol fé tardar più di due ore;
infine,
essendo il ciel tutto stellato,
con
Pandar dentro se n'è ritornato.
12
E
benché se medesmo molte volte,
or
con una or con altra, il dì, avesse
isperanza
ingannato, tra le molte
voleva
Amor davver pur ch'el credesse
ad
alcuna di quelle meno stolte;
per
che da capo il suo parlar diresse
ver
Pandaro, dicendo: – Stolti siamo
che
questo giorno aspettata l'abbiamo.
13
Ella
mi disse dieci dì starebbe
col
padre, sanza più istar niente,
e
poscia in Troia se ne tornerebbe.
Il
termine è per questo dì presente,
dunque
doman venir se ne dovrebbe,
se
bene annoveriam dirittamente;
e
noi siam qui tutto dì dimorati,
tanto
n'ha fatto il disio smemorati.
14
Domattina
per tempo ritornare,
Pandar,
ci si vorrà. – E così fero.
Ma
poco valse in su e 'n giù guardare,
ch'ad
altri già l'avea dritto il pensiero;
di
che costor, dopo molto badare,
sì
come fatto avieno il dì primiero,
fatto
già notte, dentro si tornaro,
ma
ciò a Troiol fu soverchio amaro.
15
E
la speranza lieta ch'egli avea,
quasi
più non avea dove appiccarsi,
di
che con seco molto si dolea,
e
forte cominciò a rammaricarsi
e
di lei e d'Amor, né gli parea
per
cagion nulla che tanto indugiarsi
dovesse
a ritornare, avendogli essa
la
ritornata con fede promessa.
16
Ma
'l terzo e 'l quarto e 'l quinto e 'l sesto giorno,
dopo
il decimo dì, già trapassato,
sperando
e non sperando il suo ritorno,
da
Troiol fu con sospiri aspettato;
e
dopo questo, più lungo soggiorno
ancor
dalla speranza fu 'mpetrato,
e
tutto invan; costei pur non tornava,
laonde
Troiol se ne consumava.
17
Le
lagrime che erano allenate
pe'
conforti di Pandaro, e' sospiri,
tornar
sanza esser da lui rivocate,
dando
lor via i focosi disiri,
e
quelle che speranza risparmiate
aveva,
usciron doppie pe' martiri
che
'n lui gabbato più si fer cocenti
che
pria non eran, ben per ognun venti.
18
In
lui ogni disio istato antico
ritornò
nuovo, e sopr'esso lo 'nganno,
che
gli parea ricevere, e 'l nemico
spirto
di gelosia, gravoso affanno
più
ch'alcun altro e di posa mendico,
come
san quei che già provato l'hanno.
Ond'el
piangeva giorno e notte tanto,
quanto
bastavan gli occhi ed egli al pianto.
19
El
non mangiava quasi e non bevea,
sì
avea pien d'angoscia il tristo petto,
ed
oltre a questo, dormir non potea
se
non da' sospir vinto, ed in dispetto
la
vita sua e sé del tutto avea,
e
come fuoco fuggiva 'l diletto,
ed
ogni festa ed ogni compagnia
similemente
a suo poter fuggia.
20
Ed
era tal nel viso divenuto
che
piuttosto che uom pareva fera,
né
l'averia alcun riconosciuto,
sì
pallida e smarrita avea la cera;
del
corpo s'era ogni valor partuto,
e
tanta forza appena ne' membri era
che
'l sostenesse, né conforto alcuno
prender
volea che gli desse nessuno.
Priamo
e' figliuoli si maravigliano di veder Troiolo così sfigurato, né da lui qual
sia la cagion posson sapere.
21
Priamo
che 'l vedea così smarrito,
a
sé alcuna volta lui chiamava,
dicendo:
– Figlio, che hai tu sentito?
Qual
cosa è quella che tanto ti grava?
Tu
non par desso tu, sì scolorito;
che
è cagion della tua vita prava?
Dimmi,
figliuolo, tu non ti sostieni,
e
s'io discerno ben, tutto men vieni. –
22
Il
simigliante gli diceva Ettore,
Parìs
e gli altri fratelli e sorelle,
e
domandavan donde esto dolore
sì
grave avesse e per quai ree novelle.
Alli
quai tutti diceva ch'al core
si
sentia noie, ma quai fosser quelle,
niun
poteva tanto addomandare,
che
da lui più ne potesse apparare.
Vede
Troiolo in sogno Criseida essergli tolta, rammaricasi di lei con Pandaro e
vuolsi uccidere, e a gran pena è da lui ritenuto.
23
Erasi
un dì, tutto malinconoso
per
la fallita fede, ito a dormire
Troiolo,
e 'n sogno vide il periglioso
fallo
di quella che 'l facea languire:
ché
gli parea, per entro un bosco ombroso,
un
gran fracasso e spiacevol sentire;
per
che, levato il capo, gli sembrava
un
gran cinghiar veder che valicava.
24
E
poi appresso gli parve vedere
sotto
a' suoi piè Criseida, alla quale
col
grifo il cor traeva, ed al parere
di
lui, Criseida di così gran male
non
si curava, ma quasi piacere
prendea
di ciò che facea l'animale;
il
che a lui sì forte era in dispetto,
che
questo ruppe il sonno deboletto.
25
Com'el
fu desto cominciò a pensare
sopra
ciò ch'avea in sogno veduto,
e
chiaro parve a lui considerare
che
volea dir ciò che gli era apparuto,
e
prestamente si fece chiamare
Pandaro
al qual, come a lui fu venuto,
piangendo
cominciò: – Pandaro mio,
la
vita mia non piace più a Dio.
26
La
tua Criseida, oh me, m'ha ingannato,
di
cui io più che d'altra mi fidava,
ella
ha altrui il suo amor donato,
il
che più che la morte assai mi grava;
gli
dii me l'hanno nel sogno mostrato. –
E
quinci il sogno tutto gli narrava,
poi
cominciò a dir quel che volea
sì
fatto sogno, e così gli dicea:
27
–
Questo cinghiar ch'io vidi è Diomede
per
ciò che l'avolo uccise il cinghiaro
di
Calidonia, se si può dar fede
a'
nostri antichi, e sempre portaro
per
sopransegna, sì come si vede,
i
discendenti il porco. Oh me, amaro
e
vero sogno! Questo l'avrà 'l core
col
parlar tratto, cioè 'l suo amore.
28
Questo
la tien, dolente la mia vita,
sì
come aperto ancor potrai vedere,
questo
impedisce sol la sua reddita;
se
ciò non fosse, ben v'era il potere
del
ritornar, ne l'avrebbe impedita
il
vecchio padre, né altro calere;
laond'io
sono ingannato credendo,
ed
ischernito, invan lei attendendo.
29
Oh
me, Criseida, qual sottile ingegno
qual
piacer nuovo, qual vaga bellezza,
qual
cruccio verso me, qual giusto sdegno,
qual
fallo mio o qual fiera stranezza,
l'animo
tuo altiero ad altro segno
han
potuto recare? Oh me, fermezza
a
me promessa, oh me, fede e leanza
chi
v'ha gittate dalla mia amanza?
30
Oh
me, perché andar mai ti lasciai?
perché
credetti al tuo consiglio rio?
perché
con meco non te ne menai,
com'io
aveva, lasso, nel disio?
perché
li patti fatti non guastai,
come
nel cuor mi venne allora ch'io
ti
vidi render? Tu non disleale
saresti
e falsa, né io tristo aguale.
31
Io
ti credetti, e sperava per certo
santa
esser la tua fede, e le palole
essere
in ver certissimo ed aperto
più
ch'a viventi la luce del sole;
e
tu parlavi ambiguo e coperto,
sì
com'egli ora appar nelle tue fole,
ché
solamente a me non se tornata,
ma
con altro uom ti se innamorata.
32
Che
farò, Pandaro? Io mi sento un foco
di
nuovo acceso nella mente forte,
tal
ch'io non truovo nel mio pensier loco;
io
vo' con le mie man prender la morte,
ché
'n tal vita più star non saria gioco;
poi
la Fortuna a sì malvagia sorte
recato
m'ha, il morire fia diletto,
dove
il viver saria noia e dispetto. –
33
E
questo detto, corse ad un coltello,
il
qual pendea nella camera aguto,
e
per lo petto si volle con ello
dar,
se non fosse ch'el fu ritenuto
da
Pandaro lo quale il tapinello
giovane
prese, com'ebbe veduto
lui
disperar nelle parole usate,
con
sospiri e con lagrime versate.
34
Troiol
gridava: – Deh, non mi tenere,
amico
caro, io ten priego per Dio;
poi
che disposto sono a tal volere,
lascia
seguirmi il mio fiero disio,
lasciami
s' tu non vuoi prima sapere
qual
sia la morte alla qual già corr'io;
lasciami,
Pandaro, io ti feriraggio
se
non mi lasci, e poi m'uccideraggio.
35
Lasciami
tor del mondo il più dolente
corpo
che viva; lasciami, morendo,
contenta
far la nostra fraudolente
donna,
la quale ancora andrò seguendo
tra
l'ombre nere nel regno dolente;
lasciami
uccider, ché 'l viver piangendo,
peggio
è che morte. – E dicendo, sforzava
sé
per lo ferro, il qual quel gli negava.
36
Pandaro
ancora faceva romore
con
lui tenendol forte, e se non fosse
che
Troiolo era debole, il valore
di
Pandar saria vinto; tali scosse
Troiolo
dava, atato dal furore.
Pure
alla fine il ferro gli rimosse
Pandar
di mano, e lui contra 'l volere
fece
piangendo con seco sedere.
37
E
dopo amaro pianto, verso lui
con
tai parole si volse pietoso:
–
Troiolo, sempre in tal credenza fui
di
te ver me, che s'io stato fossi oso
di
domandar per me o per altrui
che
t'uccidessi, che tu animoso,
sanza
indugio nessun l'avessi fatto,
com'io
farei per te in ciascun atto.
38
E
tu a' prieghi miei non mai la morte
sozza
e spiacevol voluto fuggire,
e
s'io non fossi stato ora più forte
di
te, t'avrei qui veduto morire;
nol
mi credea, e le promesse porte
da
te a me, le mi veggio fallire,
benché
ancor tu questo ammendar puoti
se
con effetto ciò ch'io dico noti.
39
Per
quel che a me paia, tu hai concetto
che
Criseida sia di Diomede,
e
s'io ho ben raccolto ciò c'hai detto,
null'altra
cosa di ciò ti fa fede
se
non il sogno, il qual prendi in sospetto
per
l'animale il qual col dente lede,
e
sanza più voler sentirne avanti,
finir
volei con morte i tristi pianti.
40
Io
ti dissi altra volta che follia
era
ne' sogni troppo riguardare;
nessun
ne fu, né è, né giammai fia
che
possa certo ben significare,
ciò
che dormendo altrui la fantasia
con
varie forme puote dimostrare;
e
molti già credettero una cosa,
ch'altra
n'avvenne opposita e ritrosa.
41
Così
potrebbe addivenir di questo:
forse
che là dove tu l'animale
al
tuo amore interpreti molesto,
ti
fia egli utile e non farà male
sì
come stimi; parti egli atto onesto
ad
alcun uom, non che ad un reale
come
tu se', con le sue man s'uccida,
e
faccia per amor sì fatte strida?
42
Questa
cosa era in tutt'altra maniera
da
dover far, che tu non la facevi:
pria
sottilmente si volea se vera
fosse,
saper, sì come tu potevi,
e
se falsa trovata e non intera
mente
l'avessi, allora ti dovevi
dalla
fede de' sogni e dallo 'nganno
d'essi
levar, che venieno a tuo danno.
43
Se
ver trovassi che tu per altrui
da
Criseida fossi abbandonato,
non
dovevi con tutti i pensier tui
per
partito pigliar diliberato
pur
di morire, ch'io non so da cui
giammai
ne fossi se non biasimato,
ma
si voleva prender per partito
di
schernir lei com'ella ha te schernito.
44
E
se pure a morire i pensier gravi
ti
sospignean per sentir minor doglia,
non
era da pigliar ciò che pigliavi,
ch'altra
via e era a fornir cotal voglia;
e
ben te la doveano i pensier pravi
mostrar,
per ciò che davanti alla soglia
della
porta di Troia i Greci sono,
che
t'uccidran sanza chieder perdono.
45
Andremo
dunque contra i Greci armati,
quando
morir vorrai, insiememente:
quivi,
sì come giovani pregiati,
combatterem
con loro, e virilmente
loro
uccidendo, morrem vendicati,
né
vieterolti allor certanamente,
sol
ch'io m'avveggia che cagion ti mova
giusta
a voler morire in cotal prova. –
46
Troiol,
ch'ancor fremia di cruccio acceso,
quanto
potea, dolente, l'ascoltava,
e
poi che l'ebbe lungamente inteso,
qual
esso ancor doglioso lagrimava,
ver
lui si volse, il quale stava atteso
se
dall'impresa folle si mutava,
e
'n cotal guisa gli parlò piangendo,
sempre
il parlar con singhiozzi rompendo:
47
–
Pandaro, vivi di questo sicuro,
che
io son tutto tuo in ciò ch'io posso,
e
'l vivere e 'l morir non mi fia duro
come
ti piacerà, e se rimosso
da
furor fui da consiglio maturo,
poco
davanti quando tu addosso
mi
fosti per la mia propria salute,
non
sen dee ammirar la tua virtute.
48
In
tale error la subita credenza
del
tristo sogno mi fece venire;
or
men cruccioso, la mia gran fallenza
aperta
veggio e 'l mio folle disire;
ma
se tu vedi con che sperienza
di
questa sospecione il ver sentire
io
possa, dillo, per Dio ten richieggio,
ch'io
son turbato, e da me non la veggio. –
49
A
cui Pandaro disse: – Al mio parere,
con
iscrittura è da tentar costei,
però
che s'ella non t'avrà 'n calere,
non
credo che risposta abbiam da lei;
o
se l'avrem, potrem chiaro vedere,
per
le scritte parole, se tu dei
sperare
ancor nella sua ritornata,
o
s ella s'è d'altro uomo innamorata.
50
Poi
si partì, giammai non le scrivesti,
né
ella a te, ed il suo star cagione
potrebbe
tale aver, che tu diresti
che
ella avesse ben di star ragione;
e
potrebbe esser tal, che riprendresti
più
tiepidezza ch'altra offensione.
Scrivile
adunque, ché se ben lo fai,
chiaro
vedrem ciò che cercando vai. –
51
Già
incresceva a Troiol di se stesso,
per
che 'l credette volentieri, e tratto
da
parte, comandò ch'a lui adesso
da
scriver fosse dato, ed el fu fatto;
ond'egli
alguanto pensato sopr'esso
che
scrivere dovea, non come matto
incominciò,
e sanza indugio scrisse
alla
sua donna, e 'n cotal guisa disse:
Scrive
Troiolo a Criseida qual sia la cagione della vita sua, e priegala, siccome ella
promise, deggia tornare.
52
«Giovane
donna, a cui Amor mi diede
e
tuo mi tiene, e mentre sarò 'n vita
mi
terrà sempre con intera fede,
per
ciò che tu nella tua dipartita
in
miseria maggior ch'alcun non crede
qui
mi lasciasti, l'anima smarrita
si
raccomanda alla tua gran virtute,
e
mandarti non può altra salute.
53
El
non dovrà, come che divenuta
sia
quasi greca, la lettera mia
da
te ancor non esser ricevuta,
per
ciò che 'n poco tempo non s'oblia
sì
lungo amor qual tiene ed ha tenuta
nostra
amistà congiunta, la qual sia
etterna
priego, e pero prenderaila
e
'nfino alla sua fine leggeraila.
54
Se
'l servidore in caso alcun potesse
del
suo maggior dolersi, forse ch'io
avrei
ragion se di te mi dolesse,
considerando
al tuo affetto pio
la
fede data, e le molte promesse,
ed
il giurato ciascheduno iddio,
che
torneresti in fra 'l decimo giorno:
né
fra quaranta ancor fatt'hai ritorno.
55
Ma
per ciò che a me convien piacere
quanto
a te piace, rammarcar non m'oso,
ma,
quanto umile posso, il mio parere
ti
scrivo, più che mai d'amor focoso,
e
similmente il mio caldo volere,
e
la mia vita ancor, volenteroso
di
saper qual la tua vita sia stata,
poi
che tra' Greci fosti permutata.
56
Parmi,
se 'l tuo consiglio ho bene a mente,
che
potuto abbino in te le paterne
lusinghe,
o nuovo amor t'è nella mente
entrato,
o, quel che rado ci si cerne,
vecchio
divenir largo, che 'l tegnente
Calcàs
cortese sia, dove le 'nterne
tue
intenzion mi mostraro il contraro
nell'ultimo
tuo pianto e mio amaro.
57
Poi
sì lontano oltre al nostro proposto
se'
dimorata, che tornar dovevi
secondo
le promesse così tosto,
se
'l primo o 'l terzo fosse, mel dovevi
significar,
poi che sai ch'io m'accosto e
ed
accostava a ciò che tu volevi,
ché
paziente l'avre' i' comportato,
quantunque
grave assai mi fosse stato.
58
Ma
forte temo che novello amore
non
sia cagion di tua lunga dimora,
il
che se fosse mi saria dolore
maggior
ch'alcun ch'io ne provassi ancora;
e
se l'ha meritato il mio fervore
nol
dei tu avere a conoscere ora;
di
questo vivo misero in paura
tal,
che diletto e speranza mi fura.
59
Questa
paura dispietate stride
trarre
mi fa, quando vorrei posarmi;
questa
paura sola mi conquide
dentro
al pensiero, ond'io non so che farmi;
questa
paura, oh me lasso, m'uccide,
né
so né posso più da lei atarmi;
questa
paura m'ha recato in parte,
ch'a
Vener non sono util né a Marte.
60
Gli
occhi dolenti, dopo il tuo partire,
di
lagrimar non ristetter giammai;
mangiar
né ber, riposar né dormire
poi
non potei; ma sempre ho tratto guai,
e
quel che più della mia bocca udire
s'è
potuto, è nomarti sempre mai
o
chiamar te od Amor per conforto;
per
questo sol cred'io ch'io non sia morto.
61
Ben
puoi omai pensar quel ch'io farei
se
certo fossi di quel c'ho dottanza:
certo
mi credo ch'io m'ucciderei
di
te sentendo sì fatta fallanza;
ed
a che far da poi ci viverei
ch'io
avessi perduta la speranza
di
te, anima mia, cui io attendo
per
sola pace, in lagrime vivendo?
62
Li
dolci canti e le brigate oneste,
gli
uccelli, e cani e l'andar sollazzando,
le
vaghe donne, i templi e le gran feste
che
per addietro soleva ir cercando,
fuggo
ora tutte, e sonmi, oh me, moleste,
qualora
vengo con meco pensando
che
tu di qui dimori ora lontana,
dolce
mio bene, e speme mia sovrana.
63
Li
fior dipinti e la novella erbetta,
che'
prati fan di ben mille colori,
non
posson trarre a sé l'alma ristretta,
donna,
per te, negli amorosi ardori;
sol
quella parte del ciel mi diletta,
sotto
la quale or credo che dimori,
quella
riguardo, e dico: “Quella vede
ora
colei da cui spero mercede”.
64
Io
guardo i monti che d'intorno stanno
al
luogo che da me ti tien nascosa,
e
sospirando dico: “Coloro hanno,
sanza
sentirla, la vista amorosa
degli
occhi vaghi, per la quale affanno
lontano
ad essi in vita assai noiosa;
or
foss'io un di loro, o sopra un d'essi
or
dimorass'io, sì ch'io la vedessi”.
65
Io
guardo l'onde discendenti al mare
al
qual tu ora dimori vicina,
e
dico: “Quelle, dopo alquanto andare,
quivi
verranno dove la divina
luce
degli occhi miei n'è gita a stare,
e
da lei fien vedute; oh me, tapina
la
vita mia, perché 'n loco di quelle
andar
non posso sì come fanno elle?”
66
Se
'l sol discende, con invidia 'l miro
perché
mi par che vago del mio bene
cioè
di te, tirato dal disiro,
più
che l'usato tosto se ne vene
a
rivederti, e dopo alcun sospiro,
mi
viene in odio, e cresce le mie pelle;
ond'io
temendo ch'el non mi ti tolga
la
notte priego che tosto giù 'l volga.
67
L'udir
talvolta nominare il loco
dove
dimori, o talvolta vedere
chi
di là venga, mi raccende il foco
nel
cor mancato per troppo dolere,
e
par ch'io senta alcun nascoso gioco
nell'anima
legata dal piacere,
e
meco dico. “Quindi venissi io
onde
quel viene, o dolce mio disio!”.
68
Ma
tu che fai tra' cavalieri armati,
tra
gli uomin bellicosi, tra i romori,
sotto
le tende in mezzo degli agguati,
sovente
spaventata da' furori,
dal
suon dell'armi e dalle tempestati
marine,
a cui vicina ora dimori?
Non
t'è el, donna mia, gravosa noia,
ch'esser
solei sì dilicata in Troia?
69
Io
ho nel ver di te compassione
più
che non ho di me, sì com'io deggio;
ritorna
dunque, e la tua promissione
intera
fa, prima ch'io caggia in peggio;
io
ti perdono ogni mia offensione
per
dimoranza fatta, e non ne cheggio
ammenda,
fuor vedere il tuo bel viso,
nel
quale è sol tutto il mio paradiso.
70
Deh,
io ten priego per quella vaghezza
che
me di te e te di me già prese,
e
similmente per quella dolcezza
che
li cuor nostri parimente accese,
e
poi appresso per quella bellezza
la
qual possiedi, donna mia cortese,
per
li sospiri e pe' pietosi pianti
che
noi facemmo insieme già cotanti;
71
pe'
dolci baci e per quello abbracciare
che
già ne tenne insieme tanto stretti,
per
la gran festa e 'l dolce ragionare,
che
più lieti facea nostri diletti,
per
quella fede ancor la qual prestare
ti
piacque già ne' lagrimosi detti,
quando
l'ultima volta ci partimmo,
né
più insieme appresso poi reddimmo;
72
che
di me ti ricordi, e che tu torni.
E
se per avventura se' 'mpedita,
mi
scrivi chi dopo li dieci giorni
t'ha
ritenuta di qui far reddita.
Deh,
non sia grave a' tuoi parlari adorni,
in
questo almen contenta la mia vita,
e
'n dirmi se io deggio più di spene
in
te avere omai, dolce mio bene.
73
Se
mi darai speranza, aspetteraggio,
come
che mi sia grave oltre misura;
se
tu la mi torra', m'uccideraggio,
e
darò fine alla mia vita dura;
ma
come che si sia mio il dannaggio,
la
vergogna fia tua, ch'a sì oscura
morte
recato avrai un tuo suggetto,
non
avendo el commesso alcun difetto.
74
Perdona
se nell'ordine dettando
io
ho fallito, o se di macchie piena
forse
vedi la lettera ch'io mando:
che
dell'uno e dell'altro la mia pena
n'è
gran cagion, però che lagrimando
vivo
e dimoro, né le mi raffrena
nullo
accidente; dunque son dolenti
lagrime
queste macchie sì soventi.
75
E
più non dico, ben ch'a dire assai
ancor
mi resti, se non che ne vegni;
deh,
fallo, anima mia, ché tu potrai,
se
pur quanto tu sai tu te ne 'ngegni.
Oh
me, che tu non mi conoscerai,
tal
son tornato ne' dolor malegni!
Né
più ti dico se non Dio sia teco,
e
tosto faccia te esser con meco».
76
Quinci
la diede a Pandar suggellata,
che
la mandò; e la risposta invano
da
essi fu per più giorni aspettata:
onde
il dolor di Troiol più che umano
perseverò,
e fugli raffermata
l'oppinion
del sogno suo non sano;
non
però tanto ch'el non isperasse
che
pure ancor Criseida l'amasse.
Deifobo
s'accorge della cagione del dolore di Troiolo, inanimalo alle future battaglie,
e a' fratelli manfesta quello che ha sentito.
77
Di
giorno in giorno il suo dolor crescea
mancando
la speranza, onde a giacere
porsi
convenne, ché più non potea;
ma
pur per caso un dì 'l venne a vedere
Deifobo,
a cui molto ben volea,
il
qual non vedendo el, nel suo dolere,
–
Criseida – a dir cominciò pianamente –
deh,
non mi far morir tanto dolente. –
78
Deifobo
s'accorse allor che quello
fosse
che lo strignea, e fatta vista
d'udito
non l'aver, disse: – Fratello,
ché
non conforti omai l'anima trista?
Il
tempo gaio ne viene e fassi bello,
rinverdiscono
i prati, e lieta vista
danno
di sé, e 'l dì è già venuto
che
della triegua il termine è compiuto,
79
sì
che 'l nostro valore al modo usato
potrem
nell'armi a' Greci far sentire:
non
vuoi tu più con noi venire armato,
che
'l primo solevi essere al ferire,
e
come pro' da loro esser dottato
tanto,
ch'avanti a te tutti fuggire
gli
solei fare? Ettòr n'ha già commossi,
che
doman siam con lui di fuor da' fossi.
80
Quale
il lion famelico, cercando
per
preda, faticato si riposa,
subito
su si leva, i crin vibrando,
se
cervo o toro sente, od altra cosa
che
gli appetisca, sol quella bramando;
tal
Troiol udendo la guerra dubbiosa
ricominciarsi,
subito vigore
gli
corse dentro allo 'nfiammato core.
81
E
'l capo alzato disse: – Fratel mio,
io
son nel vero alquanto deboletto,
ma
io ho della guerra tal disio,
che
rinforzato tosto d'esto letto
mi
levero, e giuroti, se io
mai
combattei con duro e forte petto
contra
li Greci, or più combatteraggio
ch'ancor
facessi, in sì grand'odio gli aggio. –
82
Intese
ben Deifobo ove gieno
quelle
parole, e confortollo assai,
dicendogli
che e' l'aspetterieno,
per
ciò non s'induggiasse più omai
al
suo conforto, ed addio si dicieno.
Troiol
rimase con gli usati guai,
Deifobo
a' fratei sen venne ratto,
ed
ebbe a lor tutto contato il fatto.
83
Il
che essi credetter prestamente
per
atti già veduti, e per non farlo
tristo
di ciò, di non dirne niente
fra
sé diliberaro, e d'aiutarlo;
per
ch'alle donne loro incontanente
fer
dir ch'ognuna fosse a visitarlo
con
suoni e cantator, e fargli festa
sì
ch'obliasse la vita molesta.
Le
troiane donne reali visitano Troiolo il quale Cassandra riprende, ed egli lei,
commendando Criseida, duramente rimorde.
84
In
poco d'or la sua camera piena
di
donne fu e di suoni e di canti;
dall'una
parte gli era Polissena
ch'un'angiola
pareva ne' sembianti,
dall'altra
gli sedea la bella Elena,
Cassandra
ancora gli stava davanti,
Ecuba
v'era ed Andromaca, e molte
di
lui cognate e parenti raccolte.
85
Ciascuna
a suo potere il confortava,
e
tale il domandava che sentia;
esso
non rispondea, ma riguardava
or
l'una or l'altra, e nella mente pia
di
Criseida sua si ricordava,
né
più che con sospir ciò discopria;
e
pur sentiva alquanto di dolcezza,
e
per li suoni e per la lor bellezza.
86
Cassandra,
che per caso aveva udito
ciò
ch'a' fratei Deifobo avea detto,
quasi
schernendolo che sì smarrito
si
dimostrava, ed era nel cospetto,
disse:
– Fratel, per te mal fu sentito,
si
come io m'accorgo, il maladetto
amor,
per cui disfatti esser dobbiamo,
come
veder, se noi volem, possiamo.
87
E
poi che pur così doveva andare,
di
nobil donna fostù 'nnamorato!
ma
condotto ti se' a consumare
per
la figlia d'un prete scellerato,
e
mal vissuto e di picciolo affare.
Ecco
figliuol d'alto re onorato,
che
'n pena e n pianto mena la sua vita,
perché
da lui Criseida s'è partita! –
88
Turbossi
Troiol la novella udendo,
sì
perch'udiva dispregiar colei
la
qual el più amava, e sì sentendo
che
'l suo segreto agli orecchi a costei
pervenuto
era, il come non sapendo;
pensò
che per risponso degli dei
ella
il sapesse; non per tanto disse:
«Ver
parria questo se io mi tacesse».
89
E
cominciò: – Cassandra, il tuo volere
ogni
segreto, più che l'altra gente,
con
tue maginazioni antivedere,
t'ha
molte volte già fatta dolente;
forse
più senno ti saria 'l tacere,
che
sì parlare scapestratamente:
tu
gitti innanzi a tutti i tuoi sermoni,
né
so che di Criseida ti ragioni.
90
Per
che, vedendo te soprabbondare,
io
vo' far quello ch'io non feci ancora,
cioè
la tua bestialità mostrare:
tu
di' che per Criseida mi scolora
soverchio
amore, e vuoilmi rivoltare
in
gran vergogna, ma infino ad ora
non
t'ha di questo il vero assai mostrato
il
tuo Apollo, il qual di' c'hai gabbato.
91
Per
tale amor Criseida giammai
non
mi fu in piacer, né credo sia
nessuno
al mondo né che fosse mai
ch'ardisse
a sostener questa bugia;
e
se, sì come tu dicendo vai,
ver
fosse, giuro per la fede mia,
mai
non l'avrei di qui lasciata gire;
prima
ne avria Priam fatto morire.
92
Non
che io credo che l'avria sofferto,
come
sofferse che Parìs Elena
rapisse,
onde abbiam ora cotal merto;
per
ciò la lingua tua pronta raffrena.
Ma
pognam pur che così fosse certo
ch'io
per lei fossi in questa grave pena:
perché
non è Criseida in ciascun atto
degna
d'ogni alto uomo, qual vuoi sia fatto?
93
Io
non vo' ragionar della bellezza
di
lei che al giudicio di ciascuno
trapassa
quella della somma altezza,
per
ciò che fior caduto è tosto bruno;
ma
vegnam pure alla sua gentilezza,
la
qual tu biasmi tanto, e qui ognuno
consenta
il ver s'io dico ed altri il nieghi,
ma
il perché il priego ch'egli alleghi.
94
E
gentilezza dovunque è virtute,
questo
non niegherà alcun che senta,
ed
elle sono in lei tutte vedute
se
dall'opra l'effetto s'argomenta;
ma
pur partitamente a tal salute
è
da venir, sol per lasciar contenta
costei
che tanto d'ogni gente parla,
sanza
saper che sia quel ch'ella ciarla.
95
Se
non m'inganna forte la veduta,
e
quel ch'altri ne dice, più onesta
di
costei nulla ne fia o è suta,
e
se 'l ver odo, sobria e modesta
è
oltre all'altre, e certo la paruta
di
lei 'l dimostra; e similmente è questa
tacita
ove conviensi e vergognosa,
che
'n donna è segno di nobile cosa.
96
Appar
negli atti suoi la discrezione,
e
nel suo ragionar, il quale è tanto
saldo
e sentito e pien d'ogni ragione;
ed
io ne vidi in parte uguanno quanto
fosse,
in la scusa della tradizione
fatta
per lei del padre: e nel suo pianto,
del
suo altiero e ben reale sdegno
con
decenti parole diede segno.
97
I
suoi costumi sono assai palesi,
e
perciò non mi par ch'abbin mestiere
né
d'altrui né da me esser difesi;
né
credo in questa terra cavaliere,
e
siencen quanti voglian de' cortesi,
cui
non mattasse in mezzo lo scacchiere,
di
cortesia e di magnificenza,
sol
che 'n ciò far le basti la potenza.
98
Ed
io il so che già istato sono
dov'ella
me ed altri ha onorati
sì
altamente, che in real trono
ne
seggon molti alli quali impacciati
parria
essere stati, e 'n abbandono,
sì
come vili, n'avien tralasciati.
Se
ella è stata qui sempre pudica,
la
fama sua laudevole lo dica.
99
Che
più, donna Cassandra, chiederete
in
donna omai? il sangue tuo reale?
Non
son re tutti quelli a cui vedete
corona
o scettro o vesta imperiale;
assai
fiate udito già l'avete:
re
è colui il qual per virtù vale,
non
per potenza; e se costei potesse,
non
cre' tu ch'ella come tu reggesse?
100
Ben
sapria meglio assai che tu tenerla,
io
dico, s' tu m'intendi, la corona,
né
saria qual se' tu, donna baderla,
che
dai di morso a ciascuna persona;
degno
m'avesse Dio fatto d'averla
per
donna, sì come fra voi si suona,
ch'io
mi terrei in grandissimo pregio
ciò
che donna Cassandra tien dispregio.
101
Or
via andate con mala ventura,
poi
non sapete ragionar; filate,
e
correggete la vostra bruttura,
e
le virtù d altrui stare lasciate.
Ecco
dolore, ecco nuova sciagura,
che
una pazza per sua vanitate
quello
ch'è da lodar riprender vuole,
e
s'ascoltata non è, ne le duole. –
102
Cassandra
tacque, e volentieri stata
esser
vorrebbe altrove quella volta,
e
tra le donne si fu mescolata
sanz'altro
dire; e come gli fu tolta
dal
viso, così tosto ne fu andata
al
palagio real, né mai più volta
per
visitarlo dievvi: non fu ella
sì
ben veduta ed ascoltata in quella.
103
Ecuba,
Elena, e l'altre commendaro
ciò
ch'avea detto Troiol, e dopo un poco
piacevolmente
tutte il confortaro
e
con parole e con festa e con gioco;
e
quindi insieme tutte se n'andaro,
ciascheduna
tornandosi al suo loco,
e
poi più volte il visitaro ancora,
mentre
in sul letto debol fé dimora.
104
Troiolo
sì per lo continuare
d'essere
in doglia, divenne possente
con
pazienza quella a comportare,
e
sì ancora per l'animo ardente
che
contro a' Greci aveva di mostrare
la
sua virtù, gli fece prestamente
le
forze racquistar ch'avea perdute
per
le troppo agre pene sostenute.
105
Ed
oltre a ciò Criseida gli avea scritto
e
mostrato d'amarlo più che mai,
e
false scuse al suo tanto star fitto,
sanza
tornare, aveva indotte assai,
e
domandato ancor nuovo rispitto
al
suo tornar che non dovea giammai
essere;
ed el l'avea dato, sperando
di
rivederla, ma non sapea quando.
106
E
'n più battaglie poi con gli avversari
fatte,
mostrò quanto in arme valea,
e'
suoi sospiri e gli altri pianti amari
che
per loro operare avuti avea,
oltre
ogni stima li vendea lor cari,
non
però quanto l'ira sua volea;
ma
morte poi, ch'ogni cosa disface,
amore
e la sua guerra pose in pace.
PARTE
OTTAVA
Qui
comincia l'ottava parte del Filostrato, nella quale primieramente Troiolo con
lettere e con ambasciate ritenta Criseida, la quale il mena per parole;
appresso, per un vestimento tratto da Deifobo a Diomede, conosce Troiolo, a un
fermaglio il quale v'era, Criseida esser di Diomede; duolsene con Pandaro e del
tutto si dispera, e ultimamente ucciso da Achille finiscono i suoi dolori.
E
primamente Troiolo con lettere e con ambasciate ritenta la fede e l'amore di
Criseida.
1
Egli
era, com'è detto, a sofferire
già
adusato, e più nel fece forte
l'alto
dolor, da non poter mai dire,
che
'l padre, ed egli e' fratei per la morte
ebber
d'Ettòr, nel cui sovrano ardire
e
le fortezze e le mura e le porte
credien
di Troia, il qual lunga stagione
li
tenne in pianto ed in tribulazione.
2
Ma
non per ciò amor si dipartia,
come
ch'assai mancasse la speranza;
anzi
cercava in ogni modo e via,
come
suole esser degli amanti usanza,
di
poter riaver, qual solea pria,
la
dolce sua ed unica intendanza;
lei
del non ritornar sempre scusando,
per
non poter ciò essere stimando.
3
Ei
le mandò più lettere, scrivendo
quel
che sentia per lei la notte e 'l giorno,
e
'l dolce tempo a mente riducendo,
e
la fede promessa del ritorno,
spesse
fiate ancora riprendendo
cortesemente
il suo lungo soggiorno;
mandovvi
Pandar, qualora tra essi
o
triegue o patti alcun furon promessi.
4
Ed
el similmente ebbe in pensiero
ancor
più volte di volervi andare,
di
pellegrino in abito leggero,
ma
sì non si sapeva contraffare
che
gli paresse assai coprire il vero,
né
scusa degna sapeva trovare
da
dir, se fosse stato conosciuto
in
abito cotanto disparuto.
5
Né
altro aveva da lei che parole
belle
e promesse grandi sanza effetto,
onde
a presumer cominciò che fole
eran
tututte, ed a prender sospetto
di
ciò che era ver, sì come suole
spesso
avvenire a chi sanza difetto
riguarda
in fra le cose c'ha per mano;
per
che non fu il suo sospetto vano.
6
E
ben conobbe che novello amore
era
cagion di tante e tai bugie,
seco
affermando che giammai nel core
né
paterne lusinghe mai, né pie
carezze
avuto avrien tanto valore;
né
gli era luogo a veder per quai vie
più
s'accertasse di ciò che mostrato
già
gli aveva il suo sogno sventurato.
7
Al
quale amor raccorciata la fede
aveva
molto, sì com'egli avviene
che
colui ch'ama mal volentier crede
cosa
ch'accresca amando le sue pene;
ma
che pur fosse ver di Diomede,
come
pria sospettò, fé ne gli fene
non
molto poi un caso, che gli tolse
ciascuna
scusa, ed a creder lo volse.
Mostrava
Deifobo per Troia un vestimento da lui tratto nella battaglia a Diomede, nel
quale Troiolo conobbe un fermaglio da lui donato a Criseida.
8
Stavasi
Troiol non sanza tormento
del
suo amore timido e sospeso,
quand'egli
udì, dopo un combattimento
tra
li Greci e' Troiani assai disteso
fatto,
con uno ornato vestimento,
a
Diomede gravemente offeso
tratto,
tornar Deifobo pomposo
di
cotal preda, e seco assai gioioso.
9
E
mentre che portarlosi davanti
facea
per Troia, Troiol sopravvenne,
e
molto il commendò fra tutti quanti,
e
per vederlo meglio alquanto il tenne;
e
mentre e' rimirava, gli occhi erranti
or
qua or là d'intorno a tutto, avvenne
che
esso vide nel petto un fermaglio
d'oro,
lì posto forse per fibbiaglio.
10
Il
quale esso conobbe incontanente,
sì
come quei che l'aveva donato
a
Criseida, allora che dolente
partendosi
da lei, preso commiato
quella
mattina avea ch'ultimamente
era
la notte con lei dimorato;
laonde
disse: – Io veggio pur ch'è vero
il
sogno ed il sospetto e 'l mio pensiero. –
Troiolo
si duole insieme con Pandaro dello inganno di Criseida, il quale apertamente è
conosciuto.
11
Quindi
partito, Troiolo chiamare
Pandar
si fé, il quale a lui venuto,
si
cominciò con pianto a rammarcare
del
lungo amore il quale avea tenuto
a
Criseida sua, ed a mostrare
aperto
il tradimento ricevuto
gli
cominciò, dolendosene forte,
sol
per ristoro chiedendo la morte.
12
E
cominciò così piangendo a dire:
–
O Criseida mia, dov'è la fede,
dov'è
l'amor, dov'è ora il disire,
dov'è
la tanto gridata mercede
da
te a Dio, oh me, nel tuo partire?
Ogni
cosa possiede Diomede,
ed
io, che più t'amai, per lo tuo 'nganno
rimaso
sono in pianto ed in affanno.
13
Chi
crederà omai a nessun giuro,
chi
ad amor, chi a femmina omai,
ben
riguardando il tuo falso spergiuro?
Oh
me, che io non so, né pensai mai
che
tanto avessi il cuor rigido e duro,
che
per altr'uom io t'uscissi giammai
dell'animo,
che più che me t'amava,
ed
ingannato sempre t'aspettava.
14
Or
non avevi tu altro gioiello
da
poter dare al tuo novello amante,
io
dico a Diomede, se non quello
ch'io
t'avea dato con lagrime tante
in
rimembranza di me tapinello,
mentre
con Calcas fossi dimorante?
Null'altro
far tel fé se non dispetto,
e
per mostrar ben chiaro il tuo 'ntelletto.
15
Del
tutto veggio che m'hai discacciato
del
petto tuo, ed io oltre mia voglia
nel
mio ancora tengo effigiato
il
tuo bel viso con noiosa doglia.
Oh,
lasso me, che 'n malora fui nato!
Questo
pensier m'uccide e mi dispoglia
d'ogni
speranza di futura gioia,
e
cagion èmmi d'angoscia e di noia.
16
Tu
m'hai cacciato a torto della mente,
là
dov'io dimorar sempre credea,
e
nel mio luogo hai posto falsamente
Diomedès;
ma per Venere dea
ti
giuro, tosto ten farò dolente
con
la mia spada alla prima mislea,
se
egli avviene ch'io 'l possa trovare,
purché
con forza il possa soprastare.
17
O
el m'ucciderà, e fieti caro,
ma
spero pur la divina giustizia
rispetto
avrà al mio dolore amaro,
e
similmente alla tua gran nequizia.
O
sommo Giove, in cui certo riparo
so
c'ha ragione, e da cui tutta inizia
l'alta
virtù per cui si vive e move,
son
li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
18
Che
fanno le tue folgori ferventi?
Riposansi
elle, o più gli occhi non tieni
volti
a' difetti delle umane genti?
O
vero lume, o lucidi sereni,
pe'
quai s'allegran le terreni menti,
togliete
via colei nelli cui seni
bugie
e 'nganni e tradimenti sono,
né
più la fate degna di perdono.
19
O
Pandar mio, che ne sogni aver fede
m'hai
biasimato con cotanta istanza,
or
puoi veder ciò che per lor si vede,
la
tua Criseida te ne fa certanza:
hanno
gli dei di noi mortal mercede,
ed
in diverse guise dimostranza
ci
fan di quello ch'è a noi ignoto,
per
nostro bene spesse volte noto.
20
E
questo è l'un de' modi che dormendo
talor
si mostra, io me ne sono accorto
molte
fiate già mente tenendo;
or
vorre' io allor essermi morto,
da
poi che per innanzi non attendo
sollazzo,
gioia, piacer né diporto;
ma
per lo tuo consiglio vo' 'ndugiarmi
a
morir co' nemici miei nell'armi.
21
Mandimi
Dio Diomedès davanti
la
prima volta ch'i' esco alla battaglia;
questo
disio tra li miei guai cotanti,
sì
ch'io provar gli faccia come taglia
la
spada mia, e lui morir con pianti
nel
campo faccia, e poi non me ne caglia
che
mi s'uccida, sol ch'io muoia, e lui
misero
truovi nelli regni bui. –
22
Pandaro
con dolor tutto ascoltava,
e
ver sentendol, non sapea che dirsi,
e
d'una parte a star quivi il tirava
dell'amico
l'amor, d'altra a partirsi
vergogna
spesse volte lo 'nvitava
pel
fallo di Criseida, e spedirsi
qual
far dovesse seco non sapea,
e
l'uno e l'altro forte gli dolea.
23
Alla
fine così disse piangendo:
–
Troiol, non so che mi ti debba dire;
lei
quant'io posso tanto più riprendo,
s'è
come di', e del suo gran fallire
niuna
scusa avanti far ne 'ntendo,
né
mai dov'ella sia più voler gire;
ciò
ch'io fei già il fei per tuo amore,
lasciando
addietro ciascun mio onore.
24
E
s'io ti piacqui, assai m'è grazioso;
di
quel ch'or fassi altro non posso fare
e
come tu così ne son cruccioso,
e
s'io vedessi il modo d'ammendare,
abbi
per certo, io ne sarei studioso:
faccialo
Dio che può ciò che gli pare,
priegol
io quanto posso ch'El punisca
lei
sì che più 'n tal guisa non fallisca. –
Cerca
Troiolo di Diomede nella battaglia, diconsi villania e ultimamente Troiolo è da
Achille ucciso.
25
Grandi
furo i lamenti e 'l rammarchio,
ma
pur fortuna suo corso facea;
colei
amava con tutto il disio
Diomedès,
e Troiolo piangea;
Diomedès
si lodava di Dio,
e
Troiolo il contrario si dolea;
nelle
battaglie Troiol sempre entrava,
e
più d'altrui Diomedès cercava.
26
E
spesse volte insieme s'avvisaro
con
rimproveri cattivi e villani,
e
di gran colpi fra lor si donaro,
talvolta
urtando, e talor nelle mani
la
spada avendo, vendendosi caro
insieme
molto il loro amor non sani;
ma
non avea la Fortuna disposto
che
l'un dell'altro fornisse il proposto.
27
L'ira
di Troiolo in tempi diversi
a'
Greci nocque molto sanza fallo,
tanto
che pochi ne gli uscieno avversi
che
non cacciasse morti del cavallo,
sol
che ei l'attendesser, sì perversi
colpi
donava; e dopo lungo stallo,
avendone
gia morti più di mille,
miseramente
un dì l'uccise Achille.
28
Cotal
fine ebbe il mal concetto amore
di
Troiolo in Criseida, e cotale
fine
ebbe il miserabile dolore
di
lui al qual non fu mai altro eguale;
cotal
fine ebbe il lucido splendore
che
lui servava al solio reale;
cotal
fine ebbe la speranza vana
di
Troiolo in Criseida villana.
Parla
l'autore a' giovani amadori assai brevemente, mostrando più nelle mature che
nelle giovinette donne porre amore.
29
O
giovinetti, ne' quai con l'etate
surgendo
vien l'amoroso disio,
per
Dio vi priego che voi raffreniate
i
pronti passi all'appetito rio,
e
nell'amor di Troiol vi specchiate
il
qual dimostra suso il verso mio;
per
che, se ben col cuor gli leggerete
non
di leggieri a tutte crederete.
30
Giovane
donna, e mobile e vogliosa
è
negli amanti molti, e sua bellezza
estima
più ch'allo specchio, e pomposa
ha
vanagloria di sua giovinezza,
la
qual quanto piacevole e vezzosa
è
più, cotanto più seco l'apprezza;
virtù
non sente né conoscimento,
volubil
sempre come foglia al vento.
31
E
molte ancor perché d'alto lignaggio
discese
sono, e sanno annoverare
gli
avoli lor, si credon che vantaggio
deggiano
aver dall'altre nell'amare,
e
pensan che costume sia oltraggio,
torcere
il naso, e dispettose andare;
queste
schifate ed abbiatele a vili,
ché
bestie son, non son donne gentili.
32
Perfetta
donna ha più fermo disire
d'essere
amata, e d'amar si diletta;
discerne
e vede ciò ch'è da fuggire,
lascia
ed elegge provvida, ed aspetta
le
promission; queste son da seguire,
ma
non si vuol però scegliere in fretta,
ché
non son tutte sagge perché sieno
più
attempate, e quelle vaglion meno.
33
Dunque
siate avveduti, e compassione
di
Troiolo e di voi insiememente
abbiate,
e fia ben fatto; ed orazione
per
lui fate ad Amor pietosamente,
che
'l posi in pace in quella regione
dov'el
dimora, ed a voi dolcemente
conceda
grazia sl d'amare accorti,
che
per rea donna al fin non siate morti.
PARTE
NONA
Qui
comincia la nona parte del Filostrato e l'ultima, nella quale l'autore parte
all'opera sua e imponi a cui e con cui deggia e quello deggia fare, e fine.
1
Sogliono
i lieti tempi esser cagione
di
dolci versi, canzon mia pietosa,
ma
te nella mia grave afflizione
ha
tratto amor dell'anima dogliosa
contra
natura, né ne so ragione
se
non venisse da virtù nascosa,
spirata
e mossa dal sommo valore
di
nostra donna nel trafitto core.
2
Costei,
sì com'io so, ché spesso il sento,
mi
può far nulla e molto da più fare
che
io non sono, e quinci l'argomento
della
cagion del tuo lungo parlare
credo
che nasca, ed io me ne contento
che
più da ciò che dalle doglie amare
venuto
sia; ma che si sia stato,
noi
siamo al fine da me disiato.
3
Noi
siam venuti al porto, il qual cercando
ora
fra scogli ed or per mare aperto,
con
zefiro e con turbo navigando,
andati
siam, seguendo per lo 'ncerto
pelago
l'alta luce e 'l venerando
segno
di quella stella, che esperto
fa
ogni mio pensiero al fin dovuto,
e
fé poi che da me fu conosciuto.
4
Estimo
dunque che l'ancore sieno
qui
da gittare, e far fine al cammino,
e
quelle grazie con effetto pieno,
che
render dee il grato pellegrino,
a
chi guidati n'ha qui rendereno;
e
sopra il lito, ch'ora n'è vicino,
le
debite ghirlande e gli altri onori
porremo
al legno delli nostri amori.
5
Poi
tu, posata alquanto, te n'andrai
alla
donna gentil della mia mente:
oh,
te felice che la vederai,
quel
ch'io non posso far, lasso dolente!
E
come tu nelle sue man sarai
con
festa ricevuta, umilemente
mi
raccomanda all'alta sua virtute,
la
qual sola mi può render salute.
6
E
nell'abito appresso lagrimoso
nel
qual tu se', ti priego le dichiari
negli
altrui danni il mio viver noioso,
li
guai e li sospiri e' pianti amari
ne
quali stato sono e sto doglioso,
poi
che de' suoi begli occhi i raggi chiari
mi
s'occultaron per la sua partenza,
ché
lieto sol vivea di lor presenza.
7
Se
tu la vedi ad ascoltarti pia
nell'angelico
aspetto punto farsi,
o
sospirar della fatica mia,
priegala
quanto puoi che ritornarsi
omai
le piaccia, o comandar che via
da
me l'anima deggia dileguarsi,
per
ciò che dove ch'ella ne deggia ire,
me'
che tal vita m'è troppo il morire.
8
Ma
guarda che così alta ambasciata
non
facci sanza Amor, ché tu saresti
per
avventura assai male accettata,
ed
anche ben sanza lui non sapresti;
se
seco vai, sarai, credo, onorata.
Or
va', ch'io priego Apollo che ti presti
tanto
di grazia ch'ascoltata sii,
e
con risposta lieta a me t'invii.