DELLA
GENEOLOGIA
DEGLI DEI
DI M. GIOVANNI
BOCCACCIO
LIBRI QVINDECI
Ne'quali si tratta
dell'Origine, & discendenza di tutti gli Dei de' Gentili.
Con la spositione de'
sensi allegorici delle Favole: & dichiaratione dell'Historie appartenenti à
detta materia.
TRADOTTA GIÀ PER M
GIOSEPPE BETVSSI.
Et hora di nuovo con
ogni diligenza revista, & corretta.
Aggiuntavi la vita di M.
Giovanni Boccaccio, con le Tavole de' Capitoli, & di tutte le cose degne di
memoria.
Dedicata all'Illustre
Signor
BONIFACIO PAPAFAVA
In Venetia per il
Valentini MDCXXVII
CON PRIVILEGIO.
LA Geneologia de' Dei già dall'Eccellentiss.
Boccaccio descritta, & per la materia, di che tratta famosa, & per
l'eminenza dell'Autore, che l'ha composta, singolare; essendo già da' morsi del
tempo, che tutto lacera, & consuma, quasi logorata, & guasta; si che
appresso gli uomini appena più si ricordava; volendo io, & per ornar le mie
stampe di cosi nobil'opera, & per non lasciar un tanto tesoro dimenticato,
trarla dalle tenebre dell'oblivione alla luce della reminiscenza; non ho saputo
à più sicuro bisogno di V.S. Illustriss. appoggiarla. Laquale, avvenga, che di
presenza io non la conosca, vola ad ogni modo cosi altamente il grido della
nobiltà, & graNdezza cosi della famiglia, traendo particolarmente l'origine
dalla Illustrissima Casa de Signori di Carrara, come de' proprij suoi meriti,
che non solo me, che nulla sono, & nulla vaglio, ha reso riverente a' suoi
honori, & divoto alla sua grandezza; ma gli Prencipi grandi à desiderar
l'amicitia, & accomunare con lei le proprie grandezze., che però l'Altezza
del Sereniss di Mantova si ha compiacciuto di annoverarla tra suoi Cavalieri
del Redentore co'l colare nobilissimo di quella Religione arricchendola
d'infiniti privilegij, de' quali questa breve lettera non è capace; Come ne
della parentella per via di matrimonio contratti con l'illustriss. Casa Pesaro:
ne meno delle grandezze del'illustriss. Sig suo Padre (per star ne limiti
vicini della famiglia) Cavalier nobilissimo, Priore della religione di S.
Stefano appretto il gran Duca di Toscana. Indi dal'illustriss. Sig.
Ambasciatore di Francia appresso la Sereniss. Republica Veneta a nOme del Re
Christianissimo honorato del vero, e gran colare di S. Michele. Nè tan poco de
gl'illustrissimi Signori suoi fratelli, l'uno Cavalier di S.Marco, che ora gode
i primi; & principali honori della sua Patria, l'altro Vescovo d'Adria, e
di Rovigo, & Abbate di Sebenico, un'altro apparentato con i primi Prencipi
(per la moglie) d'Alemagna; un'altro Cavalier di Malta vicino per i suoi meriti
alla commenda, & alla gran Croce, di maniera, che se vorressimo andar
ricercando per la famiglia antichissima; & numerosissima la trovaremmo
ricca non solo di palme, di mitre, d'armi, e di Spoglie nobilissime, ma di
scettri, e di corone, degni più tosto di Bronzi, e di Marmi, d'inchiostri
finissimi, & di penne sovrane, che d'una letteRa d'un minimo suo servitore.
Il quale viene solo a supplicarla, ricever in grado nel picciol dono di
quest'opera il grande desiderio, che tiene di servirla; Et come le dedica il
Libro, cosi le dona se stesso in perpetuo serviggio, pregandole da N.S.
l'adempimento de' suoi alti, & nobilissimi pensieri, riverentemente le
bacia le mani.
Venetia il
dì 18. Marzo M DC XXVII.
Di V.S,
Illustrissima
Servitore
humilissimo
Giorgio
Valentini
PARRÀ forse
istrano ad alcuno, c'havendo io prima nel libro delle Donne illustri del
presente autore, & poscia M. Francesco Sansovino inanzi il Decamerone da
lui corretto, & in molte parti adornato, et ridotto a perfettione,
descritto la vita del Boccaccio, hora di nuovo io mi sia messo quella nella
fronte di questi libri locare, il che però cosi non deve parere, conciosia, che
non senza ragione a ciò mi sono mosso.
Primamente alcuno non ha a dubitare che, colui il quale otioso, &
indarno vivere non vuole, ogni giorno appara, & vede qualche cosa di piu,
di che la confessione, che faceva il saggio Socrate di non saper altra cosa
meglio, eccetto, che non sapeva nulla, non procedeva da altro, che da la
imperfettione dell'huomo, il quale per lo piu di quelle cose, che ei si reputa
piu essere capace, & instrutto, aviene, che si ritorna meno essere
intelligente & ammaestrato. Io nello descrivere l'altra fiata la vita di M.
Giovanni, cercai darla a leggere piu perfetta ch'io potessi; il che in tutto
non m'è venuto fatto, perche nel rivolgere molti altri libri cosi suoi, come
d'altri, ho ritrovato delle cose da me à dietro lasciate, le quali hora non mi
paiono da tacere. Il Sansovino medesimamente, come persona dotta, &
studiosa con l'acuto, & elevato ingegno investigando trovarne il vero, non ha
saputo, nè poTuto haverne miglior testimonio, che le scritture del proprio
auttore; però sopra quelle fondandosi, nella maggior parte fedelmente della
vita del Boccaccio ha parlato. Ma essendo impossibile ch'un huomo solo possa
vedere il tutto, non sarà meraviglia, che da lui molti luoghi non siano stati
tralasciati, & (forse per non havergli veduti) non citati; i quali hora
intendo, insieme con i suoi io produrre a commune piacere di quelli, che si
dilettano intieramente vedere quel piu di vero, che restare ci possa della di
lui vita havendo per fermo di tanto non poter dire, che piu non ne habbia
tacciuto. La seconda cagione anco, che a ciò mi ha guidato è stato, che non
havendo l'autore fatto alcun'altra fatica piu da lui istimata della presente
(così portando il costume degli scrittori), mi pareva ch'ella non havesse ad
uscire in mano degli huomini da me tradotta senza la sua vita; accioche tra le
celesti beatitudini (se le anime sciolte dai corpi possono sentire alcuna
felicità mondana) quella del Boccaccio goda questo contento di vedere le
fatiche sue da tutti non sprezzate, ma da molti degnamente graditO.
Giovanni
adunque per cognome detto Boccaccio fu di Certaldo Castello di Toscana, &
nacque negli anni del signore MCCCXIII, nel tempo, che Arrigo Quinto Imperatore
& Federigo Re di Sicilia insieme con Genovesi mossero guerra contra il Re
Roberto; nel qual tempo poi il detto Imperatore morì in Puglia appresso
Benevento. È questo Certaldo posto sopra un eminente colle vicino al quale
corre il fiume Elsa, onde propriamente chiamasi Certaldo di val d'Elsa. Nacque
di vili & poveri parenti, sì come egli medesimo ne fa fede, & si può
conietturare in molti luoghi delle opere sue: i quali come poco importanti,
& di nesuno momento lascio adietro.
Fu il padre
suo poverissimo, & dato agli essercitij rusticani, il nome del quale senza
dubbio veruno fu Boccaccio, come egli istesso ne fa fede nel nono & ultimo
libro sopra i Casi degli Huomini Illustri, dove nel trattato di Iacopo, Mastro
dei Cavalieri templari, cosi dice: Nil aliud quousque illis ingentes spiritus
sufficere; quam qui dudum occubuere; testantes ut aiebat Boccatius vir honestus
& genitor meus, qui se his testabatur interfuisse rebus. Non haveva il
padre suo cognome alcuno, eccetto che dal proprio suo nativo luoco; onde si
diceva Boccaccio da Certaldo; il che si manifesta nella Visione di M. Giovanni,
come, che dubbio sia ella essere sua, quando ei dice:
Quel, che vi manda questa visione
Giovanni è di Boccaccio da Certaldo.
Nondimeno
egli, lasciando il cognome del Castello, & prendendo quello del padre, si
chiamò quasi sempre Giovanni Boccaccio. Ma ritornando al padre di lui, dico
ch'egli, veggendosi povero & aggravato d'altri figliuoli, conoscendo questo
anco fanciullo, che nella fisonomia, nei costumi & nelle operationi
dimostrava non essere di basso & rozzo intelletto, atto ad essere posto ad
alcuno essercitio piu che mecanico, anzi per essere d'aveduto, & acuto
ingegno, di attendere a cose di momento, tra se propose, che si essercitasse
nella mercatantia. Così, essendo Giovanni anco fanciullo, il pose a stare a
Firenze con un mercatante Fiorentino; onde per essere buono Aritmetico &
sapere benissimo tener conto di libri, da quello era tenuto caro & seco fu
condotto a Parigi, col quale dimorò lo spatio quasi di sei anni non già con
l'animo tranquillo, anzi piu che mezzanamente travagliato, parendogli non
spendere i giorni come havrebbe voluto & desiderava; la qual cosa, che cosi
fosse, egli istesso nel Quintodecimo libro della presente Geneologia, dove
tratta che per lo piu l'huomo segue quegli studi a' quali è inchinato, il
dimostra. Scrive Benvenuto da Imola, egli odiando tale essercitio, & poco
curando i negotij del padrone, da lui fu licentiato, & rimandato alla
patria; là onde essendo giunto all'età di sedeci anni, in tutto si tolse
dall'incominciato ufficio & drizzò l'animo a più lodati studi, piacendogli
sommamente leggere, & intendere i buoni Poeti, a' quali era molto
inchinato, & in tutte le sue attioni la vita filosofica imitando. Nondimeno
questo suo proposito gli era non impedito, ma quasi vietato dal padre; il
quale, si perche era male agiato, come anco perche giudicava gli studi della
humanità & filosofia congiunti con la Poesia potergli dare poco utile,
desiderava & voleva, che si mettesse ad altra professione, per lo mezzo
della quale potesse sostentar se, & dare aiutto a lui. Di che alla fine
mosso da' suoi prieghi, & da quegli degli altri amici, si diede allo studio
delle leggi, nel cui si può giudicare se vi havesse con diligenza atteso, che v'havrebbe
fatto buon frutto. Ma perche l'animo suo era in tutto rivolto allo studio
dell'humanità, la quale si come infinitamente amava, altrettanto & piu,
odiava le leggi, come di ciò ne fa fede una pistola scritta a M. Cino da
Pistoia, al tempo suo Legista notabile, & di lui precettore, nella quale si
sforzava mostrargli quanto gli era grave, & noioso quel peso da lui contra
sua voglia portato, di continuo si dava segretamente a leggere i Poeti &
gli historici, facendosi molto famigliare lo studio della Filosofia.
Nè perche
tutto il giorno dai preghi del padre, nè dai ricordi degli amici, &
famigliari suoi con lettere fosse molestato ad attendere solamente alla
professione delle leggi, egli mai puote essere distolto dal suo proponimento,
attento che egli a questo era nato, si come medesimamente dimostra poco di
sopra nel luogo da noi citato. Cosi vivendo egli in questi termini, giunto
all'età d'anni XXV, altri vogliono XXVIII, avenne, che il padre gravemente
amalato, passò di questa ad altra vita. La onde restato il Boccaccio di se
padrone, ne havendo piu da compiacere maggiormente in ciò ad altri, ch'alla
tranquilità dell'animo suo, palesemente gittati da parte i testi, & le
chiose, si diede ad abbracciar i Poeti, & in quelli fece quel profitto, che
da le opere sue si può comprendere.
Et non v'è
dubbio alcuno, che se dal principio vi havesse possuto attendere come desiava,
& ne era inchinato, che molto maggiore di nome, & d'effetti sarebbe
divenuto, perche a ciò dai Cieli era prodotto, & dagli huomini era eletto,
di che ei medesimo nel predetto ragionamento ne fa fede, dicendo; Et mirabile
dictu cum nondum novissem, quibus seu quot pedibus carmen incederet; me etiam
pro viribus retinente quot nondum sum, Poeta fere a notis omnibus, vocatus fui.
Nec dubito, dum aetas in hoc aptior esset, si æquo genitor tulisset animo, qui
inter celebres Poetas unus evasissem. Verum dum in lucrosas artes primo, inde in
lucrosam facultatem ingenium flectere conatur meum; factum est; ut nec
negociator sim, nec evaderem canonista, & perderem Poetam esse conspicuum. Caetera facultatum studia, & si placerent; minime sim secutus.
Si che si vede quanto torto fosse fatto all'ingegno di sì degno Poeta, &
come con ogni sforzo a lui fosse cercato torre quello che gli promettevano i
Cieli. Nondimeno, rimasto senza padre, non solo rivolse l'animo a studiare
l'opre di quelli, ch'erano stati molto prima di lui, ma anco ricercò haver
contezza di quei, che vivevano al tempo suo, & hebbela. Tra quali fu
l'Honorato M. Francesco Petrarca, al quale divenuto molto intrinseco, &
cordiale, per tre mesi continui dimorò seco: di che ne fa fede la Prima Pistola
del terzo libro delle Senili di M. Francesco; & di lui fu spetiale
osservatore, sì come in infiniti luoghi delle opere sue latine dimostra, &
tra gli altri nel parlamento ch'egli finge seco nel principio dell'ottavo libro
sopra i casi degli huomini Illustri, del quale dimostrando la riverenza, cosi
parla. Quem dum reseratis oculis somnoque omnino excusso acutius intuerer;
agnovi esse Franciscum Petrarcam optimum venerandumque preceptorem meum, cuius
monita semper mihi ad virtutem calcar extiterant; & quem ego ab ineunte
iuventute mea prae caeteris colueram. Et quello, che segue. Essendo adunque
cosi infiammato di questi santi studi, a guisa d'antico & vero filosofo,
non bastandogli le sue rendite a mantenerlo, incominciò vendere il capitale del
patrimonio, non perdonando a spesa nè a fatica in andare dove sapeva, che fosse
alcun huomo dotto, & eccelente.
Passò in
Sicilia per udire un certo Calavrese ch'in quel tempo havea gran nome, com'egli
scrive, d'essere dottissimo in lettere Greche, & tanto di quelle venne ad
animarsi che, ritornando a dietro & pervenuto a Venegia, menò seco a
Fiorenza Leontio Pilato, di natione greco, molto dotto & letterato, tenendolo
nella propria casa dov'egli habitava a sue spese; & da quello si fece
legere la Iliade d'Homero & l'Odissea, adoprandosi tanto con gli amici, che
communemente fu salariato, & publicamente in Firenze per mezzo del
Boccaccio hebbe una lettura, della qual cosa egli istesso ne fa fede
nell'ultimo libro della presente opra, dove dice: Post hos & Leontium
Pilatum Thessalonicensem virum, & ut ipse asserit, Predicti Barlae
auditorem persepe deduco. Et poco da poi di lui continoando segue; Huius ego
nullum vidi opus, sanè quicquid ex eo recito, ab eo viva voce referente
percepi. Nam eum legentem
Homerum, & mecum singulari amicitia conversantem fere tribus annis audivi. Cosi anco in uno altro capitolo del detto libro di quello parlando
scrive; Nonne ego fui qui Leontium Pilatum a Venetiis occiduam Babilonem
querentem a longa peregrinatione meis flexi consiliis? In patria tenui? Qui
illum in propriam domum suscepi, & diu hospitem habui, & maximo labore
meo curavi ut inter Doctores Florentini studij susciperetur, ei ex publico
mercede apposita? Fu quasi il primo, questo Leontio, che leggesse in Italia le
opere d'Homero, le quali tanto per innanzi erano state nascoste; & il
Boccaccio fu de' principali, che le udisse, & che raccogliesse tutti i
libri Greci, che puotè ritrovare, i quali fino a quel tempo erano stati quasi
dispersi & sepolti; il che
testimonia nel predetto luogo dicendo; Ipse insuper fui, qui primus meis
sumptibus Homeri libros & alios quosdam graecos in Hetruriam revocavi, ex
qua multis ante seculis abierant non redituri. Nec in Hetruriam tantum sed in
patriam deduxi. Ipse ego fui, qui, primus ex Latinis a Leontio Pilato in
privato Iliadem audivi, ipse insuper fui, qui, ut legerentur publice libri
Homeri, operatus sum; & esto non satis plene perceperim; percepi tamen
quantum potui; nec dubium si permansisset homo ille vagus diutius penes nos;
qui plenius percepisse. Et quello, che segue. Onde veramente per queste sole
buone operationi habbiamo non poco a restare obligati al Certaldese, &
infinitamente da commendarlo, poscia ch'egli in buona parte fu prencipal
cagione di cosi utile principio.
Ma non
possendo il povero Poeta col debile patrimonio, che quasi già se n'era andato,
lungamente piu negli studi continuare, come disperato se ne stava quasi per
pigliare novo partito, & senza dubbio sarebbe stato a ciò constretto dalla
necessità; ma il divino Petrarca, che molto l'amava, incomiciò sovenirlo in
diverse cose, aiutandolo secondo i bisogni di denari, & provedendogli di
libri, & altre necessarie cose; onde sempre egli lo chiamò padre &
benefattor suo in tutti i luoghi, dove di quello gli è occorso far
memoria; il che ha fatto in ciascuna
dell'opre sue latine, & spetialmente in molti luoghi di questa. Nè perche
in molti suoi scritti si ritrovi, che anco lo chiama precettore, a me non piace
affermare, nè secondo il vocabolo intenderlo per maestro di scuola, ma giudico
piu tosto per riverenza, che per altro cosi lo chiamasse, attento, che non si
ritrovò giamai, che il Petrarca fosse pedagogo di alcuno. Fece in processo di
tempo, si come habbiamo di sopra con le proprie sue parole mostrato, che il
detto Leontio gli tradusse di greco in latino Homero, tutto, che altri dicano,
che il Petrarca fece fare questa fatica; fondandosi, cred'io, sopra la sesta
Epistola del terzo libro delle Senili, nella quale il Petrarca il prega ad
oprare talmente, che faccia, che Leontio a sue spese gli traduca l'opre
d'Homero: & nella seconda del sesto, dove mostra il ricevere dell'opera; ma
chi bene riguarderà la prima del quinto libro, apertamente conoscerà il
Boccaccio essere stato quello, che fece fare la fatica, & poi ne fece parte
& dono al Petrarca. Confermato adunque col buono aiuto di M. Francesco a
continuare nelle lettere, diede quell'opra maggiore, che per lui si potesse alla
Poesia: & anco si pose a studiare nelle Sacre Lettere, ma essendo hoggimai
quasi vecchio, si come testimonia egli stesso nell'ultimo dei presenti libri,
dicendo: Caetera facultatum studia, & si placerent quoniam non sic
impellerent minime secutus sum. Vidi tamen sacra volumina, a quibus, quoniam
annosa est ætas; & tenuitas ingenij disuasere destiti, turpissimum ratus
senem (ut ita loquar) elementarium nova inchoare studia; & cunctis
indecentissimum esse id attentasse, quod minime arbitreris perficere posse.
Cosi non molto in questi studi si fermò, anzi lasciandogli da parte attese alla
sua cara Poesia alla quale dai Cieli era chiamato, si come continuando segue
dicendo. Et ideo cum existimem Dei beneplacito me in hac vocatione vocatum; in
eadem consistere mens est. Ma non contentandosi solamente dello intendere i
buoni Poeti si diede anco poeticamente al comporre, & molte opere latine
scrisse, tra le quali come principale fece i presenti quindici libri sopra la
Geneologia degli Dei a petitione di Ugo Re di Gierusalemme & di Cipro; i
quali di quanta dignità, utilità siano, non è alcuno, che ne possa far giudicio
non gli havendo letti & gustati. Questo so bene io, che in quelli vi è
incluso la maggior parte delle cose utili & necessarie non solamente alla Poesia,
ma anco alle altre scienze, che a gran fatica in molti altri poetici libri si
potrebbe ritrovare. Et in ciò ho conosciuto lo errore, che infiniti nostri
moderni pigliano, i quali si fanno beffe delle scritture, che non hanno l'odore
d'antichità, come quasi non si possa piu scrivere cosa, che buona sia. Ma di
questo ne sia detto assai: perche ogn'un del suo saper par che s'appaghi.
Scrisse medesimamente nove libri sopra i casi degli huomini illustri, con
quegli essempi & regola del ben vivere, che piu politicamente alcuno altro
non havrebbe possuto amaestrarci. Ne compose poi uno delle Donne illustri,
tanto dilettevole & vago, quanto altro a beneficio loro si potesse formare,
le quai opere io a commune utilità nella nostra natia lingua tutte ho
riportate. Scrisse appresso un libro della origine & nomi de i monti, uno
delle selve, uno dei fonti, uno dei laghi, uno dei fiumi, & uno degli
stagni, & paludi. Trattò anco dei nomi del mare; fece la Bucolica in verso;
un'opra nella cui si tratta dei fatti dei Pontefici, & Imperatori Romani;
scrisse della ribelione delle Terre della Chiesa. Delle Guerre de' Fiorentini
contra il Duca di Milano, & il Re d'Aragona. Della Vittoria dei Tartari
contra Turchi. Delle Vittorie di Sigismondo contra infedeli. Delle heresie di
Boemi. Della presa di Costantinopoli. Et oltre ciò si leggono molte sue Pistole
famigliari, le quali fatiche tutte furono latine. Nel cui stile, considerandosi
quei tempi, che anco erano infettati dalle reliquie dei Gothi & degli altri
barbari, non poco si vede egli essere stato eccellente; perche se riguardaremo
al Petrarca & agli altri scrittori del suo tempo, vedremo la latinità del
Boccaccio (come, che in tutto perfetta non sia) senza dubbio essere stata la
migliore dell'altre essendo anco di havere compassione ai loro giorni i quali
mancavano di molte comodità a ciò necessarie, nè quella copia di libri havevano
c'hora si ritroviamo noi. Si dilettò medesimamente di scrivere nel suo natio
idioma; nel quale quanto valesse, tutto, che alhora fosse poco in prezzo, ne fanno
fede l'opre sue, dalle quali si ha conosciuto quanta utilità n'habbiano havuto
i successori, & la dignità, che a questa lingua habbiano accresciuto le
fatiche sue, alle quali come a nuovo oracolo si riportiamo. Compose il
Filocolo, la Fiammetta, l'Ameto, il Labirinto d'Amore o vogliamo Corbaccio, la
Vita di Dante, & incominciò a commentare Latinamente la sua Comedia, cioè
una parte dell'Inferno. Fece le diece Giornate del non mai a bastanza lodato
& degno d'ogni pregio Decamerone, l'ultima delle quali novelle fu dal
Petrarca tradotta in latino, si come si legge nella terza Epistola del
decimosettimo libro delle Senili del Petrarca. Scrisse la Theseide, opra in
ottava rima nella cui si contengono i fatti di Theseo, & fu il primo
inventore di tale testura, percioche per inanzi non mi ricordo io haver trovato
ch'altri la usasse. Fece medesimamente una Apologia difesa del Petrarca contra
gli invidiosi & maledici, si come ne fa fede l'instesso nella ottava
Epistola del quintodecimo libro delle senili; compose anco molte rime &
altre simili cose; ma per dire il vero, lo stile volgare in verso non gli fu
troppo amico. Nondimeno a' suoi giorni, tra Dante, il Petrarca & lui, a
quello era attribuito il terzo luogo, si come dimostra il Petrarca in una lettera
scritta al Boccaccio; dove dice; Io odo, che quel vecchio da Ravenna, non
inetto giudice della Poesia volgare, ogni volta, che si ragiona di cosi fatta
cosa, che egli ha sempre in usanza d'assegnarti il terzo luogo. Se questo ti
dispiace, parendo a te ch'io sia un ostacolo, che non sono, ecco, se tu voi, io
ti cedo & ti rinuntio il secondo luogo; intendendo tuttavia, che nel primo
sia Dante. Cosi anco Benvenuto da Imola in una lettera scritta al Petrarca
parlando della spositione d'alcuni poemi di Dante, Petrarca, & Boccaccio
cosi ragiona: Ma io lo faccio per mostrare a' posteri di haver suscitato i tre
Prencipi de Poeti de' nostri tempi, i tre chiarissimi lumi della Greca, della
Latina & della lingua Volgare; Dante cioè, te medesimo, & Giovanni Boccaccio.
si che si comprende egli non essere stato indegno Poeta. Nondimeno, veduti
c'hebbe un giorno il Boccaccio i Sonetti & le Canzoni con le altre
compositioni simili del Petrarca, conoscendo quanto le sue fossero inferiori a
quelle deliberò donarle alle fiamme ,& non acconsentire, che mai si
vedessero; il che inteso dal Petrarca fu da lui sconsigliato con una Epistola,
nella cui si leggono queste parole: Perdona alle fiamme. & habbia
compassione de' tuoi scritti, & alla publica utilità & dilettatione. Qui
non starò io a disputare, che cosa lo movesse a comporre questa &
quell'opra, & ciò ch'egli vuole inferire nel tale & nel tal luogo,
perche ne lascio la cura agli spositori. Quello per le sue degne virtù fu fatto
Cittadino Fiorentino, & dalla Republica fu adoprato in molti negotij
publici. Egli fu quello, che per la comunità di Firenze fu mandato ambasciadore
al Petrarca per la sua restitutione, si come si legge nella quinta Epistola del
Petrarca dopo le senili scritta a' Fiorentini; il che fu negli anni MCCCLI a tredeci
d'Aprile; nondimeno il Petrarca non solamente non venne a Fiorenza, ma anco fu
cagione, che il Boccaccio se ne levasse, perche essendo per le parti la città
divisa, & M. Giovanni nè all'una nè all'altra accostandosi, secondo il
consiglio di M. Francesco per lo meglio elesse per qualche tempo viversene
fuori; il che fece. Onde Giovanni Thiodorigo parlando della vita del Boccaccio
non devea dubitare perche Raffaello Volaterano il chiami Giovanni Boccaccio da
Certaldo, & Antonio Sabellico nel nono Libro ragionando di lui cosi dica.
Fuit ea tempestate in re literaia clarus Ioannes Boccacius Florentinus Certalda
domo, vir copioso ingenio & cuius varia extant studiorum monumenta; le cui
parole paiono quasi far dubitare, che il Poeta fosse Fiorentino & di casa Certalda,
overo, che non sia l'istesso, che vuole il Volaterrano, attento, che la propria
sua origine, si come chiaramente habbiamo mostrato, fu da Certaldo; & come,
che il Sabellico il chiami Fiorentino non deve per ciò nascere dubbio alcuno,
perche fu fatto Cittadino di Fiorenze. Diede anco opera alla Astrologia, &
hebbe per suo prencipale precettore Andalone de' Negri Genovese, al suo tempo
famosissimo Astrologo. Fu di natura molto sdegnoso, il qual vitio gli nocque
non poco negli studi; amatore anco della sua libertà, di sorte, che mai non
volle accostarsi nè obligarsi ad alcuno Prencipe nè Signore, come, che da molti
fosse desiderato & pregato; ilche egli tocca nel Filocolo quando dice; Deh,
misera la vita tua, quanti sono i Signori; li quali, s'io li loro titoli hora
ti nomassi, in tuo danno te ne vanagloriaresti, dove in tuo pro non te ne sei
voluto rammemorare. quanti nobili & grandi huomini, a' quali, volendo tu,
saresti carissimo? Et per soverchio & poco lodevole sdegno, che è in te, o
a niuno t'accosti, o se pure ad alcuno, poco con lui puoi sofferire, s'esso
fare a te quello, che tu ad esso doveresti fare, non ti dichini, cioè seguitare
i tuoi costumi & esserti arrendevole. Fu medesimamente molto inchinato
all'amore & libidinoso, & non poco gli piacquero le donne, come, che di
loro in molti luoghi dell'opere sue ne dicesse quel peggio, che dire si
potesse; tuttavia di alquante nelle scritture sue sotto finto nome ne fa
honorato ricordo. Fieramente s'accese dell'amore di Maria, figliuola naturale di
Roberto Re di Napoli. Percioche per le guerre civili egli, come amatore della
pace & quiete partitosi di Firenze, & girata la maggior parte
dell'Italia, alla fine pervenuto a Napoli & honoratamente raccolto da
Roberto, a que' tempi Sommo Filosofo, avenne, si come agli animi generosi
accader suole, che chiudendosi nel suo corpo altissimo & divino spirito, un
giorno veduta la di lui figliuola nella chiesa di San Lorenzo, quella
estremamente prese ad amare; a petitione della quale compose il Filocolo; &
che cosi fosse egli medesimo ne fa fede nel principio di quell'opra, quando
scrive; Io della presente opra componitore mi trovai in un gratioso & bel
Tempio in Parthenope, nominato da colui, che per deificarsi sostenne, che fosse
fatto di lui sacrificio sopra la grata. Cosi anco nell'Ameto: Io entrai in un
Tempio, da colui detto, che per salire alle case delli Dij immortali, tale di
sé tutto sostenne; quale Mutio di Porsenna in presenza della propria mano. Ma
perche lo amore suo non fosse a ciascuno palese, egli hebbe riguardo col
proprio nome non la ricordare; nondimeno, si come è naturale costume degli
amanti, che non vogliono dire lo stato loro, & tuttavia vorrebbono, che la
maggior parte se ne sapesse, non gli bastò solamente il chiamarla Fiammetta,
che anco in molti luoghi dà ad intendere, che il suo proprio nome fosse Maria,
& di chi figliuola; si come si vede nel Filocolo quando dice; Et lei nomò
del nome di colei, che in se contenne la redentione del misero perdimento, che
adivenne per lo ardito gusto della prima madre. Et piu oltre seguendo scrive;
Il suo nome è qui da noi chiamato Fiammetta, posto che la piu parte delle genti
il nome di colei la chiamino; per la quale quella piaga, che 'l prevaricamento
della prima madre apprese, ci racchiuse. Cosi anco medesimamente ne fa
testimonio nell'amorosa visione:
"Dunque
a voi, cui io tengo donna mia,
"Et cui sempre disio di servire.
"La raccomando Madama Maria.
Dimostra poi
palesemente nel Filocolo ella essere stata figliuola del Re Roberto, ma
naturale, dicendo. Ella è figliuola dell'altissimo Prencipe, sotto lo cui
scettro questi paesi quieti si reggono, e a noi tutti è donna. Et piu oltre
segue; Un nominato Roberto nella real dignità constituito, e avanti, che alla
reale eccellenza pervenisse, costui preso dal piacere d'una gentilissima
giovane dimorante nelle reali case generò di lei una bellissima figliuola,
& lei nomò del nome, &c. Fu medesimamente amato da lei, & si come
si può innestigare & dall'opre sue comprendere, egli n'hebbe il disiato
frutto d'Amore; il che si vede nell'Ameto; quando introduce Fiammetta cosi
parlare; Essendo io (come v'ho detto) del pronto giovane, & sua stata piu
anni, avenne, che per caso opportuno gli convenne a Capoua per adietro, l'una
delle tre migliora terre del mondo, andare; ond'io nella mia camera le paurose
notti traheva; & quello che và dietro. Di che si vede chiaramente, che egli
seco hebbe a fare. Il medesimo anco si comprende nella Fiammetta & nel
Filocolo, & in molti altri luoghi, che lungo fora raccontare, dove palesemente
quasi di questo suo amore si gloria; di che per molto spatio di tempo dimorò a
Napoli, & gran parte in Sicilia, dove dalla Reina Giovanna era favorito.
Chiamossi anco per amore di costei con finto nome Caleone, col quale diede il
titolo al Decamerone cognominato Prencipe Caleotto, formato da Calaon, voce
greca, che significa fatica: cosi anco il Filocolo, che s'interpreta fatica
d'Amore. Et ch'egli cosi si chiamasse per cagione di lei il dimostra nel
Filocolo, ove è scritto; Et percioche tante volte dal mio Caleone, da cui
sempre fui chiamata Fiammetta, avanti l'acceso amore verde fui conosciuta, di
vestirmi di verde poi sempre mi sono dilettata. Cosi anco in molti altri luoghi
ne fa ricordo, i quali come superflui lascio. Questa Maria non molto dopo la
morte del Boccaccio nel mutamento dello Stato di Napoli dalla parte aversaria
fu decapitata, benche altri vogliano, che per intendimento havuto contra il Re
Roberto ciò le venisse. Ma tornando al Boccaccio, amò egli medesimamente una
giovane Fiorentina nomata Lucia, la quale sempre con finto nome chiamò Lia.
Cosi anco sotto altri finti nomi nelle opere sue si comprende ad altre donne
haver altre fiate rivolto la fantasia, nondimeno, perche lieve è la loro
memoria, & poco di chiaro se ne può cavare da' suoi scritti, non ne diremo
altro; ma l'ultimo & il perfetto de' suoi amori fu di questa Maria, in nome
della quale compose Fiammetta; benche io non ardisca affermare, che in tutto
egli in quella volesse figurare l'amore suo & di lei; ma piu tosto istimo
che, toccandone solamente parte, l'animo suo fosse di solamente descrivere la
potenza d'un fervente amore in una giovane dal suo amante abandonata.
Conciosia, che nell'opra si vede ch'ei finge la Fiammetta essersi accesa in un
giovane che, a pena incominciava mettere la prima lanuggine di barba, & che
haveva padre, per amore della vecchiaia del quale l'inamorato fu sforzato
partirsi di Napoli & andare in Toscana; & nondimeno quando il Boccaccio
andò a Napoli era huomo fatto, & non haveva padre. Cosi anco in molte altre
cose di maniera varia, che sopra quella non si può far fondamento alcuno,
benche l'intendimento suo principale fosse di scrivere quell'opra con studio
tale, che altri non potessero comprendere la verità di quell'amore, eccetto che
la persona a cui s'appartenesse, si come si vede nel primo libro dove dice;
Percioche quantunque io scriva cose verissime, sotto si fatto ordine l'ho
disposte che, eccetto colui, che cosi come io le sa (essendo di tutte cagioni),
niuno altro, per quantunque havesse acuto intelletto, potrebbe chi io mi fossi,
conoscere. Et io lui prego (se mai per sua aventura questo libretto alle mani
gli perviene), che egli per quello amore il quale già mi portò celi quel, che a
lui nè utile nè honore può manifestandolo tornare; et quello, che segue; onde
si può leggiermente comprendere ch'egli medesimo non volle essere inteso. Ma
lasciando questo cose, che piu tosto sarebbono necessarie alla vita di costei,
che al ragionar di lui, seguiremo quello, che ci resta; fu di statura di corpo &
proportione di membri assai bene composto, si come egli stesso di sé scrivendo
fa, che la Fiammetta nel primo libro ne parla. Fu anco piacevole, & molto
costumato, si come dalle dilettevoli opere sue si può fare presuposto;
ultimamente acquetatesi alquanto le cose di Thoscana, & essendo desideroso
quel poco avanzo di tempo, che di vivere gli restava goderlo quietamente,
hoggimai fatto vecchio se ne tornò a Firenze; ma non possendo sopportare la
civile ambitione ritornò al suo Certaldo, dove lontano da travagli ne' suoi
studi vivendo passava i giorni secondo il suo volere, si come egli medesimo
scrive in quella Pistola a M. Pino de Rossi, dove in fine gli dice; Io secondo
il mio proponimento, quale vi ragionai, sono tornato a Certaldo. Alla fine
pervenuto all'età d'anni LXII. si come scrive Benvenuto da Imola, se ne morì di
male di stomaco, il quale gli fu cagionato per lo continuo soverchio studio,
che gli nocque assai, essendo egli di complessione molto grasso, & pieno.
Non lasciò di sé heredi legittimi, perche non hebbe mai moglie. Solamente di
lui rimase un figliuolo naturale, senza piu. Passò di questa all'altra vita
negli anni del signore MCCCLXXV, il che fu un'anno dopo la morte del Petrarca.
Fu sepolto in Certaldo nella chiesa di San Iacopo & Filippo con questo
epitafio sopra la sua sepoltura, il quale da lui medesimo pria, che morisse fu
composto:
" Hac
sub mole iacent cineres, ac ossa Ioannis;
" Mens sedet ante Deum meritis ornata
laborum;
"
Mortalis vitae genitor Boccacius illi,
"
Patria Certaldum, studium fuit alma poesis.
Appresso i
quali versi si legge anco un altro epitafio in lode del Boccaccio di M.
Colluccio Salutati segretario fiorentino, ma per piu longamente non porger noia
ai lettori, lasciaremo da parte questo & altre cose, che si potrebbono
dire; le quali essendo di niun momento arrecharebbono piu tosto noia, che
diletto, nè utile alcuno.
IL FINE.
Atropos figliuola di Demogorgone
Antheo quinto figliuolo della Terra
Amore primo figliuolo dell'Herebo
Apis Re d'Argivi, secondo figliuolo del primo
Giove
Auttolio figliuolo del secondo Mercurio
Auttolia, figliuola del primo Sinone, &
madre d'Vlisse
Amimone figliuola di Danao
Abante figliuolo di Linceo
Acrisio figliuolo d'Abante
Athalanta, figlia di Lasio, & madre di
Parthenopeo
Amphione figliuolo di Isio
Adrasto figliuolo di Thalaone
Argia, figlia d'Adrasto, & moglie di
Pòlinice
Ageone terzo figliuolo di Belo di Prisco
Adone figliuolo di Mirra
Anna figliuola del Re Belo
Agatte figliuolo di Cadmo
Auttone figliuola di Cadmo
Antigona figliuola d'Edippo
Acheronte Fiume infernale figliuolo di Cerere
Aletto prima figliuola d'Acheronte
Ascalapho quinto figliuolo d'Acheronte
Apollo figl. del primo Vulcano
Assirthio figliuolo di Oeta
Angiria figliuola del Sole
Asteria figliuola di Ceo
Aeo figliuolo di Tipheo
Auro settima figliuola di Titano
Atlante nono figliuolo di Titano
Alcione figliuola d'Atlante
Astreo figliuolo di Titano
Astrea figliuola d'Astreo
Austro figliuolo d'Astreo
Afro figliuolo d'Austreo
Aquilone figliuolo d'Austreo.
Arpalice, figliuola di Borea, e moglie di Phineo
Africo figliuolo d'Astreo
Aloo decimo figliuolo di Titano
Apollo secondo figliuolo del secondo Giove
Aristeo decimo figliuolo d'Apollo
Atteone figliuolo d'Aristeo
Autoo duodecimo figliu. d'Apollo
Argo terzodecimo figliu. d'Apollo
Asclepio figliuolo di Machaonne
Arabe figliuolo d'Apollo
Amphione, Rè di Thebe, & quinto figliuolo di
Giove
Amiclate figliuolo di Lacedemone
Argolo figliuolo di Amiclate
Arcade 15. figliu. del secondo Giove
Antigona figliuola di Laomedonte
Astianatte figliuolo d'Hettore
Antipho 18. figliuolo di Priamo
Antiphone 19. figliuolo di Priamo
Agatone 30. figliuolo di Priamo
Agamennone 32. figl. di Priamo
Assaraco figliuolo di Troilo
Anchise figliuolo di Capi
Ascanio figliuolo d'Enea
Alba Silvio figl. di Latino Silvio
Athi Silvio figliuolo d'Alba
Agrippa Silvio figl. di Tiberino
Aventino Silvio figl. di Romolo Silvio
Amulio figliuolo di Proca
Aetta, figliuola dell'Oceano, & moglie
d'Atlante.
Aretusa figliuola di Nereo
Acheloo 11. figliuolo dell'Oceano
Alueo 15. figliuolo dell'Oceano
Aceste figliuol del fiume Crinisio
Axio 18. figliuolo dell'Oceano
Asteropio figliuolo di Pelagonio
Asopo 19. figliuolo dell'Oceano
Aci figliuolo di Fauno
Ascalafo quarto figliuol di Marte
Agrio figliuolo di Partaone
Althea figliuola di Testio
Astilo figliuolo d'Isione
Amico figliuolo di Nettuno
Albione quarto figliuolo di Nettuno
Atiti figliuola di Risinore
Alcinoo figliuolo di Nausithoo
Alioo figliuolo d'Alcinoo
Attorione figliuolo di Nettuno
Aone figliuolo di Nettuno
Antiopa figliuola di Nitteo
Acastosi figliuolo di Pelia
Antiloco figliuolo di Nestore
Aritto figliuolo di Nestore
Antigono figliuolo di Theseo
Arpie figliuole di Nettuno
Ahello figliuola di Nettuno
Acheo figliuolo di Giove
Amore duodecimo figl. di Giove
Angeo figliuolo di Ligurgo
Arpalice figliuola di Ligurgo
Arpalice figliuola di Ligurgo
Androgeo figliuolo di Minos
Arianna figliuola di Minos
Antiphate figliuolo di Sarpedone
Acrisio figliuolo di Giove
Ausonio figliuolo di Pelope
Alceo figliuolo d'Atreo
Arpagige figliuolo d'Atreo
Agamennone figliuolo di Phistone
Aleso figliuolo d'Agamennone
Alcmena moglie d'Amphitrione
Alceo figliuolo di Gorgophone
Amphitrione figliuolo d'Alceo
Athermenide figliuolo di Bacchemone
Aone figliuolo di Giove
Asio figliuolo di Dimante
Alisiroe figliuola di Dimante
Aiace figliuolo di Telamone
Achile figliuolo di Peleo
Agile figliuolo d'Hercole
Aventino figliuolo d'Hercole
Alciona figliuola d'Eolo
Alcimedonte figliuolo d'Eritteo
Amittaone figliuolo di Criteo
Antipho figliuolo di Thessalo
Antiphare figliuolo di Biante
Amphiarao figliuolo d'Oioloo
Almeone figliuolo d'Amphiriao
Amphiloco figl. d'Amphiriao
Athamante figliuolo d'Eolo.
B
BELLO Prisco figliuolo d'Ephalocar
Buona figliuola di Danao
Belo figliuolo di Phenice
Bibli figliuolo di Mileto
Briareo figliuolo di Titano
Bianco settimo figliuolo d'Apollo
Borea figliuolo di Astreo
Bacco quarto figliuolo del secondo Giove
Bucolione figliuolo di Laomedonte
Britona nona figliuola di Marte
Buthe figliuolo di Amico
Batillo figliuolo di Pherco
Borgione quinto figl. di Nettuno
Bronte nono figliuolo di Nettuno
Busiri figliuolo di Nettuno
Bacchemone figliuolo di Perseo
Biante, overo Bia figliuolo di Amittaone
Bellorophonte figliuolo di Glauco.
C
CHAOS
Cloto figl. di Demogorgone
Caronte decimo nono figliuolo dell'Herebo
Cupido primo figliuolo del secondo Mercurio
Cinquanta figliuole di Danao in generale
Clori, figliuola d'Amphione, & moglie di
Neleo
Cilice terzo figliuolo d'Agenore
Cinara figliuolo di Papho
Cadmo sesto figliuolo d'Agenore
Cielo figliuolo dell'Ethereo
Cerere prima, seconda figliuola del Cielo
Cocito figliuolo di Stigia
Cupido figliuolo di Venere
Cauno figliuolo di Mileto
Calciope figliuola di Oeta
Circe figliuola del Sole
Ceo figliuolo di Titano
Chimera figliuola di Tiphone
Cilieno figliuola d'Atlante
Calipsone figliuola di Atlante
Circio figliuolo d'Astreo
Calai figliuolo di Borea
Choro vento figliuolo d'Astreo
Calisto figliuola di Licaone
Calato settimo figliuolo del secondo Giove
Cartagine figliuola del quarto Hercole
Clitione figliuole di Laumedonte
Creusa, prima figliuola di Priamo, & moglie
d'Enea
Cassandra seconda figliuola di Priamo
Chaone undecimo figliuolo di Priamo
Cromenone ventesimo terzo figliuolo di Priamo
Cebrione ventesimo quinto figliuolo di Priamo
Capi figliuolo d'Astaraco
Capi Silvio figliuolo d'Athi
Climene quinta figliuola dell'Oceano
Corufice figliuola dell'Oceano
Cimodoce figliuola di Nereo
Cirene figliuola di Peneo
Critone figliuolo di Diocleo
Crinisio sestodecimo figliuolo dell'Oceano
Citheone figliuolo del Tebro.
Cephiso ventessimo figliuolo dell'Oceano
Ciane figliuola di Menandro
Croni figliuola di Saturno
Cerere terza figliuola di Saturn.
Chirone sesto figliuolo di Saturno
Cupido primo figliuolo di Marte
Coronide nimpha, figliuola di Phlegia, &
madre d'Esculapio
Centauri figliuoli d'Isione .
Clitonio figliuolo d'Alcinoo
Cavallo Pegaso figliuolo di Nettuno
Cronio figliuolo di Neleo
Cigno ventesimo terzo figliuolo di Nettuno
Celleno figliuola di Nettuno
Castore figliuolo di Giove
Clitennestra figliuola di Giove
Ceice figliuolo di Lucifero
Crisostemi figliuola d'Agamennone
Corinto figlio d'Horeste
Caco figliuolo di Vulcano
Canace figlia d'Eolo
Clitone figliuolo di Mantione
Catillo figliuolo d'Amphiarao
Catillo figliuolo di Catillo
Corace figliuolo del primo Catillo
Creonte figliuolo di Sisipho.
Creusa figliuola di Creonte
Cephalo figliuolo d'Eolo
Citoro figliuolo d'Atamante
D
DEmogorgnoe
Diana prima & quarta figliuola del primo
Giove
Dionigi ottavo figliuolo del primo Giove
Danao figliuolo di Belo Prisco
Danae figliuola d'Acrisio
Deiphile, figliuola d'Adrasto, & moglie di Thideo
Didone, figliuola di Belo, & moglie di Siceo
Dirce quinta figliuola del Sole
Deucalione figliuol di Prometeo
Dionigi figliuolo di Deucalione
Diana figliuola del secondo Giove
Dardano sestodecimo figliuolo del Secondo Giove
Daphni figliuolo di Paris
Deiphebo terzodecimo figliuolo di Priamo.
Dicomoonte ventesimo primo figliuolo di Priamo.
Doridone ventesimo settimo figliuolo di Priamo.
Dori settima figliuol dell'Oceano
Danae figliuola di Peneo
Dionisio figliuolo del Nilo
Daphni figliuolo del quarto Mercurio
Diocleo figliuolo d'Orsiloco
Deianira, figliuola d'Oeneo, & moglie di
Hercole
Diomede figliuolo di Thideo
Doro primo figliuolo di Nettuno
Demophonte figliuolo di Theseo
Dedalione figliuolo di Lucifero
Driante figliuolo d'Hippolago
Deucalione figliuolo di Minos
Dionisio figlio di Giove
Dimante figliuolo d'Aone
Dauno figliuolo di Pilunno
Dauno nipote del primo Dauno
Diodoro figliuolo d'Hercole
Dicoonte figliuolo d'Hercole
E
Eternità
Ethere primo figliuolo dell'Herebo
Ebuleo settimo figliuolo del primo Giove
Epapho duodecimo figliuolo del primo Giove
Egisto figliuolo di Belo Prisco
Euridice figliuola di Thalaone
Europa quinta figliuola d'Agenore
Edipo figliuolo di Laio
Etheocle figliuolo d'Edipo
Eone figliuole del Sole
Enchelado quinto figliuolo di Titano
Egeone sesto figliuolo di Titano
Egle figliuola d'Hespero
Elethra figliuola d'Atlante
Epimetheo figliuolo di Giapeto
Ellano figliuolo di Deucalione
Eurimone seconda figliuola di Apollo
Esculapio decimo quarto figliuolo di Apollo
Egiale figliuola del secondo Giove
Euphrosine figliuola del secondo Giove
Erigione figliuola d'Icaro.
Erittonio figliuolo di Dardano
Esipio figliuolo di Bucalione
Esaco decimo settimo figliuolo di Priamo
Echemone ventesimo secondo figliuolo di Priamo
Enea figliuolo d'Anchise
Enea Silvio figliuolo di Silvio Posthumo
Eurinome figliuola dell'Oceano
Etra, figliuola dell'Oceano, & moglie
d'Atlante
Egialeo figliuolo di Phoroneo
Ethiope figliuolo di Vulcano
Egina figliuola d'Asopo
Eurimedonte figliuolo di Fauno
enomao secondo figliuolo di Marte
Eurito figliuolo d'Isione
Evanne decima figliuola di Marte
Etholo decimoterzo figliuolo di Marte
Erice figliuolo di Buthe
Euriale figliuola di Phorco
Echefrone figliuolo di Nestore
Ephialte ventesimo sesto figlio di Nettuno
Egeo ventesimosettimo figliuolo di Nettuno
Ecchimene figliuola di Laerte
Evioto figliuolo d'Atreo
Egisto figliuolo di Thieste
Elettra figliuola d'Agamennone
Elettrione figliuolo di Gorgophone
Euristeo figliuolo di Stileno
Eritreo figliuolo di Perseo
Eaco figlio di Giove
Eudoro figliuolo di Mercurio
Evandro figlio di Mercurio
Erittonio figlio di Vulcano
Euriphilo figliuolo di Telepho
Eolo figliuolo di Giove
Eritteo figliuolo d'Esone
Esone figliuolo d'Eritteo
Epitropo figliuolo d'Alchimedonte
F
Fama seconda figliuola della Terra
Fatica terza figliuola dell'Herebo
Frode settima figliuola dell'Herebo
Fame undecima figliuola dell'Herebo.
Figliuole di Danao in generale
Flegeo figliuolo di Thalaone
Furie in generale, figliuole d'Acheronte
Fauno figliuolo di Pico
Fauni figliuoli di Fauno
Figliuole di Pelia
G
Gratia figliuola dell'Herebo, & della Notte
Giorno ventesimo figliuolo dell'Herebo
Giove primo figliuolo dell'Ethere
Giapeto ottavo figliuolo di Titano
Giganti generati dal sangue dei Titani, &
della Terra
Giove secondo, & nono figlio del Cielo
Garamante sesto figliuolo di Apollo
Gratie figlie del secondo Giove
Ganimede figliuolo di Troio
Gorgitione ventesimo quarto figliuolo di Priamo
Giulio Silvio figliuolo d'Ascanio
Giulio Silvio figliuolo di Romolo
Galathea figliuola di Nereo
Glauca quarta figliuola di Saturno
Giunone ottava figliuola di Sat.
Gorge figliuola d'Oeneo
Grisaore ventesimo quarto figliuolo di Nettuno
Giove terzo, & decimo figliuolo di Saturno
Glauco figliuolo di Minos
Gorgophone figliuolo di Perseo
Giasone figliuolo d'Esone
Glauco figlio di Sissipho
Glauco figlio d'Hippoloco
H
Herebo nono figliuolo di Demogorgone
Hercole primo, & nono figliuolo del primo
Giove
Hipermestra figliuola di Danao
Honore figliuolo della vittoria
Hermaphrodito figliuolo di Mercurio; & di
Venere
Hiperione primo figliuolo di Titano
Hore figliuole del Sole, & di Croni
Hespero figliuolo di Giapeto
Hetetula figliuola di Hespero
Hespertula figliuola di Hespero
Hia figliuolo di Atlante
Hiadi sette figliuole di Atlante
Himeneo figliuolo di Baccho
Hissiphile figliuola di Thoante
Hiptima figliuola d'Icaro
Hercole decimoterzo figliuolo del secondo Giove
Hesiona figliuola di Laumedonte
Hettore figliuolo di Priamo
Heleno decimo figliuolo di Priamo
Hipotoo figliuolo di Priamo
Hippodamia figliuola di Anchise
Hercole figliuolo del Nilo
Hebe figliuola di Giunone
Hippodamia figliuola d'Enomao
Hermiona undecima figliuola di Marte
Hiperino duodecimo figliuolo di Marte
Hirceo ventesimo figliuolo di Nettuno
Hippolito figliuolo di Theseo
Hippomene figliuolo di Megarea
Helena moglie di Menelao
Hippolago figliuolo d'Orione
Hidumeneo figliuolo di Deucalione
Hermiona figliuola di Menelao
Hiphigenia figlia d'Agamennone
Hiphianassa figliuola d'Agam.
Horeste figliuolo d'Agamennone
Horeste figliuolo d'Horeste
Hiphicleo figlio d'Amphitrione
Hercole figliuolo di Giove
Hitoneo figliuolo d'Hercole
Hilo figliuolo d'Hercole
Hippoloco figlio di Bellorophonte
Hespero figlio di Cephalo
Helle figliuolo d'Atamante
I
Invidia quarta figliuola dell'Herebo
Inganno sesto figliuolo dell'Herebo
Iasio figliuolo d'Abante
Ino figliuola di Cadmo
Ismene figliuola d'Edipo
Isis figliuola di Prometeo
Iolao figliuolo d'Aristeo
Ithilo figliuolo di Zeto
Icaro figliuolo d'Oebalo
Ionio figliuolo d'Arcade
Ilione figliuolo di Troio
Ioetaone figliuolo di Laumedonte
Iliona terza figliuola di Priamo
Ideo figliuolo di Paris
Ilioneo figliuolo di Phorbante
Iphate trentesimo quinto figliuolo di Priamo
Iso figliuolo di Priamo
Ilia figliuola di Numitore
Idothea figliuola di Proteo
Inaco duodecimo figliuolo dell'Oceano
Ione figliuola d'Inaco
Ipetia figlia del Sole
Ipseo figliuolo del Fiume Asopo
Ithi figliuolo di Tereo
Ialmeno figliuolo di Marte
Isione figliuolo di Phlegia
Iarba figliuolo di Giove
Iolao figliuolo d'Hiphicleo
Iuturna figliuola di Dauno
Isandro figliuolo di Bellorophonte
L
Litigio primo figliuolo di Demogorgone
Lachesis figliuola di Demogorgone
Libero Primo undecimo figliuolo del primo Giove
Libia figliuola d'Epapho
Linceo figliuolo d'Egisto
Lampscio figliuolo di Cilice
Laddacio settimo figliuolo d'Agenore
Laio re di Thebe, figliuolo di Laddacio
Lethe figliuolo di Phlegetonte
Luna figliuola d'Hiperione
Latona figliuola di Ceo
Licaone figliuolo di Titano
Lapitha prima figliuola di Apollo
Lino quarto figliuolo di Apollo
Lacedemone undecimo figliuolo del secondo Giove
Laumedonte figliuolo d'Ilione
Lampo figliuolo di Laumedonte
Laodicea quarta figliuola di Priamo
Licaste quinta figliuola di Priamo
Licaone figliuolo di Priamo
Laocoonte trentesimo terzo figliuolo di Priamo
Latino Silvio figliuolo d'Enea Silvio
Lauso figliuolo di Numitore
Ligo figliuolo di Phetonte
Lampetusa figlia del Sole
Latino figliuolo di Fauno
Lavinia figliuola di Latino
Laodamante figliuolo d'Alcinoo
Lucifero figliuolo di Giove
Lichione figliuola di Dedalione
Ligurgo figliuolo di Driante
Laerte figliuolo d'Acrisio
Lisicide figliuola di Pelope
Laodicea figlia d'Agamennone
Leucotoe figliuola d'Orcamo
Lari figliuolo di Mercurio
Lido, & Lario figliuoli d'Hercole
Lario figliuolo di Lido
Learco figliuolo di Atamante
Laodomia figlia di Bellorophonte
M
Miseria decima figliuola dell'Herebo.
Morbo terzo decimo figliuolo dell'Herebo
Morte decima ottava figliuola dell'Herebo
Minerva prima figliuola del primo Giove
Mercurio primo figliuolo del primo Giove
Mercurio secondo figliuolo di Libero
Merane figliuola di Prito
Mirra figliuola di Cinara
Megera figliuola d'Acheronte
Maesta figliuola dell'Honore
Mercurio quinto figliuolo del Cielo
Mileto sesto figliuolo del Sole
Medea figliuola d'Oeta
Maia figliuola d'Atlante
Merope figliuola d'Atlante
Minerva figliuola di Pallene
Mopso terzo figliuolo di Apollo
Macaone figliuolo d'Esculapio
Minerva quartadecima figliuola del secondo Giove
Mennone figliuola di Titone
Medisicasti figliuola di Priamo
Mistore trentesimoquarto figliuolo di Priamo
Melantone figliuola di Proteo
Minerva figliuola del Nilo
Mercurio quarto figliuolo del Nilo
Mercurio quinto figliuolo del quarto Mercurio
Meandro ventesimoprimo figlio dell'Oceano
Mnesteo figliuolo di Sperchio
Marte figliuolo di Giunone
Mela figliuola di Atteone
Meleagro figliuolo d'Oeneo
Menalippo figliuolo d'Oeneo
Medusa figliuola di Phorco
Melione figliuolo di Nettuno
Mesappo sestodecimo figliuolo di Nettuno
Medo figliuolo d'Egeo
Megareo figliuolo di Anchesto
Muse figliuole di Giove
Mena figliuola di Giove
Mirmidone figliuolo di Giove
Minos figliuolo di Giove
Melampo figliuolo d'Atreo
Megapento figliuolo di Menelao
Molosso figliuolo di Pirrho
Mercurio figliuolo di Giove
Mirtilo figliuolo di Mercurio
Macareo figliuolo d'Eolo
Miseno figliuolo d'Eolo
Melampo figliuolo d'Amittaone
Manthione figliuolo di Biante
Melicerte figliuolo d'Atamante
N
NOTTE prima figliuola della Terra
Notho figliuolo d'Astreo
Nomio undecimo figliuolo di Apollo
Nicostrata figliuola d'Ionio
Numitore figliuolo di Proca
Nereo decimo figliuolo dell'Oceano
Ninfe in generale
Niobe figliuola di Phoroneo
Nilo quartodecimo figliuolo dell'Oceano
Norace figliuolo del quinto Mercurio
Narciso figliuolo di Cephiso
Nesso figliuolo d'Isione
Nettuno nono figliuolo di Saturno
Nausithoo duodecimo figliuolo di Nettuno
Nausithea figliuola d'Alcinoo
Nitteo figliuolo di Nettuno
Nittimene figliuola di Nitteo
Neleo ventesimosecondo figliuolo di Nettuno
Nestore figliuolo di Neleo
Nauplio figliuolo di Nettuno
Niobe figliuola di Tantalo.
O
OSTINATIONE figliuola dell'Herebo
Opi prima figliuola della Terra
Oeta figliuolo del Sole
Orpheo nono figliuolo di Apollo
Ocbalo figliuolo d'Argolo
Oceano figliuolo del Cielo, & di Vesta
Orfiloco figliuolo del fiume Alpheo
Ochiroe figliuola di Chirone
Oeneo figliuolo di Parthaone
Otto ventesimoquinto figliuolo di Nettuno
Onchesto figliuolo di Nettuno
Occipite figliuola di Nettuno
Orione figliuolo di Giove
Orsiloco figliuolo d'Hidumea
Orcamo figliuolo d'Achemenide
Orithia figliuola d'Erittonio
Osea, Creontiade, Creomaco, & Diocoonte
figliolo d'Hercole
Oicleo figliuolo d'Antiphite
P
PANE secondo figliuolo di Demogorgone
Polo sesto figliuolo di Demogorgone
Phitone settimo figliuolo di Demogorgone
Povertà nona figliuola dell'Herebo
Pallidezza decima quinta figliuola dell'Herebo
Proserpina prima, decima figliuola del primo
Giove
Prito figliuolo d'Abante
Polidoro secondo figliuolo d'Agenore
Pigmaleone figliuolo di Cilice
Papho figliuolo di Pigmalione
Pirode figliuolo di Cilice
Phenice quarto figliu. d'Agenore
Philistene figliuolo di Phenice
Pigmaleone figliuolo di Belo
Polinice figliuolo d'Edippo
Philegetonte figliuolo di Cocito
Phetusa terza figliuola del Sole
Pasiphe ottava figliuola del Sole
Pirrha figliuola d'Epimetheo
Prometheo figliuolo di Giapeto
Pandora huomo da Prometheo formato
Psitaco figliuolo di Deucalione
Phenatrate figliuolo di Deucalione
Pallene undecimo figliuolo di Titano
Purpureo figliuolo di Titano
Philistene quinto figliuolo di Apollo
Philemone ottavo figliuolo di Apollo
Psiche quintadecima figliuola di Apollo
Pasithea figliu. del secondo Giove
Penelope figliuola d'Icaro
Piadoso figliuolo di Bucolione
Priamo figliuolo di Laumedonte
Polissena settima figliuola di Priamo
Paris ottavo figliuolo di Priamo
Polidoro quartodecimo figlio di Priamo
Polidoro quintodecimo figliuolo di Priamo
Phorbante ventesimo sesto figliuolo di Priamo
Pammone ventesim ottavo figliuolo di Priamo
Polite trentesimo ottavo figliuolo di Priamo
Priamo figliuolo di Polite
Proca Silvio figliuolo d'Aventino
Persa figliuola dell'Oceano
Pleione quarta figliuola dell'Oceano
Proteo ottavo figliuolo dell'Oceano
Phoroneo figliuolo d'Inaco
Phogo figliuolo del Fiume Inaco
Peneo figliuolo dell'Oceano
Phetonte figliuolo del Sole
Phetusa figliuola del Sole
Pelagonio figliuolo del Sole
Plutone figlio di Saturno
Pico settimo figliuolo di Saturno
Perivio figliuola d'Erimedonte
Preneste figliuolo del Re Latino
Parthaone sesto figliuolo di Marte
Plesippo figliuolo di Thestio
Partenopeo figliuolo di Meleagro
Phelegia ottavo figliuolo di Marte
Perithoo figlio d'Isione
Polipite figlio di Perithoo
Phorco terzo figliuolo di Nettuno
Poliphemo settimo figliuolo di Nettuno
Pirammone undecimo figliuolo di Nettuno
Pelia ventesimoprimo figliuolo di Nettuno
Pisistrato figliuolo di Nestore
Perseo figliuolo di Nestore
Policaste figliuola di Nestore
Periclimeone figliuolo di Neleo
Piro figliuola di Neleo
Pelasgo figliuolo di Nettuno
Palamede figliuolo di Nauplio
Proserpina figliuola di Giove
Polluce figliuolo di Giove
Palisci figliuoli di Giove
Phillide figliuola di Ligurgo
Phedra figliuola di Minos
Pelope figliuolo di Tantalo
Phistene figliuolo d'Atreo
Pelopia figliuola di Thieste
Phistene figliuolo di Pelope
Perseo figliuolo di Giove
Perse figliuolo di Perseo
Phoco figliuolo d'Eaco
Peleo figliuolo d'Eaco
Polidori figliuola di Peleo
Pirro figliuolo d'Achille
Peripeleo figliuolo d'Achille
Polidette figliuolo di Molosso
Pilunno figliuolo di Giove
Pallante figliuolo d'Evandro
Pane figliuolo di Mercurio
Pandione figliuolo d'Erittonio
Progne figliuola di Pandione
Philomena figliuola di Pandione
Phidippo, & Antippo figliuoli di Thessalo
Philomelo figliuolo di Giasone
Pluto figliuolo di Philomelo
Pateante figliuolo di Plutone
Polimila figliuolo d'Esone
Peritha figliuolo di Priteo
Poliphide figliuolo di Mantione
Podacre figliuolo d'Iphicleo
Phriso, & Helle figli d'Atamante
Q
QVERELA duodecima figliuola dell'Herebo
Quattordici figliuoli d'Amphione
R
RVGIADA figliuola della Luna
Runco duodecimo figliuolo di Titano
Rhoma figliuola d'Ascanio
Romolo Silvio figliuolo d'Agrippa
Remo decimoquarto figliuolo di Marte
Romolo decimo quinto figliuolo di Marte
Risinore figliuolo di Nausitoo
Rhodamanto figliuolo di Giove
S
SONNO decimo settimo figliuolo dell'Herebo
Sole primo, terzo figliuolo del primo Giove
Sinone primo figliuolo d'Autteolio
Sissimo secondo figliuolo del primo Sinone
Sinone figliuolo di Sissimo
Sicheo figliuolo di Philistene
Semele figliuola di Cadmo
Scita figliuolo del primo Giove
Stigia sesta figliuola d'Acheronte
Seconda Venere figliuola del Cielo
Sole figliuolo d'Hiperione
Sterope figliuola d'Atlante
Subsolano figliuolo d'Astreo
Settentrione figliuolo d'Astreo
Silvio Posthumo figliuolo d'Enea
Sirene figliuole d'Acheloo
Sole figliuolo di Vulcano
Sperchio figliuolo ventesimo dell'Oceano
Sole ventesimoquarto figliuolo dell'Oceano
Saturno undecimo figlio del Cielo
Senta Fauna figliuola di Pico
Scilla figliuola di Phorco
Stennione figliuola di Phorco
Sterope decimo figliuolo di Net.
Stiato figliuolo di Nestore
Sicano figliuolo di Nettuno
Siculo figliuolo di Nettuno
Sarpedone figliuolo di Giove
Steleno figliuolo di Perseo
Sardo figliuolo d'Hercole.
Sophone figliuolo di Diodoro
Silmoneo figliuolo d'Eolo
Sissipho figliuolo d'Eolo.
T
TERRA ottava figliuola di
Demogorgone
Tartaro terzo figliuolo della Terra
Tagete quarto figliuolo della Terra
Timore quinto figliuolo dell'Herebo
Tenebra figliuola dell'Herebo
Tritopatreo sesto figliuolo del primo Giove
Thalaone figliuolo di Iasio
Thalgeta prima figliuola d'Agenore
Thessando figliuolo di Polinice
Theti seconda figliuola del Cielo
Tesiphone seconda figliuola d'Acheronte
Tosio nono figliuolo del Cielo
Titano ottavo figliuolo del Cielo
Tiphone overo Tiplheo quarto figliuolo di Titano
Taigeta figliuola d'Atlante
Titio terzo figliuolo di Giove
Thioneo figliuolo di Baccho
Thoante figliuolo di Baccho
Tindaro figliuolo d'Oebalo
Tantalo duodecimo figliuolo del secondo Giove
Troio figliuolo d'Erittonio
Titone figliuolo di Laumedonte
Troilo figliuolo di Priamo
Tevero ventesimo figliuolo di Priamo
Testorio figliuolo di Priamo
Timoete trentesimo settimo figliuolo di Priamo
Tiberino Silvio figliuolo di Carpento
Tritone sesto figliuolo dell'Oceano
Theti minore figliuola di Nereo
Tebro settimo figliuolo dell'Oceano
Thereo terzo figliuolo di Marte
Thestio figliuolo di Parthaone
Thosio figliuolo di Testio
Thideo figliuolo di Oeneo
Thoesa figliuola di Phorco
Tara sesto figliuolo di Nettuno
Tilemo ottavo figliuolo di Nettuno
Thrasimede figliuolo di Nestore
Theseo figliuolo d'Egeo
Thelemaco figliuolo d'Vlisse
Tantalo figliuolo di Giove
Thieste figliuolo di Pelope
Tantalo figliuolo d'Atreo
Thisamene figliuolo d'Horeste
Thelamone figliuolo d'Eaco
Tevero figliuolo di Telamone
Turno figliuolo di Dauno
Tullio Servilio figliuolo di Vulcano
Tullie due figlie di Tullio Servilio
Thessalo figliuolo d'Hercole
Thipolemo figliuolo d'Hercole
Thelemo figliuolo d'Hercole
Thoante, & Euneo figliuoli d'Esone.
V
Vecchiezza decimaquarta figliuola dell'Herebo
Venere maggiore, & sesta figliuola del Cielo
Venti figliuoli d'Astreo
Vulturno figliuolo d'Astreo
Vulcano figliuolo del Nilo
Vesta seconda figlia di Saturno
Voluttà figliuola di Cupido
Virbio figliuolo d'Hippolito
Vlisse figliuolo di Laerte, che generò Telemaco
Vulcano figliuoloo di Giove
X
XANTO figliuolo di Giove
Z
ZETTO figliuolo di Borea
Zephiro figliuolo d'Astreo
Zebo settimo figliuolo di Marte
Il
Fine della Prima Tavola.
ORDINE di tutti i presenti libri del Boccaccio
Chi fosse il primo tenuto per Iddio dai Gentili
Openioni di diversi Filosofi d'intorno Iddio
Elettione tra tutti i dei del Dio prencipale de'
Gentili
Dichiaratione delle cose attribuite a
Demogorgone
Descrittione della Eternità
Figuratione dell'anno secondo gli antichi
Nascimento del Letigio
Come si contengono diversi misteri sotto una
descrittione di parole
Che cosa sia allegoria, & la sua derivatione
Divisione del mondo, & degli Elementi
A che fine sia stata prodotta la Natura
Origine della Musica, & dell'armonia
Spositione della favola di Pane, & di
Siringa
Descrittione del corpo universale della Natura
Figuratione del Sole
Quali siano le Parche
Vffici delle Parche, & interpretationi dei
nomi loro
Differenza del Fato, & della Fortuna
Origine, & potenza del Fato
Differenza delle diversità dei nomi attribuiti
alla terra
Espositione di tutta la favola della notte
I nomi de' sette tempi della notte con la
dichiaratione
La cagione, perché nascesse la Fama
Descrittione della Fama, & potenza di quella
Quale fosse il loco dove gli antichi tenevano i
dannati essere tormentati
Il senso historio, & morale della favola di
Anteo
La diversa qualità dei monstri che si nascondeno
nell'Herebo
Dichiaratione dei tormenti infernali
Che cosa sia Amore secondo l'opinione antica
Quanti siano gli amori secondo Platone
Di quante cose sia cagione Amore
Che cosa sia la gratia
Forma dell'Invidia
Diffinittone del timore
Favola dell'Inganno, & la sua dichiaratione
Forma della Frode secondo Dante
Quale sia la vera povertà
Descrittione della Fame, & della sua
habitatione
Quali siano le forze della vecchiaia
La forma, & l'habitatione del Sonno
poeticamente descritta
Quante siano le spetie dei sogni, & i nomi
loro
Da che nasca la diversità dei sogni
Dichiaratione dei ministri dei segni, et varii
essempi
Che cosa sia la morte secondo Aristotele
Quali siano le attioni della Morte
Varietà dei giorni secondo diverse openioni
antiche
In quanti termini sia partito il giorno
Divisione delle settimane, & dell'anno
Rivolutione della sphera
Quale sia il dì naturale, & l'artificiale
NEL SECONDO.
CHI fosse il primo che mostrasse il vivere
politico agli Atheniesi
Onde nascesse il nome di Giove
Dichiaratione del pianeta di Giove, & le sue
operationi
Quale sia il vero Giove dagli antichi non
conosciuto
Figuratione di Minerva, & dichiaratione di
quella
Origine della vera Minerva, cioè della speranza
Chi ritrovasse il filare la lana, il tessere,
& altri essercitii
Come si nomasse la Grecia al tempo di Abraam
Chi fosse edificator di Memphi
Quale sia la inchinatione del pianeta di
Mercurio
Dichiaratione di Mercurio secondo la figuratione
Poetica
Quale sia il Tripode
La vera historia di Mercurio
Quale fosse quel Sinone che tradì Troia
Originine di quella parte dell'Africa che si
dice Libia
Chi fosse il primo che toccasse il mare
Il primo inventore de' pozzi in Grecia
Virtù d'una fontana in Arcadia
Onde la Cilicia pigliasse il nome
Nome dell'Isola di Papho
Espositione della favola di Mirrha
Dichiaratione dei tempi, & dei cieli
Chi primo mostrasse le lettere ai Phenici
Espositione della favola di Europa
Il primo inventore de' caratteri delle lettere
Varietà di molti tempi d'intorno il tempo di
Cadmo
Historia di Edippo.
NEL TERZO.
RAGIONAMENTO delle Eusine Dee dell'Autore
Gli ornamenti attribuiti dagli antichi alla Dea
Opi con la spositione di quelli
Con quanti nomi fosse chiamata Opi, & il suo
significato
Che cosa sia la gran Theti
Favola della prima Cerere, & narratione di
quella
Quello che significhi Acheronte
Openione di Dante d'intorno Acheronte
Diverse openione d'altri autori
Trattato generale sopra le Furie
Come si dipinga la Vittoria
La riverenza che portavano i Romani all'honore
Significato della trasmutatione d'Ascalapho
Di quante sorti sia la tristezza
Il loco dove Dante descrive il fiume Lethe
Descrittione di Mercurio, & potenza di
quello
Interpretatione del nome di Mercurio
Quello che dinotino le cose attribuite a
Mercurio
Favola di Salmace, & dell'Hermaphrodito
Che cosa sia Hermaphrodito
Che cosa sia la matrice della donna, &
quanti buchi sia in quella
La via per la quale si generano i maschi et le
femine
Significato di tutte le cose attribuiti a Venere
Proprietà del pianeta di Venere
Creatione dei corpi sopracelesti
Origine delle tre gratie
Quale sia il legame di Venere chiamato Ceston
Quali siano le cose attribuite a Marte
Proprietà del Montone, & di Scorpione, segni
celesti
Perché sia detto Venere perseguitare la progenie
del Sole
La cagione per la quale le colombe siano
attribuite a Venere
Proprietà del Mirto, & perché sia ascritto a
Venere
Interpretatione dei nomi di Venere
Origine della seconda Venere nata nel mare
La ragione perché si dica Venere nata della
schiuma del mare
Spositione del nome di Saturno secondo Fulgentio
Perché si dica Venere haver habitato in Cipro.
NEL QVARTO.
DICHIARATIONE generale sopra Titano Gigante
Particolare narratione sopra il pianeta del Sole
Perché il Sole sia detto figliuolo d'Hiperione
Espositione dei quattro cavalli del Sole
Nomi dei cavalli del Sole
Con quanti nomi dai Filosofi, & da tutti gli
scrittori sia chiamato il Sole, con la dichiaratione di quelli
Perché il Sole sia detto core del cielo
Quanti anni, secondo l'openione antica, facciano
un secolo
Favola d'Vlisse, & delle favole del Sole.
Favola di Dirce, & espositione di quella
Edificatione di Mitilene, città di Lesbo
Spositione della favola di Pasiphe tratta
dall'anima nostra
Perché il Minotauro fosse figurato mezzo huomo,
& toro
Narratione di tutta la favola di Medea
Dichiaratione della favola di Circe
Perché sia detto nel monte di Circe sentirsi
fiere
Chi sia Cariddi, & Scilla
Il modo che gli Antichi dipingevano la Luna
Proprietadi della Luna
Quale fosse l'Amor d'Endimione, & della Luna
Chi fosse il primo che ritrovasse il corso della
Luna
I nomi della Luna, & dichiaratione di quelli
Perché Briareo fosse detto haver cento mani
Perché l'Isola d'Ortigia fosse chiamata Delo
Dichiaratione della favola di Latona
Chi fosse il serpente chiamato Phitone
La causa, per la quale fosse detto Apollo dare
oracoli
Narratione della favola dei villani cangiati in
rane
Quali siano i monti posti sopra il Gigante
Tipheo
Descrittione d'una grandissima spelonca in
Sicilia
Significato del nome di Tipheo
Chi fosse l'edificatore di Papho
Quale sia la Chimera, & descrittione di
quella
Perché l'Aurora sia detta figliuola della Terra
Perché tutto il paese d'Oriente fosse detto
Hesperia
Quale fosse il giardino delle Hesperidi
Favola di Atlante, & di Perseo, con la sua
dichiaratione
Chi fosse Atlante secondo Santo Agostino
La ragione per la quale le Hiadi furono locate
nel numero delle Stelle, & per qual cagione siano dette generare la pioggia
Descrittione delle Pleiadi secondo gli
Astrologhi
Il costume che tenevano gli Antichi in
sacrificare a Maia
Perché fosse detto Epimetheo essersi cangiato in
Simia
Favola di Prometheo, & di Minerva
Il vero senso della favola di Prometheo figurato
per Iddio
Distintione dell'huomo naturale, & del
civile
Come avenisse la dannatione dell'huom
Divisione del primo, & del secondo Prometeo
Perché si dicesse Prometeo haver rubato dalla
ruota del Sole il foco
La cagione per la quale fosse detto Mercurio
haver legato Prometeo nel Caucaso
Chi primo fosse l'inventore di formare imagini
di fango
Di quanto danno sia all'huomo il conversare con
la donna
Chi primo mostrasse agli Egittii i caratteri
delle lettere
Narratione del Diluvio, di Deucalione et Pirra
Per qual ragione sia detto Deucalione et Pirra
haver ristorato la generatione humana dopo il diluvio
Da cui fosse nomata Ellada quasi tutta la Grecia
rivolta verso il mare Egeo
Espositione della favola d'Astrea
Narratione della favola de' venti
Partitione di tutti i venti al loco suo
Quanti siano i venti, & i nomi loro
Le parti nelle quali ciascuno vento da per se
soffia
Ethimologia del nome di ciascun vento
Proprietà del vento chiamato Subsolano
Natura del vento Notho, & suoi congiunti
Effetti prodotti dal vento Settentrione, et suoi
congiunti
Favola del vento Aquilone, & proprietà di
quello
Favola di Hiacinto, & Apollo
Chi fossero quelli che cacciarono le Harpie
Narratione delle Arpie, & interpretatione di
quelle
Sententia di Seneca Philosopho
Interpretatione degli Argonauti
La vera historia di Phineo, & dell'Harpie
Natura del vento Zephiro, & espositione dei
suoi nomi
Origine dei cavalli d'Achille
Historia di Flora meretrice, & institutione
dei giuochi suoi
Favola di Licaone, & del convito da lui
fatto a Giove
Perché fosse detto Licaone essere cangiato in
Lupo
Diversi nomi attribuiti a Calisto, & favola
di quella
Origine di tutti i Giganti in generale
Vera narratione d'un Gigante trovato a' nostri
tempi
Perché sia detto i Giganti essere confinati
nell'Inferno
La ragione per la cui fosse detto Giove essersi
cangiato in montone
Proprietà attribuita al corvo
Espositione della tramutatione di molti Dei
NEL QVINTO.
DISCORSO dell'Autore sopra molte antichità
Nobiltà della città d'Athene
Figuratione del monte Parnaso, di Thebe, &
d'altri infiniti luoghi
Quale fosse la grandezza del secondo Giove
Ornamenti attribuiti a Diana, & significato
di quelli
Perché, & quanto Diana sia chiamata Luna
Favola di Apollo, & origine di lui
Quale fosse quello Apollo che rendeva gli
oracoli in Delpho
Variationi di molti scrittori d'intorno Apollo
Perché ad Apollo fosse attribuito l'inventione
della medicina
La ragione per la cui ad Apollo fosse sacrato il
Lauro, & il corvo
Proprietà, & virtù del Lauro nei sogni
Che la potenza del Sole è di tre qualità
Espositione delle insegne attribuite ad Apollo
Origine dei popoli Lapithi di Thessaglia
Edificatione della città Phaseli nei confini di
Pamphilia
Nascimento di Lino Poeta
Novella dilettevole d'un Cigno
Perché Orpheo sia detto figliuolo di Apollo,
& Calliope
La cagione perché Orpheo fosse detto movere i
monti, etc.
Interpretatione di Euridice
Chi primo trovasse i sacrifici di Baccho
Chi si debba intendere il serpente qual voleva
divorare il capo d'Orpheo
Di quale famiglia fosse Orpheo
Oracolo nella edificatione della città Cirene
Chi primo ritrovasse l'uso dell'api, del mele,
del latte, delle olive, & dell'olio
Chi primo desse leggi agli Arcadi
Espositione della favola d'Esculapio, &
Hippolito
Perché la famiglia dei Cesari osservasse i
sacrifici di Apollo
Come gli Esculapii sono stati tre
Inventione dell'uso di molte cose
Quanto tempo la medicina fosse interdetta, &
nascosta
Favola di Psiche, & di Cupido
Interpretatione del nome di Psiche
Attioni dell'anima nostra di tempo in tempo
Quali siano le sorelle dell'anima nostra
Chi primo in Babilonia mostrasse la medicina
Il senso historico di Titio
Il modo de' sacrifici che si usavano a Baccho
Come Baccho nacque nella città di Nisa
Il senso phisico della favola di Baccho
Perché Sileno sia detto allevo di Baccho
Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a
Baccho
Come i Poeti furono già soliti essere coronati
d'Edera
Dichiaratione di tutti i nomi attribuiti a
Baccho
Quale era il simulacro antico delle città libere
Perché Himeneo fosse chiamato Dio delle nozze
La ragione per la quale si dica Giove essere
cangiato in Toro
Come Amphione col suono della lira edificasse
Thebe
I nomi dei quattordici figliuoli d'Amphione
Attioni oprate verso noi dalle tre Gratie
Interpretationi dei nomi delle Gratie
Perché il cane fosse assunto in Cielo
Principio del segno celeste chiamato Vergine
La vera historia di Penelope
Perché Minerva si dipinga armata
Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a
Minerva
Contentione tra Minerva, & Nettuno
nell'imporre il nome ad Athene
Perché Calisto fosse chiamata Orsa, & chi
primo donasse il nome agli Arcadi detti prima Pelasgi
Origine del nome del mare Ionio
Chi nell'Italia ritrovasse i caratteri delle
lettere.
NEL SESTO.
DISCORSO sopra la degnità di Roma
Edificatione di Corneto
Da cui il paese di Dardania prendesse il nome di
Troia
Come Ganimede fu cangiato nel segno di Aquario
Da cui la città di Troia pigliasse il nome
d'Ilione
Conventioni di Laumedonte con Apollo &
Nettuno in edificar Troia
Prima destruttione d'Ilione fatta per Hercole
Perche Titone fosse detto esser rapito
dall'Aurora
Conversione di Titone in Cicada
Meraviglioso caso d'intorno l'essequie di
Mennone, & origine degli uccelli detti Mennoni
Discorso sopra la vita di Priamo
Perché a Cassandra fosse tolto la credenze de'
suoi pronostichi
Sogno d'Hecuba nella natività di Paris
Giudicio di Pari in Ida, & promissione delle
tre Dee
Openioni diverse del rapir d'Helena da Paris
Divisione della vita mortale in tre parti
Breve raccolta di tutti i fatti d'Hettore
Come i figliuoli d'Hettore ricuperararono Troia
Origine dei Re di Francia da i figliuoli
d'Hettore
Espositione de' virgulti ne' quali fu cangiato
Polidoro
Favola dell'Hesperide, & d'Esaco
Perché fosse detto Esaco essersi cangiato in
Smergo
Favola di Venere, & Anchise nella
generatione d'Enea
Diverse openioni di vari scrittori d'intorno la
vita d'Anchise
La spositione per la quale fosse detto Anchise
essere stato da Venere accecato
Lodi di Francesco Petrarca sopra la sua Africa
Raccolta dei fatti, & degli errori di Enea
Varie openioni d'intorno la morte di Enea
Il vero senso d'intorno tutte le parti favolose
d'Enea
Derivatione di tutti i nomi co' quali fu
chiamato Ascanio
Edificatione di Alba per Ascanio
Principio della famiglia Giulia
Openione d'Eraclide sopra il nome di Roma
Da chi la Brettagna, & la Cornubia
prendessero nomi
Come il Tevere lasciò il nome d'Albula, & fu
detto Thebro
Da chi derivasse la famiglia Giulia, & i
Cesari
NEL SETTIMO.
Openione dei Theologhi d'intorno l'Oceano
Perché l'Oceano sia detto padre delle cose
Diverse openioni di quelli che credettero
l'acque essere il principio delle cose
Dichiaratione degli ornamenti attribuiti
all'Oceano
Interpretatione del nome d'Eurimone figliuola
dell'Oceano
Perché Pleione sia detta moglie d'Atlante
Chi sia Tritone, & l'ufficio suo
Il modo che bisognava tenere per ricevere auguri
da Proteo
Come si faceva l'indovinatione con l'acqua
Quale sia l'arte dell'Hidromantia
Humanità, & piacevolezza d'un Delphino
Divisione di tutti i nomi, & proprietà delle
Nimphe
Quali siano le Nimphe dei fiumi, dei fonti, dei
boschi, degli alberi, dei monti, dei prati, dei fiori, & delle selve
Oracolo del nascimento d'Achille
Espositione del nome di Theti
Transformatione di Aretusa in fonte
Proprietà d'alcuni fonti di Sicilia
Openione dei Phisici del Sole d'intorno
l'attioni dell'acque
Perché sia stato detto Hercole haver levato un
corno ad Aheloco
Descrittione delle Sirene
Dichiaratione dei nomi, & vera narratione
delle Sirene
Come si dipingano le Sirene
Il senso naturale, & l'historico della
favola di Giove, & Io
Variatione di molti scrittori d'intorno il tempo
d'Inaco
Chi trovasse l'uso del lino, delle sementi et
d'altre cose necessarie
Perché il loco della ragion civile sia detta
Foro
Chi si debba intendere Daphne amata da Apollo
Costume antico nel coronare i vincitori
Perché si prendesse la corona dell'Alloro in
incoronare altrui
Virtù dell'alloro, & proprietà di quello
Trattato del Nilo
Chi donasse ai Phrigij i caratteri delle lettere
Chi fosse Hermete Trimegisto
Proprietadi attribuite a Mercurio, &
ornamenti a lui ascritti
Onde la Sardigna havesse il nome
Origine del nome dato all'Ethiopia
Il vero senso della favola di Phetonte
Quale fosse l'incendio che avenne nei tempi di
Phetonte
Discorso sopra i movimenti, & giri della
sphera celeste
Onde i Liguri populi havessero nome
Historia d'Hesiona, & Hippote Troiano
Openione sopra l'edificatione di Mantoa
Perché l'acque del fiume Cephiso siano dette
fatidiche
Espositione di Echo, & di Narciso
NELL'OTTAVO.
QVANTI siano stati i Labirinti.
Variatione di molti scrittori d'intorno Saturno
Il senso historico, & il naturale di Saturno
Perché si sia detto Saturno divorare i fanciulli
Quale sia la complessione di Saturno pianeta
Inclinatione dell'huomo nato sotto Saturno
Ornamenti di Saturno, & dichiaratione di
quelli
Perché i secoli di Saturno fossero detti aurei
Onde i libri prendessero il nome di Croniche
Descrittione dell'anno serpentario secondo gli
antichi
Narratione dell'anno doppio, cioè gigante, &
magno
Variatione antica dei mesi dell'anno
Riformatione di Gaio Giulio Cesare dell'anno
solare
Quale sia l'anno grande secondo Aristotele
Quanti migliaia d'anni facciano l'anno maggiore
Narratione della dea Vesta
Fatiche durate da Cerere in cercare la figliuola
Proserpina
Favola di Trittolemo, & dono fattogli da
Cerere
Come si comprenda Cerere in più modi
Interpretatione di Giove, & Cerere
Il senso delle tre grana di melegrane gustate da
Proserpina
Figuratione delle biade che nascono
Descrittione della casa di Plutone
Ornamenti attribuiti a Plutone
Perché Plutone sia detto Dio dell'Inferno
Per qual causa Chirone si depingesse nella
forma, che si fa
Chi trovasse la medicina agli huomini, & a'
giumenti
Favola, & Historia di Circe, & Pico
Natura dell'uccello Pico
Narrattione di tutti i dei Silvani
Proprietà delle acque del fiume Aci
Origine, & discendenza del Re Latino
Edificatione di Preneste
NEL NONO.
DISCORSO dell'Autore di molte parti del mondo
Compassione dell'Autore d'intorno alle cose
antiche
Dichiaratione di tutti gli ornamenti attribuiti
a Giunone
Con quanti nomi Giunone sia chiamata, & la
spositione di quelli
Per quale degli Elementi Giunone sia compresa
Perché Iris, cioè l'arco celeste, sia attribuito
a Giunone
Natura del pavone, & favola di quello
Favola di Hebe assunta in Cielo
Quanti segni del Zodiaco siano attribuiti a
Giove
Perché Hebe fosse detta dea della gioventù
Descrittione del paese di Marte secondo Statio
Dichiaratione degli ornamenti attribuiti a Marte
Trattato del pianeta di Giove, & di quello
di Marte
Quanto sia pestifero il menstruo della donna
Perché Marte sia detto figlio di Giunone
Quali siano i ministri attribuiti a Marte
Descrittione di Cupido secondo Seneca Tragico
Varie openioni di diversi auttori d'intorno Cupido
Openione degli Astrologhi d'intorno la natività
dell'huomo
Quale sia il punto che ci inclini alla lussuria
Espositione degli ornamenti attribuiti a Cupido
Favola di Pelope, & Hippodamia
Chi primo acquistasse, & possedesse la
Calidonia
Quale sia il tizzone compreso nella vita di
Meleagro
Favola di Thideo, & Polinice, con la
dichiaratione di quella
Breve raccolta della vita, & fatti di
Diomede
Significato della pena attribuita a Phlegia
nell'Inferno
La vera historia d'Isione
Differenza tra il nome di Re, & Tiranno
Per qual cagione Isione fosse cacciato dal
Cielo, & confinato nel centro dell'Inferno, & ascrittoli tali tormenti
Favola de' Centauri
Dignità della barba conceduta dalla natura agli
huomini
Amore di Evanne verso il morto marito Capaneo
Chi prima amazzasse nessuno animale
Sogno d'Ilia, madre di Romolo, & Remo, nella
concettione di loro
Auguri nell'impor nome alla Città di Roma
Chi primo a' Romani ordinasse l'anno di diece
mesi
Raccolta di tutti gli ordini instituiti da
Romolo
Perché Romolo fosse detto Quirino
NEL DECIMO.
Openione degli antichi d'intorno il mare
Mediterraneo
L'utile che si thrae dalle navigationi
Espositione degli ornamenti attribuiti a Nettuno
Onde habbia havuto principio la lingua Dorica
Come gli antichi solevano honorare quelli che
cercavano paesi stranieri
Quale sia il paese chiamato Bithinia
Perché a Trapani fosse edificato il Tempio a
Venere Ericina
La cagione per la quale Phorco fu detto Dio
Marino
Dichiaratione della favola di Scilla conversa in
cane
Quante sorte di terrori si trovino
Favola di Medusa, & dichiaratione di quella
Origine del cavallo Pegaso
Favola d'Vlisse, & Poliphemo
Con qual studio, & via Vlisse vincesse
Poliphemo
Quante siano state le specie di Ciclopi
Ethimologia del nome de' Ciclopi
Come le arti siano da' Greci chiamate
Prova per la quale si mostra quasi tutti gli
essempi dell'arteficiate cose dal mare, & dalle acque essere cavati
Di quanto utile siano le acque
Da cui sia discesa la origine di Ennio Poeta
Chi sia il cavallo Pegaso tanto da' Poeti
celebrato
Dichiaratione di tutti i misteri compresi sotto
il nome del cavallo Pegaso
Perché Giasone fosse mandato da Pelia
all'acquisto del Vello d'oro
Breve raccolta de' gran fatti di Theseo
Perché Hippolito fosse chiamato Virbio
Da cui quella parte dell'Asia chiamata Media
prendesse nome
Astutia d'Hippomene in vincere Atalanta
Trasmutatione di Hippomene, & Atalanta in
Leoni
Principio del nome dato ai popoli Pelasgi
Seditione di Nauplio per tutta la Grecia
Astutia di Palamede usata contra Vlisse
Tradimento d'Vlisse contra Palamede
Origine del nome delle Arpie, & loro
derivatione
NELL'UNDECIMO
Openioni di diversi scrittori di Giove
Fatti di Giove raccolti sotto brevità
Espositione di tutti gli ornamenti attributi a
Giove
Delle Muse, & della virtù loro
Da che nascano le voci degli huomini
Dichiaratione de' nomi di tutte le Muse
Perché sia detto le Muse essere necessarie
all'huomo studioso
Esclamatione dell'Autore contra i Maledici delle
Muse
Quale sia il vero amore tra noi mortali
Conversione di Giove in cigno nel giacer con
Leda
Narratione di Castore, Polluce, & Helena
Origine del pianeta de Gemini
Principio della guerra di Troia
Diversità sopra il rapire d'Helena
Morte di Agamennone per Egisto
Favola della origine dei Palisci
Virtù dell'acqua di Palisco in Sicilia secondo
Aristotele
Per qual merito il Cancro fosse collocato nel
segno del Zodiaco
Quale fosse la Dea sopra il menstruo
Origine dei Mirmidoni
Tramutatione di Dedalione in sparvieri
Inganno di Apollo, & Mercurio per Lichione
Favola di Ceice, & Alcione
Nascimento favoloso di Orione
Dichiaratione della favola d'Orione
Discorso sopra la gravidanza delle donne
Favola di Ligurgo, & espositione di quella
Favola di Phillide, & dichiaratione di lei
Diversità di molti scrittori sopra la vita di
Minos
Assuntione della corona di Arianna in cielo
Edificatione della città di Pittiglia
Opinioni diverse dell'Origine d'Vlisse
Vita, costumi, & opre d'Vlisse
Astutia di Palamede verso Vlisse
Breve compendio dei fatti d'Vlisse
Tutti gli errori di fortuna di Vlisse
Morte d'Vlisse per le mani del figliuolo
Dichiaratione dei venti rinchiusi negli utri
edificatione della città di Tivoli
NEL DVODECIMO
DISCORSO sopra le antichità dell'Ausonia
Trattato del supplicio di Tantalo, &
scelerità di quello
Favola di Niobe, & tramutatione di quella
Guerra tra Pelope, & Endimaco per Hippodamia
Favola, & proprietà del monton d'oro
Scelerità di Thieste contro il fratello Atreo
Descrittione del scettro d'Agamennone fabricato
da Volcano
Travagli patiti da Agamennone
Favola sopra la immolatione di Hiphigenia
Furore d'Horeste
Congiuntione di Giove, & Luna
Chi fosse tenuto dagli antichi padre di tutta la
nobilità della Grecia
Fatti di Perseo figliuolo di Giove
Interpretatione dello scudo di Pallade
Spositione di tutta la favola di Medusa &
Perseo
Chi fosse l'inventore dei sogni, & visioni
Se la donna può impregnarsi in diversi tempi di
più d'uno in un parto
Edificatione di Olbia in Grecia
Favola nel nascimento d'Euristeo
Inventione di sacrifici di Apollo
Dell'origine dell'incenso
Perché il mar Rosso si chiami Eritreo
Dichiaratione della favola delle formiche
Origine della città di Salamina
Prove di Peleo nell'acquisto della moglie Theti
Discordia tra le tre Dee
Significato del nome di Achille
Breve raccolta di fatti d'Achille
Chi primo principiasse l'arte de' corsari
Chi fosse il primo che incominciasse ingrassare
i terreni
Principio di macinare il fromento
Maravigliosa fortezza di Turno
Come Enea fu morto da Turno, & non Turno da
Enea
Come vi è più d'uno Mercurio, & la
differenza loro
Perché Mercurio sia detto messaggiero dei Dei
Lodi dell'eloquenza
Fittione dei Lari
Discorso sopra i nostri Genij
Vsanza moderna cavata dall'antica dei lari
Epitafio di Pallante figliuolo d'Evandro
Da chi fosse nomato il monte Palatino
Particolare descrittione di tutta la vita di
Mercurio
Quante spetie di foco siano appresso noi
Perché si dica Vulcano essere stato esposto in
Lenno
Quanta sia l'utilità del foco
Perché Volcano sia detto fabro di Giove
Openione di Vitruvio nell'inventione del foco
Il modo per lo quale si donasse principio alle
parole
Chi primo ritrovasse l'uso della carretta
Perché Caco fosse detto figlio di Vulcano
Edificatione della città di Preneste
Breve trattato di Tullio Servilio
Scelerate operationi di Tullia figlia di Tullio
Servilio
NEL TERZODECIMO.
BREVE raccolta di tutte le fatiche d'Hercole
Segno di grandissimo amore di Alceste verso il
marito Admeto
Morte d'Hercole nel foco
Interpretatione del nome di Hercole
Come vi sono stati molti Hercoli
Perche sia detto nella generatione d'Hercole tre
notti essersi ridotte in una
Il vero senso di tutte le fatiche oprate da
Hercole
Quali siano l'operationi del Sapiente
Congiuntione dell'anima rationale con la virtù
Edificatione di Hittone, antichissima città di
Boemia
Onde sia derivato il nome della Sardigna
Origine del nome dell'Isola di Corsica
Conversione di Ciparisso in Cipresso
Da che sia nato, che Eolo sia chiamato Dio de'
venti
Onde sia detto nascere i venti
Quanti siano i venti secondo Aristotele
Perché Miseno sia detto figliuolo d'Eolo
Adunatione degli Argonauti all'acquisto del
Vello d'oro
Da chi prima il castello di Pola fosse habitato
Tutti i fatti, & vita di Giasone
Avaritia di Eriphile, & poco amore verso il
marito
Da cui prendesse nome la città di Tivoli
Opra strana, & maravigliosa di Salmoneo per
farsi adorar per Iddio
Herba appropriata alla sterelità delle donne,
& alla morte del serpente
Trattato di due Sisiphi
Edificatione della città d'Ephira, chiamata
Corinto
Valorose prove di Bellorofonte
Allegoria della Chimera
Chi primo mettesse cavalli sotto carretta
Favola di Cephalo, & l'Aurora
Narratione d'Athamante, & Ino
Da cui l'Hellesponto prendesse nome
Quale fosse il montone dal vello d'oro
Morte di Learco, & Melicerte
La ragione per la quale l'autore non habbia
posto tra il numero de' dei Alessandro, & Scipione
Il fine della Seconda
Tavola.
DISCORSO dell'Autore sopra tutte le cose narrate
nei precedenti libri
La ragione per la quale l'Autore si sia mosso a
fare questi due ultimi libri in difesa degli altri
Parlamento dell'autore al Re
Tema dell'autore non dei dotti, ma de gli
ignoranti
Alcune cose contra gli ignoranti
Quello che gli ignoranti potranno opporre alla
presente opra
Come i vituperi degli huomini vergognosi sono
lodi degli huomini illustri
Discorso contra quelli che sono ignoranti, et
vogliono essere tenuti saggi
Contra quelli che a pena hanno visto le coperte
dei libri, & vogliono sempre allegar gli auttori
Editto di Pittagora nel ragionar della Filosofia
Parlamento contra i giurisperiti, con alquante
lodi della povertà
Oppositioni de' leggisti contra i Poeti
La ragione per la quale la Poesia non apporti
ricchezze
Lodi, & grandezza della Poesia
Che la Poesia è celeste, & eterna
Da che siano buoni i Causidici
Comparatione delle leggi, & della Poesia
Povertà, & grandezza d'alcuni Poeti
In quanto prezzo Alessandro Magno havesse le
opre d'
I Homero
Amore di Scipione verso Ennio Poeta
Commodi della povertà, & incommodi della
ricchezza
Molti essempi di Filosofi amatori della
povertà
Nomi di molti Poeti, & famosi Romani che
amarono la povertà
Che cosa sia la povertà
Con quante angustie vivano i ricchi
Quali siano quelli che s'oppongono a' Poeti,
& quali siano le cose che da alcuni gli sono opposte
Descrittione della Filosofia
La diversità di quelli che segueno la Filosofia
Simulatione di quelli che vogliono essere tenuti
Filosofi
Le oppositioni dei Filosofi in apparenza contra
i Poeti
Che la Poesia è una scienza utile
Ragione contra quelli che dicono la Poesia esser
nulla
Che la Poesia non è facultà vana
Che quelli che dicono i Poemi esser vani non gli
intendeno
Che cosa sia la Poesia onde detta, & quale
il suo ufficio
Quali siano gli effetti del fervor Poetico
Le cose che si ricercano a un buon Poeta
Derivatione della Poesia
Parole di Cicerone d'intorno la Poesia
Che dal cielo è discesa la Poesia
In quali parti del mondo prima risplendesse la
Poesia
Openioni di diversi auttori nell'origine della
Poesia
Quali fossero tenuti i primi Poeti
Tempo nel quale hebbe principio la Poesia
Come vi sono stati due Orphei
Come Mosè fu Poeta
Che più tosto egli si vede essere cosa utile che
dannosa haver composto favole
Che cosa sia favola, & sua derivatione
La spetie delle favole essere di quattro sorti
Come le favole spesse volte hanno acquetato gli
animi instigati da pazzo furore
Essempio di Roberto figliuolo del re Carlo per
le favole
Ch'egli è pazzia credere ch'i Poeti sotto le
corteccie delle favole non habbiano compreso alcuna cosa
Espositione d'alcuni passi favolosi di Vergilio
Breve trattato di nascosti sentimenti di alcuni
Poeti
Che i Poeti per la commodità della
consideratione habitarono le solitudini
Essempi di molti Poeti antichi, & moderni,
che lasciarono la conversatione de gran principi per habitar le solitudini
Versi d'Horatio sopra la Poesia
Lodi della vita solitaria, & contentezza
dell'animo nelle cose lontane dalle città
Che l'oscurità de' Poeti non è da biasimare
Che l'ignoranza altrui è quella che fa parer le
cose oscure
Ch'egli è proprio ufficio del Poeta essere oscuro
Parole d'Agostino sopra lo scrivere oscuro
Che i Poeti non sono bugiardi
Le ragioni per le quali i Poeti non sono mendaci
Argomenti in difesa de' Poeti
Ragionamento sopra la Apocalipsi di Giovanni
Quante siano le spetie degli huomini bugiardi
Che i Poeti non hanno peccato in altro che nel
non conoscere il vero Iddio, che non era ancho venuto in Terra
Bellissimo misterio di Vergilio sopra l'historia
di Didone
Come Virgilio per quattro cagioni fu sforzato
far Didone impudica
Che pazzamente si biasma quello che men
drittamente s'intende
Quali siano le fittioni ne' Poeti da lodare
& quali da biasimare
Il tempo nel quale in tutto si estinsero l'opre
de' Poeti lascivi
Ch'egli è cosa vergognosissima far giudicio
delle cose non conosciute
Oppositione fatta a' Poeti dagli ignoranti
Essempio di uno a' dì nostri inimicissimo del
Poetico nome
Con qual ragione alcuno possa parlare contro e'
Poeti, se prima non gli ha studiati
Discorso sopra la grandisssima utilità che si
cava da' Poeti, & tra gli altri particolarmente da Virgilio
Che i Poeti guidano al bene chi loro legge
Esclamatione verso i Poeti
Come quelli che biasmano i Poemi hanno solamente
atteso alle vanità loro
Espositione d'un passo della Sacra Scrittura
Che i Poeti non sono punto simie de Filosofi
Quale sia la natura delle simie
Attioni di Filosofi, & operationi de' Poeti
Come il Poeta segue le cose naturali
Ch'egli non è mal fatto né peccato mortale
leggere e' libri de' Poeti
Autorità delle sacre lettere prodotte contra i
Poeti
Proverbio anticamente usato
Libertà conceduta a buon fine al Poeta, & al
Pittore
Che non è male sapere il male, ma l'oprarlo
Come la Poesia è ministra della Filosofia
Che gli scrittori delle Sacre Lettere si sono
serviti de' Poeti
Che tutti i Poeti secondo il comandamento di Platone
non sono da essere cacciati dalle città
Essempi di molti Poeti che, lasciate le città,
habitarono le solitudini
Contentione di sette Cittadi nella morte
d'Homero
Molti Poeti tenuti in pregio da gran prencipi
Lodi di Francesco Petrarca
Quali siano i Poeti da essere cacciati dalle
Cittadi
Che le Muse non possono essere oltraggiate per
difetto di nessuno ingegno cattivo
Dichiaratione del detto di Boetio contra le Muse
Ragionamento dell'Autore al Re
Preghi dell'Autore verso gli inimici del poetico
nome
Mutatione di Roberto Re di Sicilia, inimicissimo
de' Poeti
Breve trattato di molti poemi di diversi auttori
Parole di Cicerone in lode della Poesia
NEL QVINTODECIMO ET
VLTIMO.
PRoemio dell'Autore in difesa della presente
opra
Che le cose men necessarie alle volte sono state
più pregiate
Prova l'Autore la presente opra essere
necessarissima
Che spesse volte sono durate più lungamente
quelle cose che paiono meno durabili
Ragioni per le quali questa opra potrebbe essere
durabile
Che le membra di quest'opra più propriamente non
si sono potute congiungere
Sententia di Socrate Filosofo
Che nella presente opra non v'è stato posto
quello che non vi s'è trovato
Escusatione dell'Autore d'intorno la spositione
delle favole
Che nella presente opra non v'è incluso alcuna
historia ne favola che non sia tolta dai comentari degli antichi
Oppositioni fatte dai sindici delle fatiche
altrui
Che gli auttori novi dal Boccaccio citati sono
famosissimi huomini
Lode d'Andalone de' Negri Genovese
Lodi di Dante Alighieri Fiorentino
Breve trattato di molti altri autori moderni
Lodi, & opre di Francesco Petrarca
Difesa sopra la produttione di molti auttori
antichi
Perché la Poesia sia seguita da pochi
Che molti versi si sono posti in diversi luoghi
dell'opra non senza mistero
Molte ragioni dell'Autore d'intorno il procedere
di detta opra
Essempio del Boccaccio nel far profitto nelle
lettere
Ramarico dell'Autore d'intorno gl'impatienti
delle fatiche altrui
Che i Poeti Gentili sono Mithici Theologhi
Che la Theologia è di tre sorti
Derivationi di tutte le sorti di Theologia
Non essere cosa dishonesta alcuni Christiani
trattare cose Gentili
Quando era pericoloso trattare cose Gentili
Credenza dell'Autore d'intorno la fede Chistiana
Trattato della Trinità
Discorso sopra tutto il Testamento nouo
Openione di Tomaso d'Aquino nella morte di
Christo
Credenza del giorno del giudicio
Con quali sacri autori il Boccaccio si fosse
fermato nella fede
Errore di Salomone verso Iddio
In che l'Autore havesse fermato la sua speranza
Che per lo più seguitiamo gli studi a' quali
gl'ingegni paiono inchinati
Effetti partoriti verso noi dalla madre Natura
Discorso sopra la vita humana
Che l'huomo non puote né deve seguire altro
essercitio eccetto quello al quale lo ha prodotto la Natura
Prove fatte dal padre del Boccaccio per levarlo
dalla Poesia
Inclinatione dell'Autore all'arte Poetica
Che dannosamente habbiamo compassione ai Re,
& alli Dei Gentili
Con che meriti s'acquisti la nobiltà
Che il breve overo lungo parlare non è per
mancamento da essere stracciato
Risposta a quelli che tasseranno l'Autore di
soverchia lunghezza
Difesa contra quelli che il biasmeranno di
brevità
Che per vero, & non per finto comandamento
del Re, egli compose la presente opra
Sentenza di M. Tullio Cicerone
Proue dell'autore nel mostrare il Re havergli
commesso questa fatica
Essempio d'Alessandro nel desiderare scrittori
dell'opre sue
Molti essempi d'antichi famosi Romani desiderosi
di gloria
Dimanda di Roberto Re di Gierusalemme &
Sicilia al Petrarca, che gli intitolasse la sua Africa
Superbia dell'autore nelle sue fatiche
Conclusione dell'autore
Speme dell'autore in Dio.
Preghi dell'autore verso quelli, che leggeranno
quest'opera.
Il
fine di tutte le Tavole cavate da' presenti Libri.
Se à pieno, famosissimo Re, ho
inteso quanto mi ha riferito Donnino Parmigiano, tuo valoroso soldato,
grandemente desideri la Genealogia de Dei Gentili, & degli heroi, che
secondo le fintioni antiche sono da loro discesi, & appresso, l'opinione,
che già per lo passato sotto la corteccia di queste favole n'hebbero gli
huomini illustri: & di ciò l'altezza tua ha eletto me, come huomo
sufficientissimo, & auttore ammaestratissimo a cosi fatta opra. Ma per
lasciare la maraviglia del tuo disio (percioche non istà bene ad uno di
picciolo grado ricercar l'intentione d'un Re) lascierò da parte quello ch'io
senta in contrario della mia elettione, accioche dimostrando la mia
insufficienza, tu non t'imaginassi, che di nascosto & con iscuse io volessi
schifar il peso della fatica impostami. Nondimeno, pria ch'io giunga
all'openion mia circa il carico datomi, piacciati, Serenissimo dei Re,
ammettere, & se non tutte, almeno alcune parole, che intravennero tra
Donnino tuo famosissimo soldato, & me, mentre egli mi spiegava i
comandamenti di tua Maestà; accioche leggendole molto bene a bastanza tu vegga
il tuo giudicio, & la mia arroganza, fino a tanto ch'io giunga
all'ubbidienza della grandezza tua.
Havendomi adunque egli con
grandissima facondia narrato i sacri studi della tua sublimità, le maravigliose
opre dell'amministration Reale, & appresso con lungo parlare alcuni
notabili & gloriosi titoli del tuo nome, pervenne a tanto, che con
grandissimo sforzo s'ingegnò ritrarmi ne' tuoi voleri non con una sola ragione,
ma con molte, delle quali confesso, che alcune parevano valide. Ma poscia, che
tacque &, che a me fu dato agio di rispondere, così gli dissi; O valoroso
guerriero, forse, che tu pensi, overo che 'l tuo Re che per l'avenire (piacendo
a Iddio) sarà nostro, istima questa pazzia degli antichi, cioè, che
desiderarono essere tenuti discesi di sangue divino, haver occupato un picciolo
spatio di terra; e si come ridicolosa cosa, come era, haver durato poco tempo,
e come anco opra moderna, e di pochi giorni facilmente potersi raccorre.
Nondimeno (dirò sempre con tua buona pace) altramente stà la cosa. Percioche,
lasciando da parte le Cicladi, & l'altre Isole del mare Egeo, con la sua
macchia bruttò, et infettò l'Achaia, la Schiavonia & la Thracia, le quali
per lo fiorire, & per la grandezza di questa pazzia furon, in grandissimo
splendore, massimamente nel tempo, che la Republica de Greci fu in fiore, cosi
anco i liti del mare Eusino, Hellesponto, Meonio, Icario, Panfilio, Cilicio,
Fenicio, Sirio & Egittiaco. Nè Cipro, notabil scettro del nostro Re, fu
liberato da questa macchia. Cosi medesimamente infettò tutto il paese della
Libia, delle Sirti & di Numidia, tutti i luoghi del mare Atlantico &
Occidentale, & tutti i remotissimi horti delle Hesperide. Nè solamente fu
contenta dei liti del Mare Mediteraneo, che trappassò anco a non conosciute nationi
di mare. Caderono etiandio con i maritimi in questo errore tutti gli habitatori
del Nilo (che manca di fonte) & tutte le solitudini dell'arena Libica
insieme con le sue moralitadi & dell'antichissima Thebe. Appresso gli
ultimi Egittii, i focosi, & troppo calidi Garamanti, i neri Ethiopi, gli
odorati Arabi, i ricchi Persi; i popoli Ganaridi, i Babilonici. Indi per la
nerezza notabili, l'altre cime del Caucaso con tutto il suo duro discendere
così verso il caldo Sole, come i freddi Poli; il mare Caspio; i crudeli hircani,
tutto il Tanai, il Rodope sempre pieno di nevi, & anco la rozza fierezza
dei Sciti. Et havendo tutti i vasti dell'Oriente, & dell'Occidente, &
del mar rosso l'Isole contaminate si ridusse da noi Italiani; di maniera, che
Roma Reina del mondo si lasciò acceccare da questa nebbia. Et accioche
minutamente io non stia a discorrere, per tutti i paesi, dove questa cecità
hebbe molto potere, come a bastanza tu puoi vedere, una portioncella sola fu
del mondo fra Tramontana e Occidente, benche di scelerata crudeltà, la quale
non fu nobilitata dalla progenie di questa deità, si come l'avanzo fu
infettato; nè quelle cose furono all'età nostra. Et allhora forse giovanetto
Abraam, mentre appresso Sicioni questa pianta incominciò far radici, &
entrare negli animi de gli huomini trascurati. Al tempo nondimeno degli heroi
fu in molta riputatione, & divenne in grandissimo nome, & riverenza,
continuando ogni dì più sino alla ruina del superbo Ilion. Percioche nella
guerra Troiana si ricordiamo haver letto essere stati amazzati alcuni figliuoli
di Dei: & Hecuba in cane, & Polidoro in virgulti essersi convertiti
ch'è antichissima, & in tempo di molti secoli. Onde non è da dubitare chè
per tutto dove questa pazzia ha havuto radice, ivi non siano scritti di gran volumi,
accioche la divina nobiltà de' maggiori col ricordo delle lettere pervenisse ai
posteri. Et quantunque istimai il numero di questi tali essere stato picciolo
quanto fosse grandissimo, Paolo Perugino, cosi grand huomo, & di tai cose
diligentissimo, & curiosissimo investigatore, spesso afferma in mia
presenza da Barlaam huomo Calavrese, & di lettere Greche benissimo
instrutto haver inteso alcun huomo notabile, nè famoso Prencipe, ò d'altra
preminenza, in tutta la Grecia (mostrando prima tutte l'isole, & i liti)
essere stato in quel secolo, nel quale questa pazzia fiorì, ch'egli non gli
facesse vedere che havesse havuto origine da alcuno de questi tali Dei. Che
dirò adunque, che risponderai tu? Se tu potessi riguardar un mar cosi lungo,
largo, & spatioso, cosi antico, durato tanti secoli, spiegato in tanti
volumi, & ampliato in cosi gran numero d'huomini, crederesti, tu, ch'io
potessi adempire i voleri del Re? Veramente, se i monti prestassero i passi
facili, & le solitudini diserte il viaggio palese, & aperto; se i fiumi,
i guadi, & i mari l'onde tranquille, & il passaggiero Eolo mandasse
dalla spelonca i venti tanto prosperi; & fecondi, & che piu è, se
havesse le ali d'oro d'Agrifonte legate ò piedi d'ogni huomo, che si voglia,
& se fosse uccello che potesse volare dove piu piacesse, a pena potrà
girare il mondo, & cosi lunghi passi del mare, & della terra, non che
far altro, se bene a lui fosse conceduto una grandissima quantità d'anni, &
secoli. Di più concederotti, che si habbiano tutte queste cose, & che si
possa, col voler d'Iddio, congiungere in un momento tutte le scritture, &
le memorie antiche, & che per dono divino si habbia la notitia di tutti i
caratteri, & gli idioma delle nationi diverse, & che in ogni luoco, che
si giunga siano preparati i volumi intieri, chi sarà colui (lasciando tra
mortali me fuori), che habbia le forze cosi ferme, l'ingegno cosi acuto, la
memoria cosi profonda, che possa veder tutte le cose poste a lui dinanzi?
intendere le vedute? le intese conservare, & poi con la penna finalmente distenderle,
& le raccolte, in un'opra renderle a perfettione? Oltra di ciò m'aggiungevi
ch'io descrivessi quelle che sotto ridicoloso velame delle favole hanno
nascosto gli huomini saggi, come se l'inclito Re istimasse pazzamente credere,
gli huomini ammaestrati quasi in ogni scienza semplicemente haver speso il
tempo, & sudato d'intorno lo scrivere favole lontane da ogni verità, &
che non habbiano altro che il latino senso. Non negherò che questa reale
elettione m'è stata grata, & hammi dato certissimo argomento; perche, si
come per inanzi tu dicevi, egli ha l'ingegno divino, & m'ha istimato
sofficiente ad adempire il suo disio, pur che le mie forze fossero bastanti. Ma
d'intorno queste tali narrationi vi è di gran lunga maggior difficultà, che tu
non istimi, & è fatica da huomo Theologo. Percioche concedendo, secondo la
opinione di Varrone, dove scrisse molto delle cose divine, & humane, che
questo genere di Theologia sia quello, che mistico, overo, come piace ad altri,
& forse meglio sia fisico, benche habbia in se molta falsità da ridersi,
nondimene ricerca molto arteficio ad scoprirla. Et per ciò honoratissimo
soldato sono da considerare le forze degli huomini, & essaminare
gl'ingegni, & cosi a quelli imporre convenevoli carichi. Potè Atlante col
capo sostenere il Cielo & a lui, lasso per lo peso, potè Alcide prestare
aiuto. Amendue furono huomini divini & quasi invincibile fortezza fu quella
d'amendue. Ma io che son huomo picciolo, non ho forze di alcun valore,
l'ingegno tardo, la memoria intricata, & tu alle mie spalle desideri, non
il Cielo ch'eglino sostennero, ma anco la terra sovragiungere, & appresso i
mari, essi habitatori dei Cieli, & con loro i famosi sostentatori. Non è
altro questo, eccetto volere ch'io sotto il peso creppi. Nondimeno, se tal cosa
era tanto a cuore al Re, era peso convenevole (se tra mortali uno è atto a
tanta fatica) alle forze del celebratissimo huomo Franceseo Petrarca, del quale
già molto io sono discepolo. Veramente egli è huomo dotto di celeste ingegno,
di profonda memoria & anco di maravigliosa eloquenza, al cui sono
famigliarissime l'historie di ciascuna natione, i sentimenti delle favole
chiarissimi, & brevemente tutto quello che giace nel sacro grembo della
Filosofia a lui è manifesto. Già taceva io, quand'egli con piacevol faccia
& ornato parlare cosi seguì; Credo, molto meglio di quello, che non havea
conosciuto, esser vere tutte quelle cose, che dici; & appresso veggio le
difficultà. Ma ti prego dirmi caro il mio Giovanni, pensi tu, che il nostro Re
non habbia avedimento? Certamente egli è aveduto Signore, di benigno ingegno,
& lodevole per felicità reale; & da te sia lontano ch'egli voglia
alcuno non che te aggravare, anzi ha per antico costume alleggierire ciascuno;
& però drittamente sono da intendere & da capire i suoi comandamenti.
Per Dio, che facilmente si può credere essere incessabili quelle ragioni, che
poco fa hai raccontato, & i loro annali (se alcuni ve ne sono) in tutto a'
Latini nascosti. Ma se alcuna memoria dai Greci, che per insino ai Latini sia pervenuta,
overo appresso essi Latini, alle cui scritture non picciolo honore & gloria
hanno riportato gli studi de nostri maggiori, è rimasta, & se non tutti i
ricordi, almeno quei, che per tua industria si ponno ritrovare, quegli disia.
Su adunque, e con largo animo (havendo buona speranza in Dio) piglia la
faticosa impresa et fa quello, che puoi, non si ritrovando persona atta
all'impossibile. La fortuna non m'ha fatto venire in mente quell'honorato
huomo, non solamente appresso Cipriani, ma per fama conosciuto sovra le stelle,
Francesco Petrarca, credo perche Iddio ha voluto così, accioche io perdonassi a
lui in grandissime imprese occupato, & alla gioventù tua imponessi cosi
honesta fatica, per la quale il tuo nome, poco fa incominciando andar in luce,
piu chiaro appresso i nostri risplenda. Allhora io risposi: A quel ch'io
veggio, credo, che tu istimi, ò strenuo guerriero, senza i lontanissimi libri
de' barbari, de' Greci & de' Latini solamente questa opra potersi a pieno
riddurre in essere? O buono Iddio, non vedi tu istesso, Signore, che con questa
tale concessione tu vieni a levare la miglior parte all'opra? Ma facciamo come
già molto fecero i nostri Prencipi partendo il Romano Imperio nel orientale
& occidentale. Sia à questo monstro due corpi, un Barbaro, & l'altro
Greco & Latino? & al Greco & al Latino, i quali tu istesso chiami,
i libri; nè anco questo potrà fare, che si consegua quello, che tu addimandi.
Habbiamo dimostrato questa peste essere stata antichissima; tu hora teco stesso
considera quanti nemici nei secoli passati habbiano havuto i volumi.
Confesserai veramente, che gl'incendij & i diluvij d'acque (accioche taccia
dei particolari) hanno consumato molte librarie; et se altra non fosse andata a
male, che l'Alessandrina, la quale già molto il Filadelfo con grandissima
diligenza havea ordinato, sarebbe grandissima diminutione de' libri. Conciosia
che, per lo testimonio d'antichi, in quella potevi ritrovare quello che volevi.
Oltre di ciò, crescendo il glorissimo nome di Christo, & rimovendo la dottrina
sua splendente di sincera verità le tenebre del mortale errore, &
massimamente del Gentile, & appresso lungamente declinando lo splendor di
Greci (gridando i messi di Christo con la falsa religione & cacciandola in
ruina), non è da dubitare, che seco non mandassero in eterno oblio molti libri
serbanti le memorie di questa materia, acciò, che con veri & pij
predicamenti dimostrassero non esservi tanti dei nè figliuoli di Dei, ma un
solo Iddio Padre, & unico figliuolo d'Iddio. Appresso, mi concederai c'habbia
havuto per nimico l'avaritia, alla cui non sono debili forze. Percioche è cosa
certissima l'arte Poetica, a quei, che la sanno, non apportare alcun guadagno,
& appresso lei non è altra cosa pregiata eccetto quella ch'apporta seco
l'oro, & dalla quale si conseguisce l'oro & non se lo leva; &
quelle scienze, che a ciò non sono atte non solamente sono sprezzate, ma anco
havute in odio & rifiutate. Onde caminando quasi tutti a gran passi per
acquistar ricchezze, tai volumi andarono in oblio, & anco perirono cosi
facilmente, che molti Prencipi, odiando tali memorie, fecero lega contra loro,
percioche contenendosi sotto la corteccia delle favole molti vitij di gran
signori, eglino quanti volumi, che mai poterono havere mandarono in ruina,
perdonando cosi poco a i favolosi come ad ogni altra sorte discritti, de' quali
certamente cosi di liggiero non si potrebbe esprimere il numero. Ma se tutto il
resto gli havessi perdonato, a quelli non havrebbe havuto riguardo il veloce
tempo, essendo, come sono stati, privi di riformatore. Conciosia, chè egli ha i
denti quieti & adamantini, che corrodono non solamente i libri, ma i
durissimi sassi & esso ferro, che doma tutto il resto. Questo veramente ha
mandato molte cose, cosi greche come latine, in polve. Nondimeno, come, che
habbiano patito questi & molti altri infortunii, & maggiormente dico
quelle memorie, che spetialmente sarebbeno al proposito di questa nostra
fatica, tuttavia negar non si puote, che molte non ve ne siano rimaste; ma
nessuna però, ch'io mai habbia ritrovato, scritta in questa materia, che tu
desideri. Vanno adunque qua & là per lo mondo disperse le origini & i
nomi cosi dei dei come dei progenitori suoi. Di questi questo libro ha alcuna
cosa, & un altro alcuna altra; le quali ti prego dirmi chi sarà colui, che
per dono, overo almeno per poco fruttevole fatica, vorrà ricercarle &
rivolgere tanti volumi, leggerli, & fuori di quelli eleggere pochissime?
Credo essere molto meglio non se n'impacciare. Ma egli con gli occhi fisi cosi
mi risponde. Non m'era nascosto, che all'incontro dell'honesta mia dimanda tu
non havessi, che dire, ma non di maniera mi caccierai, che non mi rimanga alcun
picciolo luogo dov'io mi salvi. Veramente non negherò questo, che m'affermi. Ma
voglio solamente quello, che la seconda fiata hai detto; cioè farò quello, che
potrò. Questa particella, che di qui potrai raccorre, desidera il nostro Re.
Potrai negarli questo? Ma ohimè, ch'io temo, che la dopochaggine non
t'apparecchi alcuna ragione per la quale tu schifi la fatica. Nessuna cosa
veramente non è piu vergognosa in un giovane dell'otio; & se è da
essercitarci, essendo tutti noi nati per affaticarsi, a chi meglio puoi tu
prestare la fatica tua, che a un Re? Levati adunque & caccia la pigritia,
drizzandoti con forte animo a tal'opra; accioche in un istesso tempo tu
obedisca a un Re & al nome tuo facci la strada all'inclita fama. Verrai
senza dubbio (se sei prudente) piu oltre di quello ch'io mi sforzo cacciarti.
Sai pure, che la fatica vince il tutto & la fortuna aiuta gli arditi, &
molto piu esso Iddio, il quale mai non abbandona chi spera in lui. Partiti
adunque, & arditamente volgi, rivolgi & ricerca i libri; togli la
penna, & mentre cerchi piacere al Re guida il nome tuo in lunghissima età.
Allhora dissi io: piu resto vinto dalla dolcezza delle tue parole, che dalla
forza delle ragioni. Mi constringi, mi persuadi, mi cacci, & mi trahi di
maniera che, se bene io non volessi, è forza, che ti ubbidisca." In tal
modo, pietosissimo Re, alquanto contrastammo insieme il tuo Donino & io,
pria, che volessi piegare la mia penna a' tuoi voleri; & voglia o non
voglia, ultimamente vinto, a forza cacciato vengo a sodisfarti. Con quai forze,
nondimeno, tu lo vedi. Per tuo commandamento adunque, lasciati i sassi dei
monti di Certaldo & lo sterile paese, con debile barchetta in un profondo
mare, pieno di spessi scogli, come novo nocchiero entrerò, dubbioso veramente,
che opra io mi sia per fare, se bene leggerò tutti i liti, i montuosi boschi,
gli antri & le spelonche, & se sarà bisogno caminar per quelli &
discender fino all'Inferno, & fatto un altro Dedalo, secondo il tuo disio
volelerò per insino al Cielo; non altramente, che per un vasto lido raccoglendo
i fragmenti d'un gran naufragio, cosi raccorrò io tutte le reliquie, che
troverò sparse quasi infiniti volumi dei Dei gentili; & raccolte &
sminuite, & quasi fatte in minuzzioli, con quell'ordine ch'io potrò,
accioche tu habbi il tuo disio, in un corpo di Geneologia le ritornerò. Tutta
via mi spavento a pigliare cosi grande impresa, & a pena credo, se
suscitasse & venisse un altro Prometheo, overo quell'istesso, che per
dimostratione dei Poeti al tempo antico era solito di fango formar gli huomini,
non che io di quest'opra sarebbe sufficiente artefice. Ma, famosissimo Re,
accioche tu non ti maravigli ch'io voglia dire per l'avenire, non aspetterai,
dopo un molto spender di tempo & una lunga fatica fatta con molte vigilie,
haver questo tal corpo compiuto. Assai veramente, & Dio voglia, che senza
molti membri, & forse torto, gobbo & attratto, ha da vedersi, per le
ragioni, che già si sono mostrate. Ma, famosissimo Prencipe, accioche io venga
a comporvi i membri, cosi verrò a dichiarire i sensi nascosti sotto dura
corteccia. Non già ch'io voglia persuadermi far ciò minutamente secondo
l'intento di quei c'hanno finto. Percioche, chi al tempo nostro potrebbe
agguagliare le menti degli antichi & esporre l'intentioni già tanto
separate dalla mortale in altra vita, & ritrovare i sentimenti ch'eglino
hebbero? Ciò certamente sarebbe piu tosto divino, che humano. Gli antichi senza
dubbio, lasciate le scritture ornate de' suoi nomi, sono andati nella via della
carne commune, & il senso di quelle lasciarono al giudicio di quelli, che
haveano a nascere dopo loro; de' quali quanti sono i capi, quasi tanti giudicij
si ritrovano. Et non è maraviglia. Percioche veggiamo le parole della Sacra
Scrittura, cavate da essa lucida, certa & immobile verità, se bene alle
volte sono coperte d'un sottil velo di figuratione, essere tirate in tante
interpretationi in quante sono capitate alle mani di diversi lettori: là onde
in ciò con minor timidità entrerò, percioche se bene dirò poco bene, almeno
sveglierò alcun altro piu di me prudente a scriver meglio, & ciò facendo,
prima scriverò quelle cose ch'io potrò haver inteso dagli antichi; indi dove
havranno mancato, overo meno a bastanza secondo il mio giudicio detto, dirò il
mio parere; & questo farò molto volentieri, a fine, che ad alcuni
ignoranti, & che noiosamente sprezzano i Poeti da loro poco intesi, si
mostri quelli (benche non Catholici) di tanta prudenza essere stati dotati, che
nessuna cosa da loro sotto figmenti Poetici con maggior arteficio d'ingegno si
poteva, nè è stata trascorsa, nè con maggiori ornamenti di parole adornata. Per
il che è manifesto quelle essere stati ripieni d'infinita mondana sapienza,
della quale molte volte mancano i noiosi loro riprensori; onde dalle loro
profondità, oltre l'artificio delle fittioni Poetice & le consanguinità
& parentele spiegate de' vani Dei, vedrai alcune cose naturali coperte da
tanto misterio, che ti maraviglierai; cosi anco i fatti & i costumi dei
baroni, non triviali nè communi. Oltre di ciò, perche l'opra passerà in maggior
volume, che tu non istimi, giudico convenevole, accioche piu facilmente tu
possi ritrovare quello, che cercherai, e meglio ritenere quello che vorrai,
partir quella in piu parti, & chiamarli libri. Nel principio di ciascuno
de' quali giudico essere da porvi l'arbor. Nella cui radice sia il padre della
generatione. Nei rami poi, vista l'ordine dei gradi, mettervi tutta la sparsa
progenie, accioche col mezzo di questo tu vegga di chi & con qual ordine
nel seguente libro tu ricerchi. I quai libri anco con i dovuti capitoli
troverai distinti con piu ampia dichiaratione & piu manifesti, & vi
vedrai tutto quello che con un solo nome per le frondi dell'arbore prima havraj
letto, con parole ampio & diffuso. Poi gli aggiungerò due libretti, et nel
primo risponderò ad alcune obiettioni fatte contra la Poesia & i Poeti. Nel
secondo, che sarà di tutta l'opra l'ultimo, mi sforzerò rimuovere alcune cose,
che forse contra me saranno opposte. Ma per non scordarmi (non voglio, che ti
maravigli, accioche ti pensasti ciò essere avenuto per error mio), egli è colpa
degli antichi, che spessissime volte leggerai molte cose cioè di sorte differenti
dalla verità, & tra se stesse molte fiate discordanti, che non solamente le
istimerai non pensate da Filosofanti, ma nè anco da villani imaginate; cosi
anco malamente ai tempi convenevoli. Le quali veramente, & altre, se alcune
ve ne sono dal debito varianti, non è l'intention mia riprenderle overo ad
alcun modo correggerle, se da se stesse non si lasciano ridurre a qualche
ordine. A me basterà assai rescrivere le trovate, & lasciar le dispute ai
Filosofanti. Ultimamente, se gli huomini d'intiera mente, cosi per debito come
per decreto di Platone, in tutti i principij, dico anco di picciole cose,
hebbero in costume ricercare l'aiuto divino, & appresso in nome di quello
dar principio alle cose a fare; percioche lasciato lui, per sentenza di Torquato,
non si farà nessun buon fondamento, assai posso considerare quello ch'a me si
convenga; il quale tra gli aspri deserti dell'antichità & tra i tormenti
degli odi hor quà hor là son per raccorre lo sbranato, minuzzato, consumato
& quasi in ceneri già ritornato gran corpo dei Dei Gentili & de famosi
heroi, & quasi un altro novo Esculapio a guisa di quello d'Hippolito
ritornarlo insieme. Et però solamente al pensare, tremando sotto il soverchio
peso, humilmente prego quel piatosissimo Padre vero Iddio, Creatore di tutte le
cose &, che può il tutto, sotto cui viviamo tutti noi mortali, che sia
favorevole al mio superbo & gran principio. A me sia egli splendente &
immobile stella, & governi il timone della mia navicella, che solca un
disusato mare; et, si come il bisogno ricerca, dia le vele a i venti accioche
io giunga là dove al suo nome sia ornamento, lode, honore & gloria
sempiterna; a i maldicenti poi disprezzo, ignominia, dishonore & dannatione
eterna.
Havendo io a entrare in un
profondo mare, & non solito a navigarsi, & havendo a pigliare un novo
viaggio, mi sono imaginato essere piu diligentemente da riguardare da qual lito
la prora della barchetta sia da sciorre, accioche piu drittamente con prospero
vento io giunga là dove l'animo disia. Ilche allhora istimerò haver fatto,
quando havrò ritrovato colui che i passati antichi finsero loro Iddio,
percioche da quello tolto il principio della discendenza, potrò poi con dovuto
ordine venire ai posteri. In me adunque s'erano adunate tutte le forze
dell'animo, & dal sublime specchio della mente riguardava quasi tutto
l'ordine del mondo; onde subito vidi levarsi assaissimi huomini, nè solamente
d'una sola religione; ma nondimeno dignissimi testimoni per fide di verità, con
la loro gravità affermando Iddio esser unico: ilquale alcuno mai non vide,
& questo essere il vero che manca di principio, & di fine, che può il tutto,
Padre delle cose, & Creatore, cosi delle cose manifeste, come delle non
palesi a noi. Ilche credend'io benissimo, & dai giovenili anni sempre
havendo creduto, incominciai rivolgere la mente d'assaissimi antichi, che circa
ciò hebbero varie, & diverse openioni, & a me parve quasi questo
istesso haver creduto i Gentili, ma essere restati ingannati mentre
attribuirono tal dignità a fattura del Creatore, nè tutti ad uno, ma diversi a
diversi si sono sforzati darla. Al cui errore haver dato materia istimo io i
Filosofanti, & giudicanti diversamente, mentre ammaestrarono la rozezza
antica, & dopo quelli essere stati i Poeti, iqual primi Theologizando (dice
Aristotele) secondo il creder loro, quelli essere i primi Dei, iquali essi
pensavano essere stati prime cause delle cose. Et di quì, se molti diversamente
furono gli istimatori, di necessità è seguito, che molti, & diversi dei
havessero varie nationi, overo sette, ciascuna dellequali tenne il suo essere
vero, primo, & unico Iddio de gli altri Padre & Signore. Et cosi non
solamente a guisa di Cerbero formarono una bestia di tre capi, ma si sono
sforzati descriverlo in mostro di piu capi. De' quali cercando io il piu
antico, mi si fece all'incontro Thalete Milesio al tempo suo sapientissimo
huomo, & molto famigliare al Cielo, & alle Stelle, & ilquale io
havea udito piu con l'ingegno, che con la fede lungamente haver ricercato molte
cose del vero Iddio. Costui pregai, che mi dicesse chi egli istimasse degli dei
essere stato il primo, ilquale subito mi rispose, & di tutte le cose
cred'io l'acqua essere stata la pria cagione, & quella in sé havere la
mente divina, che produce il tutto; nè altrimenti di quello, che appresso noi
bagni le piante, cosi dall'abisso mandati fuori i nascimenti dell'acque in
Cielo, fino alle stelle, & tutto il resto di questo ornamento con l'humida
mano haver fabricato. Di quì trovai Anassimene, un'altro dottissimo huomo,
& mentre io ricerco quest'istesso, che domandai a Thalete, mi rispose;
L'Aere produttore di tutte le cose; percioche gli animali senza l'Aere subito
morrebbono, & senza lui non potrebbono generare. Dopo questi mi s'offerse
Crisippo, tra gli antichi huomo famoso, ilquale pregato disse che credeva il
foco essere Creatore di tutte le cose, conciosia che senza il calore pare, che alcuna
cosa mortale non si possa generare, overo generata durare. Havendo poi
ritrovato Alcinoo Cortoniese, lo provai huomo tra tutti gli altri d'elevato
animo. Percioche volando sovra gli elementi, subito con l'intelletto si
congiunse con i Pianeti, tra quali quello, che vi ritrovasse no'l so, ma riferì
che pensava il Sole, la Luna, le Stelle, e tutto il Cielo essere stati i Fabbri
di tutte le cose. O liberale huomo, quella deità, che tutti gli altri haveano
dato ad un solo elemento, questi a tutti i corpi dei sopra celesti la donò.
Dietro questi toglio Macrobio, piu giovane di tutti. Quello poi diede solamente
al Sole quelli, che Alcinoo havea conceduto a tutto il Cielo. Ma Theodontio
(come penso) huomo non novo, ma di tai cose solenne ricercatore, senza nomar alcuno
rispose degli antichissimi Arcadi essere stato opinione la terra essere origine
di tutte le cose, & istimando, si come dice Thalete dell'acqua, in quella
essere la mente divina, credettero per opra di lei tutte le cose essere state
prodotte & create. Ma per tacere de gli altri, i Poeti c'hanno seguito
l'opinione di Thalete chiamarono l'Oceano elemento dell'acqua, & lo dissero
Padre di tutte le cose, de gli huomini & de' Dei, & dell'istesso
diedero principio alla geneologia de' Dei. Ilche anco noi havressimo potuto
fare, se non havessimo ritrovato (secondo alcuni) l'Oceano essere stato
figliuolo del Cielo. Et quelli ch'instimarono Anassimene & Crisippo haver
detto il vero, percioche spessissime volte i Poeti metteno Giove per l'elemento
del fuoco, & alle volte del fuoco & dell'aere, a lui diedero il
principato di tutti i Dei, & alle loro geneologie il pigliarono primo di
tutti gli altri. Iquali imperò in ciò non habbiamo seguito, perche si
ricordiamo haver letto Giove essere stato hora figliuolo dell'Aere, hora del
Cielo & hora di Saturno. Quelli poi, che volsero dar fede ad Alcinoo
tolsero per prencipe della sua Geneologia Celio overo il Cielo; ilquale havendo
letto essere stato generato con l'Aere l'habbiamo lasciato adietro, si com'anco
quelli che, seguendo Macrobio & i suoi primi, hanno concesso il principato
della Geneologia al Sole; ilquale i Poeti testimoniano haver havuto molti
padri, dandoli hora Giove, hora Hiperione & hora Vulcano. Quelli anco
c'hanno voluto la terra produttrice di tutte le cose, come dice Theodontio,
chiamarono la mente divina in lei composta Demogorgone. Ilquale io veramente
istimo Padre & principio di tutti i Dei Gentili, non ritrovando alcuno a
lui secondo i figmenti Poetici esserli stato Padre, & havendo letto lui non
solamente essere stato Padre dell'Aere, ma avo, & di molti altri Dei da'
quali questi sono nati; di quai di sopra habbiamo fatto ricordo. Cosi adunque
riguardati tutti, & troncati gli altri capi come superflui &
ritornatigli in membri, imaginandosi haver ritrovato il principio del viaggio,
facendo Demogorgone non Padre delle cose, ma de' Dei Gentili, con l'aiuto
d'Iddio entraremo nel viaggio duro & alpestre per lo Tenaro, overo per
l'Etna, discendendo nelle viscere della Terra, & inanzi gli altri solcando
i vasti della palude Stigia.
Con grandissima maestà di
tenebre, poscia ch'io hebbi descritto l'albero, quel antichissimo proavo di
tutti i Dei Gentili, Demogorgone accompagnato da ogni parte di nuvoli, & di
nebbie, a me, che trascorreva per le viscere della Terra apparve; ilquale per
tal nome horribile, vestito d'una certa pallidezza affumicata, & d'una humidità
sprezzata, mandando fuori da sé un odore di terra oscuro, & fetido,
confessando piu tosto per parole altrui, che per propria bocca se essere Padre
dell'infelice principato, dinanzi a me artefice di nova fatica fermossi.
Confesso ch'io mi posi a ridere, mentre riguardando lui mi veni a ricordare
della pazzia degli antichi; iquali istimarono quello da alcuno generato,
eterno, di tutte le cose Padre, & dimorante nelle viscere della Terra. Ma
perche questo poco importa all'opra, lasciamolo nella sua miseria, passando là
dove desideriamo. Dice Theodontio la cagione di questa vana credenza non haver
havuto principio dagli huomini studiosi, ma dagli antichissimi rustici
d'Arcadia, iquali essendo huomini mediterranei, montani, & mezzo selvaggi,
& veggendo la Terra da sé stessa produrre le selve, & tutti gli
arboscelli, mandar fuori i fiori, i frutti, & le sementi, nodrir tutti gli
animali, & poi finalmente ritorre in sé tutte le cose, che muoiono;
appresso i monti vomitar fiamme, dalle dure pietre trarsi i fuochi, dai cavi
luoghi, & valli spirare i venti, sentendo quella alle volte moversi, &
mandar fuori muggiti, & dalle sue viscere spargersi i fonti, i laghi, &
i fiumi, quasi, che da lei fosse nato il foco celeste, & il lucente aere,
& havendo ben bevuto havesse mandato fuori quel gran mare Oceano, &
degli adunati incendij volando in alto le faville havessero formato i globi del
Sole, & della Luna, & intricatesi nell'alto Cielo si fossero cangiate
in sempiterne stelle, pazzamente credettero. Quelli, che poi dopo questi
seguirono, considerando un poco piu alto, non chiamarono la Terra semplicemente
auttore di queste cose, ma s'imaginarono a quella essere congiunta una mente
divina: per intelligenza, & voler della quale s'oprassero queste, &
quella mente haver stanza sotterra. Al cui errore accrebbe fede appresso i
rozzi l'essere entrati alle volte nelle spelonche, & nelle profondissime
cavità della Terra; conciosia che, in processo morta la luce, paia un silentio
occuppare le menti, & accrescerlo, onde col nativo horrore dei luoghi la
religione si messe in uso, & agli ignoranti nacque il sospetto della
presenza d'alcuna divinità. Laquale divinità imaginata da questi tali,
istimavano non d'altri, che di Demogorgone, percioche credevano la sua stanza
nelle viscere della Terra, si come è stato detto. Questi adunque essendo
appresso gli antichissimi Arcadi in grandissima riverenza, imaginandosi col
silentio del suo nome crescersi la maestà della deità sua, overo istimando
inconvenevole cosi sublime nome venire nelle bocche de' mortali, o forse
temendo, che nomato non si movesse ad ira contro loro, di commune consentimento
fu vietato, che senza pena non fusse mentovato da alcuno. Ilche dimostra Lucano
dove descrive Eritto, che chiama l'alme, dicendo;
Ubbidirete, ò quel fie da trovare
Che chiamato la terra non percossa
Fa ogn'hor tremare? quel che vede
aperta
Gorgona, & con estreme
battiture
Castiga Erinne timida, &
tremante?
Cosi anco Statio, dove
interroga per commandamento di Etheocle il cieco vecchio Tiresia del successo
della guerra Thebana, dice;
Sappiamo bene quel che voi temete
Esser nomato, & esser
conosciuto,
Et Hecate turbar, s'io non temessi
Te sol Timbreo, & del triplice
mondo,
Il sommo, che conoscer quì non lice;
Ma i taccio.
Et quel, che segue. Onde questo
del quale parlano questi due Poeti senza esprimer il nome, Lattantio, huomo
famoso, & dotto, scrivendo sopra Statio chiaramente dice essere
Demogorgone, capo, & primo de' Dei Gentili. Et noi anco a bastanza possiamo
conoscerlo, se vogliamo considerar bene le parole dei versi. Percioche dice
appresso Lucano una incantatrice, & gentile, volendo dimostrare la
preminenza, & la sotterranea stanza di costui, la terra tremare al suo nome;
il che non fa giamai, se non percossa. Seguita questo istesso perche vede
Gorgone, cioè la terra aperta ch'è al sommo, percioche habita nelle viscere
della Terra, rispetto a noi, che habitiamo di sopra a lui, conciosia che
veggiamo solamente la superficie; overo vede Gorgona aperta, cioè quel monstro,
che cangia in sassi ch'il mira; nè però si tramuta in sasso, accioche appaia
della sua preminenza un'altro segno. Terzo poi dimostra la sua potenza
d'intorno le cose infernali, mentre dice quello, con battiture castigare la
Erinne, invece delle Erinne, cioè quelle Furie infernali, non con altro, che
con la potenza opprimendole, & sdegnandosi. Questo, poi, che sia conosciuto
da i Superi dice Statio, affine di far conoscere quello, & sotterraneo,
& prencipe di tutti, che chiamato può constringere gli spiriti beati ne i
desideri de' mortali; ilche essi non vorrebbono quello essere conosciuto,
perciò dice illicito, perche sapere i segreti d'Iddio non appartiene a tutti.
Conciosia che se fossero conosciuti, la potenza della deità vorrebbe quasi in
disprezzo. Oltre di ciò a costui, accioche la liberale, & rispettata
antichità crescesse per lo rincrescimento della solitudine (come dice
Theodontio), aggiunse la Eternità, & il Chaos, & una famosa schiera di
figliuoli. Imperoche vollero lui tra maschi, & femine haver havuto nove
figliuoli, si come si dimostrerà più distintamente. Quì era luogo da scoprire,
se alcuna cosa fosse riposta sotto fittione Poetica; ma essendo ignudo il
sentimento di questa falsa deità, solamente ci resta dichiarare quello, che
paia voler significare cosi horrido nome. Risuona adunque, si come istimo,
Demogorgone in Greco, Latinamente Iddio della terra. Perche, come dice
Lattantio, s'interpreta Demon per
Iddio, & Gorgon, per
terra, overo piu tosto sapienza della terra, essendo spesse volte Demon esposto per
sapere o per scienza. O pure, come meglio ad altri piace, Iddio terribile; il
che del vero Iddio c'habita in Cielo si legge: Santo, & terribile il nome
di lui. Ma questo per altra cagione è terribile; percioche quello per
l'integrità della giustitia ai malfattori nel giudicio è terribile, questo poi
a quei c'hanno creduto pazzamente. Finalmente, pria, che trattiamo altro de'
figliuoli, ci pare dire alcuna cosa de' compagni.
SEGVE l'Eternità, laquale non per
altro gli antichi diedero per compagna a Demogorgone, eccetto affine, che colui
ch'era nulla paresse eterno. Et quello ch'ella si sia lo dimostra col suo nome,
percioche con alcuna quantità di tempo non può essere misurata, nè con alcuno
spatio di tempo disignata; contenendo in sé tutte l'età, & da alcuna non
essendo contenuta. Quello, che di lei habbia scritto Claudio Claudiano, dove in
versi heroici inalza le Lodi di Stilicone, mi piace inchiudervi. Dice egli
cosi;
E da lontano una spelonca ignota,
Inacessibil fino a nostre menti
Dove a penna gli dei ponno
arrivare,
Vede la lunga età stassi la madre,
Laquale i tempi da lei rovinati
Riforma, e avanza, & l'antro in
seno abbraccia,
Tutti i principii. Siede
dell'entrata.
La Natura a la guardia d'età lunga
Con grave maestà, da cui dipende
Per tutti i membri suoi spirti
volanti,
Stabili e ferme, et che partisce
insieme
Rendendo tutto quello che consuma
Il serpe con le squame eterno,
& verde,
Con benigna deitade; & si
com'egli
Rode la coda con ritorta bocca,
Con quieto trascorrere rilega
I numeri a le stelle, e i corsi
fermi.
Tutti gli indugi per liquali vive,
Et more il tutto, egli con fisse
leggi
Giudicando riforma.
Et un vecchio che scrive le ragioni
Et quello, che segue. Indi
descritto in questo modo l'antro, cosi segue;
Habitan quì diverse forme, &
tutti
I secoli distinti dai metalli;
Ivi s'ammassa il bronzo, & ivi
il ferro.
L'argento in altra parte si fa
bianco.
Onde per l'habitar la stanza è
bella.
Et quello che và dietro. Onde
queste sono quelle cose per lequali istimo, o famosissimo fra i Re, che tu puoi
considerare con quanto soave stile, benche con lunga, & limata oratione,
questo Poeta descriva, che cosa sia l'eternità, & ciò, che si contenga tra
quella. Ilquale per dimostrare l'eccesso di tutti i tempi dice la spelonca di
lei, cioè la profondità del grembo, essere non conosciuta, & molto lontana;
dove non solamente i mortali, ma a pena i Dei vi ponno arrivare, & per
questi dei intende le creature, che sono nel conspetto d'Iddio. Indi poi dice,
che quella avanza, & rifforma i tempi, accioche dimostri tra quella ogni
tempo haver pigliato, & pigliar principio, & ultimamente venire al suo
fine. Et affine, che si veggia con qual ordine, descrive il serpente
eternamente verde, cioè, in quanto a lui, che mai non giunge alla vecchiezza,
& dice, che quello rivolta la bocca verso la coda, la divora, accioche da
questo atto habbiamo a capire il giro circolare del tempo, che trascorre;
percioche sempre il fine d'un anno è principio del seguente, & cosi sarà
mentre durerà il tempo. Del quale essempio ha usato, conciosia che per quello
gli Egittij hebbero in usanza, pria, che apparassero lettere, descriver l'anno.
Seguita poi dicendo questo farsi tacitamente, attento, che non se n'accorgendo
noi pian piano se ne passa il tempo. La Natura poi piena d'anime circonvolanti,
perciò, che continuamente infonde l'alme a molti animali; però la descrive
dinanzi alla porta dell'eternità, affine, che intendiamo, che ciò, che entra
nel grembo dell'eternità, per starvi poco ò molto, con l'operar della natura
delle cose v'entra, & cosi quivi è quasi come portinaro. Et si deve
intendere della natura naturata, percioche tutto quello, che fa entrare la
natura produttrice, mai non esce. Il vecchio poi ilquale nell'antro partisce le
stelle in numeri credo essere il vero Iddio; non perche sia vecchio, percioche
nell'eterno non cade alcuna descrittione d'età, ma parla secondo il costume de'
mortali, iquali anco dicemo i vecchi di lunga età immortali. Costui partisce i
numeri alle stelle, accioche intendiamo per opra sua, & ordine ch'a noi per
certo, & ordinato moto delle stelle siano partiti i tempi; si come per lo
circuito del Sole per tutto il Cielo habbiamo l'anno intiero, & per
l'istessa circonvolutione della Luna il mese, & per l'intiera rivolutione
dell'ottava sfera, il giorno. Dei secoli poi ch'ivi dice essere, a pieno si
scriverà poi, dove si tratterà degli Eoni.
Il Chaos, si come afferma Ovidio
nel principio della sua maggior opra, fu una certa materia adunata, &
confusa di tutte le cose da essere create. Percioche cosi dice;
Inanzi il mare, & prima de la
terra,
Et pria del Cielo, che ricuopre il tutto
Di natura nel mondo era un sol
volto
Chiamato Chaos, mole confusa, &
roza,
Nè altro, eccetto peso, fiocco, e
vano,
Et adunati semi dell'istesso
Sol per discordia de le cose
insieme
Non ben congiunte.
Et quello, che segue. Onde questo,
o vero questa cosi spetiosa effigie, che mancava di certa forma, volsero
alcuni, ma altramente i famosi Filosofi, essere stata compagna, & già
eterna a Demogorgone; acciò, che s'a lui alle volte fosse venuto in animo di
produr creature non gli fosse mancato materia, come se non potesse, colui
c'havea potuto a diverse cose dar forma, produr materia per darvi forma;
veramente egli è da ridersi, ma mi sono deliberato di non riprender nessuno.
Lasciati questi, egli è da
passare alla famosa progenie del primo Iddio de Gentili, del quale volsero, che
il primo figliuolo fosse il Litigio, percioche dicono, che primo fu tratto dal
ventre di Chaos pregna, non si sapendo nondimeno il vero Padre; del cui
allevamento Theodontio recita tal favola. Dice egli, che Pronapide Poeta scrive
che, facendo residenza Demogorgone per riposarsi alquanto nell'antro
dell'Eternità, udì un rimbombo nel ventre di Chaos. Per il che mosso, &
stendendo la mano, aperse il ventre di quello, & trattone il Litigio, che
faceva tumulto, perche era di roza, & dishonesta faccia lo gittò in aria;
ilquale subito volò in alto percioche non havea potuto scendere al basso,
parendo colui, che lo havea tratto del ventre della madre piu inferiore di
tutte l'altre cose. Chaos poi, lassa per la dura fatica, non havendo alcuna
Lucina da chiamare, che l'aiutasse, tutta bagnata, & tutta infiammata,
mandando fuori infiniti sospiri pareva, che si havesse a cangiare in sudore,
havendo ella ancora in sé la forte mano di Demogorgone; per cui avenne che,
trattogli già il Litigio, gli cavò medesimamente insieme tre Parche, &
Pane. Indi, parendogli poi Pane piu atto degli altri nelle attioni delle cose,
lo fece governatore della tua stanza, & gli diede per serventi le sorelle. Chaos
a questo partito, libera del peso, per comandamento di Pane successe nella
sedia di Demogorgone. Ma il Litigio, da noi piu volgarmente detto Discordia, da
Homero nella Iliade è chiamato Lite, & detta figliuola di Giove; laquale
egli dice, percioche Giove per colpa sua era stato offeso da Giunone circa la
natività d'Euristeo, di Cielo in Terra era stata cacciata. Theodontio poi sopra
il Litigio adduce appresso molte altre cose, lequali dove meglio ci parranno da
porre, le metterò; onde quì al presente le lascio. Hora hai inteso, inclito Re,
la ridicolosa favola; ma siamo già giunti là dove è bisogno levare la corteccia
dalla verità della fittione. Ma prima egli è da rispondere a quei, che spesse
volte dicono, perche i Poeti scrissero le opre d'Iddio, della natura, o vero
degli huomini sotto velame di favole? Non havevano altra via? Certissimamente
la vi era, ma si come a tutti non è una istessa faccia, cosi nè anco i giudici
degli animi. Achille prepose l'armi all'otio. Egisto l'otio all'armi. Platone,
lasciato tutto il resto, seguitò la Filosofia. Fidia il scolpire statue col
scalpello. Apelle col pennello dipingere imagini. Cosiaccioche io lasci gli
altri studi degli huomini, il Poeta s'è dilettato con favole coprire il vero.
La cagione del cui diletto Macrobio scrivendo sopra il Sogno di Scipione assai
apertamente pare che dimostri mentre dice, Ho detto degli altri dei, &
dell'anima non indarno si convertono alle favole per dilettarsi, nè altri, ma
perche sanno la sua spositione aperta in ogni parte essere inimica della
natura; laquale si come ai sensi degli huomini volgari col diverso suo cuoprire
di cose ha levato la cognitione di intenderla, cosi dai prudenti ha voluto i
suoi segreti con favolose discrittioni essere trattati. In tal modo essi misteri
di favole con segreti sono aperti, overo accioche tolti via questi la natura si
dimostri ignuda di cose tali; ma consapevoli solamente gli huomini saggi del
vero segreto con l'interpretatione della sapienza, contenti sono gli altri.
Questo dice Macrobio. Et come che molto più si potesse dire, nondimeno istimo a
bastanza essersi risposto ai dimandanti. Appresso o Rè, egli è da sapere sotto
questi figmenti non esservi una sola intelligenza, anzi piu tosto si può dire
Poliisemo, cioè senso di molte. Percioche il primo senso si ha per corteccia,
& questo è chiamato litterale. Altri le significationi, per corteccia,
& questi sono detti allegorici. Et accioche quello ch'io voglia dire piu
facilmente si capisca, metteremo un'essempio; Perseo figliuolo di Giove per figmento
Poetico amazzò Gorgone, & vittorioso volò in Cielo. Mentre questo si legge
secondo la scrittura, non si piglia altro, che il senso d'historia. Se da
queste scritture poi si ricerca il senso morale, si dimostra la vittoria del
prudente contra il vitio, & il camino alla vertù. Se anco vogliamo poi
allegoricamente pigliare il tutto, ci viene designata l'elevatione della pia
mente alle cose celesti, sprezzate le mondane. Oltre di ciò, potrebbe
analogicamente esser detto per la favola esser figurato l'ascender di Christo
al Padre, vinto il prencipe del mondo. I quai sensi nondimeno, benche siano
nomati con diversi nomi, tuttavia si pono chiamar tutti allegorici; il che per
lo piu si fa. Percioche allegoria viene detta da Allon,
che latinamente significa alieno, overo diverso, & però tutte quelle cose,
che sono diverse dall'historiale overo letteral senso ponno essere meritamente
dette allegorice, si come già è stato detto. Ma l'animo mio non è secondo tutti
i sensi voler dichiarar le favole, che seguono, potendosi assai imaginare di
più sensi cavarsene uno, come che alle volte forse ve se n'aggiungano piu. Hora
con che poche parole narrerò quello, che istimo Pronapide di ciò haver
giudicato? A me pare quello haver voluto designare la creation del mondo secondo
la falsa opinione di quelli c'hanno istimato Iddio di composta materia haver
prodotto le cose create. Percioche haver sentito Demogorgone nel ventre di
Chaos far tumulto, non tengo esser altro, che la divina sapienza, che movesse
quella per alcuna cagione, come sarebbe a dire la maturezza del ventre, cioè
l'hora del tempo determinato essere venuta, & cosi haver incominciato
volere la creatione, & con regolato ordine partire le cose congiunte. Et
però haver steso la mano, cioè dato effetto al volere, affine, che di una
diforme adunanza producesse un'opra formata, & ordinata; onde prima degli
altri trasse del ventre della affaticata, cioè, che sopportava la fatica della
confusione, il Litigio, ilquale tante volte si leva dalle cose quanto, rimosse
le cagioni delle cose, a quelle si mette debito ordine. E adunque manifesto
egli prima d'ogn'altra cosa haver fatto questo, cioè haver separato quelle
cose, che erano insieme. Gli elementi erano confusi; le cose calde alle fredde,
le secche all'humide, & le liggieri alle gravi contrastavano. Et parendo,
che la prima attione d'Iddio per ordinare i disordini havesse tratto il
Litigio, fu detto primo figliuolo di Demogorgone. Che poi fosse gittato via per
la diforme faccia, perche è cosa brutta per lo piu il litigare. Indi che
volasse in alto, piu tosto pare, che dia ornamento all'ordine favoloso, che
voglia significar altro. Oltre di ciò, gittato, & non havendo luogo dove in
alto si potesse fermare, dimostra quello essere stato levato dalle più
inferiori parti del già prodotto mondo, & mandato in luce. Che dagli dei
fosse poi di novo cacciato in Terra, scrive Homero, che fu per questo, perche
per opra di lui Euristeo nacque inanzi Hercole, si come si dirà al suo luogo.
Ma in quanto all'interno senso questo io tengo, che dal movimento de' corpi
superiori spessissime volte appresso mortali nascano litigi. Appresso si può
dire quello essere stato gittato in terra dai superi, conciosia che appresso i
Dei superni tutte le cose si facciano con certo, & eterno ordine; là dove
appresso mortali a pena si trova alcuna cosa esser concorde. Indi quando dice
Chaos bagnata di sudore, & infiammata mandar fuori sospiri, penso, che non
istimi altro, che la prima separatione degli elementi, accioche per lo sudore
sentiamo l'acqua, per gl'infiammati sospiri poi l'aria, & il foco, &
quei corpi, che sono di sopra, & per la grossezza di questa mole, la Terra;
laquale subito per consiglio del suo Creatore divenne stanza, & sedia di
Pane. Di esser nato poi Pane dietro il Litigio, cred'io, che gli antichi
s'imaginarono in quella separatione d'elementi la Natura naturata haver havuto
principio, & incontanente alla stanza di Demogorgone, cioè al mondo, essere
stata preposta; come se per opra sua, cosi volendo Iddio, tutte le cose mortali
siano prodotte. Le Parche poi nate nell'istesso parto, & date per baile al
fratello, istimo essere state finte accioche s'intenda la Natura essere stata
prodotta con queste leggaccio che procrei, generi, nodrisca, & infine
allevi le cose nate; i quali sono i tre uffici delle Parche, ne' cui prestano
continua servitù alla natura, si come piu diffusamente nelle seguenti si
dimostrerà.
Che Pan sia stato figliuolo di
Demogorgone, già a bastanza di sopra si ha dimostrato. Di cui Theodontio recita
tal favola. Dice, che quello con parole provocò l'Amore, & venuti insieme a
battaglia fu da lui vinto; onde per comandamento del vincitore amò Siringa
d'Arcadia, laquale essendosi prima fatto beffe dei Satiri, sprezzò anco il
maritaggio di quello. Onde Pan constretto dall'amore, & seguendo quella,
che fuggiva, venne ch'ella giunta al fiume Ladone, & impedita da quello ivi
si fermò, & veggendo non poter schifar Pane, con preghi incominciò
dimandare l'aiuto delle Ninfe, per opra delle quali fu convertita in cannelle
di paludi. Le cui sentendo Pan per lo movere de' venti, mentre l'una con
l'altra si percoteva, essere canore, cosi per l'affettione della giovane da lui
amata, come per la dilettatione del suono commosso, volontieri tolse di quelle canne,
& di quelle tagliatone sei diseguali, compose (come dicono) una fistola,
& con quella primo sonò, & cantò, come anco pare, che Virgilio
dimostri; Fu il primo Pan, qual dimostrasse insieme. Con la cera congiunger piu
cannelle. Et quello, che segue. Oltre di ciò, di costui i Poeti, & altri
famosi huomini descrissero una maravigliosa figura. Percioche, si come Rabano
nel libro dell'origine delle cose dice. Questi inanzi l'altre cose, ha le corni
fisse nella fronte, che guardano in Cielo, & la barba lunga, & pendente
verso il petto, & in luogo di veste una pelle tutta distinta a macchie,
laquale gli antichi chiamarono Nebride. Cosi nella mano una bacchetta, &
un'instrumento di sete cannelle. Oltre di ciò lo descrive nei membri piu
inferiori peloso, & hispido, cioè piedi di capra, & come v'aggiunge
Virgilio, di faccia tra rosso, & nero. Rabano istimava questo, &
Silvano essere tutto uno. Ma il Mantovano Homero gli descrive diversi dicendo;
Venne Silvano ornato il capo
agreste.
Con honore squassando i ben fioriti
Piccioli rami, & i gran gigli
appresso.
Et
poi subito soggiunge.
Indi vi venne Pan d'Arcadia Dio
Et
altrove.
Pan, col vecchio Silvano, & le
sorelle Ninfe.
Et quello, che segue. Lasciate
adunque queste cose da parte è da passar più oltre. Et perche sopra Pan è stato
detto esservi la natura naturata, quello, che volessero fingere dicendo essere
stato vinto dall'Amore, facilmente m'imagino potersi vedere. Percioche come
subito la natura fu prodotta da esso Creatore, tantosto incominciò operare,
& dilettandosi dell'opra sua quella incominciò amare; cosi, mossa dal
diletto, si sottopose all'amore. Siringa poi, laquale dicono essere stata amata
da Pan, come diceva Leontio, vien detta grecamente da Sirim ,
che latinamente suona cantante a Dio. Onde potremmo dire Siringa essere melodia
dei Cieli o delle sfere, laquale (come piacque a Pitagora) si faceva overo si
fa da' vari movimenti tra se de' circoli delle sfere. Et per consequenza, come
cosa gratissima a Iddio, & alla natura, dalla natura operatrice viene
amata. O vogliamo piu tosto Siringa essere (oprando d'intorno a noi i sopra
celesti corpi) un'opra di natura armonizata con tanto ordine che, mentre con
continuo tratto è guidata a incerto, & determinato fine, ci faccia
un'armonia non punto differente da quella dei buoni cantori; il che è da
credere dover esser gratissimo a Iddio. Perche dicessero poi questa Ninfa
essere stata d'Arcadia, & tramuttata in cannelle, penso perche, come piace
a Theodontio, gli Arcadi furono i primi che, imaginatisi il canto, mandando
fuori per cannelle lunghe, & corte il fiato trovarono quattro differenze di
voci; indi ve n'aggiunsero tre. Ultimamente, quello, che facevano con molte
cannelle ritirarono in una fistola con i forami vicini alla bocca del
soffiante, con l'imaginatione di piu lontani. Ma dice Macrobio questa
inventione di Pitagora essere stata cavata dai colpi dei martelli piccioli,
& grandi. Giuseppe poi nel libro dell'Antichità de' Giudei vuole il Iubal,
molto piu antica inventione, essere stato ritrovamento di Iubalcain suo
fratello al tintinir dei martelli; ilquale fu fabbro. Ma perche a' quei c'hanno
finto ha paruto piu vero gli Arcadi essere stati gl'inventori, percioche forse
in quella età trappassavano gli altri con la fistola, hanno voluto quella
essere stata d'Arcadia. Che Siringa poi sprezzasse i Satiri, & Pan
fuggendo, & che fossi ritardata dal Ladone, & indi per aiuto delle
Ninfe convertita in canna, circa i nostri canti, al mio giudicio nasconde
alcuna consideration buona. Perche costei, sprezzati i Satiri, cioè gl'ingegni
rozzi, fuggì Pan, cioè l'huomo atto, & nato alle cose musicali; nè
veramente fuggì l'atto, ma per istima del desiderante, nella cui prolungatione pare,
che cessi quello, che disia. Questa poi viene fermata da Ladone, fino attanto,
che si fornisce l'instrumento da mandar fuori l'opra compiuta. È il Ladone un
fiume s'una ripa, che nodrisce cannelle della sorte, che dicon Siringa essersi
tramutata, de' quali poi habbiamo conosciuto la fistola esser composta. Là onde
dobbiamo intendere che, si come la radice de calami è infissa nella terra, cosi
anco l'opra dell'arte della musica, & indi il canto ritrovato, tanto sta
nascosto nel petto dell'inventore quanto vien prestato l'instrumento da
mandarlo fuori; il che si fa delle cannelle con l'aiuto della humidità ch'esce
dalla radice. Onde messolo insieme, l'armonia n'esce con l'aiuto dell'humidità
dello spirito, ch'eshala. Percioche se fosse secco nessuna dolcezza sonora, ma
piu tosto un muggito n'uscirebbe, si come veggiamo farsi del foco mandato per
le cannelle. Cosi in calami pare, che sia convertita Siringa, percioche per le
cannelle risuona. Oltre di ciò, fu possibile dall'inventor della fistola al
primo tratto haver ritrovato le cannelle a questo effetto appresso il Ladone,
& cosi dal Ladone ritenuto. Resta vedere quello, che poterono imaginarsi
circa l'imagine di Pan. Nella cui istimo gli antichi haver voluto descrivere
l'universal corpo della natura cosi delle cose agenti come delle patienti, come
sarebbe a dire intendendo per li corni diritti verso il Cielo la dimostratione
dei corpi sopra celesti, laqual, con doppio modo intendiamo, cioè con l'arte,
per laquale investigando conosciamo i discorsi delle stelle, & per lo cui
sentimento sentimo in noi le infusioni. Per l'accesa faccia di lui, l'elemento
del foco, al cui istimo, che volsero essere da pigliar l'Aere congiunto, ilqual
cosi congiunto, dissero alcuni esser Giove. Per la barba poi, che dimostra la
virilità, giudico haver voluto intendere la virtù attiva di questi due elementi
cosi congiunti, & appresso la loro operatione in terra, & in acqua,
mentre allungarono quella insino al petto, & alle parti piu basse. Indi che
fosse coperto d'una pelle macchiata, lo fecero accioche per quella si
dimostrasse la maravigliosa bellezza dell'ottava sfera dipinta dallo spesso
splendore delle stelle; dalla cui sfera, si come l'huomo è coperto dalla veste,
cosi tutte le cose appartenenti alla natura delle cose sono celate. Per la
verga poi m'imagino essere da intendere il governo della natura, per lo quale
tutte le cose, massime quelle, che mancano di ragione, sono governate, &
nelle sue operationi sono ancho guidate a diterminato fine. Aggiunsero a quello
la fistola, per disegnare l'armonia celeste. Ch'egli circa le parti piu basse
havesse il ventre hispido, & peloso, intendo la superfitie della Terra, dei
monti, quella gobba delli scogli, & quella coperta delle selve, dei
virgulti, & delle gramigne. Altri poi giudicarono altramente, cioè per
questa imagine esser figurato il Sole, ilquale credettero padre, & signore
delle cose. Tra quali fu Macrobio. Cosi vogliono i suoi corni essere inditio
della Luna, che rinasce, over la faccia rossa l'aspetto dell'Aere la mattina, &
la sera fiammeggiante. Per la lunga barba, i rai d'esso Sole, che calano fino
in terra. Per la macchiata pelle, l'ornamento, che deriva dalla luce del Sole.
Per lo bastone, overo verga, la potenza, & la moderatione delle cose. Per
la fistola, l'armonia del Cielo conosciuta dal movimento del Sole, si come di
sopra. Credo, Magnanimo Re, che tu veggia come liggiermente la passi nelle
spositioni, il che faccio per due ragioni. Prima, perche mi confido, che tu sia
di nobile ingegno, per lo quale tu possa, con ogni piccioli inditii, che ti
siano dati, penetrare in tutti i profondissimi sentimenti. Secondariamente
perche egli è da credere alle seguenti. Conciosia che, s'io volessi descrivere
tutte quelle cose, che si ponno addurre alla spositione di questa favola
parrebbe forse, ch'io l'havessi voluto fare per invidia della posterità, &
essa sola occuparebbe quasi tutto l'imaginato volume. Ilche voglio anco, che
sia detto dell'avanzo. Et per ritornare alle lasciate, questo Pan, overo
quelle, che in processo gli Arcadi istimarono istesso con Demogorgone (come è
paruto a Theodontio), ò che sprezzato quello drizzassero tutte le menti in
questo, con sacrificij horrevoli, come sarebbe dire sacrificandoli con sangue
humano, anzi de figliuoli, grandemente adorarono et lo chiamarono Pana, da Pan,
che latinamente significa il tutto. Volendo perciò che tutte quante le cose,
che sono nel grembo della Natura siano concluse, et cosi ch'essa sia il tutto.
I piu giovani poi, percioche le cose rinovate piacciono chiamarono Pana Liceo.
Altri levato il nome di Pan solamente il dissero Liceo, & alcuni Giove
Liceo, istimando per opra della natura, overo di Giove, i lupi lasciare le
greggi, de' quali quasi tutti loro erano molto abondanti, et cosi dal cacciar
dei lupi pare, che meritasse il cognome. Percioche in greco il lupo si dice
Licos. Ma Agostino dove scrive della Città d'Iddio narra non perciò essere
avenuto, che Pan si chiamasse Liceo, anzi per la spessa mutatione degli huomini
in lupi, che occorreva in Arcadia, il che pensavano non esser fatto senza
operatione divina. Oltre di ciò pare, che Macrobio habbia voluto intendere Pan
non in vece di Giove, ma esser il Sole. Percioche il Sole era tenuto per padre
di tutta la vita mortale. Conciosia che al levar suo, havevano in usanza i lupi,
lasciate l'insidie contra i greggi, ritornar nelle selve, cosi per questo
beneficio il chiamarono Liceo.
Cloto, Lachesi, & Atropos,
come di sopra, dove si ha trattato del Litigio, furono figliuole di
Demogorgone. Ma Cicerone chiama queste le Parche, dove scrive delle Nature de'
Dei, & dice, che furono figliuole dell'Herebo, & della Notte. Nondimeno
piu tosto m'accosto a Theodontio, ilquale dice quelle essere create con la
natura delle cose, il che molto piu pare al vero conforme, ciò è loro essere
state coetanee alla natura delle cose. Et queste istesse dove di sopra Tullio
le chiama in singolar Fato, facendolo figliuolo dell'Herebo, & della Notte,
io piu tosto, havendo rispetto a quello che vien scritto del Fato, accioche
dopo seguiti figliuolo di Demogorgone, chiamerollo con questo nome, che è in
luogo di Parche. Seneca poi nelle Pistole a Lucullo chiama queste Fati, citando
il detto di Cleante, cosi dicendo: I Fati traheno quello che vuole, & non
vuole. Ilche circa non solamente descrive il loro ufficio,
cioè esse sorelle guidare il tutto, ma anco costringere, non altrimenti, che se
di necessità occorra il tutto. Laqual cosa molto piu apertamente pare, che
Seneca Poeta Tragico tenga nelle Tragedie, massimamente in quella il cui titolo
è Edippo, dove dice; Da i Fati siamo constretti ai Fati credere. Non ponno le
sollecite diligenze cangiare li stami del torto fuso. Ciò, che patisce il
genere mortale, & ciò, che facciamo, la conocchia rivolta alla dura mano di
Lachesis, rivolge dal Cielo, & serba i suoi decreti. Tutte le cose vanno
per troncato sentiero, & il primo giorno ha dato l'estremo. Non l'è
concesso da Iddio rivolger quelle cose lequali congiunte per sue cagioni
occorrono. Và a colui l'ordine immobile, a cui istima senza nessuna preghiera,
che noccia haver temuto lui per molte cagioni. Molti vennero al suo fato,
mentre temerono i Fati, et quello, che segue. Ilche pare anco, che Ovidio
giudicasse, quando nel maggior suo volume in persona di Giove dice a Venere;
Tu sola pensi l'invincibil Fato
Poter cangiare, se ben'entro
entrassi
Da le sorelle, dove tu vedrai
Le istanze da le tre d'una gran
mole,
Et d'aere i palchi, & di ben
fermo ferro:
I quai non temon, ne di Ciel
concorso,
Nè di fiume ira, nè rovina alcuna,
Cosi sicuri sono, & anco eterni
Ivi tu troverai scolpiti i Fati,
De la prosapia tua, di dur
diamante.
Per lequali parole, oltre già la
falsa opinione, si può considerare queste tre sorelle essere il Fato, &
come, che Tullio habbia distinto i Fati in Parche, & Fati, volendo piu
tosto, come istimo, con la divinità dei nomi dimostrar la diversità degli
uffici, che delle persone. Ma noi di questi tre, ultimamente da esser ridotti
in uno, quello, che ne sentano alcuni vederemo. Di sopra habbiamo detto queste
essere state dedicate dal Padre ai servigi di Pane, et n'habbiamo dimostrato la
cagione. Fulgentio poi dove tratta dei Mitologij dice quelle essere state attribuite
ai voleri di Plutone dio degl'Inferi, & credo affine, che sentiamo le
attioni di queste solamente impacciarsi d'intorno le cose terrene, perche Pluto s'interpreta
terra. Et dice il medesimo Fulgentio Cloto essere interpretata Evocatione,
percioche, gittato il seme di ciascuna cosa, sta in suo potere condur quello di
maniera in accrescimento, che sia atto a venir in luce. Lachesi poi (come vuole
l'istesso) viene interpretata protrattione, cioè guida, & allungatione;
conciosia che tutto quello, che da Cloto è composto, & chiamato in luce, da
Lachesi viene raccolto, & allungato in vita. Ma Atropos dall'A , che
significa senza, & Tropos , che è
conversione, o vogliamo dire tramutatione, viene ad essere interpretata senza
conversione; attento, che ogni cosa nata subito, che da lei è conosciuta essere
giunta al termine a se prima segnato conduca a morte, dallaquale per opra
naturale non è poi nessuna conversione. Apuleio poi Medaurese Filosofo di non
minor auttorità di queste nel libro da lui chiamato Cosmografia cosi ne scrive;
Ma sono tre i Fati per numero, che oprano con la ragione del tempo, se tu
riferisci la potenza di questi alla assimiglianza del medesimo tempo. Percioche
quello, che nel fuso è compiuto ha spetie del tempo passato; quello, che si
torne nei diti significa li spatij del momento presente, & quello, che
anche non è tratto dalla conocchia, & sottoposto alla cura dei diti, pare,
che mostri le cose avenire del futuro, & consequente secolo. A questi ha
toccato tale conditione, & proprietà dei loro nomi. Che Atropos sia il fato
del tempo passato, il che veramente Iddio non sarà non fatto, del tempo futuro;
Lachesi poi cognominata dal fine, percioche anco Iddio hà dato il suo fine alle
cose, ch'hanno a venire. Cloto ha cura del tempo presente, accioche persuada ad
esse attioni; affine, che la cura diligente non manchi a tutte le cose. Questo
dice Apuleio. Sono appresso di quelli, che vogliono Lachesi essere quella, che
noi chiamiamo Fortuna; et da lei l'essere maneggiate tutte quelle cose, che s'appartengono
à mortali. Ma quello, che tengano gli antichi del fato, come che non siano
molto differenti dai precedenti, hora parmi da vedere. Dice adunque Tullio del
fato, nel libro ch'egli scrisse della Divinatione, in questo modo: Chiamo il
fato quello ch'i Greci marmedine, cioè ordine, & capo delle cause,
partorendo la causa di se la causa, & quella è la verità sempiterna, che
abonda d'ogni eternità; il che cosi essendo, non ha per avenire alcuna cosa,
della cui la natura non contenga le cagioni ch'oprano l'istesso. Onde
s'intende, che il fato sia, non quello che superficiosamente, ma quello, che
filosoficamente vien detto causa eterna delle cose, per laquale si sono fatte
le cose passate, si fanno quelle, che sono, & quelle, che seguiranno sono
per essere. Questo dice Cicerone. Boetio Torquato poi, huomo studiosissimo, et
catholico, dove scrisse della consolatione filosofica, altercando diffusamente
sopra questa materia con la filosofia maestra delle cose, tra l'altre cose dice
del Fato cosi; La generatione di tutte le cose, & tutto il progresso delle
nature mutabili, & ciò, che si move ad alcun modo, opera, & seguita le
cause, gli ordini, & le forme secondo la stabilità della mente divina.
Questa, composta nella Roccha della sua semplicità, ordinò diverso modo
nell'essequire le cose; ilqual modo, riguardandosi con essa purità di divina
intelligenza, viene detto Providenza. Quando poi egli vien rifferito a quelle
cose, che move, & dispone, dagli antichi è chiamato Fato. Queste cose dice
Torquato. Potrei anco descrivere quello, che Apuleio nella Cosmografia
diterminò del Fato, & appresso l'openioni d'altri; ma perche istimo assai
essersi detto, brevemente descriverò perche le Parche, ò il Fato, overo i Fati
siano detti figliuoli di Demogorgone o dell'Herebo, overo della Notte. Havendo
spesso ad occorrere per l'avenire, & essendo già nelle precedenti cose
accaduto, che il causato sia detto figliuolo del causante, possiamo al presente
dire queste tre sorelle, chiamate con diversi nomi, figliuole d'Iddio, come da
lui causate; ilquale è prima cagione delle cose, come a bastanza per le parole
poco dianzi di sopra di Cicerone, & Torquato si può vedere. Questo Iddio,
come è stato detto, gli antichi chiamarono Demogorgone. Che poi dell'Herebo,
& della notte, come dice Tullio, siano nate, si può produrre tal ragione.
L'Herebo è un luogo (come piu apertamente si dimostrerà nelle cose seguenti)
della Terra profondissimo, & nascosto, ilquale allegoricamente possiamo
torre per la profondità della divina mente, nella cui occhio mortale non può
penetrare, & la divina mente, come sé stessa veggendo, intendendo quello
havesse a fare producesse indi queste, havendo a fare con la natura delle cose;
onde a bastanza possiamo dire essere nate dall'Herebo, cioè dal profondissimo, &
interno segreto della divina mente. Figliuole poi della Notte si ponno dire in
quanto a noi, percioche tutte quelle cose nelle quali la luce degli occhi
nostri non può penetrare chiamiamo oscure, & simili alla notte quelle, che
mancano di luce. Cosi noi adombrati da mortal nebbia non potendo passare con
l'intelletto all'intrinseco della divina mente, essendo quella in sé
chiarissima, & splendente di viva, & sempiterna luce, attribuiamo il
vitio a lei col nome del nostro habito, chiamando notte il giorno chiaro. Et
cosi saranno figliuole della Notte, o vogliamo dire, perche ci sono nascoste le
loro dispositioni le chiamiamo oscure, e figliuole della Notte. De' nomi propri
egli s'ha detto di sopra; degli appellativi, si dirà. Chiama adunque Tullio
queste Parche come pens'io per antifrasim, percioche non perdonano a nessuno;
conciosiache appresso loro non è alcuna eccettione di persone. Solo Iddio può
calcare, & rivolgere le sue forze, & ordine. Fato poi, overo Fati, è
nome tratto da for faris, quasi
che vogliano quelli, che l'imposero tal nome, che da quelle di maniera quasi
irrevocabile sia detto, overo previsto; come per le parole di Boetio assai si
comprende, & come anco pare, che tenga Santo Agostino dove parla della
Città di Dio: ma egli rifiuta il vocabolo, avisando, che se alcuno chiamerà la
volontà o la potenza d'Iddio con nome di Fato, sia sententiato a lasciarvi la
lingua.
Dicono appresso Polo essere stato
figliuolo di Demogorgone, & questo nel suo Protocosmo afferma Pronapide,
che di lui recita tal favola. Dicendo che, stando appresso l'onde nella sua
sedia Demogorgone, & del fango, che n'usciva compose una massa da lui
chiamata Polo, ilquale spezzato le caverne del Padre, & la pigritia se ne
volò in alto, & essendo anco una mole, nel volare crebbe in cosi gran
corpo, che circondò tutte quelle cose, che per inanzi dal Padre erano state
composte. Ma nè anco havea alcuno ornamento; quando stando d'intorno al Padre,
che fabricava il globo della luce, & veggendo molte faville accese per li
colpi dei martelli, che qua, & là volavano, allargato il grembo tutte le
raccolse, & portolle nella sua stanza, adornandola tutta di quelle. Havrei,
Inclito Re, di che ridermi veggendo cosi disutile ordine del composto mondo; ma
inanzi ho protestato non voler biasimare alcuna cosa. Seguita adunque nel resto
secondo quei, che vogliono l'opinione di Pronapide, che di terra inclusa dalla
mente divina in terra essere stata prodotta, mentre dice il Polo; ilquale io
intendo il Cielo, di terra estesa essere fatto, & ridotto in grandissimo
corpo ch'abbraccia il tutto. Che poi di faville ch'uscivano dalla luce ornasse
la sua casa, istimo ciò essere insteso perche, splendendo i raggi del Sole, le
stelle locate in Cielo, per natura mancando di sua luce, siano fatte
splendenti. Il Polo poi vien detto, come penso, da alcune sue parti piu
appartinenti, percioche è chiaro, secondo, che l'Honorato Andalone mio
precettore, & gli antichi auttori d'Astrologia affermano, tutto il Cielo
essere fermato sopra due Poli; l'uno de quali, il piu vicino a noi chiamano
Artico, & l'opposito Antartico. Nondimeno alcuni chiamano questo Poluce; ma
non ne trovo la cagione.
Fitone (per testimonio di
Pronapide) fu figliuolo di Demogorgone, e della Terra: della cui natività egli
recita tal favola. Dice, che Demogorgone fastidito dal rincrescimento della
continua nebbia ascese i monti Acrocerauni, & da quelli trasse una troppo
grande, & infiammata mole, & prima con forsici d'ogn'intorno la tondò,
indi col martello la fermò nel monte Caucaso. Dopo questo la portò di là dal
Taprobane, e sei volte bagnò quel lucido globo nell'onde, & altrettante lo
girò d'intorno per aria: e questo fece, accioche per lo girare mai non si
potesse sminuire, nè mancare dalla rugginezza dell'età: & affine, che anco
piu leggieri fosse portato per tutto. Ilquale subito levandosi in alto entrò
nella stanza del Polo, & empì tutta la stanza del Padre di splendore. Poi
per le immersioni sue l'acque pria dolci pigliarono l'amarezza del salso, &
l'aere cacciato dai giri fu fatto a capire i raggi della luce. Orfeo poi,
ilquale fu antichissimo di quasi tutti i Poeti (come Latantio scrive nel libro
delle Divine Institutioni) ha creduto questo Fitone essere il primo
grandissimo, & vero Iddio, & da lui essere stato prodotto, & creato
tutte le cose; il che forse in questa opra gli havrebbe dato il primo loco,
havendo cosi degno testimonio, se esso istesso Orfeo poco considerando (come
istimo), o vero perche non potesse imaginarsi alcuno non essere stato generato,
non havesse scritto: Prothogonus Fiton perimeteos; neros, & yos, che in
verso suona;
Nacque in
principio Fithon d'aere lungo.
Cosi non viene ad essere primo,
si come di sopra havea detto, essendo generato dall'Aere. Oltre di ciò
Lattantio, dove di sopra lo chiama Faneta. Ma l'ordine già pigliato ricerca,
che noi veggiamo quello, che contenga la fittione; il che si vedrà quasi da sé,
dichiarato c'havremmo il senso de' nomi. Uguccione nel libro dei Vocaboli dice
Fitone essere il Sole, & haversi acquistato tal nome dal serpente Fitone da
lui amazzato. Cosi anco Paolo nel libro da lui chiamato delle Collettioni dice Fanos , overo Faneta
esser l'istesso, che apparitione. Cosi anco Lattantio chiama questo Fitone,
ilqual nome benissimo si conviene al Sole. Percioche egli è quello, che levando
appare, & cessando lui non sarà alcuna apparitione d'altre creature
mortali, o vero anco di stelle. Adunque Pronapide vuol dimostrar la creatione
del Sole, circa laquale, accioche consegua la sua opinione, quelli, che
vogliono tutte le cose create di terra induce Iddio, overo la divina mente
della Terra, dagli Acrocerauni monti haver tolto la materia, istimando egli la
terra infiammata essere piu atta a componere un lucido corpo. Che poi con
forsici tondasse questa mole, intendo la divina arte; per laquale di maniera il
globo del Sole è fatto talmente sferico, che per alcuna cosa soprabondante la
sua superfitie è gobba. Medesimamente anco il martello può essere chiamato
intento del sommo artefice, col quale nel monte Caucaso, cioè nella sommità del
Cielo, di maniera formò quel corpo solido, & fermo, che da nessuna parte
pare, che non si possa sminuire nè consumare. Indi dice quello essere stato
portato di là Taprobane, affine di dimostrare dove si pensi essere stato
creato. Taprobane è una Isola dirimpeto alla foce del fiume Gange, dalla cui
parte nell'Equinotio a noi nasce il Sole, & cosi pare, che voglia essere
composto in Oriente. Dice poi, che sei volte fu ivi tuffato nell'onde,
immitando le attioni del fabbro; ilquale per indurare il ferro bollente lo
caccia nell'acqua. Et in ciò giudico, che Pronapide habbia voluto mostrare la
perfettione, & eternità di questo corpo. È poi il sei numero perfetto, che
si fa con tutte le sue parti compiute; onde vuole, che intendiamo la
perfettione dell'artefice, & dell'arteficiato. Indi che lo girasse
d'intorno sei volte, istimo, che per lo numero perfetto del giro habbia voluto
descrivere il suo motto circolare, & che non manca; dal cui mai non si
trova egli haver mancato nè essere restato. Che poi, per haver bagnato il
grande, & infiammato corpo, le acque prima dolci siano divenute amare,
penso non essersi detto per altro se non affine di dimostrare, che per lo
continuo percuotere degli ardenti raggi del Sole nell'acque del mare, che
quella superficie di sopra via dell'acqua marina sia divenuta salsa, come
vogliono i Fisici.
La Terra, come di sopra si è
veduto, fu sedia, & figliuola di Demogorgone; dellaquale Statio nella
Thebaide cosi scrive;
O eterna madre d'huomini, & di
Dei,
Che generi le selve, i fiumi, e
tutti
Del mondo i semi, d'animali, &
fiere.
Di Prometheo le mani, e insieme i
sassi
Di Pirra, & quella fosti, la
qual diede
Prima d'ogn'altra gli elementi
primi,
E gli huomini cangiasti, &, che
camini,
E 'l mare guidi, onde a te intorno
siede
La queta gente degli armenti, &
l'ira
De le fiere; e il riposo degli
uccelli:
Et appresso del mondo la fortezza
Stabile, e ferma, & del Ciel
d'Occidente
La macchina veloce, & l'uno,
& l'altro
Carro circonda te, ch'in Aere vuoto
Pendente stai. O de le cose mezzo,
Et indivisa ai grandi tuoi
fratelli.
Adunque insieme sola a tante genti,
Et una basti a tante alte Cittadi,
Et popoli di sopra, anco di sotto,
Che senza sopportar fatica alcuna
Athlante guidi, ilqual pur affatica
Il Cielo à sostener, le Stelle e i
Dei.
Et quello, che segue. Ne quai
versi certamente a pieno si dimostra l'opra, e le lodi della Terra; della cui
generatione havendone detto di sopra, dove si hà parlato del Litigio parmi più
non essere bisogno dirne altro. Nondimeno gli antichi la chiamarono moglie di
Titano, & che di lui partorisce alcuni figliuoli, come è stato dianzi
mostrato, & dal nepote Oceano, & dall'infernal Fiume Acheronte, et anco
da altri non conosciuti, come si mostrerà al luogo suo. Oltre di ciò la
chiamarono per molti nomi, come sarebbe a dire Terra, Tellure, Tellumene, Humo,
Arrida, Buona Dea, gran madre, fauna, & fatua. Ha oltre di ciò costei con
alcune dee i nomi comuni, perche si chiama Cibele, Berecinthia, Rhea, Opis,
Giunone, Cerere, Proserpina, Vesta, Isis, Maia, & Media. Ma quello, che
d'intorno i predetti volsero intendere i Theologhi, è homai da vedere. La
chiamano moglie di Titano, che è il Sole, percioche il Sole in lei opra come in
materia atta a produrre ogni sorte d'animali, metalli, pietre pretiose, &
simili cose. Alcuni vogliono Titano essere stato un huomo di gran potere, &
chiamato marito nella Terra perche possedeva molto terreno, & hebbe
figliuoli di tanta maravigliosa fortezza, & grandezza di corpo, che
parevano nati non di donna, ma di molto maggior corpo, come sarebbe della
Terra. Et per giungere ai nomi, dice Rabano nel libro dell'origine delle cose
la terra essere detta con questo nome da terendo , percioche cuopre quello, che
s'appartiene alla superficie sola; Tellus poi, come l'istesso testimonia, è
detta percioche da quella tagliamo i frutti. Ma Servio dice Terra essere
quella, che si cuopre, & Tellus la Dea. Et altrove dice Tellus essere la
Dea, & terra lo elemento; ma alle volte l'una si mette per l'altra, si come
Vulcano per lo fuoco, & Cerere per lo frumento. Tellumene poi, com'io per
congiettura posso capire, dissero quella parte della terra laquale non si
cuopre, nè è buona per radici di gramigne ò d'arbori, percioche è molto piu
inferiore di quella, che si dice Tellure. Humo poi, secondo Rabano, è chiamata
quella parte della terra, che ha molta humidità, come è propinqua a i paludi,
& ai fiumi. Chiamarono anco Arida la terra; non perche il Creatore dalla
creatura sua cosi la nomasse, affine di mostrare la sua vera complessione, ma
percioche si ara. Ma Buona Dea, per testimonio di Macrobio ne' Saturnali, fu
detta cosi essendo causa a noi di tutti i beni al vivere. Per che nudrisce le
cose, che producono, serba i frutti, dà l'esche agli uccelli, i paschi ai
bruti, de' quali anco noi siamo nodriti. Gran Madre poi, secondo Paolo,
volsero, che si chiamasse pensandosi, che fosse creatrice del tutto. Ma io
istimo perche come pia madre con sua grandissima abondanza nodrisce tutte le
cose mortali, & nel suo grembo raccoglie quelle che muoiono. Perche poi la
dicessero Fauna, Macrobio il descrive dicendo, tutto che favorisce ad ogni uso
degli animali; il che è di maniera chiaro, che non fa mistieri dichiararlo.
Fatua dice, che è detta a fando, come vogliono gli antichi, che significa dal
parlare. Conciosia che i fanciulli da essere partoriti non prima hanno voce ò
la mandano fuori, che non tocchino quella. I quai nomi veramente con gli altri
nomi sono comuni; dove nelle seguenti cose, facendone mentione, s'intenderanno
tutto uno. Ma verremo a dichiarare de figliuoli, iquali dicono ella haver
partorito di Padre incerto.
Dice Paolo, d'incerto padre la
notte essere stata figliuola della terra. Dellaquale Pronapide recita tal
favola, cioè quella essere stata amata da Fanete pastore; ilquale ricercando
per sposa alla madre, & quella volendoglila dare, ella rispose, che non
voleva un huomo non conosciuto, da lei non mai veduto, et sentito ricordare per
huomo molto differente da suoi costumi, onde più tosto voler morire, che a lui
maritarsi. Di che sdegnato Fanete, d'inamorato se le fece inimico, &
seguendola per amazzarla ella si congiunse con l'Herebo, non havendo ardire
apparrire dove fosse Fanete. Dice appresso Theodontio, che Giove à costei
concesse la carretta da quattro ruote, conciosia che gli era stata favorevole
mentre inanzi giorno andava a ritrovare Alcmena. Oltre di ciò, come, che sia
fosca, la ornarono di una sopravesta dipinta, & lucente, & ciò in sua
lode, & affine, che in parte dimostrasse il suo effetto. Statio nella
Thebaide canta questi versi;
Notte, ch'abbracci tutte le fatiche
Del Cielo, e de la terra, &
oltre mandi
L'ardenti stelle con trascorrer
lungo,
Cercando riparar l'animo fiero,
Mentre Titano agli animali infermi
Vicino infonde i parti suoi veloci.
Et quanto va dietro. Ma hora
veggiamo il senso. Dicono prima quella essere figliuola della terra senza
conoscimento di padre certo. Il che istimo perche la terra per la densità del
suo corpo opra, che i raggi del Sole nella parte opposta a quelli non possano
penetrare, cosi per causa della terra si fa l'ombra cosi grande quanto spatio
viene occupato dalla metà del corpo della terra. La cui ombra viene chiamata
notte. Et cosi come causata dalla terra, & non da altra cosa, viene istimata
solamente figliuola della notte, senza haver padre certo nè conosciuto. Che poi
fosse amata da Fanete Pastore, credo deversi intendere a questo modo. Io penso
Fanete essere il Sole, & però detto pastore, conciosia che per opra sua le
cose viventi si pascano. Che amasse la Notte, istimo essere, finto attento, che
egli, desiderando come cosa da lui amata vederla, con veloce corso la segue,
& pare, che seco si voglia congiungere. Quella poi lo rifiuta, ne con
quello fugge di che egli la segua. Conciosia che i costumi loro sono
differenti, imperoche egli alluma, & ella oscura. Ne indarno dice, che se
la giunga la vuol far morire, dissolvendo il Sole con la sua luce ogni
oscurità; cosi le diventa inimico. Indi la notte si congiunge con l'Herebo,
cioè con l'inferno, nel cui non penetrando mai i solari raggi la notte vive, e
sta sicura. Che poi prestasse favore a Giove, la favola il manifesta, come si
vede in Plauto nell'Anfitrione. Percioche essendo andato Giove la mattina
nell'alba a ritrovare Alcmena, la notte, per prestargli favore, come se
incominciasse dopo il tramontar del Sole durò in lunga oscurità, per laqual
cosa meritò il carro da quatro ruote; per lo cui continuo giro, che fa della
terra intendo significare i quattro tempi della notte, che solo serveno al
notturno riposo. Macrobio partisce la notte in sette tempi, il primo incomincia
dallo entrar del Sole, & chiamasi crepusculo da crepero,
che significa dubbio, conciosia che dubiti se sia da concedere al giorno
passato o alla notte vegnente, & questo non diserve alla quiete. Il secondo
poi, quando è oscuro, si chiama prima face, conciosia che allhora si accendono
i lumi; nè questo è commodo al riposo. Il terzo, quando la notte è già piu
densa, & allhora si dice intempestiva notte, perche quel tempo non è atto à
operatione alcuna. Il quinto si noma Gallicinio, conciosia che dal mezzo suo in
poi, venendo la notte verso il giorno, i galli cantano. Il sesto è detto
conticinio, già vicino all'aurora, & cosi si chiama perche alhora per lo
piu il riposo è grato, & per ciò tutte le cose stanno quete, & ferme.
Et questi quattro termini si attribuiscono alla quiete. Il settimo si chiama
Diluculo, cosi detto dal giorno, che già luce, nel cui tempo gl'industriosi si
levano per fatti suoi, & ilquale non è punto atto al sonno. Et cosi tante
sono le ruote del carro della notte quanto in lei sono i tempi, che solamente
serveno al riposo. Overo vogliamo a guisa di nocchieri o di guardie de'
castelli partire la notte in quattro parti, cioè nella prima, nella seconda,
terza, & quarta vigilia della notte. Cosi verremo a fare quattro ruote del
carro di tante vigilie. Che poi sia vestita di veste dipinta, facilmente si può
vedere quella significare l'ornamento del Cielo, del quale siamo coperti. La
notte anco, come dice Papia, cosi si chiama perche nuoce agli occhi, conciosia
che toglie a quelli l'ufficio di vederci, imperoche di notte non ci veggiamo.
Nuoce appresso perche è mal atta alle operationi; imperoche leggiamo; Odia la
luce quel, ch'opera male. Onde segue, che ami le tenebre come piu atte al mal
fare. Et dice anco Giuvenale.
Per gli huomini scannar levan di
notte
I ladroni, etc.
Oltre di ciò Homero nella Iliade
la chiama donatrice de' Dei, accioche conosciamo, che la notte quei di
grand'animo rivoltano grandissime cose nei loro petti. Nondimeno la notte, poco
atta a tai cose, aggrava gli spiriti infiammati, & constringe quelli come
domati fino alla luce. Hebbe appresso, costei, sì dal marito come da altri,
molti figliuoli, come si narrerà nelle seguenti cose.
Piace a Virgilio, Poeta d'ingegno
divino, la Fama essere stata figliuola della Terra, mentre nell'Eneida dice,
Quella la terra partorendo tratta
Per sdegno de li Dei, sorella
estrema,
(Come dicon) d'Encelado, & di
Ceo,
Generò pure , & quello, che
segue.
Di costei, accioche appaia la
cagione della sua origine, da Paolo è recitata tal favola, che per ingordigia
di regnare essendo nata guerra tra i giganti Titani figliuoli della Terra,
& Giove, si venne a questo, che tutti i figliuoli della terra ch'erano
contrari a Giove fossero amazzati, & da Giove, & dagli altri Dei. Per
la cui doglia la Terra sdegnata, & di vendetta ingorda, non essendo
bastanti l'arme sue contra cosi potenti nemici, affine d'oprar quel male, che
per lei si potesse, con tutte le forze, constretto l'utero suo mandò fuori la
Fama, riportatrice delle scelerità degli Dei. Poscia, di costei descrivendo
Virgilio la statura, & l'accrescimento, cosi dice:
La Fama è un mal di cui non più
veloce
È alcun'altro, & di volubilezza
Sol vive, & caminando acquista
forze,
Picciola al timor primo, e s'inalza
Fino alle stelle, & entra ne la
terra,
Et tra i nuvoli ancora estende il
capo.
Et poco
da poi soggiunge:
Et veloce de piedi, e liggier
d'ale,
Un monstro horrendo, & grande,
al quale quante
Sono nel corpo piume sono tanti
occhi
Di sotto vigilanti, e tante lingue,
(Maraviglia da dire), & tante
bocche
Suonano in lei, & tante
orecchie inalza.
Vola di notte in mezzo'l Ciel
stridendo
Et per l'ombra terrena, nè mai
china
Gli occhi per dolce sonno, &
siede il giorno
A la guardia del colmo d'alcun
tetto,
O sopra d'alte, & eminenti
torri,
Le gran Città smarrendo, e sì del
falso,
Come del vero è messaggier tenace.
Senti adunque eccelso Re, con
quanto ornamento di parole, con quanta eleganza, & con quanto suco, benche
in molto stretta fintione, Virgilio si sforzi mostrare, & dimostri quali
siano le sue attioni, veramente che lo senti. Ma accioche quelli che (oltre di
te) sono per leggere le veggiamo un poco più stese, a me piace esporre
alquanto, lasciando nondimeno da parte quello, che si voglia la favola di
Paolo. Dice adunque primieramente la Terra sdegnata per l'ira delli dei: il che
circa per gli irati Dei, intendo l'opra delle stelle d'intorno alcune cose.
Perche le Stelle, ò i corpi sopra celesti, senza dubbio oprano in noi per la
potenza a loro dal Creatore conceduta, secondo le spositioni di quelli, che
ricevano li loro influssi. Et di quì nasce, che un fanciullo o un giovanetto
cresce per opra sua. Quando poi venendo vecchio si declina, & mai non si
disgiunge dalla ragione dell'ottimo governatore, mai non oprano alcuna cosa,
che non paiano al falso, & subito giudicio di mortali, haverla fatta con
sdegno, come sarebbe quando guidano al suo fine un Re giusto, un felice
Imperadore, et un valoroso soldato. Et perciò disse Paolo Dei sdegnati perche
amazzarono quegli huomini, i quali gli huomini istimavano degni da essere fatti
eterni. Ma, che segue da questo; la terra per tal opra chiamata ira degli dei
si sdegna, & questa Terra s'intende l'huomo animoso, percioche tutti siamo
di terra. E a che si muove ella ad ira, affine di partorire la Fama
vindicatrice della futura morte, cioè, che opri quello per lo quale la fama del
suo nome nasca; accioche per ira degli Dei essendo caduto il suo nome, per la
Fama degli oprati meriti sopraresti, contra il voler anco di quelli, che
amazzaando l'huomo si sono sforzati in tutto levarlo dalla memoria. Al che ci
essorta anco Vir. dicendo;
A ciascun sta il suo giorno, &
hanno tutti
Di vita breve, e irreparabil tempo.
Ma la fama inalzar coi propri
fatti.
Quest'è di virtù sola ingegno,
& opra.
Chiama Virgilio questa Fama di
sopra un male, percioche per acquistarla con dritto passo tutti non vi
concorriamo. Conciosia che per lo più veggiamo i sommi sacerdotij essere
occupati con inganni, per frodi ottenersi le vittorie, per violenza possedersi
i prencipati, & tutte quelle cose licite, & illecitamente essere
acquistate, che sogliono inalzar i nomi. Attento che, se si opra virtuosamente,
alhora non si chiama vivendo la Fama vivere un male. Ma non propriamente ha
parlato l'Auttore, usando per l'infamia il vocabolo della Fama. Conciosia che,
se guarderemo la fittione, o più tosto la cagione, a bastanza conosceremo da
quella essere seguita la infamia, & non la Fama. Appresso dice questa nella
prima paura picciola, & cosi è. Imperò che come, che i fatti siano grandi,
da' quali nasce, pare, c'habbia principio da una certa tema degli ascoltanti,
attento che sempre siamo mossi dal primo sentire di alcuna cosa, & se ci
piace habbiamo paura, che sia falsa, se poi ci spiace, medesimamente teniamo,
che sia vera. Poi s'inalza in Aere, cioè vola in ampliarsi per lo parlare delle
genti; over si caccia tra gli huomini mediocri, & indi va per la terra,
cioè tra il vulgo, & i plebei. Allhora poi nasconde il capo tra i nuvoli,
quando si trasferisce ai Re. Et anco veloce d'ale perche, com'esso dice,
nessuna cosa non è più veloce. L'afferma gran monstro, & horribile per
rispetto del corpo, che a lei descrive, volendo che tutte le sue piume
(chiamandola uccello per lo suo veloce movimento) habbiano effigie d'huomo, non
ad altro fine, che per ciò s'intenda, che ciascun, che parli d'alcuna cosa
aggiunga una pena alla Fama, & cosi di molti, essendo molte le piume degli
uccelli, & non di poche si fa Fama. O più tosto chiama questo horribil
monstro perche quasi mai non può essere vinto. Conciosiache quanto più alcuno
cerca opprimerla, tanto più diventa maggiore; il che è cosa monstruosa. Dice
appresso tutti i suoi occhi essere vigilanti, attento che la fama non risuona
se non da persone vigilanti. Percioche se il parlamento sta queto, & dorme,
la fama si converte in niente. Che poi la notte voli in mezzo il Cielo, il dice
perche spessissime volte s'è ritrovato la sera essere avenuto alcun fatto, che
la mattina anco in lontanissime parti si ha saputo, non altramente, che se la
notte fosse volata. Overo, che dice questo affine di mostrare la vigilanza de'
cianciatori. Indi fa, che il giorno ella sieda guardiana, per dimostrare, che
per le sue nove si mettano guardie alle porte delle Terre, & delle Città,
& sopra le torri ad eccittare i guardiani, overo a far la scorta di
lontano. Et non distinguendo il falso dal vero, è contenta rifferire tutte le
cose per vere. La cui stanza appresso nel suo maggior volume cosi discrive
Ovidio;
Tra terra, mare, & il celeste
clima
Vicino a mezo il mondo è un ampio
luogo
Da cui si vede quanto in quello è
posto,
Benche lontani sian tutti i paesi;
Dove ogni voce penetra le cave
Per fino al Cielo. Ivi la fama
tiene
Il seggio suo, e in quella rocca
elesse
Entrate innumerabili, &
aggiunse
Mille forami ai tetti, & non
rinchiuse
D'alcuna porta i muri, anzi dì, è
notte
Sta sempre aperta, & tutta, è
fabricata
Di bocche risonanti, & tutta
freme,
Et riporta le voci, e ogn'hor
palesa
Quello ch'ell'ode. Entro non v'è
riposo,
Nè alcun silentio da alcuna parte
Non solo v'è gridar, ma un
mormorare
Bugiardo, & temerario, ivi la
vana
Letitia, & ivi le abbattute
teme,
La nova sedition (senza sapersi
Di bassa voce, come propio quello
Che da l'onde del mar suol esser
fatto;
Se di lontano alcun fremer lo
sente,
Overo qual'è il suono, allhor che
Giove
Fende l'oscure nubi, onde si fanno
Gli estremi suoi, & occupa i
theatri
La turba, e il liggier vulgo vassi,
e viene
Insieme seminando varie cose;
Et vere, & false, et van
volando insieme
Mille parole da rumor confuse,
Di quali empiono questi co i
parlari
L'orecchie vuote. Rifferiscon
questi
Le cose udite ad altri, &
cresce appresso
La misura del finto, e il novo
auttore
Sempre n'aggiunge alcuna a l'altre
intese;
Ivi sta la credenza, ivi l'errore
Chi de l'invention ne sia l'autore
Ella, ciò che si faccia in Cielo, e
in mare
E in terra vede, & tutto il
mondo cerca.
Et quello, che va dietro. A
bastanza anco ai poco ammaestrati queste cose sono palesi. Et però quello, che
voglia Paolo, mentre aggiunge alla favola la Fama essere stata generata affine
di palesare le cose dishoneste degli Dei, resta, che dichiariamo. Ilche non
istimo voler significar altro eccetto che, non potendo i minori con le forze de
maggiori contrastare, si sforzano con l'infamarli con parole vindicarsi.
Volsero poi ch'ella fosse figliuola della terra, perche la Fama non nasce da
altro, che dalle attioni oprate in terra. Che anco sia senza padre non è stato
detto senza ragione, attento che, si come spessissime volte delle cose oprate
dalla fama, de lequali per lo piu, secondo, che sono falsissime, non se ne sa
lo inventore, colui, che fosse ritrovato potrebbe essere descritto in luogo di
padre.
Afferma Theodontio Tartaro essere
stato figliuolo della terra, senza padre. Dice Barlaam, che costui pigro, &
da poco giace anco nel ventre della madre; percioche, volendolo partorire,
& chiamando in suo aiuto Lucina, ella non volse esserle favorevole al
parto, la onde partorì poi la fama per vergogna delli dei. Questo figmento ha
pigliato materia dall'effetto, non perche Lucina non fosse per dar favore a
quello, che era per nascere, overo al parto avenire; conciosia che gli antichi
s'imaginarono d'intorno il centro della terra essere un luogo molto cavo; dove
l'anime nocenti erano tormentate, come a pieno dimostra Virgilio nel discender
d'Enea all'Inferno. Questo vogliono esser detto Tartaro, & secondo Isidoro
delle Ethimologie cosi chiamato dal tremor del freddo. Percioche ivi nè mai
raggio di Sole non puote penetrare, nè v'è alcun movimento d'Aere per lo quale
possa scaldarsi. Che poi nel ventre della madre si faccia da poco, assai si
conosce perche non può ascender di sopra, & se vi ascendesse, non sarebbe
più Tartaro. Impropriamente è poi chiamato figliuolo della terra. Percioche,
come, che una donna l'habbia conceputo, nondimeno s'un conceputo non sarà
venuto in luce, di ragione non si potrà dire figliuolo. E nomato anco senza
padre conceputo, accioche crediamo il corpo della terra haver concavitadi. Non
siamo già però certi si havesse origine della creatione, overo dal seguito dopo
la creatione. In testimonio delle predette cose dice Virgilio;
Esso Tartaro sta due volte tanto
In profondo sepolto sopra l'ombre
Quanto di sopra è l'aspetto del
Cielo
Verso la terra d'ogn'intorni in
alto.
Indi segue:
Qui l'antica progenie de la terra
(Di Titan) da folgor percossa
E rivoltata nel profondo centro.
Et quello, che và dietro.
Tagete come affermarono i
Gentili, & massimamente Toscani, senza cognitione di padre fu tenuto
figliuolo della terra. Di cui rifferisce Paolo Perugino che, essendosi alquanto
gonfiata la terra appresso Toscani nel campo Tarquinese, quel villano del quale
era il campicello, commosso dalla novità della cosa, desideroso di vedere ciò
che volesse mostrare quella gonfiezza stette alquanto ad aspettare; finalmente
divenuto impatiente, un giorno tolse una zappa, et incominciò pian piano a
cavar quel loco; nè molto penetrò ch'eccoti da quelle glebe uscire un
fanciullo. Per lo cui monstro smarrito l'huomo rozo chiamò i circonvicini. Ne
molto da poi questi, che poco dianzi era stato veduto fanciullo, fu visto d'età
compiuta, et indi a poco vecchio. Poi havendo insegnato a gli habitatori l'arte
dell'indovinare, mai più non comparse. Onde gli habitatori tenendolo Dio
l'hebbero per figliuolo della terra, & lo chiamarono Tagete, che l'istesso
sonava già in lingua Toscana, che fa nel latino Iddio, & poscia in luogo di
sommo Iddio lo adorarono. Ma Isidoro dice, che con l'aratro havendo un
Contadino levato una zolla fu trovato il fanciullo, nè più da' Toscani veduto,
& allhora haverli insegnato l'arte dello indivinare, & di quella anco
haverne lasciato libri, iquali da' Romani furono poi nella loro lingua
trasportati. Del cui figmento istimo essere stato il senso tale, cioè poter
essersi ritrovato alcuno che, lungamente studiando d'intorno quest'arte, &
per commodità della contemplatione (sprezzata la conversatione degli huomini)
comparse in un subito dotto; cosa, che punto non era creduta. Et il finto
partorir della terra, si può credere che egli forse veduto fosse uscire
diqualche speloncha, overo, che come non pensato s'appresentò dinanzi gli occhi
del lavoratore del campo, come se fosse uscito da quelle glebe; cosi dal rozo
vulgo fu detto figliuolo della terra. Senza padre, poi, perche il suo
nascimento fu dubbioso. Oltre di ciò, hebbero in usanza gli antichi chiamar
figliuoli della terra tutti gli stranieri non conosciuti, che venivano a loro
da viaggio per terra, si come dicevano Nettuni quelli, che venivano per mare.
Fu detto fanciullo perche fu ritrovato novo, & subito in età provetta,
& vecchio; il che significa dotto, & prudente (cosa che è propria de'
vecchi). Che ciò avenisse nel campo Tarquinese, o perche fosse ivi prima il
detto Tagete conosciuto, ò perche Toscani furono famosissimi nell'arte d'indovinare.
Per lo breve termine poi del suo dimorare, si comprende l'affettione grande
degli habitanti verso lui, percioche il dimorar de una cosa amata (come che
fosse lunghissima) all'amante par sempre breve. Che anco fosse tenuto per Dio,
istimo essere avenuto per questo, che la dottrina, laquale grandemente
honoravano (oprando Iddio) nobilitassero.
Ogn'uno chiama Antheo figliuolo
della terra, et perche alcuno non gli assigna padre, è stato necessario tra i
figliuoli metterlo senza padre certo. Del quale cosi Lucano scrive:
Non dopo haver la terra partorito
I gran Giganti, & quel, ch'ella
in un parto
Cosi terribil fe nei Libici antri;
Nè de la terra fu gloria si giusta
Thifo, ò il feroce Briareo, ch'al
Cielo
Perdonò pure. Quanto ch'ella tolse
Dai Phelegri campi il grande Antheo
Questo si smisurato, & cosi
fiero
Partorì con tal don la terra a
forza,
Che come i membri suoi toccar la
madre
Vissero con forza acre, e robusta
Dicon, ch'una spelonca a lui fu
casa,
E sotto un'alta rupe le vivande
Haver nascosto, & haver anco
appresso
Rapito gran Leoni, & quello
avezzi
Non furo i letti a dar riposo al
sonno;
Che ne le selve ei ripigliò le
forze
Giacendo sopra de la terra ignuda
Quei che lavoran de la Libia i
campi
Morirono a tal modo, ancor morendo
Quelli, che aggiunge il mar, ma con
l'aiuto
La vita lungamente non havendo
Animo di cadere ogn'hora sprezza
Le ricchezze terrene; onde
l'invitto
Tra tutti di valor, benche
restasse.
Et quello, che segue. Si vede
adunque per li versi di Lucano quanto grande, forte, & fiero fosse Anteo,
al quale ritrovare (come narra l'istesso Lucano) andò Hercole vittorioso delle
fatiche, per giuocar seco alla lotta. Onde essendo amendue nello steccato,
& veggendo Alcide che, molte volte havendolo gittato a terra, più robusto
si levava, s'accorse, che dalla terra ricuperava le forze. Per laqual cosa pigliò
quello hoggimai lasso sotto le braccia, & lo tenne tanto sospeso in Aere,
che mandò fuori lo spirito. Il senso di questa favola è doppio, cioè historico,
& morale. Pare, che piaccia a Pomponio Mela, nel libro della Cosmografia,
nelle ultime parti della Mauritania essere stato questo Re, affermando appresso
Ampelusia promontorio, che guarda verso l'Oceano Atlantico essere un antro
consacrato ad Hercole, & di là da Tinge castello molto antico (come dicono)
d'Antheo edificato, in testimonio di ciò si mostra dagli habitatori un gran
scudo di Elefante, che per la grandezza al presente non è buono per nessuno,
ilquale affermando essere stato adoprato da lui, & l'hanno in grandissima
riverenza. Appresso si mostra dall'istessi un poco di collo, che tiene dell'imagine
d'un huomo, che giaccia col ventre all'insù, ilquale affermano essere stato sua
sepoltura. Contra costui (dice Theodontio) Dionigio Thebeo, che per la sua
chiara virtù fu chiamato Hercole, haver havuto guerra; ilquale essendosi
accorto che, havendolo rotto più volte in Mauritania, in un tratto rifaceva
l'essercito, fingendo di fuggire lo condusse a perseguitarlo fino in Libia,
dove lo vinse, & lo amazzò. Ma Leontio diceva questo Hercole essere stato
figliuolo del Nilo, ilquale io reputo essere uno istesso col detto dianzi. Ma
Eusebio nel libro dei Tempi dice questo Antheo esser stato molto instrutto
nell'arte della lotta, & d'ogn'altro abbattimento, che si essercitasse in
terra. Et per ciò egli dimostra tener per cosa finta, che fosse figliuolo della
terra, & che da quella gli fossero reintegrate le forze. Nondimeno
Fulgentio dimostra il senso morale essere sotto la fittione, dicendo Antheo
nato dalla terra essere la libidine, laquale nasce solo dalla carne, la cui
toccata (benche sia lassa) ripiglia le forze; ma dallo huomo virtuoso, negatole
il tocco della carne, viene convinta. Costui, dice Agostino essere stato al
tempo, che Danao regnava in Argo. Ma Eusebio al tempo d'Egeo in Athene. Leontio
poi regnando Argo appresso Argivi.
Spediti i figliuoli della terra,
egli è hoggimai da ritornare all'Herebo con lo stile; ilquale, come dice Paolo
essere allegato da Crisippo, fu figliuolo di Demogorgone, & della terra. Io
veramente istimo costui, & Tartaro essere uno istesso, essendone generale
opinione di tutti gli antichi, che sia nelle più interiora viscere della terra,
& nell'istesso (come di sopra habbiamo detto di Tartaro) con tormenti
essere punite l'anime scelerate. Di costui nondimeno sono scritte molte cose
dagli antichi, massimamente da Virgilio nel sesto dell'Eneida, lequali lascierò
sotto brevità scorrere; conciosia che nelle seguenti, quasi di tutte se ne farà
più lungo ricordo. Dice adunque il Mantovano, che nelle fauci di questo monstro
sono cose molto terribili da riguardare, cioè queste formi, i Pianti, i
vindicatrici pensieri, le infermità pallide, l'afflitta vecchiaia, il timore,
la fame, & la povertà terribile, & gli spaventevoli da riguardare,
morte, fatica, sonno, & cattive allegrezze della mente; la guerra mortale,
le furie infernali, la discordia, la confusion dei sogni, la sedia del
Centauro, il Briareo di Scilla, il serpente Lerneo, la chimera armata di
fiamme, le Arpie Gorgoni, il Cerione da tre corpi, & il trifauce Cerbero,
che stà alla guardia della porta infernale. Oltre di ciò questo Herebo essere
irrigato da quattro fiumi, cioè Acheronte, Flegetonte, Stigio, & Cocito.
Appresso dice Caronte essere il Nocchiero, che passa l'anime di quei che
muoiono, nel profondo dell'Herebo. Indi descrive Minos, Radamanto, & Eaco esser
quelli, che sententiano secondo i meriti i condennati. Narra anco i Titani
Giganti esser giù distesi dai folgori, Salmeone, & Titio stracciato
dall'avoltoio, Isione girato da una eterna ruota, Sisifo, che col petto caccia
in alto di grandissimi sassi, Tantalo tra l'onde, & i pomi, che muore per
fame, & per sete, Theseo confinato a perpetuo otio, & altri, &
questi tutti dipinge essere tormentati tra le mura di ferro nell'Inferno dalla
vindicatrice Thisifone. Similmente chiamarono anco questo istesso con diversi
nomi, che col nome di Herebo, come sarebbe a dire Tartaro, Orco, Dite, Averno,
Baratro, & Inferno. Cosi medesimamente lo fanno padre di molti figliuoli.
Ma lasciate queste cose, egli è da venire alla dichiaratione della nascosta
verità. Vogliono adunque, che fosse figliuolo della Terra, & di Demogorgone
percioche tennero Demogorgone Creatore del tutto; della terra poi, perche
(com'è manifesto) nel suo ventre è locato. Ma, che quel luogo fosse la stanza
dei supplici, non solamente i Gentili, ma anco alcuni famosi Christiani
istimarono, guidati forse da questa ragione. Percioche essendo Iddio la somma
bontà, & colui, che commette peccato, che forse è cosi cattivo, &
l'effetto sia cosi pessimo, è di necessità ch'egli sia lontanissimo da Iddio,
come da suo contrario. Poscia noi crediamo Iddio habitare in Cielo, & dal
Cielo non è alcuna parte più lontana dal centro della terra, & per ciò
forse non pazzamente è stato creduto che i scelerati patiscano ivi le pene,
come in luogo da Iddio lontanissimo. Di ciò nondimeno Tullio apertamente nelle
Questioni Tusculane se ne fa beffe; onde assai si può presupporre altro haver
veduto gli antichi saggi. Et però quando, che volsero esservi due mondi, cioè
il maggiore, & il minore: il maggiore, quello, che generalmente chiamiamo
mondo, & il minor l'huomo, affermando tutte le cose essere nel minore, che
da quelli sono descritte nel maggiore, credo, che istimassero questo Herebo,
& questi tormenti essere tra il minor mondo, cioè l'huomo, & credo
anco, che volessero quelle horribili forme lequali nell'entrata dell'Herebo
descrive Virgilio essere le cause esteriori per lequali di dentro sono causati
quei supplici, o vero quelle, che di fuori appaiono cagionate da quelle
interne. Il cui senso istimo molto migliore. Ma hora resta, che io segua
secondo l'ordine ad esporre il sentimento delle predette. Penso adunque essere
finto, che nel profondo centro di questo Herebo sia una città di ferro,
accioche per quelle intendiamo la profonda parte del nostro ostinato cuore;
nella cui veramente spesse volte siamo pertinaci, & di ferro. I Titani,
cioè gli huomini inchinati alle cose terrene, & i giganti, che sono i
superbi gittati a terra, non per altro sono detti essere crucciati se non
affine, che conosciamo d'intorno questo i terreni, & gli altieri huomini di
animo essere tormentati; i quali mentre sempre desiderano essere inalzati sono
tenuti essere oppressi, & sprezzati dal suo cieco giudicio, & alle
volte sono cacciati dall'altezza; il che a loro è fiero tormento. Per Titio poi
stracciato dall'avoltoio è da intendere la mente di ciascuno, che s'affatica
conoscere quelle cose ch'a lui non s'appartengono; overo di colui, che in
accumular thesori da continuo pensiero è travagliato. Isione girato
continuamente da una ruota dimostra i desideri di chi bramano i Regni. Cosi
anco Sisifo, che rivolge all'insù i sassi manifesta la vita di colui, che in
efficaci, & duri sforzi si consuma. Per Tantalo poi, che tra l'onde, &
i pomi si consuma per la sete, & fame, dobbiamo intendere i pensieri degli huomini
avari, & le angustie d'intorno la infame parsimonia. Indi Theseo, che se ne
sta otioso dimostra i frivoli sforzi de' temerari, per liquali infelicemente
sono tormentati. Oltre di ciò dicono questi tali essere crucciati sotto i
supplici di Tisifone, il che penso cosi doversi intendere. Tisifone
s'interpreta Voce d'ire, onde è chiaro, che quelli iquali sono crucciati da
questi tali in sé stessi si adirino, & mai non mandino fuori le voci
dell'ire. Per quelli tre giudici poi intendo questo, cioè che, oprando male,
possiamo offendere tre persone, Iddio, il prossimo, & noi stessi, &
cosi, che siamo ripresi, & condennati da tre giudicij di conscienza. Per lo
guardiano della porta, che è il Tricerbero cane, il cui ufficio è lasciar
entrare ogn'un che vuole, & uscire a quelli, che sono entrati vietare,
istimo essere da intendere tre cause, che con fiero morso rodeno le menti
mortali degl'ingannati, cioè le carezze de gli adulatori, la falsa opinione
della felicità, & lo splendore della vanagloria; lequali veramente di
continuo con nuove scorte allacciando gli ignoranti accrescono gl'infelici
pensieri, & i cresciuti non lasciano sminuire. L'Herebo poi è circondato
overo inondato da quattro fiumi, accioche perciò conosciamo, che quelli iquali
(lasciata la ragione) si lasciano strascinare dalle incominciate concupiscenze,
principalmente (turbata la allegrezza del dritto giudicio) passano Acheronte,
ilquale s'interpreta mancante d'allegrezza. Così, cacciata la letitia, è di
necessità la mestitia occupi il suo luogo; dallaquale (per lo perduto bene
della allegrezza) molte volte nasce l'ira impetuosa dalla cui siamo guidati in
furore, che è Flegetonte, cioè ardente. Dal furore anco si lasciamo trascorrere
in tristezza, che è la palude Stigia, & dalla tristezza in pianto, &
lagrime, per lequali e da intendere Cocito, quarto fiume infernale. Et cosi noi
miseri mortali guidati dalla cieca opinione del concupiscevole appetito siamo
crucciati, & entro noi sopportiamo quello, che i pazzi istimano dai Poeti
esser rinchiuse nelle viscere della terra. L'Herebo poi è chiamato con tal
nome, come dice Uguccione, perche troppo s'accosta a colui, che piglia.
Dite è nomato da Dite suo Re,
ilquale appresso i Poeti è detto Iddio delle ricchezze, & questo imperò,
perche questo luogo sia ricco, cioè abondante: attento, che ivi discendano,
come anco per lo più fanno quei, c'hoggi dì muoiono, per lo passato tutti.
Tartaro cosi è detto dalla Tortura, perche tormenta quelli, che inghiottisce.
Ma il Tartaro è un profondissimo luogo de gli inferni; dal cui alcuno (come
pare, che voglia Uguccione) giamai trasse fuori Christo. L'Orco viene chiamato
per l'oscurità, & il Baratro dalla forma. Percioche il Baratro è un vaso
contesto di vimini, dalla parte di sopra ampio, & di sotto acuto, del cui
usano i rozi campani, mentre dalle viti congiunte agli alberi vindemiano l'uve.
Et per ciò tal similitudine è fatta accioche intendiamo l'Inferno haver
grandissime, & ampie fauci, & entrate per ricevere i dannati, & a
ritenerli strettissimo, & profondo loco. Si dice Inferno: perche è
inferiore a tutte le parti della terra. Averno, poi, da A, che significa senza,
& Vernos, che è allegrezza vien
detto; percioche manca di allegrezza, & abonda di sempiterna tristezza.
Di figliuoli dell'Herebo primo ci
è occorso l'Amore; ilquale afferma Tullio, dove tratta delle Nature de' Dei,
essere stato prodotto da lui, & dalla Notte. Il che, o serenissimo dei Re,
ti parrebbe forse inconvenevole, & monstruoso, se il vero con la ragione
possibile non ti fosse dimostrato. Fu antica sentenza degli antichi l'Amore
esser una passion d'animo. Et però ciò, che desideriamo, quello è Amore. Ma
perche in diverso fine sono portati i nostri affetti, è necessario, che l'Amor
d'intorno a tutte le cose non sia quell'istesso. Et perciò, ridotti in picciolo
numero i disideri de' mortali, i nostri maggiori lo fecero di tre sorte. Et
inanzi gli altri, con testimonio d'Apuleio in quel libro ch'egli scrisse dei
Decreti o vogliamo dire Openioni di Platone, esso Platone afferma essere tre
soli amori, & non piu. Il primo de' quali disse esser divino, che si
conface con la mente incorrotta, & con la ragione della virtù. Il secondo,
passione di tralignato animo, & di mente corrotta. Il terzo, composto di
l'uno, & dell'altro. Dopo ilquale, Aristotele suo auditore, mutate più
tosto le parole, che la sentenza, medesimamente volle, che fosse di tre sorte.
Affermando il primo movere i pigliati da sé per l'honesto, il secondo per lo
dilettevole, & il terzo per l'utile. Ma perche questo del quale trattiamo
non è quello di cui il divino parla, & meno quello, che tenda all'honesto,
nè dei due altri composto, overo per lo dilettevole; ma di declinante animo,
& solamente per l'utile, meritamente secondo l'opinione di Cicerone lo
chiameremo figliuolo dell'Herebo, & della Notte, cioè di cieca mente, &
d'ostinato petto. Percioche da questo siamo guidati à mortale ingordigia d'oro;
da questo a disio crudele d'Imperio; da questo à pazza voglia di mortal gloria.
Da questo ad oscura morte d'amici. Et da questo ruine di Città, a torti, a
frodi, a violenze, & a scelerati consigli noi infelici siamo guidati. Da
questa peste sono pigliati i buffoni, i parasiti, gli adulatori, & simile
compagnia d'huomini, che segue la fortuna prospera de' mal accorti, & di
quello usa per spogliar con carezze, & false lodi i militi gloriosi. Quello
adunque (considerate drittamente tutte le cose) non amore, ma più propriamente
devremmo chiamar' odio.
Dice Tullio tra le Nature de' Dei
la Gratia esser figliuola dell'Herebo, & della Notte. Io nondimeno mi
ricordo haver letto altrove, le Gratie essere state figliuole o di Giove o
d'Auttonio ò del padre Bacco, & di Venere. Ma egli è da sapere, accioche
conosciamo quello, che in ciò tennero quelli, che di ciò finsero, la Gratia
essere una certa affettione di mente libera, specialmente del maggiore verso il
minore; per laquale senza preminenza nessuna di merito di compiacenza; sono
conceduti de' benefici, & de' doni a quei anco, che non li dimandano.
Nondimeno istimo molte essere le spetie di queste. Altre veramente sono d'Iddio
immortale; lequali tolte via, siamo nulla. Altre poi degli huomini tra loro. Et
queste ponno inchinarsi al bene, & al male, come, che sempre appaia la
Gratia tendere al bene. Tutte queste (cangiati nondimeno i sensi de' padri)
potremmo dimostrare per figliuole dell'Herebo, & della Notte. Ma per venire
a questa, lasciate da parte l'altre fino al tempo suo, io penso questa essere
quella Gratia che, per qualche scelerata operatione ò per dishonesti costumi
d'alcun'huomo, sia causata in qualche iniquo, & reo huomo. Et cosi tal
Gratia viene ad essere figliuola dell'Herebo, cioè d'un ostinato petto, &
della Notte, cioè d'una cieca mente.
Questa Fatica da Cicerone viene
descritta per figliuola della Notte, & dell'Herebo; la cui qualità
dall'istesso tale viene formata. La Fatica è una certa operatione di grave
attione d'anima ò di corpo, ò di volontà ò per prezzo. Laquale molto bene
considerata, meritamente della Notte, & dell'Herebo viene detto figliuola,
& si può dire colui, che è dannoso è meritamente dà essere rifiutato.
Percioche, si come nell' Herebo, & nella notte è una perpetua inquietudine
di nocenti, cosi anco negl'interni segreti de' cuori di quelli, che sono
guidati da cieco disio circa le cose superflue, & poco convenevoli v'è un
disturbo di continuo pensiero. Et perche questi tali pensieri sono causati in
petto oscuro, debitamente tale Fatica viene detta figliuola della Notte, &
dell'Herebo.
Tullio dice la Invidia essere
stata figlia dell'Herebo, & della Notte; laquale dove tratta delle
Questioni Tusculane, la fa differente dall'Invidenza, dicendo la invidenza
solamente appartenere all'invidioso, conciosiache paia la invidia attribuirsi
anco a colui a cui si porta. Et di quella conchiudendo dice la Invidenza essere
una infermità pigliata per le cose prospere d'altrui, lequali non nuocciano
niente all'Invidioso. Descrive poi i costumi, & l'habitatione di questa
Ovidio in tal modo:
Dell'Invidia và subito a trovare
Gli horrendi tetti per lo nero
sangue;
La cui casa è riposta in ime valli,
U dei raggi del Sol manca
l'entrata,
Nè d'ivi mai troppo alcun vento passa.
È disutile, & trista, &
piena ogn'hora
Di freddo, & sempre mai vi
manca il foco
E ogn'hor d'oscura nebbia è più
ripiena.
Et poco da poi cosi segue:
Et picchiando alle porte, elle
s'apriro;
Dove entro vede l'Invidia, che
mangia
Le carni viperine (nodrimenti
De' vitij suoi), & subito
veduta
Rivolse gli occhi adietro. Et ella
tosto
Levossi in piedi, ivi lasciando i
corpi
Dei serpi mezzo divorati homai;
Venendo verso lei con lento passo.
Ma tosto, ch'ella vide l'alta Dea
Ornata di presenza, & d'arme
chiare,
Gemere incominciò; di che la Dea
Fu sforzata ai sospir volgere il
volto.
Perch'è pallida in viso; e in tutto
il corpo
Macilenta, & il guardo ha
oscuro, e bieco.
Lividi i denti son per rugginezza;
Il petto per lo fele è tutto verde,
La lingua ha tutta piena di veneno;
Lontano ha il riso; eccetto se le
doglie
Ch'altri vegga patir, non ve lo
muove;
Non dorme mai; ma sempre da
pensieri
Tenuta è vigilante; e ogn'hor
riguarda
Degli huomini i successi ingrati, e
rei,
Et marcisce in mirargli, e piglia,
e insieme
Da quei vien presa; è il suo
tormento tale.
Et quello, che va dietro.
Là onde s'alcuno a pieno
considerarà questi versi, senza difficultà conoscerà quella essere la
invidenza; laquale noi con più ampia licenza chiamiamo Invidia, &
dell'Herebo, & della Notte figliuola.
Afferma il detto Tullio il Timore
essere stato figlio dell'Herebo, & della Notte. Percioche il timore, come
dice l'istesso Cicerone, è una cautione contraria alla ragione. Et istimo
costui essere detto figliuolo di tali padri perche da i più rimossi luoghi
dalla cognition nostra nei nostri petti nasca. Nondimeno io l'istimo di due
sorti, cioè quello, che di ragione può cadere in un'huomo discreto, come è
temere i tuoni, & quello, che senza essere sforzato da alcuna ragionevole
cagione, non altrimenti, che donnicciuole smarrisce alcuni. Questi, sotto il
nome di Timore, è uno de' ministri di Marte, si come ci mostra da Statio cosi
dicendo;
Indi comanda in quattro gir inanzi
Il Timor, ch'era de la fiera plebe
Un de compagni; ilqual non
altramente
Era pronto a locar tremanti teme,
Et dal vero levar gli animi
ogn'hora
Di quel, che proprio sia l'effetto
espresso;
Pronto ad aggiunger voci, e mani a
un mostro
Et oprando ogni cosa, ch'a lui
piaccia
Facendo, che l'auttore il tutto
creda;
Con spaventevol corso a quel
parendo
Veder sommerger le città col Sole;
Facendoli talhor veder due Soli,
Le stelle oscure, & che si
volga appresso
La terra, & giù cader l'antiche
selve.
Cosi infelicemente i paurosi
Pensano di veder.
Et quello, che va dietro.
Potrei, famosissimo Re, far di
molte parole esponendo le parti di questi versi, acioche io venissi a
dimostrare i costumi del Timore; ma cosi sottili, & liggieri sono i
figmenti, ch'io mi sono imaginato essere cosa superflua passar più oltre. Oltre
di ciò a costui aggiunge Tullio nelle Questioni Tusculane non avertentemente
essere sottoposti molti ministri, come sarebbe a dire la pigritia, la vergogna,
il terrore, la tema, la pusillanimità, il tremore, la conturbatione, il
sospetto, & molti altri; de tutti e' quali ivi lungamente si legge.
Medesimamente è l'Inganno, come
piace a Tullio, figliuole dell'Herebo, & della Notte; del quale era solito
raccontare Barlaam che, essendo andato con i Greci alla guerra Troiana, &
ritrovandosi male in arnese, & poco armato, consigliandosi alcuni dei primi
delle cose da essere oprate da Ulisse, a cui era molto famigliare, essere stato
condotto a quel consiglio. Ilquale havendo inteso gli animi inalzati, &
gloriosi, & i consigli d'alcuni, & essendossene alquanto seco stesso
riso, pregato alla fine disse il suo parere; il cui se bene non era honesto,
nondimeno perche pareva utile fu ammesso. Et a lui insieme con Epeo subito fu
data la cura di fabricare un cavallo, col mezzo del quale poi si giunse a tanto
ch'i Greci già lassi hebbero il suo disio. Assai sottile, & liggiero è il
velo della fittione, & però perche sia detto figliuolo dell'Herebo, &
della Notte hora veggiamo. Ilche al mio parere si dimostra nelle sacre lettere;
per lequali siamo ammaestrati (tolta la forma di serpente dall'Herebo)
l'inimico del genere humano esser venuto in terra, & nella notte tartarea
con false persuasioni haver offuscato le menti de' nostri padri, & indi
come in colto campo haver seminato mortal seme, il cui frutto, havendo eglino
prevaricato la legge, venne subito in luce. Et cosi l'Inganno, non anco
conosciuto in terra, da principio uscì dell'Herebo, & conceputo nell'utero
della cieca mente, con la nostra morte, & con l'essiglio palesemente fattoci
del regno celeste, chiaramente dimostrossi essere figliuolo della Notte, &
dell'Herebo. Ma perche quello, che i Gentili non conobbero malamente puoterò
fingere, penso quelli haver inteso l'intimo recesso dell'human cuore per
l'Herebo, perche ivi è la stanza di tutti i pensieri. Et però se l'animo è
infermo, sprezzata la virtù (per aggiungere al suo disio) veggendo, che le
forze gli mancano, subito drizza l'ingegno alle arti. Et perche più facilmente
i pazzi sono presi dall'inganno, formato quello con falsi pensieri, lega sé
stesso, & quelli ch'ei piglia con mortal laccio. Et cosi l'Inganno nasce
dalla Notte, cioè dalla trascuraggine della mente per la cui parviene al suo
disio, passando per strade poco honeste, & viene creato dalla vergognosa
concupiscenza del petto infermo, & ardente. Et per lo più non si vede
apparire in luce, che colui non vada in ruina per lo quale è fabricato.
Nelle nature de' Dei, meritamente
da Cicerone, la Frode vien detta figliuola dell'Herebo, & della Notte.
Veramente ella è mortale, & scelerata peste, & abhominevole vitio di
mente iniqua. Tra questa, & l'inganno è tal differenza, che l'inganno tal
volta si puote oprare in bene, ma la frode giamai se non in male; anzi più
tosto contra gl'inimici usiamo dell'inganno, & gli amici inganniamo con la
Frode. La forma di costei Dante Alighieri fiorentino nel suo poema scritto in
lingua fiorentina, & veramente di non picciolo momento tra tutti gli altri
poemi, cosi la descrive, cioè ch'ella ha la faccia d'huomo giusto, & tutto
l'avanzo del corpo di serpente, distinto a diverse macchie, & colori, &
la sua coda esser ritirata in punta di scorpione, & quella tener coperta
nell'onde di Cocito, di maniera, che tiene nascosto tutto l'horrendo del corpo
in quelle eccetto la faccia, & la nomina Gerione. Sotto benigna adunque,
& simil faccia d'huomo giusto comprende l'Autore l'estrinseco degli huomini
fraudolenti. Percioche sono di volto, & di parlar benigni, nell'habito
modesti, nel passo gravi, di costumi notabili, & per pietà riguardevoli.
Nelle opre poi nascosto sotto compassionevole zelo d'iniquità sono di contraria
pele, d'astutia armati, & tinti di macchie di scelerità, talmente ch'ogni
loro operatione alla fine si conchiude tutta ripiena di mortal veneno. Et indi
è detta Gerione perche regnando appresso l'Isole Baleari Gerione, con benigno
volto, con carezzevoli parole, & con ogni famigliarità era avezzo ricevere
i viandanti, & gli amici, & poi sotto il colore di questa benignità,
& cortesia adormentati, amazzava. La ragione poi, che venga detta figliuola
dell'Herebo, & della Notte, è l'istessa detta di sopra dell'Inganno.
La Pertinatia, ò vogliamo
Ostinatione mortalissimo peccato, secondo Tullio è figliuola dell'Herebo, &
della Notte; nè la cagione si vede difficile. Percioche ogni fiata, che
l'indigesto rigore dell'ignoranza de' mortali, con valide ragioni, & con
calore di fervor divino, non può essere rimosso da quella falsa oscura nebbia,
che gl'ingombra l'intelletto, è di necessità, che l'Ostinatione vi nasca, anzi
già è nato il certissimo argomento dell'ignoranza. Adunque bene habbiamo
dimostrato l'Ostinatione essere figliuola dell'Herebo, da noi spesse volte
chiamato Freddo, & della Notte, spesse volte fatta conoscere per nebbia
della mente.
Egesta figliuola dell'Herebo,
& della Notte, non è quella, che molti istimano, cioè mancamento delle cose
opportune. Perche questa gli huomini forti la superarono con la tolleranza,
come nelle arena di Libia Catone; ma quella più tosto allaquale gli abondevoli
guidati da falsa opinione si sottometteno, come fece il guardiano dell'oro Mida
Re di Frigia; ilquale mentre tutte quelle cose ch'egli toccava, secondo la sua
dimanda, diventavano oro, si moriva di fame. Questa adunque è vera Povertà,
& bisogno, & figliuola dell'Herebo, cioè d'un raffreddato, & da
poco cuore, & anco della Notte, cioè di cieco consiglio, ch'istima essere
cosa bonissima l'accrescere ricchezze affine, che manchiamo del loro uso.
Piace anco a Tullio la Miseria
essere stata figlia dell'Herebo, & della Notte. Questa veramente è cosi
estrema disgratia, che può muovere a misericordia i riguardanti. Ilche noi
stessi a noi medesimi facciamo mentre, sprezzato il lume della verità,
sospiriamo le cose c'hanno a mancare, & ad ogni via transitoria, non
altramente, che se fossero perpetue, & perdessimo l'eterne. Et cosi il
petto afflitto dall'oscurato giudicio della mente con sospiri, & con
lagrime manda fuori in publico la miseria; accioche possa indi esser detta
figlia dell'Herebo, & della Notte.
Dice Paolo essere piacciuto a
Chrisippo la Fame essere stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Questa
è overo publica, come già fu mostrata a Faraone, ò privata, come a Crisitone.
La publica fu solita avenire dall'universale carestia di biade, dellaqual cosa
ò l'ira divina n'è cagione, overo la lunga guerra, ò la contraria dispositione
dei sopracelesti corpi, ò i vermi, che sotterra radono i semi, ò le locuste,
che già divorano i seminati, che nascono. Dellequali la prima cagione da alcuno
de' mortali non può essere conosciuta, & cosi potrassi dire figliuola
dell'Herebo, & della Notte; ma non dell'Herebo, che sta nascosto nelle
viscere della terra o, che fa residenza negl'infermi petti de' mortali, anzi
nel profondo segreto della divina mente santissima, & vigilante, ilquale
l'intelletto degli huomini offuscato da mortal nebbia non può riguardare nè
anco contemplare la notte della divina mente, nella cui giamai non fu alcuna
oscurità, ma col suo lume rende sempre il tutto chiaro; ma più tosto gli errori
della frigidità nostra. L'altre spetie di questa cagione affermano i
Mathematici con l'arti loro potersi prevedere. Se adunque è tale questa Fame,
non può essere figliuola dell'Herebo nè della Notte. Se poi cosi non è, alhora,
si come habbiamo detto d'Iddio, non si potendo vedere quello ch'è riposto
nell'antro secreto di natura, si lascierà, che questa Fame per la già detta
ragione sia figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ma la fame privata
aviene, come per lo piu, ò per carestia di cibi, overo alle volte dalla noia
de' stomacosi. Se per carestia, ò per pigritia, ò per dapocaggine del
sopportante, ò per diffetto di povertà occorre. Se per dapocaggine ò pigritia,
si come alle fiate veggiamo alcuni più tosto dar opra alle lascivie, &
all'otio, che haver cura delle cose famigliare, questa veramente è figliuola
dell'Herebo, & della Notte, in quella guisa, che sono gli altri suoi
sopradetti fratelli. Se per colpa di bisogno, mentre, che per intemperanza non
sia povero chi la patisce, non penso, che nè anco questa sia figliuola
dell'Herebo, & della Notte, eccetto s'io non la volessi dir tale, perche
deriva dallo stomaco del famelico. Se poi la Fame è per la noia di cibi, come
alle volte habbiamo veduto essere avenuto ad alcuni insipidi, & da consueto
vitio troppo schifi, & svogliati, iquali se non hanno le vivande elette,
& i saporiti con diligenza composti, overo, che non gli siano messi inanzi
cibi da Re, & pretiosi vini, di maniera sprezzano i communi, & gli
rifiutano, che più tosto si lasciarebbono morir di fame, che mangiarne, non è
dubbio alcuno, che questa non sia nata dall'Herebo, & dalla Notte. La
stanza adunque di costei, & la forma cosi descrive Ovidio:
Trovò la Fame in un sassoso campo
Ricercata da lui; laqual con
l'ugne,
Et denti rari fuor cavava l'herbe;
Haveva torto il crine, & gli
occhi cavi;
Pallida in viso, & con le
labbia in entro;
Di rugginezza havea le fauci roze;
Dura la pelle, & per la cui
guardare
L'interiora a lei potesse ogn'uno;
Et sotto i torti lumbi l'ossa
secche
Stavan riposte, & del suo
ventre il loco
Era invece di ventre; onde istimato
Havresti, ch'il suo petto giù
pendesse,
Et solamente fosse sostenuto
Da un secco spine; a lei cresciuto
havea
I fianchi la magrezza, & il
ginocchio
Una rotondità quel circondava.
Et i calcagni givano distesi
Con picciol spatio. Come di lontano
Costui la vide.
Et quello, che segue.
Vuole Tullio la Querela essere
stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ilche facilmente si concederà
se si riguarderà con occhi sanamente ciò ch'ella sia; percioche è un morbo
dell'animo, che malamente quasi seco si conface. Per questo venendo in un petto
pazzo, l'huomo con poco consiglio cerca ò levar via quello, che si gli deve,
overo malamente sopporta, che non gli sia dato ciò, che disia, o, che non possa
quello, che brama. Et cosi quello ch'è di sua colpa, privato del lume della
mente istima d'altrui. Di quì si lamenta l'amante lascivo; di quì l'ingordo
d'oro; di quì il bramoso di beni; di quì il sitibondo di sangue, & molti
altri piangono quel male ch'essi hanno introdotto, & che, se fossero stati
prudenti, havrebbono potuto cacciar fuori.
Et dell'Herebo, & della Notte
figliuolo, come piace a Cicerone, & Chrisippo, il Morbo. Questo adunque può
esser mancamento di mente, & di corpo. Et si come nel corpo è causato dalla
discordanza degli humori, cosi nella mente dall'inconvenevolezza de gli animi,
& alhora meritamente di tali padri, cioè della cecità intrinseca, è
chiamato figliuolo. Et perche pare ch'egli tenda nella morte della sanità, come
piace a molti, e chiamato infermità.
Conviensi la vecchiezza, ultima
delle età, & vicina della morte, al solo colpo,
percioche l'anima rationale con perpetua verdezza, & fiore tende
all'eterno. Questa, come dice Tullio, fu figlia dell'Herebo, & della Notte.
Ilche facilmente si può concedere, essendo à lei conforme di complessione, cioè
fredda, & secca, & i figliuoli sono soliti esser simili a i padri.
Appresso l'Herebo è da poco, & tremante, dal quale punto non traligna la
Vecchiezza, essendo, come veggiamo, tremante, & tarda. Però, perche ha i
sensi corporali lenti, & offuscati, non inconvenevolmente le diedero la
Notte per madre. Nondimeno ha questo di notabile, che quanto a lei si tolgono
le forze, tanto più le cresce il consiglio. Là onde nasce, che sia riverita,
& i loro capelli canuti siano preposti alla robustezza dei giovani.
La pallidezza della faccia, &
di tutto il corpo, è un colore essangue di sangue, che manca, & appresso è
certissimo argomento d'infermo, & subito timore. Questa è figliuola della
Notte, & dell'Herebo, secondo, che vuole Chrisippo. Et ciò afferma,
attento, che tutto quello, che dalla luce del Sole non è veduto, o che l'animo
nodrisce con buona sanità, facilmente viene occupato dalla pallidezza. Onde,
essendo stato detto di sopra, che l'Herebo non vede il Sole nè sente il calore,
& per ciò dove queste cose avengono si raffredda il sangue, & per
contraria digestione si corrompe, di che per consequenza è necessario, che la
Pallidezza nasca, come a pieno si vede in quelli, che lungamente rinchiusi in
oscura prigione vengono in luce; overo, che per infermità corporale lassi si
levano; overo assaliti da subita paura impallidiscono.
Dell'Herebo, & della Notte la
Tenebra essere figliuola, senza testimonio d'altri si crede. Ma accioche la
madre, & la figliuola non paiano una cosa istessa, in questo sono
differenti. Nella notte si vede alcuna cosa lucente, come è la Luna, le Stelle,
& alle volte il fuoco. Nella Tenebra poi alcun lume giamai non appare,
& se apparerà in alcun loco, non si dirà più Tenebra.
Il Sonno, secondo alcuni, è una
forza d'intrinseco fuoco, & un riposo sparso per le membra afflitte, &
dalla fatica stanche. Secondo altri poi è una quiete degli animali con
l'intentione delle virtù naturali. Di questo scrive Ovidio in tal modo:
Sonno piacevolissimo riposo
D'ogni cosa creata, e insieme dolce
Quiete degli Dei, pace, e contento
De l'animo, che fugge ogni
pensiero;
Tu sei quel, ch'accarezzi i corpi
lassi
Da le dur'opre, & le fatiche
scacci.
Ma più a pieno Seneca Poeta nella
Tragedia d'Hercole Furioso descrive le commodità del sonno, dove dice;
Tu Sonno domitor sei d'ogni male
De l'animo riposo, & miglior
parte
De la vita mortal, volubil prole
De la gran madre Astrea, frate a la
dura
Languida morte, ch'a le cose vere
Mesci le false del futuro, e certo
De l'uno, & l'altro sei pessimo
auttore.
O padre delle cose, ò de la vita
Porto, e riposo de la luce, e
appresso
Compagno de la notte, ch'egualmente
Il Rè, e il famiglio a ritrovar pur
vieni;
Placido, e molle favorisce a i
lasso?
Et si come constringi il sesso
humano
Pauroso de la morte, ad imparare
Un morir lungo, hor grava me
legato.
Oltre di ciò gli descrive la
stanza assai atta al suo desio di voler dormire, dicendo:
E non lontan da le Cimerie grotte
Una spelonca di profonda entrata;
Il monte è cavo, dove sta del Sonno
Pigro la casa, & la sua stanza
eletta.
Ivi già mai, nè di mattina, ò sera
Co' raggi penetrar vi puote il
Sole,
Anzi nuvoli ogn'hor di nebbia
oscura
Escono da la terra; acciò la luce
Stia sempre in dubbio, che mai
spunti il giorno.
Ivi il gallo non sta, che col suo
canto
Dia segno dell'aurora, & meno
ancora
Cani vi sono, ch'abbaiando sempre
Rompano de la Notte i suoi riposi;
Nè la più astuta dei vegghianti
cani
Occa vi giace; nè il garrir di
Progne
Troppo ha bisogno d'addolcir i
petti.
Fera non v'è, non pecora, nè
armenti,
Nè s'ode ramo alcun dall'aria
scosso,
Nè lingua humana v'interrompe il
sonno.
V'habita solo il mutolo riposo;
Nondimeno da un sasso alto, e
profondo
D'acqua v'esce un ruscel limpido, e
chiaro,
Che con mormorio dolce ogn'hor
correndo
Per alcuni sassetti invita i sonni.
Nanzi l'entrata de la porta stanno
Papaveri fioriti, & herbe
ombrose
Di numero infinito, onde si fanno
Opre, ch'altrui giaccia col Sonno
avolto;
La notte le raccoglie, e ogn'hor le
sparge
Per l'opaco terreno, acciò la porta
Coi cardini alcun strepito non
faccia.
In quella casa non v'è guardia, ò
scorta,
Nè alcun, ch'inanzi de l'entrata
sieda.
Ma nel mezzo de l'antro un letto è
posto
Per l'ebano sublime, & è di
piume
Tutto coperto di color conforme;
Ivi con le sue membra in sonno
involte
Riposa il Dio di quel; cui stanno
intorno
I vani sogni, ch'imitar ci fanno
Diverse forme, & tanti sono,
quante
Spighe ha il raccolto, & quante
fronde tiene
Una gran selva, & quante arene
insieme
Sparge sui liti il mar con l'onde
altere.
Questo, ornato di cosi
riguardevole stanza, & ornamenti di letto, dice Tullio essere stato
figliuolo dell'Herebo, & della Notte. Dellaqual cosa è da veder la cagione,
& poi potremo vedere dei ministri, essendo assai chiaro il senso della
stanza descritta. Adunque il Sonno viene detto figliuolo dell'Herebo, &
della Notte perche nasce dai vapori humidi che si levano dallo stomaco, &
oppilano i membri, & dalla queta oscurità. Se poi vogliamo intendere del
mortal sonno, non più difficilmente s'allegherà la cagione di tali padri.
Percioche, perduto il favore della carità, & abbandonata la via di ragione,
è a bastanza chiarissimo esser cosa necessaria passare a mortal sonno. Hora mo
veggiamo di quelli, che gli stanno d'intorno, quali sono sogni di diverse
spetie; ma solamente cinque ne dimostra Macrobio sopra il Sogno di Scipione. La
prima di queste si chiama Fantasma, laquale mai non s'avicina à mortali eccetto
che lentamente, mentre il sonno s'incomincia assalire, et ch'istimamo anco
vegghiare. Questa apporta seco spaventevoli forme da vedere, & per lo più
dalla qualità naturale, & dalla grandezza differenti, come è noioso
contrasto e maravigliosa allegrezza, fortune valide, sonori venti, & altre
simili. Dice Macrobio il fuoco di questa esser anco Ematte, ò Efiate, overo
Efialte; ilquale la persuasione commune giudica assalire i riposanti, & col
suo peso aggravare i dormienti, che ciò sentono. La cagione di tal cosa
istimano molti essere lo stomaco aggravato dal soverchio cibo, & vino,
overo vuoto per lo digiuno lungo, &, che altramente mai non predomini
alcuno assalito da altri humori. Sono di quelli, che vi aggiungano le
sollecitudini, & dicano Virgilio haver inteso Didone haver veduto fantasme,
mentre lamentandosi con la sorella cosi le dice;
Quei sogni, che mi tengono sospesa,
Mi smarriscono ogn'hor.
Et quelli in sogni, per licenza
Poetica, ivi essere stati posti impropriamente per fantasme. La seconda spetie
si chiama in sogno causato dalla premeditatione, come pare, che voglia Tullio
nel libro della Republica, dicendo: Aviene spesse volte, ch'i pensieri, & i
nostri ragionamenti partoriscano alcuna cosa all'insogno. Ilche anco scrive
Ennio di Homero, del quale medesimamente vegghiando soleva pensare, &
parlare spessissime volte. Etc.. In questa specie di sonno, adunque, l'amante
vedrà la donzella da lui amata venire ne' suoi abbracciamenti, ò infelicissimo
pregherà quella, che fugge. Il nocchiero vedrà il mare tranquillo, & la
Nave, che solca quelle con le vele spiegate, e, che per fortuna si rompi. Cosi
anco il villano indarno s'allegrerà riguardando le biade ne' campi fiorite,
& piangerà le rovinate. L'ingordo tracannerà le tazze piene di vino. Il
digiuno desidererà i cibi, ò con il ventre vuoto divorerà gli apposti dinanzi a
lui. Delle considerationi, poi, alcuni vogliono Didone ferita d'amore haverne
veduto parte; percioche pare, che Virgilio dimostri la consideratione quando
dice;
Per l'animo d'Enea la gran virtutte
Va rivolgendo, e 'l chiaro honor
de' suoi,
Tien l'imagine sua fisa nel petto,
Et le parole; nè riposo dona.
Et quello, che va dietro.
Così, come dalla consideratione
pare, che prevenga l'insogno. Ma perche procedono dall'affettione, insieme col
sonno se ne vanno in fumo, come l'istesso Virgilio mostra, dove dice; Ma ci
mandano al Cielo i falsi insogni. La terza specie si chiama sogno, per lo quale
piace a Macrobio, che si sognino cose vere ma sotto coperta però, come per
auttorità di Mosè vide Giuseppe i mazzi di spighe de' suoi fratelli
ch'adoravano il suo. Et come dice Valerio, che fece Astiage, ilquale vide una
vite, & l'urina ch'usciva da le parti genitali d'una sua figlia. Ciò
vogliono ch'avegna stando l'huomo sobrio, come per lo più siamo facendosi il
giorno. La Quarta spetie poi si chiama Visione, laquale seco non apporta dubbio
alcuno; anzi quello, che ha a venire con chiara dimostratione manifesta, come
dormendo fece Arterio Ruffo Cavalier Romano, à cui parve la notte vedere che,
stando egli a riguardare il dono de gladiatori a Siracusa, che dalla mano
d'uno, che faceva reti fosse passato dall'uno all'altro lato. Il che raccontato
a molti la mattina, quel giorno istesso gl'intervenne. La quinta, & ultima
spetie di sogni fu dagli antichi detta oracolo, laqual cosa Macrobio vuole, che
sia quando dormendo veggiamo alcuno de' nostri parenti, & maggiori, overo
qualche huomo di gran riputatione, come un Pontefice overo esso Iddio, che si
dica ò ci riveli alcuna cosa; come avenne à Giuseppe, in sogno avisato
dall'angelo, che togliesse il fanciullo, & la madre di quello, & seco
se n'andasse in Egitto. Ma alcuni degli antichi, come a bastanza si può
considerare per le parole di Porfirio Filosofo, istimarono tutte le cose vedute
nella quiete esser vere, ma, si come per lo piu, non bene intese. Et per ciò
pare, che Porfirio habbia l'opinione contraria a molti altri; il che prima per
Homero poi per Virgilio è stato detto. Et perche ci è più famigliare il verso
di Virgilio, che quello d'Homero, lo addurremmo in mezzo. Cosi adunque dice il
Mantovano;
Del sonno son due porte; una de' quali
Si dice esser di corno; onde si
dona
Facile uscita a tutte l'ombre vere.
L'altra perfetta d'un'avorio bianco
Per cui sen vanno i falsi sogni al
Cielo.
Per questi versi vuole Porfirio,
che tutti i sogni siano veri, giudicando, che l'anima, addormentato il corpo,
come alquanto più libera si sforzi giungere alla sua divinità, & stando
involta nell'humanità drizzi tutta la potenza dell'intelletto, & vegga,
& discerna alcune cose; ma più siano quelle, che vegga, che quelle, che
discerna, ò siano risposte di lontano, ò da più spessa coperta occulte. Et di
quì nasce, che quello ch'ella discerne, par, che in tutto nebbia d'oscura
mortalità non se le oppona in tutto, viene detto haver uscita per la porta di
corno; essendo il corno di natura tale, che incavato, & assottigliato
habbia facile entrata, & come un corpo trasparente lascia ch'in sé si vegga
le cosi ivi riposte. Quello, che poi opponendovisi la nebbia della carne non si
può vedere, diciamo essere rinchiuso in avorio. Il cui osso naturalmente è cosi
sodo, & spesso che, facendolo sottile quanto si voglia, non lascia, che vi
si vegga le cose rinchiuse; lequali però chiama false Virgilio perche non sono
intese, come dice Porfirio. Hora ci resta veder de' suoi ministri; iquali,
benche siano molti, nondimeno non s'hanno i nomi di piu, che tre. Di cui il
primo vogliono, che si dica Morfeo, il che s'interpreta formatione over
simulacro. Il cui ufficio, per comandamento del Signore, è, che si trasformi
nella sembianza di tutti gli huomini, & imiti le parole, i costumi, le
voci, & gli idioma, come scrive Ovidio dicendo;
Ma tra mille suoi figli il padre
elegge
Morfeo imitator d'ogni sembianza
Tra tutti gli altri diligente, e
saggio.
Imita questi, i passi, il volto, e
gli occhi
Et de la voce il suon d'ogni
vivente.
Gli habiti insieme con l'usate
vesti
V'aggiunge, & le parole, &
questi è solo,
Che finge di chi vuol l'essere, e
il viso.
Il secondo è Itatone overo
Fabetora, il significato de' nomi de' quali non so io. Nondimeno l'ufficio di
costui in questo verso descrive Ovidio:
L'altro fiera diviene, uccello,
& serpe,
Et Ithatone è dagli dei chiamato,
Ma Fabetora il vulgo il noma, e
dice;
Il terzo poi lo chiamarono Panto,
cioè tutto. Il cui ufficio è fingere le cose insensibili, & ciò dimostra
Ovidio dove dice;
Ancho v'è Panto, che con arte
strana
Si cangia in terra, in sasso, in
onda, e trave,
Et ogn'altra insensibil cosa
apprende.
Vuole quasi, che per queste
parole, che le cose, che noi dormendo veggiamo, ci siano offerte dalla potenza
esteriore. Che ciò mò sia vero, altri il veggiano.
Secondo l'opinione di Tullio,
& di Crisippo, la Morte fu figliuola della Notte, & dell'Herebo;
laquale dimostra Aristotele essere l'ultima delle cose terribili. Da questa
tutti, non veramente incominciando dal giorno, che infelici entriamo nel mondo,
pian piano di maniera, che non se n'accorgiamo continuamente siamo pigliati,
& morendo noi ogni giorno, allhora volgarmente diciamo morirsi quando
lasciamo di morire. Volsero i precessori nostri, se bene noi infelici a mille
guise siamo rapiti, quest'essere ò violenta ò naturale. Violenta è quella, che
aviene con ferro, con fuoco ò per altra disgratia a colui, che fugge ò la
ricerca. La natural poi, secondo Macrobio sopra il Sogno di Scipione, è quella
per laquale il corpo non è lasciato dall'anima, ma l'anima è abbandonata dal
corpo. Chiamarono appresso gli antichi la morte de' vecchi matura ò
convenevole, & quella dei giovani non matura, & quella dei fanciulli
acerba. Appresso con molti altri nomi fu dimandata, come sarebbe Atropos,
Parca, Leto, Nece, & Fato. La fiera opra di costei cosi anco brevemente
descrive Statio:
Da le tenebre stigie uscita fuori
La Morte tocca il Cielo, & và
volando,
Et copre con un soffio ogni
guerriero,
Et quanti huomini tocca atterra, et
toglie
Nessuna cosa non commune elegge;
Ma quelle sol, che son degne di
vita.
Col veneno mortale i piu sublimi
D'anni, e valor fa morir ella
sempre.
Ma hora è tempo da scoprire
quelle poche cose, che di lei sotto velame sono nascoste. La chiamano figliuola
dell'Herebo perche dall'Herebo sia mandata, come nel prescritto verso dimostra
Statio, cioè:
Da le tenebre stigie fuor mandata.
Overo perch'ella manchi di
callidità, come fa l'Herebo. Detta è poi figliuola della Notte perche pare
horribile, & oscura. La morte è anco cosi chiamata, secondo Uguccione,
perche morde, overo dal morso del primo padre per lo quale moriamo, overo da
Marte, ch'è interfettor degli huomini, overo morte quasi amaror, perche sia amara, conciosia
che alcuna altra cosa dagli huomini è tenuta più amara della morte; da quelli
in fuori de' quali dice Giovanni Battista nell'Apocalipsi:
Beati
quelli, che muoiono nel Signore.
Questa, come pare, che voglia
Servio, è differente da Atropos, della cui s'è detto di sopra, in questo,
perche per questa violenta dobbiamo intendere la morte, come anco assai si può
conietturare dal verso secondo di sopra di Statio. Per Atropos poi; vuole, che
s'intenda la dispositione naturale delle cose. Et è detta Atropos perche non si
converte. La dissero poi per Antifrasi Parca, percioche non perdona a nessuno;
cosi anco Leto, essendo mestissima più d'ogn'altra cosa. Nece propriamente
istimo quella per laquale con acqua, con laccio, overo in altra guisa lo
spirito viene intercluso. Fato anco viene detta, accioche per divina providenza
sia mostrato prima, che tutti quei, che nascono denno morire.
Charonte nocchiero d'Acheronte
viene detto da Crisippo figliuolo dell'Herebo, & della Notte; del quale
cosi scrive Virgilio:
Sta l'horribil nocchier squallido,
e negro
Charonte guardian de l'acque e
fiumi;
A cui dal mento in giù canuta pende
Squallida barba, & ha di fiamme
gli occhi;
Dagli homeri di cui pende una veste
Tutta macchiata, et con un nodo
avolta.
Egli una scafa rugginosa, e nera
Con pertica guidando, & con la
vela
A l'altra riva porta l'alme
ingiuste;
Già di molti anni è pien, ma la
vecchiezza
A chi non dee morir, è verde, e
forte.
Charonte poi, ilquale Servio
rivolge in Crononte, è il tempo. Ma l'Herebo è da intender quì per l'interno
consiglio della divina mente, dal cui, & il tempo, & tutte l'altre cose
sono create, & cosi l'Herebo è padre di Charonte. Ma la Notte per questo
gli viene ascritta madre, conciosia che anzi il tempo creato non fu nessuna
luce sensibile, & però fu fatto nelle tenebre, & di tenebre pare, che
sia prodotto. Charonte poi è locato appresso gl'Inferi perche gli Dei superni
non hanno bisogno di tempo, si come n'habbiamo noi mortali, che da quelli siamo
inferiori. Che poi Charonte passi i corpi dall'una all'altra ripa d'Acheronte,
per questo è finto accioche intendiamo, che il tempo subito, che siamo nati; si
raccoglie nel suo grembo, & ci porta ad una opposta ripa, cioè ci conduce
alla Morte, laquale è contraria al nostro nascimento; dando questo l'essere ai
corpi, & quella togliendocelo. Oltre di ciò siamo guidati da Charon per lo
fiume Acheronte, che s'interpreta senza allegrezza, accioche consideriamo, che
dal tempo siamo tratti per vita frale, & di miserie piena. Appresso lo
chiama Virgilio vecchio ma composto di robusta, & verde vecchiaia, affine,
che conosciamo il tempo per gli anni non perder le forze; perche quell'istesso
può egli far hoggi, che puotè quando anco fu creato. Che il suo vestire sia poi
rozo, & vile è per voler dimostrare, che quelle cose, che si maneggiano
d'intorno le cose terrene sono vili, & abiette.
Il Giorno fu figliuolo
dell'Herebo, & della Notte; cosi tra le Nature de' Dei scrive Tullio.
Questi, facendolo Theodontio femina, vuole, che fosse dato per moglie all'Aere,
ò vogliamo dire alla sfera del Foco suo fratello. Che fosse poi figliuola
dell'Herebo, & della Notte, da alcuni s'allega tal ragione. Perche
togliendo tutto l'Herebo in luogo d'una parte, volsero, che fosse pigliato per
l'universo corpo della terra. Dalla cui estremità, chiamata da' Greci orizonte,
non è dubbio, che dando luogo la notte non si levi il Sole, & il Giorno non
si faccia, & cosi l'Herebo haver prodotto dalla Notte il Giorno. Che poi
fosse congiunto in matrimonio con l'Ethere lo dicono per questo, perche
pigliano l'Ethere per lo foco, che non può mancare di chiarezza, & perciò
quando il Giorno è chiaro non vogliono dimostrare alcun'altra cosa, che la
chiarezza al foco congiunta. Questo Giorno poi dagli antichi (poscia, che fu
detta la sera, & fatta la mattina) fu designato di tale grandezza, che quel
tempo, che passa dal levar del Sole, & circonda tutto il mondo, fino a
tanto, che ritorni onde s'era levato, insieme con quella notte, che vi
s'include sia detto un Giorno, & questo è naturale, percioche è diviso in
ventiquattro parti eguali, & queste le chiamarono hore. Indi, si come a
loro parve, vi fu sopragiunto il Giorno arteficiale, ilquale partito in Giorno,
& Notte, a ciascuna delle parti, cioè al dì, & alla notte concessero
dodici hore, benche diseguali, & quello chiamarono artificiale
dall'artificio di chi se l'imaginò; del quale ne' suoi giudici per lo più si
serveno gli Astrologhi. Indi i medici trovarono il dì Cretico, & di quello
usano d'intorno l'osservationi dell'infermità. Il principio poi dei giorni
naturali egualmente non si piglia da tutte le nationi. Perche i Romani, come
dice Marco Varrone, volsero ch'incominciasse dalla mezza Notte, & havesse
fine al mezzo dell'altra, che segue; laqual regola fin'hora servano gli
Italiani, & specialmente nelle cause giudiciali. Gli Atheniesi, già
incominciando il giorno dal tramontar del Sole, lo finivano all'occaso del
giorno a venire. I Babilonici poi facevano dal levar del Sole quello, che gli
Attici facevano dal tramontare. Quei dell'Umbria, &, che sono Toscani gli
davano principio dal mezogiorno, & lo terminavano al mezogiorno del
seguente dì; laquale usanza fin hoggidì da gli Astrologhi viene osservata.
Oltre di questo, il giorno naturale è anco distinto secondo diverse sue qualità
con varij nomi. Percioche, come afferma Macrobio nei Saturnali, incominciando
dal principio del giorno de' Romani, chiama il primo tempo del giorno
inchinatione di meza notte, attento, che la notte nel principio del giorno
incominci declinare. Indi chiamarsi dal canto del Gallo, Gallicinio. Il terzo
conticinio, perche tutte le cose adormentate paiono sepolte. Il quarto
Diluculo, conciosia che pare, che la luce del giorno incominci dimostrarsi.
Conseguentemente il quinto tempo, levandosi già il Sole, volsero dir mattina, ò
che dalle mani l'incominciamento della luce sia paruto uscire, ò dall'augurio
del buon nome; attento, che i Lanubini interpretano mattina per bene. Il sesto
poi chiamarono Meridio, cioè mezzogiorno, il che noi diciamo Meridie. Da
quest'hora in poi il tempo, che s'estende verso la notte, ch'è il settimo,
dicesi Occidente, perche pare, che cada. L'ottavo poi è chiamato ultima
tempesta percioche sia l'ultimo tempo del giorno, come nelle dodici tavole si
contiene; l'ultima tempesta sarà il montar del Sole. Indi il nono tempo si
chiama Hespero; il che è tratto da' Greci, perche quelli chiamano Hespero da
quella stella Hespero, che appare nel tramontar del Sole. Il decimo tempo poi,
ch'è il principio della notte, si dice prima face, percioche alhora le stelle
incominciano apparire, overo, come piace ad altri, perche alhora cessando la
luce incominciamo accendere i lumi, per vincere con quelli le tenebre della
notte. L'undecimo è chiamato notte concubia, percioche in quell'hora dopo
l'essersi alquanto vegghiato si va a riposare. Il duodecimo tempo del giorno,
ch'è il terzo della notte, vien detto intempesto, conciosia che non pare
commodo a alcuna operatione; il cui fine è l'inclinatione della meza notte
circa il principio c'habbiamo detto. Appresso, havendo la diligenza humana
(havuto rispetto al settennario numero, ilquale gli antichi per certe cagioni
tennero perfetto) disposto tutto il tempo de' giorni far il suo corso per
settimane, & quei giorni della settimana con diversi nomi chiamare, alcuni
degli huomini furono avezzi ricercare le cause di tali nomi. Lequali istimo
queste; essendone cinque appresso noi nomati da i Pianeti, il sesto, dagli
Hebrei detto sabato, da' Christiani poi non è stato cangiato, percioche dicano
Latinamente voler dire riposo, affine, che si vegga che, havendo creato Iddio
in sei giorni tutte le cose, nel settimo volse riposare. Ma la Domenica, ch'a
noi Christiani è il settimo giorno, cosi è chiamata perche in tal giorno
Christo figliuolo d'Iddio non solamente riposò da tutte le sue fatiche, ma
vittorioso risuscitò da morte, & cosi quella i famosi padri dal Signor
Nostro nomarono Dominica. Altri vogliono, che sia cosi detta dal Sole,
perch'egli è prencipe de' Pianeti, & indi sia detto Signore, & perche
habbia il prencipato dell'hora prima dell'istesso giorno, per ciò quella essere
chiamata Domenica. Ma essendo molto diverso l'ordine di pianeti di quello, che
sia tenuto de nomi de' Dei, è da sapere secondo l'ordine dei pianeti
successivamente a ciascun'hora del giorno essere data la signoria, & da
quello a cui tocca il dominio della prima hora del dì, da lui quel giorno
prende il nome; come sarebbe a dire, se tu attribuirai a Venere la seconda hora
del giorno di Dominica, laquale subito è sottoposta al Sole, & a Mercurio
la terza, ch'è sottoposto a Venere, & alla Luna la quarta, ch'è sottoposta
a Mercurio, e la quinta a Saturno, a cui è da rivolgere l'ordine, quando
mancherà nella Luna, la sesta à Giove, & cosi di tutte le altri
ventiquattro hore del dì Dominicale, sotto il nome overo dominio di Mercurio si
trova la vigesimaquarta hora, & la vigesimaquinta, che è la prima del
giorno seguente, sotto il nome overo Imperio della Luna, & però da quella
viene nomato il secondo dì della settimana, overo più tosto il primo, accioche
il dì della Dominica sia il settimo della settimana, & il giorno di riposo.
Dalla cui prima hora del giorno del Lunedì, se con l'istesso modo computerai
xxiiij hore, troverai la vigesimaquarta hora di lui fermata sotto l'imperio di
Giove, & la vigesimaquinta sotto il poter di Marte, dal quale anco esso
secondo giorno di Marte ha havuto nome, perche all'hora sua prima Signoreggia
Marte. Et cosi successivamente di tutti gli altri, fino a tanto, che tu
giungerai all'ultima del sabbato; laquale soggiace a Marte, & segue adietro
la prima della Dominica ascritta al Sole; dal cui il giorno, come habbiamo
detto, è stato chiamato. Il dì natural poi, essendo terminato col giorno, &
con la notte, è nomato solamente da tutto il giorno come da più degna parte,
& dì dagli Dei chiamato, percioche Dijos Grecamente s'interpreta Dio.
Attento, che si come gli Dei, secondo l'opinione degli antichi, sono favorevoli
a mortali, cosi i dì sono prosperi, & da essi Dei anco per tal causa sono
derivati.
Hora, che usciti fuori di
sotterranee cave, con l'aiuto d'Iddio, siamo giunti alla luce del giorno,
restava a noi, accioche ugualmente havessimo trattato di tutti i figliuoli
dell'Herebo, che anco si fosse detto del Foco, ilquale vogliono essere stato
figlio dell'istesso, & appresso havessimo descritto quello, che gli antichi
ne sentano. Ma perche ogni suo figliuolo maschio, eccetto questo, è sterile,
& di costui non è picciola la discendenza, & assai in lungo si è steso
il volume, m'è paruto più honesto serbarlo nel secondo libro, & al primo
dar fine.
All'Illustre suo Sig. il Conte Collatino di Collalto
Siamo con la gratia, & favore del nostro vero, & onnipotente Iddio usciti fuori delle Caverne, dove habbiamo tratto quasi tutta la prole dell'Herebo; & fino dove è stato conceduto all'ingegno, tolti via i figmenti, ignuda nel precedente volume l'habbiamo posta inanzi ai Lettori.
Et veramente, non senza gran
fatica tra gli Stigi fumi, & i nuvoli della mia navicella quà & là
pericolante, ciò ho potuto fare. Ma poscia che s'è venuto in più aperto mondo,
forse con minor dubbio avanzeremo i diversi viaggi, & gli strani Euripidi,
l'onde de quali, che s'alzano fino al Cielo, s'io non m'inganno veggio. Perche
tra gli altri il difficile Ethere, ò vogliamo Aere, ò più propriamente dir
foco, tratto dalle viscere dell'Herebo in altezza, primo col suo impeto ci
occorre, non solamente fecondo per la gran prole, ma anco molto riguardevole.
Della cui, se a bastanza drittamente riguardo; il primo Giove n'è uno, il quale
non meno è risplendente per la gloria di cosi famoso nome, che per la grande
successione; la cui, s'io voglio descrivere, mi bisogna, cacciato dal flusso
del mare, solcare per tutto il lito d'Egitto, di Soria & il tuo Reame di
Cipro. La quale, essendo tanto alla grandezza tua, ò famosissimo Re palese
& chiara, quanto è più lontano il navigare, ti prego, per l'eccelso honore
del tuo nome, che patientemente tu sopporti i miei errori, & a usanza di
Principe pio, più tosto commandi, che siano corretti, che lasciare, che siano
stracciati dai denti degli invidiosi. Percioche io con la vela spiegata dalle
foci dell'Orco piglio viaggio, pregando colui, che (pericolando nel mare di
Genesareth i discepoli) commandò a i venti, & l'onde, che drizzi il mio
camino a buon porto.
L'Ethere, ò vogliamo dir Aere, ò
Fuoco, si come piace a Tullio nelle Nature de' Dei fu figliuolo della Notte
& dell'Herebo. Il quale, come, che alle volte propriamente sia tolto per lo
Cielo, nondimeno da molti pare, che sia istimato l'elemento del foco. Cosi
testimonia Uguccione; cosi pare, voglia che Ovidio nel principio del suo
maggior volume, dove dice;
Ciò sopra pose il liquid'Aer, che
manca
Di peso, e in se non ha faccia
terrena.
Et quello, che va dietro. Alcuni tennero questo essere la prima causa di tutte le cose, come di sopra è stato detto; & similmente Pronapide dimostra con la fittione essere figliuolo di Demogorgone, mentre disse ch'il Chaos infiammato mandò fuori sospiri. Ma m'è paruto credere a Cicerone. Il quale Foco, come, che molti il facciano sterile, egli nondimeno scrive, che fu fecondo, & che generò Giove primo & Celio; da' quali venne & discese poi tutta la gran prole de' Dei.
Dice Theodontio, che Giove primo
fu figliuolo dell'Ethere & del Giorno; del qual Giove veramente, come, che
sia stato ornato di cosi chiaro nome; non mi ricordo haver letto alcuna cosa,
& poche intese, che siano lodevoli. Raccontava Leontio, huomo Greco &
di tali narrationi copiosissimo, costui pria c'havesse cosi gran nome essere
stato chiamato Lisania, huomo d'Arcadia & veramente nobile. Il quale
d'Arcadia se n'andò ad Athene, & essendo di grand'ingegno, & veggendo
in quel rozzo secolo gli Atheniesi vivere rozzamente & quasi da fiere;
prima d'ogn'altra cosa ordinò alcune leggi, & con publiche institutioni
insegnò il vivere, & fu il primo ch'a loro, i quali havevano le donne come
communi, mostrò il celebrare de matrimoni, & havendoli già ridotto ai
costumi humani gl'insegnò adorar i Dei; ordinò a quelli altari, tempi &
sacerdoti, & appresso gli dimostrò molt'altre cose utili, le quali
riguardando & molto lodando i selvaggi Atheniesi, istimandolo Iddio lo
chiamarono Giove & lo fecero suo Re. Queste cose so io di costui. Hora mo',
poscia, che haveremo veduto perche lo finsero figliuolo dell'Ethere & del
Giorno, & perche appresso gentili fu riverito tanto il nome di Giove,
vedremmo poi il suo significato, & cercheremo di sapere quale potesse
essere la cagione di tal nome & di tal deità. Il dicono adunque figliuolo
dell'Ethere ò per nobilitarlo con cosi generoso padre, percioche tenevano la
prima cagione delle cose il Fuoco, & cosi non gli potevano dar più nobil padre,
overo perche l'istimarono huomo celeste, overo un Dio venuto dal Cielo, per la
ragione della profondità dell'ingegno, ò perche videro in lui una natura di
fuoco, che sempre a guisa di fiamma tende in alto; come puossi a lui attribuire
quel verso di Virgilio;
Vigor di fuoco, e origine celeste.
Che sia poi detto figliuolo del giorno, credo ciò essere detto perche, si ben'alcuno nasce atto a gran cose, nondimeno subito ch'è nato non può oprar quello al cui fine è prodotto; bisogna, che di giorno in giorno se gli accrescano le forze, & l'animo si faccia maggiore nel fervore dell'essecutioni di quelle; & poi, ch'egli le opri, le cui opre, perche nel giorno sono vedute & conosciute, dal Giorno pare prodotto con nuovo parto; come tra tali si può dire quello, che scrive Valerio di Demosthene: per la qual cosa la madre produsse un Demosthene, & la industria ne ha partorito un altro. Cosi un Lisania ha partorito la madre, & un altro il giorno, testimonio dell'opre. Appresso questo Lisania fu chiamato dagli Atheniesi col nome di Giove, per inanzi già mai a alcuno altro de' mortali non conceduto; nè anco ad esso Iddio fin'hora da' gentili era stato imposto, nè a pieno si sa onde sia stato tolto dagl'impositori. Nondimeno io penso quello essere stato causa di tal nome, che anco troviamo essere avenuto di molti altri Pianeti, cioè, che gli fosse dato il nome di Giove dalle operationi conformi di tal huomo. Percioche dice Albumasare nel suo maggior Introduttorio il pianeta di Giove per natura esser calido, & humido, aereo, temperato, modesto, honorato, molto lodevole, osservator di patienzia, nei pericoli dopo la patienzia ardito, liberale, clemente, aveduto, vero amatore, avido di dignità, fedele, parlatore, amico de' buoni, inimico dei cattivi, amator di Principi & maggiori; & molto altre cose scrive di lui, nelle quali aggiunge quello significare natural anima, vita, bellezza, huomini saggi, Dottori di leggi, giusti Giudici, riverenza de' Dei, religione, vittoria, regno, ricchezza, nobiltà, allegrezza & altre simili. Le quali considerate, & poi contrapesati i costumi di quest'huomo, di maniera conosceremo quello convenirsi con Giove, che non inconvenevolmente diremo essere chiamato Giove, & crederemo questa conformità & convenevolezza essere stata cagione di tanto nome. Ma non leggiamo, che questo, poscia, che fu conceduto dagli antichi al Pianeta & a Lisania, non fosse anco da' più moderni attribuito ad alcuni altri, come a Giove secondo figliuolo di Cielo, il quale fu huomo Arcade & Re d'Atheniesi. Et appresso a Giove terzo, huomo di Creta & figliuolo di Saturno; cosi anco a Pericle Prencipe Atheniese, il quale molti chiamarono Giove Olimpio. Oltre di ciò i Poeti ne' suoi figmenti inclusero il fuoco elemento, & alle volte il fuoco & l'aere, sotto il nome di Giove. Et tanto s'è inalzato, che da' più prudenti è stato ascritto al sommo & vero Iddio; & ciò non immeritamente. Perche a lui solo si conviene cosi degno nome. Ilche non rifiuterà il Christiano, considerata la significatione del nome, se ciò non fosse stato inventione de Gentili. Imperoche vogliono alcuni huomini saggi, che Giove sia detto da giovare, & suoni l'istesso, che padre giovante; la qual cosa al solo vero Iddio si conviene. Egli veramente è il vero Padre, & fu da eterno & sarà in sempiterno, il che di nessun altro non si può dire. Similmente aiuta tutti & non nuoce a alcuno; & tanto è difensore che, se non c'è il suo aiuto, tutte le cose andrebbono in ruina in subito; & ciò sarebbe necessario. Appresso, questo nome Giove in greco viene detto Zeph, che Latinamente suona vita. Et chi alle cose & a tutte le creature è vita, se non Iddio? Egli senza dubbio di sé stesso parlando, lo dice: Io sono la strada, la verità, & la vita. Et veramente cosi è. A lui, per lui, & in lui viveno tutte le cose. Fuori di lui, eccetto la morte & le tenebre non v'è altro. Costui, se bene gli antichi Romani drittamente non l'honorarono, chiamarono nondimeno Giove ottimo massimo, essendo sforzati dimostrarlo per queste poche parole. Percioche per grandezza & potenza trapassò gli altri Dei, & ch'egli solo sia il sommo bene, & che da lui dipenda la vita & l'aiuto a tutti. Oltre ciò, molto altre cose potrei descrivere qui, che i Poeti hanno attribuito a Giove, com'è l'armigero uccello, la quercia, le guerre, la moglie Giunone, & altre tali. Ma perche queste paiono drittamente convenirsi a quello, che si favoleggia di Giove Cretese, ho giudicato bene essere da lasciarle a lui. Ma non si ha chiara certezza, famosissimo Re, se gli Atheniesi havessero costui per Dio, ò pure se lo facessero. Perche se lo fecero, egli è da sapere gli antichi essere stati avezzi, per accrescere la nobiltà dell'origine, con certe sue vane cerimonie mettere nel numero de' Dei gli edificatori delle loro Città, & con sacrifici & tempi adorarli. Cosi anco facevano l'istesso verso i padri & parenti dei suoi Prencipi, & medesimamente verso essi Prencipi, quando da quelli havevano ricevuto qualche beneficio, affine di mostrarsigli grati, & per dar animo agli altri ad oprar bene, per disio di cosi honorata gloria. Appresso, scriveno gli antichi essere stati molti i figliuoli di Giove, de' quali istimo veramente alcuni essere stati figliuoli di Giove; ma di qual Giove, ò primo ò secondo ò terzo, d'alcuni non se n'ha certezza. Cosi anco molti altri per la degna preminenza della virtù & per inalzar la gloria del sangue, similmente dai Theologhi sono attribuiti a Giove de' Gentili; i quali io lascierò a quel Giove, percioche più paiono moderni.
Minerva, secondo quasi il publico
grido di versi di tutti i Poeti, fu figliuola di Giove; del cui nascimento si
narra tal favola. Che veggendo Giove Giunone sua moglie non gli far figliuoli,
per non restare in tutto senza figliuoli, percosso il suo cervello mandò fuori
Minerva armata. Il che pare essere confermato da Lucano, dicendo;
Pallade ancor non poco ama costei.
Dicono Giove al nascer di Minerva
La qual'è nata dal Paterno capo,
Fatto haver fiammeggiar l'aurate
pioggie.
Et nella natività sua dice
Claudiano,
Appresso dice Servio costei
essere nata nella quinta Luna, si come gli altri, che sono stati sterili. Oltre
ciò, vogliono essere stata sua inventione la lana & il filarla, la quale
prima non era conosciuta. Et cosi anco il tessere. Lao onde piace ad Ovidio
costei haver havuto contentione con Aragne Colofonia sopra la testura, &
essere restata vincitrice. Cosi anco con Nettuno sopra il dar nome alla città
d'Athene. Appresso, alcuni la fingono armata & sovrastante della Rocca
d'Athene. Indi a quella Tito Livio attribuisce il ritrovar de' numeri & le
loro figure, attento che per inanzi gli antichi in vece di numeri usavano
segni. Recitasi anco di costei un'altra favola. Che havendo ella fatto
presuposto di serbare perpetua la sua castità, & Vulcano essendosi inamorato
di lei, egli la dimandò per sposa al padre suo Giove, per premio delle saette
da lui a quelle fatte con le qual fulminò i Giganti. Là onde Giove, consapevole
del voto della figliuola, gli la concesse con tal patto, ch'egli vedesse se la
poteva conquistare & ridurre a far le voglie sue. Dall'altro lato diede
ampia licenza a Minerva che, s'ella non se ne contentava, si potesse difendere
con tutte le forze a suo maggior potere. Così, mentre Vulcano faceva ogn'opra
per metterla di sotto, & ella in contrario gli facesse resistenza, avenne,
che Vulcano si corruppe, & di quel seme ch'in terra cadè nacque un
fanciullo; & ella fu lasciata in pace. Dicono anco quella andar vestita con
tre vesti, & gli le consacrarono un elmo in cima un'asta dipinto; & in
sua difesa, levatale la Cornice, le posero la Civetta. Indi chiamarono con
molti nomi, come Minerva, Pallade, Athena & Tritonia. Spiegate queste cose,
l'ordine incominciato voleva che fosse scoperto quello, che gli antichi
havessero potuto comprendere sotto i figmenti. Ma qui è da considerare, che
tutti quanti i figmenti giù locati non s'appartengono a questa Minerva.
Veramente quella del nome istesso ha intricato l'orecchie delle genti, non si
curando di ciò i Poeti. Percioche, come afferma Leontio, le arme non
s'appartengono a questa, nè il contrasto di Nettuno; ma più tosto sono di
quella Minerva, che fu figliuola del secondo Giove. Et però lasciate quelle
scovriremo l'altre, & v'aggiungeremo alcune cose historice. Vogliono
adunque Minerva, cioè la Sapienza, essere uscita dal cervello di Giove, che
tanto è come discesa da Iddio. Percioche i Fisici vogliono tutta la virtù
intelletuale essere locata nel cervello, come in una fortezza del corpo. Di qui
fingono Minerva, cioè la sapienza, nata dal cervello d'Iddio, affine
ch'intendiamo ogni intelligenza & ogni sapienza essere infusa dal profondo
segreto della sapienza divina; la quale Giunone, cioè la terra, in quanto a
questo sterile non poteva concedere nè può dare. Perche, col testimonio della
sacra scrittura, ogni sapienza viene dal Signor Iddio. Et
ella istessa medesimamente ivi dice: Io sono uscita dalla bocca
dell'Altissimo. Et cosi veramente con industria finsero
quella non come noi siamo generati, ma dal cervello di Giove essere nata, per
dimostrare la singolar sua nobiltà lontana da ogni terrena sporcitie &
feccia. Indi a lei si attribuisce la virginità perpetua & poi la sterilità,
accioche per questo si conosca, che la Sapienza mai non si macchia per alcun
appetito nè atto delle cose mortali; anzi sempre è pura, lucida, intiera &
perfetta. Et in quanto alle cose temporali è sterile, essendo i frutti della
Sapienza eterni. Ciò, che sentirono poi del suo contrasto, egli si scriverà più
di sotto, dove si tratterà d'Erittonio & di questo contrasto. Si cuopre con
una veste a tre falde, accioche siano intese le parole de' saggi, &
specialmente di quei, che fingono sotto coperta di sensi diversi. A lei
appresso è consacrato un arbore dipinto, affine, che conosciamo i parlari dei
savi essere ornati, fioriti, eleganti & molto limati. La Nottola poi, a lei
dedicata invece della Cornice, è per dimostrare il savio con l'avedimento
conoscere le cose poste in oscuro, si come anco la Nottola vede nelle tenebre;
onde cacciate via le ciancie & il garrire, dia opra in haver riguardo a
tempo & luoghi. Minerva poi è derivata, come dice Alberico, da Min, che
significa non, & Erva, che vuol dir mortale; onde nasce la sapienza essere
immortale. Pallide & Athene è nome convenevole ad altre Minerve; di che
dove d'elle si tratterà, esporremmo il tutto. Ma Tritonia è detta da un loco ò
vero da un laco, il quale in Africa è detto Tritone, là dove ella al primo
tratto comparve. Esposte adunque le fittioni in questo modo, egli è da passare
all'historia, & sapere, che Minerva fu una certa donzella della cui origine
non s'ha cognitione; la quale essendo di grand'ingegno, come dice Eusebio,
regnando Foroneo in Grecia, prima appresso Titonia palude over lagho d'Africa
comparve, non sapendo alcuno da quali contrade ella si fosse venuta. Dice nondimeno
Pomponio Mela nella sua Cosmografia, che gli habitanti istimarono quella essere
ivi nata; & le favole ne fanno fede, perche quel giorno natalitio, che
pensavano essere stato il suo lo celebravano con giuochi di donzelle, che tra
loro contrastavano. Questa adunque havendo trovato il filar della lana, la
testura & molte altre cose artificiose, fu tenuta per famosa Dea. Et perche
tutte le sue inventioni parevano derivare da sottile ingegno & da sapienza,
fu aggiunto loco alla favola ch'ella fosse nata dal cervello di Giove. Di
costei dice Agostino nel libro della Città d'Iddio che, regnando Ogigi in
Attica, ella comparse in habito virginale appresso il laco Tritone, si come è
stato detto; & essendo inventrice di molte opre, tanto più facilmente fu
tenuta Dea quanto meno la di lei origine fu incognita. Nè da Eusebio è
differente Agostino nel tempo, percioche l'istesso Eusebio dimostra Foroneo
& Ogigi essere stati ad un medesimo tempo. Et perciò io ho ascritto costei
figliuola al primo Giove: attento, che più a lei parmi convenirsi per lo tempo,
che a alcun altro.
Eusebio nel libro dei Tempi dice,
che Apis, il quale fu poi Re d' Argivi, fu figliuolo di Giove & di Niobe
figliuola di Foroneo; con il cui istesso Eusebio scrive Giove prima, che con
nessun altro essersi congiunto. Et cosi fu il primo Giove, attento, che per la
distanza del tempo molto più inferiori siano gli altri. Ma Leontio disse costui
essere stato figliuolo di Foroneo & di Niobe, sorella & moglie sua,
& a lui essere successo herede nel reame di Sicioni; ma poi dagli Egittij
essere stato fatto Iddio & figliuolo di Giove. Di questo Api si narrano
molte cose; percioche, come rifferiscono alcuni, havendo alquanto tempo
signoreggiato dopo la morte di Foroneo agli Argivi, per disio di gloria &
ingordigia di maggior reame passò in Egitto; & ottenuto quel regno, poscia,
che hebbe insegnato molte cose a quegli huomini rozzi fu incominciato ad essere
tenuto per Dio, havendo già tolto l'Iside per moglie. Ma Eusebio scrive ch'egli
fu Re di Sicioni, & dove da quello egli è stato detto. Del tempo suo poi,
diversa è l'opinione de' scrittori degli annali. Perche alcuni dicono al tempo
d'Abraam la Grecia da lui essere stata detta Apia; altri poi vogliono che, già
nato Giacob, appresso gli Egittij essere stato tenuto Iddio. Ma Beda in quel
libro ch'egli scrisse de' Tempi dice nel tempo di Giacob da Api essere stata
edificata Menfi. Oltre di ciò, Eusebio parla secondo altri egli essere stato Re
degli Argivi & haver regnato cento anni dopo Giacob, & ivi dice che,
havendo Api creato governatore dell'Acaia Egialeo Re & suo fratello, se
n'andò in Egitto, & edificò la città di Menfi. Ch'egli poi se n'andasse in
Egitto & togliesse per moglie l'Iside, a bastanza da tutti è creduto. Ma si
come del suo tempo si dubita, cosi anco della sua morte si dicono diverse cose.
Perche alcuni vogliono lui essere morto appresso gli Egittij & sepolto; del
quale nel libro della Città d'Iddio cosi dice Agostino; Il Re d'Argivi Apis, essendo
navigato in Egitto & ivi morto, fu creato Sarapis, tra tutti gli altri Dei
degli Egittij maggiore. Del nome suo poi: perche doppo morte fosse detto più
tosto Serapis, che Apis, Varrone ne renda facilissima ragione. Perche l'arca
nella quale si mette il morto, chiamata da tutti sepoltura, in greco si dice
Soron; & ivi haveano incominciato honorare il sepolto, pria, che gli fosse
il tempio edificato. Onde Soron & Apis, prima Sorapis; indi
cangiata una lettera come si suol fare, fu poi detto Serapis. Altri poi dissero
lui essere stato morto dal fratello Tifeo & a brano a brano stracciato,
& lungamente cercato dalla moglie Iside, & ultimamente trovato, &
le sue membra raccolte in un panieri; onde poi fu rivolto in religione, nei
sacrifici cioè nei februi intravenirgli il crivello. Ma la Iside poi portò le
membra raccolte oltre la palude Stigia, ch'è in Africa in una Isola molto
lontana, & ivi le ripose. Et vogliono, quelli, che ciò istimano vero,
essere nato dal lungo ricercare dell'Iside quello, che lungamente fecero gli
Egitii, i quali non prima restarono di cercar lei che, trovato un toro bianco,
& a quello ritrovato usando vezzi, lo chiamarono Osiri. Et perche ciò si
faceva ogni anno, disse Iuvenale.
Et il mai non cercato a pieno
Osiri.
Ma andasse egli quando si volesse
in Egitto, ò morisse come si volesse, ò fosse sepolto ad ogni via, che più
piaccia, fu in tanta riverenza Apis appresso gli Egittij, che da loro si venne
a tal conditione (affine, che la sua divinità non potesse essere machiata da
alcuna ombra l'humanità), che publicamente fu ordinato, che se alcuno havesse
ardire chiamar quello essere stato huomo, subito gli fosse tagliato il capo. Et
per ciò in ogni tempio la sua imagine stava con un dito posto inanzi alla
bocca, dimostrando il silentio. Appresso, dice Rabano, che i pazzi Giudei
nell'heremo adorarono in loco d'Iddio il capo di questo toro, il quale gli
Egittij istimarano Serapin. Oltre di ciò, dimostra Macrobio nel libro dei
Saturnali questo Apis con gran riverenza appresso Alessandria d'Egitto essere
adorato, affermando ch'eglino fanno quello honore al Sole. Et cosi pare, che
s'istimi Apis essere il Sole.
Scrive Tullio nelle nature degli
Dei il primo Sole essere stato figliuolo del primo Giove; nondimeno non dice di
qual madre nascesse. Sono di quelli, che vogliono costui essere stato Apis,
conciosia, che in luogo del Sole da gli Egittii, si come di sopra habbiamo
detto, viene adorato. Ma io, che egli sia stato altramente non mi ricordo
haverlo ritrovato; tuttavia sono certo, che fu huomo, & cosi fu differente
da Apis. Egli è da credere anco, che fosse un huomo notabile, famoso, &
ornato d'animo grande & reale, & in quella guisa, che di sopra è stato
detto di Giove essere stato ornato di cosi famoso nome.
La prima Diana fu figlia del primo Giove, & Proserpina, come nel medesimo libro di sopra afferma l'istesso Tullio. Istimo anch'io costei essere stata vera figliuola di questo Giove, & non putativa. Et essendo quel nome assai usato dalle donne, è anco possibile, che fosse proprio, & non ritrovato. Ma quale ella si fosse; non è quella, ch'i Poeti fanno cosi famosa di perpetua virginità, leggendosi costei di Mercurio figliuolo di Libero, & di Proserpina haver conceputo il pennato Cupido.
Afferma Leontio Mercurio essere
stato figliuolo del primo Giove & di Cilene ninfa d'Arcadia. Scriveno i
Poeti costui essere stato messaggiero de' Dei & loro interprete. Onde con
diversi ornamenti lo dipingono, accioche per quelli s'intenda la varietà dei
suoi affari. Scrive di lui Virgilio in questa forma;
Prima si lega i suoi talari, ai
piedi;
I quali d'oro sopra il mar con
l'ali
In alto, over sopra la terra
insieme
Velocemente il portano liggieri.
Piglia la verga poi, con la
qual'egli
Et altre qui nel mesto Inferno
manda;
Con quella apporta i sonni; e i
lumi insieme
Con morte segna; e appresso e' venti
caccia
Con furia; e ferma i nuvoli
turbati.
Et quello, che segue.
Appresso Horatio di lui cosi
scrive nelle Ode.
O Mercurio d'Athlante alto nipote.,
Che con la voce de l'ornato canto
De la tua pura cetra, i fieri volti
Degli huomini novelli pur formasti.
Oltre di ciò Statio gli aggiunge
il capello, dicendo;
Et ventilla le chiome; & col
cappello
Tempra le stelle.
Nondimeno, benche leggiamo più huomini essere stati Mercurij, tuttavia riguardando quelle cose, che poco di sopra di lui scriveno i Poeti, come, che si possano applicare ad un huomo, più tosto presumeremo, che siano scritte sopra il Mercurio pianetta; & maggiormente se riguardaremo qualmente con quelle cose, che sono scritte dagli Astrologhi si confacciano le dette dai Poeti. Perche Albumosaro, huomo tra gli antichi di grandissima auttorità, afferma Mercurio essere di cosi pieghevole natura, che incontanente s'appiglia a quella ch'egli s'accosta converte la natura dell'huomo, che ne partecipa; & questo aviene per lo temperamento della sua sicità & frigidità. Ma l'honorato Andalone, mio precettore, di complessione lo chiama calido & secco, & che significa dilettatione di concubine, chiarezza & oracoli di Poeti, eloquenza & memoria d'historie, credenza, bellezza, bontà, disciplina, sottigliezza d'ingegno, scienza di cose future, Aritmetica, Geometria & Astrologia. Et appresso, haver in sé la descrittione di tutte le cose, cosi celesti come terrestri. Oltre di ciò, auguri, dolcezza di ragionamenti, velocità & disio di signori. Et quello lode, fama; & appresso tonsura di chioma, scrittori, libri, bugie, testimonio falso, considerationi di cose rimotte, poca allegrezza, ruina della sostanza, negotii, compride, furti, liti, astutie, profondità di consiglio, dolcezza di versi & canzoni, colorationi diverse, ubidienza, pace, concordia, pietà, povertà, conservatione d'amicitia, artefici manuali, & molte altre cose si dinotano. Et come afferma esso Andalone, con i maschi è maschio & con le femine feminile. Per le quai cose facilmente possiamo comprendere ch'essendo di cosi convertevole natura, di lui ne i prescritti versi haver inteso i Poeti come, che l'istesso si possa anco dire degli huomini Mercuriali & anco si dica, secondo, che si dimostrerà nelle seguenti. Ma piacemi piu largamente dichiarare l'intento di Poeti, accioche più chiaramente si manifesti quanto si convengano con gli Astrologhi. Dicono adunque, affine, che dal capo pigliamo il principio, essere coperto con un capello, per dimostrarci che, si come chi si cuopre col capello schifa le pioggie & il Sole, cosi Mercurio coperto da i solari raggi, ai quali quasi sempre congiunto, fugge essere veduto da' mortali; rarissime volte certamente veduto, & a pochi è noto. Et l'huomo Mercuriale con l'astutia cuopre il suo intento. Haver poi l'ale ai taloni dinota la sua velocità, non solamente nel Moto, il quale a lui circa l'epiciclo è velocissimo, ma per la veloce donatione & apprendere delle proprietà sopracelesti de gli altri corpi; là onde si comprende la voce & l'astuta inclinatione degli huomini mercuriali. La verga poi gli è attribuita per le varietà dei corpi che a lui si congiungono, secondo le quali egli subito partisce i suoi affetti; & anco l'huomo Mercuriale d'intorno ogni opra sua, misura l'effetto & il potere. Che poi con la verga, cioè con la sua potenza, richiami l'anime dal centro, qui è bisogno più acutamente aprir l'orecchi. Furono veramente di quelli i quali istimarono tutte l'anime degli huomini al principio essere stato create insieme, & dopo, concetto gli huomini, essere state mandate in noi a morire & a passare nell'Inferno; & ivi essere tormentate fino attanto, che purghino le cose commesse in vita, & indi passare nei campi Elisi, & mill'anni da poi essere guidate da Mercurio di fiume Lethe, acciò bevendo di quello si scordassero le fatiche della presente vita, & cosi desiderassero di novo ritornare ne i corpi ai quali Mercurio le richiamava. La qual opinione ridiculosa benissimo tocca Virgilio, mentre dice;
Sopportiamo ciascun l'anime nostre,
Indi mandati siam per l'ampio
Elisio,
Et pochi possediamo i campi lieti;
Fin, che il dì lungo a pien fornito
il tempo
Leva la peste generata, e il puro
Ethero senso lascia, e il foco
insieme
De l'aura pura; onde pei queste
tutte
(Girato, c'hanno il spatio di mille
anni)
Iddio in gran schiera al Letheo
fiume chiama
Affin, che de l'oblio gustate
l'acque;
Tornino a riveder le cose state,
Di novo incominciando ad haver
voglia
Di ritornar nei corpi, & farsi
humane.
Questo ufficio adunque di rivocar
l'anime ai corpi vogliono, che sia attribuito a Mercurio, perche dicono, che è
presidente al porto, che nel sesto mese sta nel ventre della madre; nel qual
tempo molti istimano l'anima rationale essere infusa nel conceputo, &
questo per opra di Mercurio, che gli signoreggia. Cosi dall'Orco, cioè
dall'inferior loco, viene revocata l'anima nel corpo di quello c'ha a nascere
da Mercurio. Che poi le mandi ai Tartari è opinione de' Fisici, perche per lo
freddo & per lo secco, qual'è la vera complessione di Mercurio, mancando il
callido & humido radicale, l'anima si disgiunge dal corpo, & secondo
l'opinione degli antichi va all'Inferno. Togliere poi & dare i sonni è
l'istesso con quello ch'è stato detto giudicare i nascenti in vita, ch'è il
togliersi il sonno & sciogliersi in morte, che significa darli il sonno.
Cacciare i venti è opra di Mercurio, perch'egli col suo freddo alle volte
suscita quelli, che, suscitati, qua & là le nebbie sono portate dai loro
sforzi. Vogliono anco, che sia il Dio dell'eloquenza, di mercanti, de' ladri
& d'alcun'altre cose, che di sotto si diranno trattandosi degli huomini
mercuriali. Che poi fosse figliuolo di Giove, è stato finto perche è creatura
d'Iddio. Ma di Cilene fu detto per colorar la fittione, ò perche prima fu
adorato appresso Cilene monte d'Arcadia.
Dice Cicerone, dove tratta delle
Nature de' Dei; che Tritopatreo, Ebuleio & Dionisio furono figliuoli
dell'antichissimo Giove, cioè primo Re d'Atheniesi, & di Proserpina; e, che
in Athene furono chiamati Ariarchi. I quali, come, che niente io non ritrovi di
loro, nondimeno istimo, che fossero famosissimi huomini, attento, che Ariarches
significa Prencipe dell'armi. Percioche Aris in greco suona latinamente
Marte, & Archos Prencipe; adunque furono delle guerre overo
dell'armi prencipi. Il che a' que tempi, & anco hoggi dì, è grandissimo
nome. Ma Leontio dice, che Ebuleo, tratto dalla fama d'Antheo figliuolo della
Terra, andò a trovarlo per giuocar seco alla lotta, & havendolo vinto
meritò il cognome d'Hercole; il quale pria di lui alcuno non havea meritato.
Nondimeno io credo Ebuleo essere stato molto più antico d'Antheo. Similmente
dice, che Dionisio mosse guerra agl'Indi, constrette le donne alla guerra,
& ottenuta la vittoria ivi haver edificato la città di Nisa. Indi
ritornando vittorioso fu il primo, che s'imaginò la pompa del Trionfo, & anco
insegnò agli Atheniesi l'uso del vino; & da quelli fu chiamato libero,
& padre; conciosia che, vivendo lui si tenevano liberi, & come
conservati sotto la difesa d'ottimo padre. Le quali cose non nego, che non
potessero essere state in questo modo; ma nondimeno istimo, che fossero molto
da poi.
Piace appresso, a Tullio, il primo & antichissimo Hercole essere stato figliuolo del primo Giove di Lisico. Et afferma costui essere stato a contrasto con Apollo sopra il tripode; nel quale, perche l'ottenne, Paolo vuole che, essendo prima detto Dionisio, perciò fosse chiamato poi Hercole. Il che veramente afferma anco Leontio; ma però non dimostra la cagione, onde non so, chi mi credere. Ma il contrasto del Tripode, cred'io, che fosse sopra l'indovinare. Conciosia che, dice Paolo le Tripode di Febo essere una spetie di lauro solo, che ha tre radici, & perciò queste nei libri de' Pontefici esser dette Tripode, & essere consacrate ad Apollo; perche essend'egli iddio dell'indovinare, questi tali allori paiono havere l'istessa virtù. Attento, che si legge che, se le frondi della spetie di tal lauro sono messe sotto il capo d'uno, che dorma, senza dubbio egli vedrà veri insogni.
Tullio dimostra Giove haver
havuto alcuni figliuoli di Proserpina, & anco dimostra, che una istessa
fosse di lui figliuola. Il che è possibile, conservata l'honestà ch'egli
havesse Proserpina per moglie, & che di questa medesima overo d'altra donna
havesse una figliuola chiamata Proserpina, la quale pare, che l'istesso Tullio
voglia, che fosse moglie di Libero suo fratello; non ricordandomi altro, che
questo haver letto di lei.
Cicerone nelle Nature de' Dei
chiaramente testimonia il primo Libero essere stato figliuolo del primo. Ma
Leontio istima costui essere stato uno istesso con Dionisio detto di sopra,
& si sforza dimostrare, che tra tutti gli altri suoi fratelli fosse huomo
famoso. Nondimeno Eusebio ò di questo ò d'altro (il che anch'io più tosto
credo) descrive, che fu molto doppo questo tempi. Ma alcuni vogliono ch'a
costui fosse sorella & moglie Proserpina, & che di lei havesse Mercurio
secondo per figliuolo.
Un'altro Mercurio differente dal
detto di sopra fu figliuolo di Libero & di Proserpina, come afferma
Theodontio & Corvilio; del quale è recitata tal favola da Teodontio: Che
havendo egli rubbato le vacche d'Apollo, che alcun altro non l'havea veduto
eccetto, che un certo huomo chiamato Batto; ne donò una al detto, con tal
patto, che non palesasse il detto furto. Indi cangiatosi in un'altra sembianza,
per far esperienza della fede di Batto, venne a lui fingendo d'essere colui,
che le havea perdute, & gli offerse un Toro s'ei gliela insegnava. Onde
Batto gli rivelò tutto quello c'havea veduto. Di che sdegnato Mercurio lo
converse in sasso, chiamato dagli antichi Indice, & da noi volgarmente
Pietra da paragone. Finalmente Apollo, confidatosi nella sua divinità, conobbe
il furto; onde pigliato l'arco con le sue saette volse uccidere Mercurio, ma
Mercurio fattosi invisibile non puotè essere offeso. Ultimamente, accordatisi
insieme, Mercurio concesse ad Apollo la cettra da lui trovata, & Apollo
diede a lui la sua verga. Diceva appresso Paolo ch'egli havea letto altrove,
che Mercurio, essendosi imaginato dell'ira d'Appollo, per non poter essere da
lui offeso, segretamente pian piano gli havea tolta fuori della faretra tutte
le saette. Di che l'irato Apollo essendosi accorto, & maravigliandosi della
sua astutia, se ne rise, & seco fece pace. Leontio d'intorno questa favola
diceva questo Mercurio essere stato figliuolo di Dionisio, che poco di sopra è
stato detto Libero, & dal nascimento suo chiamato Niso; percioche nacque
appresso Nisa d'India, poco inanzi edificata dal padre. Onde cresciuto in
adolescenza, fu tanto veloce de' piedi che nel corso vinceva tutti gli altri
dal suo tempo. Per la qual cosa lasciato il primo nome fu chiamato Stilbone,
che in latino suona veloce. Poi havendo apparato l'arti magiche, et grandemente
dilettandosi di ladronezzi imbolò gli armenti a Foronide sacerdote d'Apollo
Delfico, che a quel tempo era tenuto di maravigliosa auttorità; & quelli
havea riposti dietro una certa tomba di pietra, chiamata Batho. Ma per caso
essendosi separato un toro dagli altri compagni, & volendo ritornare a
quelli, avenne, che cadè entro quella tomba, & incominciando a mugghiare gli
altri tori con i loro muggiti gli rispondevano; là onde udita la voce da quei,
che gli ricercavano, & andati, ritrovarono gli armenti involati; &
quella tomba cangiato il nome di Batho fu detta Indice. Stilbone poi havendo
fuggito con l'arti sue l'impeto dell'irato Foronide, finalmente divenne suo
amico. Ma perseverando in tali misfatti non per avaritia, ma, come diceva, per
instinto naturale: essendo appresso bello huomo, eloquentissimo & d'intorno
tutti gli essercitij manuali d'acutissimo ingegno, fu nomato Mercurio & Dio
dei ladri. Il che (come affermava l'istesso Leontio) se bene hebbe principio da
un giuoco, l'incominciamento nondimeno accrebbe tanto appresso gli Atheniesi
& Arcadi che dopo la sua morte gli furono edificati tempi & fatti
sacrifici, con i quali si sforzavano farselo favorevole quelli a' quali era
stato involato alcuna cosa, affermando per sua deità molte cose conservarsi
& anco ricuperarsi. Et dicevano lui, si come gli altri dei, havere le sue
insegne; delle quali, perche di sotto sono per dire dove tratterò del terzo
Mercurio, qui non mi sono curato scrivere alcuna cosa.
Il primo Cupido, come dice Tullio & Theodontio, fu figliuolo del secondo Mercurio & della prima Diana; il quale dicono essere stato pennato. Il che circa due sensi poterono intenderci quei c'hanno finto. Prima d'intorno il nome, essendo stato bellissimo fanciullo a guisa di Cupido figliuolo di Venere, sempre dipinto garzone & bellissimo; quasi un altro Cupido, per tale fu chiamato. Pennato poi istimo, che lo chiamassero perche fu giovanetto velocissimo nel corso.
Auttolio, come piace a Ovidio, fu
figliuolo di Mercurio & Lichione; il quale Ovidio dell'origine di costui
recita tal favola. Dice, che Lichione fu bellissima figliuola di Dedalione, di
maniera, che molto piacque ad Apollo & a Mercurio; i quali amendue
ricercandola in uno istesso giorno, senza, che l'uno sapesse dell'altro, a
tutti due la notte seguente promise il suo congiungimento. Onde Mercurio, senza
poter indugiare, che si facesse notte, la toccò con la sua verga facendola
addormentare, & con lei si giacque. Apollo poi vi andò la notte, &
medesimamente seco hebbe a fare; dai quali partorì due figliuoli, cioè di
Mercurio hebbe Auttolio & di Apollo Filemone. Ma Euttolio tra i ladri
divenne famosissimo, di maniera, che non pareva tralignare del padre. Filemone
poi fatto citharedo dimostrò ch'era stato figliuolo d'Apollo. Istimo il diverso
successo del fine di questi due fratelli haver dato materia a questa fittione,
& che l'uno & l'altro di loro fosse attribuito figliuolo a quel Dio del
quale imitò i costumi. Et forse anco, che Auttolio nel suo nascimento hebbe in
ascendente Mercurio, & però fu detto suo figliuolo. Et Apollo per l'istessa
cagione s'acquistò Filemone.
Sinone fu figliuolo (come piace a
Paolo) d'Auttolio. Et Servio dice questo istesso essere stato ladro; il quale
nell'essercitio di ladronezzi di maniera si trasformava in varie forme, che
leggiermente ingannava ogn'uno. Generò egli Sissimo & Auttolia madre
d'Ulisse, & hebbe signoria appresso Parnaso, si come si vede nell'Odissea
di Homero; dove recita qualmente, appresso Parnaso da un cignale fu ferito
Ulisse.
Dice Servio, che Sissimo fu
figliuolo del primo Sinone; nè di lui mi ricordo haver letto altro eccetto, che
fu padre del secondo Sinone, il quale col suo tradimento fu cagione della ruina
di Troia.
Come piace a Servio, Auttolia fu
figliuola del primo Sinone. Costei essendosi maritata in Laerte Re d'Erachia,
& andando a marito (secondo l'opinione d'alcuni) fu assalita & presa da
Sisifo assassino, il quale hebbe seco a congiungersi. Et sono di quelli che
vogliono da tale congiungimento essere nato Ulisse. Onde cosi pregna essendo
andata alle nozze del marito Laerte, & venuto il tempo del partorire, colui
ch'ella havea conceputo di Sisifo fu tenuto figlio di Laerte. Il che Aiace
figliuolo di Thelamone appresso Ovidio nel contrasto dell'armi d'Achille a lui
gitta in occhio, dicendo:
Di Sisifo del sangue uscito, &
nato,
Et di furti, & di frode eguale
a lui.
Costei, come si dice, essendole falsamente riportato Ulisse sotto Troia essere stato morto, non potendo sopportare il dolore con un canape si sospese; la quale da poi (come scrive Homero nell'Odissea) nell'Inferno ritrovò & conobbe Ulisse, dove la interrogò di molte cose & sopra molte fu ammaestrato.
Il Secondo Sinone per testimonio
di Servio fu figlio di Sissimo, & dal primo Sinone suo zio cosi detto.
Costui, come dimostra Virgilio, essendo andato con Greci alla distruttione di
Troia, andando le cose non molto prospere, corrotto da quelli, che finsero di
partirsi dall'assedio, volontariamente si lasciò pigliare da' Troiani &
condurre dinanzi al Re Priamo. Appresso il quale primieramente con maravigliosa
astutia s'inalzò, & poi con false parole persuase il Re & gli altri
Troiani a torre entro la città il cavallo di legno, tuttavia dandogli ad
intendere, che Greci volevano partirsi. Che poi avenisse di lui non lo so.
Nondimeno Plinio scrive nel libro dell'Historia Naturale costui essere stato
l'inventore della significatione speculativa; il che dimostra lui essere stato
huomo di non picciolo ingegno & sapere.
Hora, che habbiamo spedito tutta
la prole del primo padre Libero, figliuolo del primo Giove, egli è da rivolgere
il parlare ad Epafo Egittio & alla sua grandissima discendenza. Il qual
Epafo, come mostra Ovidio, do Ione figliuola d'Inaco fu figlio di Giove. Ma
Theodontio & Leontio egualmente dicono, che fu figlio di Giove, ma, che
hebbe per madre Iside figliuola di Prometheo, si come più a basso parlandosi
d'Iside apertamente si tratterà. Nondimeno Eusebio nel libro dei Tempi dice,
che fu figlio di Thelegone, a cui si maritò dopo la morte d'Apis, Iside. Ma
Gervaso Telliberese nel libro degli otij Imperali scrive Epafo essere stato
figliuolo d'Heleno & d'Iside, & haver edificato Babilonia d'Egitto; la
qual'opra più certi auttori affermano essere stata di Cambise Re di Persi. Cosi
tra loro gli auttori sono differenti del padre & della madre. Là onde io
seguirò la fama più commune & dirò, che fu figliolo d'Ione & Giove;
della cui concettione più di sotto, dove si scrive d'Ione, intieramente si reciterà
la favola. Di costui dice Lattantio, che fu moglie Cassiopia; non quella, che
fu nora di Perseo, ma una più antica, & che da quella hebbe alcuno
figliuolo, come poi si vederà. Del suo tempo, non meno discordano gli antichi
di quello, che facciano del padre & della madre. Percioche col testimonio
d'Eusebio, dove tratta dei Tempi, alcuni dicano, che Giove hebbe a fare con
Ione figliuola d'Inaco regnando Cecrope in Athene, il quale signoreggiò circa
gli anni del mondo tremilasecento & quarantasette; ritrovandosi poi, che
Inaco regnò fino agli anni del mondo tremilatrecento & novantasette. Onde
secondo questi bisognò questa essere un'altra Ione, che quella d'Inaco. Indi
l'istesso Eusebio poco dopo dice la predetta Ione essere andata in Egitto
l'anno quarantesimoterzo dell'Imperio di Cecrope, il quale fu l'anno del mondo
tremillesettecento & dieci, & ivi essere stata nomata Iside, essendosi
maritata in un certo Telegono, dal quale partorì Epafo. Ma io, lasciate le
varietà ho detto Epafo essere stato figliuolo del primo Giove, percioche parmi
il suo tempo più convenirsi con Ione figlia d'Inaco & Iside di Prometheo;
ciascuna delle quali, che più gli piaccia, può ogn'uno darsi per madre.
Libia nacque d'Epafo & di
Cassiopea sua moglie, si come a Lattantio piace; la quale essendosi congiunta
con Nettuno, cioè con altro huomo differente da Egitto; di lui partorì Busiri,
che fu poi immanissimo tiranno. Costei (come dice Isidoro dove tratta
dell'Ethimologie) fu reina di quella parte dell'Africa la quale dal suo nome è
detta Libia.
Belo, ilquale gli antichi dicono (secondo Paolo) fu figliuolo d'Epafo, & dopo lui nel più lontano Egitto hebbe signoria; dove, come dicono, divenuto inventore & dottore della disciplina celeste meritò dagli Egittij (secondo ch'afferma il detto Paolo) un tempio, che in Babilonia gli fu edificato & consecrato a Giove Belo. Ma Theodontio dice questo tempio essere stato fatto doppo Belo per astutia di Giove Cretese; il quale, fatte leghe con i Prencipi come per conservarle, & sotto colore di eternità, fece nei loro Reami edificare molti Tempi, & quelli col titolo del suo nome adornare. Con la quale astutia grandemente il suo nome & la deità fu inalzata. Altri sono, che dicano questo Tempio non essere stato drizzato a Belo Prisco, nè in Babilonia d'Egitto, ma a Belo padre di Nilo Re degli Assiri in Babilonia de' Caldei; & ivi lungamente sotto il nome di Saturno con sacrifici & diversi honori essere stato adorato. Oltre ciò furono a Belo Prisco alcuni figliuoli, ma non si sa di qual donne.
Fu Danao figliuolo di Belo Prisco, come afferma Paolo, & l'istesso conferma Lattantio; il quale anco inanzi Paolo Orosio dice Danao figliuolo di Belo haver havuto da più mogli cinquanta figliuole. Le quali havendo a lui dimandato Egisto suo fratello per nuore, che medesimamente havea cinquanta figliuoli, Danao andatosi a consultare con l'oracolo hebbe risposta, se haver a morire per le mane d'un genero. Di che per schifar il pericolo, montato in nave venne in Argo. Et afferma Plinio nel libro dell'Historia Naturale ch'egli fu il primo, che passasse il mare con navi, attento, che per inanzi, trovate le navi dal Re Eritra, solamente si navigasse per lo mar rosso. Benche siano di quelli, come scrive l'istesso Plinio, che credano i Messi & i Troiani nell'Helesponto esserne stati i primi inventori, mentre passavano contra i Thracesi. Sdegnato adunque Egisto, che fosse sprezzato dal fratello, comandò ai figliuoli ch'il seguissero, ordinandogli, che non ritornassero verso casa se prima non amazzavano Danao. La onde combattendo eglino contra il zio in Argo, da quello, che poco si confidava nelle sue forze, con inganno furono presi. Percioche egli gli promise secondo il voler d'Egisto darli sue figliuole per moglie; nè di fede mancò alla promessa. Di che ammaestrate le figliuole dal padre di ciò c'havessero a fare, ciascuna entrò col suo sposo nel letto havendo seco un coltello nascosto. Onde per la crapula & per la allegrezza essendo facilmente adormentati tutti i giovani, le donzelle volendo ubbidire al padre, pigliata l'occasione scannarono tutti i suoi mariti, eccetto Hipermestra; la quale havendo compassione di Lino, overo di Linceo suo sposo, a cui già havea posto amore, gli perdonò & gli scoperse il trattato. Dice Eusebio, che questo Danao, il quale hebbe anco nome Armaide, nei tremillesettecento & sedici anni dopo la creatione del mondo incominciò regnare appresso gli Egittii. Ma cacciato poi d'Egitto se ne venne in Argo, dove cacciò dal reame Steleno, che prima havea signoreggiato undici anni alli Argivi; i quali poi cacciarono dall'Imperio Galanone suo successore & tolsero Danao, il quale gli fece abondanti d'acque. Perche, secondo Plinio nell'Historia Naturale, fu il primo, che dall'Egitto in Grecia dimostrò il cavare i pozzi. Et afferma appresso, che quasi all'istessi tempi per opra sua dalle cinquanta sue figliuole furono amazzati i cinquanta figliuoli di Egisto suo fratello, eccetto Linceo over Lino. Finalmente, regnato, che hebbe cinquant'anni, fu morto da Linceo.
Le figliuole di Danao con i
propri loro nomi ci sono quasi incognito, attento, che a pena il nome di tre
sole è pervenuto all'età nostra. Et si come habbiamo perduto i nomi, cosi anco
le loro fortune, dopo il commesso peccato, sono andate in oblio. Nondimeno i
Poeti hanno finto queste essere nell'Inferno condennate a tal tormento, cioè a
cavar acqua d'un pozzo & empirne alcune urne senza fondo. Onde dice Ovidio;
Di Belo le figliuole empie, e
crudeli,
C'hebbero ardir dar morte a' suoi
germani,
Continuamente tornano per acqua
Et la portano dove invan si versa.
Et Seneca Tragico in Hercole
furioso:
E indarno l'urne
Portano piene
Quelle di Belo.
Istimo questo tormento essere a
loro aggiunto accioche si descriva la singolar cura delle donne, le quali
mentre con la soverchia vanità studiano accrescere la sua bellezza perdono la
fatica, & si sminuisce quello, che cercano con vana diligenza accrescere.
Overo, che più tosto si dimostra quale sia la fatica degli huomini effeminati
& lussuriosi; i quali mentre con l'usar spesso il coito credono empire
quello, che disiano: senza ottenere il suo disio ritrovano haver evacuato sé
stessi.
Hipermestra, come nelle Pistole
mostra Ovidio, fu figliuola di Danao, & fu sola, che tra l'altre sorelle,
sprezzato il comandamento del padre, perdonò al suo sposo Linceo. Et perciò
vuole Ovidio, che Danao la facesse imprigionare. Costei, come dice Eusebio nel
libro dei Tempi, alcui istimarono esser Iside. Nondimeno, regnando il padre
Danao, fu ministra sacerdote del Re.
Fu Amimone, secondo Lattantio, figliuola di Danao, & una delle cinquanta sorelle. Costei, essendo con i suoi dardi in un bosco a caccia nascosta, inavertentemente percosse un Satiro; il quale a lei volendo poi usar violenza, Amimone dimandò aiuto a Nettuno. Onde Nettuno cacciato via il Satiro, la donzella sopportò da Nettuno quello, che non havea voluto patire dal Satiro, & cosi seco si congiunse, & di lui partorì Nauplio. Quello poi, che si nasconda sotto questa fittione, dove si tratterà del nascimento di Nauplio esponeremo.
Vuole Dite Candiano, dove scrive
dell'Impresa di Greci contra Troiani, Buona essere stata figliuola di Danao
& maritata in Atelante; dal quale partorì Elettra, che poi di Giove hebbe
Dardano.
Fu Egisto figliuolo di Belo
Prisco & fratello di Danao, si come a bastanza habbiamo di sopra mostrato.
Costui hebbe cinquanta figliuoli; per li quali havendo richiesto a Danao suo
fratello le cinquanta figliuole per spose, tutti nella notte delle nozze per
comandamento di lui furono da quelle amazzati, eccetto Linceo, si come è stato
detto.
Linceo, chiamato da Ovidio Lino,
fu figliuolo d'Egisto, & solo per compassione d'Hipermestra tra cinquanta
fratelli schifò la morte. Costui, come piace ad alcuni, cacciato il zio Danao
in sua vece regnò in Argo. Altri poi dicono, che lo amazzò. Ma fosse come si
voglia, secondo, che dimostra Eusebio nel libro dei Tempi, regnato c'hebbe Danao
cinquant'anni, egli in suo loco nel reame successe. Et havendo signoreggiato
quarant'un anno, lasciato Abante, Iasio & Acrisio suoi figliuoli, finì
l'ultimo giorno.
Abante, come afferma Barlaam, nacque di Linceo & Hipermestra sua moglie, come, che Paolo dica, ch'egli fosse figliuolo di Belo Prisco. Costui fu gran guerriero & huomo di acutissimo ingegno, & successe nel reame al padre Linceo. Onde, poscia, ch'hebbe signoreggiato vent'otto anni agli Argivi (secondo Eusebio) se ne morì.
Prito, overo Proeto, come piace a Lattantio & Servio, fu figliuolo d'Abante Re d'Argivi. Di costui come affermano quasi tutti fu moglie Stenoboe, ma Homero dice Antiope, dalla quale hebbe tre figliuole; le quali già cresciute in età & essendo bellissime, entrando nel tempio di Giunone di maniera si levarono in superbia, che volevano precedere a lei. Di che Giunone turbata, sopra loro mandò tal furia, che s'istimarono esser vacche, & incominciarono a temer gli aratri nascondendosi nelle selve, si come dice Virgilio:
Con mughi falsi di Preto le figlie
Empiro i campi, le campagne, e i
colli.
Ma Ovidio rifferisce altra
cagione di tal pazzia, dicendo ch'elle nell'isola Cea si tennero esser vacche
percioche consentirono al furto, che fu fatto degli armenti d'Hercole. Ma
avenisse perciò, che si volesse, malamente Proeto sopportò tal sventura. Onde
promise parte del suo reame, & quale più gli piacesse di sue figliuole in
moglie, a colui, che le liberasse da tal disgratia & le tornasse nella
primiera forma. Di che Melampo figliuolo d' Amithaone guidato dal disio del
premio le tolse a curare, & come dice Vetruvio nel libro dell'Architettura le
menò a Clitore città d'Arcadia; percioche ivi vicino è una spelonca dalla quale
nasce un'acqua, che chi di quella gusta si fa smemorato. Et per ciò appresso
quella è un Epigramma scolpito in una pietra in versi greci, che dinota
quell'acqua non essere buona a lavare, & alle viti inimica. Ivi adunque
fatti i dovuti sacrifici, le purgò & le ritornò nel primiero stato; &
cosi hebbe una parte del regno, & una di loro per moglie. Proeto poi,
secondo Eusebio, regnò dicisette anni, & a lui successe Acrisio suo
fratello. Ma io istimo, se bene riguardo la medicina di questo Melampo, le
figliuole di tal Proeto essere state piu avide, che non si convenga a donne del
vino, & che havendo molto bene bevuto, ardissero spesse volte preferirsi al
padre Re; per la qual cosa meritarono l'ira di Giunone, cioè del padre
regnante, onde instigando il vino in contraria parte la castità, feminilmente
rivolte in furore gridavano si essere divenute giuvenche, serve & suddite
al giogo. Il che essendo loro avenuto più volte, Proeto turbato per la
disgratia le diede a guarire a Melampo; il quale facendole gustare l'acqua
predetta le fece divenire inimiche del vino, & il solito furore partissi da
loro.
Merane; secondo Leontio fu figlia
di Preto & d'Anthia figliuola d'Anfianasta; la quale essendo inchinata alle
caccie & per li boschi seguendo Diana, fu veduta da Giove & da lui
amata; là onde pigliata la sembianza di Diana seco hebbe a fare. Di che la giovane
per vergogna del commesso peccato, & temendo di novo non essere ingannata,
non volse più ubbidire nè venire a Diana che la chiamava; per la qual cosa la
dea sdegnata, con una delle sue saette la amazzò. Costei dice Paolo essere
stata figliuola di Stenoboe, si come furono le altre, & vuole, che
ricuperata sanità divenisse seguace di Diana. Per la qual fittione, dice
l'istesso Leontio; gli Hipocriti spesse volte con inganni haver condotti i
sciocchi in quella ruina, che mostrano non sapere. Dalla quale, mentre il
verace huomo alle volte cerca & si sforza rilevarvi i caduti, quei,
ingannati una volta, temendo d'ogni cosa & divenuti increduli, sprezzando
l'offertagli salute cadono in perpetua morte.
Acrisio fu figliuolo d'Abante,
come dice Lattantio, & secondo, che scrive Eusebio nel libro dei Tempi
successe nel reame al fratello Preto. Questi, si come afferma l'istesso
Lattantio, nè da ciò discorda Servio, havendo una sola figliuola chiamata Danae,
& essendoli stato rivellato, che per le mani di colui, che era per nascere
dalla figliuola havea a morire, per fuggire l'annunciatagli morte la fece
rinchiudere in una certa torre & ivi guardare, accioche alcun huomo a lei
potesse andare. Avenne adunque che, sparsa la fama della sua bellezza, Giove
s'inamorasse di quella; il quale non veggendo altra via per poter andare a lei,
cangiatosi in pioggia d'oro per li coppi del tetto lasciò cadersi nel grembo di
lei, & cosi la impregnò. Il che sopportando malamente Acrisio, la fece
pigliare; & messala in una cassa, comandò, che fosse gittata in mare. La
qual cosa essequita dai ministri, fino nel lito di Puglia la cassa fu gittata,
& per caso da un pescatore pigliata. La quale aperta, & ritrovatavi Danae
& un picciolo figliuolo da lei partorito, la portò al Re Pilunno; il quale
conoscendo la natione di lei & la patria, volentieri se la tolse per
moglie. Ma il figliuolo di lei, nomato Perseo, cresciuto già in età, &
havendo già tagliato il capo a Gorgone, venendo in Argo trasmutò Acrisio in
sasso. La qual premutatione secondo Eusebio significa che, havendo regnato
appresso Argivi Acrisio trent'un anno, da Perseo suo nipote non volontariamente
però fu amazzato & converso in sasso, cioè in frigidezza perpetua. Quello,
che ci resta sopra tale fittione, dichiareremo dove si parla di Danae.
Danae, si come s'è detto di
sopra, gittata dal padre nel mare pregna, essendo cacciata da quello sul lito
di Puglia, si maritò in Pilunno Re di Puglia. Et indi passati da i Rutuli,
& edificata ivi la città d'Ardea, partorì a Pilunno Dauno. Ma quello, che
di sopra habbiamo lasciato parmi hora da esporre, cioè Giove essersi
trasformato in pioggia d'oro & per lo tetto essere caduto in grembo a
Danae; onde credo doversi intendere la pudicitia della vergine essere stata
corrotta con oro. Et non essendo conceduto all'adultero potervi entrare per la
porta, quello esservi andato per lo tetto segretamente, & poi essersi
locato nella camera della donzella. Nondimeno Thodontio dice che, essendo Danae
amata da Giove, & sapendo, che per tema del padre era condennata a perpetua
prigionia, affine di poter scampare & pigliar la fuga, segretamente con
Giove fece mercato del prezzo del suo congiungimento. Onde apparecchiata una nave,
con quelle ricchezze ch'ella puotè pigliare, essendo pregna di Giove si diede à
fuggire.
Questo Iasio, come piace a
Theodontio, fu figliuolo d'Abante, del quale non ho letto niente altro eccetto,
che spessissime volte viene annoverato tra i Re Greci, & c'hebbe alcuni
figliuoli.
Secondo Lattantio &
Theodontio Athlanta fu la più giovane dei figliuoli di Iasio. La quale essendo
bellissima donzella & delle compagne di Diana, chiamata da Meleagro venne
alla caccia del Cinghiale Celidonio insieme con l'avanzo della nobiltà
d'Achaia, & ella fu la prima, che ferì il Cinghiale con una saetta. Di che
Meleagro per la sua bellezza & valore s'inamorò in lei; onde morta quella
la fiera, perciò meritò l'honore d'haverne il capo in dono. Per lo quale venne
in amicitia di Meleagro & si congiunse seco, dal quale partorì Parthenopeo.
Vn'altro Anfione differente da
quello, che cinse Thebe di mura fu figliuolo di Iasio, & regnò, come dice
Leontio, nell'Orcomeno inimico & in Pilo, il quale anco fu nomato Argo;
& hebbe una sola figliuola chiamata Clori.
Clori, come di sopra è stato
detto, fu figlia d'Anfione; & secondo, che testimonia Homero nell'Odissea
fu maritata in Neleo, al quale partorì Nestore & molti altri figliuoli.
Dice Paolo, che Thalaone fu
figliuolo di Iasio, & che regnò in Argo. Il che secondo il mio giudicio si
deve intendere sanamente, mentre, che gli antichi chiamano questi tali huomini
Re. Percioche, non si ritrovando nel Cathalogo dei Re, egli è da giudicare, che
solamente fossero di stirpe reale, & havessero qualche particella di
signoria. La onde avenisse, che più tosto fossero dimandati Re per lo splendore
dell'origine, che per lo possesso dei reami di questi tali. De quali istimo,
che fossero simili questo Thalaone, Anfione & Iasio.
Euridice, come afferma
Theodontio, fu figliuola di Thalaone & data per moglie ad Anfiarao
indovino, al quale partorì Anfiloco & Almeone. Ma havendo il Re Adrasto
pigliato la difesa di Polinice suo genero contra Etheocle, & apparecchiando
la guerra contra Thebani, avenne, che Anfiarao hebbe per oracolo, che s'egli
andava a quella guerra non ritornarebbe piu; per la qual cosa si nascose in una
grotta sotterra, & solamente manifestò il loco alla moglie. Onde essendo
con grande instanza cercato da Adrasto & da altri, mai non fu ritrovato. Ma
mentre, che ciò s'instigava, occorse, che Euridice sua moglie vide un certo
monile al collo d'Argia moglie di Polinice, il quale fu già donato da Vulcano a
Hermiona moglie di Cadmo; & desiderando molto haverlo, disse ad Argia, che
s'ella volea darle quel monile, che le insegnarebbe Anfiarao. Et cosi fu fatto.
Là onde andando Anfiarao alla guerra, fu dalla terra inghiottito. Ma Euridice
poi fu amazzata dal figliuolo Almeone, al quale Anfiarao andando alla guerra
havea commesso la vendetta della sua morte.
Theodontio dice, che Flegeo fu
figliuolo di Thalaone: il quale morendo giovanetto, non lasciò di sé cosa degna
di memoria.
Il Re d'Argivi Adrasto fu
figliuolo (come Lattantio vuole) di Thalaone & Eurinome. Il quale havendo
due figliuole, cioè Deifile & Argia, & essendogli stato per oracolo
riferito ch'egli havea a darle per spose una ad un cinghiale & l'altra ad
un leone, d'intorno alla futura disgratia delle figliuole si tormentava. Ma
avenne per caso, che Polinice Thebano d'accordio col fratello Etheocle fatto
essule a mezza notte giunse in Argo, & per fuggire la pioggia & il
vento, che quella notte era crudelissimo, entrò sotto i portici, che giravano
intorno il palazzo reale. Nè molto vi stette, che medesimamente Thideo, per
l'homicidio commesso fuggendo di Calidonia, ivi pervenne. La dove nessuno di
loro non si conoscendo, venuti insieme a parole ingiuriose per cagione
dell'aloggiamento, ultimamente posero le mani all'armi & incominciarono a
combattere. Al cui strepito levatosi il Re Adrasto, & con la sua guardia in
persona venuto a loro, con parole & l'auttorità sua acquetò gli sdegni dei
giovani, & seco gli menò in palazzo. Et veggendo l'uno di loro, cioè
Polinice coperto d'una pele di leone, la quale insegna il real giovane portava
in testimonio della virtù d'Hercole Thebano, & l'altro vestito d'una spoglia
di cinghiale la quale portava in honore della sua progenie, per haver il zio
Meleagro amazzato il cinghiale, si venne a chiarire della dubbiosa risposta
dell'oracolo, & conobbe questi generi a lui dai Cieli essere mandati. I
quali, poscia, che egli hebbe conosciuti, si contentò di far seco parentado;
& a Thideo diede Deifile, & a Polinice Argia per sposa. Et pervenuto il
tempo, che Etheocle dovea rendere la signoria a Polinice, secondo la
conventione tra loro fatta, ma quello non volendo farne altro, da Polinice con
l'aiuto d'Adrasto fu mosso guerra contra Thebani. Nella quale essendo restati
morti tutti i suoi capitani, & con eguali ferite ricevute l'uno per le mani
dell'altro morto Polinice & Etheocle, egli messo in rotta se ne ritornò in
Argo; dove non ho ritrovato, che fine fosse il suo.
Come dice Statio, Deifile fu
figlia del Re Adrasto & moglie di Thideo Calidonio, al quale partorì
Diomede.
Secondo Statio, Argia fu
figliuola d'Adrasto & moglie di Polinice; la quale havendo di lui partorito
Thessandro, & inteso Polinice dal fratello essere stato morto, da Argo se
ne venne a Thebe, per donare l'ultime lagrime & prestare l'ufficio funerale
al corpo del marito. Et facendo ciò contra l'Imperio di Creonte, c'havea
comandato, che non fosse sepolto, fu pigliata insieme con Antigone sorella di
Polinice, & da Creonte fatta morire.
Oltre l'haver esposto le
successioni di Danao & d'Egisto figliuolo di Belo Prisco, egli è da
ritornare lo stile alla più ampia prole d'Agenore, figliuolo dell'istesso Belo,
si come Theodontio & Paolo scrive. Et benche dai predetti sia detto, che
Agenore fosse figliuolo di Belo, nondimeno sono di quei, che dicano lui essere
stato figliuolo di Belo, ma non d'Egitto, anzi del Fenicio; & l'avo di
questo Agenore haver anco havuto tal nome. Et appresso affermano quel Agenore
primo (regnando appresso gli Assiri Nino) constretto da peste con grandissima
moltitudine haver abandonato le sedie paterne, le quali egli havea circa
l'ultimo Egitto dalla parte di Mezzogiorno; tenendo per guida del suo viaggio
il Nilo, con le sue navi essere giunto nel lito di Soria, & quello
(cacciati gli antichi habitatori) havere occupato, & ivi esser regnato.
Dove lasciò un figliuolo chiamato Belo suo successore; il quale vogliono, che
fosse padre di questo Agenore. Altri poi vogliono ch'egli fosse nipote &
figliuolo di Fenice. Per le quai cose si può comprendere dalla somiglianza del
nome & forse del tempo essere nato l'errore, onde si creda, che colui il
quale fosse figliuolo di Belo di Soria fosse tenuto anco di Belo d'Egitto. Ma
sia nato di qual Belo si voglia, io ho in animo seguir hora l'opinione di
Theodontio & di Paolo, maggiormente, che del primo non si vede certo
auttore. Dicono adunque costui essersi partito dal lito di Soria & andato a
signoreggiare ai Fenici, dove fu molto famoso per generosa & nobile
progenie.
Il Candiano Dite vuole Thaigeta
essere stata figliuola d'Agenore, & di lei essersi inamorato Giove, &
seco haver havuto a congiungersi; del quale fatta pregna partorì Lacedemone,
come, che altri dicano quello esser nato di Semele.
Polidoro secondo Lattantio fu
figlio d'Agenore, del quale non penso esservi altro, che il semplice nome;
benche Theodontio di costui faccia un certo leggiere ricordo. Ma dice quello
essere stato molto più antico di questo Agenore.
Cilice, secondo Lattantio, nacque d'Agenore. Dice Theodontio costui essere stato huomo di grand'ingegno & di robusto corpo. Il quale sprezzando i fratelli di lui maggiori, & poco sperando nella successione del reame (sprezzato il giuoco de superiori), fatto alquanto numero di genti s'acquistò un paese lontano dai suoi, & quello dal suo nome dimandò Cilicia; dove lasciò duoi figliuoli ch'a lui sopravissero, cioè Lampsacio & Pigmaleone. Ma sono di quelli, che dicano questa provincia essere stata occupata da Cadmo pria, che fosse mandato dal padre ad acquistar l'Europa, & poi essere stata posseduta da Cilice non vi ritornando più Cadmo.
Lampsacio, come dice Theodontio
& dopo lui Paolo, fu figliuolo di Cilice, & a lui successe nel reame;
nè di lui altro più oltra si ritrova.
Theodontio dice Pigmalione essere stato figliuolo di Cilice; del quale egli rifferisce che, essendo giovane & pigliato dalla gloria de suoi maggiori, i quali havea inteso essere passati fino nell'Occidente & anco haver occupato il lito d'Africa, fatta una compagnia di giovani di Cilicia & di Fenicia, con una armata, ò serenissimo dei Re, nel tuo Cipro smontò col suo essercito. Et indi cacciò gli antichi Assiri, i quali con le forze dell'antichissimo Agenore cacciati dalle antiche loro sedi ivi s'erano riparati, dove tenne tutta l'isola & in quella signoreggiò. Ma havendo ivi trovato sceleratissime donne (il che dimostra anco Ovidio nel suo maggior volume) & in tutto inchinate alla libidine, offeso da quel vitio s'era disposto menar la vita casta. Ma perche era d'alto ingegno & havea le mani atte ad ogni arteficio, i Poeti finsero ch'egli intagliò & fece di bianchissimo avorio una imagine, con tutte quelle linee & portioni, che parvero al voler suo; al quale mirando l'ingegnoso huomo, & maravigliandosi dell'arte sua, lodando grandemente la di lei bellezza di quella arse d'Amore, & grandemente desiderava ch'ella fosse donna vera. Di che incominciò pregar Venere, ch'a quel tempo nell'isola era famosissima Dea, che volesse fare quella statua sensibile, infondendole anima & facendola de' suoi amori partecipe. Là onde alle preghiere non mancò l'effetto, ch'ella divenne vera femina. La qual cosa veduta Pigmaleone, pieno d'allegrezza per haver havuto il suo intento, con lei si giacque, & incontanente la impregnò; la quale gli partorì un figliuolo da lui chiamato Pafo, & dopo morte lasciato herede del reame. Hora egli è da vedere quello, che voglia significare tale imagine di bianco avorio, fabricata più tosto con ingegno Poetico, che artificio humano. Penso io che, essendo sospetta a Pigmaleone la pudicitia delle donzelle provette, ch'egli s'elesse una fanciulla, che per l'età tenerina mancasse d'ogni sospetto, & che di bianchezza & morbidezza fosse simile all'avorio; la quale havendo avezzata secondo i suoi voleri, pria che la giovanetta fosse in dovuta età infiammato in concupiscenza di lei, incominciò desiderare & con preghi dimandare, che tosto divenisse buona da marito; onde finalmente avenuto ciò, che desiderava hebbe l'intento suo.
Pafo secondo Theodontio fu
figliuolo di Pigmalione, & nato di quella madre d'avorio; il quale essendo
nel reame successo a Pigmaleone, dal suo nome chiamò l'Isola di Pafo. Ma Paolo
dice ch'egli solamente edificò il castello di Pafo &, che da sé gli diede
nome, & volse, che fosse dedicato a Venere, perche in quello vi fece fare
un solo tempio & altare a lei consacrato, dove con solo incenso lungamente
vi fu sacrificato.
Cinara fu figlio di Pafo, si come
dimostra Ovidio mentre dice:
Di costei nacque quel Cinara; il
quale,
Se restato pur fosse senza prole,
Tra i felici potrebbe esser havuto.
Questi è differente da quel Cinara, che si dice esser stato Re degli Assiri, & piangendo le disgratie di figliuoli cangiato in sasso. Di questo Cinara Cipriano non havemo altro, che una sola sceleratezza. Percioche, si come narra esso Ovidio, costui hebbe una figliuola chiamata Mirra, la quale essendo bella & già buona da marito, oltre il dritto s'inamorò del padre, & per opra d'una sua balia (mentre la madre di lei celebrava i sacrifici di Cerere, ne' quali per spatio di nove giorni bisognava ch'ella s'astenesse dai congiungimenti del marito) segretamente usò degli abbracciamenti del padre; là onde divenuta pregna partorì Adone.
Mirra, si come si vede di sopra,
dice Ovidio essere stata figliuola di Cinara & haver amato il padre con
lascivo amore, onde per opra d'una sua nutrice seco si congiunse. Nondimeno
Fulgentio vuole ch'ella havesse a fare col padre poscia, che lo hebbe
inebriato. La quale per lo scelerato congiugimento divenuta pregna, volendo
Cinara conoscere con cui si fosse giacciuto, conobbe la figliuola; di che d'ira
assalito la volse amazzare. Alcuni dicono poi ch'ella se ne fuggì dai Sabei,
fino dove fu perseguitata dal padre & da quello ferita; vogliono, che per
compassione de' Dei appresso i Sabei si converse in un arbore chiamato dal suo
nome, & per l'ardore del Sole apertasi la corteccia mandò fuori un
figliuolo, il quale le Ninfe unsero coi licori materni. Penso, che a questo
figmento habbia dato materia il nome dell'arbore, che appresso Sabei si chiama
Mirra, la quale stilla certe gocciuole che, toccate dai raggi del Sole, fanno
una certa compositione da loro detta Adone, & latinamente significa soave,
percioche è di soavissimo odore; & come pare, che voglia Petronio Arbitro
molto appropriato alla libidine, di maniera, che afferma si haver portato una
bevanda di Mirra per infiammar la lussuria. Ma Fulgentio, si come in più altre
cose, più altamente giudicando d'intorno questo, dice Mirra essere un'arbore in
India, che arde per li raggi del Sole; & perche dicevano il Sole esser
padre di tutte le cose, però essere stato detto Mirra haver amato il padre,
& mentre il Sole ardentemente l'infiammasse mandar fuori dalla parte di
sopra della corteccia alcune sfessure, & cosi essere stato detto il padre
haverla ferita & fattone uscir Adone, cioè la soavità dell'odore.
Adone del Re Cinara suo avo &
di Mirra sua sorella fu figliuolo, si come con lunghi versi nel suo maggior
volume dimostra Ovidio; del quale recita tal favola. Dice che, essendo egli
divenuto un bellissimo garzone, grandemente fu amato da Venere, che a caso dal
suo figliuolo fu d'amor percossa; la quale seguendo lui con grandissimo diletto
per selve & boschi, & seco usando de' suoi abbracciamenti, più volte
l'avisò, che si schifasse dall'armate fiere, & solamente cacciasse le disarmate.
Ma avenne un giorno ch' egli, mal ricordevole delle parole di Venere, facendo
empito in un cigniale da lui fu morto; il quale poi Venere amaramente pianse
& converse in purpureo fiore. Macrobio nel libro dei Saturnali si sforza
con maravigliosa ragione dichiarare questo figmento. Dice egli Adone essere il
Sole, del quale niuna cosa non è più bella; & quella parte di Terra la
quale di sopra non habitiamo, cioè l'Emispero, esser Venere, attento, che
quella ch'è nell' Emispero inferiore dai Fisici è chiamata Proserpina. Et cosi
appresso gli Assiri & Fenici, a' quali appresso fu in grandissima riverenza
Venere & Adone, allhora Venere con Adone da lei amato si dilettava,
conciosia, che d'intorno l'Emispero superiore il Sole si gira con più ampio spatio;
& indi diviene più ornato, perche la terra allhora produce fiori, frondi
& frutti. Mentre adunque egli circonda i più brevi cerchi, di necessità
caccia i maggiori appresso l'hemisperio più inferiore. Et cosi l'autunno &
il verno con pioggie continue fanno la Terra dell'honor suo priva tutta
fangosa, nel qual tempo il Cinghiale, ch'è animale hispido, si diletta; &
cosi dal Cinghiale, cioè dalla qualità del tempo ch'egli si diletta, Adone cioè
il Sole pare tolto alla Terra, cioè a Venere; la quale indi fangosa diviene.
Ch'Adone poi sia trasformato in fiore, penso ciò essere stato finto affine di
mostrare la brevità della nostra bellezza, perche quello, che la mattina è
purpureo & colorito, la sera languido, pallido & fracido diventa. Cosi
l'humanità nostra la mattina, cioè nel tempo della gioventù, è fiorita &
splendida; la sera poi, cioè nel tempo della vecchiaia, diventiamo pallidi,
& corriamo nelle tenebre della morte. Ma tuttavia dica quello, che si
voglia Macrobio, ò gli Assiri, l'historia nondimeno pare, che voglia, &
Tullio lo dimostra dove tratta delle Nature de' Dei, Venere essere stata
concetta in Soria & Cipro, cioè da un huomo Assirio & da una donna
Cipriana, la quale gli Assiri chiamarono Astorcon; & si maritò in Adone,
come dice Lattantio nel libro dell'Institutioni Divine. Ma nella sacra historia
si contiene costei haver instituito l'arte meretricia & alle donne haver
persuaso lo stupro, & che col corpo palesemente richiedessero il
congiungimento. Et dice ella haver ciò comandato accioche sola tra l'altre
donne non fosse tenuta impudica, & degli huomini ingorda. Là onde nacque,
& lungo tempo si osservò, che i Fenici donavano a chi gli sverginava le
figliuole pria, che le maritassero, come nel libro della Città d'Iddio mostra
Agostino & Giustino nell'Epitoma di Trogo Pompeo, dove scrive Didone nel
lito di Cipro haver rapito settanta donzelle ch'erano venute a ricercar le
primitie della loro verginità. Fu adunque Adone Re di Cipro & marito di
Venere, il quale anch'io penso ò da Cinghiale ò da altra morte esserle stato
tolto, percioche ad imitatione delle sue lagrime gli antichi con commune pianto
furono avezzi piangere la morte d'Adone. Onde Isaia nelle sue Visioni gli
riprende.
Pirode come afferma Plinio fu
figlio di Cilice; del quale benche non si habbia altro, col testimonio
dell'istesso Plinio nondimeno habbiamo lui essere stato il primo, che dalla
pietra cavasse il foco.
Vuole Lattantio, che Fenice fu
figliuolo d'Agenore. Et Eusebio nel libro dei Tempi vuole, che costui, regnando
Danao in Grecia, insieme col fratello Cadmo da Thebe d'Egitto essere venuto in
Soria, & in Tiro & Sidone haver signoreggiato. Il che può essere circa
l'anno del mondo millesettecento e quarantasei. Poscia, poco da poi dice, che
l'anno primo del Re Linceo egli edificò Bithinia, la quale prima si chiamava
Meridiana. Il che fu circa gli anni del mondo MDCCLXXIX. Tuttavia la venuta di
costui in Soria non si conface con le cose dette di sopra, dove discorda di
Agenore da Theodontio & anco da Ovidio; il quale pare, che voglia Agenore
& non Fenice esservi venuto, conciosia, che descrive Cadmo essere stato
mandato a ricercar Europa da Agenore & non da Fenice. Ma io lascierò l'affanno,
a chi lo vuole, d'accordare queste diversità, & seguirò quello, che di
Fenice trovo. Dimostra Eusebio costui essere stato huomo di molto artificio,
perche fu il primo, che diede alcune lettere overo caratteri di lettere ai
Fenici; indi per scriverle haver trovato il vermicello. Onde anco quel colore
si dice Feniceo, cosi chiamato (cred'io) dall'inventore, perche mutata poi la
lettera è detto puniceo, cioè morello.
Theodontio vuole, che Filistene
fosse figliuolo di Fenice; il quale essendo sacerdote d'Hercole, ch'alhora era
tenuto in molta riverenza da' Fenici, & veggendo, che Belo suo fratello
maggior d'anni (morto il padre) regnava, lasciato l'ufficio sacerdotale al figliuolo
Sicheo, con alquanta gente montò in nave, & adoperò molte fontane havendo
passato oltre le Colonne d'Hercole, ivi nel lito dell'Oceano fermò le sue
stanze perpetue, & edificò una città chiamata dai suoi Gade. Et affine, che
non paresse ch'egli in tutto havesse lasciato il sacerdotio drizzò un tempio ad
Hercole, & tutti i sacrifici secondo il costume Fenicio rinovò.
Sicheo secondo Theodontio fu
figlio di Filistene, al quale (sì come di sopra è stato detto) partendosi il
padre fu lasciato il sacerdotio; la qual dignità, da re in fuori, era la
principale. Dice Servio, che costui fu chiamato Sicarba, come, che Virgilio
sempre lo nomi Sicheo, & Giustino lo dica sempre Acerba. Costui adunque, ò
lasciatili ò altrove trovati molti thesori (come piace a Theodontio & agli
altri), divenne grandemente ricco. Onde, morto Belo, tolse Elisa sua figlia per
moglie, & sopra ogn'altra cosa amolla molto; la quale poi fu chiamata
Didone. Ma essendo Pigmaleone figliuolo di Belo succeduto nel reame del padre,
& essendo ingordo d'oro, s'infiammò delle ricchezze di Sicheo. Di che gli
tese inganni, & inaccortamente amazzò quello.
Belo, il quale secondo Servio fu
anco detto Metre, come dice Theodontio fu figliuolo di Fenice, & huomo di
maniera in guerra & armi valoroso, che soggiogò Cipriani, i quali
danneggiavano con una armata di corsali i liti de' Fenici. Il che Virgilio in
persona di Didone succintamente tocca, dicendo;
Mio padre Belo danneggiava Cipro.
Cosi fertile, e ricca; & la
teneva
Vittorioso sotto giogo, e impero.
Come piace a Theodontio,
Pigmaleone fu figliuolo di Belo re di Tiro, & morendo il padre (secondo,
che dice Giustino) insieme con le sorelle ai Tirij fu lasciato. Al quale anco
fanciullo il popolo diede la signoria del Reame paterno. Ma costui, nato con
avarissimo animo, havendo fatto disegno sopra le ricchezze di Sicheo, figliuolo
di suo zio & marito di Didone sua sorella, con inganni lo fece morire.
Questa scelerità sola di costui ci ha lasciato la lunga antichità.
Il famoso honore, & lume
della pudicitia Donnesca Didone (come piace a Virgilio), fu figlia del Re Belo.
Questa bellissima donzella (morto Belo) i Tiri diedero per moglie ad Acerba ò
Sicarba ò Sicheo sacerdote d'Hercole, il quale poi da Pigmaleone per avaritia
fu morto. Costei adunque, dopo le lunghe bugie del fratello, avisata in sonno
dal marito, & in lei acceso un animo generoso, fatta una congiura con molti
di quelli, a quali sapeva Pigmaleone essere in odio, di notte segretamente
montata in nave con tutti i thesori ch'erano stati del marito si partì di Tiro.
Et giunta nel lito d'Africa (come anco a Tito Livio piace) venne a mercato con
gli habitatori di quel paese, che la persuadevano a fermarsi ivi, di comprare
tanto terreno quanto poteva circondare & capire la pelle d'un bue. Onde
ridotto il coiro in liste sottilissime, occupò molto terreno. Et ivi mostrati
ai compagni del suo viaggio i thesori nascosti, edificò una città da loro
chiamata Cartagine, & la rocca dalla pelle del bue fu detta Birsa. a questa
tal città, piace a Virgilio, che Enea fuggitivo & dalla fortuna del mare
cacciato pervenisse; onde ricevutolo cortesemente & di lui inamorata, seco
si giacque. Di che poi alla sua partita non potendo sopportar l'incendio
amoroso, sé stessa occise. Il che dimostra Giustino & gli altri historici
antichi essere falso; perche dice Giustino che, essend'ella dal Re di Musitani
sotto pretesto di guerra dimandata ai Prencipi di Cartagine per sposa; quelli
sapendo l'intentione di lei essere di voler vivere casta, s'imaginarono
d'ingannarla. Là onde dissero, che il Re di Musitani havea loro richiesto sotto
nome di guerra, che i Prencipi di Cartaginesi dovessero andar a viver in
Musitania perche egli voleva imparar i costumi de' Cartaginesi, ma, che alcuno
di loro non si trovava, che volesse andar a vivere presso cosi barbaro Re. Di
che Didone essortandoli ad andarvi, & dicendo, che ogni cosa si doveva
lasciare per la salute della sua patria, & che colui non era buon
cittadino, che per conservar la città temeva la morte, eglino subito le
scoprirono la dimanda del Re, pregandola, che non volesse esser cagione della
loro ruina. Ond'ella, veggendo, che da sé stessa si havea dato la sentenza
contra, chiese a quelli un certo termine, fra il quale promise d'andare a
marito. Il qual termine giunto, ella fatto un gran rogo nella più alta parte
della città, sotto ombra di voler placare lo spirito del morto Sicheo, sopra
quello salì. Et stando intenti i cittadini a tal spettacolo per veder quello
ch'ella si volesse fare, tratto fuori un coltello, che s'haveva nascosto sotto
le vesti, disse: "Ottimi cittadini, si come a voi piace, vado a
marito." cosi detto, sé stessa amazzò, eleggendo più tosto la morte, che
macchiar la pudicitia. Il che anco è molto lontano dalla descrittion di Marone.
Anna fu figlia di Belo, si come a Virgilio piace; il quale spessissime fiate la chiama sorella di Didone. Costei fu compagna nella fuga di Didone; la quale, poscia, che vide morta la sorella & il reame di Cartagine occupato da Iarba (come dice Ovidio nel libro de' Fastis), confidandosi nella ragione dell'hospitio antico se ne fuggì da Batto, re dell'isola Corisa. Finalmente, sentendo, che Pigmaleone moveva l'armi contra lei, & per ciò essendole dato congedo da Batto, se n'entrò in mare. Dove assalita da fortuna, si come l'intento suo era di andar a Camerè, fu condotta nel lido de' Laurenti; per lo quale Enea, havendo già vinto Turno, insieme con Acate caminando passeggiava. Di che ella veggendo Enea volse fuggire; ma da quello assicurata sulla fede, si fermò, & fu condotta nel Palazzo Reale. Per la cui giunta, Lavinia mossa da gelosia volse tenderle inganni. Ma avisata di notte in sogno da Didone uscì fuori del palazzo, & (se a bastanza si può far coniettura dalle parole d'Ovidio) si gittò precipitosamente nel Numico fonte. Ma Ovidio passando più oltre dice che, essendo ella ricercata per tutto, ai ricercatori giunti al fiume Numico parve udir una voce uscir del fiume, che gli dicesse.
Del piacevol Numico io sono Ninfa,
Anna chiamata per molti anni
eterna.
Che sta nascosta entro il suo
chiaro fondo,
Dopo esso Ovidio, dice Macrobio
nei Saturnali publicamente & privatamente nel mese d'Aprile sacrificarsi,
accioche sia lecito per anni & molti anni durare.
Europa fu figliuola d'Agenore,
come si vede per Ovidio; della quale tal favola si narra. Vogliono che,
essend'ella molto amata da Giove, egli comandasse a Mercurio, che cacciasse
quelli armenti ch'erano su le montagne di Fenicia, nel lito dove Europa con altre
donzelle era avezza andar à giuocare & darsi piacere. Il che fatto, Giove
si cangiò in un bianco Toro, & si pose nel mezo de gli altri armenti. Onde
veggendo Europa cosi vago & bello animale, & dilettandosi della sua
piacevolezza, incominciò prima con le mani a farli vezzi, & indi montarli
sopra; il quale pian piano ritirandosi verso l'acqua, & a poco a poco
entrando nell'onde, tosto, che sentì quella esser si bene fermata sul suo dorso
& haverli le mani nelle corna, notando passò il mare con quella, tutta
timida & sbigottita, & la portò in Creta; dove ritornato nella sua vera
forma seco hebbe a fare, & la impregnò. Di che poi, secondo ch'alcuni
vogliono, ella partorì Minos, Radamanto & Sarpedone. Et egli in eterna
memoria di lei dal suo nome chiamò la terza parte del mondo Europa. La fittione
di tal favola è coperta da cosi sottil velo, che liggiermente si può vedere il
suo significato. Percioche per Mercurio, che cacci gli armenti nel lito io
intendo la eloquenza & la sagacità d'alcun ruffiano, che dalla città nel
lito guidi qualche donzella; overo un falso mercante, che le mostri qualche
cosetta da giuoco & a lei la prometta, & monta seco in nave. Giove poi
trasformato in toro, che se ne porti la donzella, homai credo essere noto a
tutti quella essere stata una nave la cui insegna era un Toro bianco, sopra la
quale (fosse con qual inganno si voglia) salita sopra la donzella, & dati i
remi all'acque & ai venti le vele, ella fu portata in Creta & data per
moglie a Giove; overo, secondo Eusebio nel libro dei Tempi, ad Asterio Re, dal
quale si come è stato detto di sopra partorì i detti tre figliuoli. Nondimeno
piace ad Agostino, che costui fosse chiamato Santo, & non Asterio.
Appresso, discordano del tempo di tal rapina molti auttori, attento, che vi
sono di quelli, come dice Eusebio, che vogliono nell'anno quarantesimo di Danao
Re d'Argivi Giove essersi congiunto con Europa, & che poi Asterio Cretese
Re la togliesse per moglie; il quale fu l'anno del mondo MDCCCLXIX. Altri poi
dicono quella da Cretesi essere stata rapita l'anno del mondo MDCCCLXXVIII,
regnando in Argo Acrisio. Ma alcuni vogliono, che fosse rapita nel tempo, che
Pandione regnava in Athene, cioè negli anni del mondo MDCCCXVI. Il qual tempo
più si conface con quelle cose, che si leggono di Minos, figliuolo
dell'istessa. Dice Varrone una imagine bellissima di bronzo di costei essere
stata posta da Pithagora in Taranto; & questo si contiene, dove tratta
dell'origine della lingua latina.
Per publica fama di tutti gli antichi, Cadmo fu figliuolo d'Agenore; il quale scrive Eusebio nel libro de' Tempi essere venuto insieme col fratello Fenice da Thebe degli Egittij nell'anno decimosettimo di Danao Re d'Argivi, & appresso Tiro & Sidone haver regnato. Conciosia, che (sì come di sopra si vede) molto prima ivi venisse Agenore cacciato dalla peste. Il quale Eusebio doppo queste cose scrive nell'anno decimosesto del Reame di Linceo, Cadmo haver occupato l'Armenia; il che di sopra habbiamo ricordato essere stato fatto da Cilice. Questi nondimeno (come scrive Ovidio) havendo Giove rapito Europa, fu mandato dal padre Agenore all'acquisto di lei, con tal patto, che non dovesse ritornar nella patria senz'essa. Il quale partitosi con buona compagnia, nè sapendo dove ricercarla, deliberò trovarsi novo paese. Onde essendo giunto vicino a Parnaso, hebbe per risposta dall'oracolo, che seguisse un bue indomito, & dove quello si fermasse, ivi facesse il suo seggio. Di che cosi havendo fatto fu guidato nel destinato paese, nel quale fermandosi & gittando i primi fondamenti, dal nome del bue lo chiamò Boemia; & la città dagli antichi Egittij di Thebe, da' quali i suoi precessori erano discesi, fu chiamata Thebe. Ma si come dice Ovidio, volendo egli sacrificare & havendo mandato alcuni de' compagni a pigliar dell'acqua, avenne, che per l'indugio del loro ritorno Cadmo gli andò dietro, dove trovò ch'erano stati divorati da un'ismisurato serpente. Il quale riguardato da lui, udì una voce, che gli disse, che vederebbe anco sé stesso serpente. Nondimeno, havendolo amazzato, per oracolo divino gli trasse i denti & gli seminò, da i quali subito nacquero huomini armati, che tra sé stessi incominciaro ammazzarsi; nè prima s'acquetarono, che cinque soli restassero vivi. I quali tra loro fatta pace si congiunsero con Cadmo, & l'aiutarono a fornir la città. Ma Palefatto scrive appresso ch' egli hebbe una donna chiamata Spinga per moglie, la quale per gelosia d'Herminiona si partì da lui, & mosse guerra contra i seguaci di Cadmo. Sono appresso di quelli, che vogliono lui stando appresso il fonte Hippocrene tutto pensoso haver ritrovato sedeci caratteri di lettere, le quali poi da tutta la Grecia furono usate. Cosi Plinio nel libro dell'Historia Naturale dice lui appresso Thebe essere stato l'inventore dei lapidarij, & della mistura dell'oro & dei metalli; come, che Theofrasto voglia ch'egli facesse queste cose appresso i Fenici. Ma molto doppo l'allegato tempo. Percioche quello, che di sopra è scritto di lui fu circa gli anni del mondo MDCCCCXXXVIII. Indi Ovidio dice, che di lui fu moglie Sermiona, figliuola di Marte & di Venere; dalla quale si ha ch'egli generasse quatro figliuole, & che ad Hermiona fosse donato da Vulcano un monile mortale. Dopo questo, essendo occorso molte disgratie ai nipoti & sue figliuole, egli già vecchio da Anfione & Zetho cacciato del reame se n'andò in Schiavonia, dove insieme con la moglie Hermiona amendue furono trasmutati in serpenti. Questa favolosa historia ha in sé alcune cose congiunte, delle quali ci resta vederne il senso. Il serpente adunque consacrato a Marte io intendo, che sia l'huomo vecchio & prudente, già armigero & bellicoso con sue parole, & tardare, ritenne i compagni di Cadmo; per lo cui consiglio, il quale istimo io, che siano i denti, tra gli habitanti fu seminata discordia. I quali persuaduti da Spinga contra lui si mossero; onde in un subito, tolte l'armi in mano, tra sé stessi vennero a battaglia. I cui Prencipi (tagliati a pezzi i popolari) vennero in concordia con Cadmo, & di habitatori & stranieri fecero tutto un popolo. Che poi egli essule insieme con la moglie divenisse serpe, dimostra quelli esser fatti vecchi. Perche i vecchi a guisa di serpenti sono prudenti, & per l'esperienza delle cose aveduti, & per l'età pieni d'anni. Et se bene l'età gli caccia & gli aiuti gli mancano, tuttavia secondo il costume de' serpenti vanno col petto in fuori. Ma del tempo del regno di costui furono anco discordanti gli antichi. Perche Eusebio nel libro dei Tempi dice, che l'anno ottavo della signoria d'Abante re d'Argivi, che fu negli anni del mondo MDCCCXXXVII, Cadmo fu cacciato dal regno da Anfione & Zetho; nè molto doppo dice, che (regnando Acrisio in Argo) Cadmo regnò a Thebe, essendo Acrisio succeduto ad Abante; il che nondimeno puotè essere circa gli anni del mondo MDCCCLXXV. Al qual tempo si conviene quello, che dopo l'istesso Eusebio scrive, cioè, che regnando Acrisio succedessero quelle cose, che si narrano dei Spartani. I quali (dice Palefato) che, essendo di paesi circonvicini, subito si fermarono contra Cadmo; onde per li subiti movimenti loro, come se fossero usciti dalla terra, & perche erano abondati da ogni parte, furono chiamati Spartani. Ma nondimeno ciò malamente si conviene al tempo nel quale habbiamo detto di sopra Europa essere stata rapita. Quelli ne trovino la verità a' quali di ciò è piu cura, perche io non ne ho potuto trovar altro.
Fu Semele figliuola di Cadmo
& d'Hermione, come assai si manifesta in Ovidio nel suo maggior volume.
Sopportando Giunone malamente costei esser pregna di Giove, si trasmutò nella
vecchia Beroe Epidaurea, & persuase a Semele, che facesse sperienza se
Giove la amava; percioche questo potrebbe conoscere s'egli le facesse gratia di
venirsi a congiunger seco, come faceva con Giunone. Alla qual cosa dando a
pieno fede Semele, astrinse Giove a giurarli per l'onde stigie di farle quella
gratia ch'ella gli dimandarebbe. Et richiedendoli tal cosa, Giove, dolente
d'haverglila promessa, tolto il minor folgore con quello la percosse &
morì; onde poi trasse dal suo ventre un fanciullo non anco giunto al tempo del
parto, chiamato Bacco. La verità di questa favola penso io, che sia; Tal donna
pregna (sì come si contiene nella fittione) essere stata perercossa da una
saetta. Percioche il foco, cioè Giove, non si congiunge con l'aere, cioè con
Giunone, eccetto, che col folgore, che discende ai luoghi inferiori.
Agave, si come assai è palese, fu
figliuola di Cadmo & d'Hermiona; la quale Cadmo diede per sposa ad Echione,
che fu uno de' compagni, che l'aitò ad edificar Thebe. Dal cui ella partorì un
figliuolo chiamato Pentheo, giovine di grand'animo; il quale (celebrando la
madre, le sorelle & altre donne i sacrifici di Bacco di lui sprezzati) fu da
quelle divenute furiose amazzato. Diceva Leontio questo Pentheo essere stato
Astemio, il quale dalla ubbriaca madre et dall'altre fu morto perche più volte
havea biasimato i loro sacrifici & ebrietà.
Secondo Ovidio, Auttone fu figlia
di Cadmo & Hermiona. Costei fu moglie d'Aristeo, & di lui partorì
Atteone.
Ino medesimamente, come dice
Ovidio, fu figlia di Cadmo & Hermiona; la quale divenuta moglie d'Atlante
figliuolo d'Eolo, & di lui havendo partorito Learco & Melicerte,
poscia, che vide Learco dal furioso padre esser morto, temendo, che l'istesso a
sé & a l'altro figliuolo non avenisse, da un alto sasso precipitosamente si
gittò in mare. Di che avenne per compassione di Nettuno, che Ino fu fatta una
dea marina chiamata Leucothoe, & Melicerte divenne Palemone. Ma io credo,
che questi due lochi fossero due scogli ai quali furono portati gli infelici
corpi & gittati in mare; & per ciò per ricordo de' sopraviventi gli
fossero posti questi due nomi divini. Overo più tosto fosse per quello, che di
sotto si legge di Learco & Melicerte.
Laddacio, secondo Theodontio, fu
il più giovane di tutti i figliuoli d'Agenore. Il quale havendo inteso il
fratello essere stato messo in rotta, & Anfione con le proprie mani haversi
amazzato, & Lica essere stato morto da Hercole, sollecitato con preghi
dagli amici che, lasciata la Soria, se ne venisse in Grecia, & egli per la
vecchiaia sentendosi inhabile alla fatica, vi mandò Laio, ch'era il più giovane
di tutti gli altri suoi figliuoli. Il quale subito, occupato il reame, fu
chiamato Re. Ma Paolo dice Laddacio essere stato figliuolo di Fenice, &
vecchio essere venuto a Thebe da' Thebani chiamato: dove regnò alquanto tempo,
& generò il figliuolo Laio.
Bastevolmente si è dimostrato,
Laio essere stato figlio di Laddacio & Re di Thebe; il quale ò mandato da
Fenice ò pur ivi nato se ne venne a Thebe, & ivi regnò. Dove signoreggiando
tolse per moglie Iocasta figliuola di Creonte Thebano: la quale poscia, che fu
divenuta pregna, egli andò all'oracolo per haver risposta quello, che di tal
prole havesse a succedere; & havendo inteso ch'egli per le mani d'un
figliuolo ch'era per nascerli havea a morire, comandò alla moglie, che mandasse
ad esporre ciò, che da lei nasceva. Là onde venuto il tempo del parto, la madre
dogliosa fece esporre alla morte il fanciullo; il quale per voler de' Cieli
restato vivo, & cresciuto in età, desideroso di sapere chi fosse il suo
padre intese dall'oracolo, che lo ritrovarebbe in Focide: e cosi ivi giunto,
& trovata una seditione tra quei Cittadini & stranieri in armi, amazzò
il padre da lui non conosciuto, il quale cercava metter di mezzo a tal gara. Et
a tal modo Laio per le mani del figliuolo se ne morì.
Edipo Re di Thebe, secondo, che
Statio dimostra nella Thebaide, fu figliuolo di Laio & di Iocasta. Questi
per comandamento del padre, si come di sopra è stato detto, subito nato fu
portato nel bosco ad esporre alle fiere; il quale essendo in questo modo
portato dai servi alla morte, quelli mossi a compassione del fanciullo non lo
gittarono secondo il comandamento alle fiere, ma foratigli e' piedi con un
vincicastro lo legarono per li piedi sopra un arbore; ai gemiti del quale mosso
un certo pastore di Polibo Re di Corinto; il levò da quell'albore & lo
portò al Re. Il quale essendo senza figliuoli con paterno affetto lo raccolse,
& in loco di figliuolo il fece nodrire. Questi nondimeno, cresciuto in età
& havendo inteso se non esser figliuolo di Polibo, si dispose ricercare chi
fosse il suo padre; & andato a consigliarsi con l'oracolo d'Apollo, hebbe
in risposta, che trovarebbe il padre suo in Focide, & che pigliarebbe la
madre per moglie. Cosi venendo in Focide, & ritrovando attaccata una
questione tra i cittadini & forestieri, egli messosi a dar aiuto alla parte
straniera inavedutamente amazzò il padre Laio, da lui non conosciuto, & che
cercava acquetarli. Finalmente come quasi ingannato dall'Oracolo se n'andò a
Thebe, & facendo quel viaggio ritrovò la Sfinge, la quale (dichiarati
ch'egli le hebbe gli enigma) amazzò & entrò in Thebe; dove essendo tenuto
figliuolo di Polibo gli fu data per moglie la madre Iocasta, la quale da lui fu
volentieri pigliata temendo di non haver a torre Meroe, già moglie di Polibo
& da lui tenuta per madre. Cosi divenuto Re di Thebe, & essendo fatto
padre di quattro figliuoli havuti da Iocasta, avenne, che in Thebe nacque una
mortalità grande. Onde andatisi a consigliare con l'oracolo, gli fu risposto la
peste non essere per cessare, se con l'essiglio del loro Re non si purgasse
l'incestuoso matrimonio di Iocasta. Ma mentre, che l'infelice incominciava già
a sospirare, a lui venne inanzi un Corintho, che gli portò nova della morte di
Polibo, & che lo chiamava nel reame. Ond'egli rispondendo temer di venirci,
attento, che havea sospetto di non essere sforzato pigliar la madre per moglie,
da quel corrieri vecchio fu ragguagliato a qual partito fosse portato a
Corinto. Il che sentendo Iocasta, & tornandole a memoria quello c'havea
inteso dai servi ch'il portarono ad esporre, subito guardandoli i piedi conobbe
quello esserle figliuolo. La qual cosa intesa da lui, & conoscendosi
haver'amazzato il padre, assalito dal dolore con le proprie mani si cavò gli
occhi, & volontariamente volse vivere in tenebre. Ma i figliuoli, venuti
per l'ingordigia di regnare tra loro all'armi & fatti disubidienti al
padre, s'amazzarono insieme. Et essendosi già con le proprie mani amazzata
Iocasta, egli doglioso & afflitto, menando seco una delle figliuole, per
comandamento di Creonte fu confinato in essiglio nel monte Citerone. Quello,
che poi avenisse di lui non saprei dire. Nondimeno questo so bene, ma non già
per quali meriti, che dagli Atheniensi si come a Dio gli fu edificato un tempio
& fatti sacrifici; & di ciò n'è testimonio Valerio.
Per testimonio di Statio, Antigona
fu figliuola d'Edipo & di Iocasta. Costei fu quella che, havendo
compassione al padre mandato in essiglio da Creonte, sempre gli diede il
vivere. Et fu quella, che di notte, contra l'imperio di Creonte, venne a dare
le ultime lagrime & sepellire i fratelli. Dove ritrovando Argia moglie di
Polinice, che faceva l'istesso ufficio, secondo l'usanza antica abbrusetaro i
corpi dei fratelli. Ma sovragiunta insieme con Argia dalla guardia della Città,
per comandamento di Creonte fu morta.
Fu Ismene figliuola di Edipo,
secondo, che scrive Statio; della quale altro non si ha eccetto, che fu
maritata in un certo giovane atheniese chiamato Cirreo, il quale inanzi, che
celebrasse le nozze fu morto da Tideo.
Etheocle figliuolo d'Edipo,
sprezzando la riverenza del padre, venne a tal conditione col fratello Polinice
sopra il governo del Reame, che un anno per uno ciascuno di loro havesse il
governo. Et, che quel anno, che l'uno fosse signore, l'altro andasse in
essiglio: Cosi rimasto egli il primo anno signore, & fornito il suo tempo,
Polinice fece per Tideo suo amico richiederli, che secondo il patto devesse
cederli il governo. Ma Etheocle non solamente non volse servar la conditione
tra loro, ma cercò far amazzare a tradimento Tideo ch'era venuto per
ambasciadore. Per la qual cosa egli patì lo assedio di sette Re; &
finalmente venuto a duello col fratello, con eguali ferite si amazzarono
amendue. Et si come furono in vita discordi, cosi anco i loro corpi in morte
non hebbero eguali fiamme.
Chiarissimo è Polinice essere
stato figliuolo d'Edipo & di Iocasta. Questi, col fratello (sì come è stato
detto di sopra) venuto ad accordo nel governo del reame, fu il primo, che se
n'andò in essiglio, & cacciato da pioggie & venti di notte giunse in
Argo; dove messosi a riposare sotto i portici del palazzo reale, avenne, che
Tideo essule della sua patria medesimamente ivi capitò. Et venuti seco alle
mani per cagione dell'alloggiamento furono acquetati dal Re Adrasto, menati nel
palazzo & fatti suoi generi, si come di sopra è stato mostrato. In processo
poi di tempo essendo andato Tideo come legato di Polinice ad Etheocle per
dimandarli il possesso del reame, contra ogni ragione del mondo non solamente
non fu essaudito, ma anco fu cercato di tradire. La onde si venne a tanto
(essendo già nato a Polinice d'Argia sua moglie un picciolo figliuolo), che
Adrasto, adunati i prencipi d'Argo, mosse guerra contra Etheocle & i
Thebani. Nella quale inghiottito dalla terra Anfiarao, ferito Tideo a morte con
una saetta, & morti diversamente combattendo gli altri Re, fu insieme fatto
volontario accordo ch'amendue i fratelli a corpo a corpo havessero a finir le
liti. Nel qual duello, parendo già vincitor Polinice, pian piano dal fratello,
che ferito in terra giaceva fu passato da lato in lato; & cosi amendue con
eguali ferite caderono. De' quali fu tanto fiero & iniquo l'odio, che anco
tra i loro morti corpi quello continuò. Percioche, essendo amendue in un
istesso rogo posti da Argia moglie di Polinice & da Antigona loro sorella,
non prima fu acceso il foco, che le fiamme si partirono; di maniera, che
chiaramente parve i corpi non sopportare d'essere abbruggiati da un istesso foco.
Thessandro fu figliuolo di
Polinice & Argia, secondo il testimonio di Statio; il quale essendo
divenuto forte giovane tra tutti gli altri Baroni, se n'andò con i Greci alla
guerra Troiana. Et, si come dice Virgilio, fu uno di quei ch'entrò con Ulisse
nel cavallo di legno. Ciò, che poi avenisse di lui, non l'ho ritrovato.
Come Plinio vuole nel libro
dell'historia naturale, Scita fu figliuolo di Giove; del quale non si legge
altro eccetto quello, che l'istesso Plinio allega di lui, cioè, che fu il primo
qual ritrovasse l'arco & le saette. Il cui inventore la Sacra Scrittura
vuole, che fosse molto più antico; perche si vede quella affermare Lamech
essere stato arcieri. Della stirpe dell'Ethere à noi resta Celio; il quale,
accioche dia principio al seguente libro, ci è paruto meglio lasciarlo a
dietro.
Solcando io con picciola
barchetta il gran mar salso degli Eroi antichi; ecco, che tra l'asprezze delli
scogli, & tra i turbati mari, Numenio Filosofo, vecchio di grand'età, &
huomo al tempo suo d'autorità degna, mi si fece incontra; & con assai
benigna voce, & ornato parlare cosi mi disse; Perche con la tua fatica
offendi le deità, là dove col riposo potresti haverle piacciuto? à me anco fu
già nell'animo quel pensiero, che te hor preme, cioè aprire i chiostri al vulgo
de' theologhizanti Poeti.
Onde mentre con tutte le forze
del mondo, che fosse possibile m'ingegnava palesare, & scoprir il segreto
de sacrifici Eleusini; ecco che dormendo nella profonda notte à me apparvero le
Eleusine Dee con habiti da meretrici, con vesti vergognose; & ritrattesi
nelle profonde cave delle fornicationi con i panni alzati per compiacere ad
ogn'uno. Ilche parendomi poco honesto alla dignità, & maravigliandomi molto
cosi pudiche Dee essere venute in cosi scelerato, & dishonesto luogo di
meretrici, subito ricercai la cagione di tanto vergognosa ignominia. Ma quelle
con guardo bieco, & con rugginosa fronte verso me rivolte, con faccia,
& parole sdegnose cosi incominciarono. Ahi scelerato ruffiano, che cosa ci
domandi? Tu sei la cagione di cosi vituperosa ribalderia. Perche pigliando ne
capelli per forza noi, che con l'opre sempre siamo state caste, & pudiche,
pian piano guidi noi castissime, & pudicissime nelle publiche stanze delle
meretrici. Ma io, come che fossi involto in profondo sonno, non altramente, che
s'io havessi vegghiato subito le intesi essersi sdegnate, & dormendo
conobbi quello, che vegghiando non havea: cioè i misteri sacri essere opra di
pochi, & subito dalle cose incominciate mi rimossi, affine di non incorrere
in più fiero sdegno. Ma tu molto più desiderando, che non ti si conviene poco
avedutamente sei entrato in un profondo, & oscuro gorgo, & ti presumi
quello, c'hò lasciato io. Tacerò, ch'io mi creda à te essere conceduto tanto
lume, & ingegno, quanto faccia mestieri a cosi sublime opra, ma non voglio
già tacer questo. Avertisci già, che t'ho avisato quello, che fai. Crisitone,
per haver offeso Cerere, pericolò. Pentheo sprezzando i sacrifici di Baccho,
percosso nel capo dalla madre, ne diede le dovute pene. Niobe, per haver
oltraggiato Latona, perduti i figliuoli, & il marito, divenne dura selice.
Et per non raccontare più essempi, credi tu forse senza pena scoprire i fatti
degli Dei? Tu t'inganni. Et se tu non ti rimovi, non conoscerai l'ira loro, fin,
che non l'havrai provata. Allhora io (se bene l'impeto dell'ondeggiante mare mi
ostava), alquanto nondimeno stei sopra di me, & dissi; Da quai paesi sei
venuto tra questi scogli? dimmilo, che te ne prego, perche tengo, che tu sia
venuto dall'Inferno. Conciosia, che con l'odore di solfo tu empi il tutto,
& hai la bocca piena d'infernale caligine. Et di più udì io questi essere
mandati del scelerato Plutone: ilquale pensa, quasi ad un huomo Christiano,
come già tempo soleva à Gentili con tai cose mettere paura. Quelle catene
veramente sono cadute, & le arme dell'inimico sono state vinte. Noi redenti
col pretioso sangue habbiamo vinto, & essendo rinati, & lavati in
quello, non temiamo i suoi inganni. Nondimeno io non manifesto i segreti delle
tue Dee, nè apro gli andamenti de tuoi Dei, come s'io volessi più da vicino
vedere le loro pazzie: ma ciò faccio, accioche si conosca, che se i Poeti
havessero ottimamente conosciuto Iddio, sarebbono stati huomini famosissimi,
& per lo maraviglioso arteficio degni di riverenza. Et affine, che tu vegga
quanto poco conto io faccia di questi tuoi favolosi Dei, userò una preghiera
simile à quella di Stratonico, che pregava in se l'ira d'Alabando, & cosi
Hercole, che pregava l'immolesto. Adunque io prego tutti quelli, de quali m'essorti
fuggir l'ira, che mi siano contrari. Ma à te, & à loro insieme con quelli,
che creggiono tali pazzie, Giesù Christo ponga la sua mano aiutarci. Cosi
detto, quello subito disparve. Ma io attento col mio naviglio solcherò il mare
Egeo, per cercare una grandissima prole del Cielo. Onde colui mi conduca, che
con la guida della Stella condusse in Soria i Magi, ch'erano venuti da Sabea ad
adorarlo, & offerirli doni.
Il Cielo, non quella grande
macchina ornata di Stelle, la quale Orfeo diceva essere composta da Fanete per
habitatione sua, & degli altri Dei, & la quale noi sempre veggiamo con
un circuito caminare, ma un certo huomo cosi chiamato (come dice Tullio nelle
nature degli Dei), fu figliuolo dell'Ethere, & del giorno, cioè della virtù
ardente, & della luce famosa: da quali il suo nome venne in luce. Et,
ch'egli sia stato huomo, assai manifestamente si dimostra in Lattantio; il
quale cosi dice nella sacra historia; Io ho ritrovato Uranio huomo potente
haver havuto per moglie una donna chiamata Vesta, & da lei haver havuto per
figliuoli Saturno, & Opi; ilqual Saturno, divenuto potente per lo reame,
chiamò il padre suo Uranio, Cielo, & la madre, Terra, accioche con questa
mutatione di nomi egli venisse ad aggrandire lo splendore dell'origine sua,
&c. Oltre di ciò, si come dice Ennio nell'historia sacra, à Giove suo
nipote fu il primo che nel Monte Paneo edificasse Altari, & gli
sacrificasse, & da lui nomò questa vera machina, che veggiamo, Cielo. Ma
Eumero dice questo Celio, overo Cielo essere morto nell'Oceano, & sepolto
nel castello d'Aulatia.
Opi, overo Opis, che è la terra,
come piace à Lattantio nel libro dell'institutioni divine, fu figliola del
Cielo, & di Vesta, & del fratello Saturno moglie, & madre di Giove,
& di molti altri dei; per la qual cosa appresso i ciechi del mondo fu molto
riverita. Ma, ò che gli antichi theologizando facessero ciò per manifestare gli
errori suoi, ò per nascondere con le lor fittioni al vulgo la verità delle cose
alte (come è stato mostrato), ò più tosto per adulare à Giove grandissimo Re
(lasciata da parte l'historia), con maravigliose fittioni ornarono questa,
& di maniera la inalzarono, che in luogo di grandissima dietà fu honorata
da molti, & à lei furono drizzati altari, & tempi, & furono
instituiti sacerdoti, & fatti sacrifici in diversi luoghi; de quali (per
meglio vedere il tutto) diremo alcuna cosa. Prima la chiamarono madre degli
Dei, & à lei ordinarono una carretta da quattro ruote guidata da due leoni;
& al suo campo assignarono una corona in forma di torre, aggiungendo nelle
sue mani un scettro. Oltre di ciò la vestirono con una veste molto notabile,
per essere intagliata di rami, & herbe. Et quando ella caminava le andavano
inanzi alcuni huomini, i quali, perche erano Eunuchi, venivano detti Galli,
sonando alcuni timpani, & instrumenti di rame. Et nel suo circuito posero
le sedie vuote, volendo ch'alcuni huomini armati la accompagnassero. Quello
adunque, che sentissero, di tante cose, hora veggiamo. Fu tenuta madre degli
Dei, perche terreni sono gli huomini, che dagli huomini sono fatti Dei. La
corona in forma di torre, della quale è ornata, assai dimostra dover esser
intesa invece di Terra, essendo il circuito della Terra à guisa di diadema
ornato di Cittadi, & Castella. La veste poi distinta à rami, & foglie
dinoterà le selve, i frutti, & l'infinite spetie dell'herbe, de' quali la
superficie della Terra è coperta. Ma il scettro ch'ella porta nelle mani
significherà i Reami, le ricchezze, & la potenza dei signoreggianti sopra
la terra. Che poi sia guidata da una carretta, essendo immobile, intesero
l'ordine, nelle opre della terra, per li quattro tempi dell'anno continuamente
essere serbato con un certo circolar camino. Ma perche sia guidata da Leoni,
egli si può render questa ragione. Volsero veramente mostrar l'usanza degli
agricoltori nel seminar la terra, perche i Leoni (come dice Solino nel libro
delle Cose Maravigliose) sono avezzi, se fanno il loro viaggio, solamente per
la polve con la loro coda guastare le vestigia de' suoi piedi, accioche i
cacciatori da quelle orme non possano haver inditio del suo camino. Il che
fanno anco gli agricoltori del terreno, i quali, gittato c'hanno in terra i
semi, subito cuoprono i solchi, affine, che gli uccelli non mangiano le
sementi. Oltre di ciò, essendo l'ossa dei Leoni tra tutte l'altre ossa
d'animali dure, volsero intendere essere bisogno le membra de' coltivatori
essere più robuste di quelli degli altri. Overo più tosto si dimostri quelli,
che noi chiamiamo Re dei quadrupedi sudditi al giogo di Opi, i prencipi del
mondo, che sono sottoposti alle leggi della Terra. Le sedie poi vuote d'intorno
à lei istimo, che non vogliono inferir altro, eccetto, che dimostrare non
solamente le case, ma anco le Città, che sono stanze degli habitanti, rimangono
vacue molte volte ò per guerra ò per peste, overo, che nella superficie della
Terra molte sedie siano vuote, cioè molti luoghi dishabitati; overo ch'essa
Terra sempre tenga molte sedie vuote per quelli c'hanno à nascere. Overo per
dimostrare, che quelli a' quali s'appartiene il lavorìo della terra, nè dico
solamente degli agricoltori, ma anco dei Prencipi, che sono Governatori delle
Città, & Reami, non debbono darsi in preda all'otio nè alla da poco quiete,
anzi continuamente star aveduti, & avertire, conciosia, che sempre vanno in
ruina quelle cose, che mancano dell'essercitio di questi tali. Oltre di ciò gli
assignarono huomini armati, che d'intorno le fanno la guardia, volendo per ciò
dinotare ciascuno de mortali per la patria dover esporsi alla guerra, & per
la salute di quella prender l'armi. Haver poi i Sacerdoti Galli, dicono ciò
essere avenuto che, questa madre dei dei havendo grandemente amato un fanciullo
Ati, & trovatolo giacere con una concubina, per gelosia gli tagliò le parti
genitali; per la qual cosa vogliono à lei convenirsi simili sacerdoti, per
contrario senso Galli chiamati. Ma vuole Macrobio, nel libro dei Saturnali, per
l'amato Ati doversi intendere il Sole, il quale in ogni anno mostra
ringiovinire, & di maniera dalla Terra è amato, che (in se raccolta ogni
influenza) partorisca l'herbe, & i fiori, che noi veggiamo. Che poi ella lo
castrasse, credo ciò essere finto perche ad un certo tempo dell'anno i raggi
del Sole paiono essere sterili, & spetialmente d'intorno l'Autunno, &
il Verno, nelle quai stagioni pare alcuna cosa da loro non essere generata.
Overo (sì come dice Porfirio) Ati è un fiore dalla terra amato, come proprio
ornamento suo, il quale allhora dalla terra è castrato quando, succedendo il
frutto, il fiore cade; overo se cade pria del frutto, non è poi più atto al
frutto. Che questi sacerdoti portino i Timpani, & altri instrumenti di
rame, vogliono, che per tali Timpani: i quali sono vasi semisferici, &
sempre à due à due sono portati, doversi intendere due hemisperi della Terra;
in tutti due e quali (come alcuni si sono imaginati), l'opra della Terra si
dimostra. Per quelli di rame vogliono, che s'intenda gli stromenti atti alla
agricoltura, i quali, già pria, che si trovasse l'uso del ferro, solevano farsi
di rame. Oltre di ciò nomarono costei con molti nomi, parte de' quali si sono
di sopra dichiarati dove si ha trattato della Terra, & alcuni sono qui
communi con alcune dee, che si diranno per l'avenire. Nondimeno quelli, che
sono suoi propri ho giudicato esser bene descriverli. La chiamano adunque Opi,
Berecinthia, Rhea, Cibele, Anna, & magna Pale. Vogliono per ciò, che sia
detta Opi (come dice Rabano) perche dia aiuto alle biade, & per l'opra sia
fatta migliore; Berecinthia (secondo Fulgentio) come signora dei monti, perche
è madre dei dei, conciosia, che i monti s'intendeno per li Dei, cioè per gli
huomini inalzati; overo (sì come piace ad altri, & à me anco) da Ericinthio
monte, overo castello di Frigia, dove con molta riverenza era adorata. Rhea, poi,
percioche l'istesso tal vocabolo in greco suona, che in latino fa Ope. Ma
Cibele alcuni volsero quelle cosi essere detta da un certo Cibalo, il quale
vogliono, che fosse il primo Sacerdote ch'a lei amministrasse; altri dal
castello Cibalo: dove dicono i suoi sacrifici essere stati ritrovati. Nondimeno
alcuni affermano essere cosi detta da Cibel , che significa movimento di capo,
il quale si faceva frequentemente ne' suoi sacrifici. Alma poi da alendo ,
che significa nodrire, percioche con suoi frutti nudrisce tutti. Pale, poi,
cosi la dissero i pastori, & la chiamarono anco Dea de' pascoli, perche dai
pascoli agli armenti, & ai greggi.
La gran Theti, dice Paolo,
Crisippo volere, che fosse figliuola di Cielo, & Vesta, & moglie
dell'Oceano. Il che Lattantio afferma, & dice, che fu madre delle Ninfe. Ma
Servio la chiama Dori, la qual cosa penso ch'egli habbia cavato da Virgilio,
mentre dice;
Così mentre
trascorri il mar Sicano
L'amara Dori
non conturbi l'onde.
In queste cose adunque non vi
essendo niente d'historico, egli è da vedere il senso allegorico. Theti senza
dubbio è un'acqua, la quale (dice Crisippo) per forza di fervor celeste è
tratta dalle viscere della Terra; & cosi dal Cielo, non da huomo; & di
Vesta, cioè della terra essere nata. Ma Dori s'interpreta per amarezza, il
quale per lo calor del Sole (come i Fisici vogliono) s'aggiunge all'acqua
marina; il che per esperienza chiaramente si vede. Perche, secondo, che dicono
i nocchieri, l'acqua salata sta solamente mischiata col mare di sopra via, di
maniera, che fra lo spatio di dieci piedi sotto le acque il mare si trova
dolce. Ma veggiamo la cagione per la quale la fanno sposa dell'Oceano, essendo
anco l'Oceano acqua, onde pare, che marito, & moglie sia una cosa istessa.
Credo io, che quelli, che hanno finto tal cosa habbiano voluto intender
l'Oceano doversi pigliare per elemento semplice dell'acqua, il che è tenuto per
l'agente, dove si ritrova attione d'acqua; ma Theti essere l'acqua elementata,
overo c'habbia mistura d'altri elementi, per opra della cui mistura può
concepire, & nodrire. Ma descrivendosi i Dei haver l'uno, & l'altro
sesso, come si vede per li versi di Valerio Serrano, che cosi dice;
Onnipotente Giove Re dei regi,
Et inventore, & padre, &
madre insieme
Degli Dei, & solo Iddio, e
istesso Iddio , &c.
Vogliono, che mentre l'acqua opra
alcuna cosa sia detta Oceano, & quando patisce, Theti. Seneca poi, dove
scrive delle Questioni Naturali, pare, che voglia altramente, perche dice
l'acqua virile esser detto mare, & la feminile tutto loavanzo. La
chiamarono anco Theti Maggiore per differenza di Theti madre d'Achille, la
quale gli antichi volsero, che fosse ninfa, ma non grandissima Dea, eccetto se
non chiamiamo (come alle volte si fa) anco le ninfe Dee. Questa Gran Theti
partorì dall'Occeano molti figliuoli, de' quali si dirà poi.
Lattantio nel libro delle Divine
Institutioni vuole, che Cerere fosse figliuola del Cielo, & di Vesta. Di
Theodontio costei essere stata moglie di Sicano, antichissimo Re di Sicilia,
& essere stata la prima ch'insegnasse a Siciliani l'uso del fromento, indi
a Sicano haver partorito molti figliuoli; nondimeno non ne noma alcuno.
Tuttavia Pronapide vuole Acheronte essere stato suo figliuolo, & per ciò di
lei recita questa favola, cioè ella essere divenuta pregna, & per vergogna
del ventre, che le cresceva essersi andata à nascondere in una segreta spelonca
di Creta, dove partorì Acheronte. Il quale, non havendo ardire riguardar la
luce, scese all'Inferno, & ivi fu fatto fiume infernale. Della cui fittione
l'istesso Theodontio spiega tal ragione. Dice egli haversi per cosa ferma, che
Cerere persuase al fratello Saturno, che à patto alcuno non restituisse il
reame à Titano; così, contra il patto tra Saturno, & Titano fatto, quei
figliuoli maschi, che generò Saturno segretamente subito nati gli tolse, &
insieme con la madre Vesta gli fece nodrire. Il che essendosi scoperto, &
havendo inteso Saturno, & Opi essere imprigionati da Titano, temendo, che
l'istesso à lei non avenisse, andò in Creta à nascondersi in alcune spelonche,
nè hebbe ardire comparire, fino attanto, che non fu fatta certa Giove
vittoriosamente haver liberato i padri. Là onde Pronapide vuole Cerere per la
prigionia dei fratelli ivi haver concetto il dolore, & in quelle oscurità
haverlo partorito, cioè mandato fuori, overo lasciato, mentre per la vittoria
di Giove tutta lieta si lasciò in publico vedere. Ma quello essere stato detto
Acheronte dall'A, che vuol dir senza, & Cheron, allegrezza; percioche senza
allegrezza è colui, che si duole. Onde dice, ch'egli non volse veder la luce,
perche i dogliosi per lo più, con gli occhi à terra chini, disiano lo star
soli, & in luoghi oscuri. Divenne poi fiume infernale, conciosia, che
nell'Inferno non v'è allegrezza alcuna. Nè à lui è dato padre alcuno, attento
che solamente viene generato dal voler nostro.
Acheronte Fiume infernale, senza
padre, fu figliuolo di Cerere, si come è stato mostrato. Paolo diceva costui
essere stato figlio di Titano, & della Terra, & per ciò da Giove
nell'Inferno cacciato: perche havendo sete i figliuoli di Titano, egli gli
havea conceduto acque limpide, & chiare. Ma il nostro Dante nella prima
parte del suo Poema chiamato Inferno tiene contraria opinione da questa del suo
nascimento, perche dice nella sommità del monte Ida in Creta essere una gran
statua d'un certo vecchio, il cui capo è di oro, il petto, & le braccia
d'argento, il corpo, & le reni di rame, le gambe, le giunture, & il piè
sinistro di ferro eletto, il destro piede di terra cotta; & in lei essere
quasi una corporal grandezza, tutta rivolta verso Roma. Indi tutte queste parti
di membra, eccetto il capo d'oro, ha certe fessure, che stillano gocciuole
d'acqua, overo di lagrime; le quali raccolte insieme, & passando per
caverne all'Inferno, fanno il fiume Acheronte. Ma quello, che vogliano
significare cosi diverse fittioni hoggimai è da vedere. Perche sia detto
figliuolo di Cerere, egli è stato mostrato. Che sia poi stato figliuolo di Titano,
& della Terra si può anco ammettere, mentre vogliamo pigliare Titano per lo
Sole, come anco vollero gli antichi, & cosi alcuni si sono imaginati,
oprando il calor del Sole, l'acque del mare essere condotte nelle viscere della
Terra, & da quelle per lo freddo della terra divenute dolci, estendersi. Et
cosi dando il Sole la materia, può essere detto suo figliuolo, & anco di
colei dal cui ventre pare ch'egli esca fuori. Che sia fiume infernale, egli si
può intendere in tal modo. Sono due fiumi c'hanno il nome d'Acheronte: uno
irriga appresso i Molossi, come dice Tito Livio, & mette capo in certi
stagni chiamati inferni, & da quelli corre nel Thelespontio seno. L'altro
poi per la morte d'Alessandro Epirota, molto famoso, correndo appresso Lucani scende
nell'Inferno. Et cosi ciascuno di loro cala all'Inferno, percioche quello il
quale è appresso i Molossi nel reame già di Plutone, che è detto Dio
dell'Inferno (per essere fatto dall'Oriente del Sole) scorre più à basso, &
cosi se è nel reame di Plutone è nell'Inferno. Nondimeno in tal maniera alcuni
giudicarono del secondo. Affermano nel tempo antico essere usanza ai Greci di
mandare i condennati in essilio in Italia, overo essi essuli venirci
volontariamente; la quale, perche dicevano essere appresso il mar infero, ò
perche la Grecia è inferiore dall'Oriente del Sole, eglino volevano il fiume,
& i condennati essere nell'Inferno. Là onde vogliono essere stato aggiunto
il luogo alla favola, attento, che anco la ethimologia del nome del fiume
favorisce alla fittione, essendo interpretato senza allegrezza, overo salute,
come se gli essuli dalla patria fossero senza allegrezza nè salute. Quelli poi
c'hebbero contraria opinione, si come Servio, & dopo lui Alberigho, dicono
Acheronte non essere fiume, ma terra d'Italia. Nondimeno di questo dirassi
altrove. Ma Dante intende del vero fiume Acheronte infernale, & dicendo,
che nell'isola di Candia sia una statua d'un vecchio di vari metalli composta,
che guarda da Adannata città di Soria verso Roma, fa presuposto designare la
convenevolezza del luogo all'origine, insieme con i tempi, & le cagioni. Ma
prima veggiamo del luogo. Dice adunque la statua del vecchio star diritta,
accioche vegniamo ad intendere la generatione humana, che anco dura, benche sia
antica; appresso è posta nel monte Ida. Ida adunque significa bellezza, per la
quale vuol intendere la beltà delle cose temporali, la cui volendo dimostrar
caduca, & frale, dice già quel monte essere lieto, & hoggidì triste,
& diserto. Dice anco in un monte di Creta, percioche l'Isola di Candia pare
essere nel mezzo del Mondo in tre parti diviso: perche da Settentrione vi è il
mare Egeo, dall'Occidente l'Ionio, overo il Onirteo, che sono mari d'Europa;
dall'Oriente il mare Icario, & il Carpatio, overo Egittio, i quali sono
d'Asia, ma da mezzo Giorno, & Occidente è sostenuta dal mare Africano,
& cosi da tre parti del Mondo v'è il termine, accioche intendiamo non
solamente una di queste parti, ma tutte dar opra, che questo Acheronte si
generi. Ma quello già si creò dalle gocciuoli cadenti, cioè dai peccati, da le
opre scelerate, & dai manchamenti dell'antiche età, & hoggidì fa
l'istesso; affine, che conosciamo per li peccati de' mortali perdersi l'eterna
allegrezza. Ma accioche appaia non ogni età in ciò convenirsi, dice il capo d'oro
essere massiccio, affine, che per quello si comprenda il tempo dell'inocenza
del primo padre insieme col nostro; mentre per lo battesmo rinati nella
fanciullezzat semplici perseveriamo. Poi si viene al metallo d'argento, ch'è
l'età più compiuta, la quale come che dimostri essere più intiera per le forze
corporali, nondimeno per li vitij divene più vile; cosi quella parte d'argento
ha molte fessure, cioè peccati. Finalmente segue la terza età, più sonora delle
prime, & d'opre molto più lontana, & questa medesimamente è aperta,
& procaccia accrescimento di miseria. Segue poi la ferrea più forte
dell'altre, ma anco peggiore, & più ostinata. Ultimamente viene la terrea,
verso la quale tutta la machina corporea s'inchina, & per la cui si figura
la fragilità de' mortali, & la debolezza dei vecchi, & questa anco è
fessa. Dalle quali fessure nasce, che le lagrime escano fuori, & facciano
l'Acheronte, cioè la perdita dell'allegrezza, dalla cui nasce l'aquisto della
tristitia, affine ch'indi succeda l'origine di Stige; & dalla tristitia
venga l'incendio del dolore, che è Flegetonte, & da questo germogli il
pianto della miseria, & una frigidezza perpetua, che dinota Cocito. Che poi
da Damiata si sia cangiato verso Roma, descrive il genere humano, c'hebbe
principio nel campo Damasceno, & hora riguarda Roma ultima de' Reami del
Mondo, cioè il fine suo.
Pare che tutti i Poeti vogliano
le furie essere tre, delle quale parmi in generale voler trattare alcune poche
cose; accioche in particolar poi più facilmente il resto intendere si possa.
Primieramente dicono quelle essere state figliuole d'Acheronte, & della
Notte. Che Acheronte le sia stato padre, Theodontio lo dimostra. Che siano
figliuole della Notte, egli si vede per Virgilio, dove cosi parla:
Queste
due pesti per cognome dette
Furie si
sono in uno istesso parto
Prodotte
da la Notte atra, & oscura
Insieme
con Megera empia, e infernale .
Appresso
volsero questi tali haver diversi nomi, perche dissero nell'Inferno chiamarsi
cani, come pare, che voglia Lucano, dove dice;
Homai
v'allaccierò con vero nome
Et voi
cani infernai ne l'alta luce
Collocherò , &c.
Da'
mortali sono dette furie, si come è manifesto dall'effetto per li versi di
Virgilio:
Dai
cerulei capei si leva un serpe,
Et gli lo
gitta in sen: il qual scorrendo
Fino al
profondo cor, ivi si ferma
Là onde
avien, che per lo fiero mostro.
Tutta furiosa il gran Palazzo
scuotte
Sono
anco appresso noi dette Eumenide, si come mostra Ovidio dicendo:
Tennero
in man l'Eumende le faci
Rapite, e
tolte dal funebre rogo.
Onde
assai chiaramente si vede ciò essere fatto appresso noi nello sventurato
matrimonio. Si chiamano anco Dire, & questo appresso i Dei del Cielo,
secondo, che dimostra Virgilio:
Come
tosto conobbe di lontano
Lo strido
de la dira, & l'ali; allhora
L'infelice Iuturna squarciò i crini
.
Percioche
la Dea Iuturna conobbe lo strido della dira, ò vogliamo dir fiera, nell'aere,
& non in terra, si dicono anco uccelli, come mostra l'istesso Virgilio:
Hor
lascio le squadre; & non smarrite
O rozzi
augei, me timido, & tremante;
Che di vostr'ali le percosse i
veggio.
Oltre di ciò Theodontio dice appresso habitatori di liti esser chiamate Arpie, & appresso dicono, che sono sottoposte à i voleri di Giove, & di Plutone, come di loro scrivendo Virgilio dimostra.
Queste
stanno dinanzi il tribunale
Di Giove;
& stanno ancor nell'ampia entrata
Del fiero
Re; dove a' mortali infermi
Accrescono
il timor; s'avien ch'il capo
De gli
altri dei vuol far, ch'alcun divenga
Di lieto
mesto; vuol punir alcuno.
O con guerra smarrir Regni, e
Cittadi.
Ma
hora è da vedere il significato di queste cose. Le chiamano figliuole
d'Acheronte, & della Notte non per altra ragione, (a me pare), che per
questa. Quando non succedono secondo il disio i voleri, è forza, che la ragione
ceda; di maniera, che di necessità pare, che nasca una perturbatione di mente;
la quale non senza giudicio di cecità di mente continua, & per lo
continuare diviene maggiore, fino attanto, che cade nell'effetto; il quale, oprato
senza ragione, necessariamente conviene parere furioso. Et cosi le furie
nascono di Acheronte, & dalla Notte. Oltre di ciò appresso gl'infernali
sono dette cani, overo cagne, cioè appresso gli huomini di bassa conditione, i
quali ricevendo qualche disturbo, non potendo le loro forze far resistenza al
furore, con gridi empiono il tutto, à guisa di cani ch'abbaiano. Appresso gli
huomini mezzani sono poi dette furie, overo Eumenide: percioche con maggior
incendio offendono il furioso, attento che, affine, che l'huomo mediocre in se
si roda, & consumi, oprano alcune cose. conciosia, che la legge publica
vieta, che non si opra nei minori, ma nei maggiori la potenza, Cosi lo sdegno
non lascia, che questi tali secondo il costume del basso vulgo mandino fuori pianti,
nè lamenti. Seco adunque sono infuriati, & se dirompono in pianti, la forza
gli constringe, & può cagionare, che loro entrano poi in grandissimo
furore, rispetto à molte cose, che si congiungono alla furia. Il nome
d'Eumenide è venuto da Hei, che è accento doglioso, & da Men; che significa
mancamento: percioche colui, che patisce, à se stesso è propria pena; overo per
antifrasi sono dette da Heu, & Mane: il che l'uno, & l'altro significa
bene, & elleno mancano d'ogni bene. Appresso i Dei sono dette Dire, rispetto
alla crudeltà de' maggiori contra i minori, alla cui subito ricorre il furor
de' maggiori. Sono poi dette uccelli dalla velocità del furore, attento, che
subito dalla mansuetudine volano gli huomini al furore. Da gli habitatori dei
liti si chiamano Arpie, dalla rapacità. Percioche con tanta ingordigia quelli
correno alla preda, che punto non sono differenti dal furore. Le chiamano anco
inchinate a Plutone, perche egli viene detto Dio delle ricchezze, onde noi
veggiamo spesso l'ire, i disturbi, & le gare nascere per l'ingordo disio
dell'oro. Che poi stiano dinanzi à Giove non è maraviglia, come che egli sia
detto benigno, & pio, percioche al pio giudice è bisogno haver per ministri
dei vindicatori delle scelerità; de quali, se mancano ò non tengono cura,
l'autorità delle leggi liggiermente va in fumo. Appresso alle volte per li
peccati de' popoli dalla divinità è conceduto, che negli elementi si congiunga
il furore, & che per la discordia di quelli s'infetti l'aere; onde nascano
pestilenze mortali, per le cui noi infelici siamo ingiottiti. Cosi anco per la
superbia di que' tali nascano guerre, da' quali si conseguono incendii,
sacheggiamenti, & ruine.
La
prima delle furie Aletto, è figliuola d'Acheronte, & della Notte, la quale
cosi descrive Virgilio:
Elegge Aletto,
ch'è cagion dei pianti
Tra tutte
l'altre sue fiere sorelle,
Et da l'infernal
tenebre la scioglie.
A costei
sono à cor le triste guerre
L'ire, gl'inganni,
& i peccati iniqui.
Di maniera,
ch'il padre esso Plutone
L'odia, & in
odio ancor l'han le sorelle.
Questo monstro
infernal si cangia in tante
Diverse forme,
& molte faccia piglia,
Con tanti
fieri serpi d'ogn'intorno.
Et poco da poi soggiunge dicendo:
Sta in tuo
potere a perigliose guerre
Armar l'un
contra l'altro i car fratelli,
Et in odio
voltar tutte le case.
Tu sopra
i tetti puoi recar tormenti,
Et portarli
funebri, ardenti faci.
Mille deitadi
sono in tuo potere,
Et di nuocere
altrui teco hai mille arti.
Et
quello, che segue. Onde assai per questi versi si veggono gli uffici di tal
furia, & si vede anco à bastanza la sua potenza, & la crudeltà, essendo
per insino à Plutone, & all'istesse sue sorelle in odio. Secondo Fulgentio,
Aletto significa inquietudine; accioche si conosca ogni furia dall'animo
inquieto haver principio. La quale inquietezza tante volte entra nelle menti,
quante noi restiamo di conoscere noi medesimi, & Iddio.
Thesifone è la seconda delle
furie, & figliuola d'Acheronte, & della Notte; la quale cosi dipinge
Ovidio:
Nè con
indugio Thesifone piglia
Con
importunità l'humida face
Per lo
gelato sangue, & per quel rossa
In
publico si veste, e à se d'intorno
Cinge,
& intorce velenosi serpi.
Esce di
casa, e accompagnata viene
Da pianti, da timor, da doglia e
stridi.
Et quello, che và dietro; alle
quai cose Claudiano aggiunge queste;
Cento
serpi, ch'a lei d'intorno stanno
Le girano
la faccia, e intorno il capo
Minori
sono, ma piu crudi e fieri.
Entro le
membra poi splende una luce
Eguale à
quella, che dimostra Febo
Quando da
nubi è circondato, e chiuso,
Di venen piena, & di color di
ferro.
Et à queste tali appresso, Statio
continuando soggiunge:
Camina
tutta colma di veleno,
Et per
l'oscura bocca le esce fuori
Un'infiammato
odor di marcia, e lezzo,
Dal qual
viensi à produrre ad ogni gente
Et fame, & sete, & morbi,
& una morte.
Cosi adunque, si
come per Virgilio è stata mostrata la qualità d'Aletto, per questi tre Poeti è
stata descritta quella di Thisifone. Oltre di ciò dice Fulgentio Thisifone
essere l'istesso, che è Trithonifone, cioè voce d'ire, nella cui, poscia, che
il petto gonfio ha fatto una inquietezza, leggiermente si cade. Et per ciò
Ovidio vuole tal successo essere quella face, che di sangue ondeggia, perche
l'ira infiammata mai non esce, eccetto, che in sangue. Et per tal causa la
chiama rossa per lo sangue, che abonda, togliendo il colore della faccia
dell'huomo irato, affine di mostrare la dispositione dell'animo. Nè prima
l'irato si leva, che non venga accompagnato dalle lagrime degli amici, che
conoscendolo poco in cervello, di lui temeno; il quale però viene accompagnato
dal terrore, accioche corrucciato tutto paia terribile. Ma i serpenti à quella
locati, sono per dinotare la crudeltà dell'ira. Di quì venendo l'huomo irato
manda i vapori in voce, cioè in parole, che spesso partoriscono ruine di paesi,
& morti, & povertadi d'huomini.
Megera terza delle furie,
figliuola d'Acheronte, & della Notte, in questo modo viene dipinta da
Claudiano, dove si tratta delle Lodi di Stillicone:
Si leva
poi da sedia triste, e vile
Megera
iniqua, a cui stassi appresso
Un
scelerato error d'animo pazzo,
Et l'ire,
che di spiume empie, e severe
Per tutto
ondeggia; & altro non ricerca,
Che
sangue sparso per ferite, e morti,
Et di
quel beve solo; & sol si nutre
Di quel,
ch'insieme spargono i fratelli.
D'Hercole
sol smarrì costei la faccia;
Questa
de' difensor bruttò le membra,
Che
difendean la terra; & questa sola
D'Athamante
drizzò gli acuti dardi.
Costei
d'Agamennon scorrendo in casa
Tese gli
aguai al re poco avedutto.
Con
auspitio di costei le faci
D'Himeneo
congiunse il mesto Edipo
Con la
dolente madre, e ancor Thieste
Con la
figliuola oprò l'istesso effetto.
Et quello, che segue. Onde,
perche Megera significa gran contrasto, overo lite, assai possiamo conoscere
per li sopradetti versi i fatti convenirsi al nome, la onde nasce, che dal
travaglio dell'animo vegniamo ne i gridi, & dai gridi nell'odio, &
rissa; per le quai cose divenuti furiosi spessissime volte andiamo in ruina.
Secondo Paolo, Vittoria fu
figliuola d'Acheronte, & partorita da Stige sua figliuola; alla cui
(dicono) Giove essere stato cosi grato che, havendolo ella favorito nella
guerra contra i Giganti, le diede per incompensa tal dono, che il giuramento
degli Dei fosse sopra la madre Stigia. Et se alcuni di loro facessero contra il
giuramento, fossero obligati per spatio d'un certo tempo astenersi dal Nettare.
Costei in tal modo viene dipinta da Claudiano dove egli tratta delle lodi di
Stilicone:
Al Capitano
essa Vittoria mostra
L'ale forate,
& con la palma verde
Tutta festosa,
ornata di trofei
Si dimostrasse
guardia dell'impero
O donzella,
che sol rimedi a tutte
L'empie ferite,
& sol insegni a noi
Non sol quelle
patir; ma non provare
Fatica alcuna,
nè dolente affanno.
Ma Theodontio, quasi accordandosi
con Claudiano, nel dipingerla l'adorna d'ornamenti trionfali. Nondimeno Paolo
discorda da loro, & la chiama lieta, Ma circondata di rugginezza, & di
polveroso lezzo, vestita d'armi, & con mani sanguinose, hora menando
prigioni, & hora partendo spoglie. Et quegli ornamenti, che Theodontio à
lei ascrivea egli attribuisse all'Honore, il quale dicono essere suo figliolo.
Ma hora veggiamo quello, che di ciò volsero inferire. Credo gli antichi haver
voluto la Vittoria essere stata figliuola d'Acheronte perche non s'aquista per
otio nè riposo, ma da continui pensieri: i quali, mentre dall'ingegno cacciano
piu utili consigli, veramente svegliano il pensiero, & dà lui rimovono ogni
allegrezza; & cosi viene ad offerirsi Acheronte. Oltre di ciò nè nelle
conversationi, & meno nei giuocchi non si ritrova, anzi si trahe da
vigilie, imaginationi, & continue fatiche, con constante animo, & forte
petto, dolori di ferite, & toleranze correrie; le quai cose senza tristezza
del sopportante occorere, nè patir, non si ponno. Ma accioche questa tristezza
sia differente da quella tristitia delle furie, quella dall'infermità della
mente, & questa dalla corporale per lo piu si genera. Et cosi à colei
ch'era venuto Acheronte per padre, incontanente Stigia le succedè per madre.
Per lo contrario poi gli festosi, & che non pensano à niente, facilmente
caggiono in ruina. Troia afflitta non puote esser presa, & lieta subito fu
pigliata. Dice Clodiano la Vittoria haver l'ale, percioche leggiermente,
lasciata un'opportuna occasione, spesso vola in altra parte: viene ornata di
palma, perche mai il legno della palma non si corrompe, & le foglie serbano
la verdezza, affine che per quella si comprenda l'accresciuta fortezza del
vincitore, & il nome verdeggiar lungamente. E poi ornata di Trofei, per
dimostrare la seconda spetie dell'Honore dal vincitor speso; perche il trionfo
era minore, & perche in quello il vincitore sacrificava una pecora, dalla
similitudine della parola Ovem, Ovatio si chiamava. Overo gli antichi
chiamavano il trofeo Tronco, fatto a somiglianza d'un huomo vinto, onde essendo
dell'armi del vinto cosi vestito, piu tosto (secondo Paolo) era più
propriamente disegnato per un habito di Vittoria, che (sì come vuole
Thedontio), in altra guisa. Percioche subito il vincitor non s'orna delle
spoglie; ma poi elle si danno à lui per la Vittoria, & non alla Vittoria
s'attribuiscono.
Dice Paolo, & Theodontio,
l'Honore essere stato figliuolo della Vittoria; ma non gli danno padre.
Nondimeno io istimo costui essere detto figliuolo della Vittoria perche egli si
consegue dell'aquistata Vittoria, il quale anco viene dato in presenza di chi
lo riceve; essendoli anco in assenza date le lodi. A costui fu dedicato già da
Romani un tempio vicino à quello della Virtù, nel quale non si poteva entrare
se non per quello della Virtù; accioche si conoscese alcuno, ecceto, che col
mezzo della Virtù, non poter conseguir Honore. Et se ciò aviene ad alcuno per
altra cagione, egli allhora non è Honore, ma ridicolose, et mortali carezze.
Vogliono, che la riverenza gli fosse moglie, & da quella à lui nascesse la
Maestà. Nondimeno sono di quelli, che dicano l'Honore, & la Riverenza
essere una cosa istessa, essendo elleno però differenti. Vi è l'Honor publico,
& il privato. Publico egli è allhora quando si conosce in alcuno con la
corona di lauro, overo col trionfo. Privato è quello, che è conceduto dai
privati, mentre si leviamo a far riverenza ad alcuno privato, lo mettiamo di
sopra, & ne' tempij, & nel sedere gli diamo il primo luogo. Riverenza
poi è quella, che prestiamo a i maggiori, non per comandamento, ma
volontariamente, overo per usanza, & quando anco con i ginocchi chini,
& col capo scoperto parliamo con humani degni di honore; le quai attioni
s'appartengono solo a Iddio, benche gli ambitiosi Prencipi à se le habbiano
usurpate.
Vuole Ovidio la Maestà essere
stata figliuola dell'Honore, della quale nei libri delle Pompe cosi dice:
Mentre l'Honore,
e honesta riverenza
Con piacevol
faccia messe i corpi
Nei legitimi
letti; di qui nacque
La sacra
Maestà, che regge il mondo.
La qual
in ogni dì, che fu prodotta
Grandissima fu certo;
& poi fermossi
Subito in mezzo
il Cielo alta, e sublime,
V d'oro
si vedea col bianco seno.
Istimo, che volessero costei
essere stata figlia dell'Honore, & della Riverenza: perche dal dato honore,
& della conceduta Riverenza nasce un certo stato di maggioranza in colui,
che lo riceve; dal cui si è detta la maestà convenevole al solo Iddio.
Ascalafo fu figlio d'Acheronte,
& di Orna Ninfa, si come dice Ovidio.
Ascalafo la ode;
il qual si dice
Orna, non
Ninfa vil tra le infernali
Già d'Acheronte
suo prodotto havere,
Et partorito
sotto l'onde oscure.
Dicono, che costui, essendo stata
rapita Proserpina da Plutone, & cercandosi s'ella, nell'Inferno, havesse
mangiato alcuna cosa, la accusò, & disse, che havea mangiato tre grani di
melegrane nel giardino di Dite, la onde fu sententiato, ch'ella non si potesse
piu rihavere in tutto; & egli da Cerere fu tramutato in Aloco. Circa la
qual fittione credo i Poeti non haver voluto intender altro, che dimostrare
esser cosa odiosissima l'ufficio dell'acusatore. Et però dicono subito Ascalafo
essere stato converso in un Barbagianni, percioche, si come l'Aloco è un
uccello funebre, & sempre di cattivo augurio tenuto, cosi l'accusatore di
continuo è prenuntio di fatica, et ansietà all'accusato. Oltre di ciò l'Alocco
è animale, che strida, affine dimostrare gli accusatori essere stridosi. Cosi
anco, si come tal uccello sotto la quantità di varie piume è di picciolo corpo,
medesimamente sotto le lunghe ciancie degli accusatori per lo più si trova poca
verità. Non inconvenevolmente adunque è detto figliuolo d'Acheronte, a
somiglianza almeno dell'ufficio; perche, si come Acheronte priva d'allegrezza
tutti quelli ch'egli passa all'altra riva, cosi l'accusatore empie di tristezza
quelli ne' quali è contrario. Che poi Orna sia detta sua madre, ciò è pigliato
dall'usanza dell'Alocco, il quale spessissime volte, si come dicono quelli
c'hanno scritto delle proprietà delle cose, nel giorno de' morti habita sopra i
loro sepolchri, i quali (secondo Papia) si chiamano Urne; onde Lucano dice:
Il Ciel
cuopre colui, che non have Urna.
Le cose poi, che s'appartengono à
Cerere, & Proserpina, dove di loro si tratterà, saranno dichiarate.
Stigia viene detta l'infernal
palude, & da tutti è tenuta figliuola d'Acheronte, & della Terra, &
appresso (secondo Alberigo) nutrice, & albergatrice degli Dei; per la quale
anco, si come di sopra è stato detto, giurano i Dei, & per tema di
supplicio non ardiscono giurare in vano, secondo, che dice Virgilio:
Et la Palude
Stigia per la quale
Temeno in van
di non giurare i Dei.
Percioche, per insino ad un certo
spatio di tempo, colui, che sopra lei giurava invano era privato del Nettare
dei dei. Et ciò vogliono ch'a lei fosse conceduto perche la Vittoria sua figliuola
diede favore alli Dei contra i Giganti Titani: Stigia s'interpreta tristezza,
& però essendo Acheronte senza allegrezza, di lui viene detta figliuola;
attento che, secondo Alberico, colui, che manca d'allegrezza entra in tristitia
leggiermente, anzi è necessario, che v'incorra. La terra poi le è data per
madre perche, derivando ogni acqua da quel fonte di tutte le acque solo,
Oceano, è necessario, che sia condotta per le viscere della terra per insino à
quel luogo dove entra in publico: & cosi Stigia viene ad essere figliuola
della terra. Overo, secondo altro sentimento. Tra gli humori imprese da gli
elementi mortali, dalla terra s'imprime la maninconia: la quale senza dubbio è
madre, & nutrice della tristezza. Che fosse poi nutrice, & albergatrice
degli Dei, ciò non fecero senza mistero. D'intorno il quale egli è d'avertire
la tristezza essere di due sorti. Percioche ò si attristiamo per non poter
conseguir, sia per qual cagione si voglia, i fieri nostri desideri, ò si
attristiamo conoscendo da noi essere oprata alcuna cosa men giustamente di
quello si convenga. La prima tristezza non fu mai nutrice nè albergatrice dei
Dei. La seconda veramente ci fu, & è perche dolersi delle cose mal fatte,
non è altro, che dar nutrimenti alla virtù, col mezzo della cui i Gentili
vennero nelle loro deità, & noi Christiani giungiamo alla beatitudine
eterna; nella quale non siamo Dei bugiardi, nè caduchi. Queste spetie di
tristezze nel sesto dell'Eneida molto bene haverle conosciute dimostra
Virgilio, dove caccia nel profondo centro i perfidi, & ostinati huomini nel
male: nel cui luogo non è redentione alcuna. Ma gli altri, dopo le purgate pene
per li peccati, conduce nei campi elisi. Overo vogliamo dire quello, che più
tosto hanno giudicato forse i Poeti, i Dei, cioè il Sole, & le Stelle alle
volte essere andati dagli Egittij. Il che aviene nel verno, quando il Sole
lontano da noi tiene il Solsticio Antartico; la qual cosa medesimamente ivi fa
oltre gli Egittij meridionali, e habitano appresso il capo di Cenith; & allhora
le Stelle sono nutrite dalla palude Stigia, secondo l'opinione di quelli che
istimavano i fuochi dei corpi celesti pascersi dell'humidità dei vapori, che si
levano da l'acqua, & appresso lei dimorano, fino a tanto, che non chinano
il grado verso il polo Artico. Seneca poi dimostra Stigia essere sotto la
regione d'Austro, & ciò narra in quello libro, ch'ei scrisse de i sacrifici
degli Egittij, dicendo; la palude Stigia essere appresso i superi, cioè
appresso quelli, che sono nell'Emispero superiore, dimostrando poi appresso
Cirene, ultima parte dell'Egitto verso Austro, esservi un luogo: il quale gli
habitatori chiamarono Fiala, cioè amico, & ivi appresso essere una gran
palude, che, essendo difficilissima da passare, per ritrovarsi piena di fango,
& ella, è detta Stigia, come cosa, che apporti seco tristezza, & molta
fatica ai passaggieri. Che li Dei giurino per la palude Stigia, vi può essere
questa ragione. Colui il quale grandemente s'allegra non mostra haver quel, che
disia; percioche a lui non manca ragione perche non habbia da temere di qualche
sinistro. Et di questi tali vi sono i Dei da loro fatti felici, per la qual
cosa resta ch'eglino giurino per la tristezza, che a loro conoscono contraria.
Che anco quei, che giurano il falso siano privi della bevanda del Nettare,
penso ciò essere detto perche quei, che di felicità sono caduti in miseria
erano detti haver mal giurato, cioè male essersi adoprati, cosi della bevanda
Nettarea erano caduti all'amarezza della disgratia.
Cocito è fiume infernale, il
quale (secondo Alberico) nacque della palude Stigia: il che penso essere detto
in tal modo: perche il pianto, figurato per Cocito, nasce dalla tristezza, che
è Stigia.
Anco Flegetonte è fiume
infernale, & secondo Theodontio è figlio di Cocito. Onde (penso) ciò essere
detto percioche dal lungo pianto liggiermente ogn'uno entra in furore; il che (sì
come piace ad alcuni) occorre per natura. Attento, che per le lagrime, restando
il cervello d'humidità vuoto, gli ardenti empiti del core non si ponno
raffrenare. Et cosi l'huomo entra in furia. Flegetonte s'interpreta ardore,
affine, che si comprenda dal troppo ardore del cuore i furori degli huomini
eccitarsi.
Lethe viene detto fiume
infernale, & figliuolo di Flegetonte, istimo io per tal ragione, conciosia,
che dal furore nasca l'oblio; percioche veggiamo gl'infuriati scordarsi
dell'honor proprio, & de' suoi. Et Lethe viene interpretato oblio. Virgilio
mette questo fiume appresso i Campi Elisi, & finge, che Mercurio dà à bere
dell'acqua di tal fiume à quelli ch'egli vuole, che tornino ne' corpi, delle
quai cose s'è detto di sopra, dove si ha trattato del primo Mercurio. Ma il
nostro Dante scrive quello nella sommità d'un Monte del Purgatorio, &
dimostra, che le anime pure, & degne del Paradiso ivi beono per scordarsi i
passati mali, il ricordo de quai darebbe impedimento alla felicità eterna.
Il primo Vulcano, col testimonio
di Tullio, dove tratta delle nature de' Dei, nacque dal Cielo, del quale non si
ritrova altro eccetto che generò da Minerva, figliuola del secondo Giove (sì
come dice Theodontio) il primo Apollo. Credo io, che costui fosse un huomo
infocato, & d'ardente vigore, & che anco fosse figliuolo di Saturno.
Piace a Cicerone, &
Theodontio, che Apollo fosse figliuolo del primo Vulcano, & di Minerva;
& si come l'istesso Tullio nelle Nature de Dei afferma, fu il più antico di
tutti gli altri Apolli. Dice Theodontio, che costui fu l'inventor della
medicina, & il primo conoscitore delle virtù dell'herbe, come che Plinio
nell'historia naturale affermi Chirone, figliuolo di Saturno, & di Filara,
essere stato il primo, che conoscesse le virtù dell'herbe, &, che
ritrovasse il medicare.
Mercurio, il quale è il terzo,
come dice Tullio nelle Nature dei Dei, hebbe per padre il Cielo, & per
madre il Giorno (eccittata nondimeno vergognosamente la natura); conciosia che,
essendosi mosso dall'aspetto di Proserpina, à lei diede quei ornamenti ch'agli
altri si metteno. Tuttavia Theodontio dice, che gli Egittij di intorno alla
verga, che costui tiene in mano gli hanno d'intorno involto un serpe; il che
Valerio dimostra nel settimo libro de gli Epigrami di Martiale, dicendo;
Mercurio honor
del Cielo, & massaggiero
Molto facondo;
qual in mano tiene
D'oro una verga;
à cui d'intorno giace
Un'horribile
serpe in giro avolto.
Oltre di ciò dicono ch'egli hebbe
da Venere sua sorella un figliuolo Hermafrodito. Ma lasciate queste cose,
veggiamo d'investigare quello, che sotto tali fittioni volsero intendere gli
antichi. Et prima perche dicano lui vergognosamente essere stato generato dal
Cielo. D'intorno ciò esponeva Leontio molte cose, si come l'aspetto del Cielo
verso la Terra, il raro apparire del Pianeta di Mercurio, & altre simili.
Le quali, perche à me paiono frivole, (lasciatele da parte) ho voluto
descrivere l'opinione di Barlaam. Diceva egli questo tal Mercurio nella
natività sua essere stato chiamato Hermete, overo Hermia, & generato di stupro
da Filone d'Arcadia, & da Proserpina sua figliuola, della quale, essendo in
un bagno, impudicamente s'accese. Et cosi assai chiaramente si vede che,
commossa la lussuria, & la natura vergognosamente, Proserpina fu veduta.
Dice anco haver havuto nome Hermes percioche, subito nato, Filone s'andò à
consigliare con un Mathematico delle successioni di quello, onde gli fu
risposto, che tal figliuolo diventarebbe un huomo divino, & grandissimo
interprete delle cose celesti. Là onde Filone, c'havea deliberato esporlo alla
morte, lo fece serbare, & con diligenza nodrire, chiamandolo Hermes;
percioche Hermena in greco latinamente suona Interprete. Dopo questo, essendo
il fanciullo cresciuto in età, & per vergogna della scelerata sua origine
andato in Egitto, ivi maravigliosamente fece profitto in molte scienze, &
specialmente in Aritmetica, Geometria, & Astrologia, in tanto, che fu
preposto à tutti gli altri Egittij. Onde, per la eccellenza delle predette cose
havendo già dalli Egittij meritato il cognome di Mercurio, diede opra alla
Medicina, nella quale divenne non meno profondo, che nelle altre scienze; &
in tanta riputatione crebbe che, senza lasciare il nome di Mercurio, fu tenuto
per Apollo. Appresso, essendo molto più ampiamente divenuto capace ne' sacrifici
degli Egittij, à tutti crebbe in grandissima riverenza. Et ivi, ò per
nobilitare l'origine sua, ò per coprir la vergogna di quella, fu detto
figliuolo del Cielo, et del Giorno, come persona scesa dal Cielo, & nella
luce del giorno divenuto notabile. Oltre di ciò, di costui Hermes Trimegistos,
il quale di lui mostra essere stato nipote, fa ricordo in quel libro scritto ad
Asclepio dell'Idolo, dicendo che se bene è morto: aiuta, & conserva quelli,
che vengono al suo sepolcro. Ma quello, che vogliano significare le insegne a
lui attribuite hora è da vedere, attento, che diverso significato hanno in
Mercurio pianeta, altro in Mercurio governatore, altro nel mercante, &
altro nel ladro. Dicono adunque (sì come è stato trattato parlandosi del primo
Mercurio) lui essere coperto con un capello, accioche per quello intendiamo il
Cielo, dal quale, benche tutti noi siamo coperti, specialmente debbe essere
conosciuto dal Medico con la speculatione d'intorno alle stelle, & i vari
movimenti, & dispositioni dei pianeti; accioche per quelli, che oprano ne i
corpi humani, & cagionano molte cose, egli possa conoscere le cause
dell'infermità, i successi, & i propri rimedi, & appresso ordinare
quelle cose, che si mostrano necessarie alla salute dell'infermo. Le ale poi,
che a lui si mettono ai piedi sono affine, che conosciamo bisognare al Medico
la prontezza, & la scienza delle cose convenevoli ai rimedi, &
l'avertimento, che l'infermo non manchi, inanzi la malattia, che prima non
giunga l'argomento del Medico tardo. Oltre di ciò, accioche essi conoscano che,
essendo eglino ministri della natura (messa da parte ogn'altra cura), debbono
volare a i bisogni degl'infermi. Appresso egli porta una verga, la quale
habbiamo detto di sopra essergli stata conceduta da Apollo, affine, che si
veggia l'autorità, senza la quale alcuno non devrebbe essercitare tal ufficio;
essere data da Apollo autore della medicina, cioè dal Medico esperimentato,
& dotto. Indi dicono lui con questa verga chiamar le pallide anime dalla
morte; accioche si conosca molti già gran tempo ch'erano per lo giudicio, &
arte d'infiniti Medici per morire, essere stati sostenuti in vita con l'aiuto
del Medico saputo, overo dalla morte ritornati in vita. Cosi per lo contrario,
mentre poco sono conosciute le cagioni de i morbi, con questa istessa verga,
cioè autorità, overo arteficio men dovutamente oprato; molte anime, che
sarebbono restate in vita sono mandate nel profundo Tartaro, cioè alla morte.
Con questa verga il Medico dà anco i sonni, cioè con l'arte molte fiate dà il
sonno à quei, che non ponno declinare, & in loro danno lo toglie à quei,
che troppo dormeno. Appresso, con tal verga il Medico rimove i venti, mentre
con persuasioni, & vere ragioni, togliendoli il timore, rimove le stolte
openioni degl'infermi; overo, mentre anco con suoi siloppi, & altri rimedi
rissolve in niente le ventosità, che crucciano le viscere in grandissimo dolore
del sopportante. Cosi anco penetrano i nuvoli mentre cacciano le humidità
superflue, cioè levandole dal corpo languido, & mandandole in fumo. Il
serpe poi è rivolto d'intorno quella verga, accioche conosciamo l'essercitio
medicinale, senza naturale, & dovuta discretione, non meno inchinarsi alla
ruina, che alla salute, perche alle volte non meno dalla consideratione del
Medico, che dall'arte derivano i rimedi. Conciosia, che l'arte insegna col
Reobarbaro cacciarsi dai corpi le cose supperflue; il che se si usasse più del
dovere, ò in quantità, in uno indebilito, leggiermente con la superfluità
n'uscirebbe l'anima. Et però d'intorno tali, & simili cose molto giova
l'aveduta discretione del medico, la quale viene sotto apparenza del
prudentissimo serpe aggiunta alla verga, & d'intorno à quella avolta,
affine, che mai l'autorità senza la discrettione non si debba oprare. Paolo dice,
poi, che non è cosa vera che abbia generato un Hermafrodito, ma ciò è stato
finto, & aggiunto perch'egli fu il primo, che dimostrasse agli Egittij con
raggione naturale poter nascere uno Hermafrodito, & in qual parte della
matrice dalla femina fosse concetto; attento, che per inanzi loro istimavano
essere cosa monstruosa nascer tali parti, & però (se alle volte aveniva,
che ne nascesse alcuno) come cosa contra natura lo gittavano via.
Dice Theodontio, che Hermofrodito
fu figliuolo di Mercurio, & di Venere; il che dimostra anco Ovidio,
dicendo:
Nudrirono le Naiade
negli antri
Del monte
Ideo un bel fanciul, che nacque
Di Venere,
e Mercurio; del qual'era
Il sesso
tal, ch'in lui chiar si scorgea
L'imagine del padre,
& de la madre,
Et da
l'uno, & da l'altra hebbe il suo nome.
Del quale, Ovidio recita appresso
tal favola. Dice egli che, essendo costui stato lasciato in Ida monte della
Frigia, dove era stato nudrito, cosi caminando giunse in Caria, & ivi vide
un fonte limpido, & chiaro, nel cui la ninfa Salmace habitava. La quale,
veggendo questo giovanetto bellissimo, incontanente di lui s'accese, & con
piacevoli parole si sforzò di condurlo al suo disio. Finalmente di ciò
vergognandosi il giovanetto, & insieme sprezzando le parole, & gli
abbracciamenti della ninfa, quella, fingendo partirsi, si nascose dietro un
cespuglio. Onde il giovane, pensando la Ninfa essersi partita, ignudo entrò in
quel fonte. Il che veggendo la Ninfa Salmace, subito spogliatasi, ivi
medesimamente si corcò, & à forza lo prese, & tenne stretto. Ma
ritrovandolo fiero, & a' suoi desideri non pieghevole, pregò li Dei, che
facessero ch'amendue loro divenissero un solo. La qual cosa avenne. Et cosi
colui, che maschio era entrato nel fiume, uscendo, & maschio, & femina
ritrovossi; il quale poscia pregò medesimamente i Dei, che tutti quelli
ch'entrassero nel detto fonte havessero à patire l'istesso infortunio. Il che
egli, col favore del padre, & della madre ottenne. Vuole Alberico, che
l'Hermafrodito generato da Mercurio, & Venere sia il parlar lascivo oltre
il diritto, il quale, dovendo esser virile, per la soverchia delicatezza di
parole pare feminile. Ma io riferisco questo Hermafrodito alla natura di
Mercurio, il quale ha l'uno, & l'altro sesso, si come l'honorato Andalone
diceva; percioche con i maschi Pianeti è maschio, & con li feminini è
femina. Onde egli vuole tra l'altre cose inferire, à quei nelle cui natività
sta in ascendente, che se altro pianeta non gli facesse opposta, overo altro
luogo del Cielo, di necessità sarebbe tenuto dalla concupiscenza dell'uno,
& l'altro sesso. Ma alcuni vogliono il Poeta haver penetrato più in alto,
dicendo nelle matrici delle donne esservi sette stanze atte al parto, tre delle
quali sono nella parte destra del ventre, altrettante nella sinistra, & una
nel mezzo; & ciascuna di queste ne può concipere due, come che Alberico
dica, nel libro delle nature degli animali, egli haver avertito dal nascimento
d'una certa donna, ella l'un dopo l'altro haver conceputo 150. figliuoli.
Quelle stanze adunque, che sono dalla parte dritta quando riceveno il seme
partoriscono maschi, quelle poi dalla sinistra femine; quando poi il seme entra
nel mezzo, & produce, quelli, che nascono hanno il sesso commune, cioè
maschio, & femina, & gli chiamiamo hermafroditi. Cosi in quella
celletta di mezzo, si come in fonte dell'uno, & l'altro sesso, si bagnò,
& mentre l'uno, & l'altra cerca vincere per non star di sotto, nasce,
che si veggiamo i segnali dell'una, & l'altra vittoria. Là onde la
preghiera viene essaudita, che se alcuno si bagna in quel fonte, uscendo fuori,
divenga mezzo huomo. Ma istimo io molto diversamente i Poeteggianti haver
inteso. Percioche Salmace è un fonte famosissimo di Caria; il quale, accioche
non resti tinto di tal machia, piacemi, & il fonte purgare, & ogn'altra
cosa insieme c'havrà dato materia à tal fittione. Et adunque, (si come vuole
Vitruvio nel libro dell'Architettura) in Caria un fonte di tal nome non lontano
da Halicarnaso, per la sua limpidezza famosissimo, & per lo sapore
notabile, appresso il quale i barbari, cioè Carij, & le Leligia habitavano;
i quali, essendo cacciati da Nida, & Revania Arcadi che haveano ivi fatto
Troezen commune colonia, fuggirono sopra le montagne, & incominciarono con
rubberie, & ladronezzi à turbare tutti quei paesi. Ma havendo uno di quegli
habitatori Arcadi, tratto dalla speranza del guadagno, ivi vicino à quel fonte
levato una hosteria, con presuposto, che la bontà di tal acqua a lui devesse
porger gran favore, avenne, che spesse volte que' Barbari fieri, mossi non
tanto dal bisogno de' cibi, come dalla dilettatione dell'acqua, entravano in
quella taverna, & à poco à poco venivano a metter giù per la conversatione
quella Barbarica fierezza. Cosi incominciandosi ad accostare ai costumi de'
Greci più molli, & più humani, in breve tempo di fierissimi parvero esser
divenuti benigni. Là onde, perche la mansuetudine (rispetto alla ferocità) par
femina, fu detto che quelli ch'entravano in quel fiume s'effeminassero.
La gran Venere, secondo, che
scrive Cicerone nelle nature dei Dei, fu figliuola del Cielo, & del Giorno.
Dimostrando appresso, che oltre costei ve ne furono tre altre. Ma afferma
questa essere stata la prima di tutte. Nondimeno, ritrovandosi diverse fittioni
confuse d'intorno tali Veneri, tolto solamente quelle, che ci pareranno a
questa appartenere, lasciaremo le altre all'avanzo. Et ciò faremmo non perche
tutte non si possano appropriare à questa: ma perche, essendo attribuite alle
altre, egli ci pare più honesto riservarle allhora quando di loro si farà
memoria; inanzi l'altre cose vogliono il gemino amore essere stato di costei
figliuol, si come mostra Ovidio, dicendo;
Alhor diss'io,
ò alma madre, e dea.
Di amendue
gli Amor dammi favore.
Del padre poi discordano insieme,
dicendo alcuni ch'egli nacque di Giove, & altri dal padre Libero, cosi anco
vogliono delle Gratie, le quali dicono essere di costei figliuole. Appresso
fanno, che costei ha una cinta nomata Ceston, della quale afferma, ch'ella
essendone cinta; intervenne alle legitime nozze. Altri poi vogliono, che senza
altro legame entri nelle congiuntioni del maschio, & della femina. Et
dicono anco ch'ella grandemente ha in odio la progenie del Sole, rispetto
ch'egli palesò à Vulcano l'adulterio di lei con Marte. Oltre di ciò aggiungono
le colombe essere in sua difesa. Indi, concedendole una carretta, vogliono, che
quella sia guidata da Cigni, consacrandole appresso l'arbore del Mirto, &
tra i fiori la Rosa. Doppo questo Theodontio dice quella nella casa di Marte
haver albergato le furie, & molto essere divenuta loro famigliare. Et si
come per lo più fanno degli altri dei, la chiamano con vari nomi, come sarebbe
Venere, Citherea, Acidalia, Hespero, & Vesperugine, & altri ancora, i
quali lascierò, per venir al senso. Ma perche tutte le cose predette, ò almeno
la maggior parte, è stata quasi da i fingenti raccolta dalle proprietà del Pianeta
di Venere, ho giudicato pria d'ogn'altra cosa descriver quello che di ciò
habbiano compreso gli Astrologhi, accioche più facilmente si capisca
l'intelligenza dei detti Poetici. Et perche ho seguito l'opinione d'Albumasaro,
& dell'honorato Andalone, descriverò secondo le loro fantasie i costumi,
& la potenza di costei, & d'intorno che ella si travagli. Vogliono
adunque Venere essere donna di complessione flemmatica, & notturna, d'acuto
pensiero nel compor versi, beffatrice de' giuramenti, bugiarda, credula,
liberale, patiente, & di molta leggierezza; ma nondimeno d'honesto costume,
& aspetto giocondo, piacevole; nel parlar molto dolce, rifiutatrice della
fortezza del corpo, & della debolezza dell'animo. Oltre di ciò è cosa
propria di costei il dinotare bellezza di faccia, bella presenza di corpo,
& gratia in tutte le cose. Cosi anco maneggio di pregiati odori, &
d'unguenti pretiosi, giuochi di tavole, barrerie, ebbriezze, crapule, &
dilettatione di vini, mele, & d'ogn'altra cosa, che s'appartenga à dolcezza,
& alteratione del corpo. Medesimamente significa fornicationi, &
lascivie d'ogni sorte, quantità di coito, arteficio d'intorno statue, &
dipinture, misture di colmi, variatione di veste ricamate d'oro, & argento;
grandissima dilettatione nel canto, nel riso, ne' balli, & suoni; nozze,
& molte altre cose. Ma lasciate queste da canto, verremo à levare la
corteccia della fittione. La dicono figliola del Cielo, & del Giorno, là
onde (intendendosi del Pianeta) non è tal cosa inconvenevole. Percioche,
parendo fisa nel Cielo, & con quello movendosi, da lui mostra essere
prodotta. Del Giorno poi è chiamata figliuola per la sua chiarezza, conciosia,
che di splendor vince tutti gli altri Pianeti. Non è anco senza misterio il
dire ch'ella habbia partorito il gemino amore. Per la cui chiarezza egli è da
credere quello, che alle volte fu avezzo dire l'honoratissimo Andalone: cioè
Iddio padre onnipotente, fabricando la machina di tutto questo mondo, non haver
fatto alcuna cosa superflua, ò, che mancasse alla commodità degli animali
c'haveano à venire. Cosi anco egli è da credere c'habbia creato i corpi sopra
celesti cosi grandi, & che con ordine per suo, & d'altrui movimento si
girano, non solamente per ornamento, del quale noi per averlo sempre ne gli
occhi, facciamo poco conto, ma haverli anco dato molto potere d'intorno le cose
inferiori, & massimamente questo effetto, accioche per loro movimento,
& influsso i tempi dell'anno, che gira si variassero, si generassero le
cose mortali, le generate nascessero; le nate si nodrissero, & col tempo
giungessero al fine. Nè dobbiamo anco pensare questa potenza confusamente
insieme ne i corpi essere stata congiunta; anzi a ciascuno haver dato il suo
proprio ufficio, & haver distinto d'intorno a quai cose s'havesse ad oprare
la sua autorità. Appresso, haver voluto tutte le cose l'una verso l'altra,
secondo il piu, & il meno delle congiuntioni, & dell'avanzo delle
forze, prestar aiuto secondo la varietà dei luoghi, con corrispondenti bisogni
à condurre l'opra all'intento fine. Et tra l'altre autorità concedute a molti,
si come dimostra l'effetto del Pianeta di Venere, affermava l'istesso Andalone
à quello essere stato concesso ogni cosa, che s'appartiene all'amore,
all'amicitia, all'affettione, alla compagnia, alla domestichezza, & unione
tra gli animali, & specialmente nel generar figliuoli, affine, che vi fosse
alcuno pianeta per la natura pigra, & alla continuatione, & ampliatione
del sesso. La onde si può ammettere da costei esser causato i piaceri degli
huomini. Il che conceduto, benissimo finsero que' Poeti, che dissero l'Amore,
overo Cupido, essere di lei figliuolo. Ma egli è d'avertire perche Ovidio dica
l'Amor gemino. Credo io l'amore esser solo, ma bene istimo che, quante volte
egli si lascia guidare in diversi effetti, & cangia costumi, tante fiate
acquisti novo cognome, & novo padre. Et di qui penso Aristotele haver
designato l'amor triplice per lo honesto, per lo diletto, & per l'utile. Et
accioche Aristotele, & Ovidio non paiano insieme discordanti, forse Ovidio
de gli due ultimi ne faceva un solo; conciosia, che l'utilità mostra dilettare
meno honestamente. Ma perche tale trattato più tosto s'appartiene dove si farà
ricordo dell'Amore, overo di Cupido, verremo alle altre cose, che si
richieggono à Venere. Dicono adunque ella haver partorito le Gratie, & ciò
non è maraviglia, attento, che qual amor mai fu senza gratia; Le quali, perche
siano dette tre, egli si dirà di sotto parlandosi di quelle, & appresso si
dimostrerà molte altre cose a loro proprie. Appresso gli huomini Venerei quella
cinta da loro chiamata Ceston dissero à lei non essere stata data dalla natura,
nè i Poeti à quella l'havrebbono conceduta, se non le fosse stata apposta dalla
santissima, & degna di riverenza autorità delle leggi, affine, che fossero
raffrenati da qualche legame per la troppo soverchia lascivia. Ciò che sia esso
Ceston Homero nella Iliade lo descrive, dicendo;
̉Ή
καί ̉από στήθεσφισ
ελύσατω κεστόν
Ποικίλον, ̉ένθα
δέ οί θελκτήρια
πάντα τέτυκτο
̉Ένθ΄
̉ένι μέν φιλότης
έν δ΄ίμερος
έν δ΄όαριστυς
Παρφασις ̉ή
τ΄έκλεψς νόον
πίκα περ φρονεόντων
La
cui intelligenza è tale.
Cestone slega dai petti il vano
legame dove tutte le cose à se erano volontariamente ordinate, dove l'amicitia,
et l'amore, la facondia, et le carezze a studio erano riposte. D'intorno alle
quai parole considerandosi drittamente, conosceremo le cose appartenenti al
matrimonio. Dice ivi essere l'amore, acciochè per quello si venga à comprendere
il disio del sposo, & della sposa inanzi le nozze. Indi l'amicitia, la
quale dal congiungimento, & convenevolezza dei costumi nasce, & si
ritira in lungo. Se poi i costumi sono differenti, le inimicitie, le villanie,
il disprezzo, & simili cose alle volte veggiamo nascere. La facondia anco,
quanto faccia di mistieri, egli si conosce chiaramente; percioche per lei
s'aprono l'affettioni del cuore, & l'orecchie de gli amanti stanno intenti.
Si acquetano i litigi, che spesse fiate nascono tra marito, & moglie, &
anco s'inanimiscono ad ogni sopportatione. Sono anco ivi le carezze, le quali
hanno possa tirare a se gli animi, & legarci, acquetar l'ire, &
ritornar anco l'amore, che si sia partito; & tanto veramente sono grandi le
sue forze, che non solamente da quelle sono presi gli ignoranti, ma etiandio
(come dice l'istesso Homero) queste spessissime fiate ai saggi hanno tolto
l'intelletto. Vuole Lattantio questo legame, si come per inanzi habbiamo detto
noi, non portarsi se non ad honeste nozze; & perciò ogn'altro
congiungimento, conciosia, che non vi viene portato il Ceston, chiamarsi
incesto. Che poi ella alloggiasse le furie nella casa di Marti, & se le
facesse amiche, istimo per tal cagione ciò esser detto. Sono tra i segni
celesti (come diceva l'honoratissimo Andalone) due, che dagli astrologhi sono
in luogo d'habitatione à Marte attribuiti, cioè il Montone, & il Scorpione.
In quale di queste due case Venere le menasse non sappiamo. Ma se ella le menò
in quella del Montone, credo il principio di primavera essere designata per lo
Montone; percioche la Primavera incomincia allhora quando il Sole entra in
Ariete. Circa il qual tempo tutti gli animal vanno in amore, come dice
Virgilio:
Entrano gli animali
in furia, e in foco.
Nè solamente gli animali brutti,
ma anco le donne; delle cui la complessione è per lo più fredda, & humida;
(venuto il tempo di Primavera) in ardore, & libidine più fortemente si
inchinano. Il qual movimento, se la vergogna non ci mettesse freno, si
convertirebbe in furia. Lascio stare i fervori de' giovani, i quali, se non
s'acquetassero per l'autorità delle leggi, ò più tosto da quelle non fossero
constretti, certamente incorrerebbeno in mortali furie. In questo modo adunque
le furie vengono ad essere state guidate da Venere nella casa di Marte, & à
lei divennero famigliari; & ciò s'intende tanto quanto ella resta sfrenata,
& senza moderatione. Se vogliamo poi, ch'ella le menasse in casa di
Scorpione, il quale è animale mortale, & venenoso, & pieno di frode,
intendo spesse volte l'amarezze degli amanti piene di pensieri esser congiunte
con un poco di dolcezza; per le cui amaritudini molte fiate gl'infelici tanto
ardentemente sono travagliati, che, come furiosi con laccio, con coltello, ò
con veneno rivolgono le mani in se stessi. Overo, che eglino havendo ricevuto
ingiurie, ò essendosi cangiati gli amori, ò per essere state le promesse false,
ò per gl'inganni ritrovati, ò per le bugie, sono constretti dalla disperatione
tormentarsi, & si come fuori di se incorrere in homicidi, & questioni.
Et in tal modo da Venere nella casa di Scorpione vengono ad essere state
albergate le furie. Che Venere anco habbia in odio la prole del Sole, credo ciò
essere stato raccolto dalle cose, che derivano dall'amore dishonesto.
Percioche, si come più di sotto si leggerà nel trattato del Sole figliuolo
d'Hiperione, il Sole produce gli huomini, & le donne bellissime, la cui
beltà veramente guida le menti dei riguardanti nel disio loro; onde quelli, che
sono stati allacciati molte volte con varie arti guidano gli allaccianti. Il
che viene istimato opra di Venere. Questi veramente sono sottoposti ad infiniti
pericoli; attento che mentre giungono alla loro libidine, con pari voleri altri
sono ammazzati, altri sono perseguitati con mortal odio, altri di ricchissimi
giungono in estrema miseria, & molte hanno macchiato il chiarissimo honore
di pudicitia con vergognosa, & perpetua infamia. Et per lasciar da parte
molte altre cose con vergogna, & vituperio alla fine sono morti. Et cosi
chiaramente si vede Venere con antico odio persequitare la progenie del Sole,
& con suoi dolci veneni opprimerla. Oltre di ciò posero le colombe in sua
guardia, il che si legge essere avenuto in tal modo; Stando in alcuni prati in
lascivie Venere, & Cupido, amendue di loro entrarono in contrasto, chi più
fiori potessere racorre. La onde pareva, che Cupido per l'aiuto dell'ali ne
racogliesse più. Di che alzando gli occhi verso Venere, vide Perstiera ninfa,
che porgeva aiuto à lei. Per laqual causa sdegnato, subito la trasformò in
Colomba. Onde Venere veggendola cangiata d'aspetto, incontanente la pigliò in
guardia. Et cosi da indi in quà è seguito, che le colombe sono state consecrate
à Venere. Ma à questa favola parmi, che si debba dare tal senso. Dice
Theodontio, Peristera appresso i Corinthi essere stata una donzella d'origine
molto chiara, & molto più essere divenuta famosissima meretrice. Et perciò
Venere si può dire essere stata agente, & Peristera patiente. La onde
impressione dell'agente nel patiente, è l'Amore. Dai cui stimoli la donzella
crucciata, s'accostò à Venere, cioè al coito: ilquale è quasi l'ultima
intentione dell'agente; se forse per ciò il suo stimoloso disio potesse esser
vinto. Ma nell'usarlo accendendosi più tosto, che estinguendosi tale appetito,
ella giunse à tanto, che non rimase contenta del solazzo d'un solo amante; ma à
guisa di colomba, il cui costume è di provar spessissime volte nuovi amori;
avenne in abbraciamenti di molti. Per la qual cosa da esso Cupido, cioè dallo
stimulo della lussuria, i Poeti vollero ch'ella fosse conversa in Colomba. Onde
Peristera in Greco, Latinamente suona Colomba.
Lequali Colombe sono date in custodia di Venere perche sono uccelli di gran
coito, & quasi di continua gravidanza. Di che sotto ombra di queste,
vogliono, che gli huomini, che spesso usano il coito s'intendano sottoposti à
Venere percioche questi tali vengono in governo d'alcuno, perche non hanno
conosciuto le cose à loro necessarie. Onde havuto un tutore, oprano secondo il
voler di quello. Cosi i libidinosi sono posti sotto la guardia di Venere
attento che sempre si tuffano nelle lascivie, essendo sottoposti à Venere. La
carretta poi è consegnata à Venere; perche anch'ella, si come fanno gli altri
pianeti, con movimento continuo gira per li suoi circoli. Che la carretta sia
guidata dai Cigni, vi ponno essere due ragioni. O che la bianchezza di quelli
si voglia intendere la politezza donnesca; Overo perche, cantando loro
dolcemente, & massimamente essendo vicini alla morte, si voglia mostrare
gli animi degli amanti essere constretti dal canto, & che gli amanti, per
troppo disio sentendosi morire, & venir meno, col canto spieghino le sue
passioni. Il Mirto poi è consacrato à Venere perche (come dice Rabano) ha
havuto nome dal mare: percioche nasce ne i lidi; & Venere viene detta
essere stata generata nel mare. Overo perche il Mirto è un arbore odorifero,
& Venere si diletta d'odori. Overo perche da alcuni si giudica l'odore di
quest'arbore eccitar la lussuria. Overo, si come vogliono Fisici, perche da
quello nascono molti commodi delle donne; ò perche delle loro bacche si fa una
certa compositione per la quale si sveglia la libidine, & anco si
fortifica, il che dimostra affermare Futurio, Poeta, Comico, mentre finge,
Digone meretrice dire:
A me porti
del mirto; acciò ch'io possa
Con più vigor
di Venere oprar l'armi.
La Rosa anco viene detta suo
fiore, perche è di soave odore. De' suoi nomi si ponno anco allegar molte
ragioni. Prima viene detta Venere, la quale dai Stoici è interpretata cosa
vana; si come quelli c'hanno in odio i piaceri. Et è da intendere, che li stoici
la chiamano cosa vana in quanto, che viene à declinare à quella dishonesta
parte delle libidini, & lascivie. Gli Epicuri poi interpretano Venere cosa
buona, si come professori ch'eglino delle vanità sono. Percioche istimano il
sommo bene consistere nei piaceri. Ma Cicerone dice Venere cosi essere detta;
perche viene à tutte le cose. Il che non è detto inconvenevolmente; conciosia,
che viene detta a tutte le amicitie ad alcune dar cagione. Citherea poi è
chiamata dall'Isola Citherea, overo dal monte Cithereo; dove essendo nomata
molto era honorata. Acidalia è detta, ò dal fonte Acidalio, ch'è consecrato à
Venere, & alle gratie in Orcomeno, città di Boetia; dove già gli sciocchi
pensavano le gratie sorelle di Venere lavarsi, overo perche sia cagione di metter
molti pensieri; attento, che conosciamo di quanti pensieri ella empi gli
amanti, & i Greci chiamano i pensieri Acidas. Hespero poi è nome proprio
appresso Greci di Pianeta, & massimamente quando doppo che il Sole declina,
è anco detto Hespero si come dimostra Virg.
Anzi il dì
(chiuso il Cielo) Hespero viene:
Ma Varrone trattando dell'Origine
della Lingua Latina, vuole, che quella sia chiamata Vesperugine dall'hora nella
quale si vede, percioche anco Plauto cosi la chiama, dicendo: Nè oscurità, nè
Vesperugine, nè Vigilie la cacciano. Latinamente viene poi detta Lucifero,
essendo appo Greci (come dimostra Tullio nelle Nature de' Dei) nomata Fosforos,
che significa apportatrice della luce. Et questo aviene quand'ella inanzi il
levar del Sole, & dell'aurora si vede nell'Oriente tanto lampeggiare, che
meritamente viene chiamata Lucifer. Questa i nocchieri, & il vulgo chiamano
molte fiate Diana, perche pare messaggiera del dì.
Molti vogliono, che la seconda
Venere fosse figliuola del Cielo, ma nondimeno dirittamente generata si come
sono creati tutti. Della quale si dice, che Saturno usò crudeltà verso il suo
padre Cielo, onde tolta la falce gli tagliò i membri virili, gittandoli in mare;
dove poi andassero à cadere, non si sa. Ma dicono, che la falce non lontano da
Lilibeo promontorio di Sicilia fu gittata, onde diede il nome di Drepani à quel
luogo, perche la falce in greco si chiama Drepani. I testicoli poi gittati via,
cadessero dove si voglia, generarono di quel sangue una spiuma nel mare, dalla
quale nacque Venere, cosi nomata dalla detta spuma grecamente chiamata
aphrodos, perche cosi costei è anco chiamata. Ma Macrobio nel libro dei
Saturnali dice Venere essere nata dal sangue dei testicoli del Cielo, ma
nodrita dalla spiuma del mare. Dicono appresso, Sereniss. Rè (sì come
rifferrisce Pomponio Mella) gli habitatori di Pafo, tuo castello di Cipro, che
Venere nata in tal modo prima si lasciò ivi in terra vedere, che altrove, onde
spesse volte affermono ignuda essere stata veduta notare, il che i nostri Poeti
alle volte anco hanno scritto. Dice Ovidio in persona di lei:
Aggiungimi a' tuoi
Dei, ch'anch'io nel mare
Ho alcun
valor, se nondimeno in mezzo
Generata di quel
fui bianca spiuma,
Et da lei
presi il grato nome, e il tengo.
Et Virgilio dimostra, che Nettuno
à lei scriva, dicendo;
È giusto
Citherea, che ne' miei regni
Tu ti confidi,
essendo in quelli nata.
Oltre di ciò dicono à costei
le rose essere dedicate, & che nelle mani porti una conca marina. Cosi anco
vogliono, che di lei, & Mercurio nascesse l'Hermafrodito, & da lei sola
Cupido. Molte veramente sono le fittioni, ma di quelle si può cavare tal construtto.
Percioche per questa Venere io intendo la vita lasciva, che in tutto tenda alla
libidine, & alla lussuria, essere una cosa istessa con la detta di sopra.
Et cosi anco pare, che Fulgentio voglia. Che poi sia nata dal sangue dei
testicoli tagliati da Saturno: penso ciò essere detto perche (sì come si può
comprender da Macrobio), essendovi il Chaos, non v'erano tempi, perchioche il
tempo è una certa prolungatione, che si raccoglie dal girar del Cielo; &
cosi dal girar del Cielo nacque il Tempo, & poi da esso tempo vennero i
Caroni, che è anco Cronos, da noi detto Saturno. Onde, dopo il Cielo, da lui
furono seminati tutti semi da generare ch'uscirono dal Cielo; Et volsero, che
tutti gli elementi c'havessero ad empire il mondo fossero fondati da quei semi.
Di che il Mondo con tutte le sue parti, & membra fu compiuto; ma essendovi
il fine di certo tempo di gittare i semi dal Cielo: pare, che i membri genitali
di quello gli fossero tagliati da Saturno, & gittati in mare, accioche si
dimostrasse la via di generare, & produrre, la quale si deve pigliare per
Venere cangiata in humore per lo coito, col mezzo però del maschio, & della
femina, che s'intendeno per la spiuma. Perche, si come la spuma dal movimento
dell'acqua si genera, cosi dal moversi le membra humane viene lo sperma; &
si come quella liggiermente si disface, cosi la libidine con breve diletto si
finisce. Overo, si come piace à Fulgentio, essendo essa concitatione del seme
spumosa, la chiamiamo però spuma marina, rispetto al sudor salso, che viene
d'intorno il coito. Overo, ch'essa spuma sia salsa. Cosi da tale humidità
essendo nata questa Venere, & nudrita dalla spuma del mare, cioè
accresciuta dalla salsedine dell'humidità, viene guidata fino al fine dell'opra
incominciata. Ma egli è da vedere, che humidità sia questa, accioche più
chiaramente si snodi questa origine di Venere. Vuole Fulgentio adunque, là dove
dagli altri si dice Saturno al Cielo, & Giove à Saturno haver tagliato i
genitali, l'opinione sua esser tale. Dice egli, che Saturno in Greco si chiama
Cronos, il che in Latino significa Tempo; al quale, essendo tolto le forze con
la falce, cioè i frutti, che si gittano negli humori delle viscere, si come nel
mare; è di necessità, che la libidine si generi. Et non è dubbio, che da quella
humidità procede Venere, la quale dalla crapula si crea, attento, che rare
fiate entrano in libidine quelli, che digiunano; & allhora massimamente si
crea quando il calore del mangiare, & del bere suscita, & move i
naturali. Onde veramente si dice nascere nel mare, cioe nel gorgo salso del
sangue riscaldato, & si nodrisce della spuma di quello, che volle, cioè
dallo sperma, percioche raffreddandosi quello, la libidine cessa. Alcuni
vogliono la falce essere stata gittata via appresso Trapani, affine, che si dimostri,
si come la falce s'adoprò d'intorno l'origine di Venere, cosi l'abondanza delle
biade, delle quali poi si fanno i cibi, molto d'intorno ciò vagli; la cui
abondanza veramente, con molte altre cose ch'incitano la libidine, è
grandissima nell'isola di Sicilia, dove è Trapani. Nondimeno io istimo, che il
nome del Castello, & la forma del lito, che è simile ad una falce, habbia
dato materia alla particella di questa favola. Che poi gli cittadini di Pafo
vogliano, che Venere uscita del mare habitasse prima appresso loro, dirò la
ragione, con pace tua però, ò Serenissimo dei Re; attento, che s'io non ti
conoscessi giusto, & buono, non ardirei. L'Isola di Cipro, per volgar fama
ò per voler dei Cieli, ò per altro vitio degli habitatori, è un paese tanto
inchinato à Venere, che viene tenuto l'albergo, la stanza, & il nido delle
lascivie, & di tutti gli piaceri. La onde egli è da concedere à quelli di
Pafo, che loro appresso, prima ch'altrove, Venere dell'onde uscisse. Ma,
secondo Cornelio Tacito, ciò più tosto si può pigliare ch'appartenga ad
historia, che ad altro senso. Percioche pare, che voglia Venere, ammaestrata
nell'arte dell'indovinare, con una compagnia armata haver assalito quell'isola,
& haver mosso guerra al Re Cinara; il quale s'accordò con lei d'edificarle
un tempio nel quale à lei havessero à ministrare, & sacrificare tutti
quelli, che fossero, & havessero à succedere della stirpe Reale. Fatto
adunque il tempio, solamente animali maschi erano immolati, & gli altari
erano machiati nel sacrificio col sangue attento, che honoravano quelli con
preghi soli, & col fuoco. Dice appresso, che il simulacro della Dea non
havea alcuna sembianza humana, anzi era posta in un certo adito nell'entrata
largo, & nel giungere all'altare stretto, & oscuro; & perche ciò
fosse fatto in questo modo, non allega alcuna ragione. È poi dipinta ignuda,
accioche si veggia a che ella sia buona, ò perche rende per lo più ignudi
quelli, che la imitano. Overo perche il peccato della lussuria, se bene
lungamente sta occolto, alla fine (mentre meno i disonesti pensano) esce in
publico senza veste alcuna. Overo perche non si può commetter senza essere
ignudo. Dipingono Venere, che nuota, per dimostrare la vita degl'infelici
amanti essere congiunta con amaritudini, & combattuta da diverse fortune
con spessi naufragii. Onde anco Porfirio in uno Epigramma dice:
Di Venere
nel mar povero, e ignudo.
Ma molto meglio nella Cestellaria
dice Plauto, il quale cosi scrive: Credo io l'Amore essere stato il primo, che
si sia imaginato di far macello degli huomini. Di me faccio coniettura in casa
per non passar più oltre, il quale di tormenti d'animo avanzo, & trapasso
tutti gli huomini. Tutto infelice sono tribolato, crucciato, & tormentato
dalla forza dell'Amore. Sono privo d'animo stracciato, & in più parti
lacero, di maniera, che in me non è alcuna memoria d'animo. Dove mi trovo, ivi
non sono, & dove sono, ivi non è l'animo. Cosi in me sono tutti gl'ingegni.
Quello, che mi piace, mi spiace. Già vado in ciò continuando. Già Amore si
piglia giuoco di me lasso d'animo. Mi caccia, mi chiama, mi dimanda, mi
rapisce, mi tiene, mi rifiuta, & mi promette. Quello, che mi dà, non me lo
dà, hora m'inganna. Quello, che m'ha persuaduto mi dissuade; quello, che m'ha
dissuaso mi fa bramare, con fortune marine meco si prova, & cosi rompe
l'animo mio, che ama. Et va seguendo. Veramente bene navigava costui nel mare
di Venere. Ma noi passiamo all'avanzo. Danno a lei in sua guardia le rose,
percioche rosseggiano, & pungono. Il che pare essere cosa propria di
libidine; conciosia, che per la bruttezza della scelerità vegniamo rossi, &
per la conscienza del peccato siamo da un stimolo punti. Et così, si come per
un certo spatio la Rosa ci diletta, & in breve si marcisce, la libidine
anco è una breve gioia, & una cagione di lunga penitenza, attento, che in
breve cade quello, che diletta, & quello, che dà noia si prolunga. Tiene
anco nelle mani una Conca marina, affine, che per lo mezzo di quella vegniamo à
conoscere le sue lascivie. Perche, si come rifferisce Giuba; con tutto il corpo
aperto la Conca si congiunge nel coito.
Cupido (secondo Simonide Poeta,
& si come piace à Servio) nacque di Venere sola; del quale essendosi
altrove da ragionar in lungo, basterà solo haverlo già ricordato.
Tosio, come dice Plinio
nell'historia naturale, & Gellio afferma, fu figliuolo del Cielo. Et
appresso affermano ch'egli fu il primo inventore di fare gli edifici col fango,
togliendo l'essempio dalle Rondinelle nel far dei loro nidi; perche allhora non
anco gli Architetti haveano trovato il modo d'edificare i superbi palaggi. Là
onde viene ad esser cosa chiara quello essere stato un huomo industrioso, &
antico, & meritamente chiamato figliuolo del Sole, cioè della chiarezza.
Restavano de' figliuoli del Cielo
Titano, Giove secondo, Oceano, & Saturno; dei quali essendo grandissima la
discendenza, ci è paruto dar fine à questo terzo libro, serbando Titano al
principio del quarto volume, Giove al quinto, & sesto, Oceano al settimo,
& Saturno all'ottavo, & agli altri.
Splendidissimo Prencipe, ondeggiava
anco d'intorno Pafo tuo Castello, tuttavia descrivendo dishoneste attioni della
lasciva Venere, quando eccoti che, quasi rotta la prigione d'Eolo, tutti i
venti entrando in mare incominciarono dimostrarsi crudeli: onde l'onde di
quello cacciate dal grand'impeto si levavano fino al Cielo, & all'incontro
ributtandole parevano calare fino nel profondo Herebo. Le quali in tal modo
inalzandosi & declinando, & di novo ritornando per lo forte spirar di
quelli qua & là a rimbombare, io tutto stupido, & quasi mezzo vinto per
l'horrore di tanta novità, mentre stavo pensando qual cosa fosse quella
c'havesse dato materia a tal fortuna estrema, fui quasi nel mare affogato.
Finalmente chiamando l'aiuto di colui continuamente, che con la mano sostenne
Pietro, che in una barchetta da pescatore a lui veniva solcando il tempestoso
mare, hor a man dritta & hor a sinistra governando la sponda con quelle
maggiori forze ch'io poteva, scampato da tanto naufragio giunsi là dove, in
alto, vidi non altramente, che uscita fuori dall'infernali caverne la fiera
prole di Titano, che a me se ne veniva. Là onde venendomi a memoria li antichi
suoi costumi, conobbi ch'ella havea suscitato in un tumulo cosi grande tutti
gli suoi nemici Dei, accioche cosi ricercando la materia dell'opra incominciata
io potessi continuare lo stile. O quali ire ella eccittò contra la sua superbia
in mezzo del pericolo, ò quante fiate non solamente lodai i folgori di Giove,
ma anco gli bramai. O quante fiate pregai, che le catene & tormenti le
fossero raddoppiati? Ma che, finalmente? Poscia, che alquanto eglin, non
altramente, che se fossero tornati vivi, fecero empito contra il Cielo; onde
con grandisimo strepito rimbombarono tutte quelle fortune di mare, che i
furiosi venti havevano commosso, (come istimo) per volontà di Dio, a cui
ubbidisce il tutto; s'acquetarono l'onde, & se bene il mare non venne in
tutto tranquillo, nondimeno si fece navigabile. Per la qual cosa dilungatomi da
Cipro, & venendo verso l'Egeo, di lontano tutto maraviglioso incominciai
riguardare certi grandissimi corpi dai folgori anco abbrugiati, & per
l'infernal pallidezza & caligine sozzi; i quali erano di maniera
incatenati, che non senza difficultà puoti cavare i nomi per descriverli.
Tuttavia quelli c'ho potuto conoscere saranno posti in questo volume, con i
suoi discendenti. Ma accioche io non manchi, mi sia in aiuto colui ch'aprì il
fiume Giordano al popolo Israele nel passarlo.
Assai nel precedente volume s'è
detto del Cielo, figliuolo dell'Ethere & del Giorno. Ma nel descriversi la
sua prole, dicono gli antichi Theologi, si come mostra Lattantio nel libro
delle Divine Institutioni, Titano essere stato suo figliuolo, & di Vesta.
Del cui Theodontio affermò la Terra figliuola di Demogorgone essere stata
moglie; della quale vedrassi nelle seguenti scritture egli haver havuto molti
figliuoli. I quali tutti mostra Virgilio, che siano nati nella quinta Luna,
mentre dice;
Alhor la Terra ne la quinta Luna
Con scelerato parto il fiero Oeto
Et Iapeto, & Tifeo genera, e
insieme
Gli altri fratelli congiurati in
uno
Di
rovinare il Cielo, & struggier Giove.
Di questo Titano si riferiscono
molte cose favolose, tra le quali specialmente dicono ch'ebbe guerra con Giove
& egli altri Dei. Onde, volendo eglino torli il Cielo, messero per forza di
braccia monti sopra monti, con animo di fare col mezzo di quelli una strada per
giungere al Cielo. Nondimeno furono finalmente da Giove fulminati, &
incatenati nell'Inferno a perpetua morte, come assai convenevolmente nel sesto
dell'Eneida mostra Virgilio. Le cose, che sono nascoste sotto questa fittione
contengono in sé historia, & senso morale congiunto al naturale. Quello,
che s'appartiene all'historia, di parola in parola lo citterò qui, si come è
nella Sacra Historia scritto. Dice ella in questo modo; Indi Saturno menò Opi
per moglie; Titano, ch'era maggior d'anni, dimanda il reame. Là onde la madre
Vestale, ò la sorella Cerere, & Opi persuadeno a Saturno, che non ceda il
reame al fratello. Di che Titano, ch'era di faccia piu sozzo di Saturno,
veggendo la madre & le suore dar opra & favore al fratello contra di
lui, consentì, che Saturno regnasse, con questo patto però, che tutti i
figliuoli maschi, che nascessero di Saturno non fossero allevati. Et ciò fece
egli accioche il regno tornasse ne' suoi figliuoli. Cosi il primo figliuolo,
che nacque di Saturno fu morto. Indi ne nacquero due, Giove & Giunone; onde
Giunone fu mostrata al padre, & Giove di nascosto fu dato a Vesta a
nodrire. Oltre di ciò Opi partorì Nettuno, il quale medesimamente senza saputa
di Saturno fu nascosto. Cosi anco fu fatto nel terzo parto di Plutone e Glauca,
perche Plutone, latinamente detto Orco, fu tenuto di nascosto; ma indi a poco Glauca
piccolina se ne morì. Nè molto da poi continuando, la Sacra Historia dice: Onde
Titano, poscia, che seppe Saturno havere allevato i figliuoli, segretamente
menò seco i suoi chiamati Titani, i quali presero Saturno & Opi, mettendoli
con guardie in prigione. Dopo questo, non molto dopo segue dicendo;
Ultimamente, intendendo Giove il padre & la madre essere tenuti in
distretto, venne con un gran numero di genti Cretesi a combattere contra Titano
& i figliuoli, onde liberò il padre & gli restituì il reame,
tornandosene poi in Candia. Queste cose scrive Lattantio dall'Historia Sacra;
le quali quanto siano vere lo dimostra la Sibilla Erittrea, che quasi l'istesso
rifferisce. Veduto hora il senso dell'historia, d'intorno l'avanzo resta a dire
alcune poche cose. Et prima quello, che vogliano intender que' tali, che dicono
costui essere stato figliuolo del Cielo & di Vesta. Il che penso (oltre la
verità dell'historia) potersi dire di ciascun mortale; conciosia, che habbiamo
il corpo terreno & l'anima immortale, delle quai cose si sa essere composto
l'huomo. Ma costui con piu alto invoglio di parole dall'universo numero de'
mortali viene inalzato, & chiamato Titano, che significa (come piace a
Lattantio) l'istesso, che fa vendetta, percioche s'è di sopra dimostrato Vesta
essere la terra, & la Terra sdegnata per ira degli Dei in sua vendetta
haver partorito i Titani. Et perche dove s'è trattato della Fama egli s'è
mostrato quale sia l'ira degli Dei, & qual mente i figliuoli della Terra si
levassero in difesa della madre, basta d'avantaggio qui narrare costui solo
uscito dalla Terra essere stato uno di quelli famosi huomini, che con l'opre si
sforzò inalzare la fama & vincere la sua morte. Che la Terra poi gli fosse
moglie, egli è da intendere il grand'animo di costui, & d'ogn'altro a lui
simile, col quale soggioga a sé la Terra, si come il marito la moglie, &
lei signoreggia, con l'animo almeno, se il possesso gli manca. Vogliono, che di
costei generasse molti figliuoli, il che anco la historia dimostra; & anco
vogliono (se è possibile), che per la conformità dei costumi alcuni gli fossero
attribuiti per figliuoli, si come di molti si fanno, & chiaramente si vede
per lo nascosto sentimento; nè ad alcuno deve essere in dubbio, che molti per
lo passato, & hoggidì anco, siano famosi huomini, i quali possano essere
detti di lui figliuoli, conciosia, che egli viene descritto il primo. Appresso
dicono questi essere stati chiarissimi huomini, & contra gli Dei haver
havuto guerra, accioche consideriamo, per la grandezza d'animo, il passo della
superbia esser facile. Et per ciò (sì come per lo piu) mentre i Prencipi con
poca consideratione oprano, dalla gloriosissima virtù caggiono nel vituperoso
vitio, & allhora divengono sterili, cioè senza frutto di virtù. Et affine,
che intendiamo i figliuoli di Titano essere stati tali, dicono, che nacquero
nella quinta Luna, percioche l'antica superstitione credette, che ciò, che
nasceva nella quinta Luna fosse sterile & dannoso. Onde non è dubbio, che i
dannosi s'inalzassero, percioche sono semi di guerre, per li quali si vuotano i
campi agli habitatori, et le città, et si rovinano i reami. Oltre ciò dicono
eglino haver havuto guerra con gli Dei; il che fanno i magnanimi & superbi.
Percioche i magnanimi con le buone opre si sforzano agguagliare agli Dei, ma i
superbi, istimandosi quello, che non sono, procacciano con le parole, & se
potessero con gli effetti, calcare esso Iddio, onde nasce, che sono gittati a
terra & ridotti in niente. Nondimeno egli è d'avertire doppia guerra da gli
huomini con gli Dei essersi havuta, una de' quali fu questa, che Giove liberò
il padre & la madre, morti i figliuoli di Titano. L'altra fu poi quando i
Giganti, che anco sono detti figliuoli di Titano, volsero torre il Cielo a
Giove, & allhora posero i monti sopra monti; il che poi si tratterà dove si
farà ricordo de i Giganti.
Paolo & Theodontio vollero,
che Hiperione fosse figliuolo di Titano & della Terra, del quale non credo
leggersi altro, eccetto, che generò il Sole & la Luna. Nondimeno penso, che
fosse huomo di gran preminenza, & ciò tengo cosi per lo significato del
nome, il quale vuol dire sopra il tutto; come anco per li nomi di cosi famosi
figliuoli.
Egli è chiarissima fama il Sole
essere stato figliuolo d'Hiperione, ma di qual madre poi non si sa. Dicono, che
costui non solamente non diede favore al padre nè a fratelli contra Giove, ma
seguì la parte di Giove; là onde dopo la vittoria ottenne da Giove la corona,
la carretta, l'habitatione, molte altre insegne; le quali diffusamente nelle
cose seguenti si tratteranno. Credo io, che costui ne' suoi tempi fosse
famosissimo & veramente magnanimo, & che per ciò si dicesse egli non
haver favorito a fratelli ma a Giove, che non è superbo. Di che tanto favore
gli prestò la fama, ch'a lui dai Poeti fu conceduto tutto quello splendore
& ornamento che al solo Sole si concede. Nè altrimenti di lui, che del vero
Sole spesse fiate hanno parlato. Ma perche qui non appare esservi posto alcuna
cosa appartenente ad huomo, parlaremo del Sole Pianeta. Primieramente adunque
lo finsero Re, & per aventura anco vi fu, & a lui designarono una Real
Stanza; della quale Ovidio nel secondo libro del suo maggior volume dice;
La Real stanza del lucente Sole,
Era alta per altissime colonne.
Et cosi và, seguendo drieto per
dicisette versi. Descritta poi l'habitatione, Ovidio narra la maestà reale
& i suoi baroni, dicendo;
Cedea coperto di purpurea veste.
Indi, descritta in sette versi la
maestà reale, mostra la sua carretta, cosi scrivendo:
Era d'oro il timone, & era
d'oro
L'asse, & il ferro, che le
ruote gira,
Et l'ordine dei raggi era
d'argento.
Et per li gioghi grisoleti, &
gemme
V'erano poste, che dal Sol percosse
Facevan chiaro lume, & gran
splendore.
Nè molto da poi l'istesso scrive
i cavalli.
In tanto Eoo, Piroo, & Ethetone
Del Sol cavalli alati, e il quarto
Flego
Con annitrir ardente oltre le
Stelle
Si fan sentire, percuotendo forte.
Et quello, che segue. Appresso
attribuisce a questo Re (si come dimostra Alberigo) una corona notabile con
dodici pietre pretiose. Indi dicono, che nello spuntar dell'alba dalle hore gli
viene apparecchiata la carretta, & posto sotto i cavalli. Oltre di ciò
vogliono, che sia padre di molti figliuoli, tra quai egli è cosa possibile
alcuni essere stati veri, mentre vogliamo, che sia stato huomo; & alcuni
anco (chiamandolo Pianeta) per ragione di conformità di costumi essersi
attribuiti. Appresso, come dicono i Filosofi, nel generare delle cose è di
tanta potenza, che viene tenuto padre di tutta la vita mortale. Et tra l'altre cose,
s'egli aviene, che nella natività d'alcun huomo stia in ascendente agli altri
sopra celesti corpi, per una certa singolar potenza produce quello bellissimo,
di faccia amabile, veloce, splendido, di costumi riguardevole & di
generosità notabile. Similmente lo chiamano con molti nomi, per li quali a
bastanza si vede i Poeti haver voluto intendere del Sole Pianeta, & non
dell'huomo. Hora egli è da dichiarare quello, che voglia significare le cose
dette. Prima lo chiamano figliuolo d'Hiperione, il che si vede ammettere
percioche di sopra habbiamo detto Hiperione significare l'istesso, che sarebbe
a dire, sopra il tutto. Et cosi costui sarà tolto per lo vero Iddio; il quale,
havendo di niente creato il tutto, solo può essere detto padre del Sole,
essendo egli solo sopra ogni cosa. Oltre questo a costui è attribuita cosi
reale stanza, accioche intendiamo, per le cose apposte in quella, il tutto
fermarsi per opra della potenza a lui concessa, & egli aministrar la cura
d'ogni cosa. Al qual tra l'altre piu vicine sono locati d'intorno i tempi &
le qualità dei tempi, affine, che s'intenda lui col suo moto haver descritto il
tutto; benche Mosè nel principio del Pentateuco scriva innanzi lui essere stati
alcuni giorni i quali con l'arte sua fece colui, che creò il tutto, non essendo
anco creato questo, nè datagli alcuna potenza. Ma poscia, che fu creato, cosi
volendo il suo Creatore; col girar suo ordina i tempi & il tutto, descrive
l'hore, il giorno, il mese, l'anno & i secoli, si come piu apertamente nelle
seguenti cose si dimostrerà. Cosi col mover suo fa le qualità di tempi esser
diverse, ad alcuna stagione dando le frondi e i fiori, all'altra le biade; alla
terza concede i frutti & incomincia a torre le foglie, all'ultima dona il
rigor del freddo & la bianchezza della neve. La Carretta poi a lui cosi
lucente apparecchiata dinota la di lui volubilezza non mai lassa, &
perpetua, col lume, che mai non manca nel girare di tutto il Mondo; la quale è
di quattro ruote per dimostrare ch'i già quattro tempi descritti sono fatti per
lo suo girare. Cosi anco i quattro cavalli sono per dinotare le qualità del
camino del giorno, percioche Piroo, che il primo è nel tempo, si dipinge rosso,
attento, che nel principio della mattina, ostando i vapori, che levano dalla
terra, il Sole nel levarsi è rosso. Eoo, che è il secondo, essendo dipinto
bianco, viene detto splendente, perche essendosi sparso già il Sole, &
havendo cacciato i vapori, è splendente & chiaro; Etheone poi, che è il
terzo, viene figurato rosso & infiammato, ma, che però trahe al giallo,
conciosia, che essendo allhora nel mezzo del Cielo fermato il Sole la sua luce
è splendente, & a tutti pare piu ardente. Ma Fegone, che il quarto, viene
dipinto di color giallo, che tende al nero, dimostrando la declinatione di quello
verso la terra, percioche calando verso quella mostra il tramontare. Nondimeno
Fulgentio chiama questi cavalli con altri nomi, benche a loro dia le medesime
espositioni, cioè Erittreo, Atteon, Lampo & Filegeo; per la corona poi con
dodici gemme, Alberigo con lunga diceria dimostra doversi intendere i dodici
segni celesti, per li quali gl'ingegni de' mortali trovarono lui ogni anno
discorrere. Oltre queste predette cose, ci resta slegare il groppo di suoi
nomi; di quali, perche egli ha alcune cose communi con alcuni altri Dei,
riserbando quelle dove si tratterà di tali Dei, si esporrà solamente quelle,
quanto piu brevemente si potrà, che a lui solo parrano convenirsi.
Primieramente adunque egli si chiama Sole; Per che, in quanto a Pianeta, egli è
solo, come pare, che dimostri Macrobio, dicendo; Perche anco Latino chiamò
quello Sole il quale solo ottenne tal nome per tanta chiarezza. Et Platone nel
Thimeo, dove tratta delle sfere, dice; Accioche per essi otto circoli di
celerità & tardità vi sia, & sia conosciuta una certa misura, Iddio
nell'andito sopra la Terra v'accende un lume di stelle, il quale hora chiamiamo
Sole. Appresso, dove Tullio tratta della Republica, lo chiama prencipe &
capo, dicendo. Poi il Sole penetra sotto mezzo il paese della Terra, &
quella ottiene come capo, prencipe, moderatore degli altri lumi, Mente del
Mondo, & temperamento, et con tanta grandezza la regge, che con la sua luce
illustra & empie il tutto. Sopra le quai parole nel sogno di Scipione cosi
dice Macrobio; Capo adunque, perche precede tutti con la maestà del lume.
Prencipe, perche tanto sta eminente, che pare un velo, & viene chiamato
Sole. Et non molto da poi segue; Viene detto Mente del Mondo, cosi come i
Fisici lo chiamarono cuore del Cielo. Et non mi maraviglio, conciosia, che egli
regge tutte quelle cose, che con ordinata ragione veggiamo essere portate per
lo Cielo, cioe il dì, la notte, & le cose, che stanzano tra l'uno &
l'altra, con i giri della lunghezza, & brevità, & la giusta misura
dell'uno & l'altra, con certi tempi. Indi la benigna temperanza della
primavera. Il torrido caldo del Cancro & del Leone. La mollitie dello
spirar d'Auttunno. La forza del freddo tra l'una & l'altra temperanza.
Tutto questo dispensa il corso del Sole, & la ragione. Ragionevolmente
adunque viene detto cuore del Cielo, per lo quale vengono fatte tutte le cose,
le quali noi veggiamo esser oprate per divina ragione. Questa è anco cagione
per la cui meritamente è chiamato cuore del Cielo; che la natura del foco
sempre in perpetuo movimento è mossa. Ma habbiamo detto il Sole essere il fonte
del fuoco celeste. Onde il Sole nel Cielo è l'istesso, che è il cuore
nell'animale, del quale è tale la natura, che mai non cessa dal moto; &
ogni volta, che per qual caso si voglia cessa dal movimento, incontanente
l'animal muore. Questo scrive Macrobio. Dalle cui parole a pieno si può
conoscere lui haver istimato il Sole cagione di tutte le cose. Appresso, come
dice Macrobio Cenopide, lo chiama Losia, percioche dal tramontare fino al
levare stendendosi fa un cerchio tondo. È anco detto Febo, & specialmente
dai Poeti; il che è detto dalla specie & dalla splendidezza. Altri lo
chiamano Febo; perche è novo, conciosia, che ogni mattina pare ch'egli novo
dall'orizonte si levi. È detto appresso Lico, & si come vogliono alcuni,
cosi chiamato da Licio, tempio di Delo. Ma Macrobio mostra, che Cleante ne
rende altra ragione, dicendo; Cleante scrive Apollo essere nomato Licio
percioche, si come i lupi rapiscono le pecore, cosi medesimamente egli toglie
l'humore ai raggi. È anco chiamato da' Soriani, come dice l'istesso Macrobio,
Soconia; il che è tratto dallo splendore dei raggi, da loro detti chiome d'oro
del Sole. Cosi anco Argitoroso, perche nascendo per lo sommo spatio del mondo,
si come un certo arco, viene figurato per la spetie bianca & d'argentto;
dal qual arco i raggi in guisa di saette risplendono. È anco detto Horo, si
come grandissimo & sublime Gigante, come noi stessi possiamo vedere; &
questo nome gli è stato imposto dagli Egittij. Appresso è chiamato con molti
altri diversi nomi, si come è chiaro in Macrobio nel libro dei Saturnali.
Dice Theodontio le Hore essere
state figliuole del Sole & di Croni, & da lui cosi chiamate, percioche
dagli Egittij è nomato Horo. Homero dice, che queste tali apparecchiano il
carro & i cavalli al suo tempo al Sole, & quando vuole comparire al
giorno elle gli aprono le porte del Cielo. Ma io istimo, che siano dette
figliuole del Sole & di Croni, che è il tempo, percioche per lo camino del
Sole con certo spatio di tempo vengono a formarsi. Che poi apparechino i
cavalli & il carro al Sole, credo ciò essere stato finto perche, succedendo
l'una dopo l'altra per ordine, la notte passa & il dì giugne, nel quale il
Sole, si come in carro a lui apparechiato dalla successione delle hore, entra;
nel cui principio di successione pare, che le hore del giorno gli aprano le
porte del Cielo, ci è il nascimento della luce.
Vuole Theodontio le Eone essere
molte sorelle figliuole del Sole & di Croni, & tutte essere grandissime
di corpo, & poste sotto i piedi di Giove. Di queste giamai non mi ritrovo
io haver letto altrove alcuna cosa, eccetto, che s'egli non vuole queste
doversi intendere in luogo dei secoli, attento, che Eon in greco Latinamente
viene interpretato secolo: vuole haver inteso de' secoli, certamente questi
sono formati dal movimento del Sole, con certo & lungo spatio di tempo.
Questi habbiamo mostrato di sopra essere stati descritti da Claudiano nel
Tempio dell'Eternità. Della quantità poi d'un secolo, molto tra loro sono stati
gli antichi discordi. Percioche dicevano alcuni, si come Censorino in quel
libro ch'egli scrisse del Giorno di Natale a Cerello, i secoli, spetialmente da
quei, che seguivano i costumi d'Ethrusci, essere descritti in questo modo,
cioè, che havesse principio di qualche dimostratione degli Dei, & si
stendesse fino a tanto, che sovragiungesse alcun altro portento, il quale fosse
fine del passato & principio dell'avenire. Cosi non con certo &
diterminato numero d'anni pareva il Secolo essere formato, anzi alle volte
lungo & alle volte breve occorreva. Dopo questo dimostra altri diversamente
imaginarsi, i quali dicevano un secolo essere un spatio di tempo, che
trascorreva tra una celebratione de' giuochi secolari all'altra prossima, dal
quale anco succederebbe una grandissima disaguaglianza di tempo. Ultimamente,
citate molte openioni; dice; il civil secolo de' Romani essere terminato nello
spatio di cento anni solari. Il che ricordomi anch'io, spessissime fiate,
dall'honorato Andalone essere conchiuso nell'istesso intervallo. Erano appresso
di quelli, che volevano l'età & il secolo essere un medesimo, la qual cosa
non è vera, come, che alle volte gli antichi impropriamente tolgano l'una per
l'altra. Percioche, se pigliaremo la età nel modo, che ci mostrano le sacre
lettere & anco i Poeti, troveremo, che in sé contengono molti secoli. Che
poi i secoli siano locati sotto a piedi di Giove, penso essere fatto affine,
che intendiamo i tempi trapassare secondo il volere del solo vero Iddio, &
a lui solo essere palese la lunghezza loro, & ciò, che nel loro intervallo
ha a succedere. Nè da ciò discorda la descrittione di Claudiano, il quale disse
quelli habitare nell'antro dell'eternità; attento, che in essa Trinità di
persone, & sola Divinità, solamente consiste l'Eternità. Et cosi ciò, che
si trova nell'Eternità, è necessario, che sia in Dio.
Fetusa & Salempetij, ninfe
Siciliane, furono figliuole del Sole & Nerea, si come nell'Odissea scrive
Homero, dicendo queste in Sicilia essere guardiane del gregge del Sole; dal
quale fu vietato per mezzo Circe Ulisse. D'intorno al qual commandamento Homero
recita tal favola. Dice egli; che, ritornando Ulisse dall'Inferno per andar
nella patria, fu avisato da Circe che, giungendo con i compagni oltre Scilla
& Cariddi in Sicilia, & trovando i greggi del Sole essere guardati da
Fetusa & Salempetij sue figliuole, da quelli al tutto con i compagni
dovesse astenersi; percioche, s'alcuno ne gustasse, sarebbe morto. Dove,
passati gli altri pericoli, essendo ivi giunto Ulisse lasso & afflitto con
i compagni, avenne, che per consiglio d'Euriloco fu sforzato fermarvisi una
notte. Ma la mattina, mutati i venti, non poterono partirsi. La onde
dimorandovi piu lungamente, che non si credeva, i compagni d'Ulisse, cacciati
dalla caristia dei cibi, dormendo Ulisse, per persuasione d'Euriloco messero le
mani negli armenti del Sole, & di quelli quetarono la fame. Onde partendosi
d'ivi furono assaliti da grandissima fortuna; & ultimamente folminati da
Giove morirono tutti eccetto Ulisse, il quale non gustò di quelli. A questa
favola può darsi tal senso. Il calore & l'humidità, cioè il Sole &
Nerea, che è Ninfa, generano le selve & i paschi, i quali vengono ad essere
due Ninfe, figliole del Sole & di Nerea. L'una di queste concede l'ombre,
l'altra dà il vivere à i gregi; & cosi sono quelle, che serbano i benstiami
del Sole, il quale è formato d'ogni vivente, cioè dall'anima vegetativa &
sensitiva. Per opra sua i greggi nascono, et per coperta & nodrimento delle
predette custodi sono serbati; nondimeno dice Homero questi essere in Sicilia,
non perche non ve ne siano altrove, ma perche ivi per la grandissima abondanza
delle cose & temperanza del Cielo pare, che le delitie habbiano maggior
vigore; le quali, per li corrotti costumi del luogo, anco ivi, che altrove sono
mortali. Da queste ogni anima rationale è prohibita, affine, che di quelle
disordinatamente non usi & non giunga alla morte, overo à vita piu, che
morte oscura. Il che tante fiate aviene quante, allargando il freno
all'appetito, si lasciamo affogare nelle lascivie; la qual cosa già fecero
appresso Siciliani molti: i quali divenuti effeminati dopo le gustate lascivie,
non poterono resistere alle fatiche. Ma Euriloco, cioè la piacevole persuasione
della sensualità, dormendo Ulisse, cioè la fortezza della ragione, lascia
incorrere gl'ingordi sensi ne i greggi, cioè nelle delitie. Là onde, datisi
alle libidini, non poterono sopportare le fatiche del mare turbato, cioè di
questo mondo. Cosi dal folgore di Giove, cioè dal giusto giudicio d'Iddio,
gittati in mare morirono, cioè che, travagliati nelle amartudini & miserie
della vita mortale, & non conosciuti, mancarono. Overo, che forse puote
avenire che, essendo giunto in Sicilia Ulisse, & ivi da tempi contrari
ritenuto, non havendo cura de suoi compagni, di maniera quelli si diedero alle
crapule & alle donne che, rientrando in mare, si scordassero delle cose
necessarie, & cosi patissero naufragio. Il che non solamente habbiamo letto
essere accaduto ad Ulisse, ma anco ad Annibale cartaginese, famosissimo
capitano di guerra; i cui soldati, havendo animosamente sopportato gradissimi
disagi & vinto lo strano viaggio d'Hispagna in Italia, furono poi abbattuti
& conquassati dalle delitie Capuane.
Fu Dirce figliuola del Sole &
moglie di Lico Re di Thebe; contra la quale Fulgentio dice, che Venere fù
crudele, si come fu verso tutte l'altre figlie del Sole. Onde si narra tale
historia, cioè che, essendo stata per forza violata Antiopa figliuola di
Nittemo Re da Epafo, come piace à Lattantio: overo da Giove, come la maggior
parte istima, quella fu scacciata da Lico Re di Thebe, & in sua vece tolto
Dirce; la quale, subito prendendo sospetto, che Lico di novo non ritogliesse
Anthiopa & ella fosse rifiutata, impetrò dal marito di poter tenere in
servitù Anthiopa: la quale essendo pregna di due figlioli generati da Giove,
venuto che fu il tempo del parto da lui fu liberata di servitù, &
segregatamente se ne fuggì nel monte Citheronte, dove partorì Anfione &
Zeto, i quali esposti alle fiere furono raccolti & nodriti per suoi da un
certo Pastore: onde, cresciuti in età & conosciuti dalla madre, fatti certi
della sua progenie, leggiermente s'accesero d'ira contra Dirce, & per
vendetta della madre movendosi ammazzarono il Re Lico & legarono Dirce al
paro di un toro salvatico. Il quale strascinandola qua & là, ella si
rivolse con preghi ai Dei, che mossi a compassione la cangiarono in un fonte
del suo nome non lontano da Thebe; & cosi fece satolla l'ira di Venere.
Quello adunque, che di favoloso si contenga in questa historia, liggiermente si
dichiarerà. Dice Theodontio essere finto, che Anthiopa al tempo del parto fosse
liberata di servitù da Giove: perche, parendo a Dirce il ventre gonfiato
d'Anthiopa essere assai chiaro testimonio del suo adulterio, s'imaginò, che
meritamente per ciò dovesse essere in odio al marito, onde la lasciò andare;
l'essersi poi Dirce tramutata in fonte, questo assai si può capire, si per lo
perduto Reame come per la pena del dato supplitio, quella essere rimasta in
molte lagrime. Che fosse anco figliuola del Sole, credo ciò essere detto ò perche
ella cosi veramente fosse figliuola di qualche notabile huomo cosi chiamato, ò
perche fosse cosi bella, che meritasse essere chiamata figlia del Sole.
Mileto (come testimonia Ovidio)
fu figliuolo del Sole. Ma Theodontio dice costui essere stato figliuolo del
Sole Rodiano & fratello di Pasife. Costui nondimeno fu smarrito da Giove,
percioche volea mover guerra contra Minos già vecchio; per la qual cagione se
ne fuggì in Lesbo, & ivi edificò quella città la quale dal suo nome chiamò
Militene. Ma poi, cangiate le lettere, di Militene fu detta Mitilena. Dopo
questo hebbe a fare con Ciane Ninfa del fiume Menandro, & di lei hebbe due
figliuoli, cioè Cauno & Bibli.
Cauno & Bibli furono
figliuoli di Mileto & di Ciane Ninfa, come dimostra Ovidio, dicendo;
Qui, mentre la figliuola di
Menandro
Ciane Ninfa di bellezza, e pregio
Segue le ripe del paterno nido
Et tante volte, hor su, hor giù
ritorna
Partorì
Cauno e Bibli, ambo gemelli.
Et perche di questo non ho
letto altra cosa, che loro commune, m'è paruto d'amendue insieme trattare. Si
legge adunque Cauno essere stato un bellissimo giovane, & sceleratamente
amato dalla sorella Bibli, cosi oprando Venere contra la progenie del Sole. Ma
havendo Bibli scoperte le dishoneste fiamme della sua libidine al fratello,
egli sprezzando la vergognosa concupiscenza di lei si diede a fuggire, & in
altro paese si fece habitatione. Onde l'infelice Bibli subito si mosse a
seguirlo, & poscia, che hebbe cercato la Caria, la Licia, & l'Elaga,
vinta dalla fatica & dal dolore si fermò, & sé stessa sprezzando si diè
a piangere; di che avenne, che la infelice per compassione delle Naiade fu
conversa in fonte, come dice Ovidio;
Cosi dal lagrimar venuta meno
Bibli prole del Sol si cangia in
fonte,
Qual'hora in quelle valli il nome tiene
De la sua donna, e a pié degli
arbor corre.
La fintione è assai manifesta,
percioche per lo continuo pianto fu tenuta un fonte, che scorresse.
Nacque del Sole Pasife, si come
si può comprendere nella Tragedia di Seneca Poeta, per li versi di colui, che
parla nella Tragedia d'Hippolito:
Che può colui, che presta il lume
suo
Ad ogni cosa di tua madre padre?
Et quello, che segue. Queste
parole sono d'una nutrice, che parla a Fedra, figliuola di Pasife &
inamorata d'Hippolito. Ma Theodontio dice, che non fu figliuola del Sole
d'Hiperione, ma del Rodiano. Costei fu moglie di Minos Cretese; la quale,
essendo Minos alla guerra contra Megaresi & Atheniesi per vendicar la morte
dell'amazzatogli figliuolo Androgeo, fu infiammata da scelerato & lascivo
Amore da Venere, che perseguitava tutta la progenie del Sole. Onde amò un
bellissimo toro, & si dice, che per arteficio di Dedalo venne negli
abbracciamenti di quello, & di lui partorì un mostro mezzo huomo &
mezzo toro. Altri poi descrivono altramente la cagione di questo amore, dicendo
che, essendo Minos per andar alla guerra, pregò Giove, che gli apparechiasse
vittima da sacrificare degna di lui; onde incontanente si vide inanzi un toro,
dalla cui vaghezza vinto Minos, lo serbò per capo de' suoi armenti, & in
sua vece ne sacrificò un altro. Di che Giove sdegnato oprò che, essendo egli
assente, la moglie di quello s'inamorasse. Et di qui vogliono, che Minos non havesse
ardire punir la moglie del commesso peccato, che adunque Pasife figliuola del
Sole s'impregnasse d'un toro. Servio vuole questo toro essere stato un scriba
di Minos, cosi chiamato per nome, il quale in casa di Dedalo si congiunse con
Pasife & la impregnò d'un figliuolo, & finalmente ne partorì poi due,
l'uno de' quali chiaramente pareva conceputo di Minos, & l'altro per segni
chiarissimi di Toro; ma del secondo non si potendo chiarire, gli fu posto un
nome, che serviva ad amendue i padri, & cosi fu nodrito col nome di
Minotauro. Ma io istimo sotto questa favola essere nascosto un molto piu alto
sentimento. Penso veramente gli antichi haver voluto dimostrare qualmente si
cagionasse il vitio della bestialità in noi, con questa ragione. Pasife,
bellissima donna & figliuola del Sole, cred'io essere l'anima nostra, qual
è figlia del vero Sole, cioè d'Iddio Onnipotente, dal quale è creata
chiarissima d'ogni bellezza d'innocenza. Costei diviene moglie del Re Minos
dator delle leggi, cioè si congiunge alla ragione humana, la quale con le sue
leggi ha a reggerla & a drizzarla a dritto camino. Di costei è inimica
Venere, cioè l'appetito concupiscibile, il quale accostandosi alla sensualità
sempre è nemico della ragione. Al quale, se s'accosterà l'anima; egli è necessario,
che si separi dalla ragione, dalla cui allontanata, liggiermente dalle carezze
& persuasioni lascia condursi: & cosi precipitosamente si trasporta
nella concupiscenza del toro datole da Giove, accioche a sé di lui Minos faccia
sacrificio; il qual toro giudico io essere le delitie di questo mondo, nel
primo incontro belle & dilettevoli, da Iddio alla ragione concedute,
affine, che di quella con certa moderatione della vita nostra ministri le cose
necessarie. Percioche, mentre di queste debitamente usiamo, drittamente di
quelle facciamo sacrificio a Dio. Ma mentre seguendo il giudicio di quella
sensualità di loro usiamo, overo desideriamo fruire, incorriamo in bestiale
concupiscenza, & allhora vituperosamente in una vacca di legno l'anima si
congiunge al toro, mentre con l'arteficio dell'ingegno nostro oltre le leggi di
natura alle cose naturali si congiungiamo; & cosi da dishonesto appetito
& nodrimento di scelerata volontà si cagiona & nasce il Minotauro, cioè
il vitio di bestialità. Finsero la forma di questo Minotauro essere di
mezz'huomo & toro, conciosia, che gl'inchinati a tal vitio nella prima
apparenza mostrano essere huomini, ma se riguardemmo le opre & i desideri
di entro nascosti, conosceremo questi tali essere bestie. Di qui viene rinchiuso
nel labirinto, prigione intricata da molti travagli; & questo perche è
fortissimo, ferocissimo & furioso animale; Nel cui labirinto si dimostra
quello intricato al petto humano con scelerati desideri, & per forza di lui
vegniamo a prestargli un forte & fiero animo, mentre habbiamo ardire oprare
alcuna cosa scelerata. Il che, se non succede secondo il disio, subito
diventiamo furiosi. Costui appresso viene amazzato da Theseo ammaestrato da
Arianna, cioè dall'huomo prudente al quale la virilità, ch'io intendo essere
Arianna, percioche Andres in Greco suona l'istesso in Latino, che fa
volgarmente Huomo, dimostra una cosa scelerata essere sottoposta a cosi
vergognoso vitio, & ci insegna con quali armi anco sia da atterrarlo.
Oeta Re di Colche (come Homero
nell'Odissea dimostra) fu figliuolo del Sole & di Persa figliuola
dell'Oceano. Ma Tullio dove tratta delle nature degli Dei dice quello essere
nato di Asterie sorella di Latona: la quale Asterie pare, che l'istesso
Cicerone dica da lui essere stata morta. Cosi dice egli: Che risponderai a
Medea, la quale è stata provocata da due avi, il Sole & l'Oceano, & il
padre infettrice della madre? L'antichità fa fede costui a quel tempo essere
stato famosissimo Re, attento, che il Tragico Seneca nella Tragedia di Medea
descrive in suo potere haver havuto un grandissimo reame. Ne' Regno di costui
capitò Frisso figliuolo d'Athamante col velo d'oro; il quale, sentendo Oeta
dall'Oracolo essere a lui fatale, diligentemente lo serbava, accioche perdendo
quello non fosse spogliato del Reame. Il quale nondimeno gli fu spogliato da
Giasone, & gli fu tolto il regno. Ma già venuto vecchio, dall'istessa fu
ritornato in seggio. Dice Theodontio questo Oeta non essere stato figliuolo del
Sole d'Hipperione, ma di quello, che appresso Colchi fu grandissimo, & ivi
regnò.
A bastanza si vede per li versi
d'Ovidio Medea essere stata figliuola del Re Oeta & della moglie Ipsea; il
quale cosi dice:
Ne v'era il padre Oeta, al qual
potesse
Sprezzata gire; nè la madre Ipsea.
Di questa Medea si recita una
grande historia, ch'alle volte si congiunge con favole. Dicono inanzi ogni altra
cosa (il che s'è detto da Apollonio, che scrisse un libro degli Argonauti)
Giasone mandato dal padre Pelia esser venuto a Colcho, & benignamente
essere stato ricevuto da Oeta; del cui s'innamorò la figliuola Medea anco
donzella. Contra la quale sdegnata Venere, si come havea fatto contra tutto
l'avanzo della stirpe del Sole, fece, che il suo figliuolo aventò in lei tutte
l'ardenti & amorose fiamme. Onde conoscendo ella i pericoli manifesti a'
quali l'amato giovane da lei per acquistare il velo d'oro andava ad esporsi, di
lui mossa a compassione, & fatta promissione insieme di pigliarsi per
sposi, lo amaestrò a qual partito senza pericolo di quello potesse
insignorirsi; onde tolto il vello insieme con Giasone si diede a fuggire,
menando seco in compagnia Assithio, overo Agialeo suo picciolo fratello. Ma
intendendo, che Oeta gli perseguitava, per haver piu agio di allontanarsi,
& fuggire, giunta nell'Isola delle fauci di Fasi, chiamata Tomitania per la
scelerità da lei commessa, la qual isola fu poi nobilitata per l'essiglio
d'Ovidio Nasone, & imaginandosi che, volendola il padre seguire, era
necessario, che d'ivi passasse, amazzò il fanciullo Assithio; &
smembrandolo tutto qua & là lo sparse per li campi, accioche il padre si
fermasse a raccorre le membra del figliuolo, & ella intanto havesse tempo
di fuggire. Nè il pensiero ingannò la scelerata, percioche cosi avenne;
conciosia che, mentre lo consolato padre piangendo stette a raccorre le membra
del figlio & darli sepoltura, ella insieme col rubatore se ne fuggì. Et
doppo lungo girar di camino, secondo alcuni; giunse in Thessaglia, dove a'
preghi di Giasone ritornò in età giovanile il vecchio padre Esone. Et havendo
partorito a Giasone due figliuoli, armò le figliuole di Pelia nella morte del
padre. Finalmente, fosse per qual cagione si volesse, fu rifiutata da Giasone,
& invece di lei sposata Creusa figliuola di Creonte Re di Corinthi. Il che
sopportando Medea malamente si pensò una malitia, & mandò suoi figliuoli
con alcuni doni rinchiusi in una cassetta a Cassandra, sotto fintione, che
placassero l'ira della madrigna. La qual arca non prima fu aperta da Cassandra,
che subito n'uscì una grandissima fiamma, che volò per tutto il palazzo reale,
& insieme con Creusa tutto l'arse; ma i figliuoli, di ciò avisati, prima
fuggirono salvi. Onde, per cosi scelerata opra contra lei sdegnato Giasone,
& volendo di ciò farle patir le pene; la crudel femina nel suo conspetto
gli amazzò i propri figliuoli innocenti; & volando con sue malie &
incanti se n'andò in Athene, dove tolse per marito Egeo, già vecchio, et a lui
partorì un figliuolo, il quale da sé chiamò Medo. Ma havendo ella apparecchiato
a Theseo, che ritornava da una lontana & lunga espeditione, non conosciuto
da Egeo, per l'istesse mani li diede una bevanda avenenata; & veggendo, che
Egeo, tosto, che conobbe il figliuolo, gli la levò via, cacciata da Theseo,
schifò quell'ira. Et finalmente (non so a qual partito) pacificata con Giasone,
insieme con lui se ne ritornò in Colcho; & per forza ritornò in stato il
padre di Giasone già vecchio & fuor'uscito. Benche il grave Celio voglia
(sì come anco dice Solino nel libro delle cose maravigliose del mondo) quella
essere stata sepolta da Giasone, & Medo suo figliuolo haver signoreggiato
ai Marsi popoli Italiani. Di questi titoli adunque ornata Medea, prima appresso
Greci, che meglio degli altri devrebbono haverla conosciuta, poi appresso
Romani, trovò ricetto, di maniera, che fu raccolta per Dea & con sacrifici
honorata, si come chiaramente testimonia Macrobio. Quelle fittioni poi, che
nell'historia di costei sono coperte, dove si scriverà di Esone, Pelia, &
Giasone di mano in mano, secondo, che farà mistiere, si dichiareranno, perche
paiono a loro appartenersi.
Assirthio & Calciope, fratello
& sorella, furono figliuoli d'Oeta Re di Colchi, percioche di Assirthio
testimonia Tullio dove tratta delle nature de Dei, dicendo; Che di questa, cioè
Medea, al fratello Assirthio; il quale Egilao è appresso Pacuvio, &c.
Di Calciope poi Ovidio nelle
Pistole dice;
Oeta non vi era: al cui sprezzata
Se ne fuggisse; Nè la madre Ipsea,
Nè
Calciope sua sorella grata.
Di questa Calciope non ho altro
ritrovato eccetto, che fu moglie di Frisso; & a lui partorì un figliuolo
chiamato Cicoro. Di Assirthio poi, overo Egilao, già è stato detto di sopra
come fu dalla sorella morto. Dal cui sono alcuni, che dicano quel fiume de'
Colchi detto Assirthio cosi essere chiamato dal nome del fanciullo.
Secondo Homero, nell'Odissea,
Circe donna incantatrice fu figliuola del Sole & di Persa. A qual partito
poi ella lasciasse Colcho & venisse in Italia, non mi ricordo giamai haver
letto. Nondimeno egli si ritrova quella haver habitato non lontano da Caietta
Città di Campagna in un certo Monte già Isola, il quale fino al dì d'hoggi dal
suo nome è chiamato Circeo. D'intorno al cui gli habitatori dicono al presente
sentirsi anco ruggire Leoni & altre fiere, con incanti di huomini in tali
cangiate. Di questa adunque, cosi scrive Virgilio;
Dove del Sol la ricca figlia i
boschi
Inaccessibil, col continuo canto
Fa risonare; & nei superbi
tetti
Per far lume a la notte abbrugia il
Cedro
Pieno d'odore; & con l'acuto
insieme
Pettine tesse le sottili tele.
Non potevan tra lor tanti legami;
Ma ruggivano forte a mezzanotte.
Indi i Cinghiali setolosi, &
gli Orsi
Entro i presepi arrabbiavan molto,
Et varie qualità di Lupi urlavano.
Huomin' questi eran;, che la Dea
crudele
Quinci s'udiano i gemiti con l'ire
Dei feroci leoni, che patire
Circe con il poter d'herbe, &
incanti
Havea cangiato in animali, &
fiere.
Et quello, che segue. Ma Homero
nell'Odissea dice, che Ulisse, vagando insieme con i compagni, giunse da
costei; la quale havendogli tramutato tutti i compagni in animali, non puote
mai cangiar lui, ch'era stato avisato da Mercurio; anzi da lui smarrita, gli
ritornò tutti i suoi compagni nella primiera forma, & per spatio d'un anno
intiero il tenne seco. Et di lui partorì un figliuolo chiamato Theologono;
& alcuni v'aggiungano anco Latino, che poi fu Re de' Laurenti. Indi,
havendolo ammaestrato di molte cose, il lasciò partire. Oltre di ciò narra di
costei, che amò Glauco Dio Marino; & perche egli amava Scilla Ninfa, ella
mossa da gelosia avelenò l'acque d'un fonte dove la Ninfa era avezza bagnarsi.
Per la qual cosa Scilla in quello entrando fu inghiottita da i cani marini fino
al mezzo, & in un mostro marino cangiata. Appresso dice ch'ella amando il
Re Pico, & da lui essendo sprezzata, percioche egli era innamorato di
Pomona, tramutò quello in uccello di suo nome. Hora veggiamo quello, che si
contenga sotto le corteccie di queste fittioni. Theodontio, diligentissimo
investigatore di queste cose, dice costei non essere stata figliuola del Sole
d'Hiperione, ma di quello, che si crede haver regnato in Colcho, ma fu tenuta
figlia di questo perche (come dice Servio) fu bellissima donna & famosa
meretrice; il che fingono essere avenuto per l'odio di Venere contra la
progenie del Sole, del qual odio di sotto si tratterà dove si narrerà di
Venere. Che poi s'odano muggir fiere nel circuito del Monte egli è, perche
mentre tra grandi & rovinosi sassi, rupi & caverne (de' quali il Monte
è circondato) l'onde del mare per l'empito de' venti sono trasportate & poi
rimosse, & sopravenendo l'altre, cacciate, di maniera sono dirotte, che di
necessità nasce un strepito discordante, hora simile ad un muggire & hora
al ruggire. Et di qui eglino fingono udir Leoni & Cinghiali. Che anco con
herbe & incanti trasformasse gli huomini in bestie, questo a molti pare
potersi concedere per arti Magiche & illusioni, mentre crediamo i Maghi di
Faraone con sue arti haver fatto quelle cose, che Mosè per virtù divina oprava;
& mentre anco crediamo gli huomini in Arcadia esser fatti Lupi, &
Apuleio essere stato cangiato in Asino. Ma io piu tosto tengo costei con la sua
bellezza haver guidato molti mortali ad amarla, i quali, per meritare la sua
gratia, che senza pecunia, dalle meretrici non si può acquistare, si
mescolarono con diverse lascivie per portarle doni, & cosi vestirono quelle
forme ch'erano condecenti agli uffici; delle quali Ulisse, cioè il prudente,
non si veste. Doppo questo, che costei amasse Glauco io credo ciò essere stato detto
percioche, secondo alcuni, & spetialmente secondo Leontio, Glauco risuona
l'istesso, che fa terrore, & perche egli è cosa terribile l'udire gli
strepiti dell'acque d'intorno il monte Circeo; si come di sopra è stato detto,
& fermandosi ivi esso terrore, grandemente pare, che sia amato da Circe,
cioè da quel luogo di Circe. Che poi Glauco amasse Scilla, per l'istessa
ragione egli è stato detto. Conciosia, che appresso Scilla, per lo muggiare del
mare, il medesimo terrore vi giace di continuo. Et cosi dimorandovi
frequentemente, pare ch'egli ami Scilla. Che Scilla anco, per essere avenenate
l'acque marine, fosse rapita fino al mezzo dai cani, il figmento ha pigliato
materia dell'effetto, percioche Scilla è uno scoglio appresso il mare
Siciliano, che tanto sopravanza l'acque, che pare, che la metà stia sopra
quelle, & l'avanzo sia nascosto; & essendo cavo & pieno di caverne,
di maniera, che continuamente il mare v'entra & n'esce con grandissimo
empito, mentre, che in quelle cave entra & poi ritorna fuori, a guisa di
cani che abbaiano manda fuori un strepito; & cosi lo scoglio viene detto
essere da cani rapito. Quelle cose poi, che s'appartengono a Pico si
scriveranno nelle seguenti, dove si dirà di Pico. Ma io istimo questa Circe non
essere stata sorella di Oeta, essendo stato molto prima, che non fu la guerra
Troiana Medea di Colcho, & questa molto da poi; ma la similitudine dei
nomi, & forse dell'essercitio di due, poterono farne una.
Dice Theodontio, che Angitia,
overo Ageonia, fu sorella di Circe, & figliuola del Sole; & non molto
lontano da lei nei campi di Campagna haver dimorato, ma haver dato opra a
miglior essercitio. Della quale il grave Celio, non accordandosi in tutto con
lui, afferma quella essere stata sorella di Circe & haver habitato vicino
al lago Fucino, dove con salutifera scienza insegnò a quegli habitatori molti
rimedi per l'infirmità; là onde, morendo, da loro fu tenuta & honorata per
Dea. Ma Macrobio nel libro dei Saturnali chiama costei la Dea Angeriona, &
dice, che appresso Romani alli XVIII di Dicembre si celebravano le sue feste,
& dai Pontefici nella chiesa Volupia se le facea il sacrificio. Ma Valerio
Flacco dice costei chiamarsi Angeronia percioche caccia le infirmità & i
pensieri delle anime. Appresso, Masurio dipinge la sua imagine con la bocca
legata & segnata posta sull'altare di Volupia, percioche ciascuno, che
dissimula le sue doglie & affanni (sopportando il beneficio) ritorna in
grandissima dilettatione. Nondimeno Giulio Modesto dice, che si sacrificava a
costei perche il popolo Romano essendosi votato a lei era stato liberato dal
male, che si chiama Angina. La cagione poi per la quale fosse tenuta &
detta figliuola del Sole, l'arte del medicare puote dargliene materia.
Egli è chiarissimo la Luna (per
ritornare alla prole d'Hiperione) essere stata figliuola dell'istesso
Hiperione, & sorella del Sole. Di costei gli antichi hebbero diversa
opinione, & inanzi l'altre cose dissero a quella essere conceduta una
carretta da due ruote, percioche fu dalla parte di Giove contra i Zij. Onde
Accio Poeta testimonia quella adoprar la carretta, dicendo;
O almo Febo, che di notte vai
Sopra la tua carretta per lo Cielo:
Et quello, che segue. Indi
Virgilio dice; Al Cielo; & l'alma Luna sopra il carro
Già dato luogo il chiaro giorno
havea
Di notte già scorrendo in mezo
quello.
Et ciò, che va drieto. Dice
Isidoro, dove tratta delle Ethimologie, questa carretta essere guidata da due
cavalli, de' quali l'uno è bianco & l'altro nero. Oltre di ciò Nicandro
Poeta dice quella essere stata amata da Pane Dio d'Arcadia, la quale per prezzo
del dono d'un vello di bianca lana venne ne' suoi abbracciamenti. Il che anco
Virgilio nella Georgica afferma, dicendo;
Cosi col bianco dono de la lana
(Se degna cosa egli è di creder
questo)
Pan Dio d'Arcardia ingannò pur te
presa,
Chiamandoti ad ogn'hor negli alti
boschi,
Nè men
sprezando tu chi ti chiamava.
Et quello, che segue. Appresso
dicono, che fu amata da Endimione pastore, il quale vogliono, che prima fosse
sprezzato da lei, & che poi poscia che alquanto lungamente hebbe pascolato
i suoi bianchi gregi, fosse raccolto nella sua gratia. Nondimeno Tullio dice
che dormendo quello sopra Lamio, overo Latinio, monte d'Ionia, fu in sonno
dalla Luna baciato. Sono anco di quelli, che le attribuiscono figliuoli,
percioche Alcina Poeta Lirico dice la Rugiada essere stata da lei &
dall'Aere generata. Similmente la chiamano con diversi nomi, come sarebbe Luna,
Hecate, Lucina, Diana, Proserpina, Trivia, Argentea, Febea, Cerere, Arteno,
Mena, & molti altri. Ma quello ch'eglino di tante cose habbiano voluto
intendere, è da avertire. Perche adunque sia detta figliuola d'Hiperione, si
può allegare l'istesso, che è stato detto del Sole. Istimo io quella per
chiarezza essere stata Donna famosa, & per la di lei singolar preminenza
& per essere sorella del Sole essere stata nomata Luna; alla cui le cose
seguenti non s'appartengono, anzi alla vera Luna; & perche prestasse favore
a Giove contra i Titani, cioè i superbi; egli è stato detto per la sua
complessione frigida & humida, per la cui molto le fumosità degli huomini
sono cacciate. Viene detto ch'ella adopra una carretta da due ruote per
disegnare il suo corso diurno, & molto piu chiaramente dimostrato per li
colori de i cavalli. Oltre di ciò con l'humidità sua presta favore alle piante,
che germinano sopra la terra, & alle radici di sotto dona aiuto. Che poi
sia amata dal Dio d'Arcadia, qui forse se le potrà concedere tal sentimento,
che per lo Dio d'Arcadia s'intendi ciascun Pastore. Percioche per lo piu gli
Arcadi erano tutti Pastori. Onde i Pastori amano la Luna, cioè il suo lume,
conciosia, che da quella ricevono commodità; & per ciò con voti erano
avezzi nelle selve chiamarla, accioche piu facilmente schifassero nella notte i
suoi greggi dalle insidie delle fiere. Et per ciò, mentre si dimostrava
lucente, a lei nei sacrifici amazzavano una agnella bianca, & cosi dicevano
quella esser vinta da un candido vello. Che anco fosse amata da Endimione,
Fulgentio dice ciò poter essere stato, che Endimione fosse Pastore; il quale,
si come fanno i Pastori, amò l'humor della notte causato dai vapori delle
stelle, ch'escono da essa Luna per prestar vigore ai suchi dell'herbe; onde si
cangia poi nel commodo de' Pastori, overo altrimenti. Dice l'istesso Fulgentio,
che questo Endimione fu il primo, che ritrovasse la ragione del corso della
Luna; & fu detto egli haver dormito trent'anni, perche, secondo il giudicio
de' pazzi, quelli, che danno opra alla speculatione dormono, cioè perdono il
tempo. Overo, che colui, che è inchinato alle considerationi, veramente non
altrimenti, che se dormisse si congiunge all'operationi attive. Il che è stato
detto di Endimione, perche in tutto il tempo di sua vitta non cessò di dar opra
a niente altro eccetto a questa speculatione, si come testimonia Minasta in
quello libro ch'egli scrisse della Europa. Il che io istimo vero; nè sia
alcuno, che si maravigli del lungo spatio di tempo, attento, che d'intorno il
corso della Luna vengono molte cose da considerare, come il degno di reverenza
Andalone dimostra nella sua Theorica de' Pianeti. Ma, che prima pascesse i
bianchi greggi, credo ciò esserli aggiunto per dimostrare la qualità del luogo
della sua consideratione, il quale fu nella cima di quel Monte ch'egli si
elesse per poter piu liberamente capire l'elevationi come luogo piu libero;
& le cime dei monti, & spetialmente le alte, per lo piu sono solite
essere piene di nevi, le cui nevi guardate lungamente dal pastore furono
cagione di farlo chiamare guardiano di bianco armento. Che poi fosse baciato
dalla Luna, penso esser finto perche, si come quelli ch'amano una donzella
tengono dono del suo amore un bacio, cosi della lunga sua meditatione essere
stato dono l'haver ritrovato il corso della Luna; onde pare ch'egli havesse un
bacio del suo amore. Resta vedere de' nomi. Vogliono, che sia detta Luna dalla
Luce, & massimamente mentre nella sera luce; percioche, lucendo la mattina,
vogliono, che sia chiamata Diana. Hecate poi è detta perche s'interpreta cento,
nel cui numero essendo posto quasi il finito per l'infinito, vogliono essere
dinotata la grandezza della sua potenza. Alcuni vogliono, che per suo nome
principale sia detta Trivia, benche Seneca nella Tragedia d'Hippolito la chiami
Triforme. Chiamasi anco la Luna Diana, & Proserpina. Dicono medesimamente
esser chiamata Lucina, come fa nell'Ode Horatio, dicendo;
Tu
affermi d'esser detta anco Lucina.
La quale chiamano Dea delle
Donne, che partoriscono: & perche cosi sia detta, poco di sotto egli si
dichiarirà. Argentea poi la chiamano; percioche egli è suo proprio procrear
l'argento: overo, perche, rispetto al Sole; ch'è d'oro, ella paia d'argento.
Febea la dissero, perche spesse volte è nuova. Arthemia, overo Arthemi in
lingua Atheniese significa l'istesso, che fa Luna; & perciò è cosi detta
(come referisce Macrobio) perche Arthemi, quasi Arnothemi, cioè secante l'aere.
La Luna da quelle, che partoriscono, è chiamata; per essere suo proprio
scendere per le apriture del corpo & far la strada a meati; il che è
prestar salute ad accelerare i parti, si come il Poeta Timotheo elegantemente
espresse. È poi detta Mena perche alle volte patisce difetti, come è nelle Eclipsi,
onde Mena latinamente suona l'istesso, che fa difetto; overo perche
naturalmente manca di luce, & quella ch'ella possede la toglie in prestanza
dal Sole, come fanno le altre stelle. Gli altri nomi poi, perche s'appartengono
ad altre Dee; delle quali si farà particolar ricordo in quest'opra,
voluntariamente gli ho lasciati fino a tanto, che di loro si tratterà.
Rugiada, secondo Alcina Poeta
Lirico fu figliuola della Luna & dell'Aere; & lo istesso testimonia
Macrobio, il quale figmento è dalla natura tolto. Percioche, oprando la Luna
nei vapori della terra humidi che essendo absente il Sole non ponno levarsi,
quelli piu altamente percossi dalla frigidità dell'aere & della Luna si
cangiano in minutissima acqua, la quale cadendo al tempo della state si chiama
rugiada. Il verno poi per lo gelo dell'Aere torbidato si dice bruma, ò vogliamo
dir nebbia.
Briareo da tutti fu tenuto
figliuolo di Titano & della Terra, il quale quasi tutti i Poeti Latini
affermano essere stato contrarissimo inimico & sprezzatore di Giove, &
perciò vogliono, che sia rinchiuso nell'Inferno. Et Virgilio scrive ch'egli è
posto alla guardia dell'entrata dell'Inferno tra gli altri monstri, cosi
dicendo;
Et Briareo con cento mani, & l'Hidra.
Ma Homero nella Iliade dimostra
quello essere stato amico di Giove, dicendo;
Presto hai chiamato quel da cento
mani
Dicon Briareo, & de la Terra
figlio.
Entro il
gran Cielo; il qual gli huomini, e i Dei.
Ne i quali versi Homero tocca la
favola la quale Theodontio alquanto piu largamente riferisce, dicendo che,
essendosi mossi i Dei contra Giove, cioè Giunone, Nettuno & Pallade insieme
con alcuni altri, deliberarono in casa di Hereo padre di Theti fare una catena,
& con quella dormendo Giove, legarlo, & l'uno dopo l'altro trahendola
cacciarlo dal Cielo; il che Theti riferì a Giove, & perciò egli in suo
favore chiamò Briareo in Cielo; il quale veduto dai congiurati, &
istimandolo fortissimo, subito lasciarono l'impresa, & cosi fu difeso
Giove. Là onde si dimostra Briareo essere stato amico di Giove. Della qual
favola Leontio volendo aprire il sentimento, diceva, che inanzi la risolutione
del Chaos gli elementi inferiori erano discordanti con i superiori, ma, che per
opra dello humore si accordarono; & molte altre cose piu tosto da ridere,
che da scrivere. Ma Theodontio dice, che sotto questa favola con sottil velo
v'è coperta una historia. Et perciò dice, che Giove dopo la vittoria havuta dei
Titani & dei giganti di maniera si levò in superbia ch'era divenuto agli
amici insopportabile; di che Giunone sua moglie & Nettuno suo fratello,
segretamente appresso l'Isola di Neritho chiamati alcuni suoi amici, si
consigliarono cacciare dal Reame lui, che di ciò niente si dubitava. Il che
essendoli rivelato da un nocchiero consapevole, chiamò a sé Briareo, ch'era uno
dei Titani rimasto vivo, & allhora potentissimo huomo, overo piu tosto
figliuolo di Briareo di Titano nomato con l'istesso nome; & con lui facendo
lega, di maniera castigò i congiurati, che dopo non hebbero piu ardire tentare
alcuna cosa contra quello. Briareo fu detto haver cento mani perche era capo di
molti huomini, onde il finito si pone per l'infinito. Nell'Inferno è rinchiuso
& non nella città di Dite come gli altri, perche anco era serbato per aiuto
degli Dei; accioche intendiamo non v'essere alcuno, benche scelerato, non
serbato a miglior vita, conciosia, che da lui è conosciuta la loro futura
conversione.
Tra gli altri figliuoli di Titano
Paolo vi annovera Ceo, & Virgilio dimostra, che la di lui madre fosse la
Terra, quando dice:
Ultima a Ceo, e Encelado sorella.
Et quello, che và dietro. Leontio
dice, che costui fu potentissimo Re dell'Isola Cea & huomo molto feroce
& superbo; la onde, benche sia stato piu antico di Titano, viene tra suoi
figliuoli annoverato. Fu padre di Latona & Asterie, donzelle di
maravigliosa bellezza. Et Paolo diceva che, per haver Giove vitiato Latona, i
Titani mossero a lui guerra; ma egli è falso, si come di sopra habbiamo
dimostrato per quelle cose, che si leggono nella Sacra Historia.
Latona fu figliuola di Ceo, si
come si comprende per li versi d'Ovidio; il qual dice;
Non so per qual ragion havete
ardire
Prepor a me Latona generata
Da Ceo,
che nacque, & di Titan fu figlio.
Vogliono medesimamente gli
antichi costei essere stata amata & impregnata da Giove, & di lui haver
partorito due figliuoli, cioè Apollo & Diana. Il che dicono di sorte haver
malamente sopportato Giunone, che non solamente a lei vietasse tutta la terra
per deporre il peso del ventre, ma anco mandasse Fitone serpente di ismisurata
grandezza per metterla in fuga & impedirla; la quale temendo &
fuggendo, nè ritrovando luogo, che la ritenesse, avicinandosi all'Isola Ortigia
da quella fu raccolta, & ivi partorì prima Diana. La quale subito fece
l'ufficio della comare verso la madre nel nascimento d'Apollo, che dietro lei
nacque, & il raccolse; il quale poi amazzò con le saette Fitone, &
incominciò dar oracoli a chi la richiedeva. Oltre ciò dicono per questo parto
essersi cangiato il nome all'Isola, la quale prima essendo detta Ortigia, fu
poi chiamata Delo. Appresso vogliono che, portando Latona per la Licia questi
figliuoli anco piccolini, & per lo caldo ardendo di sete, essersi accostata
ad un certo lago per bere; onde, veduta da alcuni contadini, subito quelli con
i piedi entrarono in quel lago & torbidarono tutta quella acqua. Di che
Latona pregò, che fossero mandati in ruina; là onde incontanente quei villani
tramutati in Rane sempre habitarono quel laco. D'intorno a questi figmenti
Barlaam diceva che, cessando il Diluvio; qual fu al tempo del Re Ogigi, per la
troppo humidità della terra, alla cui la calidità era congiunta, essere
esshalato cosi spessi nuvoli, che appresso molti luoghi del mare Egeo &
della Achaia in alcun modo nè di giorno nè di notte i raggi solari non erano
veduti dagli habitanti. Finalmente facendosi quelli piu rari, &
spetialmente appresso l'isole, dove per ragione del mare meno havea potuto
l'esshalatione della terra, avenne ch'una notte circa un'hora inanzi il giorno
seguente dai circonstanti nell'Isola d'Ortigia prima fossero veduti i raggi lunari,
& conseguentemente la mattina i solari. Là onde con grandissima allegrezza
di tutti, come se havessero racquistato quelli, che già istimavano perduti, fu
detto appresso l'isola Ortigia Diana & Appollo esser nati; & perciò fu
mutato il nome dell'isola & di Ortigia fu detta Delo, che suona l'istesso,
che fa manifestatione, imperoche vi fu prima fatta la dimostratione del Sole
& della Luna. Vollero anco quelli, che finsero essa isola esser Latona,
nella cui fu fatta la dimostratione del Sole; & specialmente la pigliarono
per femina affine di dar colore alla fittione, perche a lei era avenuto di
haver partorito due figliuoli, de' quali il maschio chiamarono Apollo & la
femina Diana. Volsero poi, che Fitone, che perseguitava Latona accioche non
potesse portorire, fossero le nebbie oscure dei vapori, che si levavano, le
quali veramente ostavano, che i raggi solari & lunari non potessero da
mortali esser veduti. Nè senza ragione le chiamarono serpente, percioche,
mentre liggiermente qua & là fossero cacciate da ogni spirito, a guisa di
serpe parevano serpire. Ma dissero questo Fitone essere stato mandato da
Giunone percioche spesse fiate Giunone s'intende per la terra & per lo
mare, da' quali quei vapori erano mandati fuori. Dicono anco, che Diana nacque
prima, perche di notte assotigliati già i vapori, prima apparvero i raggi della
Luna. Che poi ella fece l'ufficio della comare nel nascimento del fratello,
credo ciò esser detto percioche, si come le comari sono solite raccorre i
figliuoli nascenti, cosi la Luna essendosi levata poco prima innanzi il Sole
parve, che con le corna sparse raccogliesse il Sol nascente. È stato poi finto,
che Apollo con le saette amazzasse Fitone, percioche, mostrando i solari raggi,
tutti quei vapori della terra si dissolsero. Che anco Apollo incominciasse dar
oracoli egli s'è pigliato da quello che successe poi, cioè, che in quell'isola
(non so per illusione di cui) un Demonio sotto il titolo d'Apollo incominciò,
& lungamente diede risposte delle cose ricercate. I villani poi cangiati in
Rane è stato detto perche, come scrive Filocore, già i Rodiani fecero guerra
contra i Licij, in aiuto de' quali Rodiani vennero quei di Delo, i quali
essendo andati per acqua ad un certo lago de' Licij, i villani habitatori di
quel luogo gli vietarono l'acqua, onde quelli di Delo facendo empito contra
loro gli amazzarono tutti, & gittarono i loro corpi nell'acque. Finalmente
in processo di tempo essendo venuti i montanari Licij al laco, nè ritrovando i
corpi degli amazzati villani, sentendo le rane in quel circuito gridare, rozzi
& inconsapevoli stimarono quelle rane essere l'alme degli amazzati; &
cosi mentre riferirono ciò agli altri diedero materia alla favola.
Come piace a Theodontio, Asterie
fu figliuola di Ceo di Titano. Costei (secondo Fulgentio) doppo la vergognata
Latona fu amata da Giove, dal quale cangiato in Aquila fu impregnata, & di
lui partorì Hercole. La quale finalmente (sì come piace ad alcuni) congiurata
contra Giove, & fuggendo l'ira di quello, per compassione degli Dei fu
cangiata in una Coturnice, che in Greco si dice Ortigia, & diede nome
all'isola nella cui s'era fuggita, dove da Giove fu tramutata in sasso &
sommersa nell'onde, & da quelle quà & là cacciata; appresso il cui per
la raccolta Latona fermossi. Di questa favola può esser tale la ragione. Dice
Theodontio che, vinto & morto da Giove Ceo, il quale per la vergogna Latona
contra lui s'era mosso, quello esser venuto dell'isola Cea, & ivi essersi
congiunto con la donzella Asterie figliuola di Ceo. Finalmente essendosi ella
contra lui congiurata, prima a guisa d'uccello se ne volò in Ortigia, indi
passò in Colcho & si maritò nel Sole ch'ivi regnava, & di lui partorì
Oeta, dal quale fu poi morta. Overo (come dice Barlaam) mancò nel parto d'Oeta.
Per le quai cose s'è finto Giove in forma d'Aquila seco haver giacciuto, perche
l'Aquila era l'insegna di Giove mentre guerreggiava; & perche per guerra
prese Cea, fu finto, che in forma d'Aquila giacesse con Asterie. Che poi
Asterie si cangiasse in Coturnice, dissero ciò ò per la sua veloce fuga,
essendo loro proprio il volar con furia, ò per il loro lungo passaggio di mare,
essendo a loro commune in certo tempo dell'anno passar il mare. Che anco si sia
conversa in sasso, ciò a lei non s'appartiene, ma all'isola dove prima fuggì,
la quale è detta Ortigia, & Latinamente Coturnice; la quale perciò si dice
tramutata in sasso per disegnare la nuova sua fermezza. Dicono l'Ortigia esser
avezza ondeggiare insieme con l'onde, il che è finto per esser solita per lo
troppo & spesso tremare dei terremoti vacillare; la quale finalmente
vogliono, che si sia ferma, cioè libera dal tremore, percioche fu risposto per
oracolo d'Apollo in quella non deversi sepellire i corpi Dei morti, &
appresso doversi ivi celebrare alcuni sacrifici; i quali dirittamente
essequiti, cessò il disturbo dei terremoti, & cosi divenne pietra, cioè
stabile. Istimo io che, empiute le caverne dove l'Aere rinchiuso cagionava i
terremoti, ciò essere avenuto; & cosi loro per quella risposta di Demone
essersi ingannati. Alcuni v'aggiungono, dicendo ch'all'istessa Ortigia si
congiunsero & unirono Micone & Hiaro isole; il che non si deve
intendere cosi semplicemente, anzi, che da quelle isole ivi vicine (essendosi
stabilita Ortigia) vi vennero habitatori, & unitamente (havendola
abbandonata) ritornarono ad habitare.
Per confermatione di Theodontio,
Tifone overo Tifeo fu figliuolo di Titano et della Terra, benche Lattantio dica,
che fosse generato da Tartaro & dalla Terra. Appresso, l'istesso Lattantio
dice che costui sfidò a battaglia sopra del Reame di Giove, là onde Giove
sdegnato con un folgore il percosse, & per abbassare la sua superbia messe
sopra il suo corpo la Tinacria; il che anco dimostra Ovidio, dicendo;
Tinacria la grand'Isola fu posta
Sopra le fiere membra del Gigante.
Et cosi va continuando per spatio
di dieci versi. Ma Virgilio dice, che non Etna, ma Inarine gli fu posto sopra,
il qual monte è vicino all'Isola di Baie, che hoggidì si chiama Ischia, non
lontano dall'Isola di Prochita; & cosi dice:
Alhor l'alta Prochita forte trema,
Et Inarime divenuta letto
Per lo
voler di Giove al gran Tifeo.
Il che pare, che anco habbia
voluto Lucano, mentre dice:
Freme la cima del gran monte, dove
N'escono sassi; & Inarime sotto
L'eterna
mole tien Tifeo nascosto.
Oltre di ciò Pomponio Mela nel
suo libro di Cosmografia, & dopo lui Solino nel libro delle cose
maravigliose dicono, che costui hebbe una notabile spelonca in Sicilia non
lontano da Corico Castello. Percioche dicono nel monte esservi un profondissimo
antro ombroso, per ispatio di due mille & cinquecento miglia di boschi,
& molto dilettevole per lo tintinire de' correnti ruscelli. Indi doppo cosi
lunga discesa si scopre un'altra spelonca, la quale nell'incontro già oscura,
ha un tempio consacrato a Giove. Poi nell'ultimo dell'andito gli habitatori
affermarono esservi il letto di Tifone. Queste cose di Tifeo nascoste sotto
corteccia hora sono da dichiarare. Dissero adunque questo Tifeo essere stato
figliuolo di Titano rispetto al di lui spirito elevato, & della Terra per
la potenza, dicendo Theodontio lui antichissimo Re di Sicilia, essere stato
& haver in guerra vinto il fratello Osiri, & a brano a brano
stracciatolo. Indi contra il primo Giove haver mosso guerra, ma da lui essere
stato superato, & morto. Nondimeno alle fittioni a' quali questa historia
assai dimostra haver dato materia, sarà questa dichiaratione. Si vede tra
queste cose quelli c'hanno finto, assai convenevolmente, ma tuttavia di nascosto,
dimostrare la cagione dei terremotti. Percioche Papia dice Tifone overo Tifeo
significare gittante fiamme, accioche per questo assai possiamo vedere quelli
haver voluto dimostrare lui eshalare, et mandar fuori nelle viscere della Terra
il fuoco ristretto, in quanto, che dicono da Giove, cioè dalla natura delle
cose, esserli stato posto monti di sopra. In quanto poi dicono, che Tifeo si
sforza ridrizzare, dimostrano la cagione dei terremoti è la Terra per lo piu
piena di caverne; nelle quali alle volte è necessario, che l'aere vi sia
rinchiuso; & ivi tallhora aviene anco, che l'acqua per le sotterranee cave
vi penetri, per ciascun movimento della cui bisogna che medemamente l'aere si
muova: il quale per lo suo moto, et da i contrasti quà & là percosso, &
in piu fiero movimento eccitato, si riscalda. Infiammato adunque, il movimento
suo diviene di tanto potere, che percuote tutte le cose, che li sono d'intorno
& le fa movere, onde se in tal luogo la terra vicina è sulfurea &
cenerosa è necessario, che subito s'infiammi, nè mai s'ammorza fino attanto,
che tal materia duri; & il fuoco non potendo esser tenuto rinchiuso &
ardendo molto, cresca, nè di tanto aere sia capace il luogo, non solamente si
fa un strepito grande della terra vicina, ma etiandio è sforzata aprirsi &
dar l'uscita all'infiammato fuoco, il quale esshalando fa il luogo Tifeo, cioè
gittante fiamme. Et essendo la Sicilia & Inarime di tal natura, però i
saggi finsero essere sopraposte a Tifeo.
Isidoro dove tratta delle Ethimologie
scrive Aeo essere stato figliuolo di Tifone, & il tuo Pafo, ò inclito Re,
antichissima città di Cipro haver edificato; la quale di sopra dissi essere
stata opra di Pafo figliuolo di Pigmaleone, & dal suo nome chiamata. Il che
se sia vero ò nò non ne ho certezza.
Dice Papia Chimera essere stata
figliuola di Tifeo & Chedria: con qual ragione ciò sia detto nol so,
eccetto perche anco costei gitta fuochi. Nondimeno alcuni descriveno costei per
un mostro. Ovidio cosi dice di lei;
In mezzo de le parti sopra il collo
Ha la Chimera il foco, il petto, e
il volto,
Di
Leonza, & la coda ha di serpente.
Virgilio poi cosi dice di lei;
Horrido mostro, & d'altri
stridi pieno;
Et armata di fiamme è la Chimera.
Altri dicono lei haver havuto il
capo di foco, il petto di Leone, il ventre di Capra, i piedi di Serpente; &
molto dannosa ai Licij, ma finalmente essere stata vinta & morta da
Bellorofonte. Il cui nascosto sentimento Fulgentio cerca aprire con grandissima
copia di parole, & al mio giudicio poco convenevoli, contenendo piu tosto
in se un significato d'Historia, che altro, percioche Chimera è un monte di
Licia, che nella cima arde, si come fa anco l'Etna, del cui già scendendo piu
al basso si solevano nodrire Leoni; conseguentemente è fertile di Capre, &
a' piedi era ripiena di Serpenti, il quale purgato da Bellorofonte, famosissimo
huomo delle cose nocive, fu fatto habitabile.
Vuole Paolo Enchelado essere
stato figlio di Titano & della Terra, benche Virgilio voglia, che solamente
sia della Terra, dove dice:
Quella, la Terra mossa ad ira, e
sdegno
Partorì (come dicono) sorella
Ultima a Ceo,
e Enchelado giganti.
Fu questo huomo di gran potere
& crudele, come afferma Theodontio. Dice Virgilio in questo modo costui
essere stato percosso da una saetta, & sotto il monte Etna sepolto.
Si dice, che d'Enchelado il gran
corpo
Da folgore percosso, è tormentato
Da questa mole, & il grand'Etna
sopra
Posto è di lui, che da caverne
fesse
Gitta ogn'hor fiamme, & ogni
volta, ch'elli
Vuol cangiar lato, per rumor si
trema
Tutta Tinacria, indi si cuopre il
Cielo
Per fumo, & per caligine
profonda.
Il quale io direi, che fosse una
cosa istessa con Tifeo, se Horatio nelle Ode non dimostrasse quelli essere
differenti, mentre dice;
Ma, che Tifeo, con il Minia forte,
O, che Porfirion con il fiero stato
O che Retheo con i cavati tronchi,
O Enchelado l'ardito, & fiero
arciere.
Che dirò adunque essendo diversi?
si come con fisica ragione habbiamo detto Tifeo disegnare il sotterraneo foco,
dal foco elemento per la saetta tirata da Giove & dal movimento dell'aere
sotterraneo cagionato & uscito fuori fino all'esteriora, cosi con morale
dimostratione diremo questo disegnare l'huomo superbo, di cui è proprio, a
guisa del foco, con pazzo inalzarsi sempre tendere a cose grandi, mandar fuori
parole infiammate, & col suo furore consumare il tutto; il quale tante
volte è aggravato dall'Etna quante dalla potenza della giustitia divina è
cacciato & vinto, & si sommette essere calcato dai piedi degli humili.
Oltre di ciò, se questi tali non sono oppressi da altro peso, caricati
solamente dalla sua rabbia, sono abbattuti, mentre meno (volendo Iddio) da loro
sono ottenuti i suoi desideri.
Se prestiamo fede all'antichità,
Egeone fu figliuolo della Terra & di Titano, con quella ragione, che sono
stati gli altri. Servio vuole, che costui sia un istesso con Briareo, percioche
è cognominato da cento mani; ma a questa opinione Paolo è contrario, dicendo
Egeone essere stato un crudelissimo & fiero Corsaro, & cosi chiamato
dall'isola Egea, da gli habitanti abbandonata: a quale è posta nel mare Egeo:
dove egli à guisa di Corsari faceva ressidenza; à quali non lece per li loro
ladronezzi habitare nelle Cittadi. Et Theodontio aggiunge, che da costui &
non dall'isola Ege hebbe nome il mare Egeo, conciosia, che al tempo suo alcuno
non haveva ardire entrare in quel mare, eccetto quanto a lui piaceva. Oltre ciò
dicono le antiche favole costui essere rilegato da Giove con cento catene.
Appresso di lui dice Ovidio;
Et con le braccia sua de le balene
Opprime nel Egeo gli homeri fieri.
Accioche per ciò si possa
comprendere lui essere stato potentissimo, mentre con tante catene sono legate
le sue forze; & continua essere stato il suo pensiero nel mare & ne
navigli, dove era sovrastante. Costui è anco detto da cento mani, perche havea
cento huomini in navi, che al remo il servivano, si come veggiamo essere
bisogno nelle navi lunghe.
Fa fede Paolo l'Aurora essere
stata figliuola di Titano & della Terra; la quale se vogliamo istimar
donna, percioche Ovidio dice, che fu moglie di Titano fratello di Laumedonte,
possiamo istimare, che fosse qualche femina di gran potere & maravigliosa
bellezza. Ma io istimo i Poeti haver inteso di quella, che tutti chiamiamo
Alba, cioè quel splendor mattutino per lo quale veggiamo inanzi, che si levi il
Sole il Cielo biancheggiare; la quale però dicono figliuola di Titano non
perche la tengano nata di Titano, ma del Sole, il quale spessissime volte dal
nome del avo chiamano Titano; percioche dal Sole, si come è stato detto,
procede quella chiarezza del Cielo, che noi diciamo Aurora. È poi detta figlia
della Terra perche, avanzando l'orizonte d'Oriente, pare ai riguardanti ch'esca
dalla terra.
Giapeto hebbe per padre Titano
& madre la Terra, secondo, che afferma Theodontio, il quale dice lui al suo
tempo in Thessaglia essere stato grand'huomo & potente, ma di scelerato
ingegno; da noi piu tosto conosciuto per lo splendore dei figliuoli, che per
virtù sua. Di costui dice Varrone, dove tratta dell'origine della Lingua
Latina, essere stata moglie la Ninfa Asia, dalla cui hebbe nome l'Asia: il che
della grandezza di costei è non picciolo argomento; dalla cui alcuni vogliono
ch'egli havesse Hespero, Atlante, & Promotheo.
Hespero, secondo Theodontio, fu
figliuolo d'Asia & Giapeto, & nel principio da loro fu chiamato Filote.
Ma il giovanetto essendo andato insieme col fratello Atlante nell'ultima
Mauritania, & havendo sottoposto a lui i Saracini, che habitano il lito
Oceano oltre il promontorio Ampelusia & le altre isole contigue a quel
lito; da' Greci fu detto Hespero; conciosia, che dal nome dell'Hespero
occidentale chiamano tutto il paese d'Oriente Hesperia; & cosi da quel paese al quale era passato dai
suoi perpetuamente hebbe il nome. Di costui nondimeno non si ha cosa piu oltre,
eccetto c'hebbe tre figliuole, Rapina, Herculea, & Chiara.
Le Hesperide, si come suona il
suo nome del padre, furono figlie d'Hespero, benche alcuno vi sia, che dica
d'Atlante. Queste furono tre per numero, cioè Egle, Heretusa & Hesperetusa;
delle quali si narra c'havevano un giardino in cui nascevano mele d'oro, &
in loro guardia v'havevano posto un serpente, che sempre vegghiava. Del cui
giardino pervenuta la fama all'orecchie d'Euristeo, egli mosso dal disio dei
pomi vi mandò Hercole a torli; il quale, venendovi adormentato overo morto il
Serpente, entrò in quello & tolse i pomi, portandoli ad Euristeo. Della
qual fittione aprire il segreto non sarà cosa difficile. Furono veramente (sì
come piace a Pomponio) alcune isole, nell'Oceano Occidentale, che dirimpetto
haveano un lito deserto subito tra gli Hesperi Ethiopi & i popoli Atlanti,
le quali isole furono possedute dalle donzelle Hesperide, & erano
abondantissime di pecore; la cui lana a guisa dell'oro era pretiosissima,
&t cosi l'Isolane Hesperie, ch'erano paschi di tali pecore, furono il
giardino delle Hesperide, & le pecore i pomi d'oro. Percioche le pecore da
Greci sono dette male, over mala, che significano mele ò vogliamo pomi,
secondo, che testimonia Varrone nel libro dell'Agricoltura. Lo svegliato
serpente erano gli Euripi, i quali tra l'isole per l'ondeggiar dell'Oceano
giorno & notte senza intervallo circondavano l'isole con maravigliosa
fortuna, nè lasciavano, che si potesse passare all'Isole; alle quali Hercole,
aspettato il tempo, passando, tolti i pomi d'oro, cioè menate via le pecore,
ritornò in Grecia. Ma Fulgentio, secondo il suo costume, dall'abisso si sforza
alzar in Cielo l'intelligenza; la cui spositione, perche io tengo, che non sia
stata secondo l'opinione de' fingenti, ho lasciato. Nondimeno sono di quelli,
che vogliano questo Hercole essere stato Perseo, & le Hesperide le Gorgone;
ma essi ricerchino meglio.
Come dice Lattantio, Altante fu
figliuolo di Giapeto & Climene. Ma Theodontio vuole, che fosse di Giapeto
& d'Asia. Plinio poi dove tratta della Naturale Historia dice, che la madre
di costui fu Libia. Tuttavia questi non paiono una cosa istessa, essendo detti
essere tre. Il primo de' quali si tiene di Arcadia; l'altro prima fu Thessalo,
poi Mauro; il terzo, quello, che col fratello Hespero passò in Mauritania.
Oltre ciò vi è Atlante Italiano, il quale, si come si dice, anticamente fu
signor di Fiesole; del quale non trovando l'origine non l'ho posto. Onde di
quale di questi siano quelle cose, che si trovano scritte non v'è certezza,
come, che alle volte per conietture egli si possa capire. Scriverò adunque d'un
solo, come se d'un solo fossero tutti fatti. Fu adunque Atlante (come è stato
detto) figliuolo di Giapeto & di Climene, overo di Asia ò di Libia; del
quale si recita tal favola. Che essendo andato Perseo figliuolo di Giove per
commandamento del Re Polidoro (piace a Lattantio) ad amazzare la Gorgone, &
havendola vinta & tagliatole il capo, & tornando vittorioso, gli avenne
d'allogiare con Atlante; il quale, dall'Oracolo essendo stato avisato, che si
guardasse dai figliuoli di Giove, che da uno di loro sarebbe privo del Reame,
intendendo costui essere figliuolo di Giove, nol volse albergare. La onde
sdegnato Perseo, scoperto il capo di Gorgone, il trasmutò in un monte di suo
nome, & il condannò, che in eterno con gli homeri sostenesse il Cielo. Il
che fu fatto. Sotto questa fittione adunque gli stati innanzi à noi volsero
esservi nascosta una historia, dicendo Fulgentio che, vinta Medusa ricchissima
Reina; Perseo con le genti & thesori di Medusa assalì il Reame d'Atlante,
& il constrinse fuggire nei monti, & cosi colui, che dal Palazzo reale
se ne fuggì ne i monti diede materia alla favola, onde si dicesse, che fosse
converso in monte per opra di colei dalle cui ricchezze in quei monti era stato
cacciato. Percioche nei monti & nei luoghi selvaggi, vie più, che nelle
Cittadi vi sono cose aspre & dure, & di qui si prende materia, che secondo
la conversatione del paese siano anco gli huomini, che vi habitano, i quali di
que' costumi apprendendone sono intieramente huomini ò fiere, ò come cose
insensibili; perche la creatura rationale in altro non si può conoscere
differente dalla irrationale, che per la cognitione del mondo. Che sostentasse
con gli homeri il Cielo, fu per altra cagione; percioche Agostino nel libro de
la Città di Dio afferma costui essere stato un grandissimo Astrologo; e Rabano
dice, che fu il primo, che trovò l'arte d'Astrologia. Il che penso essere tolto
da Plinio, perche egli nel libro dell'historia naturale dice costui essere
stato inventore della Astrologia; & di qui per li sudori da lui patiti in
tal arte è stato detto con gli homeri sostentare il Cielo, perche vedesse tanto
inalzarsi la cima del monte, che sopra quello paia chinarsi il Cielo. Oltre di
ciò dissero gli antichi, che costui hebbe molte figliuole, le quali istimo
essere nate di diversi Atlanti & a questo solo attibuite, si come nella
loro particolar descrittione piu chiaramente vedrassi.
Per dir di Etra, principiamo da
un solo del miglior sesso; Hia fu figliuolo d'Atlante, & si come piace ad
Ovidio;
Non anco Atlante il peso havea del
Cielo;
Quando fu nato il bel da veder Hia;
Ethra costui de' l'Oceano stirpe
A tempo partorì con l'altre Ninfe;
Ma Hia fu
il primo, che di tutte nacque.
Questo giovane fu cacciatore,
& cacciando da una Leonza fu morto, come esso Ovidio dimostra dicendo;
Mentre, che giovanetto ei segue i
Cervi,
Et cosi va continuando per otto
versi nel libro de Fastis.
Sette sorelle furono le Hiadi,
& figliuole di Atlante & di Ethna; delle quali questi furono i nomi,
Endora, Ambrosia, Prodile, Croni, Fito, Polisso & Thiene; de quali tutte
insieme è stato necessario scrivere, non si leggendo di loro in particolare
alcuna cosa di queste. Adunque cosi scrive Ovidio;
Et l'oscuro imbrunir farà la notte,
Che parte alcuna de la schiera
tutta
De l'Hiadi non starà nascosta
punto;
Il cui volto con sette ardenti
fiamme
Splende qual Toro; & queste il
buon nocchiero
Da la città per nome Hiade le
chiama;
Parte istima, che Baccho habbia
nudrito,
Parte ha creduto queste esser
nipoti
Di Theti, & altri del gran
vecchio Oceano.
Per questi versi possiamo
conoscere quelle (si come di sopra havea detto l'istesso Ovidio) per la pietà
del morto fratello essere state raccolte in Cielo, & nel fronte del Tauro
locate. Nondimeno nella fine dei versi pare, che Ovidio creda parte di queste
essere state figliuole d'Hia; ma Theodontio conferma tutte essere state
d'Atlante. Dice Anselmo nel libro dell'Imagine del Mondo queste esser dette
Succule. Ma hora veggiamo quello, che vogliano significar queste cose. Et prima
io istimo essere in questo modo accaduto la loro assuntione in Cielo, percioche
di numero si convenivano con le Stelle poste nella fronte del Tauro, onde ciò è
stato pigliato da quelli, che sapevano il numero delle figliuole d'Atlante;
favolosamente quelle Stelle dai nomi delle donzelle essere nomati, &
continuando, di maniera s'è congiunto con le stelle, che fino al dì d'hoggi
dura. Overo, che è piu verissimile, le figliuole d'Atlante per la
convenevolezza del numero col nome delle stelle essere dimandate, & a
questa favola haver dato materia. Percioche credo io quelle stelle essere
dimandate Hiadi dal loro effetto con lunga consideratione inteso, percioche
Hias in greco significa pioggia, il che a loro per nome è stato dato: conciosia
che, incominciando ad apparire, le pioggie dell'Autunno incominciano &
tuttavia vanno continuando per lo più: di che da tale effetto egli s'è dato
nome alle Hiadi. Questo a me è paruto annotare, percioche molti significati,
proprietadi si ponno attribuire a tutte le fintioni, de' quali alcuna non v'è,
che senza mistero non sia scritta; ma il giudicio del Lettore è quello, che poi
alla più propria secondo il suo sentimento s'appiglia. D'intorno ciò potrei
anco addurvi molte altre openioni, le quali taccio per non apportar meco piu
noia, che utile & diletto. Sono poi dette Succule, quasi piene di succo,
cioè di humidità & pioggie. Che nodrissero anco Bacco, istimo esser detto,
che con l'humidità sua, overo del segno nel quale sono, stando il Sole in
Virgo, nella Notte diano molto vigore alle vigne il giorno arse dal Sole.
Elettra fu figliuola d'Atlante
& Pleione, & si come io tengo d'Atlante Thoscano; percioche alcuni
vogliono ella essere stata moglie d'un Re di Corinto, che molti istimano essere
stato Tosco; & se non fu Tosco, fu almeno Arcade, percioche al suo
congiungimento Giove non sarebbe andato in Mauritania. Vogliono, che costei
impregnata da Giove, di lui partorisse Dardano Autor di Troia, & dal marito
Iasio. Oltre di ciò costei con sei sorelle dalla madre Pleione, furono dette
Pleiadi; & perche nudrirono Giove, overo il padre Libero, meritarono il
Cielo, & cangiate in stelle furono locate nel ginocchio del Tauro, &
dai latini chiamate Virgilie. Delle quali tutte cosi scrive Ovidio;
Le Pleiadi incominciano ad aprire
Gli homeri paterni; le quai sette
Son dette, & nondimen soglion
esser sei.
Overo, perche sei furon congiunte,
Et oppresse dai Dei; percioche a
Marte
(Dicono), che Sterope si congiunse;
A Nettuno Alcione; & poi la
bella
Celeno, Elethra, Thaigeta, &
Maia
A Giove, ma la settima Merope
A te mortal Sisifo maritossi.
Ciò le rincresce, & sola stà nascosta
Per vergogna del fallo; ò perche
Elettra
Non sopportò veder inanzi gli occhi
Le ruine di Troia, e i pose mano.,
&c.
Ma gli Astrologi dicano una di
queste essere nuvolosa, nè poter vedersi. Nondimeno per ispedire i figmenti con
poche parole, di queste diremo quanto si può dire al nome & al salire in
Cielo, l'istesso, che è stato detto delle Hiadi. Benche Anselmo voglia queste
Pleiadi non dalla madre, ma dal numero più essere nomate, dicendo, che Plion in
Greco, Latinamente significa pluralità, sono dette Vergilie, perche si mostrano
insieme col Sole, cioè quando entra in Tauro, perche allhora i virgulti
crescono. Sono dette poi haver nodrito Giove percioche alcuni si sono imaginati
l'elemento del foco esser nodrito dall'humidità terreste, la qual humidità
cagionano le pioggie. Del padre Libero, poi, è l'istesso come di sopra delle
Hiadi.
Maia fu figliuola d'Atlante, come
dice Virgilio;
Havete inteso, se crediamo punto;
Ch'Atlante; io dico quell'istesso
Atlante,
Che il
Ciel sostiene fu di Maia padre.
Io credo ch'ella fosse figliuola
d'Atlante d'Arcadia; & Cingio dice, che fu maritata in Vulcano, usando
l'argomento, come dice Macrobio ne i Saturnali, che il flame di Vulcano,
celebrato nelle calende di Maggio, a questa Dea fa il sacrificio. Ma Pisone
chiama la moglie di Vulcano Maiesta, & non Maia. Questo nondimeno affermano
tutti, che giacque con Giove & di lui partorì Mercurio. Appresso dicono,
che Giunone amò costei grandissimamente tra tutte le concubine di Giove, &
Martiano afferma ch'ella le lattò il figliuolo Mercurio, & di questa
benevolenza ne rendono la ragione percioche, levandosi ella, la Primavera,
& la State vengono, per le quali l'aere divenuto piu bello pare, che
rallegri ogn'uno. Ma perche non sia l'istesso di Celeno, Elethra &
dell'altre, che egualmente si levano con Maia, si può render tal cagione;
percioche per Maia gli antichi intesero la terra, nella quale sono le ricchezze
& i reami à quali sovrasta essa Giunone. Questa Maia appresso Romani fu tenuta
in grandissima riverenza. A lei veramente, come dice Macrobio, nel mese di
Maggio, (percioche tenevano, che fosse da lei cosi nomato, si come scrive
Ovidio nel libro de' Fastis,) i Mercanti insieme col figliuolo Mercurio
sacrificavano. Et perche, si come pare ch'affermi Cornelio Labeone, istimavano
la terra, che havesse tolto il nome di Maia dalla magnitudine, cioè grandezza,
le amazzavano una porca pregna; la qual vittima dicevano essere favorevole alla
terra, & ciò istimo per la fecondità. Oltre ciò dice l'istessà Labeone, che
à questa Maia, cioè alla terra, à Calende di Maggio fu edificata una chiesa
sotto il titolo di buona Dea, & dice, che si dimostra ne i libri de'
Pontefici essere una cosa istessa Buona Dea, Terra, Buona, Fauna, Opi, & Fatua.
Le ragioni poi sono poste di sopra, dove habbiamo scritto della Terra.
Fu ancho Sterope figliuola
d'Atlante & Pleione; la quale Ovidio dice essere stata amata da Marte,
& di lui haver partorito Parthaone, che fu Re di Calidonia, dirimpetto
quasi all'Arcadia.
Di Atlante & Pleione
medesimamente fu figlia Cilleno. Costei vitiata da Giove partorì Mercurio, ma
differente dal primiero; il quale fu cognominato Cillenio dalla madre, overo
dal Monte d'Arcadia nel cui forse nacque.
Vogliono, che il Padre di Taigeta
fosse Atlante & la madre Plieone, & dicono ch'ella piacque à Giove
& venne ne' suoi abbracciamenti, & di lui partorì Lacedemone; il quale
altri dissero figliuolo di Taigeta figliuola di Agenore, & alcuni vollero,
che nascesse di Semele.
Alcinoe nacque d'Atlante &
Pleione, & a Nettuno piacque, del quale vogliono, che partorisse Alcinoe
moglie di Ceo Re di Trachinna.
Hebbe Pleione & Atlante per
figliuola Merope, la quale si maritò in Sisifo Re di Corinthi, si come
testimonia Ovidio; & si crede, che di lui partorisse Laerte padre d'Ulisse,
& Glauco & Creonte.
La Ninfa Calipso, come dice
Prisciano nel maggior volume, fu figliuola d'Atlante, ma di qual madre nol
dice. Il che anco prima di Prisciano dimostra Homero nell'Odissea, dicendo;
Dove
d'Atlante la figlia Calipso.
Ma di qual Atlante, egli non si
sa. Da costei giunse Ulisse rotto dal mare, si come testimonia Homero; &
per ispatio di sette anni fu da lei ritardato. Questa signoreggiò una certa
Isola chiamata Ogigia, overo da sé detta Calipso.
Epimetheo fu figliuolo di Giapeto
& della moglie Asia, si come dice Leontio. Costui, d'acuto ingegno fu il
primo, che finse una statoua di huomo di fango; là onde Theodontio dice, che
Giove si sdegnò & il cangiò in Simia, confinandolo nelle Pitaguse. Del qual
figmento la dichiaratione è tale. Sono le Simie animali, che tra le altre cose
hanno havuto ciò dalla natura, che, veggendo alcuno, che faccia alcuna cosa,
anco elle la vogliano fare, & alle volte la facciano. Cosi è paruto, che
Epimetheo a guisa della Natura volesse fare un'huomo, & cosi imitando la
natura della Bertuccia fu detto Simia. Dissero poi, che transformato in
Bertuccia fu confinato nell'isole Pitaguse; perche già tempo quelle erano
abondevoli di tali animali, overo forse d'huomini ingegnosi & nelle sue
opre imitanti la Natura.
Pirrha fu figliuola d'Epimetheo
& moglie de' Deucalione, si come piace ad Ovidio, che di lei cosi scrive;
Deucalion con gli occhi lagrimosi
In questo modo parlò verso Pirrha;
O sorella, ò mogliere, ò donna sola
Sopra restata a tutti; che il
commune,
Genere à me, e l'origine del zio,
Et indi il letto pur congiunse;
& hora
Ci
coniungono insieme anco gli affanni.
Costei, essendo tra tutte le
donne pietosissima, insieme col marito Deucalione sopportò il Diluvio, & di
lui partorì quattro figliuoli.
Secondo Varrone nell'Origine
della lingua Latina, & molti altri, Prometheo fu figliuolo di Giapeto &
di Asia Ninfa. Dice Ovidio, che costui fu tra tutti il primo, che formasse
l'huomo di terra, cosi scrivendo;
O, che la fresca terra, che di poco
Era discesa già da l'alto Cielo
Del Ciel parente riteneva i semi;
La qual giungendo il figlio di
Giapeto
Con onde fiuminali; fece in forma
Et in
effigie humana qual Iddio.
Ma Horatio aggiungendoli un non
so che, dice nelle Ode;
Si dice, che Prometheo fu cagione
Al prencipe col fango aggiunger
parte
Di fierezza crudel di fier leone,
Et violenza locar nel petto nostro.
Ma Claudiano nel Panagerico
Quarto del Consolato tra tutti descrive piu ampiamente questa fabrica, dicendo;
Puon mente, che nel tempo, che
ciascuno.
Nel mondo a se faceva i propri
membri;
Et cosi và seguendo per ispatio
di ventisei versi. Nondimeno a queste cose Servio & Fulgentio v'aggiungono
una favola. Dicono che, havendo Prometheo di fango formato un'huomo senza
spirito, Minerva si diede maraviglia di cosi eccellente opra, onde a lui
promesse ciò ch'egli volesse tra tutti i beni celesti per dar compimento alla
sua opra: il quale rispondendo, che non sapeva, che dimandarle se non voleva
quelle cose, che appresso gli Dei fossero utili, di che da lei fu inalzato in
Cielo, dove veggendo tutte le cose celesti animate con fiamme (per infondere
anco all'opra sua la fiamma), segretamente porse vicino alle ruote di Febo una
verga, & havendola accesa & rubato il foco il riportò in Terra,
aggiungendolo al petto del finto huomo; & cosi il fece animato, &
chiamollo Pandora. La onde i Dei mossi ad ira fecero, che Mercurio il legò al
Caucaso, & diedero all'avoltoio, overo all'Aquila, il suo core da essere in
eterno divorato. Il cui lamento nella rupe con assai lunghi versi descrive
Eschilo Pitagora Poeta, affermando il core a lui dal rostro dell'Aquila essere
stracciato, & poi reintegrato & cosi di novo divorato, & riffatto
senza mai interporvi tempo. A gli huomini poi (come dice Safo, & Esido) per
ciò gli Dei mandarono l'infermità, la tristezza & le donne. Ma Oratio dice
solamente la pallidezza & la febre, si come dimostra nell'Ode.
L'audace progenie di Giapeto
Con frode iniqua portò in Terra il
foco,
Et doppo il foco, che dal Ciel
discese,
Scese tra noi la schiera, &
compagnia
Di
pallidezza, & de la febre acuta.
Di queste fintioni, Serenissimo
Re, non sarà leggier cosa levare la corteccia. Molte lunghe parole fanno
bisogno a questo tal senso, le quale, s'io non le scrivo, ma voglio ridurre in
poco, sarà bisogno essere molto aveduto. Le troncherò adunque meglio ch'io
potrò, & come piacerà a Iddio. Onde inanzi il tutto penso essere da vedere
chi fosse questo Prometheo, il quale è doppio, si come è doppio l'huomo, che
viene prodotto. Primo adunque è il vero & onnipotente Iddio, il quale fu il
primo, che produsse l'huomo dal fango della terra, si come fingono, che facesse
Prometheo, ò per natura delle cose; la quale a similitudine del primo produce
anco gli altri di terra, ma con altra arte, che non fece Iddio. Il secondo è
esso Prometheo, del cui, prima che scriviamo altra allegoria, secondo il
semplice senso è da vedere chi egli si fosse. Dice Theodontio haver letto di
questo Prometheo che, devendosi allui la successione del padre Giapeto, per
essere il figliuolo maggior d'anni, essendo giovane & tratto dalla dolcezza
degli studi lasciò quella al fratello Epimetheo, abbandonando due picciolini
figliuoli, Deucalione & Iside, & se n'andò in Assiria; & poscia,
che alquanto tempo hebbe udito alcuni famosi Chaldei di quell'età, se n'andò
sulla cima del Monte Caucaso, dove per la lunga speculatione & esperienza
havendo capito il corso delle stelle, procurato le nature dei folgori & le
cagioni di molte cose, ritornò dagli Assiri & a quelli insegnò
l'Astrologia, le procurationi de i folgori & i costumi degli huomini civili;
da quali erano in tutto lontani, & tanto oprò, che quelli i quali da lui
erano stati trovati rozzi & in tutto selvaggi, & viventi a guisa di
fiere, come composti di novo gli lasciò huomini civili. Le quai cose cosi
lasciate, è da vedere chi sia l'huomo prodotto, che di sopra ho detto essere
doppio. Vi è l'huomo naturale & l'huomo civile, amendue nondimeno viventi
con l'anima rationale, ma l'huomo naturale è creato primo da Iddio del fango
della terra; del cui & Ovidio & Claudiano intendeno, benche non cosi
religiosamente come fanno i Christiani; onde di fango Prometheo, cioè questo
primo havendolo formato; soffiò in lui l'anima vivente, la quale io intendo la
rationale, & con questa la sensitiva & vegetativa potentie overo
secondo alcuni anime. Ma queste hebbero corporale natura, & se l'huomo non
havesse peccato sarebbe stata eternalmente, si come la rationale, nella cui è
la natura divina. È da credere, che costui fosse huomo perfetto circa tutti gli
atti terreni, nè alcuno deve pensare egli haver havuto bisogno di alcuno
Prometheo mortale per regolare le cose temporali; ma quelli, che sono dalla
Natura prodotti vengono rozi & ignoranti, anzi se non sono ammaestrati
diventano di fango, agresti, & bestie. D'intorno a' quali si leva il
secondo Prometheo, cioè l'huomo dotto, & togliendo quelli come di sasso,
quasi di novo gli cria, ammaestra & instruisce, & con le sue
dimostrationi di huomini naturali gli fa con costumi civili, & per scienza
& virtù famosi, di maniera, che chiaramente si vegga altri haverli prodotto
la Natura, & altri haverli riformato la dottrina. Appresso dicono, che
Minerva guardò con maraviglia l'opra di costui, & lo condusse in Cielo per
darli tutto quello, che a lui fosse bisogno (se a proposito ve ne fosse) a
compimento di tal opra; il che io penso deversi intendere in questo modo, cioè
per Minerva l'huomo saggio, che si maraviglia dell'opra di natura, cioè
dell'huomo prodotto di fango, & veggendolo imperfetto in quanto alla
dottrina & ai costumi, desiderando animarlo, cioè farlo perfetto; con la
guida della sapienza per la speculatione ascende in Cielo, dove vede il tutto
animato di fuoco; accioche intendiamo, che nel Cielo, cioè nel luogo di
perfettione, tutte le cose sono animate di fuoco, di chiarezza di verità. Cosi
anco l'huomo perfetto non è offuscato da alcuna nebbia d'ignoranza, & col
continuo pensiero habita ne Cieli. Indi costui dalla ruota del Sole ruba il
fuoco & il porta in Terra, attaccandolo al petto dell'huomo di fango, che
diventa vivo. Veramente ciò non è detto inconvenevolmente, percioche non nei
theatri, nelle piazze, nè in publico apprendiamo il lume della verità, ma
separati nelle sollitudini; & ricercato il silentio entriamo in
consideratione, & con la continua speculatione ricerchiamo le nature delle
cose; & perche queste tai cose si fanno secretamente, pare, che le rubiamo:
& accioche appaia onde venga la sapienza nei mortali, dice, che viene dalla
ruota del Sole, cioè dal grembo d'Iddio: dal cui deriva ogni sapere; percioche
esso vero Iddio è il Sole ch'allumina ogni huomo, che viene in questo mondo. La
quale eternità volsero figurare per la ruota, che non ha principio ne fine;
& ciò apposero affine, che di esso vero Dio & non del Sole creato
intendessimo essere detto. Finalmente infonde questa fiamma, cioè chiarezza di
dottrina, nel petto dell'huomo fangoso, cioè ignorante; percioche se quello
Iddio donatore dei doni a tutti infonde una buona & perfetta anima, la
corporal macchina tinta da caligine terrena di maniera assottiglia le forze
dell'anima, che per lo piu, se non sono aiutati, & svegliati, di sorte
s'aviliscono, che piu tosto paiono animali bruti, che rationali. Con la
dottrina adunque della sapienza ricevuta da Iddio, l'huomo prudente dà spirto,
cioè sveglia l'anima addormentata dell'huomo di fango, cioè ignorante; il quale
allhora si dice vivere, mentre di bruto diventa rationale, overo è divenuto.
Compiuto poi l'huomo, dicono che i Dei si mossero ad ira, & fecero alcune
cose, come sarebbe, che confinarono Prometheo in una rupe, mandarono la febre,
la pallidezza, & la femina agli huomini. Il che d'intorno, in quanto al
primo, egli è da avertire, che i Poeti, a usanza del vulgo, hanno qui
impropriamente parlato. Perche il volgo ignorante istima, che Iddio sia
corucciato contra ciascuno, che vedeno essere amalato, benche d'intorno ad opra
lodevole si affatichi, come se niente altro, che ocio non sia conceduto dal
pacificato Iddio. Perciò tennero Iddio essere corucciato con Prometheo,
attento, che s'affaticasse con studio continuo per haver cognitione delle cose.
Overo dissero, che gli Dei fossero mossi ad ira perche imposero cose
affatichevoli agli huomini. Di questa ira, quale ella si fosse, si è detto di
sopra dove s'è trattato della fama. Che poi facessero menare & ligare
Prometheo da Mercurio al Caucaso, l'ordine si rivolge.
Percioche prima fu Prometheo nel
Caucaso, che egli animasse l'huomo col rapito fuoco. Per l'avenire adunque vi
fu guidato, & già per esso disio l'huomo prudente da Mercurio interprete
degli Dei, cioè dall'ammaestramento d'alcuno espositore de i segreti di natura,
fu cacciato nel Caucaso, cioè in una solitudine, benche secondo l'historia egli
andasse nel Caucaso & ivi fosse in una rupe rilegato, cioè dalla propria
volontà ritenuto. Dicono ch'un'Aquila gli straccia l'interiora, cioè essere
tormentato dalle alte considerationi; le quali interiora divenute vuote per la
lunga fatica delle speculationi, allhora si ristaurano quando per diverse
intricate vie si ritrova la cercata verità di alcuna cosa. Et questo basta in
quanto alle cose finte di Prometheo; il quale veramente i nostri maggiori
affermano essere stato eccellentissimo dottore di sapienza. Perciò, che
Agostino nel libro della Città di Dio, & dopo lui Rabano & Luone
Carnetese, equalmente confessano lui essere stato in scienza famosissimo huomo.
Oltre ciò Eusebio nel libro dei Tempi dice che, regnando Argo alli Argivi, fu
Prometheo, il quale loro affermano & ricordano, che fece degli huomini;
& veramente essendo egli saggio transfigurava la loro ferocità &
soverchia rozezza in humanità & scienza. Dopo costui rende anco di lui
testimonio Servio, dicendo, che fu huomo prudentissimo & dalla providenza
nominato; & che fu il primo, che insegnò l'Astrologia alli Assiri, la quale
con grandissima diligenza egli havea apparato facendo ressidenza sull'altissima
cima del Caucaso. Appresso Lattantio dice nel libro delle Divine Institutioni,
che costui fu il primo, che trovò l'inventione di formar le imagini di fango;
il che forse diede principio alla favola in formar gli huomini di tutto. Cosi
anco Plinio nel libro della naturale Historia vuole ch'ei fosse il primo, che
insegnasse il fuoco tratto dalla pietra in una ferula serbarsi. Vollero
appresso, che gl'irati Dei mandassero agli huomini la pallidezza, la febre,
& le donne. Per la pallidezza io intendo le fattioni corporali per le quali
siamo afflitti, & alle quai siamo nati per peccato di colui da cui è stato
detto; Col sudore del tuo volto mangierai il tuo pane. Di qui adunque si fece
la strada la pallidezza. Per le febri poi istimo haver voluto intendere gli
ardori della concupiscenza, de' quali siamo crucciati & continuamente
tentati. Ma la donna è stata creata per piacere; nondimeno per la sua
disubidienza è fatto stimolo, nè veramente picciolo, se dirittamente vorremmo
riguardare; il che piu tosto per dimostrare con altrui, che mie parole, piacemi
annotare quello, che di loro tenga il mio famosissimo Precettore Francesco
Petrarca in quello libro ch'egli ha scritto della vita solitaria. Dice egli in
questo modo: Nessun veneno è cosi mortale ai viventi in questa vita, che il
consortio della donna. Percioche la vaghezza della donna è tanto piu funesta
& formidabile quanto è piu dilettevole & accarezzevole; & questo
dico per tacere i suoi costumi, de' quali in tutto non è cosa piu instabile nè
piu noiosa alla quiete dello studio. Sia, che tu voglia, che cerchi riposo,
fuggi la femina, perpetuo ricetto di vitij, & fatiche & danni. Di rado
sotto un istesso tetto habita la quiete & la donna. Egli è parola Satirica:
Sempre ha contrasti, liti, &
villanie
Il letto, ù giace maritata donna,
Et poco
in quello si riposa, ò dorme.
Se per caso non fosse piu
tranquillo il congiungersi con la concubina, di cui & la fede è minore,
& l'infamia maggiore, & il contrasto eguale. Egli è chiaro & palese
il detto di quel famoso oratore. Chi non litiga con la moglie è casto. Doppo
queste parole l'istesso poco da poi segue: Sia chi tu voglia;, se fuggi la lite
fuggi anco la femina, che a pena l'una senza l'altra fuggirai, se bene sono
benignissimi alla sua presenza i costumi della donna (il che è rado) per modo
di parlare, io dirò, che questo è un'ombra nociva, della quale (s'io merito
punto di fede) il volto & le parole da tutti, che cercano la solitaria pace
non altrimenti sono da fuggire di quello, che sia non dirò un serpe, ma quale i
conspetti & i sibili de basilischi; percioche non meno di quello, che
faccia il basilisco con gli occhi & col sguardo amazza l'huomo. Queste cose
scrive egli. Onde benche io m'habbia (se volessi) molte altre cose di piu &
vere da dire, le voglio lasciare, perche il presente tempo no'l ricerca; &
questo basterà haver detto d'intorno lo stimolo del genere humano.
Dice Fulgentio, che colui fu
nomato Pandora il quale primo Prometheo fabricò di fango, il che istimo essere
stato detto da Fulgentio perche il significato di Pandora in Latino vuol dire
manco d'ogni cosa; conciosia, che non per notitia d'una sola cosa forma il
sapiente, ma di molte, & piu veramente di tutte. Ma tale è solo Iddio, il
quale in tutte le cose è perfetto & di nessuna non manca cosa, che non mai
a pieno s'è veduta nè vedrà in alcuno, perche a lui solo s'appartiene la
perfettione, & è l'istesso perfetto, di che chi di noi non manca in una
cosa, patisce diffetto in un'altra. Oltre ciò Pandora si potrebbe dire da Pan,
che significa tutto, & doris, che vuol dire amarezza. Il che verrebbe ad
essere Pandoro, cioè pieno d'ogni amarezza, percioche l'huomo in questa vita
non può posseder cosa senza amaritudine; la qual cosa, che sia vera ò non,
ciascuno si svegli & il vedrà. Onde Giobbe, huomo santo & notabile
specchio di patienza, volendo rimproverar questo al genere humano disse:
L'huomo nato della donna, il qual vive breve tempo, di miserie è molto pieno.
Iside, come dice Theodontio, fu
figliuola di Prometheo, & piccolina dal padre fu lasciata ad Epimetheo suo
zio; della cui l'istesso Theodontio riferisce la favola. Dice adunque che,
essendo cresciuta la donzella & divenuta bellissima, & da marito,
piacque a Giove, il quale tanto ò con la potenza ò con persuasioni s'adoprò,
che la condusse ne' suoi abbracciamenti, onde dice, che di Giove Isis partorì
Epafo. Finalmente, ò che la giovane tanto si confidasse nell'innamorato, ò che
per natura ella fosse d'animo infiammato, le venne disio di regnare, &
havuto aiuto da Giove, & da altra parte fatta forte, mettendo in effetto
con le forze il real animo mosse guerra ad Argo Re d'Argivi, per anni
attempato, ma per altro huomo molto aveduto, contra il quale venuta a giornata,
avenne che, rotto l'essercito d'Isis, essa fu pigliata & da Argo posta in
prigione. Ma Stilbone, che poi fu nomato Mercurio, huomo eloquentissimo &
pieno d'ardire & d'industria, per commandamento di Giove suo padre oprò
tanto con suoi inganni che, amazzato il vecchio Argo, liberò di prigionia
Iside. Alla quale non succedendo prospere le cose nella patria, confidandosi
nella sua diligenza montò sopra una nave, la cui insegna era una vacca, &
passò in Egitto, & insieme con lei Stilbone cacciato di Grecia per lo
commesso delitto, & essendo ivi Apis potentissimo, ella il tolse per
marito; onde dati agli Egittij i caratteri delle lettere & mostratogli il
coltivar della terra, venne in tanta riputatione appresso gli Egittij, che fu
tenuta non femina mortale, ma piu tosto Dea, & vivendo anco le furono fatti
honori & sacrifici divini. Ma Leontio diceva haver inteso da Barlaam questa
Isis prima, che passasse in Egitto, essersi maritata nel ditto Apis, & poi
essersi congiunta con Giove; onde essendosi di ciò accorto Apis, &
sdegnatola (lasciato il regno d'Argivi) se n'andò in Egitto, & ella
andandoli dietro essere poi stata raccolta di nuovo da lui. Nelle quai cose
sono tante diversità d'opre & di tempi dall'una parte & l'altra, che
non solo si leva la fede all'historia, ma nè anco alcuna assomiglianza di vero
nelle cose vi si può appropriare; & spetialmente aggiungendovisi l'ostacolo
di Giove, del cui i convenevoli tempi con Api togliono molta fede a questa
historia. Nondimeno la cura si lascierà agl'industriosi della verità.
Per testimonio di tutti gli
antichi Deucalione fu figliuolo di Prometheo; il quale cresciuto in età, il Zio
Epimetheo diede per sposa la figliuola Pirrha. Fu huomo di benigno ingegno,
& Pirrha donna pietosissima; de' quali dice Ovidio;
Di lui huomo miglior non fu alcun
mai
Ne piu giusto; ò di lei piu santa
Dea.
Al tempo di costui in Thessaglia
fu un diluvio grande, del quale quasi tutti gli antichi scrittori fanno
ricordo, & fingono che, crescendo molto l'acque, solo Deucalione con la
moglie Pirrha fuggirono in una barchetta, & pervennero sopra il monte di
Parnaso. Onde, cessando già l'acque, andarono all'oracolo di Themi per
consigliarsi sopra la rinovatione del genere humano, & per suo comandamento
essendosi coperto il capo & discinte le vesti, pigliarono dei sassi &
con le mani si gli gittavano dopo le spalle, si come ossa della gran madre
antica; & quelli si convertirono in huomini & donne. Paolo riferiva
questo figmento in tal modo essere da Barlaam spiegato. Diceva egli haver letto
in antichissimi annali de' Greci per questo diluvio essersi smarriti gli
huomini & essere fuggiti sopra gli piu alti monti, & nascosti negli
antri & nelle caverne insieme con le sue mogli, per vedere il fine; & a
questi Deucalione & Pirrha (cessando l'acque) essere andati in habito mesto
& supplichevole, persuadendo non senza grandissima fatica Deucalione agli
huomini & Pirrha alle donne il diluvio essere cessato, nè piu deversi haver
tema. & cosi dalle cime dei monti & dai sassosi antri andando loro
inanzi, gli ridussero alle sue stanze & habitationi. Ma Theodontio non dice
cosi, anzi, che Deucalione con la moglie & molti altri in una nave pervenne
al monte Parnaso; & essendo cessate l'acque ivi fermò la sedia del suo
reame, percioche prima signoreggiava in Thessaglia; & di consentimento
commune (come per publico bene) fu oprato, che si richiamassero gli huomini &
le donne dalle caverne. Le quali trappassavano di numero la quantità degli
huomini, percioche, venendo il diluvio, elleno molto piu paurose pria degli
huomini fuggirono sopra i monti, onde alcuna non ne andò a male, & degli
huomini molti dall'acque furono affogati. Et vi mettono la vergogna figurata
per lo capo coperto, percioche non ci vergognamo, eccetto veggendo gli huomini
con le donne senza alcuna distintione mescolati; il che dice deversi intendere
per le vesti discinte. Attenti, che (sì come è stato detto dove si ha trattato
di Venere) il cingolo di Venere è detto ceston, il quale da le [donne] è
portato ai ligitimi congiungimenti; quando poi va agli illiciti, mette giù
quello. Et cosi quelli dimostravano andare in dishonesti congiungementi, &
questo per accrescere figliuoli, conciosia, che pochi huomini da gran quantità
di donne ponno haver grandissima prole. Che poi gli chiami ossa della gran
madre, non penso ciò essere detto per altro eccetto perche, si come i sassi
contengono, che la mole della terra non cresca, cosi le ossa serbano i corpi
degli huomini in vigore, & cosi anco le fatiche degli agricoltori oprano,
che quelle cose siano dalla terra prodotte de' quali siamo nodriti &
mantenuti; come quasi appaiano tolti dai campi quelli, che poscia habitarono le
cittadi. Ma io istimo quelli essere detti ossa della gran madre perche furono
tratti fuori dalle caverne & dagli antri di monti, si come facciamo noi i
sassi; & per la sua durezza detti di sasso.
Secondo Theodontio, Ellano fu
figlio di Deucalione & Pirrha; il quale dice Barlaam che, morto suo padre,
di maniera aggrandì il suo impero, che quasi tutta la Grecia, che è rivolta al
mare Egeo dal suo nome fu detta Ellada, & i Greci Elladi.
Come dice Theodontio, Psitaco fu
figliuolo di Deucalione & Pirrha; il quale ammaestrato & ripieno delle
dottrine di Prometheo suo avo se n'andò in Ethiopia, dove fu molto istimato
& riverito; & essendo divenuto molto vecchio pregò gli Dei, che gli
donassero la morte, dai cui preghi mossi i Dei lo tramutarono in uno uccello di
suo nome, da noi detto Papagallo. Credo io, che la cagione di questa fittione
fosse la fama del suo nome & virtù, la quale morendo lui canuto, durò con
una viridità perpetua, si come verdi sono quelli uccelli. Furono di quei, che
credettero questo Psitaco essere stato quello, che fu detto uno dei sette
sapienti, ma Theodontio dice quello essere stato molto piu antico.
Testimonia Eusebio nel libro dei
tempi, che Dionisio fu figliuolo di Deucalione, & ch'i suoi fatti furono
famosi circa il principio del Prencipato di Mosè; quali poi si fossero non mi
ricordo mai haver letto, eccetto, che giunto in Attica & albergato da un
certo Semacho, gli fu donata la pelle di Caprea sua figliuola.
Istima Paolo & alcuni altri
Fenetrate essere stato figliuolo di Deucalione, percioche di lui cosi riferisce
Tullio nel libro delle questioni Tusculane. Ma Dicearco in quel parlamento
ch'egli in Corintho in tre libri espone, molti huomini dotti, che disputano,
nel primo ne mostra molti eloquenti, & ne i due un certo Fenetrate Fiota,
molto vecchi; il quale dice esser nato da Deucalione, fa, che diffinisce. Et quello,
che segue. Per le quai parole, oltre l'origine, si mostra, che fosse Filosofo.
Astreo fu figliuolo di Titano
& della Terra, come afferma Paolo. Dice Servio & Lattantio, che costui
giacque con l'Aurora, & di lei generò la vergine Astrea & appresso
tutti i Venti; i quali (dice Paolo) che, essendo vecchio & havendo i
fratelli mosso guerra a Giove, da lui furono armati & mandatigli contra in
Cielo, benche Lattantio dica, che fossero armati da Atlante. Istimo io, che
Astreo fosse alcun potente & superbo huomo, & però detto padre dei
Venti perche fosse Signore di qualche paese ventoso. Che poi armasse quelli
contra i Dei, ciò s'è tolto dal discorrere de' venti; i quali venendo dalle concavità
della terra è necessario, che dirompano in alto.
Manifesta cosa è a bastanza
Astrea essere stata figliuola d'Astreo di Titano; la quale, perche diede favore
alli Dei contra il padre & li Dei, fu raccolta in Cielo, & locata appresso
il Zodiaco in quella parte, che da lei è chiamata Virgo. Hora veggiamo quello;
che si voglia la fittione. Qui io intendo Astreo padre d'Astrea non huomo, ma
il Cielo stellato, il quale da sé genera la Giustitia, mentre con eterno ordine
a sé conceduto per dono divino concede a ciascuno dei corpi inferiori secondo
la sua qualità senza mancamento le cose necessarie; & per tale essempio i
datori delle leggi, in quanto è possibile all'ingegno humano, ordinarono la
nostra giustitia. Però si dice essere nata dall'aurora perche, si come la
chiarezza dell'alba precede il Sole, cosi da certa notitia di cose oprate deve
nascere overo nasce la giustitia, ò il giudicio. Si dice ch'ella favorì alli
Dei, percioche la giustitia sempre favorisce a i buoni & caccia i scelerati.
Quella è poi posta in tal parte del Cielo conciosia, che è propinqua
all'Equinottio, affine di mostrare dalla giustitia conseguirsi l'equità delle
cose; onde si come stando ivi il Sole dall'istesso Sole si concede ugual parte
di tempo alla notte & al giorno, cosi dalla giustitia vien conceduto
ragione egualmente agli huomini di bassa conditione & altra.
Lattantio & Servio vogliono,
che i Venti fossero figliuoli d'Astreo di Titano & dell'Aurora. Dice
Lattantio, che questi furono incitati da Giunone contra Giove per lo nascimento
d'Epafo. La onde da Giove furono richiusi nelle caverne & confinati sotto
l'imperio d'Eolo. Ma Theodontio dice, che Pronapide nel Protocosmo dimostra
altra cagione, la quale è questa. Dice adunque Pronapide, che il litigio
s'hebbe molto a male d'essere stato da Giove di Cielo cacciato, & per ciò
se n'andò all'Inferno; & trovate le furie quelle pregò che, se mai egli per
l'avenire fosse buono di giovar loro, andassero a ritrovare i venti, quieti,
& con suoi veneni gli infiammassero ad assalire il Reame di Giove &
turbar la sua quiete. Le quali incontanente partendosi & ritrovando quelli,
ch'in riposo se ne stavano nella casa del padre, non solamente vi congiunsero
le furie ma anco gli odi, di maniera che, andando ne' suoi paesi, subito l'uno
contra l'altro fecero impeto con far tremare tutto il Cielo & la terra. Per
li quali al principio smarrito Giove, poi mosso ad ira, non senza fatica gli
prese & gli rinchiuse nelle caverne d'Eolo, commandando, che restassero
sotto l'impero di quello. De' quali scrive Virgilio nel primo dell'Eneida:
Venne in Eolia a la città dei
venti,
Ove con gran furor stan gli Austri
irati.
Et va dietro seguendo per ispatio
di ventidue versi. Di queste fittioni adunque se vogliamo trarre il construtto,
prima d'ogn'altra cosa è bisogno, che crediamo questo Astreo loro padre essere
il Cielo stellato, in questo modo nondimeno, che tutto un Cielo sia ciò, che si
contiene tra il concavo della Luna & il congiunto all'ottava sfera;
percioche istimo esser causato dal movimento del Cielo & dai pianeti, si
come alquanto solamente da piu rimota cagione. Se poi vorremo, che Astreo huomo
fosse padre dei venti, già è stato detto di sopra lui essere stato signore di
luoghi dove nascevano molti venti, & di quì esser detto padre dei Venti.
Sono poi detti figliuoli dell'Aurora perche per lo piu nello spuntar dell'alba
i Venti sono soliti nascere; il che approva l'auttorità & l'usanza dei
nocchieri i quali dicono che in quell'hora si levano, & per ciò le piu
volte a quel tempo incominciano i loro viaggi. Onde sono chiamati figliuoli
dell'Aurora. È poi stato finto, che quelli fossero armati da Giunone contra
Giove: perche sono tenuti uscire dalla terra, la quale è Giunone, & cosi
essere mandati fuori da un certo respirar della terra; & non potendo
levarsi altrove, che nell'aere, essendo Giove l'aere, è finto, che si siano
armati contra Giove, cioè, che nell'aere siano impetuosi. Che anco il litigio
col mezzo delle Furie gli facesse turbare il reame di Giove, & tra loro
divenir inimici, ciò è pigliato dal loro movimento & effetto. Percioche, se
si leverà un vento da Levante & un altro da Ponente, è necessario, che per
l'aere incontrandosi concorrano insieme; là onde appaiono nemici, &
mostrano turbare il Reame di Giove. È stato poi detto quelli essere stati
rilegati nelle caverne sotto l'imperio di Eolo, conciosia, che le isole Eolide,
alle quali già signoreggiò Eolo & da lui sono nomate, sono piene di
spelonche, & le spelonche sono piene d'Aere & acqua, dal cui movimento
deriva il calore, & per lo calore si levano i vapori dall'acqua; i cui esso
calore risolve nel aere; il quale non potendo fermarsi in non capace luogo esce
fuori, & se l'uscita è stretta, di necessità esce piu impetuoso, piu sonoro
& piu lungo; & cosi uscendo i generati Venti fuori delle caverne
dell'isole Eolide, è stato finto quelli essere stati rilegati negli antri
d'Eolo, & sotto l'imperio suo posti. Ma Virgilio sotto questa fintione
giudica altrimenti, il che per non far di mistiere non alleggo. Oltre le
fittioni, è anco di questi molto grande la potenza. Sono distinti i paesi &
i nomi. Sono anco secondo alcuni meno & secondo altri piu, nè con gl'istesi
nomi da tutti sono chiamati; de i quali pria, che in particolare di ciascuno
parliamo, non sarà inconvenevole dire alcuna cosa. Della loro potenza, nomi
& regioni particolarmente descrive Ovidio nel suo maggior volume.
Et con le fiamme i venti, che fan
freddi.
Diffusamente a questi non concesse
Del mondo il Gran Fattor l'Aere in
potere;
Et hor a pena si resiste a quelli;
Reggendo ogn'un col suo spirar
diverso
Le fiamme, affin di lacerare il
mondo,
(Sì grande è la discordia dei
fratelli)
Euro partissi verso de l'aurora,
E i Nabathei reami, & quei de
Persi,
Et verso i gioghi i sottoposti ai
raggi
De la mattina, a cui Hespero poi
V'è l'Occidente; per lo quale i
liti
Vicini son dal Sol tepidi fatti.
Indi a Zefiro poi la Scithia giace;
Et i settentrioni sottoposti
Son da l'horrido Borea, che gli
assale;
Et la terra contraria per frequenti
Nubi, dal fiume vien bagnata
d'Austro.
Dice Isidoro nel libro delle
Origini, che sono dodici, & quelli cosi partisce & noma. Quello, che
dal principio del Verno tende verso Occidente è detto Subsolano, percioche
nasce sotto l'origine del Sole. A questo congiunge due compagni a lato, cioè
Euro dal lato sinistro, il quale cosi dice essere chiamato perche spira
dall'Eoo, cioè dall'Occidente, di state. Dalla parte destra dice, che vi è
Vulturno, cosi detto perche in alto tuona. Indi dice, che questo soffia da
mezzogiorno, & cosi vien detto, attento, che gitta fuori l'acque; &
Grecamente viene detto Notho. Dice, che dal suo lato destro vi è Euro Austro,
cosi chiamato per essere tra Euro & Austro. Cosi anco quello, che è dal
sinistro, Austro Afro, perche è tra Austro & Afro. Cosi medesimamente
l'istesso è detto Libonotho, percioche indi Libio, & di qui a lui sia
Notho. Consequentemente dice, che Zefiro soffia da Occidente, cosi chiamato
perche i fiori & l'herbe dal suo spirare sono renduti vivi; & l'istesso
Latinamente è detto Favonio, perche favorisce alle cose, che nascono. Dalla cui
parte destra quello, che spira è nomato Africo, overo Libio, dal paese onde
soffia. Dalla sinistra Choro, percioche chiude il circolo di Venti & fa
quasi un choro; nondimeno prima dice esser detto Chauro, & da alcuni
Agreston. Indi vuole Settentrione cosi esser chiamato perche si levi dal
cerchio di sette stelle; dal cui lato dritto vi mette Circo, cosi chiamato
dalla vicinità di Choro, & dal sinistro Aquilone, la cui cagione di nome
dice egli essere perche estingue l'acque & dissolve le nubi; & vuole
anco, che sia detto Borea, percioche pare, che esca dagli hiperborei monti.
Oltre di ciò, disegnati questi dodici venti, Isidoro scrive esservi anco altri
venti, i quali io istimo essere tutti medesimi ma con altri nomi chiamati, come
sarebbe Ethesia; le quali dice, fornito il tempo dell'anno, soffiano da Borea
in Egitto. Cosi Aura & Altano; Aura detta dall'Aere, percioche sia
piacevole &, che l'Aere sia vessato dolcemente, & Altano farsi nel
mare, & nomato da alto. Appresso dice Turbone essere detto dalla terra,
percioche spessissime volte è una certa dannosa rivolutione de' venti. Fragor
poi è chiamato dallo strepito delle rotte & percosse cose. Cosi poi v'è
anco procella, percioche soffiando con la pioggia schianta ogni cosa. Ma
Vitruvio nel libro dell'Architettura scrive, che i venti sono dodici. Dice, che
Leuconoto & Altano stanno dal lato di Austro; Liboneto & Subvespero
d'Africo; Ergaste, Ethesia, Cauricircio & Choro di Favonio; Thracia &
Gallico di Settentrione; Superna & Cecia di Aquilone; Curba Olithia,
Eurocircia & Vulturno di Solano. Altrove anco dice l'istesso Vitruvio, che
sono otto solamente, scrivendo, che Andronico Cirreste (per dimostrar tal
opinione) edificò in Athene una torre con otto cantoni, & in ciascuno di
que' lati vi fece scolpire l'imagine di quel vento a cui detta faccia fosse
sottoposta; & ultimamente fatto un capitello di marmo sopra detta torre vi
mese sopra una statua di bronzo, che nella mano dritta teneva una bachetta, la
quale dallo spirar de' venti essendo girata d'intorno designava con quella
verga qual fosse quel vento, che soffiasse. Et cosi dice essersi ritrovato, che
tra Solano & Austro v'era Euro, tra Austro & Favonio Africano, tra
Favonio & Settentrione Chauro over Choro, tra Settentrione & Solano
Aquilone. La cui descrittione come buona & vera tutti i nocchieri del mare
Mediterraneo la serbano, & specialmente Genovesi, i quali veramente d'
ingegno nell'arte Marinaresca passano tutti gli altri.
Essendomi spedito in generale di
ciascuno dei venti secondo la descrittione d'Isidoro, parmi dire alcuna cosa in
particolare. Et prima del vento Subsolano. Questo (come dice Beda) è calido
& secco, ma temperatamente; & però è calido perche lungamente dimora
sotto il Sole. Secco poi perche, essendo molto distante l'Oceano Orientale da
noi, dal quale si crede ch'ei pigli l'humidità, venendo la lascia tutta. Ma sia
lontano da me ch'io creggia questa cosa da ridersene, cioè, che tutto il vento,
che perviene a noi dalla regione d'Oriente nasca nell'ultimo Oriente, essendo
cosa certissima, che molti ne nascano nelle Eolide, si come è stato detto; tra
quali alcuni ne soffiano verso noi, onde meritamente gli chiamiamo Orientali.
La onde, salva sempre la riverenza di Beda, penso esser detto invano, che essi
per la lontananza della sua origine pervengano a noi mutata la complessione. A
costui dell'istessa natura stà a man dritta Vulturno, che disecca il tutto,
& da dritta Euro, che congiunge over genera le nubi.
Notho australe è un vento naturalmente
freddo & secco; nondimeno mentre venendo noi passa per la zona torrida
piglia calore, & dalla quantità dell'acque, che consiste nel Mezzogiorno
riceve l'humidità; & cosi cangiata natura perviene a noi calido &
humido, & col suo calore apre la terra, & per lo piu è avezzo
moltiplicar l'humore & indur nubi & pioggie. La costui forma in questo
modo descrive Ovidio;
Et con l'ali bagnate il Notho vola
Portando il volto horribile coperto
Di caligine oscura; indi la barba
Ha tutta intorta; & esce
l'acqua fuori
Dai canuti capelli, & ne la
fronte
Porta i nuvoli, & tutto humido
ha il petto.
Dell'istessa complessione vi sta
dal lato dritto Euro Astro, il quale genera nel mare fortune percioche, si come
dice Beda, soffia per terra; dal sinistro poi v'è Austro Afro, il quale alcuni
dicono calido & temperato.
Settentrione è un vento cosi
chiamato dal paese onde nasce, percioche nasce in luoghi acquosi & gelati
& in alti monti; dai quali fino a noi spira tutto puro, percioche nei
luoghi dove passa alcun vapore per l'acuto freddo non si risolve. Questi fa
l'aere sereno & caccia & purga quelle pesti c'havea eccitato Austro. Di
complessione, insieme con i suoi congiunti, è freddo & secco. Quelli, che
gli sta da mano dritta si chiama Circio & è produttore di nevi &
tempeste. Da sinistra v'è Aquilone overo Borea, del quale seguirà piu ampio
parlare.
Borea overo Aquilone è vento
congiunto di Settentrione, & per sua natura può dissolvere le nubi &
far gelar l'acque. Le cui forze & opre in persona di sé stesso descrive
Ovidio, dicendo;
Stà in mio poter cacciar le triste
nubi
Turbare i mari, & l'alte
quercie ancora
Voltar sossopra, & indurar le
nevi,
Et sopra terra far venir tempeste;
Nacqui ancor io nel Ciel aperto
quando
Nacquero gli altri miei fratelli,
& tengo
Gli homeri miei ne le profonde cave
Un campo in mia balia, dove
transcorro
Con tanto variar, che mezzo il
Cielo
Trema per nostri corsi; & da le
cave
Escono fuochi, & nuvolosa
polve.
Et io quand'entro nei forami torti
De la terra, & feroce
sottometto
Con tremor sveglio l'alme, &
tutt'i mondo.
Di costui si dicono molte favole,
percioche Servio vuole ch'egli amasse il fanciullo Giacinto, il quale anco era
amato da Apollo; onde, perche vedeva il garzone piu inchinato ad Apollo, che a
sé, mosso ad ira lo amazzò. Oltre ciò Ovidio dice ch'egli amò Orithia figliuola
di Erittonio Re di Athene, & la dimandò per moglie; la quale non gli
essendo data, per sdegno si dispose a rapirla, & la tolse; & di lei
hebbe due figliuoli, Zeto & Calai. Appresso Homero nella Iliade, inducendo
Enea, che parla ad Achille in battaglia, dice Borea haver amato le bellissime
cavalle di Dardano, & di quelle haver havuto dodici velocissimi corsieri.
Dalle quai cose, se leveremo la corteccia delle favole, vedremo prima Borea
haver amato Hiacinto, qual è un fiore, & però è detto fanciullo perche
alcun fiore lungamente non vive. L'amava poi in questa forma, attento, che
forse spessissime fiate soffiava per prati pieni di Hiacinti, come per veder
quelli da lui amati; si come anco noi spesso andiamo a veder quelli, che
amiamo. Questo Hiacinto era anco amato da Apollo, cioè dal Sole, percioche
anch'egli, produttore & riguardatore di tai cose, è detto amatore; &
perche dà favore a quelli fu detto esser amato da Hiacinto: attento, che anco
ogni cosa pare, che ami colui per lo quale è guidata all'essere & continua
nell'essere; onde i fiori & l'altre cose oprando il Sole nascono &
vivono quanto lungamente vivono. Viene poi detto essere stato morto da Borea
perche Borea con la furia del suo soffiare priva tutte le cose d'humore, &
le disecca. Che egli amasse poi Orithia, questa è una Historia, percioche
Theodontio dice, che Borea fu un giovane di Thracia nobile & animoso, il
quale mosso dalla fama del matrimonio contratto da Thereo, che tolse per moglie
la figliuola di Pandione, intendendo Orithia figlia d'Erittonio Re degli
Atheniesi essere bellissima donzella, tratto dal disio di lei la dimandò per
moglie; il che essendogli negato per lo incesto commesso da Thereo contra
Filomena, come se Borea fosse per commetter simile scelerità, egli mosso ad
ira, aspettata l'occasione, la rapì nell'anno nono del reame di Eritteo, &
di lei n'hebbe figliuoli; &t cosi la favola ritrovò luogho dal nome del
giovane & dal Reame. Penso poi essere stato detto, che i cavalli di Dardano
fossero generati da Borea percioche fu cosa possibile, che Dardano, mosso dalla
fama della bontà di cavalli di quel Paese, ivi mandasse a pigliar de' stalloni,
i quali congiunti con le sue cavalle egli poi n'hebbe velocissimi cavalli, i
cui successori ne serbarono poi sempre razza; & di qui è detto quelli
essere stati figliuoli di Borea.
Calai & Zeto furono figliuoli
di Borea & Orithia; i quali Ovidio dimostra essere andati con Giasone &
gli altri Argonauti in Colcho. Ma, si come dice Servio, essendo stati raccolti
& alloggiati da Fineo Re d'Arcadia; il quale, percioche a persuasione della
moglie havea privo di lume i suoi figliuoli, anch'egli era stato orbato dalli
Dei, & per maggior supplicio gli haveano mandato le Arpie, uccelli molto
iniqui & sozzi, che continuamente gl'impedivano & bruttavano le
vivande, per rimunerar quello dell'hospitio. Zeto & Calai, perche havevano
l'ali, furono mandati a cacciar via i famelici uccelli; i quali con le spade in
mano perseguitando le Arpie & cacciandole di Arcadia, fino all'isole, che
si chiamano Plote le condussero. Dove, per rivelatione d'Iris avisati, che
restassero di piu oltre non seguitare i cani di Giove, se ne tornarono a i
compagni. Il cui ritorno dei giovani mutò il nome all'isole, le quali, si come
erano chiamate Plote, furono poi dette Strofade, percioche Strofe in Greco
Latinamente significa ritorno. Questo mi ricordo io di loro haver letto.
Quello, che poi sotto velame s'habbiano le fittioni, è da scoprire. Dice
adunque Ovidio, che questi tali dopo la pueritia hebbero le piume, le quali io
intendo per la barba, & la velocità, che vengono nella gioventù dell'huomo.
Circa poi l'allegoria delle cacciate Arpie da questi, dico, che per dono divino
tutti nasciamo buoni, & la prima moglie de' mortali è la bontà, overo
innocenza; ma finalmente cresciuti in età, per lo piu gettata via l'innocenza
diventiamo tristi, & allhora si mena la seconda mogliera, percioche
ciascuna si lascia guidare dal giudicio del concupiscevole appetito; il quale
in quanti pericolosi passi ci guidi n'è testimonio Finio, cha dal disio
dell'oro occupato, mentre crede all'avaritia, che gli fu seconda moglie, priva
de gli occhi i figliuoli. I nostri figliuoli poi sono le operationi lodevoli,
che allhora sono prive di lume quando le bruttiamo con opre scelerate.
Percioche qual cosa piu vergognosa possiamo oprare, che rifiutare l'animo buono
per acquistar ricchezze? Il che (testimonio Seneca Filosofo) facetamente disse
Demetrio ad un certo figliuolo d'un huomo servo, che il dimandava, cioè, essere
a lui facile la via di ritrovar ricchezze quel giorno nel quale si pentiva
della mente buona. Cosi anche noi diventiamo ciechi quando per soverchio disio
di roba si lasciamo guidare a rapine & vergognosi guadagni. A questi tali
son messe inanzi l'Arpie, bruttissimi uccelli & rapaci, i quali io tengo,
che siano i mordaci pensieri & solecitudini degli avari; da' quali perciò è
detto esser tolte dinanzi le vivande agli avari perche, mentre sono ritenuti da
tali pensieri, caggiono in cosi grande oblio di sé stessi, che anco alle volte
si scordano pigliare il cibo, overo mentre gli avari cercano aggrandire il
cumulo minuiscono a sé medesimi i cibi, & con la sua miseria gli fanno
sozzi. Gli Argonauti, che con costui alloggiano, perche tutti furono giovani
illustri & per virtù famosi, sono da pigliar in vece dei buoni consigli; i
quali, benche malamente siano compresi da questi tali, nondimeno alle volte,
& ricevuti in luogo di premio, danno ricercamento del bene, che (secondo
Fulgentio) s'intende per Zeto & Calai. Questo ricercamento adunque del
bene, cioè della verità, opra, che i cani di Giove, cioè i mordaci pensieri,
che continuamente s'accostano agli altrui beni, siano cacciati per sino alle
Strofadi, cioè fino alla conversione dell'animo ricercante il bene; la cui
conversione non può essere se non lasciati i vitij & cangiati gl'ingordi
disij in virtù, che drizzino i suoi passi, & allhora la mensa di Fineo
resta priva dai sozzi uccelli de vergognosi disij. Nondimeno Leontio fa molto
piu breve questo senso. Dice egli, che questa historia fu tale, cioè Fineo
essere stato un ricchissimo Re d'Arcadia & avaro, al quale morta la moglie
Stenoboe, dalla cui havea havuto Palemone & Fineo figliuoli, tolse di novo
per moglie Arpalice, figliuola di Borea & sorella di Zeto & Calai; per
li cui preghi egli acceccò i figlioli. Il che inteso dai corsari, che
habitavano l'isole Plote, quelli si mossero contra lui, abbandonato quasi da
ogn'uno & da tutti odiato per lo commesso fallo contra i figliuoli. Et
l'assediarono, & continuamente con machine & ingegni fino nel Palazzo
gli gittavano mille sporcitie & cose vili. Finalmente venendo in suo aiuto
con molte navi lunghe Zeto & Calai quello fu libero dall'assedio, & i
corsari cacciati fino all'isole Strofade.
Arpalice (come dice Leontio) fu
figliuola di Borea, ma di qual madre non lo dice. Questa fu moglie di Fineo Re
d'Arcadia, si come di sopra s'è detto, & molto contraria ai figliastri.
Il vento Zefiro occidentale, che
da' Latini è chiamato Favonio, di complessione è freddo & humido, nondimeno
temperatamente. Risolve i verni, & produce l'herbe & i fiori. È detto
Zefiro da Zefs, che volgarmente suona vita. Favonio, poi, perche favorisce a
tutte le piante. Egli spira soavemente & piacevolmente da mezzo giorno fino
a notte, & dal principio di Primavera fino al fine dell'Estate. Dalla
dritta di lui vi viene messo Africo, che tempestoso genera folgori & tuoni.
Da sinistra Choro, il quale (come dice Beda) nell'Oriente fa l'aere nuvoloso,
facendolo sereno in Occidente. Di Zefiro si recita tal favola, cioè una Ninfa
nomata Clori essere stata amata da lui & tolta per moglie, alla cui diede
in premio dell'amore & della verginità toltale ch'ella havesse ogni imperio
& ragione sopra tutti i fiori, & di Clori la nominò Flora. Oltre ciò
riferisce Homero nella Iliade costui essersi congiunto con Tiella Arpia, &
di lei haver generato Xanto & Balio, cavalli d'Achille. Di queste favole può
esser tale il senso. Dice Lattantio nel libro delle Divine Institutioni Flora
essere stata una donna, che con l'arte meretricia acquistò grandissime
ricchezze, delle quali, morendo, lasciò herede il popolo Romano, serbando di
quelle una parte; la quale ogni anno forse spera in dare usura, del cui
guadagno voleva, che ogni anno si celebrasse il giorno del suo natale con
alcuni giuochi, i quali furono detti giuochi Florali & sacrifici Florali da
Flora. Il che, percioche in processo di tempo parve al senato cosa vitiosa,
& non potendo romper ciò per timor della plebe, gli venne in mente pigliar
argomento da esso nome di meretrice accioche si aggiungesse dignità all'opra
vergognosa, & indi finsero Flora essere Dea dei fiori, & far bisogno
placarla con giuochi affine, che gli altri con le biade & con le viti
fiorisseno bene. Il qual colore seguendo Ovidio, fece ch'ella non ignobile
Ninfa se maritasse in Zefiro, & per premio di dote hebbe in dono dallo
sposo di esser Dea sopra i fiori. I quali giuochi (come dice Lattantio) si
richiedono alla memoria della meretrice, percioche erano celebrati con ogni
lascivia & licenza di parole, per le cui ciascuna cosa vergognosa si opra;
attento, che per voler del popolo dalle meretrici ignude erano essequiti, le
quali in quei giuochi facevano l'ufficio dei Mimi. Non so già quello, che si
voglia inferir Homero per li cavalli ch'egli vuole, che generasse di Arpia;
& forse non vuole intender quello, che noi habbiamo letto in Plinio secondo
essere state solite far le cavalle in Ulisbena, ultimo castello d'Hispagna in
Occidente. Le quali Plinio dice, che vengono in tanta concupiscenza d'haver
figliuoli, che con la gola aperta sono avezze inghiottire i venti Zefiri quando
soffiano, & di loro s'impregnano & partoriscono velocissimi corsieri,
ma, che picciolo tempo durano. Cosi forse l'istesso avenne d'una cavalla
chiamata Tiella, che s'interpreta procella; overo, come habbiamo detto di
sopra, dei cavalli di Dardano generati da Borea.
Vuole Theodontio, che Aloo fosse
figliuolo di Titano & della Terra, di cui, si come testimonia anco Servio,
fu moglie Hifimedia; la quale violata da Nettuno di lui partorì due figlioli,
Otto & Efialte. I quali furono da Aloo nudriti per suoi, & crescendo
quelli (secondo Servio) ogni mese con nove dita apparecchiano la guerra a'
Giganti contra Giove; Aloo per la vecchiaia non vi potendo andare vi mandò
questi due in aiuto, de' quali tratteremo quando si parlerà dei figliuoli di
Nettuno.
Pallene, secondo Paolo, fu uno
dei figliuoli di Titano, & possedette una isola nel mare Egeo da lui nomata
Pallene. Fu huomo fiero & crudele & molto contrario alli Dei; del quale
Lucano fa ricordo dicendo;
Il Ciclope Pallene al sommo Giove
I folgori cangiò; dipoi si mosse.
Dice l'istesso Paolo, che costui
fu amazzato da Minerva nella guerra contra Giove; & perciò ella fu poi
detta Pallade. Et altrove il medesimo Paolo vuole ch'i fosse fulminato da Giove
per la sua iniquità inanzi la guerra. Ma Theodontio dice ch'egli hebbe una
figliuola chiamata Minerva, dalla cui fu morto perche si sforzava torle la
verginità.
Minerva (secondo, che di sopra
s'è visto per Theodontio) fu figlia di Pallene, da lei per difender la
virginità morto. Costei secondo Tullio nelle Nature de' Dei fu la quinta tra
molte altre Minerve, & dice, che a lei vengono ascritte l'ale a' piedi, ò
perche amazzato il padre se ne fuggisse veloce, ò per qualche altra cagione.
Ronco & Purpureo (come
afferma Prisciano nel suo maggior volume) furono figliuoli di Titano &
della Terra; de' quali dice haver fatto ricordo Nevio Poeta, cosi dicendo;
V'era in qual forma ne l'insegne
espresso,
Che gli Atlanti figliuoli di Titano
Huomini da due corpi, et de la
Terra.
Nati Purpureo, et Ronco
iniquamente.
Et
Horatio nelle Ode dice:
O quel Porfirion, ch'in stato
fiero.
Di questi, altro non mi ricordo
haver letto.
Licaone, il quale Theodontio dice
essere stato Re d'Arcadia, il che non mi ricordo haver letto altrove; &
figliuolo di Titano & della Terra, ò per lo splendor reale ò per qualche
altro notabil fatto; overo (il che piu tosto credo) perche fu huomo altiero
& degli Dei sprezzatore, si come per lo piu habbiamo letto essere stati
tutti i figliuoli di Titano. Di lui recita Ovidio tal favola. Che, essendo il
grido de i mortali asceso in Cielo, percioche in Terra ogni cosa succedeva
male, Giove volse con la presenza provar questo, & pigliata forma d'huomo
se ne venne al palazzo di Licaone, & oprò di maniera che i popoli
avertissero Iddio esser in Terra; i quali, per ciò dando opra ai sacrifici,
tutti erano beffati da Licaone. Il qual nondimeno, per far prova se fosse vero,
come si diceva, che Giove alloggiasse seco, & essendosi imaginato la notte
amazzarlo, ma non gli essendo succeduta la cosa, subito rivolse l'animo ad
altra sceleratezza. Onde amazzato uno degli ostaggi Molossi, parte a lesso
& parte arrosto il fece porre inanzi Giove a mangiare; il quale conosciuta
la scelerità sprezzò il cibo & gittò il foco nel palazzo di Licaone, &
andossene. Ma Licaone smarrito se ne fuggì ne' boschi, & cangiato in lupo
incominciò secondo il primiero costume andar dietro alla crudeltà per
ingordigia di sangue, crudeleggiando i greggi. Sotto la corteccia di questa
favola Leontio diceva esservi tale historia. Fu già tra gli Epiroti, de' quali
alcuni poi da Molosso figlio di Pirro furono detti Molossi, & i Pelasghi
chiamati poi Archadi, discordia & gara; la quale essendosi acquetata,
Licaone, che allhora era prencipe dei Pelasghi, dimandò, che per fermezza della
stabilita pace gli fosse dato almeno dagli Epiroti un ostaggio, attento, che da
loro prima nacque la discordia. Al quale da i Molossi fino a certo tempo fu
conceduto un giovane de' piu nobili; il quale nel termine dovuto non gli
essendo rimandato, fu per suoi legati dimandato. Ma Licaone, ò perche gli
paresse, che gli fosse dimandato per superbia ò per altra cagione turbato,
percioche era huomo tristissimo & d'animo altiero, rispose agli
ambasciadori, che il giorno sequente gli renderebbe il suo ostaggio, &
comandò, che la mattina venissero a desinar seco; & segretamente fatto
amazzare l'ostaggio, il fece cuocere & porre inanzi ai legati & gli
altri convitati. Era per aventura tra loro a mangiare un giovane allhora chiamato
Lisania, quello, che poi fu detto Giove, huomo a quel tempo appresso Arcadi di
grandissima riputatione; il quale havendo conosciuto le membra humane, gittate
le tavole a terra & turbato per l'inique scelerità se n'andò in publico,
& col favore di tutti i popoli fece adunatione contra Licaone & i suoi
seguaci; onde messosi all'ordine lo condusse a combattere, & vintolo il
cacciò del Reame. Di che Licaone cacciato, essule & povero, con pochi se ne
fuggì ne i boschi, et incominciò mettersi alla strada & vivere di rapina;
il che diede luogo alla favola ch'egli si fosse convertito in Lupo. Percioche,
se dirittamente vogliamo riguardare, alcuno non deve dubitare che, quanto tosto
drizziamo la mente all'avaritia & alla rapina, spogliati d'humanità si vestiamo
di lupo; & tanto duriamo Lupi quanto tale appetito continua in noi,
serbando solamente la effigie d'huomo. Appresso diceva l'istesso Leontio altri
affermare Licaone essersi cangiato in vero lupo, affermando questi tali in
Arcadia esservi un lago il quale, chi lo trappassava, subito si trasformava in
Lupo; ma s'egli s'asteneva da carni humane, & passato il nono anno
ritornava a nuotare il detto lago, gli era restituita la primiera forma. Il che
sapendo Licaone, & temendo molto l'ira di Giove & de' suoi, per la sua
perfidia non sapendo dove viver securo, per poter aspettare senza tema della
vita l'essito della cosa passò oltre quel lago; & divenuto vero Lupo tra
gli altri animali di quella istessa qualità habitò nelle selve, abandonando
Calisto sua unica figliuola & donzella. Oltre ciò scrive Plinio nel libro
della naturale historia le tregue nelle guerre essere stata inventione di
questo Licaone, & anco dei giuochi già fatti in Arcadia.
Calisto fu figliuola di Licaone,
come a bastanza si vede in Ovidio. Costei, secondo, che scrive Paolo, cacciato
già il padre tra il tumulto delle cose, anco donzella fuggì fuori del palazzo
& entrò nelle selve, dove si fece compagnia alle ninfe di Diana. Appresso
le quali fu da Giove in forma di Diana impregnata, & per lo crescere del
ventre manifestandosi il peccato fu cacciata, & partorì Arcade. D'amendue
le quali a pieno si dirà più a basso trattandosi di Arcade, & spetialmente
dirassi quello, che riferisce Leontio di questa fittione. Nondimeno costei è
chiamata con diversi nomi, percioche Arctos in greco significa volgarmente
orsa. Oltre ciò vien detta Elice dal girar del giro, perche in greco i giri
sono detti Elici. È anco chiamata Cinosura, del qual nome prima furono due, cioè
Cinos, che volgarmente suona Cane, attento, che il segno celeste, che poi è
detta Orsa si chiamava Cane, & anco hoggidì da alcuni è cosi nomato. Uras
poi volgarmente suona Bue salvatico, conciosia, che con l'istesso nome è detta
per l'inalzata coda in guisa d'un mezzo cerchio. Il che piu s'appartiene al bue
selvaggio, che non fa all'orsa. Percioche (come si dice) il Bue selvaggio porta
la coda alta tanto, che pare, che faccia un mezzo circolo. Si noma anco Fenice,
cosi volendo l'inventor Thalete, che medesimamente fu Fenice, overo perche i
Fenici, che furono eccellentissimi nocchieri nel navigare, furono i primi, che
si reggessero per quella. Si chiama anco Settentrione; il che è nome di Arcade,
overo dell'Orsa Maggiore, percioche vien dinotata da sette stelle, attento, che
Trion, e Teron s'interpreta Stella.
Nacquero (come testimonia Paolo
& Theodontio) i Giganti dal sangue dei Titani & dalla terra; la qual
cosa par anco, che dimostri Ovidio, dove dice:
Quel, ch'i fieri, e i smisurati
corpi
Stavan sepolti dal suo grave peso.
Et indi va continuando per sei
versi. Dice Theodontio, che questi tali hebbero i piedi di serpenti &, che
mossero guerra a Giove, si come haveano fatto i padri. Ma non hebbero mai
ardire moversi per insino, che Egla, bellissima donna & moglie di Pane, fu
tenuta nascosta dalla madre nel loro speco; la quale nascosta, subito fecero
empito contra i Dei, & di maniera gli smarrirono, che gli cacciarono fino
in Egitto, cangiati in altra forma. De' quali dice Ovidio;
E l'uscito Tifeo fuor de la terra
Ai Dei fece timor; onde, che tutti
Voltarono le spalle per salvarsi,
Fin, che lassi in Egitto, dove il
Nilo
Per sette foci si partisce, &
entra
Quelli raccolse; quivi venne ancora
Figliuolo della Terra il gran
Tifeo;
E fe, che i Dei sotto altre
effigie, e forme
Si nascoser da lui. Giove divenne
Capo di greggi con le spalle chine,
Indi coi corni fecessi montone.
Delio in un corvo; & in un
capro poi
Di Semele la prole; & la
sorella
Di Febo in Fele. Poi Giunone in una
Bianca giuvenca; & Venere
divenne
Pesce; & Mercurio fecesi
Cicogna.
Et quello, che segue. Ma in
alcune cose Theodontio & Ovidio discordano insieme, dicendo Theodontio ciò
essere stato fatto dai Giganti & Ovidio da Tifeo, che venne dal centro
della Terra. Oltre ciò discordano anco nelle trasformationi degli Dei,
percioche Theodontio dice, che Giove si cangiasse in Aquila, Cibele in Merla
& Venere in Anguilla. Vuole poi, che Pane si gittasse quasi tutto in un
fiume, & che quella parte qual restò sopra la riva si mutasse in un becco,
& quella, che entrò nel fiume in pesce; della cui figura dice, che Giove
fece poi il capricorno. Finalmente afferma, che Giove hebbe per Oracolo che, se
voleva ottenere la vittoria, devesse coprire lo scudo di Egla moglie di Pane
& il suo capo della Gorgone; il che fatto, in presenza di Palade furono
rotti & dispersi i Giganti, & da Giove cacciati nell'Inferno. Molte
cose ci restano a dire dopo queste, se vogliamo scoprire i sensi delle
fittioni. Ma inanzi l'altre, in tutto non fu finto esservi stati i Giganti,
cioè huomini, che oltre modo trappassavano la statura degli altri, anzi si
trova essere verissimo; & chiaramente a questi giorni appresso Trapani
castello di Sicilia ciò ha dimostrato un caso fortuito. Percioche, cavando
alcuni huomini agresti i fondamenti d'una casa pastorale a' piedi del Monte,
che sopra sta a Trapani, non lontano dal castello trovarono l'entrata d'una
certa caverna; onde i lavoratori, desiderosi di vedere ciò, che vi fosse entro,
accese alcune facelle passarono inanzi, & ritrovarono un antro di
grandissima altezza & larghezza, per lo quale caminando inanzi videro
all'incontro dell'entrata un huomo d'ismisurata grandezza ch'ivi sedeva. Là
onde smarriti, subito rivolsero le piante & uscirono della spelonca, senza
mai fermare il corso fino attanto, che non furono giunti nel castello, narrando
a tutti quello, che haveano veduto. Maravigliati i cittadini adunque, per
vedere, che male fosse questo, accese molte facelle & pigliate l'arme, come
quasi havessero ad andare contra suoi nimici, tutti uniti insieme uscirono
della città, & piu di trecento di loro entrarono in quella spelonca; onde
tutti stupefatti videro quello, che haveano fatto i primi lavoratori.
Finalmente fattisi piu vicini a quello, poscia, che conobbero quell'huomo non
essere vivo, videro un certo huomo, che stava assettato sopra una sedia, &
nella mano sinistra havea un bastone di tanta altezza & grossezza, che
trappassava ogni antenna di grandissimo navilio. Cosi anco l'huomo era
d'ismisurata & non piu veduta statura, in alcuna parte roduto nè sminuito.
Et tosto, che uno di loro stese la mano & toccò quel bastone, subito se
n'andò in cenere & polve; & caduta, che fu tutta quella corteccia vi
restò un altro bastone di piombo, il quale era alto fino alla mano del Gigante.
Onde, si come a pieno si conobbe, quel tal bastone era pieno di piombo accioche
fosse piu grave; di che pesato poi da quelli, che il videro, eglino affermano,
che pesò quindici cantari al peso di Trapani, ciascuno de' quali è al peso di
cento libre communi. Toccata poi la statura dell'huomo, quello poi
medesimamente si disfece, & quasi tutta andò in polve. Onde toccato da
alcuni con le mani, vi furono trovati solamente tre denti ancora intieri, &
d'una estrema grandezza. Il loro peso era di tre rodoli, cioè di cento oncie
communi. I quali i Trapanesi per testimonio del trovato Gigante & in eterna
memoria dei posteri ligarono con un filo di ferro, & gli appesero in una
certa Chiesa della città fabricata ad honore dell'Annuntiata & dell'istesso
titolo adornata. Oltre ciò trovarono una parte del ventre d'inanzi fermissima
& capace di molti moggia di fromento; cosi anco l'osso dell'una delle
gambe, del cui, benche per la grandissima quantità degli anni una buona parte
ne fosse ita in polve, nondimeno si trovò, da quelli, che fecero il saggio
secondo la proportione dell'altre membra communi, che quello era stato di
grandezza di dugento cubiti & piu. Di che fu tenuto da alcuni de' piu saggi
costui essere stato Erice, potentissimo Re del luogo, figliuolo di Bute &
di Venere da Hercole amazzato, & in quel monte sepolto. Altri istimano, che
fosse Erithello, il quale già nei giuochi funerali ordinati da Enea per lo
padre Anchise con un pugno havea morto il toro. Altri poi uno dei Ciclopi,
& spetialmente Polifemo, di cui riferisce molte cose Homero, & dopo lui
Virgilio, si come si vede circa il fine del terzo libro dell'Eneida. Vi furono
adunq. Giganti di grandissima statura, il che dimostra anco la Sacra Scrittura;
tra quali, se bene non ve ne fu di cosi maravigliosa grandezza come costui,
almeno se ne ricordano due, cioè Nembrotto, che s'imaginò edificar la torre
contra Iddio, & Golia Filisteo, con la fronda & con sassi vinto da
Davite. Questi tali scrive Gioseffo, huomo in altre cose saggio & dotto (sì
come testimonia nel libro dell'antichità Giudaica) essere stati generati da gli
Angeli, che si congiungevano con le donne de' mortali; il che veramente è da
ridersi, essendo la cagione di generare i gran corpi, le stelle & la certa
rivolutione del Cielo, per la quale anco all'età nostra è avenuto, che alcuni
sono stati di statura cosi grande, che hanno sopravanzato la testa d'ogni
grand'huomo. Ma io hora istimo i Poeti haver parlato di questi, se saranno
huomini benigni &, che vivano humanamente; ma di questi, de' quali pare,
che intenda Macrobio nel libro de i Saturnali, dove dice, che altro è da
credere, che fossero i Giganti eccetto, che una certa scelerata progenie
d'huomini, che negava Iddio, & per ciò è tenuta, che volesse cacciar quello
dal Cielo. I piedi di questi tali erano a guisa di quelli de i dragoni, il che
significa loro già mai non essersi imaginati cosa dritta né, che fosse buona in
tutto il tempo del viver suo, anzi a cose infernali. Non deve adunque parer
cosa strana all'huomo saggio, che tali si fossero gli huomini prodotti dal
sangue de Titani & dalla terra, conciosia, che per lo piu un simile genera
un altro tale; & però drittamente possiamo chiamare i superbi huomini
figliuoli de i Titani, huomini superbi, se non per sangue, almeno per costumi
& per vitio.,de' quali nessun'altra può meglio chiamarsi madre, che la terra;
onde Macrobio già ve n'ha mostrata la ragione, cioè questi tali giamai non
pensare a cosa divina, santa, nè giusta; anzi ogni intento della vita loro
tende a cose terrene & infernali. Nondimeno, che questi tali habbiano
havuto guerra con Giove Cretese, non è cosa in tutto favolosa. Si trova per
l'historie antiche Giove haver fatto due famosissime guerre, la prima con i
Titani per liberare i suoi parenti da loro imprigionati, la seconda con esso
suo padre Saturno, il quale (secondo Lattantio) cercava darli la morte; &
questa fu detta guerra de i giganti, & secondo alcuni appresso Flegra
territorio di Thessaglia si venne a giornata, dove Saturno fu vinto &
abbattuto. Che poi à lui per oracolo fosse comandato, che cuoprisse lo scudo
con la pelle d'Egla & il suo capo con la Gorgone, onde Egle dalla terra fu
nascosta in una spelonca, cred'io, che si debba intendere l'aiuto dei greggi
& degli armenti ne' quali stavano le ricchezze degli antichi; i quali si
debbano pigliare per Egle, che vuol dire l'istesso, che capra. Vi si debbono
poi intender anco i frutti Dei terreni, i quali intendo per Gorgone; di che da
questi tali aiuti le grandissime spese delle guerre sono sostentate, et cosi lo
scudo di Giove fu coperto, cioè trovata la difensione, & il capo coperto,
cioè fortificato di consigli. Cessando adunque questi, si dice, che Egle si è
nascosta, & allhora gl'inimici pigliano ardire contra gl'inimici come quasi
contra un disarmato; finalmente standovi questi, et Pallade, che qui vi si deve
intendere per la disciplina militare, s'acquista la vittoria. Che poi siano
cacciati nell'Inferno, quelli c'hanno finto hanno voluto mostrar l'ostinatione
dei superbi alla fine essere humiliata & cacciata. Nondimeno a questa
guerra dei Giganti vi s'aggiungono molte cose, che qui non sono messe, cioè,
che quelli posero monti sopra monti per salire in Cielo, & haver anco
oprato altre cose le quali sono da riferire alle attioni di guerrieri. Drizzano
veramente fortezze, & sopra monti edificano torri per occupare il Cielo,
cioè il regno del nemico; tutte le quai cose alla fine sono rovinate dal
vincitore, si come fu fatto da Giove. Di questa guerra de Giganti & delli
Dei teneva altra opinione Varrone; diceva egli, che tal guerra fu quando cessò
il diluvio, percioche alcuni con tutte le masseritie s'erano fuggiti sopra i
monti; i quali, poscia ingiuriati con guerra da altri, che erano discesi da
altri monti, si come superiori agli altri facilmente gli cacciavano; onde fu
finto gli Dei esser stati i superiori, & gl'inferiori gli habitatori della
terra: & perche dalle valli cercavano salire in alto, & col petto per
terra a guisa di serpenti parevano caminare, fu detto ch'eglino havevano i
piedi di Serpi. Che poi per tema di Tifeo gli Dei, cangiate le loro forme,
fuggissero in Egitto, intende altro, che la historia, overo la mortalità:
percioche per Tifeo, che fu figliolo della Terra, è da intender essa terra,
& spetialmente quella parte la quale da noi Settentrionali è habitata;
dalla cui gli Dei, cioè il Sole, per lo cui (come piace a Macrobio nel libro
dei Saturnali) l'avanzo della moltitudine de' Dei si deve intendere, allhora
fuggirono quando il Sole incomincia declinare dall'Equinottio dell'Autunno
verso il Polo Antartico: il qual Sole allhora si dilunga dalla terra cioè dalla
regione nostra, che siamo Settentrionali, & tende all'Egitto, cioè in Auro,
overo ai paesi Australi. Gli Dei haver poi cangiato le loro effigie, ciò piu
tosto per aventura è stato posto per ornamento della fittione, che per altro,
perche (come dice Agostino nel lib. della città d'Iddio) tutte quelle cose, che
si narrano esser fatte non sono da istimare, che habbiano significato, ma alle
volte sono ordite per quelle, che significano alcuna cosa, quelle che nulla
contengono. La terra col solo Aratro si toglia; ma accioche questo si possa
fare, anco gli altri membri dell'Aratro sono necessari. Et le corde sole nelle
Citare & negli altri instrumenti musici sono atte al canto; ma affine, che
vi si possano acconciare vi s'aggiungono altre cose. Alla congiuntione degli
organi vi s'aggiungono quelle cose, che non son percosse dai risonanti, ma
quelle, che non percosse fanno l'armonia. Ciò dice Agostino. Et però, benche vi
siano delle cose, che non facciano mistiere, accioche non paia c'habbiamo
fuggito la fatica v'agiungeremo quello, che loro sotto queste forme habbiano
potuto intendere. Dice adunque Ovidio, che Giove si cangiò in un Montone per
dimostrar in ciò la natura di Giove; e il Montone, piacevole & benigno
animale, non nuoce a alcuno se vien lasciato in pace. Oltre ciò è di molto
utile, percioche ad accrescere il gregge solo basta ad un gran numero; &
appresso non solo è marito del gregge, ma anco guida & capo, perche se non
v'è il pastore esso va inanzi & fa la strada al gregge, & per dritto
calle il conduce alle stalle; le quali cose paiono tutte appropriate a Giove
tra molte altre. Egli è pianeta benigno & piacevole, se per congiuntione
d'un altro non è guasto. E medesimamente utile, perche provoca i maturi parti
delle donne all'essito, & gli manda in luce. Giova a tutti, si come suona
esso nome. Cosi è capo del gregge, cioè Re & signore de' Dei, secondo, che
afferma tutto l'errore dei gentili. Il Sole, poi, in un corvo essersi cangiato
istimo io per dimostrare dirittamente una delle proprietadi del Sole.
Credettero gli antichi il Corvo haver in sé una proprietà di prevedere il
futuro, & però, perche il Sole è detto Iddio dell'indovinare, si come si
dirà dove si tratterà d'Apollo, a lui sacrarono il Corvo; il quale (secondo
Fulgentio) tra gli uccelli solo ha cinquantaquattro mutationi di voce. Là onde
agli auguri antichi nel pigliar degli auguri era gratissimo uccello. Baccho poi
mutato in una capra si conviene al tempo del verno, percioche il vino, cioè
Baccho, constretto dal freddo del verno tra se raccoglie le sue forze, & parendo
di minor possanza, che non è per lo freddo, viene bevuto da i pazzi. Ma poscia,
che è bevuto, crescendo per lo calore dello stomacho si estende, & a guisa
di capra tende alle parti sublimi, & opra, che gli huomini riscaldatisi
diventino piu animosi, & tendino piu in alto. Che anco la Luna si mutasse
in Fele, cioè in una Dama, questo fu detto per dimostrare la sua velocità,
essendo la Dama un animal velocissimo; nè a lei per difendersi è conceduto
dalla natura alcuna altra arma eccetto la fuga. Cosi la Luna tra i Pianeti è
velocissima. Giunone poi in una bianca vacca perche la giuvenca è utile
animale, & cosi la terra; la quale alle volte s'intende per Giunone, e
fertile; è poi detta bianca percioche il verno si cuopre di nevi. Venere
divenne un pesce affine di mostrare la sua grande humidità, overo, che Venere
si nudrisca con l'humidità. Mercurio poi fu detto essersi trasmutato in una
cicogna percioche la cicogna è uccello di compagnia, là onde si mostra, che
Mercurio si conface con tutti; & si come la Cicogna è inimica dei serpenti,
cosi Mercurio è palesatore delle astutie. Secondo Theodontio, poi, Giove si
converse in Aquila accioche per l'Aquila, la qual vola più alto degli altri
uccelli, s'intendano i suoi sublimi effetti. Cibele penso essersi cangiata in
Merla perche il merlo è un uccello, che continuamente vola presso terra,
accioche per la Merla dinoti la terra. Per l'Anguilla poi, nella cui dice
essersi mutata Venere, credo de versi intendere il variare & l'instabilità
di Venere. Per Pane in un capro dal mezzo in su, & dal mezzo in giù in
pesce cangiato, intendo tutto il mondo, il quale è governato dalla natura delle
cose, cioè da Pan; il quale nella superior parte, cioè la terra, che è sopra
l'acqua, pasce i capri & gli altri animali, nella parte piu bassa poi, cioè
nell'acqua, è finto pesce perche produce i pesci & gli nodrisce. Ma essendo
già fornita tutta la prole di Titano, faremmo anco fine a questo libro.
Ma non ancho a pieno haveva
finito condurre in mezo la superba prole di Titano, & ecco (di maniera
circa il principio con impeto fino dal profondo Si erano adunati i mari) che
quelli venti, come se si fossero partiti chiamati dall'imperio di Eolo, tutti
riposarono, & uno oscuro velo, languido, & vuoto, mi s'accostò alla
faccia. Il che riguardando io, subito conobbi esser poco da riposare. Nè mi
maraviglio che, se Giove s'è affaticato in fulminare, di quello che di me potrà
pensare l'huomo saggio scrivendo i scelerati costumi del genere iniquo. Entro
adunque nel lito, & monto in alto per veder dove volentieri mi havesse
lasciato lo spirito; & mentre d'intorno rivolgo gli occhi, conobbi che io
sotto i piedi havea la terra Attica; & desideroso di vedere diffusamente il
circuito del tutto, vedeva le cose passate non con ordine certo, ma sì come la
memoria me le rappresentava. Cosi hor qua hor La drizzava gli occhi, &
primieramente per alquanto spatio considerai le alte cime de i Monti d'Arcadia,
& gli inacessibili boschi, meco dicendo: in questo habitò Mercurio
fanciullo. Per quelli Diana guidava i chori, vi discorreva Atlante, & ancho
il picciolo Parthenopeo soleva cacciare i Cervi. In quello si nascose la
vergine Calisto. Indi rivolgendomi subito al lito, vidi non dirò Athene, ma a
pena di quella un picciolo, & consumato signale; onde mi risi de' pazzi
giudici della mortalità nostra, per li quali ingannata l'antichità, mentre pensava
quella per l'avenire haver ad essere eterna, prima trasse i Dei in contentione
nel darvi nome. Indi per loro sentenza la chiamò immortale; hora, mò finiti
pochi secoli, testimoniano per le rovine esser giunto il suo fine. Veramente
con veloce passo noi, & tutte le cose nostre vanno alla morte. Nondimeno,
come che la Città fosse vacua, anzi più tosto vi fossero a pena le vestigia,
meco stesso incominciai considerare quanto già fosse ornata di splendore di
Filosofi, & Poeti, nobilitata di tutti gli studi; quanto generosa di Re,
& Capitani, quanto famosa di potenza, & quanto chiara per lume di
vittorie: di che mi spaventai tutto, veggendo ogni cosa esser posta sotto un
monte di ruine, così di tempi come de Palazzi. Finalmente mi rimosse da questa
consideratione il Monte di Parnaso posto quasi nel mio conspetto, & per
molti versi celebrato, tutto pieno d'odori di Lauri de Poeti, &
antichissimo, & soave albergo delle Muse. Il quale riguardando io con una
certa riverenza di mente, & havendo compassione al deserto fonte Castalio,
vidi l'antico inganno dell'antico inimico, cioè l'antro d'Apollo Delfico; dal
cui li enigma ch'uscivano, & le dubbiose risposte, sì come in Chariddi che
inghiottisce il tutto, così lungamente trassero le infelici anime de Gentili
nel centro della dannatione eterna. Nondimeno allhora il vidi mutolo, &
senza lingua, non ornato di statue d'oro, non lucente di pietre pretiose, ma
quasi tutto coperto di diversa varietà di radici, & Serpenti, così volendo
il Sacro Iddio; il quale [non] con parole intricate, ma de Santi Profeti che furono dal principio: con chiaro
parlare manifestò a quelli che haveano a venire i sacri misteri dell'aspettata
salute. Di qui fino in Thebe di Boemia, luogo molto lontano, portommi la
fantasia; presso la cui, mentre ricerco, & veggio le habitationi, & i
superbi edifici di Bacco, & di Hercole posti tra rovine, & polve per
terra, il puzzolente odore oscuro, & tetro del percosso Learco ad un sasso,
del troncato Pentheo, dello stracciato Atteone, & delle ferite de'
fratelli, mi condusse in altra parte. Et passando fino in Lacedemonia, non pur
vi vidi le rocche d'Agamennone, la dannosa bellezza d'Helena, le sacre leggi di
Ligurgo, nè le insegne del molto grande Imperio, ma a pena vi puoti conoscere
ove in Grecia io potessi fermare un occhio; & per ciò drizzai gli occhi
fino alla Rocca Corinthia che toccava quasi le Stelle, attento che mi venni a
ricordare di Lacedemone, & Sisifo. Ma che tante cose? Mentre in questo
modo, clementissimo Re, vado variando, conobbi essermi alquanto rinovate le
forze che per la fatica dianzi s'erano indebilite, & essere invitato da una
dolce aura all'incominciato viaggio. La onde smontato da quel tumulo, &
altezza, avisato quasi del viaggio ch'io era per fare, entrai in una picciola
barchetta, & chiamato il nome di colui che già tanto in Chana fece le
insipide acque soave vino, diedi la vela ai venti, per scrivere la notabil
progenie del secondo Giove.
Di sopra nel terzo libro è stato
detto del Cielo, del cui testimonia Tullio, nel libro delle nature degli Dei,
Giove secondo essere stato figliuolo; & dice che nacque in Arcadia, ma non
già di qual madre. Di costui, benché io mi creda che fossero grandi le attioni,
senza le quali non havrebbe potuto meritare così gran nome, nondimeno la fama
overo le antiche memorie de precessori n'hanno riportato pochi appresso noi;
& se forse alcuni ne sono pervenuti, non si ha certezza se fossero suoi, ò
più tosto del primo, ò del terzo Giove. Tuttavia narrerò quelli pochi che afferma
Theodontio essere stati di costui. Vuole adunque Theodontio costui essere stato
un famoso huomo, il quale prima appresso i suoi, per haver vinto, & privato
Licaone re d'Arcadia del reame, che nel convitto gli havea posto inanzi le
membra humane, fu incominciato chiamar Giove, rispetto alla giusta vendetta
fatta dell'iniquo Re. Nondimeno Leontio, dove ha trattato di Licaone, chiama
costui Lisania, il quale habbiamo detto che fu il primo Giove, & Re d'
Atheniesi; & perciò non ho che mi dire di lui, eccetto che un più prudente
di me, se può, accordi queste differenti openioni. Doppo questo Theodontio dice
che costui si transferrì in Athene dove pervenne in molta grandezza, & che
per la vergognata Latona hebbe grandissima guerra contra Ceo, & havendolo
vinto con grandissima gloria ritornò ad Athene, & al primo Giove sacrificò
un Bue: indi instituì appresso gli Atheniesi molte cose appartenenti alla
lodevole Città. Per le quai cagioni di commune consentimento degli huomini fu
chiamato Giove. Del tempo poi non si ha certezza. Nondimeno sono di quelli che
credano lui essere stato il primo Re Cecrope d'Atheniesi; ma da ciò discorda la
publica openione, perche Cecrope fu Egittio, & Giove, Arcade. Altri poi il
dicono più antico; non per ciò alcuno vi dà certo tempo, La onde il
lasciaremmo.
Col testimonio quasi di tutti i
Poeti, Diana fu figliuola di Giove, & di Latona; & nacque nell'istesso
parto quando Apollo, sì come è stato mostrato di sopra dove s'è trattato di
Latona. Vollero gli antichi che costei fosse famosa di verginità perpetua;
& perche, sprezzata la conversatione degli huomini, habitava nelle selve,
si s'essercitava nelle caccie, la dipinsero con l'arco, & la faretra,
chiamandola Dea dei monti, & boschi; indi vollero ch'il suo carro fosse
guidato da bianchi Cervi, & continuamente si stesse in compagnia di ninfe,
& da loro fosse servita. Il che dimostra Claudiano dove tratta delle Lodi
di Stilicone, dicendo;
Disse; & incontanente fu
portata
Da un'alpe assai fronzuta, &
d'herbe piena.
Et indi continua per molti versi.
Oltre ciò vollero ch'essa fosse dea delle strade, & insieme con la Luna la
chiamarono con diversi nomi. Ma lasciate queste cose: è da avertire quello che
sopra ciò si debba intendere. Fu costei veramente figliuola di Giove huomo,
& di Latona, & è ancho cosa possibile che fosse una certa vergine, sì
come alcune sono che abborriscono la compagnia degli huomini; & così essere
stata illustre per verginità perpetua, & alle caccie haver'atteso. Et
parendo che queste cose si convengano alla Luna, la quale col suo freddo ha
possa di raffrenar le concupiscenze carnali, & col suo notturno lume
allumare i boschi, & i monti, molti aggiunsero queste cose essere proprie
della Luna, tanto quanto s'ella fosse la Luna; & come pazzi la giudicarono
essa propria, sì come di sopra spesse fiate è stato detto d'alcuni altri. Et
perche di queste cose dove s'è della Luna trattato non s'è quasi detto nulla,
seguiremmo hora alquanto più ampiamente. Si adorna adunque Diana con l'arco,
& la Faretra, affine, che per ciò s'intenda la Luna, che anch'essa è
arciera di raggi, i quali sono da intendere in loco delle saette; & però
sono detti saette perche alle volte sono nocivi, & mortali. È detta poi dea
dei monti, & boschi perche pare essere proprio della Luna con le sue
humidità dar vigore all'herbe, & alle piante, & quelle nudrire, &
anco darle accrescimento. Se le aggiunge il carro non solamente affine che
perciò s'intenda il girar del cielo, il cui camino da lei viene fornito più
velocemente di tutti gli altri pianeti, anzi per designare il girare che fanno
i cacciatori per li monti, & boschi; la qual carretta viene detta essere
guidata da Cervi; perche pare che il desiderio de' cacciatori sia condotto da
selvaggi animali. Gli fanno bianchi, percioché da i Fisici tra gli altri colori
la bianchezza è attribuita. Ch'ella habbia le ninfe compagne si deve intendere
per l'humidità continua, della quale abonda, non essendo altro ninfa che acqua,
overo complessione humida, sì come si mostrerà più di sotto dove si dirà delle
ninfe. Ch'ella sia servita da quelle, ciò è posto per ornamento della fittione;
overo vogliamo dire che l'humiditadi servono all'influenze della Luna. Che poi
sia sovrastante delle strade, vollero questo perche vincendo col suo lume le
notturne tenebre rende quelle a viandanti spedite: overo perche le strade siano
simili di sterilità alla vergine Diana. Volsero ch'ella fosse chiamata Diana,
sì come dice Rabano nel libro dell'origini delle cose, quasi Diana, percioché
appaia il dì, & la notte, & mostri servire ad amendue. Ma Theodontio
istima altrimenti, come è stato detto altre volte. Questo pianeta si chiama
Luna, quando la sera luce. Diana, poi, quando col suo lume viene verso il
giorno, & allhora è più atta a cacciatori, & viandanti; onde si dice in
quell'hora vergine, perche dopo haver girato mezzo il cerchio del cielo non
concede a pieno il nodrimento alle piante, nè di novo alle piante presta utile
accrescimento, come fa mentre viene girata in contrario partendosi dal Sole. È
poi detta Cinthia dal monte Cinthio, dove spetialmente era riverita. Del resto,
s'è altrove detto.
Apollo medesimamente fu figlio di
Giove, & di Latona, & nacque nell'istesso parto con Diana, secondo che
è stato detto dove si ha di Latona narrato. Di costui si dicono molte cose, le
quali forse non meno furono sue che d'altrui, scrivendo Cicerone che oltre lui
vi furono tre altri Apolli. Ma perche tutti i Poeti s'inchinano a costui, come
s'egli solo fosse stato Apollo, & per ciò non si vede a pieno quelle che
furono d'altri, è necessario attribuire il tutto a costui solo. Dissero
adunque, dopo la favola del suo nascimento, costui essere stato Iddio della
divinità, & sapienza, & inventore della Medicina. Oltre ciò vogliono
ch'egli amazzasse i Ciclopi, & per tal causa essendo alquanto tempo della
deità privo, haver pascolato gli armenti d'Admeto re di Thessaglia. Vollero
appresso che, essendogli stato da Mercurio donato la Cithara, egli divenisse
capo delle Muse d'Elicona, cioè che sonando la lira le Muse cantassero.
Similmente il fecero senza barba, & gli sacrarono l'albero del Lauro, gli
hiperborei Grifi, il Corvo, & i versi buccolici. Il chiamarono ancho con
molti nomi, & gli attribuirono diversi figliuoli. Questa è una lunga
continuatione di figmenti; de' quali, se vogliamo cavare il senso, prima è da
avertire esser necessario alle volte intendere che fosse huomo, come fu, &
alle volte pigliarlo per lo Sole. Fu adunque costui huomo, & figliuolo del
secondo Giove, & di Latona, secondo che più volte è stato detto. Ma Tullio
dove tratta delle nature de gli Dei dice che fu figliuolo di Giove Cretese,
& dagli Hiperborei monti esser venuto in Delfo. Il che, se così fosse,
molte cose dette di sopra sarebbero vane. Nondimeno (salva sempre la riverenza
di Cicerone) io non credo questo, dicendo Eusebio nel libro dei Tempi che
Apollo, & Diana nacquero di Latona regnando in Argo Steleno, &
nell'anno quarto della sua signoria, che fu negli anni del mondo
tremilasettecento, et undici; comprendendosi per li scritti dell'istesso
Eusebio Giove Cretese essere stato molto da poi. Ma Theodontio dice questo
essere stato figliuolo del secondo Giove, & haver regnato appresso gli
Arcadi, ritrovando a loro nove leggi, & per nome essere stato detto Nomio;
ma per la soverchia crudeltà delle leggi essere stato dai sudditi del reame
cacciato, & haver ricorso da Admeto Re di Tessaglia, dalqual Admeto gli fu
conceduto il governo sopra alcuni popoli appresso il fiume Amfriso. La onde
nacque la favola che per gli amazzati Ciclopi fu privo della deità, & posto
a pascere gli armenti d'Admeto. Nondimeno l'istesso Eusebio dice che Apollo
nato da Latona non fu quello, dal quale gli antichi solevano andare a pigliar
gli oracoli, ma quello che servì ad Admeto. Et con quello (come dice Tullio)
che dai monti Hiperborei venne a Delfo, puote esser figliuolo di Giove Cretese.
Della natività adunque di costui, nelle cose precedenti dove s'è parlato di
Latona si sono dette molte cose, & più se ne potrebbono leggere che sono
scritte in Macrobio nel libro dei Saturnali, quali veramente sono utili, &
non molto discordanti dalle scritte di sopra; & però non le hò notate. Fu
costui appresso (come afferma Theodontio), il primo, che conoscesse le forze
dell'herbe, & accommodasse le loro virtù ai bisogni de gli huomini; &
però non solamente fu tenuto inventor della Medicina, ma Iddio; conciosia che
molti infermi dai suoi rimedi conseguivano la sanità. Et perche egli ritrovò le
concordanze dei polsi degli huomini, dicono che da Mercurio, prencipe dei
numeri; & delle misure, gli fu conceduta la Cithara, volendo per ciò
intendere che, si come per diverse voci che si moveno dal diverso toccar delle
corde, se sono toccate drittamente, & a misura si fa una melodia, così dai
diversi moti dei polsi se dirittamente sono ordinati, il che s'appartiene al
buon medico, si fa la sanità per la concordanza del ben disposto corpo. Et
perche veduti i segni dell'infermitadi a molti prediceva la morte, & la
sanità, a lui fu conceduta la deità dell'indovinare. Et così il Lauro, & il
Corvo gli fu sacrato: imperoche, com'è stato altre volte detto, se le frondi
del Lauro sono legate dietro il capo di colui che dorme, dicono ch'ei si
sognerà cose vere; la qual cosa è spetie di divinità. Così ancho è stato detto
il Corvo haver cinquantaquattro mutationi di voci: dalle quali gli Auguri
affermavano che benissimo comprendevano le cose future; il che ancho s'aggiunge
a mostrare l'indovinatione. Alberico poi diceva essere stato finto lui haver
amazzato Fitone, perche Fitone s'interpreta levator di fede; il qual toglier di
fede allhora si leva di mezo quando si nasconde la chiarezza della verità, il
che si fa per lo lume del Sole. Ma allhora è Pianeta, & non huomo; per lo
cui ancho (come affermano i Mathematici) si dimostrano molte cose future a
mortali. E poi stato tenuto Iddio della sapienza per li consigli salutiferi
dati da lui a gl'infermi, che gli dimandavano; & anche, perche
(intendendosi del Sole) col suo lume mostra le cose da schifare, & quelle
da imitare, la qual cosa è propria dell'huomo saggio. Dicono poi il Sole
pianeta essere senza barba: perche è sempre giovane, levandosi ogni giorno come
nuovo. Vollero già ch'egli cantasse in Lira, & fosse capo delle Muse,
percioche tennero lui principe, & governatore dell'armonia celeste, il
quale con la cognitione, & dimostratione tra i nuovi diversi circuiti delle
sfere, sì come tra le nuove Muse, prestasse a quelli le loro concordanze. Hora
si dirà dei nomi. Chiamasi Apollo, che (secondo Fulgentio) s'interpreta perdente,
& però sono alcuni popoli d'Ethiopia che (quando egli si leva) il
malediscono con tutto l'affetto, percioché col suo troppo calore appresso loro
disperde il tutto. Et di qui nasce (come dice Servio) che Porfirio in quel
libro chiamato Sole dice di tre qualità esser la potenza d'Apollo, cioè in
Cielo esser Sole, in Terra padre libero, & nell'Inferno Apollo; & però
da gli antichi al suo simulacro essere stato messo tre insegne, cioè la Lira;
per la cui volsero intendere la imagine dell'armonia celeste; lo scudo, per lo
quale volsero lui essere inteso la divinità della terra, & indi le saette,
per le quali è giudicato Dio dell'Inferno, & punitore. Et perciò pare, che
Homero dicesse lui essere auttore così della pestilenza come della salute; il
che mostra ancho haver voluto intendere Horatio in que' versi secolari, mentre
dice:
Con l'addolcito dardo Apollo
ascolta
Benignamente i supplici fanciulli.
Et quello che segue. Si chiama
ancho Nomio che Latinamente suona Pastore, & pigliato dall'essere stato
detto che fu pastore d'Admeto: & però sì come a Pastore gli è stato
dedicato il verso Buccolico, perche è verso Pastorale. È poi chiamato Cinthio
dal monte Cinthio, dove era molto honorato.
Lafita (come piace ad Isidoro nel
libro dell'Ethimologie) fu figliuola d'Apollo, benché Papia testimonia, ch'ella
fosse huomo. Da costei adunque, come afferma Rabano, furono nomati i Lafiti
popoli di Thessaglia; veramente questo è indicio di non picciolo momento,
costei essere stata donna di grande affare, poscia che da lei presiero nome
così famosi popoli. Che poi fosse figliuola d'Apollo, ciò puote esser vero, sì
come huomo, se poi come del Sole, ciò può pensarsi essere stato finto per la
bellezza, ò per la sapienza, overo per l'arte dell'indovinare.
Eurimone, secondo Paolo Perugino,
fu figliuola d'Apollo, & moglie di Talone, & di lui partorì Adrasto re
d'Argivi, & Euridice, che poi fu moglie d'Anfiaro.
Mopso, come dice Theodontio, fu
figliuolo d'Apollo, & Himante, & fu grandissimo, & fedele amico di
Giasone, sì come testimonia Statio:
Da Giason Mopso spesso in dubbi
udito.
Costui, secondo che piace a
Lattantio, fu dottissimo nell'indovinare, & fu sovrastante del boscho
Crineo dov'era l'Oracolo di Apollo, sì come mostra Servio. Mentre visse fu
huomo di tanta riverenza che dopo morte gli furono edificati Tempi, & dalle
loro bocche, & anditi da i dimandanti ricevute risposte. Ma Paolo dice che non
fu figliuolo d'Himante ma di Mantho, figliuola di Tiresia Thebano. Oltre ciò
Pomponio Mela riferisce, ch'egli edificò la città Faseli nei confini di
Pamfilia, nè molto da poi l'istesso Pomponio afferma che Manto fuggendo i
vincitori Thebani instituì il sacrificio di clario appresso i lidi di Iona
vicino al fiume Caistro; nè lontano da quello Mopso di lei figliuolo edificò
Celofone. Ma Eusebio dice che Mopso regnò in Cicilia nel tempo che Agamennone
signoreggiava in Micene, & che da lui furono chiamati i Mopsicroni, &
Mopsici. A quelli che dicono poi che Manto fu di costui madre, altri sono
contrari, dicendo che Manto dopo la guerra Thebana passò in Italia, & venne
nella Lombardia.
Come scrive Lattantio, Lino fu
figliuolo d'Apollo, & Psamata, del cui recita tal favola. Che Apollo,
havendo amazzato il serpente Fitone, & cercando purgare la occisione
commessa, fu alloggiato in casa da Crotopo re degli Argivi, dove segretamente
si congiunse con la donzella Psamata, di lui figliuola: la quale divenuta
pregna, & al debito tempo havendo di nascosto appresso il fiume Nemeo
partorito un figliuolo, quello chiamò Lino, & sì come piace ad alcuno
l'espose alle fiere, onde da cani fu divorato. Altri dicono poi che, havendolo
dato a nodrire ad un certo pastore, un giorno stando il fanciullino disteso
nell'herba nel casale del pastore fu mangiato da cani. Il che pare che voglia
Statio, dicendo;
Et Lino posto in mezo dell'acanto
Ha intorno cani venenosi, &
fieri.
Et quello che segue. Onde Apollo
maravigliandosi il figliuolo essersi stato da' cani divorato, mandò un monstro
in quel paese, che rovinava il tutto: il quale fu poi morto da Corebo. Penso io
a questa favola haver dato materia alcun mortal animale, che per caso apparve a
quel tempo, che il fanciullo fu da' cani divorato: il che parendo cosa fiera,
perciò fosse detto essere mandato un monstro. Vi fu ancho appresso un altro
Lino, & medesimamente figliuolo d'Apollo, & nella musica tenuto molto
eccellente: del cui Virgilio dice;
Non sarà mai, ch'io sia nei versi
vinto
Dal Thracio Orfeo, nè dal fratello
Lino.
Filistene (secondo Servio) fu
figlio d'Apollo, & Cantilena: il quale dicono haver edificato il castello
Oaxe nell'isola di Candia, & da se haverli dato nome. Onde Varrone;
Et Cantilena dal dolor del parto
Oaxe partorì con fiero duolo.
Se adunque egli chiamò quel
castello dal suo nome Oaxe, di necessità egli hebbe due nomi. Io istimo ch'egli
fosse molto eccellente nel canto; La onde da Poeti fu finto, che fosse
figliuolo cosi d'Apollo come di Cantilena.
Garamante, come dice Rabano nel
libro dell'origine delle cose, fu figliuolo d'Apollo, & da lui (secondo
l'istesso) i Garamanti, popoli d'Ethiopia, hebbero nome, & il castello
Garamante in Ethiopia edificato. Penso che costui fosse finto figlio d'Apollo
perche signoreggiò ivi, dove veramente il Sole per la soverchia forza abbruscia
quasi il tutto. La onde perche si elesse quelle sedi, come se si fosse
dilettato della sterilità, & caldo, fu tenuto figliuolo d'Apollo.
Brancho (secondo Lattantio) fu
figliuolo d'Apollo, & della figliuola di Iauco, & moglie di Sucrone;
del quale appresso Varrone nel libro delle dose divine si recita tal favola.
Cioè un certo Cyo, ch'era il decimo, che traheva origine d'Apollo, peregrinando
per lo mondo mangiò in un lito, dove partendosi forse men sobrio, che non gli
bisognava, lasciò ivi un suo figliuolino, Sucrone,il quale Sucrone, perduto il
padre, errando pervenne all'alloggiamento di un certo Iauco, dal cui raccolto
incominciò insieme con i suoi fanciulli menar le Capre à i paschi.
Avenne ch'eglino presero un
Cigno, il quale da loro essendo coperto con una veste, caderono in contentione,
chi di loro dovesse appresentarlo al padrone in dono. Finalmente vinti dal
contrasto, & levando via la veste, invece del cigno ritrovarono una Donna,
per la qual cosa smarriti si diedero a fuggire. Nondimeno richiamati indietro
da lei furono avisati che dicessero al suo padrone Iauco ch'egli dovesse amare,
& honorare il fanciullo Sucrone. Quelli adunque subito riferirono al
padrone quello che haveano veduto, & inteso. Di che maravigliandosi Iauco,
incominciò ad haver Sucrone in luogo di figliuolo, & gli diede per moglie
una sua figliuola; la quale divenuta pregna, dormendo vidde il Sole intrarsi
per le sue fauci, & uscirle per lo ventre. Dopo questo partorì un
figliuolo, & il chiamarono Brancho, il quale havendo baciato le guancie di
Apollo, da lui preso, ricevette la corona, & la verga, & incominciò
indovinare, & subito mai più non comparse. Onde doppo questo a lui fu
edificato un grandissimo tempio chiamato Branchiadon, & per questa cosa
furono ancho sacrati tempi ad Apollo Filesio; i quali si chiamano dal nome del
bacio di Brancho, overo dal contrasto de i garzoni Filesi. Altrove poi
Lattantio scrive che Branco fu un giovane in Thessaglia amato da Apollo, il
quale essendo stato amazzato, fu molto pianto da Apollo, che gli consacrò un
sepolcro, & un Tempio; & ivi Apollo fu chiamato Branchiade. Nella prima
favola si debbe intendere che i fanciulli, cioè ignoranti, pigliano un Cigno,
cioè l'augurio delle cose a venire; percioche il Cigno è un uccello sacrato al
Sole, conciosia che antivede la morte a lui vicina, & con dolcissimo canto
la predice. Dallo augurio pigliato poi si và al cianciare; onde vien finto
ch'egli si cangiò in femina; & da queste ciancie aviene, che Sucrone
diventa più caro al padrone, & di lui diviene genero; di che la moglie
fatta pregna vede in sogno il Sole che per gola le entra, cioè la influenza
celeste a produrre il già non nato atto all'indovinare, il che s'intende per lo
Sole; il quale poi esce per lo ventre, mentre nasce; & allhora bacia le
guancie d'Apollo, quando per la dilettatione, senza la quale non si opra
niente, s'accosta allo studio dell'indovinare; & allhora riceve la corona,
& la verga da Apollo, quando ammaestrato piglia le insegne del dottorato.
Percioche per la corona, che è ornamento del capo, si disegna la preminenza, la
quale conseguisce ciascuno per l'acquistata scienza con gli studi. Per la
verga, poi, la potenza d'essercitare quelle cose che con lo studio si sono
acquistate. Che ancho mai più non si fosse ritrovato, ciò avenne perche con la
morte fu tolto di mezzo.
Fu Filemone figliuolo d'Apollo,
& Lichione, come testimonia Ovidio; percioche Dedalione, figliolo di
Lucifero, hebbe una bellissima figliuola, la quale amata in quel tempo da
Apollo, & Mercurio, & con tutti due essendo giacciuta, d'amendue
partorì, & di Apollo hebbe Filemone, il quale fu ne' versi famoso, &
nella Cithara. Onde questo che s'è finto penso essere stato tolto
dall'occasione. Perche Lichione in un parto produsse due figliuoli, l'uno de'
quali fu eccellente ladro; di che dissero haverlo generato Mercurio, perche
agli Astrologhi pare, che d'intorno ciò molto possa Mercurio. L'altro poi fu
famosissimo citharedo, il che d'intorno pensano che molto vaglia il Sole, &
però il chiamarono figlio d'Apollo.
Orfeo fu figliuolo della Musa
Caliope, & d'Apollo, sì come dice Lattantio. Vuole Rabano che Mercurio a
lui desse la lira poco inanzi da se ritrovata; nella cui divenne tanto
eccellente che col suono di lei poteva mover le selve, fermar i fiumi, &
far benigne le fiere. Di costui Virgilio recita tal favola, cioè ch'egli amò
Euridice ninfa; la quale, poscia che col suo canto hebbe acquistato la gratia
di lei, tolse per moglie. Di costei s'inamorò Aristeo pastore, & un certo
giorno, mentre lungo le rive del fiume Hebro con le Driadi s'andasse a diporto,
volse rapirla; la quale fuggendo con un piede prese una biscia che nell'herbe
stava nascosta, onde quella rivolgendosi a lei col venenoso morso la amazzò. La
onde il doloroso Orfeo discese all'Inferno, & con la lira cosi dolcemente
incominciò cantare, pregando che gli fosse restituita Euridice, che non
solamente mosse a pietà di lui gli infernali ministri, ma anco condusse le
ombre a scordarsi delle proprie pene, che pativano. Di che avenne che da
Proserpina gli fu restituita Euridice, con questo patto però, che (s'egli non
la voleva di novo perdere) non si rivolgesse indietro a riguardarla fino a
tanto che non fosse salito sopra la terra. Il quale, essendo già vicino ad
esser di sopra, tratto dal soverchio disio di rivedere la sua Euridice, rivolse
gli occhi a dietro, onde avenne che subito di nuovo perdette la sua diletta
sposa. Per la qual cosa lungamente pianse, & si dispose menar vita casta.
Et perciò (come dice Ovidio) havendo rifiutato le nozze di molte donne, et
persuadendo ad altri huomini, che facessero vita casta, cadde in odio delle
donne, & dalle femine che celebravano i sacrifici di Bacco appresso l'Hebro
fu con rastri, & zappe morto, & lacerato, & il suo capo, insieme
con la Cithara gittato nel fiume. Indi pervennero fino in Lesbo; dove volendo
un certo serpente divorarli il capo, quello da Apollo fu mutato in sasso. La
lira poi (come dice Rabano) fu assunta in Cielo, & tra le imagini celesti
locata. Belle veramente, & artificiose sono queste fittioni, & per
incominciare dalla prima, veggiamo perche sia detto figliolo di Apollo, &
Caliope. Si dice Orfeo, quasi Aurea Fogni, cioè buona voce di eloquenza; la
quale veramente è figliuola d'Apollo, cioè della Sapienza, & di Caliope,
che s'interpreta buon sono. A lui da Mercurio fu data la lira, percioche per la
lira, che ha diverse differenze di voci, devemmo intendere la facultà oratoria;
la quale si adempisce non con una voce, cioè con una dimostratione, ma con
molte, & finita non si conface a tutti ma al saggio, & all'eloquente, a
cui è conceduto buona voce. Il che ritrovandosi tutto in Orfeo, si dice che a
lui tutte queste cose furono concesse da Mercurio, misuratore dei tempi. Con
questa Orfeo muove le selve, c'hanno le radici fermissime, & fisse nella
terra, cioè muove gli huomini d'ostinata openione; i quali non si ponno
rimovere dalla sua ostinatione eccetto per le forze dell'eloquenza. Ferma i
fiumi, cioè li scorretti, & lascivi huomini, i quali se non sono stabiliti
in ferma fortezza con salde dimostrationi d'eloquenza scorrono fino nel mare,
cioè nell'eterna amarezza. Fa benigne le fiere, cioè gli huomini ingordi di
sangue; i quali spessissime volte dalla eloquenza del sapiente sono ridotti in
mansuetudine, & humanità. Appresso, questi ha per moglie Euridice, cioè la
concupiscenza naturale, della quale nessuno mortale non è senza. Costei andando
a diporto per li prati, cioè per li temporali desideri, è amata da Aristeo,
cioè dalla virtù, la quale disia condurla a lodevoli desideri, nondimeno essa
fugge, perche la concupiscenza naturale contradice alla virtù, & mentre
fugge la virtù vien morta dal serpente, cioé dalla frode che sta nascosta tra
le cose temporali; percioche a quelli che riguardano men drittamente appare le
cose temporali verdeggiare, cioè poter concedere la beatitudine, alla cui
apparenza, se alcuno presterà fede, si troverà essere guidato à morte perpetua.
Ma che, finalmente. Poscia che la natural concupiscenza in tutto è caduta
all'Inferno, cioè d'intorno le cose terrene, l'huomo prudente con la eloquenza,
cioè con le vere dimostrationi, si sforza riddurla di sopra, cioè alla virtù,
la quale alla fine alle volte vi si lascia condurre, & questo quando
l'appetito si drizza a cose più lodevoli. Ma è restituita con patto che il
ricevitore non riguardi a dietro fino a tanto che non sia gionto di sopra,
cioè, accioche di novo non caggia in concupiscenza di tai cose, mentre fattosi
forte con la cognitione della verità, & con l'intelligenza dei celesti beni
non possa drizzar gli occhi nella concupiscenza a biasimare il lezzo dell'opre
scelerate. Che poi per ciò Orfeo discendesse all'Inferno, dobbiamo intendere
gli huomini prudenti giamai con la ragione della contemplatione non chinar gli
occhi della consideratione nelle cose mortali, & nelle ignoranze degli
huomini, che mentre veggiano quelle cose ch'eglino debbiano condenare,
desiderino con più caldo disio quelle che sono da ricercare. Fulgentio poi ha
altra openione. Dice che l'amata perduta, & di nuovo acquistata, Euridice,
è la figuratione della musica, interpretandosi Orfeo quasi Oreafogni, cioè
ottima voce, & Euridice profonda giudicatione. Et però nella musica essendo
altro l'armonia delle note, & altro l'effetto de' toni, & la virtù
delle parole, & quello che segue, sì come continua dove tratta delle
Ethimologie. Ma per venire a quelle cose che s'aspettano alla morte d'Orfeo,
egli è da sapere, come dice Theodontio, che Orfeo fu il primo che trovò i
sacrifici di Bacco, & commandò a' Thracesi che quelli fossero fatti dai
Chori delle Menadi, cioè delle Donne che pativano il menstruo, accioche quelli
in tal spatio di tempo venissero a disgiungerle dal consortio de gli huomini;
essendo tal cosa non solamente abhominevole, ma etiandio dannosa agli huomini.
Il che dopo alquanto tempo havendo considerato, & conosciuto le Donne ciò
essere stata inventione per scoprire agli huomini le loro vergogne, &
sporcitie, fecero congiura contra Orfeo, & con rastri, & zappe
amazzarono lui, che di ciò niente s'imaginava, & il gittarono nel fiume
Hebro. Ma Lattantio nel libro delle divine institutioni di lui cosi dice; Orfeo
fu il primo che inducesse in Grecia i sacrifici del padre Libero, & fu il
primo che gli celebrasse a Thebe nel monte di Boemia, dove poi nacque Libero;
il quale continuamente sonando la Cithara fu chiamato Citheronte. Quelli
sacrifici ancho hora sono detti Orfici; ne' quali poi esso fu stracciato, &
malmenato. Che poi il suo capo, & la Cithara fossero trasportati in Lesbo,
Leontio diceva questo non esser favola, perche era fama commune un certo Lesbo
suo auditore per causa di reverenza haverli portato seco fino in Lesbo. Che un
serpente poi che voleva divorare il capo d'Orfeo fosse converso in sasso, io
intendo per lo serpente le rivolutioni degli anni, le quali si siano sforzate
consumare il capo de Orfeo, cioè il nome, overo quelle cose, che sono composte
dall'ingegno di Orfeo; perche nel capo vivono le forze dell'ingegno, si come
fanno l'altre. Ma però s'è detto il capo del serpente convertito in sasso per
dimostrar niente a lui poter dar danno. Il che fin'hora non hà potuto oprare,
nè fare che fin hoggidì non sia con la sua Cithara molto famoso, essendo tra i
poeti tenuto quasi il più antico. Oltre ciò sono di quelli, che vogliano, &
tra questi Plinio nel libro dell'historia naturale, di costui esser stata
inventione il pigliar auguri dagli altri animali, che solamente dagli uccelli
si pigliavano prima. Medesimamente alcuni istimarono ch'egli fosse inventor
della Cithara, tutto che gli altri diano l'honore ad Anfione, overo a Lino.
Nacque in Thracia della famiglia Cicona, il che, secondo che afferma Solino
delle cose maravigliose del mondo, fino al tempo suo si teneva di grandissimo
honore. Del suo tempo a me non pare che si dubiti. Percioche molti testimoniano
ch'egli tra gli Argonauti andò con Giasone in Colche, come vuol Statio. Di
questo nondimeno scrive Lattantio nel libro delle divine institutioni. Et fu in
que' tempi ne' quali fu Fauno; ma qual di loro nascesse prima, v'è dubbio.
Medesimamente in quelli anni regnò Latino, & Priamo, & i loro padri
Fauno, & Laumedonte; onde regnando Laumendonte Orfeo andò al lito di Troia.
Queste cose scrive Lattantio. Eusebio poi nel libro de i Tempi dice ch'egli fu
regnando in Athene Egeo, il che assai pare convenirsi. Ma Leontio diceva,
costui non esser quello che ritrovò i sacrifici a Bacco, affermando quello
essere molto più antico.
Nacque d'Apollo, & di Cirene
figliuola del fiume Peneo, Aristeo, sì come testimonia Virgilio in persona
d'Aristeo nella Georgica, dicendo;
Madre Cirene, madre qual in questo
Profondo gorgo la tua stanza tieni.
Perche me nato de la chiara stirpe
Degli alti Dei (se vero è quel che
dici,
Che il timbreo Apollo mi sia padre)
Mal voluto dai fati hai generato.
Il che conferma ancho Giustino
nell'Epitoma di Pompeo Trogo recitando tal favola, cioè che Ciro Re dell'isola
Corami hebbe un figliuolo chiamato Batto, rispetto che non havea la lingua
libera, & espedita. Onde essendo venuto Ciro all'oracolo in Delfo per
impetrare con preghi la loquela del giovanetto figliuolo, hebbe per risposta
che Batto devesse andare in Africa, & edificare una Città chiamata Cirene,
ch'ivi riceverebbe la ispeditione della lingua. La qual cosa non fu essequita
perche l'isola Corami era troppo solitaria, onde non sapeva quali habitatori,
andando in Africa, vi potesse condurre; finalmente in processo di tempo venuta
la peste in Corami, restarono gli huomini cosi rari che a pena se ne caricò una
nave. Questi venendo in Africa, & piacendoli l'amenità del loco, &
l'abondanza delle fonti, si fermarono sul monte Ciro. Ivi Batto loro capo,
sciolti i nodi della lingua, incominciò prima a parlare. La onde divenuti certi
delle promesse dell'oracolo, edificarono la città Cirene. Ma in questo modo dai
posteri è stato finto, che Cirene, fu una bellissima donzella rapita da Apollo
sopra Pelio monte di Thessaglia, & portata sopra la cima di quel monte il
cui colle haveano occupato quelli, c'haveano seguito il figliuolo; & di lui
essendo divenuta pregna partorì quattro figliuoli, Aristeo, Nomio, Autteo,
& Argeo. Fino qui non v'è quasi fittione nessuna, eccetto dove dice di Peneo
fu figliuola di Speranza re di Thessaglia, da cui le fu mandato dietro per
cercare, dov'ella fosse andata. Onde quelli che la cercavano, havendola
ritrovata, & essendo ritenuti dalla dilettatione del loco, (dicono) che
restarono in quei medesimi paesi con Cirene. Di questi fanciulli poi (vogliono)
che solamente tre cresciuti in età ritornassero in Thessaglia, &
ripigliassero il reame del zio. Tra quali dicono che Aristeo ampiamente regnò
in Arcadia, & fu il primo che ritrovò l'uso delle Api, & del mele et
l'utilità del latte, & ancho che dimostrò la via di premere l'ulive, &
cavarne l'olio, & metterlo in uso, secondo che riferisce Plinio
nell'historia naturale. Oltre ciò divenuto sapiente, fu il primo che trovò il
nascimento della stella solstitiale. Le quai cose considerate non
inconvenevolmente nel fine delle Georgiche Virgilio descrisse la favola
d'Aristeo nella ricuperatione dell'Api. Vogliono appresso che costui togliesse
per moglie Auttone figliuola di Cadmo, & di lei havesse Atteone. Nondimeno (sì
come piace a Salustio), per consiglio della madre lasciata Thebe se n'andò
nell'isola Chio, fin'hora dishabitata dagli huomini, & quella possedette,
benche poi la lasciasse, & se n'andasse con Dedalo in Sardigna; dove,
secondo Solino nel libro delle cose maravigliose del mondo, edificò la città
Caralia. Quello che poi avenisse di lui non mi ricordo haver letto.
Di Aristeo, & Auttonoe nacque
Atteone, sì come testimonia Statio, & Ovidio; il quale scrive che ancho fu
chiamato Ianthio, dove dice;
Chiamando Ianthio, con piacevol
faccia.
Et sono di quelli, che dicano
questo nome essergli stato da una fanciulla imposto, che fu sepolta in quel
loco ov'egli nacque. Questi (secondo che dimostra l'istesso Ovidio) fu
cacciatore: il quale un giorno lasso per la caccia essendo sceso nella valle di
Gargafia, percioche ivi v'era una fonte frescha, & chiara, affine forse di
trarsi la sete, avenne che in quella vide Diana che ignuda si lavava. Di che
essendosi accorto Diana, & sopportando ciò malamente, prese dell'acqua con
le mani, & la spruzzò nel volto di lui dicendo; Va, & dillo, se puoi.
Questi allhora fu subito convertito in un Cervo, che veduto da suoi cani fu
incontanente morto, & con denti tutto stracciato, & mangiato. D'intorno
la cui fittione cosi scrive Fulgentio.
Anassimene, il quale trattò delle dipinture antiche, dice nel secondo
libro, che Atteone amò la caccia in gioventù, & pervenuto alla matura età,
considerando i pericoli delle caccie, cioè veggendo la ragione dell'arte sua
quasi ignuda, divenne pauroso. Et poco da poi segue; Ma fuggendo il pericolo delle caccie,
nondimeno non lasciò l'affetto dei cani, ne' quali da lui invano pasciuti
consumò quasi tutta la sua facultà. Per ciò fu da' suoi cani divorato.
Iolao, secondo Solino delle cose
maravigliose del Mondo, fu figlio d'Aristeo, & dopo lui signoreggiò in
Sardigna. Ma di sopra nel suo volume disse che Iolao fu figliuolo d'Ificleo
figliuolo d'Amfitrione, & che medesimamente dominò la Sardigna. Non so s'egli
è il medesimo, ò pur altro.
Scrive Giustino nell'Epitoma che
Nomio fu figliuolo d'Apollo, & Cirene. Dice Leontio che costui fu chiamato
Apollo (detto s'habbia di sopra ciò che si voglia Theodontio), & che
signoreggiò a gli Arcadi, & a loro diede leggi; lequali, perche parevano
offendere alcuni de' principali, nata contentione tra gli Arcadi, col favor di
Aristeo fu cacciato, & in loco di lui regnò Aristeo. Questi ricorse da
Admeto Re di Thessaglia, & sette anni pascolò i suoi armenti. Finalmente
ripigliate le forze, cacciò Aristeo, & di nuovo ottenne il Principato de
gli Arcadi, essendo andato Aristeo nell'isola Cea, & perche pascette gli
armenti fu detto Nomio, che appresso Arcadi vuol dir Pastore. Et di qui dice
che la fittione hebbe luogo, cioè che Apollo per haver morto i Ciclopi fosse
privo della deità, & andasse a pascere gli armenti del Re Admeto. Ma io non
so che più tosto mi credere, attento che, & per la dapocaggine de' Librai
sono andati a male tanti volumi, che ci è tolto poter vedere il vero di molte
cose, & di quì è conceduto alla bugia un spatioso loco di gire attorno,
scrivendo delle cose antiche ciascuno quello che a lui pare.
Autoo fu figliuolo d'Apollo,
& Cirene, si come di sopra è stato mostrato. Sono di quelli che dicono che
costui (partendosi i fratelli di Africa, & venendo in Grecia) rimase in
Cirene, & signoreggiò a que' Cirenesi che seco ivi restarono.
Nel modo che di sopra è stato
mostrato da Giustino, Argeo fu figlio d'Apollo, & Cirene. Questi di se,
ch'io m'habbia ritrovato, non lasciò altro alla posterità che il solo nome.
Esculapio, sì come testimoniano
quasi tutti gli antichi, fu figliuolo d'Apollo, & Coronide ninfa. Dice
Ovidio che costei fu figliuola di Larissa, & Flegia, & molto amata da
Apollo, la quale essendo venuta ne' suoi abbracciamenti, di lui restò pregna.
Nondimeno il Corvo, uccello d'Apollo, riferì a lui che la havea veduta
congiungersi con un certo giovane Emonio, di che Apollo sdegnato con le saette
la amazzò; ma subito pentendosi del fatto, non potendo con i suoi rimedi
ritornarla in vita, aprendole il ventre fuori ne trasse un fanciullo, &
chiamollo Esculapio, & (sì come si dice) il diede a nodrire a Chirone
Centauro. Il quale veduto da Archiroe figliuola di Chirone, & amaestrata
nell'indovinare, subito predisse ch'egli suscitarebbe un huomo da morte a vita,
& sarebbe per ciò fulminato, & morto. Il che non mancò d'effetto,
percioche dicono che, nell'arte sua essendo divenuto eccellente Medico, a'
preghi di Diana, raccolti i membri d'Hippolito che qua, & La erano sparsi,
il ritornò in vita. La onde Giove, turbato, con un folgore l'amazzò, sì come
testimonia Virgilio, dicendo;
Il padre omnipotente allhor
sdegnato,
Ch'alcun mortale ritornasse in vita
Esso figliuol di Febo, &
inventore
Di medicina, & di tal arte,
& sughi
Con un
folgor cacciò ne l'onde Stigi.
Quelle cose che fin qui sono
state dette (come a pieno si vede) è historia insieme con figmenti Poetici. Ma
accioche si vegga la pura historia, sono da dichiarare le fittioni. Et però il
Corvo haver accusato Coronide, credo deversi intendere che Apollo, per
l'amaestramento dell' arte d'indovinare, s'accorgesse della fornicatione di
Coronide, & che sdegnato, essendo pregna, l'amazzasse. Che ancho Hippolito,
overo (come piace a Plinio) Castore figliuolo di Tindaro per le rapite spose a
Linceo, fosse da esso Linceo overo Ida amazzato, & con herbe, & sughi
da lui ritornato in vita, credo essere avenuto in questo modo; che questi,
overo l'uno di questi non fosse morto, perche ritornare alcuno da morte in vita
s'appartiene solo a Iddio, ma per la crudeltà delle ferite, & per lo
perduto sangue fosse tenuto come morto; il quale con l'arte, & con la
diligenza da lui usata essendo stato ridotto nella primiera sanità, fu detto
ch'egli da morte in vita l'havea ritornato. Che poi fosse per ciò folminato da
Giove, questo non è credibile, ma penso che sia finto perche è cosa possibile
che per tal cura egli s'affaticasse molto in cercar herbe, et altre cose
necessarie, & cosi essendosi affaticato oltre il dovere gli sopravenisse
una febre, la qual veramente è un folgore mortale, & ardente, & da
quella morisse; overo per caso fosse folminato, & perciò dagl'ignoranti
fosse tenuto questo esserli accaduto per haver ritornato i morti in vita; e di
qui fu dato principio alla favola. Ma Theodontio nega, che Apollo amasse
Coronide, & che di lei generasse Esculapio; anzi afferma che nacque dal
giovane Emonio, & di Coronide, ma fu detto figliuolo d'Apollo per l'una di
queste due cagioni. O perche morta la madre inanzi il parto, & apertole il
ventre fu tratto fuori, il che non si fa senza l'opra del medico, per lo quale
si finge Apollo inventor della medicina, & cosi fu detto figlio d'Apollo
per esser nato per opra di lui. Overo per che gli antichi vollero che quei che
nascessero in tal modo fossero sacrati ad Apollo, percioche, sì come è stato
detto, paiono venir in luce per opra d'Apollo. Et però (dicono) la famiglia dei
Cesari haver osservato i sacrifici d'Apollo perche il primo di loro, che della
famiglia Giulia fu detto Cesare, per tal causa acquestò il cognome, & fu
sacrato ad Apollo, conciosia che aperto il ventre alla madre venne in luce.
Oltre ciò puote essere tenuto figliuolo di Apollo perche divenne famoso medico.
La openione poi di Theodontio alquanto si conferma con le parole di Lattantio,
il quale nel libro delle divine institutioni cosi dice. Tarquitio trattando
degli huomini illustri dice che costui, nato di padri incerti, fu esposto alla
morte, & ritrovato da cacciatori, & nodrito da cagnino latte fu dato a
Chirone, perche apparasse la medicina. Fu di Messina, ma dimorò ad Epidauro,
&c... Doppo questo Lattantio dice che costui fu quello che curò Hippolito.
Ma accioche per la varietà delle cose riferite dove poco fa bisogno, gli
scrittori non siano tenuti bugiardi, è da avertire (come piace a Tullio delle
nature dei Dei) che tre furono gli Esculapii; de' quali dice che il primo fu
figliuolo d'Apollo, & ritrovò lo specchio, & fu il primo che curasse
ferite, onde afferma che dagli Arcadi è molto riverito. Il secondo poi dice che
fu fratello del secondo Mercurio, & fu suo padre Valente, & Coronide
madre; indi morì percosso da un folgore. Il terzo fu figlio d'Asippo, &
Carsinoe, & fu il primo che ritrovò la purgatione del ventre, & il
cavar de' denti; & il suo sepolcro è in Arcadia non lunge dal fiume Lusio,
d'intorno il quale si mostra ancho il suo bosco: & cosi verrà ad esser cosa
possibile che alcuno di questi sia stato cavato dal ventre della madre morta,
& alcuno nato di padre incerto, & esposto; nè ci nuoce che Tullio narri
tutti i loro padri. Ho veduto io alle volte tra i Principi della patria un
huomo che fanciullo fu esposto, & poi dal nutritore sì come da padre haver
havuto cognome. Ma che tante cose? Fosse egli qual si volesse di questi, fu
tenuto in tanta riverenza appresso gli Epidauri che ancho Romani, havendo già
quasi tutta l'Italia occupata, assaliti da pestilenza d'infermitadi, come per
singolare, & certo rimedio mandarano legati agli Epidauri che gli
sovenissero a tanta necessità, & consentissero che Esculapio fosse portato
a Roma: onde per opra del Diavolo gli fu conceduto che in forma di serpente fu
condotto a Roma in Nave, & a lui edificato un famoso tempio sull'Isola del
Thebro, & in loco di salutare Iddio lungamente adorato; benche Dionisio
siracusano senza pena gli levò la barba d'oro. Esculapio poi viene interpretato
duramente oprante, il qual nome fu forse conforme alla sua fatica d'intorno la
cura d'Hippolito.
Machaone, come dice Papia, fu
figliuolo d'Esculapio, & al suo tempo Medico famoso. Il che s'io me lo
debbo credere, non so, cioè che fosse medico; scrivendo Isidoro che doppo il
fulminato Esculapio fu interdetta la medicina, sì come ancho nel libro
dell'historia natural dice Plinio. Et essendo state chiare l'opre d'Esculapio
nel tempo de' Troiani, quelle che seguirono poi stettero nascoste in oscura
notte fino alla guerra della Morea, che allhora Hippocrate ritornò in luce la
medicina. Il qual spatio di tempo, dice Isidoro che fu quasi di cinquecento
anni. Di quì penso io essere stato finto che il Sole per lo fulminato Esculapio
stette alquanto tempo che non volle guidar il carro dello splendore, affine di
mostrare l'inventione del Sole, cioè la medicina, haver patito l'Eclipsi per
molte secoli, & finalmente essere stato richiamato in luce. Io non havrei
cittato questo Machaone con l'auttorità di Papia, havendo ritrovato, ch'egli,
circa tali cose poco curioso, spessissime volte ha scritto molte cose
discordanti dal vero; ma la diligenza di Paolo mi ci ha condotto, il quale non tanto
scrive Machaone essere stato figliuolo di Paolo, ma etiandio afferma un certo
Asclepio essere di lui stato figliuolo.
Come dice Paolo, Asclepio fu
figliuolo di Machaone, & credo ch'egli habbia detto ciò seguendo Agostino:
il quale nel libro della Città d'Iddio pare che dica costui essere nipote
d'Esculapio dove introduce Hermete Trimegisto, che in questo modo Asclepio
parla; Il tuo avo Asclepio primo inventor della Medicina, al quale è sacrato un
tempio nel Monte di Libia d'intorno il lito de' Cocodrilli, nel cui giace di
lui il mondano huomo, cioè il corpo; ma l'avanzo, overo più tosto tutto il
meglio nel senso della vita, se n'andò al Cielo, ancho hoggidì presta agli
huomini infermi tutti i soccorsi con la sua deità: i quali suole con l'arte sua
donare. Et poco dopo l'istesso Agostino seguita. Ecco che gli huomini dicono essere stati due
dei, Esculapio, & Mercurio. Nondimeno io ho veduto questo libro d'Hermete
Trimegisto, il quale egli intitola dell'Idolo; et tuttavia non so ritrovare
qualmente Esculapio fosse avo d'Asclepio per le precedenti parole d'Hermete, nè
per le seguenti dette da Agostino. Nondimeno sono piu certo che più tosto il
difetto manchi dal mio ingegno, che si possa dannare la consideratione d'Agostino.
Secondo che dice Martial Capella
nel libro ch'egli scrisse delle Nozze di Mercurio, & Filologia, Psiche fu
figlia d'Apollo, & Eudelichia; della cui Lucio Apuleio nel libro delle
Metamorfosi, che con più volgare vocabolo si chiama l'Asino d'Oro, recita tal
favola. Cioè essere stato un Re, & una Reina c'hebbero tre figliuole: delle
quali, benche le due maggiori d'anni fossero bellissime, nondimeno la più
giovane chiamata Psiche trappassava talmente di bellezza l'altre mortali che
non solamente teneva in maraviglia gli spettatori, ma etiandio faceva credere
agli animi ignoranti per miracolo ella essere Venere, che fosse discesa in
terra; onde sparsa la fama d'ogn'intorno di tal non piu veduta bellezza, si
venne attanto che non solamente i Cittadini, ma ancho gli stranieri, lasciati i
Tempi della vera Venere, venivano a vedere questa Venere, & con sacrifici
ad honorarla. Il che sopportando malamente Venere, & infiammata contra
Psiche, ordinò a Cupido suo figliuolo che la accendesse di ferventissimo amore
di alcun huomo di bassissimo grado. In questo mezzo il padre di lei andò a
Milesio a consigliarsi con Apollo sopra le nozze della donzella, il quale gli
rispose ch'egli la menasse sulla cima del monte: dove la donzella là havrebbe
marito creato di stirpe divina, ma pessimo, & viperimo. Per la cui risposta
il padre adolorato, con lagrime, & doglia di tutta la città menò la bella
fanciulla sopra la predestinata cima del monte, & ivi la lasciò sola; la
quale, benche fosse tribolata per la solitudine, & per l'incerto dubbio del
futuro marito, nondimeno non stette guari che venne il benigno Zefiro, &
con soave spirare elevandola la portò in una fiorita valle, dove essendosi
alquanto adormentata, & col mezzo del sonno un poco havendo mitigato le sue
rovine; destandosi si vide inanzi un boschetto molto grato agli occhi, &
una fonte che stillava argentissime onde, con un Palazzo non solamente reale,
ma divino, & ornato d'infinite ricchezze. Nel quale entrando, & ritrovando
grandissimi thesori senza nessuna guardia, molto più si maravigliò che udiva
voci di persone che la servivano, & non vedeva i corpi. Di che sentendosi
spogliare entrò in un bagno, standole d' intorno persone che la lavavano, &
servivano, da lei non vedute. Indi uscita dal bagno si assettò ad una mensa
piena di vivande divine, & poscia che hebbe cenato, entrando in una camera
si messe a posare nel letto nuttiale; & subito che fu adormentata lo sposo
entrò nel letto, il quale poscia che di donzella se l'hebbe fatta donna, &
sposa, venendo la mattina si partì senza essere da lei veduto: & cosi molte
volte continuando, con grandissima consolatione di Psiche avenne che le loro
sorelle, udito l'infortunio di Psiche, partendosi dalle case de mariti andarono
a ritrovare gli afflitti padri, & insieme con loro piangevano l'infelici
nozze della sorella. Ma Cupido, presentendo quello che per invidia delle sore
s'apparecchiasse a Psiche, la avisò che in tutto non prestasse orecchie, nè
facesse conto delle loro lagrime, & che in suo danno, & rovina non
fosse pia, & cruda. Il che havendogli Psiche promesso di fare, incomincia
piangere ch'era ritenuta cattiva, & che non poteva vedere nè parlar con le
sorelle; & venendo Cupido da lei, che tuttavia di ciò la riprendeva, con
preghi lo indusse a' suoi voleri, & le promise che potrebbe con elle
parlare. Onde commandò a Zefiro che con soave spirare le conducesse a lei. Il
quale havendo ciò fatto, egli le concesse ancho che elle potessero portar seco
quella parte di thesori che le piaceva, ma che a patto alcuno non credesse alle
loro persuasioni, nè per consiglio alcuno desiderasse vedere la di lui forma.
Finalmente levate le sorelle di Psiche da Zefiro, & essendo portate da un
scoglio per aere fino in quella dilettosa valle, elle tuttavia gridando furono
udite da Psiche; la quale sentendole, uscita fuori dal palazzo, comandò a
Zefiro che le posasse giù, & cosi fu fatto; onde insieme essendosi
abbracciate furono condotte entro il suo ricco Palazzo, & le dimostrò tutti
i suoi piaceri, & thesori; di che le sorelle divenute invidiose, le seppero
tanto persuadere, & dar ad intendere che colui che giaceva seco era un
serpente, ch'ella a loro credendo si dispose veder questo. Et havendole
rimandate a dietro con molti doni, la notte seguente disposta di chiarirsi,
& veder il marito, apparecchiò un coltello, & nascose sotto un moggio
una lucerna, con animo, se vere fossero le parole delle sorelle, che colui con
cui giacesse fosse serpe, di ammazzarlo. Viene adunque secondo usanza Cupido,
entra in letto, & s'adormenta: onde Psiche scoperto il lume vide un
giovanetto bellissimo, ornato d'ali bianchissime, & a' suoi piedi vede
l'arco, & la faretra piena di saette; delle quali per riguardarle havendone
tratto una fuori affine di provare se pungessero, & toccatale la punta con
un dito, si punse quello, di maniera che per la ferita n'uscì alquanto sangue.
Di che avenne ch'ella subito s'infiammò di grandissimo amore del fanciullo che
dormiva. Cosi, mentre che tutta piena di maraviglia stava a contemplarlo, occorse
che una favilla della lucerna scoppiò, & cade sopra l' homero destro di
lui, La onde Cupido destato subito si diede a fuggire. Ma Psiche pigliandolo
per un piede, & a suo maggior potere tenendolo, tanto fu da lui portata per
aere che, lassa, et afflitta, lasciandolo caddè. Onde Cupido volando sopra un
vicino Cipresso con lunga querela la riprese, biasimando se stesso che, essendo
stato mandato dalla madre per ferita d'amore del piu vil huomo che fosse, per
la sua bellezza se medesimo havesse infiammato. Psiche adolorata del perduto
marito volle morire; finalmente con frode indusse in precipitio amendue le
sorelle, per li cui consigli era caduta in rovina. Indi fortemente
villaneggiata da Venere, & da lei battuta, per comandamento di Venere fu
posta a fatiche impossibili ad un mortale, & per opra del marito le essequì
tutte; di che avenne poi per preghi di Cupido fatti a Giove ch'ella ritornò
nella gratia di Venere, & fu assunta in Cielo, dove in perpetuo puote fruir
di Cupido, al quale partorì la volontà, o vogliamo dir piacere. Serenissimo Re,
se minutamente vorremmo cavare il senso di cosi gran favola, veramente ci
sarebbe bisogno fare un gran volume, & però assai ci basterà mostrar la
ragione perche Psiche sia detta figliuola d'Apollo, & Endelichia, chi si
fossero le sue sorelle, & perche sia detta moglie di Cupido; con la parte
appresso delle cose necessarie. Psiche adunque s'interpreta anima. Costei viene
detta figlia d'Apollo, cioè del Sole; io dico di quel Dio che è vera luce del
mondo, non essendo in potere di nessun altro, eccetto Iddio, crear l'anima
rationale. Endelichia poi, sì come dice Calcidio sopra il Timeo di Platone,
s'interpreta età perfetta, della cui in tutto si dice l'anima rationale esser
figliuola; perche, se bene nel ventre della madre riceviamo quella dal padre
de' lumi, nondimeno non appaiono le di lei opre se non nell'età perfetta,
essendo noi più tosto formati con un certo instinto naturale, fino all'età
perfetta, che con giudicio di ragione. Compiuta poi l'età incominciamo oprare con
la ragione. Adunque bene viene detta figlia d'Apollo, & Endelichia. Costei
ha due sorelle maggiori di età, non perche siano nate prima di lei, ma perche
pria usano della sua potenza; delle quali l'una si dice vegetativa, &
l'altra sensitiva. Le cui non sono anime come vollero alcuni, ma sono potenze
di quest'anima; delle quali però Psiche è detta più giovane perche molto prima
inanzi lei, la potenza vegetativa è conceduta al parto; & indi in processo
di tempo la sensitiva; ultimamente poi a questa Psiche si concede la ragione;
& perche sono nel primo atto, sono però dette prime congiunte al coniugio:
il quale si serba a questa rationale stirpe divina, cioè all'amore honesto,
overo ad esso Iddio, tra le delitie del cui viene portato da Zefiro, cioè dallo
spirito vitale, che è santo, & congiunto al matrimonio. Questi vieta alla
moglie che non brami vederlo se nol vuol perdere; cioè che non voglia
dell'eternità sua, dei principij delle cose, & della onnipotenza, per le
cagioni che sono a lui solo palesi. Percioche, quante fiate noi mortali
cerchiamo tai cose, togliendosi di strada, perdiamo lui, anzi noi stessi. Le
sorelle poi talhora pervengono fino ai primi segni delle delitie di Psiche,
& de i suoi thesori ne portano quello le piace; in quanto che la vegetatione
appresso i viventi con la ragione finisce meglio l'opra sua, et le sensitive
virtudi sono più chiare, & durano più in lungo. Nondimeno invidiano la
sorella; il che non è cosa nuova la sensualità essere discordevole con la
ragione, et mentre con parole piacevoli non la ponno indurre che vegga il
marito, cioè che voglia vedere con ragion naturale quello che ama, & non
conoscerlo per fede, con terror si sforzano condurvela, affermandole lui essere
fierissimo serpente; et essere per divorarla. La qual cosa tante volte aviene
quante la sensualità si sforza addormentar la ragione, & dimostrar la
contemplatione dell'anima; & non solamente levarle le dilettationi
sensitive delle conosciute cose per cagione, ma ancho seminar le grandissime
fatiche, & tormenti poco necessari, senza trarle poi alcuna piacevole
ricompensa. L'anima poi mentre meno prudente presta fede a tali dimostrationi,
desidera vedere quello che l'è negato, con animo di amazzarlo se non
corrisponde al suo intento; vede la effigie del marito bellissimo, cioè l'opre
estrinseche d'Iddio. La forma, cioè la divinità, non la può vedere, perche
nessuno non vide mai Iddio. Indi con una favilla l'offende, cioè col superbo
desiderio il ferisce; per lo quale divenuta disubidiente, & credula alla
sensualità, perde il bene della contemplatione, & cosi si disgiugne dal
matrimonio divino. Finalmente pentita, con astutia desidera la rovina delle
suore, & di maniera le opprime che più non hanno nessun potere contra la
ragione; poi con rovine, & miserie purgata della prosontuosa superbia,
& disubidienza di nuovo ripiglia il bene del divino amore, &
contemplatione, & perpetuamente a lui si congiunge, mentre abbandonate le
cose frali viene condotta a gloria eterna. Et ivi dall'amore partorisce il
piacere, cioè la dilettatione, & letitia sempiterna.
Nel libro dell'historia naturale
piace a Plinio che Arabe fosse figliuolo d'Apollo, & di Babilonia, il quale
chiama ancho inventore della medicina. Penso io che costui fosse ò huomo di
Babilonia, & ch'ivi prima dimostrasse la Medicina, overo che apparasse
quella in Babilonia, & fosse il primo che la portasse in Arabia; & di
qui fu detto figliuolo d'Apollo perche fu Medico, & di Babilonia, attento
che ivi nacque, ò vi fu ammaestrato.
Hora che habbiamo spedito la
lunga discendenza di Apollo, l'ordine vuole che ritorniamo ai figliuoli di
Giove, tra quali inanzi gli altri ci si appresenta Titio. Il quale, dice
Leontio, fu figliuolo di Giove, & Hellaro, figliuola d'Orcomeno; la quale
essendo pregna fu nascosta in terra da Giove che temeva dello sdegno di
Giunone, onde avenne che il fanciullo nascendo parve prodotto di terra, sì come
affermava Servio. La qual terra poi il nodrì, & cosi gli fu non madre ma
nutrice. Costui nondimeno venuto in età perfetta amò Latona madre d'Apollo,
& cercò vergognarla; La onde Apollo sdegnato con le saette amazzollo, &
confinollo nell'Inferno. Con tal patto però, che il suo cuore fosse dato agli
avoltoi che gli lo stracciassero fuori del ventre, & consumato fosse di
novo reintegrato; & cosi mai gli avoltoi non cessassero di stracciarlo, nè
egli di non sopportare. Hora ci resta scuoprire il velo di questa fittione, per
vedere quello ch'in se contenga. Dice prima che Giove nascose la madre di
costui pregna sotterra, percioche nessuna cosa più occoltamente si cuopre che
quello che si sotterra; & però dobbiamo intendere che costei fu tenuta in
segreto sotto guardia per tema di Giunone, cioè di maggior potenza, essendo
Giunone Dea de Regni. Che la terra poi nodrisse Titio non è cosa nova, perche
tutti siamo nodriti dalla terra. Ch'egli amasse Latona madre d'Apollo mostra il
suo grand'animo, perche ricerca la grandezza che è madre della luce; ma da
Apollo,cioè dal real splendore, viene cacciato nell'Inferno, cioè appresso i
plebei; appresso e' quali sempre dimora pieno di cure a qual partito possa
ritornare nel grado dove era caduto. Recita Leontio di questo Titio una breve
historia, & dice che costui appresso Boemi fu grande huomo, & con tutte
le forze cercò cacciare Apollo di Delfo; dal quale egli fu cacciato, &
quasi ridotto a vita privata. Del supplitio poi dato a lui, Macrobio nel Sogno
di Scipione cosi ne dice. L'avoltoio, che mangia il core, & il fegato,
hanno voluto non deversi intender altro che i tormenti della conscienza, pena
molto nociva; che rode le viscere interiora, & straccia essi membri vitali,
non mai stanchi per lo ricordo della commessa scelerità; & sempre tiene
desti i pensieri, se forse l'animo ricercasse riposare, accostandosi come una
febre a quelli, che rinascono senza perdonare con nessuna misericordia a se
stessa, con tal legge con la quale nessuno colpevole, essendo giudice, se
medesimo assolve, nè di se può schifare la sentenza. Questo dice Macrobio.
Bacco viene detto da Ovidio,
& gli altri poeti figliuolo di Giove, & Semele, della cui origine si
recita tal favola. Amando Giove Semele figliuola di Cadmo, & essendosi ella
di lui impregnata, Giunone andò a ritrovarla in forma di Boroe, vecchia
Epidaura, & parlando seco la dimandò se Giove le voleva bene; a cui ella
rispose che si credeva, che si; soggiunse Giunone, Figliuola, tu no'l puoi
conoscere eccetto che in sol modo, cioè, se giurando egli per Stige ti promette
venirsi a congiunger teco in quel modo, che fa con Giunone. Semele desiderosa
di farne la prova, venendo Giove da lei con giuramento gli dimandò tal dono.
Onde Giove tutto doglioso non potendo mancare al giuramento la fulminò, &
trasse fuori del ventre di quella morta un figliuolo, & lo congiunse al suo
ventre fino attanto che venisse il tempo che si ricerca ad una creatura stare
nel ventre materno. Costui fu prima nodrito da Ino segretamente, poscia lo
diede alle ninfe le quali ancho gli porsero alimenti, sì come dice Ovidio;
& accioche non fosse ritrovato da Giunone, che il ricercava, il nascossero
sotto l'hedere. Dicono appresso, che fu allevo di lui Sileno, il quale pigliato
da Villani fu da Mida restituito a Bacco. Oltre ciò l'honorano d'una carretta,
& compagni; de' quali cosi riferisce Statio;
Da man destra, e sinistra i Linci
stanno
Del carro, che guidato è da le
Tigri.
C'hanno i freni lavati di vin puro.
Poscia quei lieti a lui portano
dietro
Le armentali spoglie, e i Lupi
fieri
Con l'orse inique; & quello in
van non segue
L'ira il furore; la virtù il timore
Senz'ardor sobrio a quel va dietro
anchora.
Vi s'aggiungono anchor gl'instabil
gradi,
Et gli steccati simili ad un Regno.
Dicono appresso che lui fu il
primo, che piantò la vigna, come dice Accio nei Bacchi;
O Dionigi di Semele figlio,
Buon padre, che la vite pur
piantasti.
Et di qui affermano che fu Dio
del vino. Appresso gli consacrano l'Hedera, & il crivello, et Marsia il
mettono sotto sua tuttela: indi gli danno per moglie Arianna figliuola di
Minos. Rabano conferma il bastone essere stato da lui trovato, & chiamato,
accioche gli huomini gravi per lo vino con quello si sostenessero. Il chiamano
ancho con molti nomi, de' quali Ovidio;
Davan gl'incensi, & il chiamano
Bacco
Bromio, Lico, Ignigena, & di
novo
Nato, Solo, Bimatre, & vi
s'aggiunge
Niseo, Non raso, Thioneo, &
insieme
Con Leneo, genial fator de' l'uva;
Nittilio, & padre Eleo, Iaco,
& Euhan,
Et oltre ciò con tutti quelli nomi
Che infiniti ritieni, o padre Bacco
Tra greche genti. Tu consumat'hai
La gioventù; & fanciul sei
veduto
Bello, & eterno; quando entro
del cielo
Veduto sei, & senza corna
resti.
Alberico v'aggiunge altri nomi,
& dice che si chiama Euchio, Briseo, & Bassareo. Lattantio dice anco
che si chiama Ditirambo. Appresso, Servio vuole che fosse chiamato Orfeo, &
da i Giganti lacerato a brano a brano; il che afferma Alberico, dicendo che da
loro fu ritrovato ebbro; indi soggiunge che fu sepolto, & poi ritornò vivo
intiero. Gli antichi il dipingevano ancho in habito di donna, & ignudo,
& fanciullo, & sacravano a lui i notturni balli, i cembali, & i
gridi, che da quelli erano chiamati Orgia, cioè sacrifici di Bacco. Oltre ciò
si dicono molte altre cose; ma perche tutte non si sono ritrovate quelle che si
cercano, vederemo quelle, che tra le ricordate si ponno vedere. Principalmente
adunque pare che gl'historici tengano per certo questo Dionisio essere nato di
Giove, & Semele: di maniera che del tempo tra gli antichi fu grandissima
diversità; alcuni de' quali il chiamano Dionigio, altri padre Libero: &
perche non si trova di qual Giove fosse figliuolo, io l'ho attribuita al
secondo Giove, percioche pare che il suo tempo meglio si convenga col secondo
che con alcuno degli altri. Dice Eusebio nel libro dei Tempi che alcuno
stimano, che regnando Danao in Argo, Dionisio in India edificò Nisa, & cosi
la chiamasse dal suo nome; & che in quell'istesso tempo egli guerreggiasse
in India, & nel suo essercito havesse donne, cognominate Bacche,più tosto
per lo furore che per la virtù. Il che fu d'intorno gli anni del mondo
tremilasettecento, & ventinove. Poco da poi l'istesso Eusebio dice che
regnando Danao in Argo Cadmo regnò in Thebe, della cui figliuola Semele nacque
Dionisio, cioè il padre Bacco; il qual tempo, secondo la descrittione de' suoi
anni, fu circa gli anni del mondo tremilasettecentosettantasei. Né molto dopo
dice l'anno trentesimoquinto di Linceo, re d'Argivi, Dionisio latinamente detto
padre Libero nacque di Semele; il che pare essere stato nei tremilleottocento,
& quattordici anni del mondo. Indi soggiunge, regnando Acrisio in Argo,
Dionisio detto padre Libero combattendo contra gl'Indi edificò la città Nisa
appresso il fiume Indo; il che si può giudicare essere avenuto negli anni del
mondo tremilleottocento, & settanta. Quanta sia questa diversità de' tempi
raccolta da Eusebio dai Commentari degli antichi, facilmente si può vedere.
Nostra cura è per conietture imaginarsi qual tempo tra tutti i detti più vero
si può attribuire all'età di Bacco. Ma io, lasciate le ragioni che mi moveno,
istimo il giorno di Bacco essere stato circa il più antico tempo di tutti
questi, overo almeno quello che segue dietro, & egli essere nato a quel
tempo nel quale si narrano quelle cose essere state da lui oprate. Ma lasciate
queste curiositadi, verremmo alle fittioni. Che Semele fosse fulminata, cred'io
ciò essere stato compreso dal caso, cioè o che fosse fulminata, overo da febre
ardente alla morte condotta; l'una, & l'altra delle quali non si
maraviglierà il saggio essere stata mandata da Giove, cioè dall'elemento del
foco. Che il parto fosse anco tratto dal ventre della morta, & congiunto
all'utero di Giove, in ciò si viene a disegnare il chiarissimo ufficio delle
ostetrici. Percioche necessaria cosa è che con i calori estrinsechi, i quali si
debbeno intendere per Giove, si dia vigore a colui che inanzi tempo è tratto
dagl'intrinsechi. Ma essendo questa espositione Fisica, Pomponio Mela nella Cosmografia
recita la historica, dicendo; Tra le
città c'habitano gl'Indi (& sono infinite) Nisa è famossissima, &
grandissima; de' monti Meros è sacrato àa Giove. Di qui egli hanno la principal
fama, percioche dicono che in quella fu generato il padre Bacco, &
nell'antro di questo nodrito. Onde, che gli Auttori Greci dicessero che fosse
locato al ventre di Giove, o la materia, overo l'errore ha ciò cagionato.
Questo dice egli. Ma Alberico v'aggiunge, dicendo da Remigio essere affermato
che in Nisa vi sono i manili del padre Bacco, in testimonio che ivi sia stato
nodrito. Il che, se cosi è, istimo più tosto deversi intender dell'altro che di
quello, che nacque di Semele; onde potrebbe essere che per consequenza da
diversi Dionigi fossero nate tante contrarietà di tempi. Di costui, se questi
fu quello, cosi dice Orosio; Il padre
Libero soggiogata l'India la bagnò di sangue, la empì d'occisioni, la bruttò di
libidine; & non fu nessuna persona che non fosse mal trattata, et havesse
un'hora di riposo. Ma per ritornar di novo a i sensi fisici sotto favola
coperti, dico, che alcuni vogliono per Bacco deversi intendere il vino, &
cosi Semele si piglierà per la vite; la quale per Giove, cioè per lo calore
congiunto nello sparso humor della terra, che trahe l'humidità per li rami
della vite, rende quella pregna, cioè morbida, et gonfia, & ne i racemi i
succhi, & humori, sì come in conceputo ventre: allhora viene fulminata
quando, appropinquandosi il calore dell'Autunno, non in più ampia maturezza, ma
più tosto in corruttione, et putredine dei frutti cotti guidata, è necessario
che sia levata, et al ventre di Giove, cioè all'altro calore congiunta. Il che
si fa quando il vino presso dall'uve da noi viene fatto di nuovo bollire, fino
a tanto che purgato da tal bollire sia buono, & atto ad essere bevuto. Indi
Ino, cioè il vaso, il tiene occulto, cioè rinchiuso, affine che non sia
ritrovato da Giunone, cioè dall'aere corrotto. Overo allhora diciamo Semele
esser pregna di Giove quando nella Primavera veggiamo la vite per opra del
caldo gonfiarsi: & allhora è fulminata; per lo disusato calore della state
viene arsa, onde con i pampani aperti manda fuori i frutti, & incomincia
spumare, il che si congiunge al ventre di Giove, cioè al diurno calore affine,
che dal padre riceva quella maturezza che dalla madre non havea potuto; &
allhora Ino serba quello occultamente mentre dai pampani, & dalle foglie è
coperto, accioche dal soverchio calore non sia offeso, è poi nodrito dalle
ninfe, mentre dall'humido della notte viene ristaurato quello che dal calore
del giorno era stato arso. Il vecchio Sileno viene chiamato suo allievo,
percioche i vecchi più tosto per lo vino che per lo cibo si sostentano; il
quale a lui Mida avarissimo huomo fu restituito, perche l'avaro non si diletta
di bevande. È stato poi da poeti detto ch'egli adopra il carro con que'
compagni per dimostrare alcuni de' suoi effetti, percioche per lo carro si deve
intendere la volubilezza degli ebbri. I Linci, cioè i lupi cerveri, a quello
sono attribuiti per dar ad intendere che il vino, pigliato moderatamente,
cresce l'ardire, & la vista. Li Tigri traheno il carro per dinotare la
crudeltà de gli ubbriachi, perche il carico del vino non perdona a nessuno.
Indi lo segueno i pazzi, & temerari, di sorte che senza consideratione andrebbono
in ogni pericolo; i quali intendo che siano que' fieri Lupi, & rabbiose
Orse che nella preda di Bacco sono portate. Che poi facilmente s'adirino, &
indi vengano in furore, chiaramente egli si vede; & cosi non sono
accompagnati da sobrio ardore. Timidi ancho sono i vinolenti, perche perduto il
dritto giudicio di ragione, spessissime volte temeno cose da non temere. La
Virtù poi per qual ragione si aggiunga al carro di Bacco, è stato toccato dove
havemo detto dei Linci. Gli instabile gradi sono annoverati tra i compagni di
Bacco per designare il vacillar degli ebbri, i quali caminano con tanta
instabilità che di continuo paiono cadere. Si aggiunge che Bacco ha gli
steccati simili a quelli dei re, & non immeritamente, percioche, se
veggiamo le historie, vedemo ivi tabernacoli di frondi, le tavole
apparecchiate, i cibi da mangiare, & i vasi col vino; indi vi si veggono
persone tumultuose, & piene di risse, le quai cose tutte simili sono ai
campi degli esserciti dei re. È cosa ancho possibile che Bacco appresso Greci
fosse il primo che piantasse la vigna, & ne cavasse il vino; conciosia che
molto prima havemo per cosa chiara che Noé fece questo appresso gli Hebrei.
Nondimeno alcuni dicono che Bacco non piantò la vite, ma che ritrovò l'uso del
vino da Thebani non conosciuto, & che il congiunse con altri vari licori
accioche fosse più dilettevole; il che, perche parve maraviglioso, appresso i
rozi fu prima tenuto Iddio del vino. Oltre ciò dicono l'hedera essere sacrata a
lui, cred'io perche, sì come le viti mandano fuori i loro pampani, & uve,
cosi ancho l'hedera manda fuori i suoi racemi torti, & i frutti simili alla
vite, & appresso ancho perche l'hedera è sempre verde, per la cui si viene
a dinotare la perpetua gioventù del vino; il quale mai non s'invecchisse, anzi
quanto è di più tempo, tanto ha maggior possa. Di questa ancho furono soliti
già coronarsi i poeti, percioche per la facondia sono sacrati a Bacco, &
affine di mostrare l'eternità dei versi. Il crivello poi è dedicato a lui [con] ragione misteriale, percioche dice Servio i sacrifici di Bacco appartenersi
alla purgatione dell'anima, sì come per lo crivello si purgano i fromenti.
Furono nondimeno di quelli che vollero queste purgationi farsi dagli huomini
viventi per estrema ebrietà, la quale è il sacrificio di Bacco, affermando che
se alcuno divenisse tanto ebbro che fosse sforzato vomitare, che dopo il
passato stupore del cervello l'animo spogliato di noiosi pensieri resta
tranquillo. Alla cui openione pare che Seneca in quel libro ch'egli scrisse
della tranquillità dell'animo s'accosti. Vollero poi che Marsia fosse locato
sotto sua difesa; perche fu audace, anzi temerario contra Apollo; per la qual
temerità intendo la loquacità dei vinolenti che tende verso ciascuno, per la
cui alla presenza degli ignoranti spesse volte i prudenti da i rozzi paiono
restar confusi: i quali non avertiscono che l'oratione di questi tali non è
fatta con ordine alcuno, ma a guisa di Satiro, come fu Marsia, qua, & la va
saltando, & vacillando. Finalmente nel cospetto dei dotti, & saggi
spogliato Marsia, cioè scoperta la prosuntione de i riscaldati, si rivolge in
folgore, cioè cade, & il parlare di questi tali si risolve come se non
havessero detto nulla. Quello poi che s'appartiene ad Arianna si narrerà nelle
cose seguenti dove di lei si tratterà. Che costui fosse lacerato dai Giganti,
& poi sepolto, credo essere stato detto perche da Eusebio nel libro de i
Tempi si scrive che regnando Pandione in Atene, cioè negli anni del mondo
tremilleottocento e novantasei (testimonio Marco Varrone Poeta), questo padre
Libero guerreggiando contra Perseo fu morto in battaglia, & che la sua
sepoltura si vede in Delfo appresso l'aureo Apollo. Et questo sia detto in
quanto all'historia. Ma alle fittioni da alcuni s'aggiunge che egli, benche
fosse sepolto tutto stracciato, nondimeno suscitò intiero; la qual cosa penso
deversi intendere che, bevendosi più fiate, per lo calore del vino si move una
ebbrietà per la cui assai si vede Bacco vivere, & oprare alcuna cosa.
Nondimeno d'intorno ciò diceva Alberico Bacco deversi intendere l'anima del
mondo, la quale, benche per li corpi del mondo a membro per membro sia divisa,
tuttavia pare che si rientegri, attuffandosi, & riformandosi, et sempre
perseverando una istessa, non patendo alcuno affanno della sua semplicità. Ma
io istimo questo Bacco d'Alberico deversi intendere il Sole di Macrobio. Esso
Macrobio transferisce tutte le deitadi. È depinto in habito di donna perche nell'impresa
contra gl'Indi hebbe nel suo essercito molte donne, sì come è stato predetto,
overo perche il continuo bere indebilisce le forze, & alla fine rende anco
debile il bevitore. Ignudo poi viene dipinto perche l'ebbro manifesta il tutto,
overo perche il bere ha già condotto molti a povertà, & a restar ignudi; o
pure perche il bere genera calidezza. È figurato fanciullo: attento che non
altrimenti gli ebbri sono lascivi, che i fanciulli; a' quali non è ancho
l'intelletto intiero. Hora ci resta veder de i nomi. Primieramente si chiama
Bacco, che suona l'istesso che furore; percioche il vino, & specialmente il
novo, è di cosi focoso furore che non può essere tenuto rinchiuso da nessuna
chiusura, & anco rende furiosi quelli che il pigliano senza misura, sì come
è stato predetto. Chiamasi Bromio da Bromin, che significa consumare, percioche
la modesta bevanda del buon vino consuma le superfluità dei cibi, & aiuta
il padire, sì come à i Fisici piace; ma pigliato fuori di misura disecca
l'humidità buona, & avilisce di sorte le forze dei nervi, che per lo più
gl'ingordi diventano tremanti, & debili. Chiamasi appresso Lieo da Lien,
che vuol dire tratto, perche a volta a volta si bee; overo da ligo, ligas,
perche pigliato modestamente raccoglie le disperse forze, & le accresce, ma
dishonestamente lega i sensi, & la ragione. Overo, secondo Fulgentio, è
detto Lieo perche ci concede una certa lenità, & piacevolezza, che, poscia
che alquanto habbiamo bevuto, diventiamo più essorabili. Si dice ancho Ignigena,
o perche sia generato di fuoco overo perche genera il fuoco, cioè il calore:
attento che veggiamo i capi deni bevitori fumosi, & che alle volte per la
callidità metteno giù le vesti. Si noma ancho Nato di nuovo, & per ciò il
dicono Ditirambo, che, secondo Lattantio, suona l'istesso: onde che un'altra
fiata sia nato di sopra egli s'è dimostrato, & indi, meritevolmente,
Bimadre. Niseo poi è chiamato dalla città Nisa dove è adorato overo da Nisa,
una delle cime del monte Parnaso à lui consacrata. Thioneo, che suona l'istesso,
che fà intonso, cioè non raso, è chiamato perche le viti da' quali nasce hanno
i palmiti lunghi; overo, il che istimo meglio, per dimostrata sua pueritia:
attento che i fanciulli sono senza peli. Riformator della uva è detto, perche
fu il primo che piantò la vite. Nittilo poi perche fa venir la notte, cioè le
tenebre à i sensi. Eleo da Elea, città dove grandemente era riverito. Hiaco,
perche fa venire il singhiozzo à gli huomini. Ehua poi è una interiettione di
lodar Bacco, & significa buon fanciullo. Briseo (secondo Alberico) perche
fu il primo che cavò il vino dall'uva; overo Briseo; quasi hirsuto, cioè
superbo. Onde di quì fù detto ch'egli in Grecia hebbe due statue, una hirsuta
chiamata Brisei, & l'altra delicata nomata Lenea. Fu detto Bassareo dalla
qualità delle vesti usate dalle ministre ne suoi sacrifici; di che tali
ministre erano chiamate Bassaride. Si dice poi padre Libero perche pare che
apporti libertà à gli huomini, percioche ancho i servi ubbriachi, mentre che
quella ebrietà dura, istimano haver rotto i legami della servitù. Oltre ciò
libera dai pensieri, & ci rende più securi nelle essecutioni; rende liberi
i poveri da' bisogni; inalza anco gli abbattuti in alto. Et dice Alberico che
nel principio delle edificationi delle città, facendosi per buon augurio
sacrificio agli altri Dei, si facevano ancho al padre Libero, accioche
conservasse la libertà alla futura patria. Oltre questo, tutte le città che
ubbidivano a' Romani Imperatori del mondo erano o tributarie, o confederate,
overo libere. Nelle città libere adunque in segno della libertà v'havevano il
simulacro di Marsia, il quale habbiamo detto di sopra essere in protettione del
padre Libero. Appresso fu in costume à Romani dare la toga libera ai giovanetti
nelle feste liberali, per dinotare la vita più libera conceduta per l'avenire;
i cui sacrifici (dice Servio) furono prima transferriti à Roma da Giulio
Cesare, ne' quali s'immolava un Capro; & questo si faceva perche alle volte
le caprette guastavano i racemi delle viti crescenti. Dice Marco Terentio
Varrone, dove tratta dell'agricoltura, che i Capri a lui sono sacrificati come
ad inventore della vite, accioche col supplitio del capo patiscano le pene. Ma
io non istimo che questi sacrifici fossero prima trasferiti a Roma da Giulio
Cesare, ma che si debba intendere di quel Padre Libero del quale pare c'habbia
voluto Cicerone, mentre trattando delle Nature de' Dei scrisse; Io dico questo Libero nato di Semele, &
non quello che i nostri maggiori santamente, & altamente giudicano Libero.
Et quello che segue. Il quale io istimo, secondo l'openione di Macrobio, essere
il Sole, da loro tenuto per padre di tutte le cose, & di qui detto padre
Libero. Et cosi penso ancho haver inteso Virgilio, quando dice;
Tu Libero, & tu insieme Cerere
alma
Che l'anno per ciel guidate
intiero.
Et quello che va dietro;
percioche Bacco non è quello che conduce l'anno, che gira per lo Cielo, ma il
Sole. Et queste veramente furono quelle due deità che grandemente adorarono gli
Etrusci. Ma fosse chi si volesse questo Libero, Agostino nel libro della Città
d'Iddio mostra dagl'antichi esserli stati celebrati vituperosi sacrifici; &
tra l'altre cose dice che in suo honore publicamente s'honorarono le parti
virili vergognose, di maniera che nei festivi giorni di Libero il membro virile
si portava diritto nella città con parole sceleratissime, conceduta ogni
licenza: indi condotto per tutta la città, & per le piazze, il mettevano al
suo loco statuito; fatto questo, la più honesta donna madre di famiglia che
fosse tenuta nella Città il coronava. Appresso, questo Bacco si chiama ancho
Dionisio, del qual nome si tratterà dove si narrerà di Dionigi.
Himeneo secondo Alberico fu figliuolo di Bacco, & Venere, & con l'auttorità di Remigio segue dicendo che per tale fu tenuto percioche per la soverchia lascivia suole eccittare la libidine. Himen in greco si chiama Membrana, la qual'è proprio il sesso feminile, nella quale diconsi fare le fanciullarie. Indi Himeneo fu detto Dio dalle nozze. Ma Lattantio dice essere cavato dall'historia, scrivendo che Himeneo fu un fanciullo Atheniese di mediocre conditione, il quale, passando gli anni dell'età puerile, & non essendo ancho giunto alla virile, fu di tanta singolar bellezza che da molti era tenuto per donna. Questi essendosi inamorato d'una donzella nobilissima, & delle prime della città, & all'incontro ella di lui, percioche non sperava poter haverla per moglie si contentava almeno di vagheggiarla. Onde avenne che, celebrando le prime donne della città insieme con le donzelle i sacrifici di Cerere Eulesina fuori della terra, scorsero certi corsari ivi d'intorno, che sopra aggiungendole le rapirono tutte; tra quali ancho fu preso Himeneo, che ivi era andato per veder la sua carissima donna. Havendo adunque i corsari per lontani mari condotto la preda, & essendo giunti in un certo paese, dove smontati s'adormentarono, furono tutti amazzati dai prigioni.]
Di che Himeneo, lasciate le
vergini, volò ad Athene, & si convenne con i parenti della donzella da lui
amata che, s'egli gli restituiva tute le donne rapite, eglino gli dessero
pesposa la fanciulla; il che fatto, la hebbe per moglie. Il qual matrimonio,
perche era stato felice, piacque agli Atheniesi aggiungere il nome d'Himeneo
alle nozze. Nondimeno vi sono di quelli che dicano che il giorno delle nozze
egli fu oppresso, & morto d'una certa ruina, onde per cagione di purgatione
fu ritrovato che il nome suo s'havesse a celebrare nelle nozze; il che Servio
in tutto danna. Ma io istimo che sia detto figlio di Bacco, & Venere perche
col mezzo di due si fanno le nozze, overo perche due intervengono alle nozze,
cioè la festa, & la copula carnale. Per la festa si deve intender Bacco, sì
come si vede per Virgilio, quando dice;
Bacco vi sia dator dell'allegrezza.
Per Venere poi la copula carnale;
parenDo che a lei s'appartenga congiungere il maschio, & la femina per
generar figliuoli; cosi di questi due si fanno le nozze, overo Himeneo che si
debbe intendere per le nozze.
Ovidio chiama Thioneo figliuolo
di Bacco, & di lui recita una breve favola. Dice che egli havendo rubato un
Bue, & per ciò i Villani essendoli dietro, Thioneo, chiamato fortemente in
suo aiuto il nome del padre, avenne che da Bacco fu cangiato in un Cacciatore,
& il Bue in un Cervo. Penso io che costui fosse un ladro, ma che havendo
molto bene i Contadini bevuto, egli facilmente desse ad intendere a quelli, che
gli dimandavano il suo Bue, sE essere Cacciatore, & il Bue Cervo.
Thoante fu figliuolo di Bacco, sì
come si dimostra nei versi d'Ovidio, che dice;
Allhor Thioneo ne la notte prima
Al figliuolo Thoante si scoperse
Tutto
tremante a quel donando aiuto.
Ma Paolo testimonia ch'egli
nacque d'Arianna figlia di Minos. Nondimeno mi maraviglio come habbia potuto
far questo, attento che Thoante, sì come si mostrerà più di sotto, generò
Issifile, la quale al tempo della guerra Thebana serviva a Ligurgo Nemeo per
balia di Ofelte, & Arianna pria che si maritasse fu rapita da Theseo, doppo
ch'hebbe partorito Hippolito, il quale poco innanzi il principio della guerra
Thebana venne in Italia. Et cosi Thoante fu molto più antico che Arianna. Costui
(come testimonia Statio) già vecchio signoreggiando in Lenno, & havendo
tutte le donne, di consentimento commune, amazzato tutti gli huomini di Lenno,
dalla figliuola Issifile, che facendo un rogo finse haverlo morto, fu salvato,
& di notte mandato nell'isola di Chio.
Issifile fu figliuola di Thoante,
secondo che Statio dimostra, mentre dice;
A quale il regno, e il genitor
Thoante,
Et il chiaro Euban de la stirpe
zio.
Questa adunque, si come riferisce
l'istesso Statio, havendo consentito al commune consiglio delle donne di Lenno
di amazzar tutti i maschi, & vivere con le loro leggi, in quella notte che
dall'altre donne fu commessa la iniquità messe il padre Thoante in una nave,
raccomandandolo al padre Bacco, & il mandò nell'Isola Chio: indi nel
palazzo reale fatto un sublime rogo, fece finta haver amazzato il padre, &
in loco di quello signoreggiò alle donne homicide. La quale regnando (come
dimostra Statio) avenne che, andando gli Argonauti con Giasone in Colcho, &
essendosi accostati al lito di Lenno, ò perche non fossero ricevuti, ò perche
volessero vendicare la scelerità, per forza presero l'Isola, & cosi essendo
ivi allogiati, tra gli altri Giasone fu raccolto da Issifile, & seco hebbe
a fare. Ma facendoli instanza i compagni, & avicinando il tempo del
promesso ritorno, rimontando in nave d'ivi si partì, et la lasciò pregna; la
quale poscia partorì due figliuoli, Thoante & Euneo. Ma non ritornando più
Giasone, & per caso essendosi accorte le donne di Len- no ch'ella havea
perdonato al padre Thoante, fu cacciata dal Reame: et essendo rimasta sopra il
lito fu presa da Corsari, & menata al servigio del Re Nemeo, il quale le
diede a nudrir Ofelte suo picciolo figliuolo: onde ella attendendo al suo
ufficio, avenne che, venendo Argivi contra Thebani, & essendo giunti nella
selva Lemea, dove si morivano di sete, per caso le spie che erano inanzi, overo
esso Re Adrasto Re d'Argivi, la ritrovò, & la interrogò se sapeva insegnarli
nessun fonte. La quale subito andò a mostrarli il fiume Langia, dove i Re,
& quei che seguivano dietro si trassero la sete; ma mentre che Issifile
andava seco quei la interrogarono, chi ella si fosse; di che havendoli
veritevolmente raccontato la conditione sua, occorse, che Thoante, & Euneo
suoi figliuoli ivi presenti col re la conobbero per madre, & facendola
fermare, la consolavano de' suoi dolori. Ma intanto ch'ella racconta le sue
sventure, essendosi scordata dell'allievo, che da lei era stato lasciato in un
prato scherzando tra l'herbe, & fiori, quando andò a mostrargli il fiume,
fu morto con la coda da un serpe. La onde tutto l'essercito si turbò. Ma
Licurgo sopportando malamente la morte del figliuolo cercava contra lei
vendicarsi; nondimeno fu dal Re Adrastro, dagli altri re, & da i figliuoli
difesa. Quello che finalmente avenisse poi di lei, non mi ricordo haver mai
letto.
Anfione fu figliuolo di Giove,
& Antiope, si, come narra Homero nell'Odissea; del cui nascimento dove si
tratta d'Antiopa si recita la favola. Nondimeno Ovidio dice, ch'ivi non si
scrive, che Antiopa fosse impregnata da Giove converso in Toro.
Et altrove dice;
Giove cangiato sotto habito, e
forma
Di Satiro, per far Antiopa pregna.
Et quello che segue. Oltre ciò
Homero vuole che Giove havesse di Antiopa tre figliuoli, cioè Anfione, Zeto,
& Calati. Vogliono appresso che questi fossero esposti dalla madre cacciata
da Linceo Re di Thebe per lo stupro commesso con Epafo, overo Giove; i quai
figliuoli cresciuti in età, & essendo stati nodriti da un certo pastore, si
levarono contra Linceo, & l'amazzarono insieme con Dirce di lui moglie;
& finalmente cacciato il vecchio Cadmo regnarono in Thebe. Di questi
adunque, secondo Servio, Anfione fu tanto eccellente nella Musica che, appresso
Lattantio, meritò da Mercurio la Cithara, con la quale edificò le mura di
Thebe; sì come mostra Seneca poeta nella Tragedia d'Hercole Furioso, dicendo;
Le cui mura Amfion nato di Giove
Edificò; con il sonoro canto
Ivi
trahendo, & conducendo pietre.
Scrive ancho Plinio i canti
Lidii. Appresso, di costui fu moglie Niobe figliuola di Tan- talo, dalla cui
secondo Homero nella Iliade hebbe dodici figliuoli. Ma secondo i Poeti Latini,
& specialmente Ovidio, ne hebbe quatordici, i quai per la superbia di Niobe
veggendo essere stati morti da Apollo, & Diana, se stesso con un coltello
amazzò. Hora ci restano a dichiarare le fittioni. Dicono adunque che costui fu
generato da Giove Toro, overo Satiro; il che penso essere finto per dimostrare
il fervore della libidine che ci opprime, percioche altrove si scrive Antiopa
per forza essere stata oppressa. Nondimeno Theodontio dice che Anfione, & i
fratelli furono figliuoli non di Giove, ma di Epafo, & Antiopa, & che
per questo Antiopa fu repulsata dal marito Linceo Re di Thebe di Egitto; contra
il cui Linceo movendosi, i giovani, già cresciuti in età, l'amazzarono, &
fuggirono in Grecia, dove ricevuti da Cadmo già vecchio il privarono del reame,
& si chiamarono figliuoli di Giove. Questi fu in fiore (sì come dice
Eusebio nel libro de' Tempi) nella Musica, regnando Linceo in Argo. Ch'egli poi
in edificar Thebe col suono della lira movesse i sassi (secondo Alberico), non
fu altro che con dolce armonia di parole persuase a gli ignoranti, rozzi, &
duri huomini che quà, & La sparsi dimoravano, che insieme si convenissero,
& civilmente vivessero, & per publica difesa circondassero una Città di
mura. Il che fu fatto. Che poi egli havesse da Mercurio la Cithara, ciò fu,
secondo ch'affermano i Mathematici, perche dall'influsso di Mercurio hebbe la
eloquenza.
Di Niobe hebbe Anfione sette
figliuoli, & altrettante figliuole, de' quai questi furono i nomi:
Archemoro, Antegoro, Tantalo, Fadimo, Sipolo, Xemarco, & Epinito. Le
figliuole poi furono Asticratia, Pelopia, Chelori, Cleodose, Ogune, Fitia,
& Nerea. Ovidio dice che i maschi furono amazzati da Apollo per la superbia
di Niobe, che contra Latona sparlava; & le femine furono morte da Diana al
conspetto della madre. Nondimeno Ovidio discorda da Lattantio in alcuno dei
nomi, percioche invece di Archemoro, Antegoro, Xemarco, & Epinito, Ovidio
vi mette Ilmeneo, Alfenore, Damasicone, & Ilioneo. Tra questi non so quale
Homero chiamasse Amalea; il qual Homero dice che questi tali figliuoli,
amazzati, stettero nove anni senza sepolcro. Finalmente convertiti que' popoli
in sassi, furono coperti, benche altrove dice che furono sepolti nel monte
Sifilo. Che adunque questi tali figliuoli morissero cosi in un subito, credo
che ciò avenisse per la peste, essendone Apollo il rovinatore; & di qui
avenne che mancando gli huomini, mancarono ancho chi loro sepellissero, i quai
huomini venuti meno, & convertiti in sasso, cioè in polve, coprirono quelli
non sepolti, overo fu tenuto che gli coprissero. Overo (il che penso più tosto)
che i popoli divenuti di sasso, cioè indurati per li mali, trovate dell'urne,
come dice Homero, gli sepellirono appresso il monte Sifilo: percioche alle
volte per la soverchia pietà non possiamo quello che debbiamo. Overo puote
accadere altrimenti, che questi per la iminente peste fossero sepolti
privatamente, & che cosi stessero nove anni, fino a tanto che, secondo
l'usanza reale, furono posti in sepolture di pietra.
Fu Zeto figlio di Giove, &
Antiopa, sì come è stato detto dove s'è detto d'Anfione. Dice Lattantio sopra
l'Achilleide, & Servio medesimamente, che costui fu rustico huomo: benche
regnasse col fratello.
Ithilo, & Thio (come
testimonia Homero nell'Odissea) furono figliuoli del re Zeto, & Aidonna sua
moglie. Ithilo in errore di notte fu morto dalla madre Aidonna, credendo
ch'egli fosse Amalea figliuolo d'Anfione, percioche ella havea invidia alla
moglie d'Anfione perche havea sei figliuoli maschi. La quale conoscendo poscia
il suo fallo; desiderò morire; nondimeno per misericordia degli dei fu cangiata
in Cardelino, che piange Ithilo. Di Thio ci resta il solo nome.
Calato fu figliuolo di Giove,
& Enthiopa, sì come Homero scrive nell'Odissea; del quale non mi ricordo
altro, che il nome solo.
Pasithea, Egiale, &
Eufrosine, le quali si chiamano le Gratie, overo Charite (sì come piace a
Lattantio) furono figliuole di Giove, & Anthonoe. Dicono che queste sono
serventi di Venere, & affermano ch'elle si lavano nell'Acidalio fonte che è
in Orchomeno, città di Boemia; & indi caminano ignude, tenendo due di loro
le faccie rivolte verso noi, & la terza il tergo. Quello adunque che sotto
queste figure vollero intendere gli antichi, ci resta scoprire. Tendendo il
nome di Gratia sempre a buon fine, meritamente sono dette figliuole di Giove, i
cui effetti sempre tendeno in bene. Et essendo Venere cagionatrice di tutte le
congiuntioni per la potenza a lei conceduta, sì come è stato detto di sopra,
meritamente a quella compiacciono, veggendosi sempre che alcuno, per lo
precedere di qualche gratia, s'unisce overo diventa amico d'un altro, come
sarebbe à dire per lo mezzo d'alcuno beneficio fatto, overo per conformità di
complessione, & costumi, o per agguaglianza di studi, & altre cose
simili. Et però (sì come piace a Fulgentio) Pasithea, la quale è la prima delle
Gratie, s'interpreta attrahente, percioche principalmente per ogni causa che si
moviamo siamo condotti dal desiderio, che in noi d'alcuna cosa nasce. La
seconda, che si chiama Egiale, s'interpreta lusingante, ò vogliamo dir
dilettante; conciosia che se in processo di tempo non ci dilettasse quello
c'habbiamo per inanzi desiderato; non si continuarebbe nell'amicitia, anzi
subito si sciorebbe; & però è necessario che piaccia, & diletti quello
che per innanzi ci havea mosso. La terza poi si chiama Eufrosine: il che suona
retinente; affine che per ciò s'intenda ciascuno essere guidato invano alla
dilettatione di qualunque cosa, & cosi condotto, vanamente dilettarsi, se
ciascuno con l'opra sua non ritiene quello, che l'havea condotto, & gli
diletta. Et di qui puoi conoscere due delle Gratie venire in te. Overo
altrimenti. Se alcuna speme haverai posto in cosa grata; da quella il doppio,
& più in te ritornare vedrai; & perciò Ilioneo appresso Virgilio dice a
Didone;
Né
d'esser stata prima a te non caglia.
Come s'egli voglia intendere,
& dire; Se tu farai qualche bene a noi, & che Enea viva; tu riceverai
da lui il merito doppio. Sono dette poi bagnarsi nell'Acidalio fonte, perche
Acida in greco volgarmente vuol dire cura, overo pensiero: la onde questo è
finto affine, che sentiamo che mentre siamo condotti, mentre prendiamo
dilettatione, & mentre ci sforziamo fermarci, siamo travagliati da diversi
pensieri. Non per altro vollero ch'elle caminassero ignude; eccetto accioche
conoscessimo, nel pigliare le amicitie, nessuna cosa non finta, non vestita nè
contrafatta dovervi intervenire; anzi a ciò dobbiamo condursi con la mente
pura, & aperta, percioche quelli che cercano altrimenti più tosto si ponno
chiamare mercanti d'amicitie che veri acquistatori di quelle.
Lacedemone (come scrive Dite
Candiano in quel libro ch'egli compose sopra l'espositione dei Greci contra
Troiani) fu figlio di Giove, & Taigeta, figliuola d'Agenore re di Fenicia;
benche Eusebio nel libro de i Tempi dica che fosse figlio di Semele, senza
sapersi il padre, & che edificasse Crotopo città, regnando Lacedemone in
Argo.
Sì come afferma il predette Dite,
Amiclate fu figliuolo di Lacedemone, benche vi siano libri ne' quali si legga
Lacedemone essere stata femina, & di lei esser nato Amiclate. Nondimeno io
istimo che fosse huomo.
Vuole l'istesso Dite che Argolo
fosse figliuolo di Amiclate; il quale secondo Theodontio fu il primo che in
Achaia messe insieme la carretta; ma io temo ch'egli non si sia quasi ingannato
dalla similitudine del nome, percioche il primo che in Grecia fece la Carretta
fu chiamato Aregillo, & quella ritrovò regnando Argo Forbante, che fu molto
prima di Argolo.
Oebalo (secondo Dite, &
Theodontio) fu figliuolo d'Argolo, il quale (dice Paolo) regnò appresso Laconi;
a quai da se diede il nome di Oebali. Ritroviamo che costui hebbe due
figliuoli, Tindaro, & Icaro.
Tindaro (come scrive Dite, &
Theodontio) fu figlio d'Oebalo, & a lui successe nel reame; del quale, se
bene altro non si legge, almeno habbiamo che di quello fu moglie Leda. La quale,
se non di lui, nondimeno di Giove nel suo palazzo reale partorì Castore,
Polluce, Helena, & Clitennestra, benche vi siano di quelli che dicano
Castore, & Clitennestra non di Giove, ma di Tindaro essere stati figliuoli.
Tuttavia io tengo che tutti quattro fossero di Tindaro; ma sia da me lontano
ch'io toglia a cosi pudicissimo Iddio que' figliuoli che la liberale antichità
a lui ha dedicato.
Icaro, secondo Leontio, fu
figliuolo d'Oebalo. Dice Lattantio che costui fu compagno del padre Bacco,
& che da lui hebbe in dono concedere il vino a mortali. Il quale havendolo
dato a pastori, overo secondo altri, a suoi lavoratori, & quelli, ò perche
n'havessero preso oltre il dritto, overo a tal licore non fossero avezzi,
divenuti ebbri, & indi istimando che Icaro gli havesse avenenati,
amazzarono lui, che appresso Marathone era alla caccia. Onde Servio dice che
lungamente il suo cane fece la guardia al corpo. Finalmente (sì come afferma
Theodontio) il cane cacciato dalla fame ritornò a casa, & subito che
Erigone figliuola d'Icaro gli hebbe dato del pane, egli incontanente ritornò al
corpo del padrone; di che Erigone seguendolo ritrovò il padre morto, per li cui
preghi Icaro finalmente fu assunto in cielo, & cangiato in Boete, &
insieme con lui il cane, che si chiama Assirio. Egli è cosa possibile che,
essendo nell'ottava sfera molte imagini figurate con un certo disegno di stelle
dagli antichi Astrologi, che alcune di queste per consolatione dei posteri,
doppo Icaro fossero nomate dal nome d'Icaro, & dal suo cane. Ma io non
credo che questo Icaro fosse quello che fu figliuolo d'Oebalo, & padre di
Penelope.
Erigone fu figliuola d'Icaro,
come afferma Lattantio, & Servio; della quale essendosi inamorato Bacco
(secondo che dice Ovidio), da lui cangiato in uva, fu impregnata. Costei
nondimeno, sì come vuol Servio, essendo stata guidata dal cane nella Marathonia
selva, et havendo ritrovato il padre morto, & piantolo lungamente,
finalmente non potendo più sopportare il dolore se stessa con un laccio appese;
ma o per lo soverchio peso del corpo, o per la debilità della fune o del ramo,
avenne ch'ella caddè in terra, a compassione della quale mossi gli dei la
trasferirono tra le stelle, & nel Zodiaco la fecero quel segno che hora
chiamamo Vergine. Nondimeno in processo di tempo turbando (secondo Lattantio)
l'ombra di lei tutto quel paese, per mitigare la sua ira, fu ritrovato, che si
formasse una imagine di cera, & si sospendesse su quell'istesso albero,
& dai pastori, & da' cani facevano celebrare quel solenne giorno. Onde Virgilio disse.
Et l'imagine tua su l'alto pino
Sospendon, per sacrar festivo il
giorno.
Ma Servio dice altrimenti,
percioche vuole che dopo alquanto tempo essendo mandata una infermità à gli
Atheniesi, tale che ancho le vergini guidate da certo istrano furore
s'appiccavano, & dall'oracolo essendogli risposto che quella peste non si
poteva acquetare se non ritrovassero i corpi d'Erigone, & Icaro; i quali
lungamente furono ricercati; ma non si potendo ritrovare, gli Atheniesi per
mostrare la loro divotione, quasi che volessero mostrare ricercarli ancho in
altro elemento, legavano delle funi agli alberi: alle quali tenendosi gli
huomini con le mani in aere qua, & La si movevano, & aggiravano, come
quasi se volessero cercare i loro corpi per l'aria. Ma perche molti cadevano,
trovarono delle imagini a sua simiglianza, & in vece loro movevano quelle
sospese. Onde furono chiamate Oscille, percioche movevano le faccie; & in
quel modo fu purgata la peste. Ch'ella poi fosse ingannata, & impregnata da
Bacco in forma d'uva; credo fosse detto perche fu cosa possibile ch'ella
mangiando dell'uva divenisse ebbra.
Hiptima fu figliuola d'Icaro,
come testimonia Homero nell'Odissea, dicendo;
A Hiptima figliuola del magnanimo
Icaro,
moglie d'Eumilo, c'habita in casa
del fratello.
Penelope fu figliuola d'Icaro,
come mostra Homero nell'Odissea, mentre dice la molto saggia Penelope figliuola
d'Icaro. Costei, sì come è palese, fu moglie d'Ulisse, & di lui partorì il
figliuolo Thelemaco. Poscia essendo andato Ulisse a Troia, & indi dopo
l'esser rovinata Troia, havendo molto errato, ella sopportò molte cose, sì per
difender la sua pudicitia, la quale molti dei Proci cercavano corrompere, come
ancho per la tema delle insidie poste da quelli contra Thelemaco, & per lo
dolore del non ritornante Ulisse. Finalmente conservando il tutto rihebbe il
marito; ma qual fine fosse il suo, non se ne ha certezza. Nondimeno Leontio
dice, Licofrone Poeta greco, scrivere che Penelope si congiunse con tutti i
Proci, & di uno di loro partorì un figliuolo chiamato Pana, che nel suo
ritorno essendosi accorto Ulisse, subito se n'andò nell'Isola Gortina, &
ivi se ne morì. Ma da me sia lontano, ch'io creggia, che la pudicitia di
Penelope, celebrata da tanti, & cosi famosi auttori, fosse da nessuno
machiata; ciò che Licofrone ha scritto, egli l'hà detto come mala lingua.
Spedita la progenie dei
Lacedemoni, egli è da ritornare agli altri figliuoli del secondo Giove, tra i
quali Theodontio dice, che Tantalo ne fu figliuolo. Fu questi antichissimo Re
de Corinthi, & pio, & spesso sedette alle mense de gli Dei; il che
penso essere stato finto perche la Roccha di Corintho è cosi eccelsa che
s'alcuno sopra vi sale, pare, ch'ascenda in cielo, & sia co' gli Dei.
Questo Hercole da Cicerone nel
libro delle nature dei Dei viene chiamato quarto, & dall'istesso viene
detto figliuolo di Giove, & nato di Asterie, sorella di Latona. Oltre ciò
dice che costui è tenuto in molta riverenza da quei di Tiro, & vuole che da
lui fosse generata una figliuola chiamata Carthagine.
Carthagine, sì come è stato
mostrato di sopra, fu figliuola del quarto Hercole, & è quella città che
noi chiamiamo Carthagine: laquale fu detta figliuola d'Hercole perche da i
Fenici fu edificata con l'augurio d'Hercole suo Iddio, & da loro in molta
riverenza tenuto.
Minerva, non quella c'hebbe il
cognome di Tritonia, fu figlia del secondo Giove, come scrive Tullio nelle
nature dei Dei; la quale l'istesso Tullio afferma, che fu inventrice, &
prencipe delle guerre, & però da alcuni è chiamata Bellona, sorella di
Marte, & guidatrice di carrette; come pare, che dimostri Statio, dicendo;
Regge Bellona con la man sanguigna
I cavalli, & aggira i lunghi
dardi.
Né questa fu quella che gli
antichi affermarono esser vergine, & sterile; anzi, come vuole il medesimo
Tullio, di Vulcano antichissimo figliuolo del Cielo ella partorì il primo
Apollo. Oltre ciò (come dice Leontio) questa è quella che fu finta in armi
famosa, con gli occhi oscuri, con l'hasta in mano lunghissima, & con lo
scudo di christallo; & questo piu per dimostrare la guerra ritrovata da lei
che per altro significato. Il che io non credo, anzi tengo che tutte quelle
insegne a lei siano attribuite per dinotare qualche misterio. Percioche, essendo
tutti noi travagliati da continue guerre, istimo che la fingano armata affine
che siamo ammaestrati gli huomini aveduti star sempre apparecchiati in armi,
cioè in consigli, con i quali si possa ostare alle cose che ponno nuocere.
Ch'ella habbia gli occhi oscuri, & biechi, dinota il saggio cosi
liggiermente non poter essere allacciato, dimostrando per lo più in apparenza
il contrario di quello, ch'egli nell'animo tiene, sì come fa quello c'ha gli
occhi biechi; il quale tiene il guardo altrove, che non istimano quelli, che il
guardano in faccia. Si dedica a lei l'hasta lunga, accioche conosciamo l'huomo
prudente conoscer ancho le cose lontane, & ancho di lontano tirar colpi,
& da se cacciare gl'insidianti. Lo scudo cristallino poi a lei è attribuito
affine che appaia, nel trasparente cristallo, & fermo corpo, l'huomo saggio
dirittamente veder insieme, & l'opre dell'inimico, & il saper difender
se stesso con necessari rimedi. Appresso (dice Lattantio) che costei hebbe
contentione con Nettuno in dar nome alla città d'Athene, & che in presenza
dei Dei contrastarono insieme; onde per loro sentenza fu diterminato che
ciascuno di loro percuotesse la terra, & che da quella percossa che
producesse più lodevole effetto, colui imponesse il nome alla Cittade. La onde
Nettuno percossa la terra con il tridente fece uscire un cavallo, & Minerva
con l'hasta l'uliva; la quale essendo parsa più utile del cavallo, Minerva per
sentenza degli Dei chiamò la città dal suo nome Athene, perche Minerva da Greci
è detta Athena. Il figmento che in ciò si contiene, cosi l'espone Alberico.
Dice, che stette alquanto in dubbio Cecrope edificator di Athene, che
medesimamente fu ne' tempi di questa Minerva (sì come è chiarissimo ancho
appresso Theodontio), se doveva darle nome o dalla commodità del mare, che le
dava molta utilità, & le era molto vicino, o dalla commodità della terra,
della quale ancho era molto abondante, et a lei non poco necessaria, la qual
commodità del mare volsero figurare per lo cavallo, conciosia che il mare si
muove, & gira come un cavallo; & il cavallo è come il mar veloce, &
alle volte impetuoso, & pieno di soverchio furor, sì come il mare, & la
terra figurarono per l'oliva, o perche il loco sia fertile d'olive, o perche il
terreno sia grasso, & abondante. Finalmente veggendo l'aveduto huomo le
commodità del mare per diverse cagioni poter esserle tolte, & le terrestri
per ogni caso ch'occorra restar continue, giudiciò dar nome alla Città delle
cose terrestri perpetue, & però la chiamo Athene, il che latinamente suona
immortale. Ma io istimo che, essendo la città d'Athene maritima, nascesse
divisione tra i Nocchieri, & gli huomini Mecanici, cioè che i marinari
mostrassero che per lo navigar del mare, & per li navili delle Mercatantie
molto s'accrescesse la Città; le quai cose si debbono intendere per lo cavallo,
& che i Mecanici all'incontro mostrassero che con le arti, & con
l'agricoltura si sostentano, & aumentano le Cittadi; le quali arti si
figurano per l'oliva, essendo il suo licore necessario, & buono, & che
amplia. Di che dagli Dei, cioè dai giudici fatti sopra ciò, fu publicata la
sentenza in favor dei Mecanici; onde qui non senza ragione viene indutto
Nettuno per l'arte marinaresca: et Minerva per l'arti mecaniche, la quale fu
quasi inventrice di tutte l'arti. Potrebbe quivi opporsi alcuno, & dire che
il primo Giove detto Re d'Athene fu molto prima che Cecrope; & nondimeno
habbiamo detto che Cecrope fu edificator d'Athene. Questa oppositione con poche
parole risolve Leontio. Dice che non di nuovo fu edificata Athene da Cecrope,
ma fu ritirata più vicino al mare, & che quel tempo nella rocca vi nacque
l'oliva senza esservi piantata.
Arcade fu figliuolo di Giove,
& Calisto ninfa, sì come chiaramente dimostra Ovidio. La madre di costui,
dopo che Licaone suo padre fu da Giove cacciato del reame (secondo che
riferisce Paolo) si fece delle compagne di Diana; & menando la sua vita in
caccie, & essendo venuta bellissima, fu amata da Giove, il quale (come dice
Ovidio) in forma di Diana tra le ombre de i boschi la ingannò, & di se la
fece pregna: onde crescendole il ventre, & dalle donzelle compagne essendo
invitata a lavarsi in una fonte dove ancho si bagnava Diana, ella temendo di
non far palese il suo peccato se mettesse giù le vesti, faceva resistenza di
lavarsi. Finalmente spogliata dalle donzelle, & veggendole Diana il ventre
gonfio, subito cacciolla dalla sua compagnia; onde poi quella partorì Arcade.
Di che essendosi accorto Giunone, & contra lei mossa ad ira, la pigliò per
li capelli, & poscia che molto s'hebbe sfogato lo sdegno la cangiò in
un'Orsa. Arcade poi essendo già grandicello volse amazzar quella da lui non
conosciuta, & che veniva a ritrovarlo; ma ella piena di paura (come dice
Theodontio) se ne fuggì nel tempio di Giove, le porte del quale stavano sempre
aperte; nè per ciò fiera nè uccello alcuno v'entrava; nondimeno ancho Arcade la
seguì; per la qual cosa gli habitatori volendoli amazzar tutti due, fu vietato
da Giove, che medesimamente tramutò Arcade in Orso, & amendue gli tolse in
cielo, & gli pose d'intorno il Polo Artico. Et Calisto viene detta l'Orsa
Minore, & Arcade la Maggiore. Ma Giunone, turbata che la concubina con il
figliuolo fosse raccolta in cielo, andò da Theti sua gran nutrice, & la
pregò che non lasciasse levar quest'Orsa secondo l'usanza dell'altre stelle
nell'onde sue. Il che le promisse Theti di fare, & fino al dì d'oggi
l'osserva. Sotto questa fittione v'è per lo più nascosta l'historia. Percioche,
vinto Licaone da Giove, la figliuola Calisto fuggì dalle vergine sacre a Pan
Liceo, & con queste havendo fatto voto di verginità perpetua, avenne che
Giove intendendo della sua bellezza s'inamorò di lei, & gli venne disio di
haverla, & essendosi vestito in habito di quelle vergini; di notte segretamente
andò a lei, & con diverse persuasioni havendola condotta al suo volere, le
tolse la verginità, & la impregnò. Finalmente nel tempo del partorire
scoprendosi il peccato di Calisto, incontanente con grandissima sua vergogna
(non havendo ardire l'altre vergini sacre per tema di Giove proceder più oltre
contra lei) insieme col figliuolo fu cacciata dal Monastero; la quale per la
vergogna segretamente se n'andò ne boschi, & ivi lungamente stette
nascosta. Ma essendo cresciuto il figliuolo, & divenuto animoso, nè potendo
sopportare lo star sotto la madre, la volle amazzare; di che percossa dalla
tema, lasciando le selve andò a ritrovar Giove, che la ritornò in gratia del
figliuolo, & le concesse che potesse ritornare nel Reame paterno; & cosi
v'andò. La onde havendo il ferocissimo giovane Arcade sotto l'ubbidienza sua
ridotto i Pelasghi, quelli dal suo nome chiamò Arcadi. Ma gli Arcadi, che
istimavano Calisto per essere stata tanto nascosta esser morta, la chiamarono
Orsa, percioche l'Orso (come dicono i Fisiologi) stà dormendo una certa parte
dell'anno nelle caverne; indi dal nome della madre chiamarono ancho il
figliuolo Orso. I quali amendue in gratia d'Arcade i Poeti dissero che furono
trasportati in cielo; & di cani, in quelli lochi dove posero questi, molto
per inanzi dagli Egittij figurati, gli fecero Orsi. Che poi da Theti nudrice di
Giunone non sia lasciata lavare nell'Oceano, ciò è stato tratto dalla
elevatione del Polo; il quale nel nostro paese di maniera è elevato, &
queste Stelle di maniera a lui sono propinque, che per lo girar del cielo, sì
come l'altre che nel tramontar paiono bagnarsi nell'Oceano, in quello non ponno
attuffarsi, anzi le veggiamo d'intorno l'intiero Polo col loro girare. Scrive
Eusebio che questo Arcade soggiogò i Pelasghi negli anni del mondo 3708°.
Ionio (come dice Theodontio,
& dopo lui Paolo) fu figliuolo d'Arcade, & di Selenne ninfa; & fu
huomo al tempo suo nell'arte della guerra, & spetialmente navale di maniera
instrutto, che sotto di se ridusse quasi tutti i liti della Morea fino al mare
Siciliano, & dal suo nome gli chiamò Ionij, & il mare Ionio: i quali
Ionij vennero in cosi gran preminenza, che dicono ch'a loro fu sottoposta quasi
la quarta parte di tutta la Gretia, & quella constrinsero porre in uso le
lettere Ionice, & la grammatica. Ma Leontio nega questo cognome essere
stato alla gente, & al mare imposto dal Re Ionio: affermando che molto
prima a loro fu dato questo nome da Ione figliuola d'Inaco, la quale hebbe in
suo potere grandissima parte di quello imperio: il che altrove ancho testimonia
esso Theodontio. Hebbe adunque (secondo Theodontio, & Leontio) Ionio una
sola figliuola, chiamata Nicostrata.
Nicostrata, per confermatione di
Theodontio, & Leontio, fu figliuola d'Ionio re d'Arcadia; la quale (secondo
i predetti) essendosi maritata in un certo nobile huomo Arcade chiamato
Pallante, overo altri, essendo di lui nora; di Mercurio poi partorì Evandro,
che fu Re d'Arcadia: & essendo dottissima in lettere Greche, fu di cosi
eccellente ingegno, che con perfetto studio penetrò fino all'arte
dell'indovinare, & divenne famosissima indovinatrice; & alle volte in
verso dichiarando a quelli che la dimandavano le cose future, lasciato il nome
di Nicostrata fu detta Carmenta. La quale (havendo amazzato Evandro il putativo
padre) overo come vogliono alcuni suo vero padre) o pure (come piace ad altri)
per seditione de' suoi essendo stato cacciato del reame, promettendo al figliuolo
che se ne fuggiva grandissime cose da lei antivedute, seco se ne venne in
Italia; & entrando le foci del Thebro si fermò sul monte Palatino. Et
havendo ritrovato gli habitatori selvaggi, ritrovò novi caratteri di lettere,
& a loro insegnò le congiuntioni, & il proferirgli: le quali lettere,
se bene da principio non furono più che sedici; nondimeno essendovene aggiunte
dai posteri alcun'altre, fino al dì d'hoggi appresso noi durano. Della qual
cosa maravigliati i rozzi huomini tennero quella non donna, ma più tosto Dea;
& havendo eglino celebrato, & adorato quella, che ancho vivea, con
divini honori, come fu morta sotto la più infima parte del monte Capitolino,
dove ella havea menato la sua vita, le edificarono una Capella overo chiesetta;
& per far eterna la sua memoria i lochi ivi d'intorno contigui dal nome suo
furono detti Carmentali. Il che nè ancho Roma essendo in fiore si volle
scordare; anzi una porta della città ch'ivi i cittadini per necessità haveano
fatto fare, dal suo nome per molti secoli fu nomata Carmentale. Ci restava, per
fornir tutta la progenie del secondo Giove, Dardano, il quale fu uno de' suoi
figliuoli. Ma perche questo quinto volume ricercava il fine, et la discendenza
di lui sarebbe andata troppo in lungo, ci è parso fare un poco di pausa, &
serbar Dardano, & la sua prole al seguente libro.
Ma nelle foci del Thebro era già
mancato l'impeto della liggiera barchetta; dove stando alquanto ocioso, &
aspettando nuove forze, & nuovi venti per navigar altrove, tratto da una
certa riverenza del loco incominciai riguardare tutte le cose ivi circonvicine.
V'erano ivi da riguardare le
antiche ruine di Laurento, & Lavinio, & gli alberghi degli antichi
Latini. Indi Alba Lunga, cosi chiamata dalla porca pregna, tutta circondata da
sterpi, & spini; senza ritenere in sé nessun'altra memoria, che il nome a
pena. Ma alquanto più oltra splendeva la già aurea Roma, più tosto per vecchio
splendore, che per lume novo; la quale riguardando io con tutto l'animo mi
vennero inmente gli antichi Re, & i baroni, & i sublimi capitani famosi
per l'infinita virtù, & militar disciplina, & molto riguardevoli per la
santissima povertà. Vennero i famosi trionfi, le soggiogate nationi da ogni
parte, & la gloria singolar dell'impero; per la qual sola superò gli altri
mortali, & per la quale meritò reggere i freni, & essere chiamata capo
di tutto 'l mondo. Cosi, mentre meco tutto pieno di maraviglia stava
considerando chi si potesse meritamente dir padre, & primo genitore di
tanta grandezza, o la Terra, o Titano, o Nettuno, avezzi di produrre ismisurati
corpi, m'entrò nella memoria il tosco Dardano, & mi ricordai essere stato
antichissimo avo del vittorioso popolo. Nè da lontano si vedeva il lito dove
havea slegata la nave per andar verso Asia, & congiungersi con i semi di
cosi inclita discendenza. La onde, accioche non paia tralasciata la famosa
progenie per tanto splendore, lasciati i ricetti del Thoscano fiume, seguendo
il vecchio solco dell'acqua (per conoscere le memorie nascoste dalla fede dei
maggiori) col favor di Zefiro drizzai la prora fino al Meonio lito, accioche
col mezzo suo, sì com'egli per le sue successioni si congiunse con l'acque di
cosi grande, & maraviglioso Imperio, riconoscessi gli antichissimi
progenitori, & fino alla fine di cosi inclita posterità conducessi i
successori.
Egli s'è dimostrato nelle cose precedenti, che il secondo Giove fu figliuolo del Cielo; della cui discendenza, perche nel precedente volume quasi tutto l'ordine s'è trattato, riserbando solamente Dardano, in questo libro descriveremmo la sua progenie ripigliando lui, il quale gli antichi testimoniano, che fu figliuolo di Giove, & Elettra, figliuola d'Atlante, & moglie di Coritho Re. Del cui nel libro de' Fastis dice Ovidio;
D'Atlante chi non sa, ch'Elettra
figlia
Dardano partorì? Voglio dir io,
Ch'Elettra
giacque, & hebbe a far con Giove.
Dicono gli antichi, che Giove tra
tutti gli altri figliuoli spetialmente amò costui. Ma quello, che si voglia la
fittione, con poche parole consideramo. Secondo la sentenza di Paolo si trova,
che Dardano fu figliuolo del Re Coritho, & della moglie Elettra, ma per
nobilitare la posterità attribuito a Giove; al quale ancho di costumi era
conforme, percioche di natura fu huomo piacevole, & religioso, come dice
l'istesso Paolo. Di costui fu fratello Iasio; benche ci siano di quelli, che
v'aggiungano Italo, & Sicano, & Candavia sorella. Et essendo il Re
Coritho signor della città sola di Coritho, cosi chiamata dal suo nome; &
era quella la qual hoggidì (secondo l'openione di Paolo) aggiungendovi alcune
lettere dal volgo si dice Cornetto, i fratelli maggiori d'anni, morto lui,
vennero in discordia della successione, cioè Dardano, & Iasio Là onde mosso
ad ira Dardano, che di età era minore, amazzò Iasio. Di, che veggendo per ciò i
cittadini turbati, con una parte del popolo montò in nave, & cacciato da
lungo viaggio prima si fermò in Samothracia, che allhora era Samo; sì come
testimonia Virg. dicendo;
Dardano nato in questi campi venne
Fino di Frigia a le cittadi Idee,
Fino a Samo di Thracia; la
qual'hora
Si chiama Samothracia; di quì lui
Partito
da la sedia di Coritho.
Et quello, che segue. Da Samo poi
se n'andò in quella parte dell'Asia, che è vicina al mare Helesponto, &
quella regione ch'egli occupò dal suo nome la chiamò Dardania; dove vi tenne la
sua sedia, & dal suo nome v'edificò un castello detto Dardanio. Il che,
secondo Eusebio, fu circa il trentesimoquinto anno di Mosè, regnando Steleno in
Argo; che fu negli anni del mondo tremilasettecentotrentasei. Ivi adunque
havendo regnato cinquanta anni, come dice l'istesso Eusebio nel libro dei
Tempi, lasciato il figliuolo Erittonio, che sopravisse a lui, finì l'ultimo
giorno.
Fu Eritonio figliuolo di Dardano.
Paolo pensò, che costui nascesse di Candavia sua moglie. Questi adunque
successe al padre Dardano; & havendo regnato quarantasette anni, lasciato
un figliuolo chiamato Troio, se ne morì.
Troio fu figliuolo d'Erittonio,
sì come è cosa chiara per li versi di Ovidio. Costui succedendo al padre, &
essendo huomo di guerra ampliò il suo Regno, & chiamò dal suo nome quel
paese Troia, che per innanzi si diceva Dardania. Questi hebbe guerra contra
Tantalo Re di Frigia perch'egli gli rapì il figliuolo Ganimede, il quale fu da
lui generato oltre Ilione, & Assarico; i quali sopravivendo a lui, egli
finì l'ultimo giorno.
Ganimede figliuolo di Troio fu
bellissimo garzone, del quale cosi scrive Virg.
Mentre il fanciullo sopra il monte
d'Ida
Cinto di frondi il crin coi dardi,
e 'l corso
I Cervi turba; fu rapito in alto
Da l'armigero uccel del sommo
Giove,
Onde i vecchi custodi del fanciullo
Alzano invan le mani fino al Cielo,
Et
abbaiano indarno in aria i cani.
Dice Ovidio, che costui fu rapito
in cielo, & fatto coppier di Giove, & essere il segno di Acquario.
L'intento della qual fittione con poche parole secondo il suo giudicio dichiara
Fulgentio, dicendo, che Ganimede fu preda di guerra di Giove, che guerreggiava
in una battaglia di mare, & si ritrovava in una nave la cui insegna era
l'Aquila. Ma Eusebio nel libro dei Tempi dice, che non fu rapito da Giove, ma da
Tantalo Re di Frigia; il che afferma essere stato scritto da Fandro poeta,
&, che perciò nacque guerra tra Troio, & Tantalo. Et di qui pare, che
rendi vano il detto d'Ovidio; nondimeno secondo Leontio non è vano. Dice egli,
Tantalo per acquistar la gratia di Giove Cretese, da lui conosciuto per
impudicissimo, sotto i segni dell'Aquila haver rapito Ganimede, che cacciava,
& haverlo donato a Giove; che poi fosse fatto Pincerna degli dei ciò fu
detto perche, figurato tra l'imagini del cielo, forse per contento de' suoi
dicono, che è quella da noi chiamata Acquario. Nel quale fermandosi il Sole, la
Terra viene bagnata da grandissime pioggie, da gli humidi vapori delle quali
alcuni hanno voluto le stelle nodrirsi; & cosi è fatto coppiere degli dei.
Questi fu nel tempo, che Prito regnò in Argo.
Homero nella Iliade, dove spiega
tutta la geneologia de' Troiani fino ad Hettore, & Enea, dice, che Ilione
fu figliuolo di Troio Re di Troiani. Questi (secondo Eusebio nel libro de i
Tempi) edificò quella famosa cittade per li versi d'Homero, Ilione, & dal
suo nome cosi chiamolla. Questa è quella, che per ispatio di diece anni patì
l'assedio dei Greci, & da loro fu destrutta. Fu edificata circa gli anni
del mondo tremilaottocentonovantacinque. Leggiamo poi, che Ilione hebbe un solo
figliuolo, Laumedonte: il quale (morendo) lasciò di se herede.
Laumedonte Re di Troia fu
figliuolo d'Ilione, sì come nella Iliade è scritto da Homero. Dicono gli
antichi, che costui volse circondare Ilione, ò vogliamo dir Troia, di mura,
&, che con Apollo, & Nettuno fece accordo ch'eglino gli fabricassero le
muraglia per tanto prezzo da lui con giuramento a loro promesso. I quali
havendo esseguita l'opra, & veggendo, che la promessa non gli era serbata,
tutta Troia da Nettuno fu empiuta d'acque, & da Apollo le fu mandata la
peste. Là onde Laumedonte travagliato andò all'oracolo per consultarsi del
rimedio, al quale fu risposto ogni anno far di mistiere esporre ad un monstro
marino una donzella Troiana: il che da Troiani si faceva per sorte. Finalmente
toccò la sorte ad Hesiona figliuola di Laumedonte; la quale stando sopra lo
scoglio ad aspettare il monstro marino vi sovragiunse Hercole, il quale fece
conventione con Laumedonte, che s'egli liberava dal mostro la figliuola voleva,
che fosse tenuto donarli i cavalli generati da divin seme, la cui razza si
sapeva essere in poter di Laumedonte. Nondimeno havendo Hercole liberata
Hesiona, Laumedonte non volle mantener la promessa. Di che, overo (come ad
altri piace) perche cercando egli il fanciullo Ila da lui perduto, da
Laumedonte gli fu vietato entrare nel porto di Troia, con maggior numero di
gente venendo ivi prese Ilione, amazzò Laumedonte, & rivolse il tutto
sossopra. Ma lasciate queste cose, veggiamo quello, che la fittione significhi.
Vogliono, che appresso Troiani fosse una certa somma di denari, che si
serbavano per li sacrifici di Nettuno, & Apollo, la quale tolta da
Laumedonte con giuramento di non solamente restituirla, ma etiandio di
aggiungervi ancho del proprio suo nei sacrifici, la spese in edificare le mura
della città, nè mai volle restituirla ai dimandanti quella. Onde venendo poi
una inondatione d'acque, & poscia (sì come accader suole) non essendo bene
l'acqua purgata, dal Sole l'aere per la putrefattione dell'acque restò infettato,
& generò la peste; i quali due mali perche paiono appartenersi a Nettuno,
& Apollo fu detto, che erano venuti per lo giuramento falso di Laumedonte
contra li Dei. Che le vergini poi per risposta dell'oracolo fossero esposte a
quella fiera, istimo, che puote essere cosa possibile, attento, che il Diavolo
era avezzo ingannar spesso loro; & di qui tengo la historia haver l'altre
circonstanze. Costui hebbe molti figliuoli, & figlie, benche Priamo solo
succedesse al reame.
Antigona (secondo Servio) fu
figliuola di Laumedonte. La quale dice egli, perche fu bellissima, hebbe ardire
preporre la sua alla bellezza di Giunone, di, che Giunone sdegnata la converse
in Cicogna. Del qual figmento si può render tal ragione. Dice Leontio che,
pigliata Ilione da Hercole, & amazzato Laumedonte, tutti i figliuoli di
Laumedonte, eccetto Hesiona, & Priamo, che furono pigliati segretamente,
fuggirono chi qua chi là, secondo, che la fortuna gli condusse. Ma Antigona tra
le canelle di camandro stette nascosta molti giorni, & di qui io penso, che
la favola havesse loco, percioche colei la quale per la sua superbia (regnando
il padre) di bellezza si preponeva alle altre, dalla fortuna prencipessa dei
Reami, che le rese il cambio, fu condotta a tale c'hebbe di gratia starsene
dove le Cicogne cercano il vivere; & cosi ella mentre ivi stette parve
quasi essere cangiata in Cicogna.
Fu Hesiona figliuola di
Laumedonte; la quale (sì come è stato detto di sopra) essendo stata liberata da
Hercole dal mostro marino, poscia fu dall'istesso Hercole, rovinato, che fu
Ilione, & morto Laumedonte, pigliata, & data per parte della preda a
Thelamone, ch'era stato il primo a salire sopra i muri della Città, il quale la
condusse in Salamina, & essendo indarno più volte da Priamo richiesta,
partorì a Thelamone Teucro.
Lampo, Clitione, & Ioetaone
furono figliuoli di Laumedonte, sì come dimostra Homero nella Iliade, cosi dicendo;
Laumedonte generò Titone
Priamo, Lampo, e appresso
Clitiones.
Indi
Ioetaon, ramo di Marte.
Di questi tre non havemmo altro,
che il solo nome.
Titone, come di sopra s'è mostrato
per li versi d'Homero, fu figliuolo di Laumedonte; il quale essendo bellissimo
giovane, secondo che dice Servio fu amato dall'Aurora, & da lei rapito,
dalla cui (dicono) c'hebbe un figliuolo chiamato Mennone. Indi havendo egli
desiderato viver lungamente, & havendo ciò ottenuto, finalmente fu
convertito in una Cicada. che costui fosse rapito dall'Aurora non istimo voler
significar altro eccetto ch'egli, tratto dal disio di regnare, intesa forse
qualche nuova per la quale poteva sperare acquistar un impero, lasciata la
patria se n'andasse in Oriente, dai quai popoli orientali a noi si leva
l'aurora; & di quelli havendone soggiogati molti, a loro signoreggiò.
Perche poi fosse convertito in Cicada, si ponno mostrare alcune ragioni. La
prima delle quali è che si come le Cicade si nodriscono della rugiada matutina,
che nell'aurora cade, cosi costui delle ricchezze orientali, che sono sotto
l'aurora, si nodriva. Oltre ciò, perche le Cicade sono nere, & nascono
verdi, cosi costui, che nacque bianco, toccato dall'ardore del Sole di quel
paese dove era passato, secondo il costume degli altri habitatori divenne nero.
Finalmente, perche essendo vecchio intese la morte del figliuolo Mennone, &
la rovina de' suoi, cadè in lamentevole vecchiaia, & indi se ne morì, sì
come fanno le Cicade; le quali paiono più tosto lamentarsi, che cantare, &
finalmente dopo lunga querela crepando si moiono.
Mennone, per testimonio d'Ovidio,
fu figliuolo di Titone, & dell'Aurora. Dicono, che costui venne con
grandissimo numero di genti orientali in aiuto di Priamo, &, che
combattendo fu morto da Achille. Del quale favolosamonte Ovidio dice che,
mentre egli posto nel rogo s'abbruggiava, per preghi della madre Aurora fu da
Giove cangiato in uccello, & insieme con quello dalle faville della fiamma
uscirono molti uccelli. I quali tre volte con gran gridi havendo circondato il
foco si partirono, & divisi, che furono combatterono tanto fra loro, che
restarono morti; i quali uccelli dice Ovidio esser detti Mennoni. Questa
fittione hebbe origine da un certo costume serbato dai suoi d'intorno il rogo
di Mennone, & da un certo maraviglioso caso, che occorse. Fu antichissimo
costume degli orientali, che i più cari amici del Re (morto ch'egli era)
volevano col corpo di quello abbruggiarsi; & per ciò andando intorno a quel
rogo, & circondandolo più volte, per lo calore ò per la stanchezza ò per
altro si moiono, & sono gettati nel foco reale. Onde penso, che l'istesso
fosse fatto al rogo di Mennone. Solino nel libro delle cose maravigliose del
Mondo cosi dice; Sta appresso Ilion il
sepolchro di Mennone, d'intorno il quale per sempre certi uccelli dell'Ethiopia
congregati insieme in schiera ivi volano, i quali dagli Iliesi sono chiamati
Mennoni. Cremutio è l'auttore il qual dice, che ogni cinque anni si adunano
insieme in questo modo nell'Ethiopia, & s'aggirano d'ogn'intorno il palazzo
reale di Mennone fino attanto ch'entrano in quello. Queste cose dice egli.
Possiamo adunque per tai parole presumere per sorte essere accaduto, che
allhora venissero ivi quegli uccelli dove si facevano le reali essequie di
Mennone, & haver col loro volo circondato quel loco; & indi dai
semplici essersi creduto, che quelli i quali si donavano alla morte per honore
delle essequie reali andassero in faville, & di faville divenissero
uccelli. Ma l'essersi cangiato Mennone in uccello non è altro, al giudicio mio,
che la celebrata fama dell'huomo, la quale dopo la sua morte volò d'ogn'intorno
per l'oratione et lodi de suoi popoli. Alcuni dicono, che da lui fu edificato
un famosissimo castello in Persia chiamato Susi, vicino al fiume Surra.
Bucolione fu figliuolo di
Laumedonte, sì come nella Iliade testimonia Homero, mentre dice;
Bucolion figliuol di Laumedonte.
Di costui non habbiamo altro
eccetto, che generò due figliuoli, Esipio, & Pidaso.
Esipio, & Pidaso furono
figliuoli di Bucolione, come nella Iliade scrive Homero, dicendo;
Fu da Esipio, & da Pidaso; i
quali
Furono da la ninfa Varvarea
Già
partoriti al buon Bucolione.
Questi valorosi giovani furono
nella guerra contra Greci, ma combattendosi amendue furono morti da Eurialo
greco, come testimonia l'istesso Homero.
Priamo fu figliuolo di Laumedonte
tra mortali, cosi noto, che a pena ve ne è altro cosi conosciuto. Essendo egli
ancho fanciullo, da Hercole fu rovinata la città d'Ilione, morto Laumedonte,
& esso con molti altri preso; il quale poi fu riscattato da suoi vicini,
che per lui ad Hercole pagarono certa quantità di denari, & dal riscatto fu
chiamato Priamo, sì come a Servio piace. Nondimeno si trova, che costui rifece
la mezza ruinata patria sua, & vogliono gli scrittori ch'egli la
fortificasse molto bene, accioche potesse opporsi contra l'empito de' nemici.
Percioche dice Servio ch'egli oprò talmente, che (secondo Plauto) durando tre
cose ella non poteva esser presa, cioè la vita di Troilo, la conservatione del
Palladio, & il sepolcro intiero di Laumedonte, il quale fu nella porta
Scea. Secondo che dicono altri poi vi bisognavano a' Greci molte altre cose per
prenderla, come è, che alcuno della stirpe d'Eaco vi fosse; onde Pirro ancho
giovanetto vi fu condotto, che i cavalli di Reso fossero tolti pria, che
gittassero l'acqua del Xanto, &, che vi fossero le saette d'Hercole, le
quali vi mandò Filotete; percio che egli sovragiunto dalla morte non vi puote
essere. Priamo adunque, morto Laumedonte, regnò; al quale succedendo tutte le
cose prospere, tolta Hecuba figliuola di Ciseo Re di Thracia per moglie, &
di lei, & di molte altre donne havendo havuto infiniti figliuoli, in cosi
gran splendore accrebbe il suo reame, che non solamente era tenuto Re di Troia,
ma ancho di tutta l'Asia. Ma havendo il figliuolo Paris invece d'Hesiona
sorella di Priamo pigliata da Hercole rapito Helena moglie di Menelao, &
menatala in Troia, nè potendo da nessun prego essere indotto a restituirla a'
Greci, che la richiedevano, vide Priamo quelli, che con mille navi smontarono
nel lito Troiano, & assediarono Ilione, mandando il tutto a ferro, &
foco, & molte volte amazzando i suoi figliuoli legitimi, & naturali,
& i Re venuti in aiuto di quello. Et finalmente vide Hettore morto, &
strascinato dalla carretta d'Achille d'intorno la cittade; onde per rihaver il
corpo di lui, dice Homero circa il fine della Iliade ch'egli con la guida di
Mercurio se n'andò di notte inginocchioni a pregar Achille, che gli lo
restituisse. Benche Servio dica molto diversamente, percioche narra, che di
notte Priamo andò al padiglione d'Achille, & il trovò adormentato, di
sorte, che l'havrebbe potuto amazzare; nondimeno più tosto il volle svegliare,
& pregare; di che hebbe il suo intento, & da Achille fu accompagnato
fino a Troia. Ma questo è stato tacciuto da Homero accioche egli, ch'era tromba
delle lodi d'Achille, non fosse tenuto recitatore delle sue vergogne. Oltre ciò
vide Priamo il Palladio levato, i cavalli di Rheso menati via, Troilo, &
Paris amazzati; ultimamente esser presa Troia, menate via le figliuole
prigione, arder tutti gli edifici, & nel proprio suo grembo essere passato
con un coltello l'infelice figliuolo, & egli insieme. Nondimeno Servio dice
esser varie le openioni della morte di Priamo, perche altri dicono, che nel
palazzo fu preso da Pirro, & condotto alla sepoltura d'Achille, & ivi
scannato; indi levatogli il capo dal busto essere stato posto in cima d'una
lancia, & portato d'intorno la Città. Altri vogliono che fosse morto
d'inanzi l'Altare di Giove Herceo, sì come habbiamo detto; il che pare, che
ancho Virgilio voglia. Hebbe costui, si come egli istesso narra ad Achille
nell'ultimo libro della Iliade, tra maschi, & femine cinquanta figliuoli,
de quai dice, che 19. n'hebbe dalla moglie, & gli altri da altre donne sue
concubine.
Creusa fu figliuola di Priamo,
& Hecuba, come dimostra Servio, et fu moglie d'Enea, sì come per Virgilio è
palese; & di lui partorì un figliuolo, Ascanio. Dice Virgilio, che costei
fu perduta da Enea nel fuggir, ch'egli fece col padre, & col figliuolo
della ruina di Troia; ma alcuni vogliono ch'egli, per lo patto fatto con Greci
di non lasciar viva persona, che fosse del ceppo di Priamo, l'amazzasse; il,
che pare che assai cautamente habbia toccato Virgilio dove descrive Enea, che
la ricerca, & induce l'ombra di lei à cosi parlare, & dire;
Di Dardano non io, et de la dea
Venere nora vedrò mai le stanze
De' Mirmidoni, & Dolopi
superbi;
Nè sarò mai di Greche donne serva.
Ma la gran madre degli Dei mi tiene
Rinchiusa in queste stanze, e in
questi lochi.
Et cosi viene ad essere
manifesto, poschia ch'ella dice non essere stata presa da nessuno ma essere
ritenuta dalla madre de' Dei, che è la Terra, ivi esser rimasta morta, &
sotterrata.
Fù Cassandra figliuola di Priamo,
& Hecuba, & bellissima donzella; della quale essendosi Apollo
inamorato, & ricercando congiungersi seco, Cassandra gli dimandò un donno,
il quale Apollo le promise con giuramento osservare. Ella adunque dimandò, che
diventasse indovinatrice, & ciò le fu concesso, ma volendo Apollo quello
ch'egli all'incontro le havea richiesto, Cassandra gli negò. Di che Apollo
sdegnato, non potendo torle quello che le havea dato, fece sì, che mai non
venisse prestato fede a nessuna cosa, ch'ella pronosticasse, & cosi fù
fatto. Percioche per la rapita d'Helena havendo profetizato à Troiani quello,
c'havea à venire, non solamente non le fù creduto, ma dal padre, & da'
fratelli per ciò spessissime volte fu battuta. Costei per auttorità di Virgilio
fu data per moglie à Corebo, giovane Migdonio; ma non havendo mai celebrato le
nozze, presa, che fu Troia anch'ella medesimamente fu pigliata. Onde rovinata
Ilione, & partito il bottino tra i Prencipi, la infelice toccò per sorte ad
Agamennone, & à lui predisse tutto quello, che dalla moglie gli era
preparato, sì come dimostra Seneca Poeta nella Tragedia d'Agamennone; ma secondo
l'usanza solita egli non le credette; di che (secondo, che Homero nell'Odissea
testimonia) avenne, che nel convito Agamennone fù morto da Egisto, &
Clitennestra, & ella medesimamente per comandamento di Clitennestra fu
amazzata. Quello, che di Apollo è stato finto, à me pare, che sia stato tolto
dal caso occorso. Percioche la donzella diede opra allo studio, & all'arte
dell'indovinare, & perche vi faceva buona professione, parve ch'ella fosse
amata da Apollo, Iddio dell'indovinare; & fu detto, che da lui à lei fù
conceduto quello ch'ella con grandissima fatica s'havea acquistato; &
perche non si prestava fede alle sue parole, vi fù aggiunto l'avanzo della
fittione.
Iliona secondo Servio fu
figliuola di Priamo, & Hecuba, sì come afferma Paolo. Costei, per ragione
dell'antico hospitio, & della notabile amicitia (come dice Servio) fu data
per moglie à Polinnestore Rè di Thracia.
Laodicea fù figliola di Priamo,
& maritata in Helicaonio, figliuolo d'Antenore Rè di Thracia; laquale da'
Troiani era chiamata Laodicea Galoo. Di costei fa ricordo Homero nella Iliade,
dicendo;
Quella Laodicea, la qual fu moglie
Del Rè Helicaonio figliuolo
D'Atenor, fù tra tutte l'altre
figlie
Di Priamo la miglior, & più
discreta.
Istimo io, che costei fosse
figliuola d'Hecuba.
Si come afferma Paolo, Licaste fù
figliuola di Priamo; & di maniera bella, che essendosi di lei innamorato
Polidamante figliuolo d'Antenore, & Theano, sorella d'Hecuba, egli la tolse
per moglie, non riguardando punto, che fosse nata d'una concubina.
Medisicasti fù figliuola naturale
di Priamo, Nè si sa di qual madre. Costei fu moglie di Polippo figliuolo di
Mentore, sì come Homero nella Iliade dimostra, il qual dice, che Priamo havea
una figliuola chiamata Medisicasti pria che gli Achivi venissero à Ipideo. Di
costei in battaglia fu amazzato il marito da Teucro figlio di Thelamone.
Polisena Donzella fù figliuola di
Priamo, & Hecuba, si come spesse volte fà fede Euripide nella Tragedia
intitolata Polidoro. Costei viene ricordata per la più bella tra tutte l'altre
donne Troiane, per la cui bellezza per disgratia sua fu da Achille amata. Col
mezzo del quale amore Hecuba à tradimento fece morire il fortissimo giovane,
non istimando, che per le ferite d'Achille ella veniva à spargere il sangue
dell'inocente donzella. Costei dopo la ruina di Troia, si come Seneca Poeta
Tragico nella Troade dimostra, fu dimandata da Pirro figliuolo d'Achille per
placar lo spirito del morto padre; onde alla fine dopo lungo contrasto (cosi
persuadendo l'indovino Calcante) gli fu conceduta. Cosi il crudele, & fiero
giovane havendola fatta ornare à guisa di vergine, & di novella sposa la
menò alla sepoltura d'Achille, & perche dicevano, che lo spirito d'Achille
la dimandava (si come dice Euripide nella predetta Tragedia) ivi la scannò.
D'Hecuba, & di Priamo fù figliuolo Paris, che per altro nome fu detto Alessandro. Del quale tra l'altre si narra tale historia. Dice Tullio, dove scrive della Divinatione, che essendo Hecuba pregna di Paris a lei apparve in sogno di partorire una facella, che abbrugiava, & rovinava tutta Troia. Per loqual sogno Priamo pieno di affanno andò à consultarsi con l'oracolo di Apollo, ilquale gli rispose, che per opra di quel figliuolo che havea a nascere, Troia andarebbe in ruina. Là onde Priamo comandò ad Hecuba, che facesse morire quella creatura, che di lei nasceva. Ma Hecuba partorito c'hebbe quel figliuolo, & veggendolo bellissimo, di lui mossa a compassione il diede ad alcuni, che il portassero à Pastori Reali che lo allevassero. Cosi sul monte Ida da pastori fù nodrito; & essendo in età cresciuto hebbe a fare con Oenone ninfa Idea, & di lei creò due figliuoli. Oltre ciò essendo tra tutti litiganti giustissimo, crebbe di maniera in grandissima fama di giustitia che, litigando Pallade, Giunone, & Venere sopra la loro bellezza per lo pregio del pomo d'oro, che nel convito le fu gittato dalla Discordia, nel quale era scritto; DIASI ALLA PIÙ BELLA , da Giove furono mandate per la sentenza da Paris. Le quali (come dicono) se n'andarono à lui, & all'ombre dei dilettosi boschi d'un loco, che si chiamava Mesaulo spogliatesi le vesti, à Paris si mostrarono ignude. Indi a lui disse Pallade; Se giudichi me più bella dell'altre due, io ti darò la cognitione di tutte le cose. Cosi Giunone soggiunse; Et io ti darò il dominio dei reami, & delle ricchezze. Seguì poi Venere;
Et io ti prometto la più bella
donna del Mondo; dalla cui concupiscenza commosso il selvaggio giudice giudicò
il pomo essere di Venere. Finalmente (come dice Servio) questo Paris, secondo i
fatti di Troia scritti da Homero, fu di maniera fortissimo, che nel contrasto
dello steccato, che si faceva in Troia vinceva tutti, & ancho esso Hettore;
il quale mosso ad ira perche era vinto, & stringendo la spada per amazzar
quello (da lui tenuto per Pastore) egli subito gli disse ch'era suo fratello;
il che confermò con mostrargli i manili c'havea alle braccia, da lui tenuti
nascosti sotto la veste di Pastore. Là onde alcuni vogliono, ch'essendo in
questo modo conosciuto fosse raccolto nel palazzo Reale. Indi, apparecchiate
venti nave, da Priamo sotto spetie di legatione fu mandato in Grecia per
domandar Hesiona; dove alcuni vogliono, & tra questi Ovidio, si come si vede
nelle sue Epistole, ch'egli fosse ricevuto, & honorato da Menelao. Altri
poi tengono ch'egli venisse in Grecia non vi essendo Menelao, &, che mosso
dalla fama della bellezza d'Helena se n'andasse a Sparta, &, che desse
l'assalto a quella nell'anno primo dell'imperio d'Agamennone, non v'essendo nè
Castore nè Polluce; i quali erano andati da Agamennone, & seco haveano
menato Hermiona figliuola d'Helena, & Menelao. Cosi prese la Città, per
forza rapì Helena, & portò via tutti i tesori Reali; il che assai gentilmente
tocca Virgilio, mentre dice;
Con mia guida l'adultero Troiano
Espugnò Sparta, & l'hebbe in
suo potere.
Et per questo quelli, che tengono
tal openione, vogliono, che Helena doppo la presa di Troia meritasse esser
ricevuta dal marito. Per la cui rapina fu pigliata la guerra da Greci contra
Troiani, che durò dieci anni. Nella quale riferisce Homero, che Paris,
rimorduto dal fratello Hettore di tal cosa, una volta uscì dalla Città, &
venne a singolar battaglia contra Menelao: nella cui chiaramente veggendosi,
che Menelao restava superiore, dice, che Paris in quello abbattimento fu
salvato, et difeso da Venere, aggiungendo, che Pandaro per instigatione di
Minerva trasse una saetta contra Menelao, et il ferì; di, che nacque, che quel contrasto,
ch'era particolare, si fece generale. Finalmente amazzati già Hettore, &
Troilo da Achille, egli con l'arco, & le saette, nel cui essercitio era
molto instrutto, per tradimento d'Hecuba, che di notte fece venir solo in Troia
Achille sotto colore di dargli per sposa Polisena, nel tempio del Timbreo
Apollo amazzò quello; & egli poi da Pirro figliuolo d'Achille medesimamente
fu morto. Questa historia veramente è adornata di poche fittioni; le quali se
pure vogliamo dischiarare, prima veggiamo il giudicio di Paris, nel quale al
giudicio mio è da seguire la openione di Fulgentio. Dice, che la vita de'
mortali è divisa in tre parti, la prima de' quali si chiama Theorica, la
seconda Prattica, la terza Filargica; le quali noi con più volgari vocaboli
chiamiamo contemplativa, attiva, & voluttuosa. Et di queste Aristotele (si
come fa ancho delle altre) benissimo tratta nel primo dell'Ethica. Questo
Giove, cioè Iddio, accioche non paia, che riprovandone alcuna tolga il libero
arbitrio ad alcuno, rimette al giudicio di Paris, cioè di ciascun'huomo,
affine, che stia in suo volere approvare, & pigliar per sé quella, che più
vorrà. Quello, che poi segua a colui, che s'appiglia alla voluttuosa, col fine
di Paris egli si dimostra. Che ancho ei si lasciasse convincere da Venere, ciò
è stato detto per manifestar la sua ignoranza; affine; che appaia il da poco
dare opra solamente a Venere, & alla lussuria. Pandaro poi instigato da
Minerva fu detto per dimostrar l'astutia de Troiani: i quali veggendo Paris
venir meno, per levarlo alla morte, senza mantener i patti fecero insulto
contra Menelao.
Dafni, & Ideo (come afferma
Paolo) furono figliuoli di Paris, & di Enone, ninfa del colle Ideo overo
Pegaseo; i quali furono da lui generati nel tempo ch'era Pastore. Di questi non
mi ricordo mai haver trovato cosa degna di memoria.
Hettore tra tutti gli altri per
lo valor del corpo famosissimo, celebrato da tutti i versi dei Poeti
eccellenti, giovane, che per honorata fama viverà forse fino al giorno
novissimo, fu figliuolo del Re Priamo, & d'Hecuba. Testimonia Homero, che
costui havesse per moglie Andromaca figliuola di Iettione signor di Thebe di
Cilicia; dalla cui, nata già la guerra de' Greci, hebbe un figliuolo per nome
Astianatte, bench'egli il chiamasse Camandro. Costui adunque, come, che fosse
molto bene ammaestrato nell'arte della guerra, havea cosi grande ardir d'animo,
& era cosi forte del corpo, che dopo l'haver amazzato Protesilao, che fu il
primo, che dalle greche navi mettesse il piede nel lito Troiano, non solamente
fece, che molte volte le squadre Troiane fecero testa a sostentar l'empito de'
Greci, ma ancho le rese ardire a perseguitarli, & cacciarli fino negli
alloggiamenti. Et quello ch'era più maraviglioso, egli solo spessissime fiate
hebbe ardire assalire le schiere de' Greci, & per forza rompere le loro
squadre, & di maniera metter in rotta tutto l'essercito, che solo era
terrore a tutti Greci. Questi contra Aiace figliuolo di Telamone (come dice
Homero) hebbe singolar battaglia; nondimeno la notte, che sopravenne non meno
grata ad Aiace, che a lui partì il duello, dal quale secondo l'usanza antica
partendosi Aiace hebbe in dono una spada, con la quale poscia egli si amazzò; &
Aiace donò a lui una cinta, della quale essendosi ornato fu poi amazzato da
Achille, & strascinato dietro la carretta, come dice Servio. Finalmente
havendo morto molti prencipi de' Greci amazzò ancho Patroclo amico d'Achille,
che s'era vestito dell' armi sue lucenti; di che istimando haver privo di vita
Achille, fece spogliar quello delle rilucenti arme, & con gran pompa se ne
entrò in Troia, gloriandosi di cosi altiera impresa. Ma non molto da poi
venendo alle mani con Achille, overo, che Hettore fosse lasso, o, che molto più
fosse forte Achille, morì per le mani d'Achille, & indi fu strascinato
dietro la carretta d'Achille con la cinta gli donò Aiace d'intorno tutta la
cittade fino alle navi de' Greci, in presenza del Padre Priamo ch'era sopra le
mura. Ilche appresso, non si potendo il fiero giovane scordar il dolore
dell'amazzatogli amico Patroclo, per dodici giorni tenne il corpo ignudo
d'Hettore insepolto, fino attanto, che l'infelice padre Priamo (come scrive
Homero) venne a riscattarlo. Nondimeno col testimonio dell'istesso Homero
pecomandamento di Giove il famoso corpo, accioche non si corrompesse, da Apollo
inanzi l'essequie fu onto con sacri licori. Poscia essendo stato a Priamo
restituito, con lagrime di tutte le donne Troiane, con publico dolore, & con
solenne pompa dell'antiche cerimonie fu sepolto, & le sue ceneri furono
serbate entro un'urna d'oro. In questa historia non v'è cosa finta, eccetto,
che il suo corpo fusse da Apollo curato; il, che fù fatto da un medico per
comandamento d'Achille, accioche non puzzasse. Ma Leontio diceva, che ciò non
fù fatto da lui per magnificenza, ma perche aspettava denari, con quali
sperava, che il padre riscattasse il corpo se restava intiero, si come fu ancho
fatto, percioche ricevuti prima molti doni da Priamo a lui il restituì; &
vogliono ancho ch'egli all'incontro havesse tanto oro quanto il corpo pesava.
Non mi ricordo haver letto ch'egli havesse altri figliuoli, che uno, qual fu
Astianatte. Ma per openione d'altri ne furono più: attento, che Eusebio, &
Beda, ciascuno di loro in que' libri, che scrissero de i Tempi, dicono, che i
figliuoli d'Hettore doppo alquanto tempo ricuperarono Troia con l'aiuto di
Heleno, che gli diede favore; &, che i posteri di Antenore furono cacciati
d'Ilione regnando in Italia Ascanio figliuolo d'Enea. Appresso, pare, che
Vincenzo historico Francese voglia i Re di Francia d'hoggidì haver havuto
antichissima origine dai figliuoli d'Hettore, dicendo, che da Francone già
figliuolo d'Hettore fuggito nell'ultima Germania fu edificata la città di
Sicambria, &, che in processo di tempo i successori di questo Francone, che
stavano appresso le ripe del Danubio passarono in Occidente, & insieme con
Marcomano figliuolo di Priamo, & Samione degli ultimi capitani d'Antenore,
nel tempo di Gratiano Cesare Augusto, passato il Reno vennero in quelle parti
da loro da indi in poi sempre possedute, & di tali capitani ordinarono tra
loro i Re; i quali poi sono cresciuti in lunga descendenza, & splendore. Il
che, se bene da me non molto sia approvato, nondimeno non è anco negato,
essendo appresso Iddio tutte le cose possibili.
Si come Astianatte spesso nella
Iliade Homero, & nella Tragedia Troade Seneca, dimostrano, fu unico
figliuolo d'Hettore, & Andromaca; il quale a lui nacque dopo il principio
della guerra de' Greci contra Troiani, come a pieno si può veder in Virgilio,
dove descrive Andromaca, che parla ad Ascanio; il che ancho nella predetta
Tragedia di Seneca si vede, quando, essendo egli cercato da Ulisse per
amazzarlo, si come è il costume dei fanciulli se ne fuggì in grembo alla madre;
ma alla fine per forza volendolo i Greci nelle mani, gli fu dato; & pria,
che le navi si sciogliessero da Sigeo (secondo alcuni) fu da un'alta torre
precipitato, overo (secondo altri) fu percosso ad un sasso, & cosi morì,
accioche nessuna discendenza della progenie di Priamo non andasse assolta.
Questi (per testimonio d'Homero) fu da Hettore per lo più chiamato Camandro.
Heleno fu figliuolo di Priamo,
& Hecuba, & molto famoso indovino, si come Virgilio di lui parlando
dimostra;
O Troia nato interprete de i Dei,
Che di Febo conosci il divin nome,
Et i tripodi Lauri, con le stelle,
Et intendi le lingue degli uccelli,
E interpreti gli auguri di lor
penne;
Dinne ti prego, & la tua lingua
snoda. &c
Sono di quelli, che dicano, che
costui fu da Greci ritenuto percioche, essendo stato da loro preso, a quelli
manifestò ciò che fosse di mistieri per pigliar Troia. Nondimeno egli, essendo
rovinata Troia, vietò a Pirro figliuolo d'Achille, che non navigasse, & a'
naviganti predisse la futura peste. Là onde non solamente fu da Pirro serbato,
ma ancho menato seco in Albania, & concedutali parte del suo reame. Indi havendo
rapito Hermiona ad Horeste, a lui diede per moglie Andromaca, già moglie del
fratello Hettore; la quale Pirro fin'hora havea tenuto in loco di sposa.
Finalmente (secondo Servio) essendo stato amazzato Pirro da Horeste nel tempio
d'Apollo, egli hebbe in custodia, & conservò Mocosso figliuolo di Pirro
partorito da Andromaca, & il reame, il qual Heleno chiamando il suo reame
dal nome del fratello Chaonia, ivi edificò una città a guisa di Troia, nella
cui egli raccolse il fuggitivo Enea, & l'honorò; & donatigli molti
doni, il lasciò andar libero. Qual fine fosse poi il suo, non mi ricordo haver
letto.
Chaone come dice Servio fu
figliuolo di Priamo; ma di qual madre non lo dice. Appresso narra ch'egli
inavertentemente fu a caccia da Heleno amazzato et perciò quasi in consolatione
del perduto fratello, quella parte di Reame, che da Pirro fu conceduta ad
Heleno, dall'istesso Heleno fu detta Chaonia.
Troilo fu figliuolo del Re Priamo,
& di Hecuba, come senz'altro testimonio è assai palese. Questi anco
giovanetto hebbe ardire pigliar battaglia contra Achille, & da lui fu
morto, come chiaramente si vede in Virgilio dove dice;
Da l'altra parte Troilo fuggendo
L'infelice garzon perduto ha
l'arme.
Deifebo fu figliuolo di Priamo,
& Hecuba; il quale essendosi molto bene adoprato contra gl'inimici, quando
istimava esser securo allhora morì. Percioche tra il tumulto del preso Ilione
dormendo con Helena, la quale dopo la morte di Paris havea tolto per moglie,
per inganni di quella fu morto, & crudelmente stracciato, si come in
Virgilio riferisce Enea, il quale descrive lui nell'Inferno c'havea i segnali
delle ferite, dicendo;
Indi di Priamo, & d'Hecuba il
figliuolo
Deifebo tutto lacerato il corpo.
Et cosi va dietro per molti
versi.
Ritrovo, che Priamo hebbe due
figliuoli chiamati col nome di Polidoro, percioche Euripide nella Tragedia
intitolata Polidoro chiaramente afferma ch'uno ne nacque d'Hecuba, & Homero
nella Iliade dice, che l'altro fu partorito da Laothoa figliuola d'Altao, &
amazzato in guerra da Achille. Noi adunque diremmo del primo. Fu questi adunque
figliuolo di Priamo, & Hecuba, il quale (secondo Euripide) fu mandato da
Priamo, per rispetto d'ogni cosa, che potesse occorrere a i figliuoli, con
grandissima quantità d'oro a Polinnestore Re di Thracia, antichissimo suo
amico, & genero, accioche da lui fosse conservato, insieme col thesoro. Ma
veggendo Polinestore, che la fortuna incominciava cangiar la faccia verso
Greci, & dimostrarsi a loro più benigna, anch'egli si mutò d'animo; &
divenuto ingordo dell'oro assalì Polidoro, che su per lo lito se n'andava a
diporto, & amazzò quello, che indarno si raccomandava a lui, & dandogli
sepoltura nell'arena di quel lito; sopra il cui corpo nacquero dei virgulti,
che sogliono nascere vicino al mare. Questo si descrive da Virgilio dove dice;
Questo è quel Polidor, che fu
mandato
In Thracia già con gran numero
d'oro.
Et indi continua per molti versi:
ne' quali ancho narra qualmente alcuni di questi virgulti per caso furono
tagliati da Enea, & da quelli n'uscì il sangue, & poi parole, che l'avisarono,
che d'ivi si partisse, & fuggisse altrove. Di quest'ultima parte non v'è
altro figmento eccetto che i mirteti, a quali i liti sono amici, mandano fuori
i virgulti a guisa di dardi; & il sangue, che n'esce dinota la violenta
specie di morte, cosi ancho le parole sono le relationi degli huomini
consapevoli, per le quali si comprende l'iniquità del delinquente, onde
ciascuno è avisato, che appresso lui non dimori.
Quest'altro Polidoro differente
dal primo, & Licaone furono figliuoli di Priamo, & Laothoe, si come a
pieno si vede in Homero dove Licaone il dimostra ad Achille, dicendo;
Ti prego Achille, che di me ti mova
Compassion, ch'io son per gir tuo
servo
Dove mi manderai; ti fui pur presso
Nel convito allhor quando me
pigliasti
Entro il giardino, & mi
mandasti in Lamno.
Dodici giorni trapassaro, & poi
Tornai ad Ilione, & me di nuovo
Ne le tue mani ha ricondotto Iddio.
Fanciul mi vedi anchor, che
generato
Da Laothoe fui figlio del vecchio
Altai, ch'in Belletesso era
signore.
Priamo haveva di costui la figlia,
E anchor molt'altre? & di
costei siam nati
Due frati, & amendue vuoi tu
amazzarli.
Certo, che il primo tra guerreri a
piedi,
Vincesti Polidor simile a un Dio,
Et con un dardo, a lui passati il
petto;
Et hor la morte a me tu ancho
apparecchi
Io non posso fuggir da le tue mani.
Ma ne l'animo t'entri, ch'io ti
prego,
Che non m'amazzi, ma mi lasci vivo.
Con Hettore non son d'un ventre
uscito,
Che t'amazzò il compagno; ma
diversa
Madre prodotto ha noi, come t'ho
detto.
Nondimeno Achille non gli
giovando i preghi, anzi dicendogli villania, il gittò nel fiume Camando, dove
infelicemente si affogò. Si conosce adunque chiaramente per le parole di costui,
che questo Polidoro fu differente dal primo; il quale (come dimostra Homero)
era molto amato da Priamo percioche era il più giovane degli altri figliuoli;
di che non lo lasciava andare alla battaglia. Questo Polidoro vinceva con la
velocità de' piedi tutti gli altri giovani dal suo tempo, & di lui mostrava
grandissima speranza. Nondimeno un giorno senza saputa di Priamo essendosi
armato, & andato contra gl'inimici, s'abbattè in Achille, che con una
Lancia il percosse, & passandogli l'arme gli fece uscir l'interiora; ma con
tutto ciò egli raccogliendole con le mani si diede a fuggire, nondimeno
indebilito se ne morì; Nè puotè Hettore, che veniva in suo aiuto levarlo dalle
mani della morte.
Esaco fu figliuolo di Priamo,
& Alsirca figliuola di Dimante, si come dimostra Ovidio quando dice;
Benche si dica, che la figlia
Alsirca
Di Dimante in segreto partorisse
Quel
Esaco vicino all'ombros'Ida.
Costui nacque molto prima, che la
guerra Troiana, & morì poco inanzi il principio di quella. Del quale Ovidio
recita tal favola. Costui havea in odio la città, & volentieri habitava ne'
boschi, & campi. Avenne un giorno ch'egli vide la donzella Hesperie, che si
pettinava i capelli, & si gli asciugava, di, che s'innamorò fortemente; ma
veggendo Hesperie ch'egli s'accostava a lei, si diede a fuggire. Ma questi
tuttavia seguendola, occorse, che la donzella fuggendo per un prato fu ferita
da un serpe, che tra l'herbe stava nascosto, & peciò se ne morì. Là onde il
giovane fu da cosi fiero dolore assalito, che gli venne disio di non più
vivere, & da un scoglio ivi vicino si gittò in mare. Del quale havendo
compassione Theti il cangiò in un Mergo, che allhora non havea tal nome.
Nondimeno egli tuttavia sprezzando la vita, mentre spesso s'attuffava nell'onde
per morir, da tal smergare si acquistò il nome di Mergo. Costui fu lungamente
da Priamo, & dai figliuoli pianto, & drizzatogli un sepolcro, percioche
s'egli lungamente fosse vissuto non sarebbe di forza stato tenuto inferiore ad
Hettore. Theodontio dice, che fu converso in Mergo perche vivo si attuffò
sotto, & dall'acque fu ritornato in alto morto. Ma io tengo essersi
creduto, & detto che si cangiasse in Mergo perche quelli, che non sanno
nuotare, se caggiono in acqua, prima, che moiano s'attuffano, & spesse
volte ritornano di sopra, a guisa del Mergo. Overo, che forse avenne in tal
modo che, essendo Esaco caduto nell'acqua, & rimasto al fondo, il Mergo il
quale prima di lui era nell'acque entrato, allhora uscendo d'ivi volò via. Et
di qui fu detto Esaco essere cangiato in Mergo.
Antifo, & Iso furono
figliuoli di Priamo, ma Antifo nacque d'Hecuba, & Iso naturale, si come si
vede per autorità d'Homero; il quale nella Iliade cosi dice di tuttidue;
Quelli andò dunque, per donar la
morte
Ad Iso, e Antifo, ch'erano
figliuoli
Di Priamo Re; ma l'un bastardo,
& l'altro
Ligitimo di lor; & erano ambi
S'una carretta; ma il bastardo i
freni
Reggeva, e Antipo si sedeva in
quella.
Onde si vede che Iso era
bastardo, il qual reggeva le briglie. Nondimeno tutti due questi, si come erano
insieme, da Agamennone nella battaglia in un tempo medesimo furono amazzati;
& per ciò gli ho messi insieme.
Come Teucro afferma Barlaam fu
figliuolo di Priamo, & di Antidona ninfa. Nè costui è quello dal quale i
Troiani si chiamano Teucri; percioche quegli fu molto più antico, & figliuolo
di Scamandro Cretese; il quale per la carestia delle biade lasciata Candia,
venne in Frigia, & regnò con Dardano, & Erittonio. Tuttavia Barlaam
dice, che costui non fu alla guerra Troiana; percioche poco inanzi cacciando
nelle selve Brebitie fu lacerato da un'Orso.
Dicomoonte fu figliuolo di
Priamo, ma di qual madre non si sa. Ma per Homero si può veder, che fu
naturale, il quale di lui cosi scrive;
Ma percosse, & ferì Dimocoonte
Figliuol bastardo del gran Re
Priamo.
Costui fu amazzato da Achille, si
come segue nel testo d'Homero; & questo in vendetta di Leuco, compagno
d'Ulisse, morto da Antifone figliuolo di Priamo.
Furono Echemone, & Cromenone
naturali figliuoli di Priamo, de' quali nella Iliade cosi dice Homero;
Dove prese due figli di Priamo
Di Dardano figliuol, ch'erano
insieme
Sopra d'una carretta; uno de i
quali
Era Echemone, & l'altro
Cromenone.
Questi due, si come a bastanza è
manifesto per le parole seguenti d'Homero, furono amazzati in battaglia da
Diomede.
Gorgitione fu figliuolo di
Priamo, & Castiamira, si come dinota Homero con queste parole;
Ma questi con un dardo colse in
petto
Gorgition figliuol di Priamo
altiero.
Costui (secondo, che poi segue
nel testo) fù generato da Priamo di Castiamira nella città Eusina vicina a
Troia, il quale poi nella battaglia appresso Troia fu amazzato da Teucro
figliuolo di Thelamone.
Cebrione fù figliuolo di Priamo,
si come appare per Homero, che di lui nella Iliade cosi dice;
Il natural figliuolo Cebrione
Del glorioso, e altiero Re Priamo.
Questo Cebrione, come nella
Iliade dice l'istesso Homero, nella battaglia vicino a Troia percosso da un
colpo di sasso da Patroclo se ne morì.
Forbante fu figliuolo di Priamo,
& Efitesia, figliuola di Staseppo Migdonio, si come dice Paolo, il quale
scrive, che nel tempo della guerra di Troia ei fù tanto vecchio, che più tosto
fratello che figliuolo di Priamo pareva; & nondimeno per la degna virtù
dell'armi locata in lui, non ostante gli anni, contra il voler anco di Priamo
più volte andò a combattere, ma finalmente da Menelao gli fu levato il capo;
benche Servio dica, & chiami per testimonio Homero, che questo Forbante mai
non combattesse, che gli favorregiasse Mercurio: il, che maravigliomi non haver
ritrovato nell'Iliade, come, che sia cosa credibile: che Homero non habbia
nomato tutti quelli, che in quelle battaglie combatterono. Ma qual fosse il suo
fine non mi ricordo haver letto.
Ilioneo fù figliuolo di Forbante,
come afferma Paolo; il che ancho dimostra Servio. Quanto ch'egli in armi fosse
valoroso sotto Troia, non mi ricordo haver letto. Nondimeno, si come per
Virgilio è palese, fù molto eloquente, percioche egli fù quello, che seguendo
Enea doppo la ruina di Troia andò ad impetrar salvocondotto da Didone per se,
& i compagni, & con la sua eloquenza la placò. Et essendo ancho venuto
in Italia Enea, andò legato al Re Latino.
Doridone, per testimonio
d'Homero, fu figliuolo di Priamo naturale, mentre egli cosi dice nella Iliade;
Contra Troiani impetuoso Aiace
Tolse di vita, & amazzò il
bastardo
Doridone
figliuol del Re Priamo.
Et Pammone, Antifone, Agathone,
Hippotoo, & Agannone furono figliuoli di Priamo, si come in questi versi
della Iliade dimostra Homero, dicendo;
Il vecchio irato con la voce
oltraggia;
Et à se chiama i propri suoi
figliuoli,
Paris, Heleno, & Agaton
glorioso,
Pammone, Antifone, e il buon
Polito,
Deifebo, Hippotoo, e appresso il
divo
Agannone, ch'a lui vengano inanzi.
In questa parte dice Homero, che
Priamo tutto pieno d'ira, & di rabbia chiamava tutti questi suoi figliuoli,
che gli apparecchiassero le carrette, & l'altre cose necessarie, perche
egli voleva andare a ritrovare Achille per riscattare il corpo del figliuol
Hettore. Ma di qual madre questi tali nascessero, Homero non ne fa mentione,
& io non mi ricordo haverlo mai letto, Nè ch'altri ne habbiano fatto
memoria.
Lacoonte trentesimo
terzo figliuolo di Priamo.
Afferma Papia, & habbialo
trovato dove si voglia, che Lacoonte fu figliuolo di Priamo, & Sacerdote
d'Apollo; del cui fa mentione Virgilio dicendo;
Ivi tra tutti gli altri,
accompagnato
Da molte schiera il buon Laocoonte
Tutto infiammato vien da l'alta
roccha,
Et grida di lontano; o Cittadini.
Et quello, che segue. Dice
Virgilio, che costui fu quello, che con un'hasta percosse il cavallo di legno
fabricato da Greci, &, che per ciò due suoi piccioli figliuoli furono
divorati da due serpi, & egli anco da quelli ritrovato fu preso, &
avinto; ma, che da quelli fosse morto, non se ne ha certezza, nè altro si
ritrova.
Questo fù figliuolo di Priamo, si
come Homero nella Iliade dimostra, dove introduce Priamo, che si lamenta, che
tutti i suoi figliuoli ch'erano valorosi in armi gli erano stati morti, &
tra gli altri noma questo Mistore.
Ifate, & Testorio, come dice
Paolo, furono figliuoli di Priamo, & partoriti in un parto da Perivia ninfa
Idea; la quale da lui à caccia segretamente era stata impregnata; per
testimonio della qualcosa si serve di Homero, benche non habbia scritto in qual
libro. Indi aggiunge, ch'essi furono amazzati da Anthiloco figliuolo di Nestore
sotto Troia.
Thimoete secondo Servio fu figliuolo di Priamo, & Arisba; dov'egli è di avertire (si come testimonia Eforione), che Thimoete fù indovino. Il quale havendo predetto, che un certo giorno dovea nascere un fanciullo per lo quale leggiermente Troia potrebbe andar in ruina, avenne, che il giorno statuito la moglie di Thimoete, & Hecuba partorirono; là onde Priamo per schifare il presagio comandò, che il nato figliuolo di Thimoete, & la moglie fossero morti. Et di qui in processo di tempo, avenne, che Thimoete ricordevole della ingiuria s'acordò contra il padre in tradimento della Città, il, che assai si può conietturare per le parole di Virgilio quando dice;
Muove una parte a maraviglia il
dono
Per nostro estremo mal fatto a
Minerva
Miran l'alto edificio del cavallo;
Thimoete il primo è, che loda
quello
Condursi entro le mura, e in roccho
porlo;
O per inganno fusse, ò perche i
fati
Cosi
volean de l'infelice Troia.
Altri vogliono, che Thimoete non
fosse figliuolo di Priamo ma marito di Arisba, dalla cui Priamo hebbe un
figliuolo, che poi fu da lui insieme con la madre fatto amazzare, come è stato
detto di sopra; & Thimoete poi, si per la morte della moglie come per
l'adulterio commesso con lei, s'accordò con Greci a danno della patria.
Polite fu figliuolo di Priamo, si
come si può capire per li versi di Virgilio, dove dice;
Ecco del Priamo un de' figli
Polite da la man di Pirro ucciso.
Nè molto da poi leggendo quello,
che segue, se alcuno vi porrà mente, facilmente vedrà che fu ancho figliuolo di
Hecuba. Questo Polite essendosi molto bene diportato in guerra per difender la
patria, finalmente presa la città, l'infelice fu amazzato da Pirro figliuolo
d'Achille in grembo di Priamo, & in presenza d'Hecuba.
Secondo Virgilio Priamo fu
figliuolo di Polite, il quale nella Eneida dice;
Guida una schiera il picciolo Priamo,
Che il nome serba del gran zio
Priamo;
Progenie famosa di Polite,
Ch'anchor accrescerà il sangue
Latino.
Questo picciolino fu menato via
nella ruina di Troia da Enea in compagnia d'Ascanio.
Havendo condotto a fine la
infelice prole di Laumedonte figliuolo del Re Troiolo, è necessario ch'io volga
la penna ad Assaraco figliuolo dell'Istesso Re Troio, accioche veniamo a
designare gli antichissimi progenitori del nome romano, & la progenie di
Dardano intiera. Assaraco adunque fu figliuolo di Troio Re di Troia, come
mostra Ovidio nel libro de Fastis, dove dice;
Erittonio fu figliuolo di costui,
Da lui fu generato Troio;
Et questo Troio Assaraco produsse;
Et Assaraco Capo, & Capi
Anchise.
Non v'è ricordo nessuno dei fatti
di questo Assaraco, di maniera l'antichità ha consumato il tutto. Nondimeno lo
splendor della generata progenie non meno l'ha fatto illustre che il grand'infortunio
della ruinata Troia. Percioche, si come dal soverchio ardire dei figliuoli di
Priamo nacque l'incendio, & ruina di Troia, cosi dalla humanità della
progenie d'Assaraco fu edificata Roma padrona del mondo, & la famiglia dei
Cesari generata, ch'appresso mortali sarà sempre testimonio di sempiterna,
& eccelsa gloria.
Capi fu figliuolo d'Assaraco, si
come di sopra ha dimostrato Ovidio. Ma l'antichità medesimamente ha spento i
fatti di questo Capi, si come ancho ha fatto d'Assaraco. Nondimeno ha tenuto in
luce ch'egli fu padre d'Anchise, che generò il famosissimo progenitore della
generosa successione della gente Giulia, & sempiterno testimonio
dell'inclita pietà d'un figliuolo.
Anchise, si come s'è dimostrato
parlando d'Assaraco per li versi d'Ovidio, fu figliuolo di Capi. Sono di
quelli, che dicono, che costui inanzi la guerra Troiana abbandonò la città,
& andò ad habitar ne' boschi, & luoghi selvaggi, dove attese agli
armenti, & a i greggi, ne' quali per lo più si fermavano le ricchezze degli
antichi. Onde essendo egli andato con i suoi greggi vicino al fiume Simeonte,
avenne, che Venere di lui s'inamorò, & egli con quella hebbe a fare, di maniera,
che di lei il figliuolo Enea. Nondimeno si ritrova ancho, ch'hebbe moglie:
& Homero dice, che di lei n'hebbe figliuoli. Servio vuole ch'ei fosse
cieco, &, che per ciò non si ritrovasse ai consigli de' Troiani. Alcuni
dicono, che la cagione della sua cecità fu perche si diede vanto d' essersi
congiunto con Venere, & ch'ella per ciò il privasse della luce. Testimonia
Virgilio che, essendo presa, & ardendo Troia, Enea il voleva condur via,
& ch'ei più tosto s'era disposto voler morire, che partirsi. Nondimeno si
legge ch'egli, veggendo poi una fiamma di foco, che stava d'intorno il capo
d'Ascanio senza punto offenderlo, da ciò prendendo buon augurio compiacque al
figliuolo. Tuttavia male si convengono insieme l'openioni di Virgilio, &
Servio, l'uno de' quali dice, che fu cieco, l'altro ch'ei vide una fiamma. Se
n'andò adunque col figliuolo, che il portò sopra gli homeri per mezzo i fochi,
& tra mille volanti dardi fuori dei pericoli; & montato in nave insieme
con Enea giunse a Trapani castello di Sicilia, dove per vecchiaia se ne morì,
& sul monte d'Erice fu sepolto. Et questo secondo Virgilio. Altri nondimeno
vogliono altrimenti, percioche Catone conferma, che venne fino in Italia, ma
Servio dice, che Varrone narra, che l'ossa d'Anchise per comandamento
dell'oracolo furono levate, & portate via da Diomede; ma sopportando egli
poi molte disgratie, dall'istesso Diomede insieme col Palladio furono
restituite. Il, che ancho esso Virgilio tocca mentre descrive Didone irata
contra Enea, che cosi gli dice;
Et lo spirito, & le ceneri
d'Anchise,
Nè l'ombre, trassi mai fuor del
sepolcro.
Volendo quasi inferire io non ho
mai fatto questo, si come Diomede. Oltre ciò pare, che Servio voglia per questa
cagione da Virgilio in persona d'Enea esser detto;
Di nuovo io vi saluto, ò ricevuti
Ceneri, ombre, & spiriti del
padre.
Come se una volta fossero tolti
da Troia, & di nuovo da Diomede. Nondimeno dove egli si morisse, per ciò
non si può comprendere, ma le parole di Servio mostrano accostarsi ch'ei
morisse inanzi la ruina di Troia. Qualmente poi, ch'io tenga, che Anchise havesse
questo figliuolo da Venere, mi serbo a dirlo dove scriverò d'Enea. Ma, che per
essersi dato vanto fosse da Venere accecato, tengo, che si debba intendere in
questo modo; Alcuni giovani sono soliti tra le principali sue felicitadi tener
conto dei loro coiti, & delle frequenti amicitie di più donne, come se per
ciò volessero, che la loro bellezza fosse istimata essendo da molte desiderata,
& eglino raccolti da gran numero di donne; di che a loro pareva inalzarsi
veggendosi, che nel coito erano molto valorosi: dal qual continuar del coito
molte fiate nascono delle infermitadi, & per lo più s'indebiliscono le
virtù corporali, & specialmente la vista; percioche è cosa certissima molti
essere venuti per lo coito non solamente con la vista corta, ma ancho haverla
perduta. Onde conosciuto il mancamento del loro vantarsi, meritamente sono
detti essere da Venere acceccati. Cosi puotè intervenire ad Anchise, perche
mancandogli la vista per haver di soverchio atteso ai coiti fu trovata questa
inventione. Ma accioche non paia, che Servio discordi da Virg., puotè in
Anchise di sorte essere indebilita la virtù visiva ch'egli non discernesse le
cose c'havea inanzi overo non potesse vedere di lontano; i quali huomini tali
per una certa usanza antica di parlare chiamiamo ciechi, benche anch'eglino
vedessero i raggi del Sole, & le fiamme del foco. Di, che in tal modo
Anchise (secondo Servio) puote esser cieco, nondimeno (si come dice Virgilio)
veder la fiamma del nipote. Costui oltre Enea hebbe ancho delle figliuole, tra
quali si sa il nome solo d'Hippodamia.
Hippodamia, si come nella Iliade
piace ad Homero, fu figliuola d'Anchise, & più vecchia di tutte l'altre,
accioche appaia ch'egli n'havesse dell'altre. Costei fu molto bella, &
molto amata dal padre, ma non si sa chi di lei fosse madre. Nondimeno fu data
per moglie ad Alcataone Troiano, il quale poi da Idomeneo Cretese nella guerra
Troiana fu morto. Delle altre figliuole, Nè esso Homero Nè altro ch'io m'habbia
letto ne riferisce alcuna cosa.
Gli antichi, & moderni Poeti
predicano, che Enea fu figliuolo d'Anchise, & Venere. Questi, benche molto
sia inalzato per li versi d'Homero, nondimeno per la riverenza di quelli di
Virgilio è celebrato cosi famoso in armi, & di pietate, che non solamente
da' Greci è preposto ai barbari, ma agli altri Latini. Cosi vuole la fortuna
del mondo, Achille hebbe Homero, & Enea Virgilio, pieni di tanta eloquenza
ch'a tal comparatione l'avanzo de' mortali paiono non lodati, benche al tempo
nostro si leva, & inalza Scipione Africano con non minor gloria, ma si bene
con maggior giustitia condotto fino sopra le stelle per li versi del
celebratissimo Francesco Petrarca, poco inanzi coronato in Roma delle insegna
d'Alloro. Con tanta facondia, & eleganza di parlare egli è guidato inanzi
che, come quasi guidato fuori delle tenebre d'un lungo silentio, paia portato
in grandissima luce: di che punto ei non invidierà nè ad Achille nè al figliuol
d'Anchise. Enea adunque, si come poco inanzi è stato detto, nacque di Anchise,
& Venere appresso il fiume Simoenta, & già essendo d'età provetto hebbe
per moglie Creusa figliuola di Priamo, & Hecuba, la quale gli partorì
Ascanio. Scriveno alcuni che, andando Paris in Grecia per rapir Helena, ch'Enea
gli fu compagno. Finalmente havendo i Greci assediato Troia, & sforzandosi
con molti assalti pigliarla, egli più volte uscì fuori a combattere, & tra
l'altre una s'affrontò con Achille; dove essendo in grandissimo pericolo, si come
nella Iliade dice Homero, Nettuno parlò verso i dei, & gli pregò, che
togliessero dalle mani della morte Enea, accioche tutta la stirpe di Dardano
non perisse. Il, che da Giunone, ch'era molto contraria a' Troiani, gli fu
conceduto ch'egli potesse fare; & cosi allhora per opra di Nettuno Enea fu
tolto dalle mani d'Achille, & (si come nel medesmo loco tocca Homero)
serbato all'Italia. Tuttavia, se bene Enea oprò molti degni fatti per Troia,
secondo alcuni fu notato d'infamia, che tradisse la patria, et tra l'altre cose
si piglia argomento che, salvo, con il figliuolo, & con i navili, & una
parte di genti fu lasciato partire, essendosi usato crudeltà quasi contra tutti
gli altri. Nondimeno altri dicono, che ciò gli fu conceduto in dono perche continuamente
il suo Palazzo fu l'alloggiamento di tutti gli ambasciadori greci, che vennero
a Priamo, & perche ancho sempre nei consigli dei Troiani disse ch'era cosa
dannosa ritener Helena, & gli persuase a restituirla: Ma fosse come si
volesse, Virgilio dice, che presa Troia, essendosi egli indarno molto
affaticato per difender la patria, tolti i Dei pennati, ch'Hettore in sogno
apparsogli gli havea raccomandati, & il vecchio padre, & il picciolo
figliuolo, mostrandogli la madre Dea la strada se ne venne al litto, & ivi
tolte venti navi con le quali già molto prima Paris era andato in Grecia, entrò
nel mare, & passò in Thracia. Dove avisato da Polidoro, ritrovato sepolto
nel lito, ch'egli fuggisse l'avaro lito, edificò una Città chiamata dal suo
nome Enea; della quale Tito Livio nel quarantesimo libro ab Urbe Condita fa
memoria dicendo, ch'Enea Troiano edificò già Enea Città vicina a Thessalonica,
& in questo modo di lei scrive; Si partono da Thessalonica, & vanno ad
Enea per essequire lo statuito sacrificio, ch'ogni anno fanno con gran
cerimonia in memoria d'Enea, di quella edificatione. Et quel, che segue. Indi
con le navi essendo di nuovo rientrato in mare per vedere, secondo l'Oracolo,
l'antichissime sedie degli avi suoi, andò in Creta; & d'ivi essendo già da'
Candiani stato cacciato il Re Idomeneo, come s'egli quasi fosse giunto alle
sedie de' suoi progenitori, percioche di quel paese fu Teucro figliuolo di
Scamandro, che insieme con Dardano havea signoreggiato ai Dardanij, si fermò in
Candia. Ma cacciato ancho di là per la peste, & essendo fatto certo, che
Dardano era stato Italiano, si dispose passar in Italia, & indi venne in
Chaonia; & da Heleno indovino avisato di ciò, che gli havea ad occorrere
passò in Sicilia, & appresso Trapani (si come piace a Virgilio) gli morì il
padre, dove poscia, che hebbe racconciate le navi, che per la fortuna erano
tutte conquassate, da un vento crudele fu condotto in Africa secondo, che narra
l'istesso Virgilio, benche altri neghino; & ivi dalla Reina Didone fu
ricevuto, essendo già sette anni stato errabondo, con la quale essendo alquanto
dimorato, & congiunto con lei (se ciò si deve credere al Mantovano), per
aviso de gli Dei partendosi d'Africa di nuovo ritornò in Sicilia ad Aceste,
& con grandissima magnificenza celebrò i giuochi in memoria del padre,
& edificata ivi la città Acesta, lasciandovi parte delle sue genti, mentre
passava in Italia perdette Palinuro, capo della sua armata. Indi giunse al
porto di Bibie, & con la guida della Sibilla scese all'Inferno, & passò
fino ai Campi Elisi; dove ritrovato il padre Anchise, col mezzo suo vide tutta
la sua discendenza. Fatto questo ritornò sopra la terra, & fornite
l'essequie funerali a Miseno suo Trombetta navigò in Caieta; dove morendo
Caieta sua nudrisce v'edificò una città col nome di quella. Finalmente si
condusse in Italia alle foci del Thebro, fin dove, dice Servio, che non gli
venne meno la visione della madre Venere; la quale non essendo più da lui
veduta, egli s'imaginò esser giunto al predestinato loco, & ivi deversi fermare.
Et cosi fece. Onde hebbe prima l'amicitia d'Evandro, & indi di Latino Re di
Laureti, che gli diede per moglie la figliuola Lavinia, che prima era stata
promessa a Turno Re di Rutuli; percioche cosi gli haveano mostrato gli oracoli.
La onde Turno mosse gran guerra contra lui; nondimeno aiutato da Evandro Re
degli Arcadi, & da' Thoscani, al dispetto di Mezentio Re d'Agellia ottenne
il reame, & la sposa. Della sua morte gli antichi hanno diverse openioni,
percioche Servio dice, che Catone vuole che, facendosi un fatto d'armi appresso
Lauro Lavinio, & stando i compagni d'Enea a partir la preda, Latino fu
amazzato da Enea; il quale Enea in quella battaglia più non comparse. Ascanio
poi amazzò Mezentio. Altri dicono poi che, essendo Enea vincitore, & sacrificando
sopra il fiume Numico, in quello cadde, Nè il suo corpo fu più ritrovato. La
qual cosa gentilmente tocca Virgilio mentre induce Didone, vicina alla morte,
far questi preghi contra lui, dicendo;
Travagliato almen sia da guerre,
& armi
De la più fiera, & orgogliosa
gente;
Vada in essiglio, fuor de' suoi
confini,
Et da le braccia sia tolto d'Iulo;
D'aiuto preghi altrui; l'indegne
morti
Veggia de' suoi, nè quando a
l'aspre leggi
Ubidito haverà d'iniqua pace;
Il regno goda, o il desiato lume.
Ma cagia egli anzi tempo, &
sopra il lito
Resti insepolto de l'arena in
mezzo.
Oltre ciò sono di quelli, che
dicano ch'egli fu morto da Turno, & vogliono, che Virgilio scriva questo
sotto artificiosa fittione, dove in mezzo l'ardor della battaglia mostra,
che Giunone tema la morte di Turno; di,
che per levarlo fuori della battaglia finge ch'ella si trasmutasse nell'effigie
d'Enea, contra cui dice, che subito si rivolse Turno, & Enea fuggì alle
navi ch'erano nel fiume Numico, &, che per insino in quelle fu perseguitato
da Turno. Onde secondo la verità dell'historia vogliono non, che Giunone si
mutasse in Enea, ma esso Enea; il quale fuggendo l'armi di Turno fu da lui
appresso il Numico amazzato. Il, che in parte per li sopradetti versi si può
conoscere; Nè puote altrove haver tacciuto Virgilio, mentre nell'istesso libro
induce Venere, che prega Giove, & dice;
Almen lecito sia, che sopraviva
Il mio nipote Ascanio senza offesa,
Et ch'ei possa drizzarsi a quel
camino
Che la fortuna a lui vorrà
mostrare;
Et ti deve bastar, ch'Enea gittato
Da onde ignote sia per strani liti.
Dove se mettiamo mente, non
v'essendo più Enea, Venere, che fino allhora era stata sollecita del figliuolo,
al presente prega per lo nipote Ascanio; & Ovidio nel suo maggior volume
par, che tenga l'istesso, mentre dice;
Di Laurento indi pervenne al lito
Dove coperto di cannelle, serpe
Il bel Numico ne i vicini mari
Con l'onde istesse, & a costui
commanda,
Che lavi ciò, c'ha di mortal Enea
Et con quieto corso il tutto porti
Fino nel mare; di, che il buon
Numico
Adempisce di Venere i mandati,
Et quanto di mortale era in Enea
Con l'onde proprie egli lo caccia,
& purga.
Questo istesso ancho pare, che
voglia Giuvenale, mentre dice;
L'uno per l'acque fu mandato al
cielo
L'altro per fiamme andò fin'a alle
stelle.
Dove intende di Enea, &
Romolo, perche Enea morì nell'acque, come è stato predetto, & Romolo
appresso la Palude Caprea da folgori, & tempeste fu tolto dal mondo;
amendue ugualmente appresso Romani furono honorati con solenne riverenza,
percioche esso Enea, morisse come si volesse, dagl'indigeni fu tenuto per
Iddio, & chiamato Giove Indigite. Tale historia è adornata d'alcune
fittioni, la ragion delle quali l'ordine ricerca, che veggiamo. Che Enea fosse
figliuolo di Venere, ciò non è dirittamente da tutti inteso. Alcuni vogliono,
che nella natività d'Enea Venere signoreggiasse il cielo, & a lei
appartenersi la dimostratione dei futuri successi; & per opra di questo
dominio esser'avenuto molte cose ad Enea, le quali per industria da Virgilio
sotto figmenti poetici sono nascoste. Onde il dichiararle al presente, &
voler renderle chiare non è di mia intentione, nè s'appartiene all'impresa
incominciata. Altri poi vogliono ch'egli nascesse in quell'hora, che Venere,
venendo il tempo matutino, si leva; & però vogliono, che sia detto suo
figliuolo quasi, che appaia egli essere stato prodotto in luce, quando ella si
levava. Altri istimano poi, che la madre di lui fosse si bella che, perduto il
proprio nome, s'acquistasse quello di Venere; per la qual cosa pensano, che
Virgilio dicesse;
Per lo superbo maritaggio Anchise
Di Venere divenne assai più degno.
Altri tenendo diversa openione
pensano, che sia stato detto figliuolo di Venere perche non di matrimonio, ma
di concupiscevole congiuntione nacque, facendo tal prosuposto che sarebbe quasi
cosa impossibile, che la madre di tanto huomo non fosse stata conosciuta, se di
Anchise fosse stata moglie; ma per coprire la nota d'infamia del famoso huomo,
gli antichi finsero, che fosse la Dea Venere. Io certamente istimo esser vero,
che la madre di lui per qualche merito fosse cognominata Venere, si come ho
detto ch'altri pensarono, nè per ciò ci lo vieta, che il suo vero nome non si
sia saputo, percioche non si sa nè ancho quello della madre di Priamo, che fu
si gran Re, nè d'Agamennone, nè di molt'altri famosissimi Re, & huomini. Et
sia da me lontano ch'io creggia, che Priamo havesse dato per moglie ad un
bastardo d'un Pastore Creusa sua figliuola. Che per preghi di Nettuno poi egli
fosse levato dall'abbattimento con Achille, non credo che sia vero quello che
diceva Leontio, cioè, che ciò avenisse per la forza della constellatione; anzi
penso più tosto che d'intorno alle cose navali, le quali paiono appartenersi a
Nettuno per esser detto Iddio del mare, potesse occorrere alcuna cosa, che per
rimediarvi Achille lasciasse la battaglia con Enea. che ciò da Giunone fosse
conceduto a Nettuno, tengo, che il Poeta habbia havuto riguardo alle cose
future, attento, che Enea era serbato al Reame d'Italia; & per ciò la Dea
dei Reami gli concesse c'havesse cura della salute del futuro Reame. Viene
detto poi ch'egli fu nel lito avisato da Polidoro, perche, venutogli a mente la
disgratia di lui, conobbe che se si fermava ivi, che i Thracesi li sarebbono
inimici, & però previde essere da fuggire. che ancho Venere a lui si dimostrasse
col lume suo, & gli fosse guida fino nel territorio Laurento, &, che
come fu giunto ivi sparisse, ciò si può attribuire all'opra della
constellatione verso il concupiscevole appetito, attentoche tanto andò inanzi
navigando quanto stette a ritrovare quello, che gli piacque; il che ritrovato
cessò la voglia, che il cacciava. Che passasse all'Inferno, istimo deversi
intendere ch'egli oprasse quello, che già fu famigliare ai maggiori Re de'
gentili volere, cioè per via di quella scelerata arte di nigromantia essere
certificato da spiriti maligni delle cose future; onde per far ciò andò nel
seno di Baie appresso il lago Averino, il qual era loco attissimo a tai cose,
& amazzato Meseno col suo sangue sacrificò agl'Inferi, & con altre
inique cerimonie oprò, che alcuno de' scelerati spiriti astretto dalla forza
degl'incanti venendo di sopra, & pigliando la forma di qualche fantastico
corpo, comparve, & diede risposta alle sue interrogationi, & forse gli
predisse alcuna delle cose ch'a lui erano per avenire. La sua edificatione poi
non è altro, che la pazzia da farsi beffe dei pazzi. Credo ch'egli fosse
gittato nel fiume Numico, & portato in mare, &, che fosse esca a i
pesci Toscani, & Laurenti.
Ascanio, come piace a Virgilio,
non solamente fu figliuolo d'Enea, & Creusa, ma etiandio compagno della
fuga, & delle fatiche in cercare il Reame, si come egli per tutta l'Eneida
dimostra ampiamente. Ma Tito Livio, ch'hebbe più diligente cura della verità dell'historia,
non afferma a pieno, se fosse figliuolo di Creusa, ò di Lavinia, dicendo; Non ancho Ascanio figliuolo d'Enea era in età
da regnare; nondimeno quell'imperio a lui restò nell'età di prima barba
intiero, & salvo solamente sotto tutela della donna, tanta buona indole era
in Lavinia: onde l'Imperio Latino, & il Regno del zio et del padre fu del
fanciullo. Dubiterò io, chi affermerà per certo una cosa tanto antica, se
questo fu quello Ascanio nato di Lavinia ò di Creusa, che uscì salvo dalla ruina
di Troia, & fu compagno della paterna fuga; il quale istesso Iulo la
famiglia Giulia dice, che fu autore del suo nome. Questo Ascanio nascesse dove,
& di chi si volesse, certamente si ritrova, che fu figliuolo d'Enea. Et
quel che segue. Questo dice Tito Livio. Ma Eusebio nel libro de i Tempi tiene,
che Ascanio fusse figliuolo di Creusa: & un'altro, che nacque di Lavinia il
chiama Silvio Posthumo. Ascanio adunque (secondo Vergilio) sotto Troia perdette
la madre, & col padre si diportò molto valorosamente contra gli inimici;
& si come Servio afferma, fu chiamato con diversi nomi. Percioche, oltre
Iulo, & Ilo con i quai è nomato, si come si vede in Vergilio, quando dice;
Ma il bel garzone Ascanio, a cui
s'aggiunge
Hor il nome d'Ulo; mentre in piedi
Stette la
roccha Ilia fu detto Ilo.
Questi appresso fu detto Dardano,
& Leodamante per consolatione de' morti fratelli: onde viene ad esser
chiaro, ch'Enea di Creusa hebbe ancho altri figliuoli. Nondimeno dei nomi di
costui dice Servio essere da sapere, che fu chiamato Ascanio da Ascanio fiume
di Frigia, si come risonante d'oltre Ascanio. Indi fu detto Ilo da quel Re onde
venne ancho Ilio. Poi Iulo per l'amazzato Mezentio da lui nel primo spuntar
della barba, la quale gli nasceva quando ottenne la vittoria. Questo Ascanio
nondimeno (accioche seguitiamo Vergilio alquanto) ancho picciolino hebbe
augurio del futuro Imperio, percioche contrastando il padre, & l'avo della
futura fuga, una certa fiamma di foco si fermò d'intorno il capo del fanciullo senza
punto offenderlo, Nè poteva essere estinta dai padri. Finalmente sostenne poi
insieme col padre nell'essiglio molte fatiche. Et essendo morto Enea, &
libero delle cose mortali, & egli succeduto nel Reame, finì la guerra
incominciata dal padre con la vittoria, conciosia, che altri dicono, che amazzò
Turno, altri Mezentio. Ma dice Servio, che secondo Catone il vero dell'historia
è questo. Che Enea col padre venne in Italia, et perche havea assalito i
territori hebbe guerra contra Latino, & Turno, nella quale morì Latino;
& Turno poi si ritirò da Mezentio, & nell'aiuto di lui confidandosi
rinovò la guerra, nella cui Enea, & Turno medesimamente mancarono. Continuò
poi la battaglia tra Ascanio, & Mezentio; ma per finirla vennero a singolar
battaglia, & morto Mezentio Ascanio incominciò esser chiamato Giulio, si
come poco inanzi è stato detto. Questi adunque (secondo Eusebio) havendo
regnato trent'anni, appresso Lavino edificò Alba, & con grandissimo amore,
& pietà allevò Silvio Posthumo suo fratello. Altri più oltre dicono che,
essendo da gli amici ripreso percioche pareva ch'egli tenesse la madrigna
Lavinia in essiglio: la quale per tema di lui era nelle selve fuggita; la fece
ritrovare, & le restituì il Reame paterno, essendosi già deliberato passare
fino in Alba. Nondimeno egli generò un figliuolo, il quale, percioche per caso
nacque nelle selve, il chiamò Giulio Silvio; da cui alcuni vogliono esser
derivata la famiglia Giulia. Finalmente havendo tra Lavino, & Alba da lui
edificata regnato trent'otto anni, havendo a morte, perche il figliuolo non gli
parea atto per la picciola età di poter reggere i Cittadini, lasciò Silvio
Posthumo suo fratello herede del Regno.
Giulio Silvio secondo Tito Livio
fu figliuolo d'Ascanio, & perche per caso nacque nelle selve fu cognominato
Silvio; & da lui derivò la famiglia Giulia; poscia, che successe al padre
Ascanio nel reame. Nondimeno Eusebio nel libro de' Tempi dice, ch'è ben vero
che fu figliuolo d'Ascanio, ma perche morendo il padre era picciolo, & non
pareva sofficiente al governo, egli lasciò la successione dello Stato a Silvio
Posthumo suo fratello.
Rhoma fu figliuola d'Ascanio,
come scrive Solino tra le cose maravigliose del Mondo, dicendo, che Agatocle
scrive il nome della Città di Roma haver havuto origine da questa Rhoma figlia
d'Ascanio, & nezza di Enea attento, che Eraclide scrive che, essendo presa
Troia alcuni Greci capitarono dove hora è Roma, & ivi per consiglio d'una
loro prigionera nomata Rhoma, si fermaro, & da quella diedero nome al
luogo.
Silvio Posthumo secondo Vergilio
fu figliuolo d'Enea, & Lavinia. Questi nacque dopo la morte d'Enea, &
però fu detto Posthumo, ilche è general nome di tutti quelli, che nascono dopo
il padre sepolto. Fu detto Silvio, come piace a molti, percioche Lavinia, morto
il padre Latino, & il marito Enea, & essendo occupato il Reame da
Ascanio, temendo l'imperio di quello, gravida se ne fuggì nelle selve, dove stette
nascosta, & partorì; di, che il figliuolo nato nelle selve da lei Silvio fu
detto. Ma si come è stato detto di sopra, Ascanio, fatta venire la madrigna nel
paterno Reame, fece allevare il fratello Silvio con fraterno amore; &
venendo a morte, percioche Giulio Silvio era allhora fanciullo, lasciò herede
del regno l'istesso Silvio suo fratello, che fu padre d'Enea Silvio. Ma i
Brittoni (istimo io per desiderio di nobilitare la sua nation barbara)
aggiungono a costui un altro figliuolo, dicendo ch'egli generò ancho un certo
Bruto di una nezza di Lavinia sua madre, nella cui natività dicono, che un
Matematico disse ch'egli amazzarebbe il padre, et la madre; onde avenne, che
nel partorirlo morì la madre, & cresciuto in età per inavertenza a caccia
amazzò il padre. Per la qual cosa cacciato d'Italia andò in Leogrecia isola di
Grecia, & hebbe per Oracolo, che possederebbe l'isola dell'estremo
Occidente; il quale, tolta per moglie una figliuola di Pandrasio Re greco, con
una compagnia insieme con Corniveo Troiano navigando superò Geoferico Re degli
Aquitani, & ottenne l'isola Alboina, ch'era habitata da' Gianti, & dal
suo nome la chiamò Brettagna, & da Corniveo Cornubia. Oltre ciò dicono
ch'egli generò un altro Bruto per cognome chiamato Verde Scudo; & di qui essere
stato generato un altro re, indi un altro, et cosi di mano in mano procedendo
in infinita discendenza; le quai cose, perche a me non sono parse nè vere nè
verisimile, ho giudicato esser buono lasciarle. Posthumo adunque havendo
regnato trent'otto anni, lasciato Enea Silvio suo figliuolo ch'a lui
sopravisse, finì l'ultimo giorno.
Enea Silvio figliuolo di Silvio
Posthumo terzo Re de' Latini successe al padre, del quale Vergilio fa mentione
quando dice;
Et Silvio Enea, che come a te nel
nome.
Egual, cosi sarà d'armi, &
pietade.
Questi generò Latino Silvio,
& havendo regnato anni trent'uno, espirò.
Latino Silvio, come dice Tito Livio, fu figliuolo d'Enea Silvio, & morto il padre signoreggiò ad Albani, & da lui furono condotte le colonie di quelli, che Prischi Latini furono detti. Questi, havendo regnato cinquant'anni, & generato Alba Silvio, che a lui sopravisse, finì l'ultimo giorno. Eusebio nel libro de Tempi dice ch'egli in altra historia ritrova, che Latino Silvio quinto regnò in Alba, & fu figliuolo di Lavinia, & Melampo, & fratello d'un medesimo ventre di Silvio Posthumo; il qual Latino in ordine dei re, qui è posto il quarto.
Alba Silvio fu figliuolo di
Latino Silvio, & al padre nel reame successe; & havendo regnato
trentanove anni, lasciato Athi suo figliuolo fu tolto dalle cose mortali.
Fu Athi Silvio figliuolo di Alba,
il quale alle volte da Eusebio è chiamato Egittio Silvio. Questi, havendo
regnato ventinove anni, lasciato il figliuolo Capi finì l'ultimo giorno.
Capi Silvio fu figlio d'Athi.
Sono alcuni, che vogliono, che Capua già famosissima città di Campania fosse da
costui edificata, il quale regnato c'hebbe ventiotto anni, morendo lasciò il
reame a Carpento.
Di Capi fu figliuolo Carpento;
& havendo regnato diciotto anni, venendo a morte, a lui successe il
figliuol Tiberino.
Tiberino Silvio figliuolo di
Carpento generò Agrippa Silvio; & havendo signoreggiato Alba ott'anni cadde
nel fiume Albula, che cosi era chiamato a quel tempo, & partiva i confini
tra Latini, & Thoscani, & in quello se ne morì. Per la qual cosa da
indi in poi lasciato il vecchio nome di Albula fu detto Thebro dal nome di
Tiberino, & fino al dì d'hoggi vi dura.
Agrippa Silvio generato da
Tiberino, sommerso, che fu il padre successe nel regno, & poscia c'hebbe
signoreggiato quarant'anni, venendo a morte lasciò il figliuol Romolo herede.
Romolo, overo Aremolo Silvio fu
figlio d'Agrippa. Questi tra i monti pose le difese d'Albani, dove poi fu
edificata Roma; il che a quel tempo fu tenuta cosa fatta molto impiamente,
& per ciò gli huomini di quel tempo istimarono, che giustamente egli fosse
fulminato, & privo di vita. Costui havendo regnato diecinove anni morì,
& lasciò suoi heredi Giulio, & Aventino, ch'a lui sopravissero.
Silvio Giulio (come scrive
Eusebio) fu figliolo minore di Romolo, & bisavolo di Giulio Procolo, che
con Romolo andò a Roma, & ivi diede principio alla famiglia Giulia dalla
cui derivano i Cesari.
Aventino Silvio fu figliuolo di
Romolo Silvio, al quale essendo fulminato successe nel reame; dove poscia, che
hebbe regnato trentasette anni venendo a morte, lasciò un figliuolo chiamato
Proca, & fu sepolto in quel monte, che da indi in poi fu dal suo nome
sempre chiamato Aventino.
Proca secondo Tito Livio fu
figliuolo d'Aventino, & in loco del padre regnò anni ventitre; indi morendo
lasciò il regno al figliuolo Numitore.
Fu Amulio (testimonio Tito Livio)
il minor d'anni tra tutti i figliuoli di Proca. Questi per forza, & a
tradimento levò il reame a Numitore, che d'età era maggiore. Dice Plinio
parlando degli Huomini Illustri, che Proca loro padre lasciò ch'amendue
regnassero un anno per uno; onde essendo toccato ad Amulio il regno, poscia,
che l'anno fu passato non volle più restituirlo al fratello, anzi havendo
perdonato la vita a Numitore amazzò Lauso figliuolo di lui, & indi per
levare ogni speranza di successione, Rhea medesimamente di lui figliuola sotto
spetie di honore dedicò perpetua vergine Vestale. Ma havendo egli regnato sette
anni, Rhea partorì due figliuoli, i quali ei fece gettare nel Thebro, & Rhea
sepellir viva. Nondimeno non potendo gli essecutori del maleficio de' fanciulli
far l'effetto compiuto, percioche il Thebro per le pioggie continue era
cresciuto, & uscito fuori del suo alveo, posero quelli sopra la riva; di,
che trovati da Faustulo pastore furono allevati, & indi cresciuti in età
amazzarono Amulio, & restituirono al zio Numitore il Reame.
Numitore fu figliuolo di Proca,
& dal fratello cacciato dal regno; il quale privatamente standosene in
villa invecchiato, fu dai nepoti Romolo, & Remo rimesso in stato. Quello,
che poi di lui avenisse non sappiamo.
Lauso, si come è stato detto, fu
figliuolo di Numitore, & dal zio crudelmente fu fatto morire.
Ilia Rhea fu figliuola di
Numitore, & da Amulio tra le vergini Vestali collocata; la quale (secondo
Ovidio) andando un giorno a pigliar dell'acqua per gli sacrifici si adormentò,
dove in sogno le parve vedere, che Marte giacesse seco; di che essendosi
impregnata, n'ebbe due figliuoli, & per comandamento del Re fu fatta
sepellire viva. La fittione di Marte, che giacesse seco si dichiarerà dove si
parlerà di Romolo, & Remo. Et perche non habbiamo per ordine quelli, che
sono nati di Giulio Silvio, è di necessità far fine alla Geneologia dei posteri
di Dardano; aggiungendovi questo, che da questi sia disceso lo splendore del
mondo, & di Roma, Caio Giulio Cesare Dittatore.
Ma io che poco dianzi, altissimo
Re, dal fiume Elsa di Certaldo, & dall'Arno di Toscana havea spiegato le
vele in mare, & sono girato a forza per le oscure foci delle Sirti fremendo
il fiero Aquilone; & indi per li larghi, aperti, & rozzi promontori
dell'Asia, & per gli duri scogli del mare Egeo, cosi cacciandomi il vento
Libico, & appresso spesse volte con non minor timore che maraviglia, per lo
torto mare Siciliano, et tra i risonanti liti sì del mare Illirico, come del
Tirrheno, per lo soffiar del vento Notho, coperto solamente dall'oscure nube
de' Poeti; & stando di quì a riguardare il chiaro lume di Febo, & l'immobile
Stella d'Artoo, lasciati a dietro i liti de Genovesi, Francesi, &
Spagnuoli, & Calpe, & Abila Promontori, alla fine sono stato portato
fin all'entrata dell'Oceano. Cosi circa l'entrare di quello fermandosi il mio
legnetto, come quasi per deliberare se gli sarebbe conceduto lo spatio di
girare, io drizzai gli occhi verso i termini del mare, dove veggendo cosi gran
corpo, & incomprensibil mostro, & con l'animo misurando i dirotti monti
d'acque fino al Cielo, & l'horribil spelonche di quello per l'oscure
entrate; & indi imaginandomi le indomite forze, con quali percuote la
terra, & i non conosciuti popoli, & le fiere bestie di quello; &
indi considerando, che è accettatore di tutti i fiumi, confesso veramente, che
mi spaventai, & mi si drizzarono i capelli, & da un certo insolito
timore soprapreso a pena puoti fermare le tremanti membra. Et poco vi mancò,
che piu tosto volontariamente non patissi naufragio nel lito, che passar piu
oltre, istimando essere stato un giuoco, & piacere a rispetto di quello,
l'ire del mare Mediterraneo. Ma colui, che veramente è certa speme, &
infallibile aiuto di chi dirittamente crede in lui, da me subito invocato, mi
s'appresentò, & col fuoco della sua charità cacciando il contrario freddo
porse vigore all'animo prostrato, & il ritornò in maggiori forze del
solito: di maniera, che col picciolo legnetto, ma nondimeno con animo grande,
pigliai ardire entrare nel terribile gorgo, & solcare i non soliti mari. Di
che spedita nel passato quasi tutta la prole di Cielo, pigliai la penna per scrivere
la lunga discendenza dell'Oceano, lasciando il governo della debile barchetta a
colui, che conservò salva l'Arca di Noe dall'acque del Diluvio universale.
Volsero i Theologhi, che hanno
havuto opinione dal Cielo, ò dalla terra, overo da amendue, tutte le cose da
principio essere state prodotte, che Oceano fosse figliuolo di Cielo, & di
Vesta; il che non credette, nè tacque il Principe, de gli Ionici Filosofi
Milesio Thalete, appresso gli antichi di non picciola autorità, anzi non meno
insipidamente di quello, che facessero gli altri istimo, che l'istesso Oceano
havesse la mente divina, & che da lui fossero prodotte tutte le cose, overo
ch'egli fosse quello, che ne concedesse la cagione. Non sò qual ragione movesse
lui, eccetto se forse, veggendo, che in tutte le cose mancando l'humidità, è di
necessità, che anco la vita cessi, & che anco medesimamente alcuna cosa
senza humore non può generarsi, nè nascere. Di che affermava l'Oceano non esser
generato, ma esser padre de gli Dei, & di tutte le cose. Al quale alle
volte pare, che si sia accostato Homero: & specialmente dove nella Iliade
induce Giunone, che dice l'Oceano essere la natione di tutti i Dei, & la
madre Theti. Et cosi talhora ha seguito questa opinione Virgilio dove dice;
L'Oceano
gran padre de le cose.
Plinio poi nel libro
dell'historia naturale inalzando questo elemento dell'acqua dice; Certamente
questo elemento signoreggia a tutti gli altri, le acque divorano le terre,
amazzano le fiamme, ascendono in alto, si vendicano il Cielo, & col toccare
affogano il vital spirito delle nubi, la qual cagione partorisce i folgori,
seco stesso discordandosi il Mondo. Qual cosa puote esser piu maravigliosa
dell'acque, che stanno in Cielo? Quelle, benche sia poco, pervengono in tanta
altezza, che rapiscono i fiumi con le schiere de pesci, & spesso anco
cavano i sassi, & portano gli altrui pesi. Per loro si presta origine a
tutte le cose, che in terra nascono: elle generano le biade, vivificano gli
alberi, & frutti, & tutte le forze della terra sono per beneficio
dell'acqua. Questo dice Plinio. Dal quale Vitruvio nel libro dell'Architettura
non discorda, dicendo; Da quello anco,
quelli, che amministrano i Sacerdotij a i costumi de gli Egittij, dimostrano
tutte le cose essere formate dalla potentia de i licori. Certamente egli è cosa
da ridere l'havere creduto le acque essere state principio di tutte le cose. Ma
che crederò io a questi tali d'intorno i principij delle cose non vedute, se
d'intorno a quelle, che ci stanno dinanzi gli occhi hanno creduto il falso? Gli
Egittij viddero Iside morire; et ne gli animi loro si sono sforzati fingere
quella essere stata non onnipotente, ma potentissima Dea, & immortale. I
Cretesi non si vergognarono chiamare Iddio del Cielo, & della terra esso
Giove huomo libidinosissimo, & da loro sepolto. Cosi adunque acecati da
trascuraggine di mente, credettero essere maggiori questi, che alle volte
furono fatti, che quello, che una volta gli havea fatti loro. Ma di questo
un'altra fiata. Quelli che istimarono l'Oceano padre delle cose, incominciarono
da lui la Geneologia de gli Dei; il quale (secondo gli altri) ritrovandosi
haver havuto padre, secondo l'ordine dell'opra gli habbiamo dato il suo luogo.
Onde accioche egli non andasse tra gli altri gran Dei con poco honore, gli
attribuirono (come dice Theodontio) una carretta guidata dalla Balena, che
condussero lui per gli gran mari. Cosi anco gli aggiunsero i Tritoni per
trombetti, & ufficiali, che gli andassero innanzi. Indi il fecero ricco di
molti Buoi marini dati sotto il governo di Protheo, & gli aggiunsero per
serventi, & compagnia molte schiere di ninfe, attribuendoli una gran
discendenza di figliuoli. Oltre ciò il chiamarono con molti nomi. Ma hoggimai
sono da dichiarare le fittioni. Oceano esser guidato con una carretta, dinota
il girar suo d'intorno la rotondità della terra, alla quale vi s'aggiungono le
Balene, perche è trascorso tutto dalle Balene. I Tritoni poi sono suoi
Trombetti, & antecessori, perche il significato del suo nome opra
incessabilmente. Attento che Tritone, secondo alcuni, suona l'istesso che fa
smarritor della terra; il che spesso fa il mare, mentre continuamente
percuotendo i liti, smarrisce la terra col continuo suo moto; & perche
questo non si fa senza suono, si come Trombetta è chiamato, & poi è
chiamato precursore, percioche il suono percuotendo nel lito con più terribile
strepito del solito, è certissimo messaggio di futura fortuna. E poi detto
havere i greggi de' Buoi marini: perche questi tali Buoi dal mezzo innanzi
hanno forma di Vitelli, & a guisa d'armenti tutti insieme pascono in terra.
Chiamarono Protheo suo Pastore, attento che il mare Carpatico è abondantissimo
di Buoi marini il quale già fu sotto l'Imperio di Protheo. Il Choro di ninfe a
lui aggiunto per compagnia, & ubidienza, come penso, non è altro, che le
molte proprietà dell'acque, overo gli accidenti di continuo congiunti
all'acque, per opra de quali pare, che imitino i voleri di quelle. Oltre ciò
appresso il nome d'Oceano, chiamasi anco Nereo, Nettuno, & Mare; i quali
nomi perche si convengono a i nomi d'altri Dei, al luogo suo più
convenevolmente si esporranno. Ma Oceano, che è il suo proprio (secondo Rabano)
da Greci, & Latini è cosi detto, percioche in modo di circolo aggira il
Mondo; & anco perche ha il ceruleo colore, si come ha il Cielo. Nondimeno
io tengo, che cosi sia detto da Cianes, che Latinamente significa nero, attento
che è di tanta profondità, che in lui non si può vedere alcuna cosa
trasparente.
Eurinome fu figliuola
dell'Oceano, si come nella Iliade afferma Hom. dicendo;
Eurinome
dell'Oceano figlia.
Ella s'interpreta anco Pastore de
venti, overo della Fortuna marina, percioche l'acqua del mare sempre fa flusso;
onde dall'essercito dell'acque ha havuto nome, & è stata chiamata figliuola
dell'Oceano; overo secondo altri, che vogliono i venti nascere dall'acque,
l'acqua pasce i venti, cioè gli dà la materia d'acqua, & sono creati, &
prendono vigore; di che dirittamente viene chiamata figliuola dell'Oceano.
Oltre ciò dove Homero di costui parla, induce Vulcano, che parla a Theti, che
gli dimandava l'armi per Achille; onde per mostrarsele pronto, dice, che
essendo dalla madre gittato di Cielo in terra; perche era zoppo, fu raccolto,
& nudrito da essa Eurinome, & Theti, dove vuole, che intendiamo il
fuoco per l'humido, & per lo spirito essere nudrito; i quai se mancano, è
di necessità, che il fuoco si spenga.
Si come piace ad Homero
nell'Odissea, Persa fu figliuola del Oceano, dove dice, che fu amata dal Sole,
& che per tale congiungimento partorì Oeta Re di Colchi, & Circe; di
che in tal modo scrive.
Et la sorella del sagace Oeta,
Et da la madre nominata Persa,
Et nacquero amendue del Sol
lucente.
La quale fu dell'Oceano figlia.
Dice Leontio, che questa Persa da
Hesiodo è chiamata Eclate, la quale appresso noi essendo l'istesso, che Luna,
assai possiamo imaginarsi, che Oeta appresso i suoi famosissimo Re, facesse
l'istesso, che havea fatto Saturno, il quale commandò, che il padre Urano fosse
chiamato Cielo, & la madre Vesta, Terra; accioche con tali nomi illustri
ampliasse la sua origine. Cosi anco Oeta ordinò, che il padre suo fosse detto
Sole, & la madre Luna, la quale però è detta figliuola dell'Oceano, perche
a i litorali pare, ch'ella nasca da i reflussi del mare, overo fu anco cosi
chiamata per haver havuto il suo dominio appresso l'Oceano.
Ethra fu figliuola dell'Oceano,
si come si conferma per li versi d'Ovidio, dove dice, ch'ella di Atlante
partorì Hiade, & le sorelle, mentre nel libro de Fastis cosi si legge;
Costui da Ethra de l'Oceano prole
Fu partorito & a le ninfe dato.
Pleione fu figliuola dell'Oceano,
& secondo Paolo, moglie d'Atlante; il che anco pare confermi Ovidio nel
libro de Fastis, dove dice;
Di qui nacque Pleione, che
congiunta
Fu con Atlante, che sostien le
stelle;
Et si come la fama già risuona,
Partorì poi le Pleiadi sorelle.
Pleia è l'istesso, che è pioggia,
la quale, percioche è causata da gli humidi vapori che dall'Oceano in alto si
levano, è chiamata figliuola dell'Oceano. Moglie poi è chiamata d'Atlante,
percioche questi tali vapori, che si levano dall'acque per lo più si rivolgono
verso la cima dell'Atlante, & da gli altri monti, & a gli habitatori
danno segno di futura pioggia.
Climene, si come piace a
Theodontio, fu figliuola dell'Oceano, & Theti, la quale essendo bellissima,
vogliono, che piacesse al Sole, con cui giacendo, di lei n'hebbe Fetonte, &
le sorelle. Ma Paolo dice, che fu moglie di Merope Egittio, & che insieme
col marito signoreggiò appresso gli ultimi Ethiopi d'Egitto, & che di lui partorì
Eridano, che fu anco chiamato Fetonte, & le sorelle. Leontio poi dice
ch'ella fu figliuola di Minio, & Eurinassa, & che dal marito Merope
partorì Ifido, Filace, Fetonte, & le sorelle. D'intorno alle qual diversità
egli è d'avertire, che in quanto ella sia chiamata figliuola dell'Oceano, &
amata dal Sole; egli si può intendere la humidità, perche Climene s'interpreta
humidità; onde meritamente sarà detta figliuola dell'Oceano, si come di tutte
l'humidità, la quale viene amata dal Sole, attento che, come narra Tullio tra
le nature de gli Dei, il Sole, & le Stelle si pascono d'humidità; overo,
& meglio, perche il calore del Sole oprando nell'humidità, suscita i
nuvoli, che generano Fetonte, si come si ha narrato, dove si è parlato di
Latona, & anco certi alberi fa uscir fuori da luoghi paludosi, de quali si
tratterà apertamente parlandosi di Fetonte, & le sorelle. Ma se vogliamo,
ch'ella fosse femina, & moglie di Merope, allhora diremo, che fu qualche
nobile donna, che signoreggiò nel lito dell'Oceano, & che indi conseguì
tale successione. Nè perciò si leva, ch'ella non potesse essere figliuola di
Minio & Eurinassa, ivi Signori, ma si come da parte piu illustre, fu
chiamata figliuola dell'Oceano.
Theodontio dice, che Tritone fu
figliuolo dell'Oceano, & Theti. Servio poi li chiama di Nettuno, &
Salatia di lui moglie. Paolo poi il dice Tritona, & il fa femina. Nondimeno
ò maschio, ò femina che si sia, tutti in ciò si convengono, ch'ei fosse
Trombetta di Nettuno, ò dell'Oceano: ma parendo, che tutti piu s'inchinino
verso Nettuno, credo, che Nettuno, & Oceano sia un'istesso: onde questi
tali, che anco hanno la medesima opinione, traheno in testimonio Ovidio, dove
dice;
Nè però punto del mar cessa l'ira
Onde giù posta l'hasta da tre
punte.
Et poco da poi segue.
Chiama Tritone, c'ha il color del
Cielo,
Et commanda, che ei dia fiato a la
tuba,
Et con tal segno dato a i fiumi, e
a l'onde,
Ritornar faccia tutti al luogo suo.
Onde in tal modo si vede
l'officio di Tritone, & ch'egli è maschio, si come dice Theodontio. Che poi
sia figliuolo dell'Oceano; ò di Nettuno, a bastanza in ciò egli si dimostra,
essendo causato dal sonoro movimento loro. Intesero i Theologi in luogo di
Tritone, esso grido di fortuneggiante mare, che percuote ne i liti; essendo
secondo alcuni, Tritone interpretato suono. Altri poi volsero bene Tritone
essere il suono del mare, ma non quello, che fa mentre tra se si rompe; ma
solamente quello, che fa percuotendo i liti; & però chiamarono Tritone,
quasi, che smarrisca la terra; onde in tal modo tanto secondo l'opinione de
primi, quanto de' secondi, volsero, che da quel suono si comprendesse la marina
haver piu a crescere in fortuna del solito, attento che Tritone per quello strepito,
che viene con maggior furia, mostra il suo potere; si come fanno i Trombetti
che col segno delle lor tube dinotano il suo Imperatore venire. Ma Plinio nel
libro dell'historia naturale, pare che tenga, che i Tritoni non pure servano
con la fittione del nome a i Poeti, ma che anco siano veri pesci dell'Oceano;
cosi di loro dicendo; La legatione de
gli Olisiponenti riferì a Tiberio Imperatore, che perciò gli havea mandato
haver visto, & udito in un certo antro un Tritono sonare con una conca. Et
quello che segue.
Dori secondo Paolo, &
Theodontio fu figliuola dell'Oceano, & Theti, & moglie di Nereo suo
fratello, & madre delle ninfe, si come dice Servio. Di costei fa ricordo
Virgilio nella Bucolica, dove dice;
Se mentre sotto l'acque vai scorrendo
L'amara Dori, l'onda sua non mesci.
Vogliono alcuni, che questa sia
interpretata dono; percioche l'acqua necessarijssima da Iddio sia data a
mortali in luogo di dono. Altri dicono esser'intesa per amarezza; & però
esser maritata in Nereo Dio marino, attento che il mare è amaro; di che per
dimostrare ch'ella sia congiunta a perpetuo marito, di lui la fanno moglie. E
poi chiamata figliuola dell'Oceano, percioche dell'acqua dell'Oceano scaldata
dal Sole, nasce l'amarezza, la quale poscia s'unisce col mare Mediterraneo,
dove è detto Nereo.
Protheo Marino Iddio, & come
dicono, famoso indovino (secondo Theodontio) fu figliuolo dell'Oceano, & di
Theti. Che poi fosse indovino, Virgilio doppo Homero nella Georgica il
dimostra, dicendo;
Stà nel Carpatio gorgo di Nettuno
Il ceruleo Protheo, che nel mare
Và discorrendo sopra una carretta,
Guidata da cavalli, c'han due
piedi.
Et poco da poi continuando dice;
Tutte le cose l'indovin conosce,
Che furono, che sono, & che
saranno;
Cosi ha voluto il gran Nettuno, a
cui
Pasce gli armenti, e sozzi Buoi
marini.
Dice Homero, che costui fu
ricercato da Menelao, che ritornava dalla ruina di Troia, & rendergli
ragione di quello, che fosse avenuto de i suoi compagni rotti in mare; onde a
forza gli lo disse. Cosi anco Virgilio narra, che medesimamente fu interrogato
da Aristeo della ristauratione delle Api. Nondimeno Menelao fu instrutto da
Idothea figliuola di Protheo, dove Aristeo fu ammaestrato di quello, che
havesse a fare dalla madre Climene. Indi Homero dice, ch'essendo sforzato a
rispondere alle interrogationi, si cangia in varie forme per vedere se puote
esser lasciato; il che dimostra anco Virgilio, dove dice;
Subito fassi un'horrido Cinghiale
Pieno di squame, & hor fulvo
Leone:
Et talhor viene in cosi liquide
acque
Una tigre crudele, & un
Dragone,
Hor fuoco, che fuor manda ardenti
fiamme,
Che par, ch'uscito sia fuor de
legami.
Dice Theodontio, che costui hebbe
origine dall'Isola, over Monte Pallene, & signoreggiò appresso gli Egittij,
al quale fu raccomandata, & lasciata in custodia Helena, che allhora
essendo donzella fu rapita da Theseo; onde doppo la ruina di Troia, dal vento
cacciata di nuovo Helena, vi ritornò con Menelao. Questo fu un vecchio molto
aveduto, & ammaestratissimo per sperienza di tutte le cose; & perche
col suo avenimento, non che con la presenza, conosceva, & haveva
grandissima cognitione delle cose passate, & per conietture buone, &
spesso sapeva predire le cose future, si come molte volte fanno i saggi, si
diede luogo alla favola, che Protheo fosse indovino. Le forme poi, nelle quali
dicevano, che egli si cangiava, istimo essere le passioni, delle quali sono
crucciati gli huomini, che sono simili a tal cosa le quali passioni, accioche
sieno rimosse da colui, a cui dimandiamo consiglio se drittamente ci lo vuole
concedere, è di necessità, che l'animo resti tranquillo alle interrogationi.
Oltre ciò questa fittione si può aprire in altro modo, cioè pigliar Protheo in
luogo della indovinatione hidromantica, & allhora non inconvenevolmente si
potrà esporre, che egli sia figliuolo dell'Oceano, & di Theti, attento che
questo tale indovinare si fa nell'acqua, si come suona l'istesso nome;
percioche hidromantia è detta da hidros, che è acqua, & mantia,
indovinatione; onde tutte le acque sono dell'Oceano, & di Theti. Che poi si
cangi in varie forme, questo si può dire; percioche questo sacrilegio si fa
appresso i fiumi, i quali col mormorio del suo corso, imitano varie forme;
overo perche forse in questa operatione per haver quello, che si cerca, è di
necessità mover le acque, nel qual modo si ode qualche mormorare, & ivi si
vedono varie forme, le quali acquetate, si piglia poi il vaticinio. Perche poi
lo dicano Pastore dell'Oceano, overo di Nettuno, vi è la ragione esposta, dove
si ha parlato dell'Oceano. Gli attribuiscono la carretta per dinotare le
circonvolutioni dell'acque di quel mare. Che anco i cavalli siano da due piedi,
egli è detto; perche quel mare abonda di Buoi marini, i quali hanno i piedi, il
capo, & quasi tutto il corpo dell'ombelico in su a guisa di vitello: da
indi in giù, sono poi pesci; & però havendo solamente due piedi, sono detti
Bipiedi.
Melanthone, come afferma
Theodontio, fu figliuola del vecchio Protheo, la cui usanza era di spogliarsi
ignuda, & cavalcare i Delfini nel mare del padre, onde essendo bellissima,
piacque a Nettuno, il quale cangiatosi in Delfino, le usò tanti vezzi, ch'ella
assicurata, gli salì sopra; onde egli tanto fece, che seco si giacque. Barlaam
afferma, che la verità di questa cosa fu tale, cioè che questa donzella
accostumò un Delfino di maniera ad amarla, ch'ella gli saliva sopra, & per
lo mare la portava soavemente, & indi la ritornava al proprio luogo, onde
l'havea levata: nondimeno fosse come la cosa si volesse, ella in mare restò
morta: Forse Serenissimo Re, ti maraviglierai che una donna senza offesa, da un
Delfino per lo mare fosse portata; il che acciò non istimi favoloso, piacemi
narrarti alcuni essempi; Si legge in Plinio huomo degno di fede, che nel lito
d'Africa appresso Hippone Diarito, fu un Delfino, che si lasciava pascere da
huomini, & maneggiar tutto, e giuocava con quei, che nuotavano, e portava,
chi gli saliva sopra: & da Flaviano Vice consule fu con profumi & cose
odorose unto: onde per la novità di quelli, cade in ambascia come quasi morto,
& stette in tal modo per alquanto spatio di hore; ma essendo in se
ritornato, come quasi gli fosse stato fatta ingiuria, stette per alquanti mesi,
che non volle lasciarsi piu nè maneggiare, nè haver dimestichezza con gli
huomini, alla fine essendosi pacificato con quelli, fu poi amazzato da gli
Hipponesi; percioche erano troppo aggravati da gli amici, che ivi si
trasferivano per veder questo miracolo. Oltre ciò al tempo d'Alessandro
Macedonico fu nel lito d'Asia un fanciullo di maniera amato da un Delfino, che
partendosi quello, il Delfino il seguì fino nel lito, dove nella arena se ne
morì. Similmente, si come scrive Giasone Egesidemo, un garzone chiamato Hermete
cavalcava un Delfino nel mare; onde avenne, ch'una fiata il fanciullo dall'onde
del mare restò morto; di che dal Delfino fu ricondotto nel lito, il quale
chiaramente conoscendosi esser stato cagione della morte del giovanetto, non
volle più ritornare nel mare, ma nel lito volse morirgli appresso. Che più
dirò? Non è cosa nuova, nè inusitata, che i Delfini habbiano havuto
domestichezza con gli huomini. Ma ritornando onde ci siamo partiti. Sono di
quei, che dicono Melanthone essere interpretata bianchezza, la quale si nasce
dalla schiuma del mare, & porta di sopra i Delfini, & gli altri pesci;
onde da Nettuno, cioè dal mare è violata, il qual l'inghiottisce, & di
nuovo la ristaura. Ma io non so onde eglino habbiano ciò cavato, perche so
bene, che Melan in Greco, Latinamente significa negro.
Idothea fu figliuola del vecchio
Protheo, si come nell'Odissea testimonia Homero, dicendo;
Idothea di Protheo figliuola
Vecchio marino Iddio, a la cui
mossi,
Et
grandemente l'animo inchinai.
Et poco dapoi segue, introducendo
ella, che parla al re Menelao di Protheo suo padre in questa forma.
Et l'immortale Protheo d'Egitto
A cui del mar son tutti i fondi
rotti,
Et di Nettuno è servo, ogn'uno
parla
Questo esser padre mio; io di lui figlia.
Dice Homero, che colui andò
incontra a Menelao nell'Isola di Faro, la quale è dirimpetto d'Alessandria
d'Egitto, dove dalla contrarietà de venti a forza era ritenuto; onde ella il
consigliò, che andasse a ritrovar' il padre suo, insegnolli il modo, che havea
a tenere; & alla fine il nascose insieme con tre altri compagni nell'antro
di Protheo sotto le pelle di tanti Buoi Marini. Secondo l'opinione d'alcuni,
Idothea s'interpreta formosa Dea, per la cui vogliono, che s'intenda la tranquillità
del mare, attento che per quella tranquillità, avenne, che Menelao si condusse
a Protheo.
Corufice secondo Cicerone, fu
figliuola dell'Oceano, la quale egli afferma, che da gli Arcadi è chiamata
Corion, aggiungendovi, ch'ella piacque a Giove, la quale essendo seco
giacciuta, partorì Minerva, cioè quella, che delle carette di quattro ruote fu
inventrice. Perche poi ella sia chiamata figliuola dell'Oceano, il che mai non
è stato detto da altri, egli si può rispondere quello, che alle volte è stato
dell'altre, cioè, che fu donna nobile, & nata d'intorno i liti dell'Oceano.
Overo vogliamo dire cosa, ch'è anco possibile, Oceano esser stato qualche huomo
notabile cosi chiamato per alcuna conformità con l'Oceano.
Gli antichi Theologi de' Gentili
vollero, che Nereo Iddio marino fosse figliuolo dell'Oceano, & di Theti
maggiore; indi gli attribuirono per moglie Dori sua sorella, di cui vogliono,
che generasse una gran schiera di Ninfe. Questi s'intende l'acqua, percioche
Neros in Greco significa acqua. E poi figliuolo dell'Oceano, & di Theti,
percioche da lui esce ogni acqua. Che anco sia chiamato con altro nome, ciò
puote nascere, perche sia un seno di mare; ma s'egli cosi, non fu fatto a quel
tempo, che fu l'Oceano. Attento che Pomponio Mela narra, che fu opra di Hercole
il partire già Abila Promontorio di Mauritania da Calpe Monte d'Hispagna,
essendo amendue insieme congiunti; onde da indi in poi l'Oceano entrò fra
terra, di che l'Oceano divenuto Mediteraneo, puote acquistare nuovi nomi. Nereo
poi cangiato in maritaggio con Dori suo, cioè con l'amarezza dell'acque
appresso noi generò molte ninfe, cioè humiditadi, le quai forse non v'erano
prima.
Ninfe è general nome di tutti le
humidità; il che dico; percioche le humidità secondo le diversità delle cose,
alle quali servano, pigliano anco diversi nomi, si come si dirà poi. Queste si
come è stato detto, sono state chiamate figliuole di Nereo, & Dori, attento
che dal mare ogni humidità deriva. Di queste veramente altre sono marine; onde
si nomano Nereidi dal padre Nereo. Di queste Homero nella Iliade ne ricorda
trentatre, le quali dice, che vennero a condolersi con Theti afflitta per la
morte d'Achille suo figliuolo, delle quali questi sono i nomi, Glauci, Thalia,
Cimodoce, Nisea, Spio, Thoi, Cimothoi, Atthei, Liminoria, Melite, Giera,
Anfitoi, Agave, Doto, Proto, Ferusa, Dinameni, Doxa, Meni, Anfinome,
Gallianira, Dori, Panopi, Galathea, Nimerte, Apsedi, Calianassa, Climene,
Ianira, Dianassa, Mera, Orithia, & Amathia. Oltre ciò dice esservene dell'altre.
Se alcuno havesse le significationi de nomi di queste, credo, che facilmente
avertirebbe quelle esser proprietadi d'acque del mare, ò accidenti d'intorno a
quelle. Ve ne sono delle altre, che si chiamano ninfe de fiumi, & si dicono
Naiadi; percioche Nais s'interpreta flusso, overo commotione; & però dette
Naiadi, perche fanno ondeggiare i fiumi, & stanno in continuo moto. Di
queste Virgilio nella Georgica ne noma diciotto, cioè Clime, Drimo, Xanto,
Logea, Filedoce, Nisea, Espio, Thalia, Cimodoce, Cidippe, Licora, Clio, Berce,
Efire, Opi, Deiopea, Aretusa, & Achao, le quai istimo dinotare diverse
proprietà di fiumi. Nè perciò ci nuoce, che tra queste ve ne sia nomata alcuna
delle Nereidi, dovendo noi credere, che il mare e i fiumi in alcune proprietadi
si convengano. Ve ne sono anco delle altre, che si chiamano Napee, e sono di
fonti, e cosi sono dette quasi Naptee, cioè cataratte e origini d'acque,
attento che Napta appresso Persi è l'istesso che è fomite, di che i fonti sono
continuo nodrimento di fiumi. Di queste se ne ricordano nove, a quali è
dedicato il fonte Castalio, i cui nomi non narrerò qui, perche si chiamano
Muse, e di queste altrove se ne scriverà a lungo. Ve ne sono anco delle altre
che si chiamano di boschi, e si dicano Driadi percioche Drias si chiama
albergo, overo quercia. Di queste Claudiano dove tratta delle lodi di
Stillicone, ne ricorda sette, cioè Leontadome, Neuopene, Tero, Britomarti,
Licaste, Agaperte, e Opi, le quai non dubiterò io che siano proprietà di alberi
interpretati generale. Ve ne sono anco delle altre che si chiamano de gli
alberi, e sono dette Amadriadi. Altre poi di monti chiamate Oreadi, percioche
Oron in Greco significa latinamente Monte. Cosi anco altre si dicono Himnidi,
si come piace a Theodontio, le quali sono ninfe di prati e di fiori. Tutte
queste, dice Aristotile che alle volte muoiono, e mancano si come fanno i Pani
e Fauni. Ma Plinio nel libro dell'historia naturale non consente semplicemente
che le Nereidi siano acque, overo proprietà d'acque, dove in tal forma dice; Et
la opinione delle Nereidi non è falsa, percioche hanno il corpo peloso, e
coperto di squame, e il loro volto ha effigie humana attento che nel medesimo
lito, cioè degli Olsipolenti, questa è stata veduta, della cui morendo, gli
habitatori di lontano sentirono il tristo canto. Et il Legato della Gallia
scrisse al divo Augusto, che nel lito apparirono molte Nereidi mezze morte.
Questo dice Plinio. Onde per confermar meglio questa opinione, segue poi
dicendo. Ho autori chiarissimi
dell'ordine Equestre, che da loro fu veduto nel Gaditano Oceano un'huomo marino
di notte con tutto il corpo montare sopra una nave, e di sorte aggravarla da
quella parte che era salito; che se molto vi fosse dimorato, ella si sarebbe
affondata. E al tempo di Tiberio Imperadore, dirimpetto al lito dell'Isole
della provincia di Lione, l'Oceano gittò a riva piu di trecento bestie di
diverse sorti, e grandi a maraviglia, nè pochissime furono quelle gittate nel
lito de Stantoni, e tra l'altre vi furono Elefanti, e montoni per la bianchezza
delle corna a loro simili, ma vi furono molte Nereidi. Questo narra Plinio. Ve
ne sono anco, accioche molto non si dilungiamo dal significato del vocabolo,
delle altre ninfe, si come spesse fiate i Poeti ne hanno nomate, come sarebbe
Circe, Calisto, Climene, e molte altre simili, le quai furono vere donne, nè di
loro si deve intendere fittione alcuna, anzi per tali sono da intendere le
donzelle vergini, nobili, che sempre stanno rinchiuse nelle camere, onde sono
dette ninfe, perche da flemmatica complessione che sono nudrite, come humidi, e
molli, sono delicate, e tenerelle, e in loro, si come in cose acquose,
leggiermente ha potere ogni impressione. Le femine rozze per lo piu, rispetto
alla fatica, & al caldo del Sole, sono di dura pelle, & molto pelose,
onde meritamente hanno perduto il nome di ninfe. Et questo in generale si ha
detto delle ninfe.
Cimodoce ninfa è una delle
figliuole di Nereo, la quale (secondo Servio) è interpretata corso dei flussi
marini.
Theti minore fu una delle ninfe,
della cui dice Ovidio ch'ella essendo andata a consultarsi con Protheo di
quello che havesse a venir, in tal modo le fu risposto.
Tu sarai madre d'un figliuolo, il
quale
Con l'arme forti vincerà del padre
I fatti,
& detto fia di lui maggiore.
Finalmente essendo bellissima
donzella fu amata da Giove, il quale nondimeno per tal oracolo smarrito,
accioche forse di lui non venisse a partorire un figliuolo che lo havesse poi a
cacciare del Reame, si astenne dal congiungersi seco. Ella poi fu maritata in
Peleo figliuolo del Re Eaco, e di lui si impregnò, e partorì Achille, il quale
fu dato a nudrire à Chirone Centauro; onde nella guerra Troiana havendo Achille
perdute le sue armi, le quai havea prestato a Patroclo, che fu amazzato da
Hettore, Theti ne dimandò per lui a Vulcano di nuovo. Alla cui favola, et
massime d'intorno alla risposta di Protheo, diede occasione la manifesta forza
di Achille. Dice Leontio, che costei fu figliuola di Chirone, & che habitò
nell'Isola di Theti, ma non solamente per haver habitato in quell'Isola del
mare fu tenuta figliuola del mare, & chiamata Theti, quanto per li costumi
del figliuolo, percioche fu furioso, & crudele a guisa del mare; & però
fu detto figliuolo di Theti, cioè di furore: onde a lei ne restò poi tal nome
per la furia del figliuolo, attentoche prima era chiamata altrimenti.
Galatea, si come mostra Ovidio,
fu figliuola di Nereo, & di Dori. Della cui si narra favola tale, Aci
bellissimo giovanetto Siciliano fu amato da Galatea, della quale Polifemo
Ciclope era molto innamorato, il quale veggendo che ella punto di lui non
curava, & trovando un giorno Aci congiunto con Galatea sdegnato si pigliò
quello, & il percosse ad un sasso, & amazzollo; onde Galatea il
trasformò in un fiume Siciliano. Della qual favola la allegoria può essere
tale. Galatea è dea della bianchezza, la quale piglio per quella schiuma che
fanno l'onde irate che si percuoteno insieme; ella ama Aci, cioè raccoglie un
fiume, perche tutti i fiumi vanno in mare. Ma Theodontio dice che sotto questa
favola vi giace una historia, affermando che Polifemo fu crudelissimo tiranno
di Sicilia, il quale amando Galatea bellissima donzella, & havendola per
forza violata, avenne che si accorse che si congiungeva con Aci giovanetto di
Sicilia, onde sdegnato lo amazzò & il fece gittar in un fiume, al cui da
indi in poi fu dato il nome del giovane, ma contra Galatea, vinto dallo amore,
non fece altro.
Ho ritrovato due essere state le
Aretuse, l'una delle quali fu figliuola di Nereo & di Dori, & di lei si
recita tal favola. Dicono che costei fu ninfa di Elide, & compagna di Diana,
la quale lassa, & ignuda lavandosi nell'onde Alfee, essendo veduta da Alfeo
fiume d'Elide, incontanente egli innamoratosi di lei, volse ritenerla, di che
ella smarrita si diede a fuggire; ma seguendola il fiume, & essa veggendo,
che non poteva salvarsi, si rivolse con preghi a Diana sua signora, che le
donasse soccorso; la onde quella la nascose in una nuvola, d'intorno la cui
andando il fiume, Aretusa per tema venuta in sudore, si cangiò in fonte, alle
cui onde sforzandosi Alfeo congiungere le sue, ella dalla terra fu inghiottita,
& fino nell'Isola Ortigia portata, & indi per insino in Sicilia; la
dove anco (dicono) Alfeo haverla seguita, nella cui favola si comprende un
manifesto mostro. Percioche egli è cosa certa Alfeo essere fiume d'Elide, &
haver l'esito vicino a Siracusa di Sicilia, il che pare, che Seneca Filosofo
confermi, dove nelle questioni naturali cosi dice; Alcuni fonti in una certa stagione gittano
fuori le purgationi, si come nella Sicilia Aretusa ogni quinta estate per li
giuochi Olimpi. Indi egli è opinione Alfeo fino di Achaia scender ivi, &
sotto il mare fare il suo corso, nè altrove pria che nel lito di Siracusa
attufarsi; percioche in quelli giorni ne' quali sono i giuochi Olimpi, lo
sterco delle vittime rientrino ivi per le bocche del fiume. Questo dice Seneca.
Da tale occasione adunque la favola ha ritrovato il suo luogo. Tuttavia Ovidio
ne suoi versi per dimostrare il miracolo maggiore, la fa cosi parlare;
Parte fui pur di quelle Ninfe
anch'io,
Disse Aretusa, ch'in Achaia sono.
Nondimeno, bench'egli dimostra
costei esser stata dalla terra inghiottita, tuttavia dice non essere venuta in
Sicilia, ma nell'isola Ortigia haver dirotto. Qualmente poi venne in Sicilia,
egli non si sa, ma fosse, ò venisse come si voglia, questa dimostra essere
quella istessa, la quale afferma in Elide essere stata da Alfeo amata, & in
tal modo per sotteranee cave essere pervenuta in Sicilia, si come anco pare che
testimoni Virgilio a lei dicendo;
Cosi mentre trascorri sotto l'onde
Del mare Sicilian, l'amata Dori
Nel mezzo
non vi meschi l'onda sua.
Et in questo modo il fonte, &
indi il fiume da Elide viene in Sicilia, & per lo seguito del fiume si ha
imaginato l'amore di lui verso il fonte. Ma l'altra Aretusa è un fonte
nell'isola Ithacia, di cui cosi parla Homero.
Appresso la pietra di Coraco, & la fonte Aretusa. Leontio poi, di
questa Aretusa riferisce in Ithacia essere stato un certo cacciatore, il quale
hebbe nome Coraco, che divenuto furioso, precipitosamente da una pietra si
gittò nel mare, & perciò quel tal sasso da lui fu detto Coraco: onde la
madre di quello chiamata Aretusa, veggendo questo fu assalita da tanto dolore,
che lasciandosi cadere nel fonte vicino a quella pietra, ivi si affogò, &
in tal modo da se diede il nome al fonte, per la qual cosa due vengono ad esser
i fiumi chiamati Aretusa. Ma Solino dove tratta delle cose maravigliose del
mondo, ve ne aggiunge il terzo, affermando appresso Thebe esservi un fonte
detto Aretusa, tuttavia non manifesta vicino a qual Thebe.
Il fiume Acheloo, si come dice
Paolo fu figliuolo dell'Oceano, & della terra. Servio fa Theti essere la di
lui madre. Theodontio chiama lui figliuolo del Sole, & della terra. Ma
Homero nella Iliade vuole non solamente Acheloo, ma tutti i fiumi esser figliuoli
dell'Oceano, cosi dicendo; Nella gran
potenza del profondissimo Oceano, dal quale tutti i fiumi, tutto il mare, &
tutti i rivi discendono di lontano. Ma per li versi di Virgilio nella Georgica
si puote comprendere la terra essere madre de fiumi, mentre dice;
De la madre mirando iva la casa,
De l'acque rimirava tutti i fiumi,
Et pieno di stupor per lo gran moto
Ne le spelonche, e i risonanti
boschi
Gli humidi regni, & i rinchiusi
laghi
Correnti, esser locati entro la
terra.
Stando adunque anzi il suo
nascimento i fiumi rinchiusi nel ventre della terra, & uscendo fuori di
questo, benissimo la terra viene detta loro madre. Tuttavia quello che diceva
Theodontio non è senza ragione. Percioche i Fisici vogliono dalla forza del Sole
alcune acque essere condotte nelle caverne della terra per l'humidità de'
vapori del Sole, che seguono il calore; i quali mandando fuori i vapori nelle
fredde viscere della terra, si cangiano in acqua, la quale per gli occulti
aditi venendo di sopra, diviene fonte, & alle volte partorisce un fiume.
Quello poi che dell'origine di costui s'è detto, è necessario che s'intenda de
gli altri, affine che non bisogni replicare ogni fiata che si parlerà di
qualche fiume. Ma questo fiume (come dice Ovidio) già perche si partiva in due
corni, era famoso. Finalmente per haver richiesto Deianira figliuola di Ceneo
Re di Calidonia per moglie, che pria era stata promessa ad Hercole, venne seco
a battaglia, & essendosi trasformato in diverse forme, alla fine restò vinto
& privo della sposa, è d'un corno. Oltre ciò Lattantio & Servio dicono,
che costui fu il primo, il quale pose il vino nelle tazze: il che dimostra anco
Virgilio;
Et d'Acheloo mischiò l'uve in le
tazze.
Indi vollero che fosse padre
delle Sirene. A quelli che cercano sapere ciò che per questo si debba
intendere, egli è da sapere, che il fiume Acheloo nasce dal monte Pindo, si
come scrive Plinio, & afferma Vibio Sequestro de' fiumi, ch'egli fu il
primo, che cavasse la terra, e (si come dice l'istesso Plinio) divide
l'Arcanania dall'Etolia, & scorrendo per li confini de' Perebi, si diffonde
nel porto di Malega, tenendo dirimpetto alla bocca l'Isole Thinide, delle quali
per lo continuo gittar della terra, ne congiunse alcune alle vicine, il
contrasto poi tra lui, & Hercole, dove scriveremo le fatiche di quello
secondo il poter nostro le esporremo. Ch'egli poi fosse il primo che ponesse il
vino nelle tazze, istimo gli antichi non haver voluto intender altro, eccetto
ch'egli fosse il primo ch'in Grecia piantasse le vigne, le quali pria non erano
in uso, & cosi da quel primo luogo essersi tratto il vino. Delle Sirene poi
si dirà di sotto.
Afferma Fulgentio, e Servio, che
le Sirene furono tre e figliuole di Acheloo, e della Musa Calliope, l'una delle
quali dicono che canta a voce, l'altra con la Cetra, l'altra col Flauto. Ma
Leontio vuole che fossero quattro cosi chiamate Aglaosi, Telciope, Pisno, e
Ilige, facendole figliuole d'Acheloo, e della Musa Tersicore, aggiungendo che
la quarta canta nel timpano. Dice Ovidio, che queste furono compagne di
Proserpina, e che essendo rapita, la cercarono molto, la quale non potendo da
loro essere ritrovata, furono alla fine converse in marini mostri, che hanno la
faccia di donzelle, e il corpo fino all'ombelico di femina; da indi in poi sono
pesci, i quali dice Alberigo essere alati, e haver i piedi di gallina, e che
essendole rimasta l'arte della melodia, della quale erano ammaestrate prima che
si cangiassero, cantano dolcemente. Oltre ciò (secondo Servio) prima appresso
Peloro Promontorio di Sicilia, indi appresso la Isola Caprai, se ne andarono.
Ma Plinio dice, che Napoli di Calcidia anco, et essa Partenope dalla tomba
delle Sirene essere detta Sirene. Et cosi vegniamo ad haver cinque Sirene. Indi
poco dapoi dice, l'istesso Plinio Sorento con il Promontorio di Minerva essere
una certa Sirene. Aristotele poi dove tratta delle maravigliose cose da udire,
dice: Nello ultimo della Italia, dove il
Peloro fassi da Apennino conceder l'adito al mare Tirreno nello Adriatico,
esservi le isole Sireniche, e ivi a quelle essere un Tempio sacro edificato,
nel quale molto con sacrifici sono honorate, le quali essendo tre, non è fuori
di proposto ricordare i loro nomi. la una di quelle adunque si chiama
Partenope, la seconda Leucosia, la terza Ligia. Questo egli narra. Appresso
dicono, che queste con la dolcezza del suo canto fanno addormentare i
nocchieri, e addormentati gli annegano, & alla fine affogati gli divorano,
la onde gli antichi dipingevano ne i prati nel mezzo delle ossa de morti, e
alcuni vogliono che elle si morissero per doglia, non havendo potuto tirare a
se Ulisse che d'ivi passava, si come nella Odissea descrive Homero. questo di
loro mi ricordo haver letto, onde quello che sotto sopra ciò si comprenda è
d'avertire. Prima de gli altri Palefato nel libro delle cose incredibili scrive
queste esser state meretrici avezze ingannare i naviganti, e Leontio afferma
antichissima fama essere appresso gli Etoli i primi atti meretricij de i Greci
essersi usati da quelle, & tanto benissimo haver adoprato il ruffianesimo,
che quasi tutta la Grecia da loro fu ridotta a sue voglie; onde perciò istima
da tali operationi la favola delle Sirene haver havuto principio, & cosi
quel fiume d'Etolia le viene dato per padre, attento che vicino lui
incominciarono i primi suoi scelerati essercitij: e affine che per lo corrente
fiume suo padre intendiamo le abondanti lascivie, e la concupiscenza delle
meretrici, alle quali per la piacevole facondia di quasi tutte, Calliope, cioè la
buona sonora armonia viene ascritta per madre. Indi la prima viene detta
Partenopea da Paterno, che significa vergine; percioche le astute meretrici,
volendo allacciare gli stranieri, sono solite fingere atti, e costumi di
donzelle, overo di pudiche femine, cioè abbassar gli occhi, parlar poco, non si
lasciar toccare, con atti lascivi e fanciuleschi, & simili altre cose,
affine che per questo gli ignoranti istimino lo amico della honestà esservi
guardia, e ricerchino quello che non conoscono, e che conoscendolo
fuggirebbono. La seconda per narrar ogni cosa minutamente, si chiama Leucosia
da Leucos, che vuol dire bianco; onde istimo ciò esser detto per la formosità
della faccia, e l' ornamento del corpo, e de gli habiti, e per l'apparenza
delle splendide vesti, de quali le dishoneste vanno ornate. Percioche, se
lasciassero questi tali ornamenti, da gli ignoranti per gli esteriori essendo
giudicati gl'interiori, cosi leggiermente non havrebbono il suo intento,
essendo per generale natura i poveri e i brutti sprezzati. La terza si dice
Iligea, da Iligi, che significa circolo overo giro; la onde s'intende la
prigionia dal male aveduto, la quale di maniera tiene legato i presi, che se
bene anco conoscerano essere celebratissime quelle che dalle dolci parole, i gemiti,
le carezze, i risi lascivi, e gli altri atti con che gl'imprigionati nocchieri,
cioè smarriti, sono guidati dal sonno da queste tali, cioè allo oblio di se
medesimi, se stessi con pazza speme ingannando, fino a tanto che a queste
ingorde non hanno dato tutte le merci, le facultadi, e i navili, e cosi
affogati non nel mare, ma nello sterco della vergognosa libidine; sono divorati
da questi marini, anzi infernali mostri; le quali doppo havergli spogliati, e
cacciati via ne i prati, cioè nelle dilicie, tra l'ossa de gli infelici, cioè
prive delle memorie de i privati, si fermano, overo gli istessi aggravano
d'infame servitù. Dissero poi, che dall'Ombelico in giù sono pesci, accioche
conosciamo all'honore delle donne fino ivi, il corpo verginale, cioè il bello,
& honesto a quelle essere concesso, ma scendendo poi piu a basso, gli
huomini tengono dall'Ombelico in giu essere tutta la concupiscenza carnale
delle donne; la onde non senza ragione sono assimigliate a i pesci, che sono
animali instabili, e leggiermente quà, e là per l'acque guazzano, cosi veggiamo
le meretrici discorrere nel coito di diversi, il che anco si descrive per le
ale. Volsero poi che havessero i piedi di gallina, percioche spargono le
ricchezze quei che prodiga, e inconsideratamente le credono. Che fossero
compagne di Proserpina, istimo essere stato finto, perche Proserpina s'intende
la Siciliana abondanza delle cose, dalla cui per lo piu l'atto libidinoso
segue, e le delitie de i cibi e de gli otij si ministrano. Ma questa essendo
levata, si come si fa, e restandovi per la consuetudine l'appetito, mentre la
si cerca, nè si trova, e per lo disaggio l'appetito cresce aviene che da molti
fino ne i luoghi infami si ricerca. Dicono appresso che habitano l'Isole, e i
luoghi del lito; il che si è detto, perche cosi è. Percioche simili femine dove
sono conosciute, non ponno far presa; la onde avedutamente habitano luoghi,
dove spesso vengono forestieri, affine che non essendo conosciute, possano
allacciarli. Di queste Sirene veramente il pieno di spirito divino Isaia
dice; Le Sirene, e i Dimonij saltaranno
in Babilonia. Sono poi le Sirene dette da Sciron, che significa tratto,
percioche tirano a se.
Come dice Pompo, Inaco è
grandissimo fiume d'Acaia, che irriga gli Argoli campi. Questi si come gli
altri, viene detto figliuolo dell'Oceano, & della terra, per lo quale
gl'antichi vogliono che s'intenda di Inaco Re di Sicioni, dal cui hebbe nome,
il quale (secondo Eusebio) regnò nel tempo che Balameo, overo Xerse signoreggiò
appresso gli Assiri, circa gli anni del mondo tremila trecento quarantasette,
nel qual tempo nacque Giacob.
Fu Ione (secondo Ovidio) figliuola
d'Inaco, della cui recita favola tale. Che essendo bellissima donzella, fu
amata da Giove, il quale veggendola ritornare dall'onde del padre, tuttavia
seguendo, & pregando quella che fuggiva, con una nube la ricoperse, &
la impregnò; onde Giunone riguardando dal Cielo in terra quelle tenebre, mossa
da gelosia, sospettò alcun male, è fece serenar l'aria; il che veggendo Giove,
per coprire il peccato, trasformò la donzella in vacca, & donolla mal
volontieri a Giunone, che lodando la bellezza di quella, gliela dimandò, la
quale incontanente la pose in guardia d'Argo figliuolo d'Aristeo, che haveva
cento occhi; de quali solamente due alla volta per dormire si serravano; onde
Giove di lei havendo compassione, mandò Mercurio che la liberasse, il quale
pigliando forma di Pastore, con Argo si congiunse, al quale, insegnando sonare
la fistola, tanto fece, che lo toccò con il Caduceo, & costrinse tutti gli
occhi di quello ad un tratto chiudersi in sonno: indi fattollo addormentare,
con un coltello lo amazzò; il che veduto da Giunone, ella tolse gli occhi
d'Argo, & li pose alla coda del Pavone suo uccello, alla giuvenca poi tal
furia fece venire ch'ella si diede di sorte a fuggire, che passati molti paesi,
non prima si fermò, che giunse in Egitto, dove riposò, & a preghi di Giove,
da Giunone le fu ritornata la primiera forma, & (si come la maggior parte
vuole) a Giove partorì Epapho, & il mandò ad Api suo nepote, & di Io,
da Egittij fu detta Isis. Della cui favola doppio essere il sentimento istimo,
cioè il naturale, & l'historico, de quali il naturale, tengo tale, cioè,
che in questo luogo (secondo l'opinione di Macrobio) Giove si debba pigliare in
vece del Sole, il quale Sole ama la figliuola del fiume Inaco, cioè l'humidità
vitale del senso humano, per operare in quella, & fare quello che dice
Aristotele; l'Huomo, & il Sole, genera l'huomo: la quale humidità, secondo
la fittione, figliuola d'Inaco, allhora con tenebre circonda quando nel ventre
della madre, per opra sua accresce il conceputo parto, & il conserva, le quali
tenebre poi Giunone, cioè la Luna, alla quale si appartiene ampliare i meati de
i corpi, allhora risolve, che è chiamata secondo l'antico costume; percioche
era tenuta Dea dei parti, conduce quello a termine in luce, il quale già al
Sole havea trasformato in vacca, cioè con l'humidità dell'human seme havea
fatto animale; & però l'huomo si dice trasformato in vacca, perche si come
la giuvenca è animale fruttuoso, & faticoso, cosi l'huomo, il quale, si
come l'uccello al volo, & esso nasce alla fatica, la quale se è fruttuosa,
esso Iddio il sa. Finalmente questi già nato, è dato in guardia ad Argo, cioè
alla ragione, la quale veramente sempre ha molti occhi, che per salute nostra
vegghiano. Ma Mercurio, cioè l'astutia della piacevol carne, col Caduceo, cioè
con le acutissime persuasioni, fa addormentare la ragione, & la amazza, e
havendo vinto, & gittata quella a terra, Giunone, cioè la concupiscenza de
Regni, delle preminenze, e ricchezze, manda alla vacca, che è all'humano
appetito, la rabbia, cioè lo stimolo della sollecitudine d'acquistare. La onde
noi infelici pigliamo, il corso, andiamo vagando quà, & là, siamo
travagliati cercando riposo in quelle cose, nelle quali non che vi sia questo,
ma vi è una tale continova fatica, che all'ultimo guida noi affaticati in
Egitto, cioè nelle tenebre esteriori, dove è il pianto, e lo stridor de denti.
Et se noi per gratia divina non è concesso aiuto, diventiamo Isis, cioè terra;
perche Isis cosi s'interpreta; è da tutti si come cosa vile & abietta,
siamo calcati; & questo si è detto in quanto al senso mistico, &
naturale. All'historiale poi parmi che basti quanto di sopra s'è detto d'Isis
figliuola di Prometheo, se questa piu tosto vogliano essere, che quella Isis
Egittia. Ma Theodontio, e Leontio chiaramente negano questa Io esser passata in
Egitto, nè mai havere havuto nome Isis, anzi l'uno di loro dice, quella havere
regnato appresso gli Ioni, e da se con tal nome haverli chiamati. A quali come
che molto l'autorità d'Ovidio vi sia contraria, tuttavia le toglie molta fede
la inconvenevolezza de' tempi. Percioche per testimonio d'Eusebio nel libro de
tempi, Inaco appresso Argivi regnò circa gli anni del mondo tremila trecento
quarantasette, & vuole che regnasse anni cinquanta, nel qual tempo è di
necessità che Io nascesse. Puote in tal tempo esservi Giove figliuolo
dell'Ethere, dal quale, & da Niobe figliuola di Foroneo nacque Api, &
non Epafo. Gli altri Giovi furono molto tempo doppo questo, tra quali il
secondo fu al tempo d'Isis figliuola di Prometheo. Percioche signoreggiando in
Grecia Forbante, essa Isis figliuola di Prometheo fu in fiore, &
nell'istessa età fu Argo che vedeva il tutto. Poscia l'istesso Eusebio nel
medesimo libro dice che ne gl'anni del mondo tremila seicento quarantasette,
regnando in Athene Cecrope, Io essere stata figliuola d'Inaco, & con lei
essersi congiunto Giove, et quella nell'anno 43. di Cecrope essere passata in
Egitto. Poco dapoi il detto Eusebio nell'istesso libro dice ne gli anni del
mondo 3629. essere stato Danao Re d'Argivi, & la di lui figliuola
Hipermestra essere la medesima Isis, overo Io. Ultimamente nel detto volume
afferma ne gli anni del mondo 3783. regnando Linceo in Argo, e Pandione in
Athene; essere stata Hipermestra chiamata Isis, il quale tempo assai bene si
conface con Giove Cretese, che fu il terzo Giove. Di che per tante diverse
opinioni d'historici non so che mi credere di questa Isis. Questo nondimeno io
so, che la conformità del tempo d'Isis figliuola di Prometheo con Giove, &
l'historia, la quale so bene non è vera, tuttavia è verisimile, piu d'ogni
altra cosa mi muove. Ma affine di ritornare ad alcuna delle cose per altri
dette d'intorno l'allegoria di questa Io lasciate l'altre, dicono costei essere
stata da Giove cangiata in Vacca, percioche ella navigò in Egitto sopra una
nave che portava per insegna una Vacca, la quale poscia (secondo Fulgentio)
lungamente da gli Egitij fu serbata con molta riverenza, & honorata, &
ivi mostrò le lettere a quelli che prima in vece di lettere usavano i segni,
& insegnolli il coltivar la terra, & (si come piace a Marciano) l'uso
del lino, e fu la prima ch'ivi ritrovasse le sementi, e molte altre cose
necessarie, & utili all'uso humano. Benche Agostino nel libro della Città
di Dio dice alcuni scrivere quella di Ethiopia essere venuta in Egitto Reina, e
oltre ciò essersi maritata in Api suo nepote, che doppo lei, & alcuni
dicono innanzi passò medesimamente in Egitto. Ma Eusebio scrive, ch'ella si
maritò ad un certo Telegono, & vogliono (fosse di chi si volesse) di Giove,
ò di Api, ò di Telegono, ch'ella partorisse il figliuolo Epafo. Costei appresso
per le concedute commodità con il saper suo a gli Egittij, da tutti fu tenuta
per Dea, & mentre visse adorata: e doppo morte (come dice Agostino
nell'istesso) fu di maniera a loro grata, che v'era pena la testa, s'alcuno
diceva, ella essere stata femina.
Foroneo (come scrive Eusebio nel
libro de' tempi) fu figliuolo d'Inaco, & il secondo che signoreggiasse
appresso Argivi, regnando appresso gli Assiri Beloco, & Sicioni Leucippo.
Fu veramente per industria huomo famoso, & per sapienza notabile, nel cui
tempo Argo fu la prima, che per le leggi, & giudicij divenisse famosa. La
onde per tal causa gli ammaestrati in ragion civile, dicono quel luogo da noi
chiamato Foro, cioè dove si rende la ragione, cosi nomarsi da Foroneo. Oltre
ciò dice Eusebio che di costui fu figliuolo Egialeo, & Niobe. Appresso
Lattantio afferma che costui fu il primo che sacrificasse a Giunone.
Egialeo (secondo Eusebio) fu
figliuolo di Foroneo. Costui fu Api, il quale alcuni dicono che fu figliuolo di
Foroneo, il che pare che anco Eusebio voglia, benche dica lui essere stato il
primo figliuolo che havesse Giove di Niobe figliuola di Foroneo, e che ei
generasse di femina mortale: poscia che hebbe regnato in Argo, volendo passare
in Egitto, lasciò il reame d'Acaia, ma non dice a quale regione signoreggiasse.
Ma che Eusebio parlando di Api tra se discordi, chiamandolo & figliuolo di
Giove, & di Foroneo, non è maraviglia; percioche può essere, che egli
habbia scritto il vero, attento che facilmente è possibile che fossero due, che
havessero l'istesso nome, l'uno de quali da Giove, e l'altro da Foroneo fosse
generato: e cosi la conformità de nomi, ha intricato la verità dell'historia.
Che anco fossero due, il detto Eusebio lo dichiara, l'uno de quali dice, che fu
Re de Sicioni circa gl'anni del mondo tremila dugento e ventinove: l'altro poi
appresso gli Egittii fu edificato ne gli anni del mondo tremila quattrocento
cinquantasette, & questo istesso dice Eusebio essere stato quello che ne
gli anni del mondo tremila quattrocento cinquantasette fu Re d'Argivi: &
havendo sostituito Egialeo suo fratello Re d'Acaia, navigò in Egitto. Oltre ciò
l'istesso Eusebio scrive, che ne gli anni del mondo tremila quattrocento
tredici, Giove si congiunse con Niobe figliuola di Foroneo, & di lui
partorì Api, il quale poi da gli Egittii fu detto Serape. Iddio di ciò vegga la
verità. Io non intendo questi intrichi, non che mi dia l'animo sciorgli.
Niobe, come piace ad Eusebio, fu
figliuola di Foroneo, benche Gervaso Tileberese nel libro de gli otii Imperiali
affermi costei essere stata madre, non figliuola di Foroneo; il che non è
possibile che la madre, e la figlia havesse un nome istesso, dicendo prima
Eusebio, e doppo lui Lattantio, che con lei si congiunse Giove, che prima con
alcun'altro mortale non s'era congiunto: onde di lui partorì Api, che dopo
Foroneo regnò in Argo, & dagli Egittii fu poi detto Serapi.
Dando fede ad Agostino, Fegeo fu
figliuolo del fiume Inaco, il quale morendo giovanetto, alla di lui sepoltura
fu edificato un Tempio, & ordinati sacrifici a fine che come Dio fosse
honorato. Egli era stato il primo ch'a gli Dei havea instituito luoghi sacri,
essequito i culti divini, & insegnato a suoi popoli partire le stagioni in
mesi & anni, per li quai meriti da suoi fu tenuto per Dio.
Peneo è fiume di Thessaglia,
& medesimamente si come gli altri famoso figliuolo dell'Oceano, non poco da
i versi de' Poeti, & dalle scritture de gli historici inalzato. Costui
hebbe due figliuole, cioè Cirene, & Dane.
Secondo Virgilio, Cirene fu
figliuola del fiume Peneo. Dice Giustino, che costei fu rapita da Apollo, del
quale partorì Aristeo, & i fratelli. Di costei, la quale secondo la verità,
fu figliuola del Re Peneo, che appresso il Peneo signoreggiava, la favola,
& la historia a pieno si è dichiarata di sopra, dove s'è detto di Aristeo.
E chiarissima fama, che Dane, ò
vogliamo dire Dafni, fu figliuola del fiume Peneo, è da Apollo, fuori di misura
essendo bellissima giovane, è donzella, amata, il quale seguendo lei che
fuggiva, ella con preghi a gli Dei rivolta per loro misericordia fu in Lauro
conversa; e indi da Febo per ornare le sue cetre, e le faretre pigliata: per la
qual favola (s'io non m'inganno) si tocca la ragione naturale: per Dane si deve
intendere l'humidità, la quale procede da esso Peneo d'intorno la riva d'esso
fiume; onde fu detto Apollo essersi innamorato di lei, percioche con il calore
de suoi raggi la leva in alto, è alle volte la risolve in aere: è però
l'humidità, si come naturalmente aviene, che ciascuna cosa fugge, e rifiuta
quello per lo quale dall'essere al non essere è condotta, conduce se
all'intrinseco della terra. Ivi adunque non potendo Apollo guidarla molto, opra
in lei il suo potere, & abbondando quel paese di semente di Lauri fa
nascere Allori: & cosi Dane, cioè l'humidità figliuola di Peneo, è pure
conversa in Lauro. Ma egli è da veder la ragione, perche le loro frondi fossero
da Apollo dedicate alle sue faretre, la quale può essere tale. Fu antichissimo
costume de Greci secondo le qualità de gli abbattimenti che nelle loro
solennitadi erano diversi, tra gli altri doni con corone di frondi honorare i
vincitori; & tra gli altri, come piu degno, celebrandosi l'agone di Fitone
in memoria del vinto Fitone da Apollo con maggiore cura & diligenza, al
vincitore si donava la girlanda d'alloro. Medesimamente si concedeva a Poeti, e
spetialmente a quei che in versi heroici sacravano a perpetua memoria i fatti
degni de' passati maggiori; percioche pareva che questi tali senza la facondia
d'Apollo non potessero comporre cosi sublimi versi; onde si come per la faretra
d'Apollo volevano disegnare l'arco, & gli strali, cosi per la cetra i
Poeti; e di qui fu detto le cetre, e le faretre di Apollo ornate di Lauro, il
quale costume poscia pervenne con universale gloria delle cose fino a Romani, e
da loro tanto fu istimato, che solamente a quelli a' quali era conceduto il
trionfo, era anche data la corona d'alloro, eccetto i Poeti, i quali vinta la
lodevole fatica, ne fossero giudicati degni; il che il famoso huomo Francesco
Petrarca, al quale non è molto che fu conceduto tanto honore, nelle Epistole
dimostra, dicendo;
Le corone di fiori a le donzelle,
Quelle d'alloro dannosi a Poeti,
Et tali anchora a i Cesari si
danno,
Onde a l'uno, & a l'altro è
gloria pare.
Nè stava in potere d'alcuno di
bassa conditione tale autorità, ma solamente di ciò il Senato solo poteva
disporre, la quale potenza poi gli è stata, si come l'altre cose, da i Prencipi
levata. Qual ragione poi movesse gl'inventori a ricercare tal costume, ciò non
è nascoso. Dice Isidoro, & Rabano, che Lauro è detto da laude; percioche
anticamente l'alloro si chiamava Laude: onde perche i vincitori, per li quali
era conservata, & accresciuta la Republica: & i Poeti, per li quali
meriti de gli huomini con maravigliose lodi erano inalzati, erano ornati di
frondi, che dinotavano laude. Oltre ciò questo arbore sempre verdeggia, accioche
per lo suo verdeggiare si dimostra la fama de' buoni meriti perpetuamente
essere verde, e perche è solo tra tutti securo dal folgore: cosi il verde dalla
gloria di questi tali non può essere offeso dal folgore dell'invidia. Appresso,
questo arbore è consecrato ad Apollo, perche dimostra havere in se una certa
virtù nascosta da indovinare. Percioche
dicono, che se alcuno pone sotto il capo d'uno che dorma delle frondi di Lauro,
egli si sogna cose vere; & però ad Apollo Iddio dell'indovinare è
consecrato.
Il Nilo è un fiume Meridionale,
che divide l'Egitto dalla Ethiopia, figliuolo dell'Oceano, & della terra.
Costui, secondo alcuni latinamente è detto Melo, e i nostri Theologi nelle
scritture sacre dicono che si chiama Geon. Di questo molte maravigliose cose si
narrano. Di lui compose Aristotele un trattato, & Seneca Filosofo dove
tratta delle questioni naturali, ne dice molte cose, & doppo lui Lucano: cosi
anco io dove tratto de i monti, & fiumi, del quale, perche qui non metto
altro che il semplice nome, s'alcuno disia leggerne piu ampiamente, cerchi i
notati volumi. Noi de i discendenti da lui per ordine trattaremo.
Minerva differente dall'altre di
sopra (come dice Tullio nelle nature de' Dei) fu figliuola del Nilo, &
adorata dagli Egittij. Credo io che costei per prudenza, & arteficio fosse
notabile donna, & però fu chiamata figliuola del Nilo attento che vicino a
quello hebbe il suo dominio.
Hercole diferente da i detti di
sopra (secondo Tullio) fu del Nilo figliuolo. Dice Theodontio, che costui fu
quello che a i Frigii diede il carattere delle lettere, e che con Anteo giuocò
alla lotta; onde io istimo, che egli fosse qualche huomo famoso, &
habitatore del Nilo, & però il Nilo esserli dato per padre.
Dionisio (come dice Cicerone) fu
figliuolo del Nilo, ma non però nessuno di quei tali che si è detto; percioche
vuole che costui amazzasse Nisa, quale poi si fosse questa Nisa io non ho
ritrovato. Nondimeno sono di quelli che vogliono questo esser quel Dionigi, che
hebbe guerra contra gl'Indi, & da Perseo fu vinto, & morto. Oltre ciò
alcuni istimano essere stato quello che con Antheo hebbe contrasto; onde poi
per la vittoria acquistata, meritò il cognome d'Hercole.
Mercurio differente dai
superiori, fu quarto figliuolo del Nilo, si come si legge in Tullio. Dice
Theodontio, che costui fu quello Hermete Trimegisto, huomo pio, & molto
dotto, il quale, si come huomo gentile, maravigliosamente hebbe buona opinione
del vero Iddio in quel libro da lui scritto ad Asclepio. Questi da gli Egittij
fu tenuto talmente in riverenza, che appresso loro era grandissima scelerità
chiamarlo per proprio nome. Credo che ciò facessero per la riverenza della
deità, accioche forse nel nomarlo non si venisse a parlare della di lui
humanità, & mortalità & cosi si venisse ad abbassare in qualche grado
la divinità sua. Fu detto figliuolo del Nilo, per inalzare la gloria & di
lui, e del fiume, volendo oltre questo alcuni che egli havesse figliuoli.
Secondo Servio, Dafni fu
figliuolo di Mercurio, ma di qual Mercurio, ò di questo, ò d'altro, io nol so.
Ma io per haverlo veduto attribuito a questo, cosi l'ho messo. Fu giovane di
bellissimo aspetto, e (si come dicono) il primo pastore nelle selve.
Vuole Theodontio, che questo
Mercurio, il quale per numero viene ad essere il quinto, fosse figliuolo di
Mercurio del Nilo figliuolo, e dal padre essendo stato nomato Chat, per la
famosa, & arteficiosa scienza di lui meritò essere chiamato Mercurio, &
adorato. A costui sono attribuite le insegne che si danno a gli altri, e
appresso da Theodontio alla di lui cinta descrive il gallo, il quale dice,
ch'egli veggendo dalla fama del zio, e del padre esserli tolto il suo luogo, se
n'andò nello estremo Occidente, dove da gli Occidentali fu molto istimato, a
quali havendo insegnato molte cose appartenenti al guadagno delle Mercatantie,
& le misure, e i pesi de mercatanti, da loro fu chiamato Dio, del cui nome
la interpretation fatta dal chiarissimo huomo Francesco Petrarca benissimo
s'appartiene al titolo della sua deità. Dice egli nel libro delle invettive
contra un medico in questa forma. Onde
vogliano poi che Mercurio, da loro chiamato Iddio dell'eloquenza sia detto,
percioche pare che sia Kirius, cioè signore delle mercantie. Questo egli dice.
Vi è stato aggiunto il gallo (per lasciar l'avanzo) per dinotare la notturna
sollecitudine de mercanti, della quale specialmente in tal tempo usano in comporre
le merci, in rivedere i conti, in fare i viaggi & altre cose simili.
Chiamano questo istesso Trifono cioè conversibile, il che è proprio de mercanti
che si accostano a costumi di qualunque natione, dove vanno, e tutti i suoi
affari con una certa circonvolutione, e astutia di parlare esseguiscono, e con
sagacità, & ingegno gli maneggiano. Et perche andò in Occidente da gli
Egittij, & Greci, fu finto, che se n'andasse sotterra. Di costui Giulio
Celso nel libro della guerra Francese da Cesare fatta, cosi dice. Questi da Francesi è tenuto in molta
riverenza, e vogliono che sia inventore di molte arti, & dicono che è guida
delle strade, & viaggi, istimano c'habbia grandissimo potere ne i mercati,
e conventioni. Cicerone nelle nature de i Dei dice, che questo tale Mercurio,
chiamato Trifono, fu figliuolo di Valente & Coronide. Leontio poi
v'aggiunge che fu fratello uterino d'Esculapio fulminato, & che per dolore
della morte del fratello se n'andò in Occidente. Ma Eusebio nel libro de tempi
si accorda dicendo, che fu figliuolo di Trimegisto nel tempo che in Argo regnò
Steleno.
Norace, come dice Theodontio, fu
figliuolo del quinto Mercurio, e della ninfa Oschira figliuola del Pireneo, il
che anco pare che voglia Solino nel libro delle cose maravigliose del mondo, il
quale medesimamente con Theodontio dice, che questo Norace da Tharsalo,
Castello d'Hispagna venne in Sardigna, dove havendo Sardo figliuolo d'Hercole
dal nome suo chiamato tutta la Sardigna, egli edificato ivi un castello, a
quello pose il suo nome.
Vulcano non quello che
signoreggiò in Lenno, ma un'altro (secondo Cicerone nelle nature de' Dei) fu
figliuolo del Nilo. Questi dagli Egittij è detto Opi, & loro custode il
chiamano, onde non havendo altro letto di lui, credo che fosse qualche famoso
huomo circa le cose fabrili, & l'architettura, e vicino al Nilo haver
dominato, & però esser chiamato di lui figliuolo.
Ethiopa (come piace a Plinio
nell'historia naturale) fu figliuolo di Vulcano, onde (secondo lui) tutta la
gente di quel paese, che poi fu detto Ethiopia, e prima era nomato Etheria,
& indi Athalatia, ultimamente da questo Ethiope fu chiamato Ethiopia; il
che non è picciolo argomento ch'egli fosse grand'huomo.
Sole, come scrive Tullio, fu
figliuolo di Vulcano Egittio, & gli Egittij vogliono che la di lui Città
fosse Heliopoli, percioche in Greco Helios significa Sole. Ma Theodontio dice,
ch'ei regnò in quella Città, & fu splendidissimo Re, ma per vero nome
chiamato Merope, & c'hebbe per moglie Climene, la quale di lui partorì
Heridano chiamato Fetonte, & altri figliuoli. Leontio istimava costui,
& Ethiope un'istesso, & per lo splendore dell'occupata Ethiopia da gli
amici, e sudditi esser detto Sole.
Fetonte fu figlio del Sole
Egittio, & di Climene, si come per li versi d'Ovidio si manifesta, quando
in persona di Climene, cosi dice;
Per questo disse, splendido, &
lucente
Splendor de raggi, figliuol mio ti
giuro,
Che tu figliuolo sei di quel gran
Sole,
Il qual tu vedi, e che governa il
mondo.
Di questo Ovi. recita favola
tale. Cioè essere avenuto, che non volendo Fetonte credere ad Epafo figliuolo
di Giove, & d'Isis, da quello gli fu detto ch'egli non era figliuolo del
Sole; la onde Fetonte di ciò con la madre dolendosi, da lei fino nella stanza
del Sole fu condotto, dove dal padre benignamente raccolto, da quello sotto
giuramento impetrò in gratia per un giorno poter reggere il carro del Sole,
onde indarno persuadendoli molto il Sole, che non volesse mettersi a tanta
impresa, alla fine quello supplicante il concesse, di che essendo le sue forze
debili a reggere que' cavalli, smarrito nel vedere il segno di Scorpione,
abbandonò le redini; la onde i cavalli lasciando il solito viaggio, hora verso
il Cielo montando, hora in verso la Terra declinando, tutto quel paese del
Cielo arsero, et quasi tutta la terra, seccando molti fonti, & fiumi. Per
lo cui incendio la terra commossa, pregò Giove che l'aiutasse, il quale mosso,
da tali prieghi fulminò Fetonte, che cade nel Pò dove dalle sorelle fu pianto,
& sepolto con tale epitafio.
Qui sepolto è Fetonte, che fu guida
De' paterni destrieri, i quai se
bene
Regger non puote, tutta via morio,
Et cade per sublime, & grande
ardire.
Questa fittione, secondo il mio giudicio, sotto corteccia contiene in se historia, & natural cagione. Fu creduto da gli antichi, si come nel libro de tempi afferma Eusebio, & doppo lui Orosio prete nelle sue Croniche, nelle parti della Grecia, e dell'Oriente essere stato un grandissimo incendio nel tempo che Cecrope primo d'Atheniesi signoreggiava, & ciò essere avenuto non per opra humana, ma come mandato per infusione de sopra celesti corpi, & questo di tutti fu chiamato l'incendio di Fetonte. Per opra di tale incendio che quà, & là si sparse, occorse che i fonti & molti fiumi si seccarono, tutte le cose seminate si conversero in cenere, le selve e tutti gli alberi, le città da gli habitatori, & i paesi da i popoli s'abbandonassero, e quasi tutto il Reame paresse scaldarsi, & bollire, & essendo ciò durato per molti mesi, avvenne che circa il mezzo dello autunno, cadendo grandissime pioggie, egli si estinse, le quai cose sotto fittione con ragion tale sono poste. Fetonte prima (si come dice Leontio Thessalonio) latinamente vuol dire incendio. Questi però è detto figliuolo del Sole, perche il Sole è fonte, & origine del calore, e cosi parendo che tutto il Sole sia causato dal Sole, non inconvenevolmente fu finto padre dello incendio. Climene poi in Greco, Latinamente suona humidità, la quale perciò è chiamata madre di Fetonte, perche il calore non può continuare, se la convenevole humidità non se gli afferma sotto, & cosi dalla humidità si come dalla madre il figliuolo pare essere nodrito, e nello essere perseverato. Che Fetonte poi dimandi al padre in gratia di reggere il carro della luce, non debbiamo intender altro che un certo innato disio fino anco nelle pensibili vegetative creature di restare, et aumentare, accioche io parli nelle cose sensibili, si come delle rationali, il che anco della terra orante possiamo dire. Quello poi che vi s'aggiunge che egli veggendo lo Scorpione, havesse tema, & abbandonasse le briglie de cavalli, oltre il solito salendo in alto, e abbrusciando una parte del Cielo, & medesimamente scendendo à basso, e abbrusciando la terra, ciò è stato tolto dall'ordine continuo di natura. Nel Zodiaco vi è lo spatio di venti gradi, cioè dal ventesimo grado di Libra al decimo di Scorpione, il quale i filosofi chiamarono via abbrusciata, percioche ogni anno facendo i suoi gradi il Sole per quello spatio, pare che in terra abbrusci il tutto, attento che si faceano l'herbe, le foglie si diventano bianche, e caggiano, l'acque calano basse verso la terra, nè alcuna cosa a quel tempo si genera, e cosi dall'effetto quella parte del Cielo viene nomata. Oltre ciò fingono Fetonte circa il mezzo dello autunno fulminato, perche a quel tempo per l'opposto Sole in Occidente a Scorpione, nell'Oriente si mostrano co'l segno del Tauro le Pleiadi, l'Orione, e lo Eridano, che sono Stelle, c'hanno possa di generar pioggie, inondationi di acque, da quai s'ammorzano gli incendi, le pioggie per lo più veggiamo che caggiono circa il mezzo dell'autunno, overo prima, & durano molto; onde per loro opra tutto il superficiale calor della terra si estingue. Ch'egli anco cadesse nell'Eridano, crede ciò deversi intendere in questa forma. Dice Iginio nel libro dell'Astrologia de' Poeti, l'Eridano da alcuni essere nomato Nilo, & da altri Oceano, in vece de quali dobbiamo intendere una grandissima copia d'acque, & in questa forma considerare gli incendij per la grandissima copia d'acque cadere, cioè esser pinti non semplicemente nel Pò solo come alcuni con poca avertenza istimano. Che poi fosse fulminato da Giove, parmi che cosi si debba esporre. Alle volte i Poeti pigliano il foco per Giove, & alle volte l'aere, il quale in questo luogo si deve intendere per l'aere, nel cui ascendendo i vapori humidi diventano nuvoli, i quali se per la furia di alcun vento sono inalzati fino alla fredda regione dell'aere, subito si cangiano in acque, che cadendo chiamiamo pioggie, & cosi è fulminato, cioè estinto da Giove: cioè dall'aere cagionante le pioggie. Possiamo appresso dire, lasciata l'antica historia, il calor della state dalla temperanza dell'autunno che sopragiugne essere estinto, & risolto in nubi. Nondimeno Paolo Perugino afferma, secondo un certo Eustachio, che regnando appresso gli Assiri Spareto, Eridano, quale è anco Fetonte figliuolo del Sole Egittio con un numero delle sue genti con la guida del Nilo, con certi navilli venne in mare, e da venti aiutato giunse nel seno da noi chiamato Ligustico, dove affaticato dal lungo navigare, con i suoi smontò in terra, & da quelli persuaduto a caminar più fra terra, lasciò uno de suoi compagni chiamato Genuino debilitato dalla fortuna del mare a guardia delle navi nel lido con una parte delle genti il quale congiungendosi con gli habitatori di que' luoghi, ch'erano huomini rozi, & selvaggi, edificò un castello, & dal suo nome il chiamò Genova. Ma Eridano passati i monti, essendo giunto in un'ampia, & fertile pianura dove ritrovò huomini rozi, & agresti, nondimeno feroci, s'imaginò con l'ingegno domare la loro fierezza, e si fermò appresso il Pò, dove (si come riferisce l'istesso Paolo) pare che Eustachio voglia che Turino fosse da lui edificato, ma chiamato Eridano. Ivi adunque havendo alquanto regnato, lasciato il figliuolo Ligure, morì nel Pò dal cui nome il Pò fu Eridano; onde gli antichi Egittij in memoria del suo compatriota, il locarono tra i segni celesti: & cosi pare che alcuni istimino tal cosa haver dato materia alla favola, & spetialmente, che Fetonte fosse fulminato, e gittato in Pò. Leontio aggiungeva a costui due fratelli Ifido, & Filace, & di anni maggiore di Fetonte, de' quai, perche altro non ho ritrovato, altrimenti non mi sono curato notarli.
Ligo (si come per le predette
cose è chiaro) fu figliuolo di Fetonte, & morto quello, a lui successe, il
quale dal nome suo chiamò Liguri i popoli da lui signoreggiati.
Queste tre sorelle (secondo Ovidio)
furono figliuole del Sole, le quali lungo il Po piangendo la morte di Fetonte,
furono cangiate in alberi che stillano gomma, del qual figmento ricercando la
materia, istimo queste non essere state femine altrimenti, ma essersi ciò
detto, perche lungo i paludi del Pò nascono diverse spetie di alberi per la
forza del Sole senza esser piantati; onde circa il fine della state, mentre il
Sole incomincia declinare sudando un certo humore giallo in modo di lagrime, il
qual s'è raccolto con artificio si compone in ambra; e perche, si come è stato
detto: per virtù del Sole nascono i luoghi humidi, furono dette figliuole del
Sole, & di Climene, cioè dell'humidità, & dal Sole chiamate Eliadi.
Alfeo fu figliuolo dell'Oceano,
& della terra il quale da Servio chiamato fiume d'Elide, & che nasce
appresso Pisa Città d'Elide. A bastanza di sopra, dove s'è parlato di Aretusa,
è stato detto ch'egli amò la Ninfa Aretusa cangiata in fonte, & che la
seguì fino in Sicilia. Ma Servio apre con tali parole le fiamme amorose di
costui. Elide, & Pisa sono cittadi d'Arcadia dove è un gran fonte, il quale
di se genera due alvei, Alfeo, & Aretusa. Onde nasce la fittione che
nell'esito si congiungano quei che l'origine non congiunse.
Orsiloco figliuolo del fiume
Alfeo, come chiaramente nella Iliade dimostra Homero, dicendo; Ricco nella vita, overo nel potere, perche la
generatione sua era dal fiume Alfeo, il quale ampiamente scorre per la terra
Pilon, & generò Orsiloco Re di molti huomini. Orsiloco poi generò il
magnanimo Diocleo, & di Diocleo, nacquero due figluoli gemelli, cioè Crito,
& Orsiloco esperti in armi. Dice Homero, che questo Orsiloco habitò nella
città di Firo, che è appresso l'Alfeo, di che è nato, ch'egli s'è detto suo
figliolo.
Diocleo, come per Homero s'è
mostrato fu figliuolo d'Orsiloco, del cui oltre il nome, & che generasse
Crittone & Orsiloco, altro non mi ricordo haver letto.
Furono Crittone, & Orsiloco,
come è stato mostrato figliuoli di Diocleo. Questi movendosi i Greci contra
Troiani, insieme con gli altri Prencipi di Grecia, vennero dalla città di Firo
alla destruttione di Troia. Ivi adunque essendo eglino valorosi &
confidandosi molto nelle loro forze, hebbero ardire un giorno in una battaglia
assalire Enea, dal quale amendue furono morti & con grandissima fatica di
Menelao, & Antiloco figliuolo di Nestore i corpi di quai furono tolti dalle
mani de nemici, & sepolti.
Nacque Crinisio dell'Oceano, e
della terra. Questi scorre per la Sicilia, e di lui riferisce Servio favola
tale. Che non pagando Laumedonte la promessa mercede a Nettuno, & Apollo
per la edificatione delle mura di Troia, Nettuno mosso ad ira, mandò un mostro
in Troia, che quella rovinasse, la onde Laumedonte andato all'Oracolo di
Apollo, dicono che anco egli mosso a sdegno, gli fece la risposta in contrario,
cioè, che a quella bestia si dovessero dar a mangiare le più nobili donzelle;
il che facendosi, avenne che Hippote nobile Troiano, veggendo Hesiona figliuola
di Laumedonte esposta a quel mostro, e temendo che l'istesso non occorresse ad
Egea sua figliuola, segretamente la pose sopra una nave, & la raccomandò
alla fortuna, volendo piu tosto che fuori da gli occhi suoi fosse dall'onde
inghiottita, che in sua presenza dalla fiera divorata. Costei adunque dalla
furia de' venti fu portata in Sicilia, dove il fiume Crinisio di lei
innamoratosi, e cangiatosi in cane, overo in Orso, la prese, & impregnò,
& di lei ne hebbe un figliuolo nomato Aceste. Il mezzo della qual favola, è
historia; quello poi che si legge nel principio è finto, dove si espone di
Laumedonte: quello che poi è nel fine (dice Theodontio) bisogna intenderlo per
coniettura, non si ritrovando alcuna memoria antica, & però dice essere
cosa possibile, che questa donzella per minaccia di alcuno si conducesse
condotta appresso il fiume Crinisio dove venisse ne suoi abbracciamenti,
percioche le furie de minaccianti sono simili al latrare de' cani, overo può
esser ch'ella venisse alle mani di qualche furioso, che faccendole forzo si
come un'Orso la pigliasse.
Si trova che Aceste fu figliuolo
del fiume Crinisio, & di Egesta Troiana, si come nell'Eneida testimonia
Virgilio, dicendo;
Appresentossi Aceste in lanciar dardi
Essercitato molto, e spaventoso,
Vestito d'una pelle d'Orso fiero;
Da Crinisio costui fu generato,
Et da Egesta Troiana partorito;
Onde de gli avi antichi non
scordato.
Questo tale Aceste già vecchio,
prima Anchise, & Enea che venivano in Italia alloggiò in casa sua, e poi
sepellì il morto Anchise insieme con Enea sopra l'Erice monte di Sicilia. Indi
raccolse benignamente, & alloggiò Enea, che partendosi da Cartagine, ivi da
venti era stato cacciato, dove Enea edificata una Città dal nome della madre
d'Aceste la chiamò Egesta, la quale poi fu detta Segesta, & lasciolla sotto
il dominio d'Aceste, il quale cosi da i lasciati da Enea, come da gli altri
stranieri che vennero ivi ad habitare, fu loro Re chiamato.
Tebro, overo Tevere fu figliuolo
dell'Oceano, & della terra. Questo essendo dal destro lato dell'Apennino,
partendo i Toscani da gli Umbri, & Campani, anco la Città di Roma divide,
il quale, per esserli toccato il dominio di tutto 'l mondo, di maniera da i
versi de Poeti è stato celebrato, ch'egli di gloria ha trappassato il Xanto,
& Simeonta per la memoria de Greci illustri. Hebbe diversi nomi, i quali,
se alcuno disia vedere, riguardi dove ho scritto de' monti, & fiumi. Oltre
ciò, a gli antichi piacque ch'ei generasse il figliuolo Tiberino.
Citheone fu figliuolo del fiume
Tebro, & di Manto già figliuola di Tiresia indovino Thebano, si come nell'Eneida
testimonia Virgilio, dicendo;
Anco quel Citheon guida una
schiera,
Da la paterna region condotta.
Questo fù figlio del Toscano fiume,
Et di Manto fatidica indovina,
Ch'edificò le mura, & la
Cittade
Di Mantova, & da se le diede
nome.
Servio nella Buccolica dice
costui da Virgilio essere detto Bianore. Ma Pomponio nella Cosmografia di
questa Manto tiene altra opinione, percioche descrivendo l'Asiatico lito
dice; Ivi i Libedi sono, e il tempio del
Clario Apollo, il quale Manto figliola di Tiresia fuggendo i vincitori de
Thebani Figeno, & Colofon edificò, la quale Mopso dell'istessa Manto
figliuolo, e quello che segue. Onde si vede, che costei fuggendo non in
Occidente, ma in Oriente tenne il suo viaggio. Tuttavia è cosa possibile, che
in processo di tempo venisse in Italia; il che benche poco si provi, nondimeno
chi denegherà a tanto Poeta nell'origine della sua patria.
Axio fu figliuolo dell'Oceano, e
della terra, del quale Homero nella Iliade dice, & vuole che amasse
Perhibia la piu vecchia delle figliuole d'Achesomonio, & che la
impregnasse, & di lei ne havesse un figliuol detto Pelagonio.
Pelagonio fu figliuolo del fiume
Axio, & Perhibia, come Homero nella Iliade dimostra, del cui non mi ricordo
haver letto altro, eccetto che generò Asteropio.
Vuole Homero, che Asteropio fosse
figliuolo di Pelagonio, il quale essendo ardito, & robusto giovane insieme
con i Peonij venne in aiuto de Troiani, & confidandosi di soverchio nelle
sue forze corporali, nello undecimo giorno dapoi che fu venuto a Troia, hebbe
ardire andar' ad affrontare Achille furioso per la morte di Patroclo, & corse
prima con villane parole, & poi con l'armi a contrastare; dal quale
infelicemente fu morto.
Il fiume Asopo (si come dicono)
fu figliuolo dell'Oceano, e della terra: questo scorre per Boetia, secondo
Lattantio, & passa in Epadagmon, si come afferma Vibia, dove tratta de
fiumi. Oltre ciò vogliono che fosse padre d'Ipseo, & Egina, & havendo
saputo che Egina era stata vitiata da Giove, sopportò questo tanto malamente,
che da furore assalito, con le onde mosse guerra fino alle stelle, si come dice
Statio;
Perche dicono Giove haver rapito
La figlia Egina da le paterne onde,
Et haverla condotta a suoi voleri;
Onde l'offeso fiume, & d'ira
pieno
Apparecchia per fino a l'alte
Stelle
Di mover guerra, & non s'avede
poi,
Che non lice; ma da l'ira mosso,
Contra il Cielo le mani in vano
stese.
Dicono che Giove mosso ad ira, il
fulminò; lo che dimostra il medesimo Statio. La fittione di questa favola tiene
in se tal verità. Dice Leontio, che Asopo fu un Re di Boemia, e da lui detto
fiume cosi chiamato; al quale havendo Giove d'Arcadia menato via la figliuola
Egina, egli con tutte le sue forze gli mosse guerra, & nondimeno da lui fu
vinto, & rotto. Che poi fosse fulminato ciò non s'appartiene al Re, ma al
fiume che discorrendo per i sulfurei campi, e con le onde sue da quelli
suscitando fumo, appresso gli antichi diede materia all'ira del folgore.
Ipseo fu figliuolo del fiume
Asopo, si come dimostra Statio, il quale dice che costui venne in aiuto di
Etheocle contra Pollinice.
Egina fu figliuola del fiume
Asopo, la quale fu amata da Giove, & da lui si come scrive Ovidio, cangiato
in fuoco, ingannata, e impregnata, la quale poi partorì Eaco, il quale poscia
dal nome della madre chiamò l'Isola Enopia, dove ei signoreggiò Egina, &
cosi fino al dì d'hoggi si chiama. Che Giove si cangiasse in fuoco per congiungersi
con Egina, credo ciò essere stato detto più tosto dalla virtù della seguita
discendenza, che da altro, percioche gli huomini d'Eaco furono d'infiammato
vigore, come a bastanza possiamo vedere in Achille, Pirro, et gli altri
discendenti.
Cefiso fu figliuolo dell'Oceano,
& della terra, il quale trascorre per Boetia, si come si legge in Lucano.
Sforzaro di Boetia i Capitani,
Appresso quali di Cefiso il fiume
Corre veloce per fatidica acqua,
Et per Dirce che fu figlia di
Cadmo,
Dicono che di costui Narciso fu
figliuolo, & che essendo morto da Zefiro infermato per compassione d'Apollo
fu sanato. Questo narra Lattantio. La onde per dichiarare tai cose, credo io
che l'acque di Cefiso siano chiamate fatidiche, perche vicino a quello fu già
il tempio di Themi, al quale, non v'essendo anco gli Oracoli di Febo,
Deucalione, & Pirra, andarono a consultarsi con la Dea; la onde, perche ivi
si davano le risposte, & si dimostrava quello havea a venire, l'acqua prese
il cognome di fatidica, & cosi quello che della Dea del Tempio era proprio,
all'acqua anco fu conceduto. Et forse che le precedenti sacre risposte per
instituto antico non si poteano fare senza l'acqua del fiume, e cosi l'acqua
mostrava havere alcuna virtù in quella falsa indovinatione. Che poi per la
morte di Zefiro fosse infermato, l'intentione potrebbe esser questa. Dice
Agost. nel libro della Città d'Iddio, Mesapo Re di Sicioni essere stato nuovo,
il quale fu chiamato Cefiso; nella parte del cui palazzo vi era un luogo, dove
nella state soffiando il vento Zefiro, l'aere era molto sano; ma cercando
quello si come aviene, & venendo altri venti, l'aere si corrompeva: onde
avenne, che per la morte di Zefiro, cioe mancando quel vento, Cefiso cadde
infermo, & per beneficio d'Apollo, cioè della medicina, essendo Apollo
chiamato Dio di quella, Cefiso fu liberato. Cosi non volendo queste cose
attribuire al Re, le possiamo concedere al paese, dove corre il fiume Cefiso.
Narciso fu figliuolo di Cefiso,
& di Liriope ninfa, come dimostra Ovidio, di cui recita la favola assai
palese. Dice egli che nato Narciso, subito fu portato da Tiresia indovino,
affine di intendere quale havesse ad essere il corso della sua vita. Il quale a
dimandanti rispose che il fanciullo tanto viverebbe, quanto prolungasse a veder
se stesso, del qual pronostico allhora si risero tutti quei che l'udirono, ma
alla fine non mancò d'effetto; percioche essendo cresciuto in bellissima giovanezza,
& divenuto cacciatore, da molte ninfe fu amato, & specialmente da Echo;
ma essendo duro di cuore, nè si volendo a preghi di alcuna piegare, anzi
sprezzando tutte quelle che lo amavano, per preghiere delle ninfe fu impetrato
quello che poco dapoi gli avenne. Percioche un giorno si per la fatica della
caccia come per lo gran caldo della stagione essendo lasso si ritirò in una
valletta fresca, & amena, & havendo sete si chinò per bere ad un
chiaro, & limpido fonte, nel chiaro fondo del quale veggendo la idea, e
l'imagine di se stesso, che pria non havea mai più veduto, & istimando
quella essere una ninfa di quel fonte, tanto di lei fieramente s'accese, che di
se medesimo scordatosi, doppo lunghi lamenti, ivi morì di disagio, & per
compassione delle ninfe fu cangiato in fiore, che tiene il suo nome. Da questa
fittione si cava il senso morale. Percioche per Echo, la quale alcuna parola
non esprime, eccetto l'ultime voci delle dette prima, intendo la fama, la quale
ama ciascun mortale si come cosa, per la cui si ferma, & dura. Questa tale
è fuggita da molti che ne fanno poco conto, e nell'acque, cioè nelle delitie
mondane non altrimenti transitorie di quello che sia l'acqua, se stessi, cioè
la gloria loro contemplano, e di maniera da suoi piaceri sono allacciati, che
sprezzata la fama, poco da poi, si come mai non fossero stati, se ne muoiono,
& se pure del loro nome vi resta, si cangia, in fiore, il quale la mattina
è purpureo, & fresco, e la sera divenuto languido marcisce, e si risolve in
nulla; cosi anco questi tali fin' alla sepoltura pare che habbiano qualche
splendore, ma chiusa la tomba, và in fumo, insieme col nome.
Meandro fiume fu figliuolo
dell'Oceano, & della terra, & generò la ninfa Ciane. Dice Livio che
questo tale nasce nell'alta Rocca di Cilene, & passa per mezzo la Città,
& indi per Caria, & Ionia è portato nel seno del mare, quale tra
Pirene, & Mileto.
Ciane figliuola di Meandro fu
amata, & impregnata da Mileto figliuolo del Sole, & di lui partorì
Cauno, & Bibli si come dimostra Ovidio, quando dice;
Et Cauno,
& Bibli partorì ad un parto.
Dice Paolo, che Filira fu
figliuola dell'Oceano, & da Saturno amata, di cui partorì Chirone Centauro.
Sperchio fu figliuolo
dell'Oceano, & della terra. Questi, come dice Homero di Pelidori figliuola
di Peleo, & moglie di Durione generò Mnesteo, & secondo Pomponio scende
nel seno Pegaso, & a lui Achille havea donato in voto i suoi capelli, si
come narra Lattantio, fu vittorioso dalla guerra Troiana ritornato nella
patria.
Mnesteo, (secondo Homero nella
Iliade) fu figliuolo di Sperchio, & di Polidori figliuola di Peleo, il
quale essendo famoso giovane, accompagnò Achille allo assedio.
Fu il Sole (differente da gli
altri detti di sopra, secondo Plinio nel libro dell'historia naturale per
l'autorità di Gellio) figliuolo dell'Oceano, senza certezza però della madre,
& dice che costui fu l'inventore della medicina, & del mele, il che
fin' hora a molti è stato attribuito: ne però è da maravigliarsi, percioche è
cosa possibile, che di tai cose molti in diversi paesi siano stati inventori,
attentoche in ogni loco vagliono gl'ingegni, & le considerationi, &
cosi quello che appresso Greci crediamo essere stato opra d'Apollo, overo
d'Aristeo, non ci toglie però che non possa essere nato appresso gli Oceani,
overo essere accaduto che alcuno havesse tanto acuto ingegno, che trovasse tale
esperienza, onde gli habitatori del luogo per inalzare il suo nome, il
chiamassero poi Sole, & il facessero figliuolo dell'Oceano, per lo cui
forse era ivi navigato. Ma noi, poscia che habbiamo dichiarata tutta la
discendenza dell'Oceano, faremo fine al settimo volume.
Per li nuvoli il Cielo oscurarsi,
& il chiaro splendore del Sole mancare, turbarsi l'aria per li venti,
moversi spessi Lampi, udir far strepito alle selve, gemer la terra, &
levarsi in alto le balene del mare, e gli altri mostri, e menar l'onde con la
terra, & a i garruli uccelli esser posto silentio, essere cacciate l'ombre
de' boschi, nelle selvaggie cave partirsi le fiere, e il tutto in un subito
attristarsi s'incominciò. Io prima mi maravigliai, poi per cosi grande
mutatione di cose smarrito, riguardando in mezzo le foci dello Specchio le
attioni fino hora oprate dal Sole, quello che nell'Oceano punto non havea
temuto, incominciai a temere, cioè, che il tutto non ritornasse nell'antico
Chaos. Nè sapeva che mi fare. Finalmente stando cosi dubbioso, mi parve vedere
una lenta, & nuvolosa Stella, coperta di caligine stigia, che
dall'Orientale Oceano, come dall'inferno in alto si levava, la quale stando io
a contemplare nelle nebbie involta, ricordandomi de' precetti dell'honorato
Andalone, conobbi ch'era l'odiosa, e la nociva Stella di Saturno, della cui
ritornandomi a mente gli scelerati costumi, subito cessò la tema, e la
maraviglia del subito mutamento. Onde veggendo quello, come se da lei mi fosse
stato ricordato la nuova mutatione delle sue miserie, essendo secondo
l'incominciato ordine dell'opra tra i figliuoli del Cielo da dichiarare la di
lui famosa progenie, conobbi, che non in uno volume, ma nel prossimo di questi
seguenti (per volere dirne a pieno) non mi bisognava di loro scrivere. Ma
testimoniando le antiche historie, quattro essere stati i labirinti, cioè
l'Etrusco, l'Egittio, quello di Creta, e di Lenno, non dubito punto, che tra
questi, quello che d'errori, & intrichi era piu pieno, piu facilmente a chi
v'entrava, & usciva non concedesse l'adito, che non faranno le confusioni
infelici del vecchio di cosi grande età, del quale siamo per parlare. Percioche
inchinandosi in lui quasi tutta la pazzia dell'antico errore de Gentili, non
sarà leggier cosa per uscirne, ridurre a buon termine le contrarietà
dell'opinioni, le discordanze degli errori, & le dubbiose relationi de gli
antichi, & in proposito ritornar Re un cacciato in essilio, e agricoltore.
Adunque non senza alquanto horrore lascio tra gli aspri scogli, & profondi
fino quasi alle bocche dell'inferno, i liti dell'Oceano, & la sua prole con
molte acque, affine di rizzare la prora del frale navilio, ma non so già a qual
partito uscir fuori per drizzar gli occhi nell'aere cosi fosco. Nondimeno spero
che colui che aperse le oscure stanze di Dite, e che vincitore levando le
nebbie, per quella fece ampie strade, ch'alla disiata uscita m'aprirà il
profondo mare.
Saturno fu figliuolo di Cielo,
& di Vesta, si come nel libro delle divine institutioni Lattantio scrive,
al quale gli antichi diedero per moglie Opi sua sorella, & gli attribuirono
molti figliuoli di lei havuti, i quali tutti (dicono alcuni) da lui essere
stati divorati, e subito vomitati. Altri vogliono poi, che per frode di Opi
fosse serbato Giove, & che in luogo di quello havesse appresentato a
Saturno un sasso, come da lei partorito. Oltre ciò vogliono ch'egli con la
falce tagliasse al padre Cielo i membri virili; il che altri dicono essere a
lui da Giove stato fatto. Indi alcuni scrivono che fu da Giove del Reame
cacciato, altri poi nell'inferno confinato. Appresso, sono di quelli che lo
descriveno vecchio, mesto, stracciato, col capo involto, pigro, da poco, &
con la falce in mano. Perche egli sia rivolto, & detto figliuolo del Cielo,
e della terra, Lattantio ne mostra la ragione dove nel libro delle divine
institutioni per testimonio adduce Minutio Felice, che disse, che essendo
Saturno dal figliuolo cacciato, & venendo in Italia, fu detto figliuolo del
Cielo, percioche siamo soliti chiamare quelli, de' quali con maraviglia
riguardiamo la virtù, overo che in un subito compariscono, essere venuti dal
Cielo; della terra poi, perche chiamiamo figliuoli della terra quelli che
nascono d'incerti padri. Queste cose veramente sono simili al vero, ma non vere;
percioche si ritrova, che regnando egli ancora per tale fu tenuto. Si puote
tuttavia fare argomento, che Saturno essendo potentissimo Re per tenere la
memoria de i suoi progenitori, a quelli donasse il nome di Cielo, & di
terra, essendo questi ancora con degli altri vocaboli nomati, con la quale
ragione, & a i monti, & a i fiumi sappiamo medesimamente essere stato
dato i nomi. Questo vuole Lattantio, il quale altrove dice; Ennio nell'Evomero
dice Saturno non essere stato il primo che regnasse, ma il padre Urano; &
altrove il medesimo. Si vede adunque egli non dal Cielo essere nato il che non
può essere, ma di quell'huomo chiamato Urano, & che ciò sia vero
Trimegistro ne è l'auttore. Il quale mostrando, essere stati pochissimi
perfetti dotti, tra questi nomò Urano, Saturno, & Mercurio suoi parenti,
& quello che segue. Il quale Urano, il medesimo Lattantio dimostra da
Saturno essere stato detto Cielo, dicendo; Ho letto nell'historia sacra, Urano
huomo potente havere havuto per moglie Vesta, & di lei Saturno, Opi, &
altri figliuoli haver generato; il quale Saturno venendo nel Regno potente,
chiamò il padre Urano Cielo, e la madre terra, accioche con tale mutatione di
nomi, ampliasse lo splendore della sua origine, & cetera. Della moglie Opi,
di sopra a bastanza si è parlato. Che anchora divorasse i figliuoli, & poi
gli vomitasse, il senso è doppio, cioè historico, & naturale. Percioche si
legge nelle sacre scritture si come altre volte è stato detto, che Saturno per
possedere il Reame, con il fratello Titano si accordò di amazzare tutti i
figliuoli maschi da lui generati; nondimeno quelli che maschi nascevano, dalla
moglie erano da lui segretamente nascosti, & solamente gli erano
appresentate le femine, & cosi i figliuoli paiono essere cresciuti, &
allhora comparsero, quando si mossero contra Titano in vendetta del padre.
D'intorno poi la ragione naturale, dice Cirone; Saturno è cosi detto, perche de
gli anni si satolla, & si finge che mangi i figliuoli, perche la età
consuma il tempo, & di quello, come di figliuolo si pasce. Et questo s'è
detto in quanto alla divoratione de figliuoli. Della emissione poi si dirà de i
frutti dalla terra raccolti ogni anno. Percioche essendo al suo tempo prodotte
le biade dalla terra, benche siano divorate, tutte col tempo nello istesso
tempo nell'anno seguente sono restituite. Per tale fittione poco intesa,
d'alcuni è stato creduto quel scelerato costume de sacrifici appresso alcuni
barbari haver havuto origine, cioè, che alcuni a Saturno immolavano i propri
figliuoli: come se volessero oprare, si come egli. Macrobio dice, che Hercole
vinto il Gerione, fece in Italia cangiar questo. Dicono appresso, che in luogo
di Giove, dalla moglie a Saturno fu mostrato un sasso; ma Theodontio dice, che
quel sasso fu Giove, ma non quel Giove da lui generato, anzi un'altro figliuolo
d'altro huomo, & chiamato sasso, il che forse cosi è. Percioche Eusebio
dice, che regnando Danao in Argo, un certo Sasso signoreggiò in Creta, nel qual
tempo (secondo alcuni) Giove Cretese poteva già havere incominciato regnare.
Del tagliare de i genitali, che alcuni vogliono da Giove a Saturno essere stato
fatto, assai se n'è detto di sopra, dove della seconda Venere si è parlato. Gli
historici hanno per cosa certa, che Saturno da Giove del Reame fosse cacciato.
La cagione di questo la historia sacra la dimostra, dove si legge che havendo
Giove liberato Saturno, & Opi presa da i Titani; per sorte Saturno previde,
che da Giove sarebbe cacciato del Reame; la onde per schivare tale influsso,
tese aguati a Giove per assediarlo; di che avedutosi Giove, prese l'armi contra
quello, il quale non potendo far resistenza, restato (secondo alcuni) in Flegra
vinto, se ne fuggì. Che poi nell'inferno fosse confinato, la historia sacra
mostra ciò esser falso, nella quale cosi è scritto. Poscia intendendo Titano da
Saturno esser stati generati, & allevati figliuoli, segretamente menò seco
i suoi figliuoli chiamati Titani, & prese il fratello Saturno, & la
moglie Opi, mettendogli in prigione, & facendogli guardare. Et doppo
questo, poco da poi soggiunge; Giove alla fine intendendo il padre, e la madre
essere in prigione legati, e guardati, venne con grandissima moltitudine di
Cretesi, & vinse Titano con suoi figliuoli, & al padre restituendo il
Regno, ritornò in Creta. Questo ivi si legge, di che in vece, Lattantio dice
che Giove fu liberato dal peccato della scelerità grande d'haver ritenuto il
padre per li piedi legato. Ma se vogliamo seguire l'opinione di Lattantio, il
quale sopra la Thebaide di Statio dice che Saturno fu confinato dal figliuolo
nell'Inferno, allhora diremo, che quando Saturno da Giove cacciato (come si
dice) andò in Italia, la quale è inferiore alla Grecia, cioè piu propinqua
all'Occidente, pare che scendesse agl'inferi, & ivi però fu confinato,
perche non poteva nel reame ritornare; cosi anco alle volte diciamo gli essuli
confinati. Che poi egli sia mesto, vecchio, col capo involto, tardo, pigro,
& con la falce in mano, il tutto si conviene al Pianeta, & all'huomo.
Albumasaro nel suo introduttorio maggiore, dice; Saturno di complessione esser
freddo secco, melanconico, & di bocca fetido, il che s'appartiene ad huomo
mesto. Oltre ciò il fa mangiatore grandissimo, avaro, povero all'estremo,
malitioso, invidioso, d'acuto ingegno sedutore, ne i pericoli ardito, di poca
conversatione, superbo, simulatore, vantatore, pensoso, di grandissimo
consiglio, tardo all'ira, ma quasi irrevocabile, ad alcuno buono, desideroso,
& rubator de luoghi. Oltre ciò è inditio d'opra che s'appartiene
all'agricoltura, di misure di terre, di divisioni, di peregrinationi, di
lunghe, & faticose prigioni, di tristitie, d'affanni, di travagli d'animi,
d'inganni, d'afflittioni, destruttioni, perdite di morti, & loro reliquie,
da vituperi ladronezzi, di cavar sepolcri, di vili huomini & spadaccini, le
quai tutte cose per essere conformi all'huomo Saturnino, leggiermente ogni
aveduto le potrà conoscere, & anco piu a pieno nelle seguenti scritture le
narreremo. Ma ci resta vedere quanto siano conformi a Saturno. Ei si finge
mesto, per dimostrare la melanconica complessione, & le doglie
dell'essilio. Vecchio perche quando fu cacciato, era tale, & perche i
vecchi sono di brutto volto, & per lo piu di fetido fiato, & perche
egli si valse del consiglio, & dell'astutia, delle quali grandemente i vecchi
sono potenti. Vollero che havesse il capo involto per dissegnare il fosco
aspetto della Stella di Saturno, l'habito d'uno che fugge, l'accolta sagacità
de i Saturni, i pensieri, & le simulationi. Il chiamarono tardo, perche per
la gravezza de i membri, i vecchi sono lenti al caminare, tardi all'ira, e il
corpo di esso Pianeta tardo, attentoche dimora quasi 30. anni col suo corso a
fornire il cerchio del Zodiaco; il che fanno gli altri in molto minor spatio.
Sporco poi lo fingono, secondo il mio giudicio, perche è proprio di Saturno il
concedere costumi dishonesti, overo perche secondo il vecchio costume cacciato
del Regno, & posto in miseria andò da Iano che il raccolse tutto
stracciato, & colmo di miseria, overo per dimostrare, che quelli
ch'essercitano l'agricoltura delicatamente non ponno vivere. E ornato della
falce, accioche intendiamo che per lui a gli Italiani venne in cognitione il
coltivar la terra, che prima ci era nascosto. Dichiarate adunque queste cose,
piacemi scrivere quello che a lui in essiglio, avenisse, quello che vivendo
oprasse, quello che anco a lui morto fosse attribuito. Essendo egli vinto,
scacciato, e in luogo del figliuolo perseguitato, ultimamente venne in Italia,
come mostra Virgilio dicendo;
Il primo fu Saturno, il qual
fuggendo
L'armi di Giove, ne l'Italia venne,
Et essule
acquistò nuovi Reami.
Nell'Italia poi (secondo
Macrobio) fu da Iano ricevuto;
Et un genere indocile, e disperso
Ne gli alti monti poi compose
insieme,
Gli diede leggi, e piacqueli
chiamare
L'Italia Latio, percioche securo
Stette in quelle contrade, nel qual
tempo
(Dicono) quella età stata esser
d'oro
Sotto tal' Re, cosi benignamente
Et in pace quei popoli reggeva.
Ricevuto da gli Italiani, a
quelli mostrò molte cose da loro prima non conosciute, e tra l'altre fin'hora
facendosi la moneta di pelli di pecore indurate dal fuoco, egli fu il primo che
fece stampare moneta di metallo col nome dell'inventore, facendovi da una parte
scolpire la testa di Iano che lo raccolse con due faccie, e dall'altra una
nave, percioche fuggendo, venne in nave, e questo fece affine, che tra i
posteri durasse la memoria della sua venuta. Nondimeno pare che Ovidio voglia
ciò essere stato fatto da i posteri, dove nel libro de Fastis scrive.
La causa de la nave vè di sopra
Come venne con lei nel tosco fiume.
Et indi segue. Dicono appresso,
che regnando in concordia, e amore insieme con Iano, e havendo communemente
edificato terre, e castelli vicini, cioè Saturnia, e Ianiculo, allhora essere
stato il secolo aureo, percioche allhora era la vita a tutti libera, niuno era
servo, nè contrario all'altro, alcun furto ne i loro confini non era fatto, nè
sotto lui alcuno non hebbe alcuna cosa particolare. Ne era lecito partir la
terra, nè dividere alcun campo. La onde per rispetto de i seguiti cattivi
secoli, quelli furono detti aurei. Et i Romani appresso le case di Saturno vi
fecero l'erario publico, accioche appresso quello si ponesse il dinaro commune,
sotto cui a tutti fosse ogni cosa commune. Appresso insegnò a quelli rozi
lavorare i campi, seminare e raccorre il frutto, e al suo tempo ingrassare con
i letami i terreni. La onde non havendo per questi altri uffici conseguito
alcun cognome, per questo ultimo fu chiamato Stercurio, nome veramente a tanto,
& tale Iddio splendido, & notabile. Finalmente havendo in molte cose
riformato meglio la vita dell'huomo, avenne che in un subito non comparse piu
in luogo veruno. Di che (secondo Macrobio) Iano pensò lui essere stato
l'accrescimento di tutti gli honori suoi, e prima chiamò tutta la regione da
lui posseduta Saturnia, indi drizzò, si come à Iddio, un'altare con i
sacrificij divini, i quali chiamò Saturnali, e commandò che fosse riverito per
riverenza di religione tanto quanto autore di miglior vita, della qual cosa ne
fa fede la sua imagine, alla cui è apposta la falce instrumento del raccolto.
Oltre ciò attribuirono a questo Iddio tutti i nutrimenti de' pomi, e simili
altre cose fertili. Et si come l'istesso Macro. dice, alcuni s'hanno persuaduto
costui insieme con la moglie essere il Cielo, & la terra, & Saturno
essere detto dal nascere; la cui materia è del Cielo, e la terra Opi, per opra
della cui si cercano i nudrimenti della vita humana, overo dell'opra, per la
cui i frutti, & le biade nascono. Fanno i voti a questa Dea sedendo, &
per industria toccano la terra, dimostrando essa terra essere da tenere per
madre de mortali. Et cosi vogliono Saturno, non solamente essere Dio, ma anco
il Cielo, che insieme con la moglie opra in noi. Filocoro appresso per
dimostrare non solo questa esser stata pazzia d'Italiani, dice, che Cecrope in
Athene fu il primo che a Saturno, et Opi edificasse altari, e quelli in vece di
Giove, & la terra adorasse, & che ordinò che i padri di famiglia di
mano in mano insieme con i servi usassero delle biade, & i frutti
incominciati a maturare. Cosi Apollofane Comico chiama nel verso Epico, Saturno
quasi sacro. I Romani poi, i quali hebbero grandissima avertenza di non nomare
senza propio significato alcuna cosa, edificarono à questo Iddio un Tempio,
& nella sommità di quello vi scolpirono i Tritoni, & sotterra
sepellirono le code di quelli, volendo eglino perciò dinotare, che dal ricordo
di quello fino all'età nostra l'historia sia chiara, & vocale, la quale
prima di lui è muta, oscura, & non conosciuta, il che per lo nascondere
delle code s'intende.
Croni, secondo Barlaam, fu
figliuola di Saturno, ma Lattantio vuole che fosse maschio, & non femina,
& Latinamente chiamarsi Serpentario, & da gli Egittij tra le Stelle
locato. Ma Latinamente significando Croni tempo, accioche non paia che il tempo
nasca dal tempo, istimo essere da intendere per una certa dimensione di tempo;
& perche i Greci da Croni chiamano Croniche i libri che noi diciamo annali,
questa tale dimensione, & distanza chiamata Croni, cred'io gli antichi
haver inteso l'anno; il che anco pare che a bastanza l'antica dimostratione de
gli Egittij dello anno, cioè Serpentario dimostri; percioche il Serpentario è
un'huomo, che nelle mani tiene un Serpe, di maniera in circolo annodato, che
dimostra con la bocca divorarsi la coda, la quale figura in se dinota molto
diverse opinioni; & perche altrove in buona parte a miglior proposito le ho
dichiarate, hora lasciandole da parte, seguirò quello che piu d'intorno ciò mi
parrà far di mistiero, brevemente toccando il piu proprio. Dico adunque, che
questo segno usavano gli Egittij in vece dell'anno, pria che Isis, overo
Mercurio gli mostrassero i caratteri delle lettere: & cosi Croni sarà quel
progresso di tempo che chiamiamo anno. Per disegnare questo anno, Censorino nel
libro ch'egli scrisse a Cerello del giorno Natale, ne fa una lunga historia tra
le distanze de gli anni, mesi, e giorni, mettendovi appresso diverse opinioni di
filosofi, le quali io lascierò cercare a i curiosi; & seguirò la brevità,
togliendo solamente le necessarie. L'anno adunque è doppio, cioè gigante, &
magno; quello che si volge già gli Egittij l'hebbero di due mesi, di tre gli
Arcadi, & di dieci mesi ineguali gli antichi Romani al tempo di Romolo loro
primo Re, al quale Numa Pompilio aggiunse due altri mesi, accioche fosse di
dodici, & di trecento & cinquanta quattro giorni, il quale fu
l'antichissimo anno de gli Hebrei, & da gli Israeliti fin al dì d'hoggi si
serva, ma convenendosi a tale anno molte intercalationi, accioche le ferie de
raccolti non venissero ad essere di verno, overo i sacrifici hiemali a farsi
estivi. Caio Giulio Cesare nel terzo suo Consolato il ritirò giusto, secondo il
corso del Sole, e col quadrante il fermò di trecento e settantacinque giorni,
percioche ritrovò che in tanto spatio il Sole gira quasi per tutto il Zodiaco,
e perche pareva cosa difficile mettere quello quadrante ad ogni anno, ordinò
che ogni quattro anni, l'anno sempre fosse di giorni trecento settantasei,
aggiungendo quel giorno al mese di Febraro; & accioche non paresse ampliato
fece in questa forma che due volte si dicesse Sexto Cal. Martii cioè per due
giorni continui, ne quali occorresse venire: e questo è il bisesto. Questo tale
anno i Romani l'incominciarono dal mese di Marzo per la riverenza di Marte, dal
quale cosi fu detto, altri poi altrimenti. L'anno grande poi secondo Aristotele
è quello il quale il Sole, la Luna, e gli altri Pianeti, mentre tutti congiunti
insieme in un medesimo punto l'uno doppo l'altro si partono, e ritornando il
finiscono, come sarebbe a dire, che tutti sono nel principio d'Ariete, &
allhora pigliano il suo corso. Quando aviene poi, che nel principio d'Ariete si
ritrovino di nuovo insieme doppo il corso fatto, allhora l'anno grande sarà
compiuto. Questo farsi diversamente istimarono gli antichi, si come l'istesso
Censorino dimostra; percioche dice Aristarco haver pensato questo tale anno
farsi di 2484. anni giranti. Arete Dracino poi di cinque mila cinquecento
cinquanta due. Heraclito, e Lino di diecimilia, e ottocento. Clione di
diecimila novecento ottantaquattro. Orfeo di cento venti mila. Cassandro di
cento, & trentasei milla. Questo dice egli. Ma Tullio mostra volere che si
facci 15. mila anni, & Servio di dodici mila novecento cinquantaquattro. Ma
l'honorato vecchio Andalone, & Paolo Geometra Fiorentino, amendue famosi
Astrologi, dicevano che fornivano in trentasei mila. Di tai cose appresso
alcuni è nato errore, i quali affermano che se avenisse a i corpi sopracelesti
ritornare nell'istesso luogo, dove altre volte hanno preso il corso, e di nuovo
convenirsi partire, che di necessità produrrebbono i medesimi effetti che altre
volte hanno oprato: e cosi noi un'altra volta, e un'altra, e infinito
converressimo ritornare in vita, la qual cosa è ridicola a credere.
Dice Ovi. che Vesta fu figliuola
di Saturno & Opi; la dove in tal modo scrive;
Dicono che del seme di Saturno
Opi, Giunone, e Cerere produsse,
Et la
terza di lor fu ancora Vesta
Cosi queste tali Veste vengono ad
esser due, l'una madre di Saturno, l'altra figliuola. Di queste confusamente
parlano gli autori, alle volte mettendo una per l'altra, e però dicendo Vesta
essere la terra perche di fiori, & herbe è vestita, egli è da intendere che
si dica della madre di Saturno. Quando poi la chiamano vergine, si descrive la
figliuola di Saturno la quale volsero essere il fuoco, si come dice Ovi.
Che vesta sia altro che viva fiamma
Non intender giamai, ma unqua non
vedi
Alcun corpo che sia nato di fiamma;
Di ragion dunque è vergine colei
Che non
manda fuor seme, & nol riceve.
Dice Alberigo, che costei fu
nutrice di Giove, esponendo che del fuoco inferiore si nudrisce il superiore;
ma io tengo il contrario, cioè, l'elementato dall'elemento che è piu sublime,
esser nudrito. Ma Giove nudrito da Vesta, credo appartenersi all'historia,
essendo si come di sopra è stato detto, subito che fu nato Giove, levato dal
conspetto di Saturno suo padre, e raccommandato a Vesta sua zia, e da lei
segretamente nudrito. Dicono anco costei da Priapo Dio de gli horti essere
stata amata; il che è credibile, dicendo Ovidio,
Si sforziamo d'haver quel ch'è
vietato,
Et disiamo ogn'hor quel ch'è
negato.
Vogliono che Vesta sia vergine, e
i Romani deputarono a suoi piaceri donzelle, le quali sempre perche sono
serbate con piu aveduta guardia i libidinosi ricercano, overo perche senza
fuoco, cioè calore, giaccia Priapo. Oltre ciò dicono, che la faccia di costei
non fu mai veduta il che dicono accioche sia incognita, percioche se vedemmo la
fiamma, quale effigie diremmo che habbia. Dice appresso Agostino, che alle
volte gli antichi hanno chiamata Vesta Venere; il che, benche paia cosa
dishonesta col nome d'una meretrice macchiare una donzella, questa fittione ha
potuto havere qualche ragione. Diciamo, che quelli che scendono all'atto
venereo, incorrono nel fuoco, come dice Virgilio.
Incorrono
in furore, & fuoco ardente.
Cioè in lussuria, adunque questo calore dalla simiglianza potrà esser detto Vesta. Nè ciò in tutto sarà dal senso di questa fittione contrario, dicendo noi Vesta essere figliuola di Saturno, cioè della satietà, dalla quale satietà non meno nasce il fuoco venereo, che il pudor verginale. Costei fu molto riverita da Romani, e nel suo Tempio, amministrandovi donzelle, vi serbavano il fuoco perpetuo, il quale con grandissima cerimonia ogni primo giorno di Marzo rinovavano: e tra l'altre cose questo tale sacrificio hebbero da Troiani.
Cerere differente dalla detta di
sopra, fu notissima Dea delle biade, e figliuola di Saturno, & Opi, si come
è stato per li versi d'Ovidio mostrato. Dicono che costei piacque a Giove suo
fratello, e di lui hebbe Proserpina, la quale essendole stata rapita da
Plutone, non ritrovandola Cerere, dicono ch'ella accese due facelle, & con
grandissimi gridi la cercò per tutto il mondo. Finalmente giunta alla palude di
Ciane, e per ira havendo rotto i rastri, gli aratri, & gli altri rusticali
instrumenti che s'appartengono al coltivar la terra ivi da lei ritrovati, a
caso ritrovò la cinta della figliuola, e dalla ninfa Aretusa che l'haveva
veduta, fu certificata ch'era nell'Inferno. Onde innanzi a Giove essendosi
lamentata dall'ardire di Plutone, da Giove le fu ordinato che dovesse mangiar
del papavero: il che havendo ella fatto, & essendosi adormentata, poscia
che si svegliò, hebbe in gratia da Giove che potesse rihavere la figliuola pur
che quella nell'Inferno non havesse gustato alcuna cosa, ma per l'accusa
d'Ascalafo, fu ritrovato che Proserpina havea gustato tre granelle di mele
grane del giardino di Plutone; la onde Giove per mitigare il dolore di Cerere,
sententiò che sei mesi dell'anno Proserpina dovesse stare col marito, &
altretanti in terra con la madre. Narrano appresso, & tra gli altri
Lattantio, che Cerere cercando la figliuola, & essendo giunta al Re
Eleusio, di cui era moglie Hyona, che havea partorito un picciolo figliuolo
nomato Trittolemo, & cercandoli una baila, Cerere si offerse nudrice al
fanciullino, et essendo ricevuta, volendo fare lo allievo immortale, alle volte
col latte divino il nudriva, & di notte col fuoco lo abbrusciava: la onde altrimenti
che non erano soliti i mortali, il fanciullo cresceva. Della qual cosa
maravigliandosi il padre, segretamente si dispose vedere nel tempo di notte
quello che la Baila facesse al figliuolo: onde veggendo che ella col fuoco lo
abbrusciava, si diede a gridare; di che Cerere sdegnata, subito fece morire
Eleusio, & a Trittolemo fece un dono eterno, percioche gli diede possa di
distribuire & fare abondanza delle sue biade, dandogli appresso la sua
carretta guidata da i dragoni; per le quai cose vittoriose empì tutta la terra
di biade. Ma poscia che ritornò a casa, Cefeo Re si ingegnò di amazzarlo,
accioche non gli fosse concorrente del Reame; ma scopertasi la cosa, quello per
comandamento di Cerere diede il Regno a Trittolemo, il quale ivi, edificò un castello,
& dal nome del padre il chiamò Eleusio, e fu il primo che ordinasse
sacrifici a Cerere, che da i Greci furono chiamati Thesmofori. Ma Ovidio dice,
che Trittolemo fu un fanciullo infermo, & figliuolo di una povera donna,
che alloggiò Cerere in casa sua, alla quale in ricompensa del beneficio sanò il
figliuolo, & poi gli diede la sua carretta, mandandolo con frumento per li
paesi. Onde in Scithia dal Re Linceo fu quasi morto: di che Cerere il trasformò
in animale dal suo nome, chiamato Linceo, & da noi Lupo Cerviero. Appresso
sono di quei che dicano, & spetialmente Homero nell'Odissea, che Cerere amò
un certo Iasione, & seco in amicitia, & in letto si congiunse. Leontio
vi aggiungeva, che Cerere di Iasione partorì Plutone, & che finalmente
Iasione da Giove fu fulminato. Oltre ciò, si recitano anco altre cose, le quai
lascieremo per dichiarare il senso delle dette. Cerere adunque è alle volte la
Luna, alle volte la terra, & talhora i frutti della terra, & spesse
volte femina; però quando si dice figliuola di Saturno, & Opi, è femina,
& moglie di Sicano Re di Sicilia, come afferma Theodontio. Quando poi di
Giove partorisce Proserpina, allhora è la terra, della cui la prima Proserpina,
cioè la Luna nasce, secondo l'opinione di quei che hanno tenuto il tutto essere
di terra creato, overo che piu tosto la Luna è stimata figliuola della terra,
perche mentre dall'hemispero inferiore al superiore ascende, a gli antichi è
paruto che esca dalla terra; & cosi la chiamarono figliuola della terra.
Costei è rapita da Plutone, il quale è anco la terra, ma dall'inferiore
hemispero, quando doppo il quintodecimo giorno tramontando il Sole incomincia
non si lasciar vedere: & di quì nasce che paia quello essere cosi
all'hemispero superiore quanto all'inferiore; onde si è dato materia a quella
favola, Giove haver sententiato; che la metà dell'anno restasse col marito
nell'inferno, & tanto di sopra con la madre, overo altrimenti Proserpina è
da esser tenuta in luogo delle biade, le quali per li gittati semi ne i solchi,
se la temperanza del Cielo non opra in quelle, non ponno crescere, & se dal
calor di quello non ricevono aiuto, non ponno maturare. Giove poi è la
temperanza del Cielo, & il calore, per opra del quale a suoi tempi crescono
le biade, & maturano, cosi di Giove, et Cerere nasce Proserpina, la quale
allhora da Plutone, cioè dalla terra, è rapita, quando il seme gittato ne
solchi, non nasce; il che alle volte aviene per soverchia continuata
seminatione, dalla cui di maniera il buon terreno per l'humore è mollificato, che
evacuata non può porgere nodrimento a i sparsi semi. Di quì Cerere si turba,
cioè gli agricoltori, quai si ponno chiamare gli huomini terrei, & rompe
gli instrumenti rusticani, cioè conosce che in vano gli ha adoprati, & però
gli sprezza, & con feminei stridi, cioè con i lamenti de gli agricoltori,
accresce le faci, cioè abbrusciando gli sterpi, & le stoppie di campi: onde
i contrari humori, che sono d'intorno la superficie della terra, eshalano, et
dalla terra inferiore in alto sono con utilità ridotti. Viene da Giove
persuaduto a Cerere, che mangi de' papaveri, cioè che vada a riposare,
percioche i papaveri hanno virtù di far' addormentare, per la cui quiete si
deve intendere l'intermedio della coltura, accioche per tale intermedio &
distanza, la terra possa ripigliar gli humori asciugati. Proserpina, cioè
l'abondanza delle biade rapita non può incontanente ritornar di sopra, perche
havea gustato tre grane di mele grani, per le quai si debbono intendere i
principij della vita vegetativa, i quai allhora si cominciano quando per
l'humor della terra divien humido, e calido il seme seminato; & indi
putrefatto fa le radici, per la cui opra le biade spuntano fuori, i cui
principij sono sdegnati, per li grani della mela grana, percioche son simili al
sangue, e si come il sangue è di nudrimento all'animale sensitivo, cosi quei
principij al vegetativo. Dice Empedo, nel sangue consiste la vita de gli
animali sensitivi, cosi nell'humore terrestre delle biade. Ma per sentenza di
Giove, cioè per dispositione del Cielo si opra, che doppo il sesto mese, il
qual disegna la metà dell'anno, Proserpina ritorni di sopra, cioè l'abondanza
delle biade, percioche dal giorno del seminare, overo dal mese, nel settimo
mese le spiche delle biade incominciano mostrarsi, & far i grani, &
anco maturirsi; quai grani fino al tempo del seminare, stanno di sopra.
Theodontio riferisce di Cerere questa antichissima historia, dalla cui par che
sia concesso molta materia alla fittione detta di sopra: onde dice, che Cerere
fu figliuola di Saturno, & moglie del Re Sicano, & Reina di Sicilia
dotata di molto ingegno, la qual veggendo che gli huomini per quella Isola
andavano vagabondi mangiando ghiande, & pomi selvaggi, senza reggersi con
alcuna legge, fu la prima che in Sicilia ritrovò l'agricoltura; & trovati
gli instrumenti rusticani, congiunse i buoi, & seminò la terra; la onde gli
huomini incominciarono tra lor partire i terreni, habitare insieme, &
humanamente vivere, di che Virgilio dice;
Cerere fu la prima, che la terra
Solcasse con l'aratro, & fu la
prima
Che nel terren le biade, e gli
altri semi
Ponesse mai, & fu la prima
ancora,
Che gli ordini, & le leggi a
noi donasse,
Onde il tutto è di Cerere suo dono.
Dice poi che Proserpina fu bellissima donzella, e figliuola di Cerere Reina, la quale per la singolare di lei bellezza, da Orco Re de Molossi fu rapita, & tolta per moglie: il che anco nel libro de' tempi mostra Eusebio; ma di questo più sotto si farà maggior parlare. Di Trittolemo poi, Filocoro scrive, che fu antichissimo Re nel paese d'Athene, il quale nel tempo d'una grande caristia essendogli amazzato dal concorso del popolo, il padre Eleusi, perche abondantemente, morendo la plebe di fame, nodriva il figliuolo, se ne fuggì, & con una gran nave, la cui insegna era un Serpe, se n'andò in stranieri paesi, dove trovata una gran copia di frumenti, ritornò nella patria, & da quella cacciato Celeo, overo (secondo altri) Linceo, di Thracia, che havea occupato il Reame, fu ritornato nello stato paterno, dove non solamente sovenne i suoi sudditi di biade, ma etiandio gli insegnò con l'aratro coltivare la terra; la onde fu detto allievo di Cerere. Nondimeno sono di quelli che vogliano non Trittolemo, ma un certo Buziem Atheniese essere stato quello ch'a gli Atheniesi ritrovasse l'aratro, & i buoi. Tuttavia Filocoro dice che Trittolemo fu molti Secoli prima di Cerere Reina di Sicilia. Che Cerere poi amasse Iasione, Leontio recita questa historia. Vuole egli che al tempo del diluvio d'Ogigi, un certo Iasione Cretese congregasse molto grano, & quello, secondo il voler suo, vendesse a quelli che pativano fame per lo diluvio; onde di tale frumento ne cavò molti danari; & di quì fu dato luogo alla favola, che di Cerere, cioè dal frumento ne trahesse Plutone Dio delle ricchezze, cioè denari. Iasione poi per invidia fulminato da Giove cosi viene detto, perche parve che innanzi tempo da gli amici, a quali era stato benigno, fosse morto.
Glauca fu figliuola di Saturno,
& Opi, e si come narra l'historia sacra, nacque ad un parto con Plutone,
& sola fu appresentata al padre, segretamente essendo stato nascosto, &
nodrito Plutone, la quale anco picciolina, se ne morì.
Plutone, che latinamente è detto
dispadre, nacque ad un'istesso parto insieme con Glauca, come è stato detto di
sopra, & segretamente da Saturno serbato. Gli antichi finsero che costui
fosse Dio dell'Inferno, e gli ascrissero la Città di Dite, della cui Virgilio
scrive;
Guarda al Parlar de la Sibilla,
Enea,
Et da sinistra rupe vede cinta
Di tre
cerchi di muro, alta forteza.
Et cosi và seguendo per molti
versi, ne quali descrive quella. La stanza, e la maestà di quella in tal modo
Statio descrive, dicendo.
Sedendo a caso in mezzo de la rocca
De l'infelice regno, il gran
Signore
Interrogava a i popoli i peccati
De la lor vita senza haver di
quelli
Compassione alcuna, e a tutte
l'ombre
Stan le furie d'intorno, e varie
morti.
La crudel pena essercita i supplici
Con diverse sonanti & ree
catene.
Portano i fatti l'alme, e dannan
quelle
Al loro limitare, & l'opra
vince
Minos con la ragion giusta, e
tenace
Insieme col fratello, a cui ricorda
Le sententie migliori, e ogn'hor
avisa,
Et tempra il sanguinoso, &
crudel Rege.
A la presenza sua piangendo stanno
L'alme nocenti, che del foco han
tema,
Cocito, Flegetonte, & la palude
Stigia, che è giuramento de gli
dei.
Et quel, che segue. Oltre ciò gli
descrissero un carro da tre ruote detto Triga, e volsero, che fosse guidato da
tre cavalli, cioè da Amatheo, Abastro, & Navio, il quale per non vivere
cosi celibe, dice Ovidio ch'egli si acquistò la moglie, in tal modo; Che un
giorno havendo Tifeo con tutte le sue forze tentato levarsi di sopra la
Trinacria, parve a Plutone, che se ciò avenisse, saria stato cosa possibile
ch'egli a lui anco fosse penetrata la luce del giorno; la onde salendo sopra il
suo carro per vedere quali fossero i fondamenti della Trinacria uscì
dell'Inferno, cosi andando d'intorno all'Isola non lontano da Siracusse, vide
Proserpina, che con alcune altre sue compagne andava cogliendo fiori, della
quale, perche sprezzava i fuochi di Venere, avenne che subito s'innamorò
Plutone, & però scendendo a terra, rapì la donzella, che di ciò nulla
temeva, & portandola all'Inferno, se la fece moglie. Dicono appresso, che
di costui la veneratione, overo riverenza fu figliuola. Indi attribuiscono il
Cane Cerbero con tre fauci guardiano del Regno, il quale vogliono che fosse d'incredibile
fierezza divoratore del tutto; di cui Seneca Tragico nella Tragedia di Hercole
furioso cosi dice;
Oltre di questo appare
Del reo Dite la casa,
Dove il gran stigio Cane
Con crudeltà smarrisce l'ombre, e
l'alme
Sta questi dibattendo
Tre smisurati capi,
Con spaventevol suono,
La porta difendendo col gran regno.
Vi giran Serpi al collo,
Horridi da vedere,
Et a la lunga coda.
Vi giace sibillando un fiero drago.
Et quello che và dietro. Queste
tali cose istimo io che siano da intendere in tal modo: Latinamente (secondo
Fulgentio) significando Plutone l'istesso che la ricchezza, però tengo che da i
Latini sia detto Dispadre, quasi come divitie, cioè ricchezze padre, & che
sia cosa chiara le ricchezze essere in terra caduche, et in terra cavarsi; onde
essendo la terra chiamata Opi, si come piu volte è stato detto di sopra,
meritamente Plutone è detto figliuolo di Opi. Ma perche le prime ricchezze, in
parte dalla coltura della terra si manifestarono, non essendosi anco ritrovato
l'oro Saturno insegnò la coltura della terra, ragionevolmente è stato detto
padre di Plutone. Si concede la Città di ferro, e Tesifone per guardia delle
ricchezze, affine che conosciamo le ferrigine menti de gli avari, & la
crudeltà, & iniquità loro d'intorno la guardia, & il conservar di
quelle. Vuole Virgilio, che alcun giusto non possa entrar in questa Città,
quando dice.
Punto non lece ad alcun casto
entrare
La scelerata porta.
Affine che si conosca che senza ingiustitia non si può cercare, nè serbare le ricchezze. In questa Città dell'ostinato Inferno, il nostro Dante descrive i tormenti di quei, quali non hanno havuto alcuna carità verso il prossimo, nè amore verso Dio. Per la stanza poi, per le circostanti ansietadi di molti pensieri, si debbono intendere le insopportabili fatiche in acquistar le ricchezze, e le paure di perderle, con le quai sono crucciati quelli che stanno con la gola aperta. La carretta poi non è altro che i giri di quei che desiderano arricchire, la quale è guidata da tre ruote, per dinotar la fatica, & il pericolo di chi và d'intorno, & la incertezza delle cose future. Cosi dice anco tre essere i cavalli, il primo de quali si chiama Ametheo, che viene interpretato oscuro, affine che per quello si comprenda la pazza deliberatione d'acquistare quello che poco fa mestiero, con la quale è guidato overo cacciato l'ingordo. Il secondo è detto Abastro, che suona l'istesso che fa nero, accioche si conosca il merore di quello che discorre, & la tristezza, & le paure circa i pericoli che quasi sempre vi stanno intorno. Il terzo si noma Novio, il qual vogliono che significhi tepido, accioche per lui consideriamo, che per lo timor de' pericoli, alle volte il ferventissimo ardore d'acquistar s'intepidisce. Il matrimonio poi di Proserpina, la quale di sopra habbiamo detto abondanza, non è dubbio alcuno che non si faccia con i ricchi, & spetialmente secondo il giudicio del volgo, del quale la opinione spesse volte è falsa. Veramente per lo piu eglino istimano quando veggiono i granari de' ricchi pieni, ivi esser l'abondanza, & dove è la fame, & la caristia, ivi la povertà cosi procurando l'avaritia. Di questo tale matrimonio non si genera alcuna cosa lodevole, ne degna di ricordo. Cerbero si come alcuni istimano fu vero cane, et detto da tre fauci, percioche nel latrare era ferocissimo, mordente, & molto tenace. Nondimeno gl'antichi (secondo il mio giudicio) tennero che altri sensi fossero riposti sotto questa verità, attento che è finto guardiano di Dite, & dovendosi in luogo di Dite intender le ricchezze (si come è stato mostrato) dirittamente non diremo, che alcuno di quelle sia custode, eccetto l'avaro; & cosi per Cerbero si deve intender l'avaro, al quale però descrissero tre fauci, overo capi, per dinotar le triplice spetie de gli avari. Sono di quelli che desiano l'oro & si ritirano ad ogni guadagno, benche dishonesto, & illicito, per haver da consumar, & spendere l'acquistato, i quali non ponno esser chiamati custodi di ricchezze, ma sono dannosi, & nocivi huomini. Sono di quelli che con sua grandissima fatica, & pericolo da ogni parte adunano ricchezze; & sia come si voglia, acquistate che le hanno, pur che le tengano, serbino, & guardino, non vogliono spenderle per se, nè per altri, & questi tali sono una sorte d'huomini disutili. Sono poi di quelli, i quali non per opra sua, ma de suoi maggiori, hanno havuto, & conseguito delle ricchezze, & talmente le serbano, & custodiscono, che non hanno ardire toccar quelle, non altrimenti, che se in deposito le fossero state lasciate; & questi da poco, & tristissimi huomini sono, & verissimi custodi di Dite. I serpenti poi aggiunti a Cerbero, sono i taciti, & mordaci pensieri dell'avaritia. Oltre ciò chiamarono questo Plutone Orco, si come fa Cicerone nelle Verrine, mentre dice, com'un'altro Orco esser venuto ad Etna, & non Proserpina, ma essa Cerere (pareva) haver rapito. Il quale (dice Rabano) cosi chiamarsi, si come ricevitore delle morti, che ricevono quelli, che muoiono da ogni morte. Vogliono appresso, che sia detto Februo non dalla febre, come molti vanamente pensano, ma d'un certo sacro lustro a lui da gl'antichi ordinato, per lo quale credevano le mani esser purgate, et questo si faceva nel mese di Febraio; & di qui quel mese hebbe tal nome, il che da Macrobio nel libro de' Saturnali cosi è detto. Il secondo dedicò al Dio Februo, il quale è tenuto Iddio de' lustri, percioche in quel mese era di necessità lustrare, & racconciare la Città, nel quale ordinò, ch'a gli Dei con le mani si sacrificasse. Spedite queste cose, è necessario notare quello, che tenga coperta questa fittione d'historia. Di Plutone, nel libro delle divine institutioni cosi riferisce Lattantio. Adunque veramente quello è vero, che partirono il Regno del mondo, & li toccò per sorte in questo modo, che l'Imperio dell'Oriente obedisse a Giove, & a Plutone cognominato Agesilao, toccasse la parte d'Occidente; percioche la regione d'Oriente, della cui i mortali prendono la luce, mostra esser superiore; & quella d'Occidente inferiore. Theodontio poi alquanto piu ampiamente di ciò scrive, dicendo; Di Saturno furono figliuoli Giove, Nettuno, & Plutone, i quali, morto lui, volendo partire l'Imperio, a Plutone piu giovane toccò il governo della parte d'Occidente appresso quei luoghi, dove poi habitarono i Molossi, vicino al mare infero, et costui dai vicini popoli al suo regno fu chiamato Orco; percioche era crudele, et dava recapito ad huomini scelerati & havea un cane chiamato Cerbero, al quale dava gl'huomini vivi a mangiare. Di quì havendo preso Proserpina donzella Siciliana, la portò nel suo Reame, & se la fece moglie. Questo dice Theodontio. Ma Eusebio nel libro de tempi, dice, che costui fu nomato Aidoneo, & che regnò al tempo di Linceo Re d'Argivi, & Eritheo di Atheniesi.
Afferma Servio, che la
Veneratione fu figliuola di Plutone. Theodontio, poi la chiama riverenza,
dicendo essere bisogno venerare i Dei, & riverir gli huomini maggiori,
& perche quella, ch'a gli huomini è attribuita, & non a gli Dei fu
figliuola di Plutone, perciò Riverenza, & non Veneratione essere nomata. Di
qual madre poi ella fia concetta, non si sa, affermando tutti, che Proserpina
fu sterile. Paolo, & Theodontio dicono, che fu maritata nell'honore, &
che di lui partorì la Maestà, si come di sopra è stato mostrato. Io di questo
figmento giudico quello che veggio. Di sopra habbiamo detto Plutone essere Dio
delle ricchezze dalle quai ricchezze a bastanza veggiamo nascere la riverenza,
dandosi la riverenza solamente a i ricchi benche siano disutili, ignoranti,
privati, & vili huomini, in tanta stima appresso mortali sono le ricchezze.
Vogliono, che Chirone Centauro
fosse figliuolo di Saturno, & Fillara, nondimeno Lattantio dice, che fu conceputo
da Pelopea, della cui origine si legge favola tale, cioè, che Saturno
innamorato di Fillara la prese, & mentre (secondo Servio) usava de suoi
congiungimenti, fu sovragiunto dalla moglie Opi; onde per non essere trovato in
peccato, subito, si tramutò in cavallo; ma Fillara per tale congiungimento
s'impregnò, & partorì Chirone animale dall'ombelico in sù huomo, & da
indi in giù cavallo, il quale cresciuto in età, andò ad habitare nelle selve. A
costui da Theti fu raccomandato Achille fanciullo, il quale egli nodrì, &
ammaestrò, & similmente Esculapio. Alla fine essendo stato visitato da
Hercole avvenne per sorte, che maneggiando le saette di quello, una gli cadde
s'un piede; onde perche elle erano tinte del sangue del Leone Lerneo, il colpo
veniva ad essere mortale, tuttavia da i parenti essendo stato generato
immortale non poteva morire, di che affine, che s'adempisse il pronostico di
Ochiroe, il quale gli havea predetto, ch'egli bramarebbe essere mortale
travagliato da grave infermità, desiderando morire, pregò gli Dei, che gli
concedessero la morte; il che fatto, da quelli fu tolto in Cielo, & nel
zodiaco locato, & chiamato Sagittario, & perche valse nell'indovinare,
dinanzi a lui fu drizzato uno altare. Da tali fittioni Theodontio, &
Barlaam, cavavano questo sentimento, che Chirone fosse detto figliuolo di
Saturno, perche valse non poco d'intorno l'arte dell'Agricoltura; & perche
ritrovò l'adacquar gli horti, fu detto figliuolo di Phillara, perche Philladros
significa custode, overo amatore di acque, attentoche egli s'adoprò assai in
irrigar gli horti. Che poi Saturno nella sua concettione ritrovato dalla moglie
si cangiasse in cavallo, fu detto, percioche egli giustificò la ragion sua
appresso l'irata moglie, dicendo, ch'egli si congiungeva con l'altre donne, per
veder se potesse havere figliuoli maschi, conciosiache per la promessa fatta a
Titano non poteva serbare alcun figliuolo maschio da lei partorito, & cosi
parve, che giustamente egli s'escusasse; onde quella voce, che latinamente ha
due significati, cioè Equus, che significa anco giusto, à ciò fù attribuita.
Altri poi vogliono, che la favola prendesse materia dalle cose precedenti.
Percioche (secondo Isidoro) havendo i mortali veduto lui haver trovato
medesimamente la medicina de gli huomini, & de i giumenti fu detto
figliuolo, di huomo, & di cavallo, & nomato Chirone, accioche
s'intendesse lui haver ritrovato la Chirugia, & non la Phisica, la qual
Chirugia con lieve, & dotta mano s'opra, perche Chyros in Greco significa
mano. Che dalla saeta d'Hercole fosse ferito, il chiamano historiografo, &
che per alquanto tempo con l'arte sua havendo curato un morbo quasi mortale, a
gli amici parve dire, ch'egli fosse nato immortale, il quale la forza del
veneno non poteva amazzare. Finalmente essendo giunto alla morte, per merito
della sua virtù, essendo stato giustissimo huomo (come nella Iliade dice
Homero) per perpetuo ricordo del suo nome fu tra le Stelle locato.
Ochiroe (secondo Ovidio) fu
figliuola di Chirone, & d'una certa ninfa de Caico fiume, & questo
mostrò dicendo.
Ecco venir co i fiammeggianti
crini,
Che le cuopron le spalle, la
figliuola
Del Centauro, la qual fu da una
ninfa
Del gran fiume Caico partorita
Ne le rapide ripe d'esso fiume,
Et chiamata Ochiroe, che non
contenta
Di solo haver l'arti paterne
apprese,
Che di fati cantava anco i segreti.
Predisse costei, che Esculapio
giovarebbe a tutto il mondo, & il padre essere per disiar la morte, &
ella essere per divenir cavalla, tutte le quai cose avennero. Il significato di
tal cosa può essere (dicendo Theodontio, che ella fu Theti madre di Achille)
che fosse conversa in cavalla, perche partorì un cavallo, cioè un huomo bellicoso
come fu Achille, & per furore del quale anco essa Theti; (come dice
Leontio) fu chiamata Dea delle acque. I cavalli poi in ogni luogo appresso gli
antichi erano presagio di guerra; come dice Virgilio.
Quì per Augurio primo, i vidi
quattro
Cavalli candidissimi qual neve,
Ch'à diporto pascevano ne i campi;
Onde subito disse il padre Anchise,
Guerra m'apporti, o albergatrice
terra;
Ne le battaglie s'armano i cavalli,
Et questi
armenti ci minaccian guerra.
Pico Re d'Ausonia fu figliuolo di
Saturno, come pare, che affermi Ovidio, dove dice.
Pico (progenie di Saturno), capo
Ne le terre d'Ausonia, & ne i
confini.
Et Virgilio.
Inteso habbiamo, che di Fauno Pico
Fu padre; di costui fu genitore
Saturno,
a quel che riferisce ogn'uno.
Dice Servio, che costui fu amato
da Pomona Dea de pomi, & l'hebbe per moglie. Finalmente (secondo Ovidio)
essendo egli un giorno a caccia, avenne, che da Circe veduto, ella fieramente
se n'accese, della cui non si curando egli, fu trasmutato da quella per ciò
sdegnata in uccello del proprio nome. Ma Ovidio da Servio discorda, dicendo,
che Pico fu marito di Circe, & che si innamorò di Pomona; la onde Circe
mossa da gelosia, il toccò con la verga d'oro, & il cangiò nell'uccello
Pico. L'effetto di questa fittione a Servio pare tale, cioè, che il Re Pico sia
detto essersi mutato in Pico uccello, perche fu indovino, & nella casa teneva
un Pico, per lo cui conosceva le cose avenire, & cosi nelle cose
ponteficali si legge. Alcuni dicono che essendo questo Pico per lo singolar
studio, & diligenza di domare cavalli, nelle altre cose huomo rozzo, da
Circe fu ammaestrato, & fatto eloquentissimo, per la cui eloquenza trasse
ne i suoi voleri molti huomini selvaggi, & se gli fece obedienti, &
perciò fu finto, ch'egli fosse converso in uccello del suo nome. L'uccello Pico
tra l'altre proprietadi ha questa, che havendo lunghissima lingua; nel tempo
della state cerca i luoghi pieni di formiche, et posta tra loro la lingua;
sopporta, ch'elle gli la furino, & mordino, finalmente sentendola piena di
loro: trahe a se la lingua con tutte le formiche; de quali in tal modo si ciba.
Cosi il Re Pico con l'eloquenza, cioè con la lingua traheva a se gli huomini
agresti, i quali sono simili alle formiche, & gli adoprava (si come è stato
detto) secondo i suoi voleri. Agostino dove scrive della Città di Dio; benche
si faccia beffe di quello, che s'appartiene all'historia, come si fosse
fittione poetica; cosi incomincia; Fu edificato il real Laurento, dove Pico
figliuolo di Saturno fu il primo, che prendesse il scettro. Et poco da poi
segue; Ma questi si tengono figmenti poetici, & piu tosto si tiene che
Sterco fosse padre di Pico; dal quale ottimo agricoltore (dicono) esser stato
ritrovato si come col letame de gli animali s'ingrassassero i terreni, il che
dal nome suo fu detto Sterco. Vogliono, che costui fosse nomato Stercutio: per
la qual cagione il chiamarono poi Saturno. Nondimeno si ha per certo, che
questo Sterco, ò Stercutio per merito dell'agricoltura fu fatto Dio, & cosi
anco Pico di lui figliuolo. Cosi per Agostino si vede Pico non esser stato
figliuolo di Saturno. Ma potendo essere stati molti Pichi, crederemo ad Agostino,
che vi fosse un Pico figliuolo di Sterco, & un'altro di Saturno. Plinio
appresso nel libro dell'historia naturale afferma, che da costui fu trovato la
palla da giuocare.
Fauno fu figliuolo di Pico, si
come di sopra, s'è per Virgilio mostrato. Questi anco successe nel Reame al
padre, del quale nel primo libro delle divine institutioni Lattantio scrive,
che cosi come Pompilio appresso Romani fu institutore delle vane Religioni,
cosi innanzi Pompilio Fauno in Italia, il quale ordinò all'avo Saturno
scelerati sacrifici, & consacrò Senta Fauna di lui sorella, & sposa, la
quale, si come Crispo Clodio in quel libro, che Grecamente scrisse, dice
percioche contra il costume, & lo splendor Reale segretamente havea bevuto
un'olla di vino, & era divenuta ebbra; con verghe di mirto fino quasi alla
morte fu flagellata, da poi pentendosi del fatto, & non potendo sopportare
il desiderio di quella levò a quella gli honori sacri. Di questo Fauno poi,
& di questa Fauna, che fossero fatti Dei, pare, che Servio in questo modo
il dimostri. Un certo fu detto Fatuelo, & la moglie di costui Fatua; onde
il medesimo Fauno, & l'istessa Fauna derivati sono dall'indovinare, cioè a
fando che significa parlare; la onde chiamiamo Fatui quelli, che senza
consideratione parlano. Adunque Faune, & Fatue nome quasi aspro, &
cetera. Et quello, che segue.
Senta Fauna, come di sopra è
stato detto, fu figliuola del Re Pico, & moglie di Fauno suo fratello, si
come testimonia Lattantio, & tutto quello, che di lui scrive Crispo Clodio,
è meno, che honesto. Gabio Basso dice, che fu nomata Fatua, percioche era
solita predir' i fatti alle donne, si come Fauno a gl'huomini. Scrive Varrone,
che fu di tanta pudicitia, che alcuno, eccetto il suo marito, mentre visse, non
la vide in faccia, nè udì il suo nome; & però le donne erano solite in
segreto sacrificarle, & chiamarla buona Dea. Ma Macrobio nel libro de i
Saturnali con l'autorità di Cornelio Labeone, dice costei essere detta Maia,
& a lei sotto il titolo di buona Dea in Calende di Maggio essere drizzato
un Tempio, & la istessa essere la terra. Poi quella ne i libri de Pontefici
essere nomata Opi, Buona, Fauna, & Fatua. Buona, percioche è cagione di
tutti i beni necessari al vivere. Fauna, perche favorisce a tutti gli animali.
Opi, perche con suo aiuto la vita dura. Fatua a Fando, percioche non prima i
fanciulli partoriti mandano fuori alcuna voce, che non tocchino la terra. Et
perche si dipinge con real scettro, sono di quelli, che dicano lei haver la
potenza di Giunone; & altri, quella dover esser Proserpina; percioche con
una porca a lei per le pasciute biade le sacrificano. Oltre ciò non sorella, nè
moglie di Fauno, come dicano alcuni, ma figliuola, & che egli s'innamorò di
lei, & perche essendo anco aggravata dal vino non volse consentire al desiderio
suo, fu battuta con le verghe di mirto. Finalmente fu creduto, che cangiatosi
in Serpente, usasse con lei, & perciò sarebbe stato cosa scelerata nel
Tempio haver portato verghe di mirto. Dicono, che si vede stesa sopra il capo
di lei una vite, perche il padre col vino tentò d'ingannarla. Che poi non si
costumasse nel suo tempio sotto suo nome essere portata la di lei imagine, ma
un vaso, nel quale fosse del vino, & chiamavasi mellario, & il vino
latte; & che nel suo Tempio apparissero Serpi, che non nocevano, nè haveano
paura, & molte altre cose, come quasi vogliono questa Fauna essere la
terra, io lascierò il tutto, come poco, & niente necessario.
Dice Theodontio, che i Fauni,
Satiri, Pani, & Silvani furono figliuoli di Fauno, ma Leontio di Saturno.
De quali, percioche di alcuno non si sa il proprio nome, è necessario trattar
di tutti insieme. Dicevano adunque i Fauni, & i Satiri esser li Dei de i
boschi, & come vuole Rabano, con la voce, & non con segno mostravano le
cose avenire a Gentili. Ma i Pani sono detti i Dei de i campi, & i Silvani
delle Selve; ma impropriamente spesse volte da i Poeti uno s'è tolto per
l'altro, come fa Virgilio.
Et voi presenti agresti Dei di
Fauno.
Volsero anco gl'antichi questi
tali esser chiamati Sermoni, overo Semidei, si come scrive Ovidio.
Ho i Semidei, ho i rusticani numi,
Ho i Fauni, ho le Ninfe, & anco
i Satiri,
Et ho i Silvani, che ne i monti
stanno:
I quai, perche non li istimiamo
degni
De gli honori del Cielo gli
lasciamo
Star ne le terre, che gli habbiamo
date.
Non terrò io, che questi tali
siano figliuoli di Fauno, nè di Saturno, essendo quelli stati huomini, &
questi quasi animali bruti. Ma forse egli è cosa possibile, che al tempo di
Saturno, overo di Fauno sia di loro nato errore, & che le loro favole da
principio siano da donnicciuole state recitate, de quali nondimeno per autorità
famose sono narrate alcune cose maravigliose. Percioche Pomponio Mela dice, che
oltre l'Atlante monte di Mauritania spesse volte si sono veduti di notte lumi,
& uditi strepiti di cembali, & fistole, nè di giorno ritrovatosi cosa
alcuna, & per cosa ferma haversi questi essere i Fauni, i Satiri, &
altri simili animali. Oltre ciò Rabano dice i Fauni essere huomicelli, che
hanno le nari torte, le corna in fronte, & i piedi di capra, & uno di
questi essere stato veduto dal beato Antonio nelle solitudini della Thebaide
andando per visitare Paolo primo heremita; & havendo interrogato chi egli
si fosse, quello gli rispose, che era mortale, & un huomo di quello heremo,
la cui qualità da gli antichi ingannati gentili era adorata, & erano detti
Fauni, & Satiri. Di questi tali scrive Martiano dove tratta delle nozze di
Mercurio, & Philogia, dicendo; Et habitano quella terra, che a gli huomini
è inacessibile, & i compagni di questi sono detti di lunga età, et stanno
nelle selve, ne i boschi, ne i laghi, ne i fiumi, et ne i fonti, et sono
chiamati Fauni, Pani, Fatue, & Fane, onde è nato quel vocabolo di Fana,
percioche sogliono indovinare. Tutti questi doppo una lunga età, si come
gl'huomini muoiono; nondimeno d'indovinar, di assalire, & di nuocer hanno
grandisima potenza. Questo dice Martiano. Dice poi Aristotele, questi doppo
mille anni, & le ninfe, & i Satiri morire. Alcuni poi de Gentili tra
l'altre sue pazzie, caderono in questa, che piu tosto volevano esser chiamati
figliuoli di questi, che de gl'huomini istimando, che mentre accusassero le
dishonestadi delle madri, venissero ad aggiungere splendore alla sua nobiltà.
Aci fu figliuolo di Fauno, &
della ninfa Simetride, come chiaramente scrive Ovidio, dicendo;
De la ninfa Simetride era nato
Aci, che fu da Fauno generato.
Di costui Ovidio recita favola
tale, cioè, che amo Galatea ninfa di Sicilia, & da lei fu amato, si come a
pieno si è di sopra (parlando di Galatea) mostrato. Ma perche in questo luogo
si comprende sentimento diverso da quello, che s'è fatto di sopra, m'è paruto
descriverlo. Dice Theodontio, Cicrope esser stato un tiranno di Sicilia, ch'era
molto abondante di pecore; del cui latte accresceva molto le sue facultadi;
& però dice, che amò Galatea, cioè la Dea di Latte, perche dalla humidità
si genera latte, ma havendo le acque del fiume Aci questa proprietà, che
seccano le mammelle delle pecore, che lattano, non solamente il Ciclope perciò
comandava, ch'in certa stagione dell'anno le pecore fossero d'ivi levate, ma
molte volte tentò per via di ruscelli votarlo, & seccarlo, benche invano.
Ma io non credo che costui fosse figliuolo del Re Fauno, ma forse di qualche
altro nobile huomo cosi chiamato, overo essere stato uno di quelli, che piu
tosto volsero esser chiamati figliuoli de Fauni che de gli huomini.
Eurimedonte fu figliuolo di
Fauno, si come nella Thebaide piace a Statio, dove dice.
Eurimedonte poi vi stà propinquo,
Che tien del padre Fauno l'armi in
mano.
Istimo io, si come ho detto di
Aci, che costui non fosse figliuolo di Fauno Re de Laurenti; ma perche habitava
nelle selve, per inalzare la di lui progenie, si finse figliuolo di Fauno. Fu
costui (come mostra l'istesso Statio) nella guerra Thebana, della fattione di
Etheoclo.
Fu Perivia figliuola di
Eurimedonte, come nell'Odissea scrive Homero, dove dice.
Et movendo la terra il gran Nettuno
Generò Nausiteo di cui fu madre
Perivia tra l'altre belle donne
bella,
Del generoso Eurimedonte figlia.
Dice Leontio, che Eurimedonte fu
Signore de i Giganti, & con loro morì. Costei di Nettuno partorì Nausiteo,
si come per Homero s'è mostrato.
Latino Re de Laurenti fu
figliuolo di Fauno & di Marica ninfa di Laurento, si come si vede per li
versi di Virgilio, dove dice.
Il Re Latino i campi, e le cittadi
Allhora vecchio in lunga, &
dolce pace
Governava, costui fu generato
Di Fauno (inquanto a quel,
ch'inteso habbiamo)
Et di
Marica ninfa di Laurento.
Ma Giustino dice, che non fu
figliuolo, ma nepote di Fauno per via d'una figliuola. Percioche scrive, che
ritornando Hercole di Hispagna (morto c'hebbe Gerione) vitiò una figliuola di
Fauno, & per tale congiungimento nacque Latino. Servio poi, secondo Esiodo
in quel libro chiamato Aspidopia, riferisce Latino essere stato figliuolo
d'Ulisse & Circe, la quale alcuni chiamano Marica; & però dice Virgilio
haverlo chiamato Gloria dell'avo Sole; attento che Circe fu figliuola del Sole.
Ma Servio dice, perche la ragione de tempi non segue, essere da seguitare
quello, che dice Iginio, il quale vuol essere stato molti Latini, accioche
vegniamo a considerare il Poeta (secondo il loro solito) confusamente essersi
servito della similitudine di nomi. Ma dicano gli altri quello, che si
vogliano; favoreggiando la fama universale a Virgilio, cioè che Latino fosse
figliuolo di Fauno, a suoi versi si deve credere. Oltre ciò diversa è
l'opinione della ninfa Marica. Servio parlando di lei cosi dice. Marica è Dea
del lito de Minturnesi appresso il fiume Liso. Onde se vorremo pigliar Marica
per moglie di Fauno, la cosa non segue, percioche i Dei Topici, cioè Locali,
non passano in altri paesi, ma per poetica licenza, ciò puote concedersi, che
sia detta Marica di Laurento, essendo di Minturno. Altri dicano per Marica
deversi intendere Venere; di cui appresso Marica fu una capella, dove era
scritto. Questo dice Servio. Tale dubbio nondimeno con poche parole si può
risolvere. Molte Mariche ponno essere state, si come ancora di sopra è stato
detto di Latino. Questo Latino fu allhora quando Troia fu ruinata, & hebbe
per moglie Amata sorella di Dauno Re d'Ardea come mostra Virgilio. Ma Varrone
in quel libro ch'ei scrisse dell'Origine della lingua Latina, dice Pallantia
figliuola di Evandro esser stata di lui moglie, & vogliono che accettasse
Enea fuggitivo da Troia, & si come per oracolo era stato avisato, gli desse
Lavinia per sposa, la qual prima era stata promessa a Turno figliuolo di Dauno.
La onde nacque grandissima guerra tra Turno, & Enea, nella quale (secondo
Servio) vi morì Latino.
Lavinia (secondo Virgilio) fu
figliuola di Latino & Amata, la quale dal padre Latino essendo data per
moglie ad Enea, tutto che prima l'havesse promessa a Turno, tra loro nacque una
gran guerra; & si come dice Servio, quasi nel primo assalto Latino fu
morto: onde dotata del sangue paterno fu moglie di un straniero. Indi appresso
il fiume Numico nella istessa guerra havendo perduto il marito temendo la insolenza
del vincitor figliastro, essendo pregna d'Enea, fuggì nelle Selve; & come
dice Servio, si ridusse in casa di Tiro Pastore, dove partorì un figliuolo da
lei chiamato Giulio Silvio Posthumo; percioche doppo l'essequie del Padre nelle
selve era nato. Costei fu da Ascanio poi ritornata nel Regno paterno, essendo
egli andato ad habitare in Alba da lui edificata, il quale da lei in maniera fu
governato, (percioche nel generoso petto della donna, come che le aversità
fossero grandi, punto mai non declinò l'animo generoso, & reale;) che
cresciuto il figliuolo; a quello consegnò il Reame piu tosto ampliato, che
sminuito. Eusebio nel libro di tempi dice, che costei dopo la morte d'Enea, si
maritò in un certo Melampo, & di lui hebbe un figliuolo nomato Latino
Silvio, il qual Latino anco (morto Giulio Silvio) signoreggiò.
Preneste fu figliuolo del Re
Latino, si come pare, che affermi Solino, dove scrive delle cose maravigliose
del Mondo; & dice, che costui edificò la Città chiamata Preneste, a cui
impose il suo nome. In questo modo scrive egli; Preneste, secondo Zenodotto, fu
chiamata da Preneste nepote d'Ulisse, & figliuolo di Latino; & quello,
che segue. Di lui non ho poi letto altro. Di Giunone, Nettuno, & Giove
figliuoli di Saturno, & loro discendenti si scriverà ne gli altri libri,
& cosi daremo il fine a questo Ottavo.
Con piu benigno Cielo di quello,
ch'io incominciai; havea guidato il Padre della posterità di Saturno nel lito
de Laurenti, quando ecco, ò per fortuna del mare, ò per forza del vento
Occidentale, in un subito fui portato nel mare Egeo, & d'inanzi a Samo Isola
già famosissima, come se le anchore ivi fossero state fermate, Serenissimo Re
mi vidi essere locato. Ivi mentre io stava riguardando le vestigia di quel
antichissimo Tempio fino quasi al Cielo in parte andate in polve & parte
gittate a terra le maravigliose colonne in pezzi, i capitelli cavati dal muro,
i travi lunghissimi spezzati, & marciti, & tutta quasi la machina del
grandissimo, anzi monstruosissimo edificio rovinata, & quasi alla terra
agguagliata, & sepolta ne i cumuli delle ruine; indi tra me stesso
veggendo, & considerando il tutto coperto tra sterpi, & arbori
selvaggi, che da se nascono, tutto pieno di meraviglia stava ricercando, nè
sapeva imaginarmi per riverenza & nome di cui al suo Tempo potesse essere
stata drizzata cosi gran machina.
Cosi lodando le magnifiche opre
de gli antichi, mi venne in mente, che Giunone fu di Samo, & da Samij tra
tutte l'altre deitadi honorata; onde subito compresi quel Tempio tra l'altre
cose della Città maraviglioso, & per antichissima fama celebrato, da gli
habitatori a Giunone essere stato edificato. O quante grandi, & lunghe
fatiche sono andate in fumo. Quanti acuti ingegni d'architetti, Quanti ordinati
sacrifici de Pontefici, Quanti ornamenti di soblimi huomini, & donne ivi
apposti, affine, che al Diavolo si facesse cosa grata, sono andati a male. Onde
fermandomi con piu lungo pensiero mandato fuori dal profondissimo petto un
sospiro, meco dissi. Vergogninsi i miseri Christiani; a' quali a nostri tempi è
cosa leggierissima, per ampliare i suoi domestici poteri, forare le viscere de
i monti, radere con gli uncini da pescatore gli alvei del mare, & de fiumi;
passare le nevi Arthoe, far prova de i Soli de gli Ethiopi, ingannare gli
hiperborei grifi, addormentare i serpenti Libici, cacciare i Leoni Marmarici, con
navi solcare il mare Oceano, & se fosse concesso, passare fino in Cielo.
Ahi misero me, che piango; Forse con qualche honestà si ponno pigliare questi
sudori; ma che dirò veggendo turbare il mare da Corsali, assediare i viaggi,
romper le porte, far scritture false, porger veneni, mover guerra ingiusta,
sparger il sangue giusto, romper la fede contra tutti, pur che le forze
bastino, usar tirannide, & essercitar violenza per aggrandire un poco piu
una frale sostanza. Veramente egli è da sospirare la cecità nostra. Che sarebbe
poi, se bene si havesse, ciò che si desia, cioè edificar palagi, ornar stanze,
haver cavalli, & servi, passar tutti i giorni in conviti, & feste,
mostrarsi illustri con oro, porpora, & gemme, giuocar a piaceri, far
grandissime possessioni, haver laghi, & giardini, se il nostro honore, la
nostra gloria, & il nostro splendore da genti vili è occupata. Il famoso
Gierusalemme è in servitù, i luoghi sacri del Salvatore, & degnissimi di
memoria da barbarica feccia sono macchiati, & in disprezzo del nome
Christiano rovinati. Gli inimici bestemmiano, si fanno beffe, & ridono
delle reliquie, dove Christo nacque, & fu nodrito, dove egli si mostrò
huomo & Dio, & predicando si manifestò la gloria della salute; onde per
liberarci dal laccio della servitù, innocente patì morte; & fu sepolto, nè
si curiamo di detti luoghi, dove suscitando da morte, con propria virtù volò in
Cielo. O sceleraggine grande, & eterna vergogna. Poterono gli habitatori
d'una picciola Isola levare colonne da i monti, cavar grandissime pietre, &
ridurle in opra eccelsa, accioche per forza d'oro riducessero il tutto in una
gran machina, & facessero un maraviglioso tempio a una scelerata donna;
& tutta l'Europa non si cura metter una armata in mare, pigliar l'armi
montar in nave, over mover guerra a gli inimici & con tutte le forze
mondificare, & purgare questo santissimo paese da cosi vili inimici, &
levar dalle nostre fronti cosi grave vergogna, accioche con queste pietre
edifichiamo non in terra un Tempio frale, ma in Cielo una Città eterna. Ma che
stò io con parole forse superflue a percuoter l'orecchie altrui; i pigri
saranno punti da Iddio, & gli avari ricchi lasciati vacui. Noi adunque
ritorneremo al proposito. Stando adunque a riguardare le ruine, nè potendo
levar gli occhi dall'antica maestà del luogo, assai bene m'avidi dall'instabile
fortuna essere avisato, che il parlare di Giove, & di Nettuno, alquanto era
da differire, accioche prima io parlasse della favolosa stirpe di Giunone,
nella cui si contiene anco tutta la progenie del guerriero Marte, tra gli
strepiti & furori del quale, pregò il benigno Iddio, che ammaestrò le mani
di David alla guerra, che conduca per sua bontade in pace.
Giunone, secondo l'errore de
Gentili, Reina degli Dei, fu figliuola di Saturno, & Opi; nacque innanzi
Giove, ma però in un parto istesso. Oltre ciò fu moglie di Giove come dice
Ovidio, & Virgilio. Servio vuole, ch'ella fosse nudrita da Theti. Et alberico
afferma ella haver allevato Nettuno. Cosi Martiano dice, che quella nudrì
Mercurio figliuolo di Maia. Oltre ciò la fanno Dea di Regni, & delle
ricchezze, cosi anco del matrimonio, si come Virgilio scrive.
Rende prima de gli altri a Giuno
honori,
Nel cui potere i matrimoni stanno.
Vogliono Appresso ch'ella
habbia potere sopra quelle, che partoriscono, si come nella Aulularia di Plauto
si vede, il qual dice; O mia nutrice, io mi sento morire. Ti priego, che
m'aiti. O Giunone Lucina io ti dimando aita; & quello, che segue. Le
attribuiscono anco una carretta, & alcune armi, si come nella Iliade Homero
dimostra. Et accioche la Reina de gli Dei non vadi sola, le aggiungono per
serventi quattordici ninfe, si come in persona di lei Virgilio mostra, dicendo.
Due volte sette ninfe a miei
servigi
Bellissime di corpo stanno pronte.
Fra le quali spetialmente si
annovera Iris. Dissero anco, che il Pavone stà in sua guardia, alla cui coda,
Ovidio dice, ch'ella cui pose gli occhi d'Argo amazzato da Mercurio. La
chiamano anco, oltre il nome di Giunone, & Regina, con molti altri nomi,
come sarebbe Lucina, Matrona, Curiti, Madre de gli Dei, Fluonia, Februa,
Interduca, Dominduca, Unxia, Cynthia, Socigena, Populonia, & Proserpina.
Dicono anco, ch'ella havendo mangiato alcune lattuche silvestri, partorì Heben
sua figliuola: cosi percosso un fiore, Marte; ma di Giove suo marito, Vulcano.
Oltre ciò di lei molte altre cose si riferiscono. Cerca le cose predette, che
sono molte, molti diversamente hanno esposto varie dichiarationi. Dice Barlaam,
che Giunone è stata tenuta figliuola di Saturno, & Opi da quelli, i quali
hanno creduto Saturno essere stato il creatore delle cose, & Opi la
materia, & Giunone la terra over l'acqua. Cosi Macrobio, dove parla del
sogno di Scipione, dice, che è sorella di Giove, per essere stata prodotta da
quelli istessi semi, che fu Giove, affermando Giove essere il Cielo, &
Giunone l'aere la quale, dicono essere nata innanzi Giove, perche essendo Giove
il fuoco, & costei l'aere, a noi non pare, che senza spirito, che è l'aere,
il fuoco si possa ridurre in fiamma, nè ridotto, poter vivere: & però
essere bisogno, che l'aere vi sia se tu vuoi che il fuoco vi segua; overo ciò
puote esser detto, perche il fuoco per lo movimento dell'aere s'accenda, si
come spesse volte veggiamo essere avenuto nelle selve, & ne i luoghi
palustri, & cosi l'aere è nato pria del fuoco. Fu poi finto, ch'ella fosse
nodrita da Theti, perche si ristaura con l'humidità dell'acqua ogni parte di
aere che assottigliato si cangia in fuoco. Che quella allevasse Mercurio, &
Nettuno, il tutto si narrerà, dove di quelli si ragionerà. E detta moglie di
Giove perche l'aere è posto sotto il Cielo, overo il fuoco. Servio dice poi,
che alle volte Giove si toglie per lo fuoco, & l'aere, & talhora per lo
fuoco solo; cosi Giunone si piglia per la terra & l'acqua; & talvolta
per l'aere solo; & però quando per lo fuoco, & per l'aere si piglia
Giove, & Giunone per la terra, & l'acqua, meritamente sono detti marito,
& moglie, havendo il fuoco, & l'aere possa di oprare, & la terra,
& l'acqua, di patire; & cosi oprando i superiori con gli inferiori
(prestandoli aiuto a i corpi sopracelesti) appresso noi si genera il tutto.
Quando poi, come lo istesso Servio dice, Giove solamente si mette per lo fuoco,
& Giuno per l'aere, si per la ragione della conformità della vicinanza,
come della sottiglianza, & leggierezza, si dicono esser fratelli. Theopompo
ne i versi Cipriaci, & Hellano nella Diospolitichia, vogliono Giunone da Giove
esser legata con catene di oro, & posta appresso gl'incudi di ferro; i
quali penso, non habbiano voluto intender altro, eccetto lo aere esser
astenuato dalla durezza, & frigidezza della terra; & con catene d'oro,
cioè per continuatione successiva della luce, congiunto al fuoco. D'intorno a
tal materia in questo modo Tullio parla.
Disputano gli Stoici, che l'aere traposto fra il mare & il Cielo, è
sacrato al nome di Giunone, la quale è sorella, & moglie di Giove, il che è
simiglianza di aere, & somma congiuntione con lei. Effeminarono adunque
lui, & il diedero à Giunone. Nessuna cosa veramente è piu molle dell'aere;
& quello, che segue. Oltre ciò, chiamarono Giunone Reina, Dea di Regni,
& delle ricchezze, la quale da Fulgentio è descritta col capo velato, e col
scettro in mano; non volendo (come credo) esprimer'altro, che quella parte,
dove consistono i Regni, & le ricchezze, perche habbiamo già detto Giunone
essere la terra, dove è assai palese, che stanno i Regni del mondo; adunque in
se tenendo i supremi Regni, è dea de i Reami; il che per lo scettro si dinota;
cosi con questa medesima ragione è dea delle ricchezze. Percioche si come nelle
viscere tiene tutti i metalli, & le cose pregiate; il che si comprende per
lo capo velato, & nella superficie le biade, tutti i frutti, & gli
armenti, ne quai veramente consistono le ricchezze terrene, da se il dimostra.
Vogliono, che fosse Dea di matrimoni, percioche per lo piu col mezzo della dote
si fanno i maritagi, la qual dote è parte di ragione di Giunone. Oltre ciò in
alcune cose credettero Giunone essere la Luna, & ch'ella potesse molto
d'intorno gli atti humani, & spetialmente circa i movimenti di luogo à
luogo, & di qui hanno tenuto Giunone per la strada guidare le spose, che
partono dalla casa di padri, & vanno à quelle di mariti, onde l'hanno
chiamata Iterduca, overo per altra ragione, percioche furono soliti gli antichi
mandar di notte le spose a marito, attento che elleno si vergognavano di giorno
andar à perdere l'honestà; & perche mentre la Luna luceva, pareva ch'ella
le mostrasse il camino fu chiamata Iterduca; onde percioche anco con tal guida
pareva ch'ella fosse la prima, che le conducesse nelle case de mariti, fu anco
detta Domiduca. Indi perche le vergini venendo sotto la guida di Giunone alle porte
di sposi, secondo l'antico costume, con varie uncioni ungevano le porte, da
tali untioni fu nomata Unxia, & le spose Unxores; & poi come dice
Alberigo, s'è venuto a tanto, che sono dette Uxores, et volgarmente mogli. Dice
Fulgentio, che è chiamata Dea di quelle, che partoriscono perche le ricchezze,
ne quali ella è Regina sempre ne partoriscono dell'altre; il che semplicemente
non è vero di tutte, anzi è detta Dea delle donne, che partoriscono; perche la
Luna, tenuta una cosa medesima insieme con Giunone, fu solita da quelle che
partorivano, essere sotto il nome di Lucina invocata, & secondo Macrobio
dicevano, che in potere di Giunone era il far tosto allargare i meati, & le
vene de i corpi delle donne nel tempo del parto; il che alle donne è di molta
salute; & allhora in Greco viene detta Artemia latinamente come sarebbe
seccante l'aere. Le fu attribuita la Carretta, per dinotar' il continuo giro
dell'aere d'intorno la terra. Le furono aggiunte l'armi, percioche a
guerreggianti, & massimamente per cagione di ricchezze, & stati, pare
che ella gli lo conceda, prepari, & dimostre. Dicono, che le ninfe sue
serventi sono quattordeci, accioche conosciamo, altretanti accidenti per
cagioni diverse nell'aere essere generati, si come la serenità, lo impeto de
venti, le nubi, la pioggia, la tempesta, la neve, la rugiada, i folgori, i
tuoni, le comete, l'arco celeste, i vapori infiammati, baleni, & nuvoli.
Nondimeno alcuni ne descrivono alcune altre, aggiungendovi altre cose
appartenenti alla terra, come è il terremoto, che manda fuori in terra
gl'incendij, & simili cose. Ma la piu famigliare di tutte queste serventi,
che sia attribuita a Giunone da i Poeti, è Iris, la quale volsero, che fosse
figliuola di Thaumante, cioè dell'ammiratione; percioche essendo Iris l'arco celeste,
egli si vede di colori diversi, et d'apparenza maraviglioso. Attribuiscono
costei a Giunone Dea delle ricchezze, accioche per la sua piegatura di vari
colori dipinta, vengano a disegnare gli ornamenti delle ricchezze, le quai per
lo suo splendore sono maravigliose; & si come questa Iris cosi bella, in un
subito si dissolve, cosi gli splendori di ricchi in un momento spariscono.
Volse, ch'ella fosse detta Iris, quasi Erim, il che significa contrasto;
attento che per le ricchezze nascono molte discordie: et di quì alcuni dicano
Iris sempre esser mandata ad eccitar discordie. Le danno poi il Pavone in
tutela, per dimostrar le qualità di ricchi; percioche il Pavone è un uccello,
che grida, per lo qual atto s'intendeno i gridi, le inalzate voci di vantatori,
& l'altezza di ricchi. Habita il Pavone sopra i tetti, & sempre sale
sopra i luoghi piu alti de gli edifici; affine, che si conosca i ricchi
ricercar tutte le preminenze, & se non gli sono date, se le usurpano. Oltre
ciò è ornato di belle piume, di lodi si diletta, & di maniera si trahe a
vagheggiar se stesso, che rivolta in giro l'occhiuta coda, lascia ignude le
parti di dietro piene di lezzo, per le quai attioni si comprende la porpora di
ricchi, la veste d'oro, la gloria vana, la famosa pompa, & le orecchie alle
adulationi drizzate: nelle quai cose quante volte occorre, che meno
avertentemente vi cagiona, nasce che la lordura loro, che forse sarebbe stata
nascosta, si scuopra, & sotto quel splendor' appaia un cuor misero, da
ansiosi pensieri stracciato, la dapoccagine, la pazzia, la inettia di costumi,
le sporcitie di vitij; & spesse volte i corpi, che marciscono da fetente
lezzo. Ci resta dichiarare i nomi, de quai punto non è stato detto. Tullio
vuole, ch'ella sia detta Giunone, si come giovatrice di tutti; il che è proprio
di Giove. Ma Rabano chiama Giunone quasi Gianone, cioè Ianua, che è la porta,
rispetto alle proprietà delle donne, percioche ella venga ad aprire le porte
delle madri a i figliuoli, che nascano, & delle spose a i mariti. Tuttavia Leontio
dice, che Giunone in Greco si chiama Iri. Il quale viene da Era che è la terra,
& si fa la mutatione di e in i, & fa Ira, alla quale cangiando l'a, in
I, si fa Iri. Onde Giunone propriamente è la terra. Si chiama Socigena,
percioche associa, & congiunge i maschi con le femine. Populonia, percioche
per le congiuntioni de gli huomini, & donne da lei fatte si creano i
popoli. Cinthia poi, che è nome della Luna, fu chiamata perche ella veniva a
slegare la cinta della castità alle donzelle ne i loro congiungimenti con gli
huomini; il che tengo essere stato ufficio di Venere, la quale (testimonia
Alberigo) dicevano, che seguiva Giunone Domiduca nelle nozze; percioche il
primo ufficio in oprare le cose, che s'appartengono al matrimonio, era di
Giunone; & a Venere era conceduto congiungere all'atto carnale l'huomo,
& la donzella: & a quella sciorre la cinta della castità, la quale
attribuiscono ad essa Venere; & la dicono Ceston; E poi detta Matrona,
perche è soprastante solamente di quelle donne, che sono buone da marito, &
atte a partorire, le quai benche non si maritino, sono matrone, overo cosi
possono chiamarsi, attentoche per l'età ponno essere madri. Dice poi Alberigo,
che si chiama Curiti, si come regale, overo forte, ò vogliamo dir potente, ò piu
tosto secondo Servio a Curru, che è la carretta, attentoche i combattenti
adopravano le carrette, per le quai vogliono, ch'ella fosse Dea sopra le
guerre. La chiamano anco madre de gli Dei, perche intendono la terra madre di
tutti. Favonia poi, secondo Alberigo, da i fiori de semi, overo perche nel
parto liberi le femine; ma io tengo, che sia detta Fluonia, & non Favonia
dal flusso menstruale delle donne, il quale si dice essere causato (secondo
alcuni) dalla Luna. Cosi anco dalle purgationi Februa, attento che doppo il
parto quelle purghi, percioche Februo significa l'istesso che Purgo. Si sono
dette quelle cose, che ci sono parse sotto qualche figmento poetico contenere
in se natural senso. Ci resta dichiarare quello, che sotto parte delle fittioni
secondo l'historia è stato finto. Nella sacra historia si legge, Giunone essere
stata generata da Giove Re, & huomo, & di Opi moglie di Saturno in un
parto istesso con Giove, ma pria di lui esser nata, & secondo Varrone
moglie fu nodrita nell'Isola di Samo chiamata pria Parthenia, dove essendo
cresciuta, fu maritata in Giove, & per ciò a Samo vi fu edificato un
nobilissimo & antichissimo Tempio, dov'era l'imagine di Giunone figurata in
habito d'una donzella, che si mariti, alla quale ogni anno si celebravano i
sacrifici nuttiali.
Hebe, secondo Theodontio, fu
figliuola di Giunone, della cui recita favola tale. Dice egli, che Apollo
apparecchiò un convito a Giunone sua madrigna in casa di Giove suo padre, &
che tra l'altre cose, vi fece porre innanzi delle lattuche agresti, le quai con
desiderio mangiate da Giunone, avenne, che ella fino allhora stata sterile, si
impregnò, & di tal parto partorì Hebe, la quale, per essere bellissima, da
Giove fu tolta per suo pincerna, & fatta Dea della gioventù. Finalmente
essendo egli con tutti gli altri Dei andato a mangiare con gli Ethiopi,
occorse, che Hebe poco avertitamente maneggiando le tazze, con quelle si
intricò, & cadde sozzopra, dove levandosele i vestimenti, mostrò tutte le
parti vergognose a i Dei, di che Giove la privò di tale ufficio, & in suo
luogo sostituì Ganimede fratello di Laumedonte Re di Troia. Ultimamente, morto
già Oete, & locato nel numero di Dei, la diedero per moglie ad Hercole. Ma
Homero nell'Odissea dice, che ella fu conceputa da Giove. Tuttavia perche io
solamente la ho ritrovata attribuita a Giunone senza padre per figliuola a
Giove altrimenti non la ho ascritta. Quello, che da tai figmenti si debba
comprendere credo esser questo. Diceva l'honorato Andalone, che à Giove detto
padre di Apollo tra i segni Zodiaco, ne sono attribuiti due, i quai chiamarono
gli Astrologhi suoi domicili, cioè Sagittario, & Pesce. Ma essendo il Sole,
cioè Apollo in Sagittario casa di Giove instando già il verno, a Giunone alla
terra si appongono le lattuche silvestri, cioè lo intenso freddo; percioche
secondo i Fisici, le latuche silvestri sono frigidissime; & il freddo
d'intorno la superficie della terra opra talmente, che ristretti gli humori di
quella, il calore congiunto con la terra si adora circa l'interiore di quella,
& riscaldata dalla humidità della terra fa pullulare, & empie di humore
le radici dell'herbe, & delle piante; la onde crescono, & si fanno
pregne, & cosi entrando il Sole in Sagittario per l'intenso freddo si
impregna la terra, la quale nell'Autunno pareva sterile. Finalmente venendo il
tempo del parto, cioè la Primavera nuova partorisce Hebe, che è la gioventù,
& la rinovatione di tutte le cose, le fronde, i fiori, & tutte le piante
in tal stagione spuntano. Cosi venendo la Primavera, che è calida, &
humida, viene detta porgere le bevande, cioè la humidità a gli Dei, cioè a i
corpi sopra celesti, i quai si come altre volte è stato detto, secondo
l'opinione di alcuni, si pascono dell'humidità de vapori, che sorgono dalla
terra. Ultimamente sovragiungendo l'Autunno, nel qual tempo il Sole comincia
declinare verso il solstitio hiemale, che è agli Ethiopi, che sono verso il
Polo Antartico, tutte le verdure incominciano cessare, & le foglie de gli
alberi cadere; & cosi Hebe mentre si scuopre quello, che dalle frondi era
stato nascosto, viene detta esser spogliata, & mostrare le parti
vergognose, & anco esser rimossa dal servire alla tavola di Giove, dove
vien sostituito Ganimede chiamato il segno d'Acquario; percioche a quel tempo
il verno è pioggioso, & con abondanza manda dalle stelle humidi vapori. Che
poi ella sia data per moglie ad Hercole, credo ciò esser finto, perche la
giovanezza, cioè la perpetua verdura è sempre congiunta con le opre de gli
huomini famosi, nè sopporta, che quelle non pur moiano ma caggiano in
vecchiaia.
Sono di quei, che vogliano Marte
essere stato figliuolo di Giove, & Giunone; ma Ovidio nel libro de Fastis
mostra, ch'egli fosse solamente figliuolo di Giunone senza padre, dicendo, che
Giunone turbatasi che Giove da se stesso senza alcuno aiuto, nè opra di Giunone
havesse creato Minerva, cercava l'Oceano per consigliarsi seco a qual partito
anco ella senza aiuto di huomo potesse partorire un figliuolo; onde essendo
lassa, postasi a passare sulla porta della Dea Flora moglie di Zefiro,
interrogata da Flora dove andasse, glielo disse, alla quale Flora, pur che
fosse tenuto nascosto da Giove, le promise un salutifero rimedio, di che
Giunone havendo per le onde stigie giurato di non lo dire ad alcuno, Flora le
insegnò ne i campi Olenei essere un fiore, il quale toccato, havea in se virtù
d'impregnare, & far partorire senza huomo. Il che provato da Giunone,
subito senz'altro s'impregnò, & partorì un figliuolo da lei chiamato Marte.
Altri poi dicono, che Giunone toccatosi il membro genitale partorì Marte. Tutti
vogliono, che costui fosse un ferocissimo, & armigero Dio, & però il
fanno capo & Dio sopra le guerre, & l'armi. Nella Thebaide Statio
descrive il suo paese, cosi dicendo.
Sotto la region del Polo Artoo
Cilenio entrò a cui comanda Marte.
Ivi sempre stà verno, e iscuri
nembi
Dimostra il Cielo, & Aquilone
horrendo
Con meraviglia le deserte selve,
Et gli sterili boschi, ù teme,
& trema.
Nè schermo contra le percosse
acerbe
Di quelle palle. Quì Mercurio
guarda
Crudelmente vi soffia, & con
furore
Ivi prima che altro empito mostra
Grandine, e pioggia, ogn'hor scende
dal Cielo,
A cui non val rimedio di capelli,
Et
quello, che seguita.
Cosi non senza gran misterio
descritto il suo paese, descrive anco la sua habitatione, & famiglia,
dicendo:
Cinta è la fiera casa di
ogn'intorno
Di gran lastre di ferro, & son
di ferro
Le porte strepitose, i travi, e i
tetti
Di ferro incatenati, ove s'offende
Di Febo il gran splendor contrario
a quello
U la luce ha timor di quella
stanza,
Et il fiero splendor le Stelle
attrista.
Primo da stanza tal, l'impeto sale,
Cui la scelerità subito segue,
Et
amendue son di color ardente,
I pallidi timor vengono dietro,
Con le insidie, che stan ne i ferri
occolti,
La discordia, ch'in man tien doppio
il ferro
Si vede, & quell'albergo
d'infinite
Minaccie suona: la virtù stà in
mezzo
Tristissima, & afflitta, e' l
furor lieto.
Ivi dimora ancor la morte armata
Con sanguinoso volto, & solo in
terra
Si vede il sangue nelle guerre
sparso
E il foco, ch'abbrusciato ha le
Cittadi.
D'intorno al tempio suo stavano
appese
Le spoglie de le terre, & molte
genti,
Ch'erano state prese, & i
fragmenti
De le porte da l'armi a terra
poste.
V'erano ancor i pezzi de le navi,
Che combattuto havean nel mar
irato,
I carri rotti, e i lor spezzati
arnesi
I gemiti, i dolori, & ogni
forza
Con tutte le ferite, e i danni
havuti.
L'armi stavano in schiera ivi
attacate
De' miseri abbattuti, e a terra
posti,
Il che non si potea senza cordoglio
Guardando
rimirare, ivi stà Marte.
Oltre ciò dicono, che Bellona fu
di lui sorella, la quale attribuiscono per guida della sua carretta, si come il
medesimo Statio, descrivendo l'andare d'esso Marte, dimostra.
Orna l'ira e 'l furor le piume,
& l'elmo,
Et il timore suo scudier prepara
A i cavalli le briglie, e innanzi a
quelli
La vigilante fama ogn'hor ripiena
Di varie cose, non men vere, ò
false
Precede sempre come sua ministra,
Volando tuttavia le piume scuote
Con vario mormorar, talhor timore,
Et talhor grand'ardire a molti
dando.
Guida della carretta è poi Bellona
Di lui sorella, che con l'hasta,
& sproni
Discinta i crini, i suoi cavalli
punge.
Et
quello, che va dietro.
Vogliono appresso, che questo
cosi crudele, & sanguignoso Dio fosse innamorato, & tra l'altre amasse
Venere moglie di Vulcano, & che con lei si congiungesse del cui Homero
nell'ottavo dell'Odissea recita favola tale. Dice egli, che Marte amò
grandissimamente Venere, con la quale congiungendosi, avenne talhora, che fu
veduto dal Sole, & accusato a Vulcano marito di lei; il quale segretamente
d'intorno il suo letto pose alcune catene invisibili da lui fabricate, &
fingendo andare in Lenno, Marte credendolo, se n'andò a ritrovare Venere, dove
essendo ignudi entrati in letto, amendue da gl'inganni di Vulcano restarono
presi, & insieme legati, onde subito comparendo ivi Vulcano si diede a
gridare, & a rammaricarsi della ricevuta ingiuria, per la qual cosa tutti
gli Dei vennero a vederli, & tra gli altri Mercurio, Nettuno, & Apollo;
ma le Dee per la vergogna non vi vennero, di che tutti gli Dei ridendosi nel
vederli insieme aviticchiati, & ignudi solo Nettuno per loro intercesse,
& tanto pregò Vulcano, che humiliò quello, & fece, che disciolse i
legati. Oltre ciò attribuiscono in guardia di questo fiero Dio il Lupo, &
de gli uccelli il Pico, & dell'herbe la gramigna. Appresso si narrano molte
altre cose: le quali hora lasciando, serbo al suo luogo, affine di esporre
quello, che in se contengano le dette. Gli antichi non volsero, che Giove fosse
padre di Marte, accioche non paresse, che il figliuolo tralignasse tanto dal
padre. Spesse volte habbiamo detto, che Giove è Pianeta piacevole, &
benigno, dove Marte è crudele, & fiero. Che Giunone poi, andasse per
ritrovare l'Oceano, & che s'appigliasse al consiglio di Flora, credo essere
stato detto piu tosto per colorare la ragione della origine, che per altro;
& perciò istimo il fiore Olenio, over nato ne i campi Olenei essere il
menstruo: il qual solamente è patito dalle donne: onde elle con la bellezza del
vocabolo, cercano cuoprire il lezzo di quello, chiamandolo il suo fiore, il
quale dice Ovidio, essere detto nascere nei campi Olenei, ò perche olisse, cioè
puzza, ò perche scende dal luogo fetido: di lui cosi scrive Isodoro. La donna è solo animal menstruoso, per lo
toccare del qual sangue le biade non fruttano, i vini diventano aceti l'herbe
muoiono, cadono i frutti da gli alberi, il ferro si rugginisce, i rami
divengono neri, & se un cane ne gusta, si fa rabbioso, et quello, che
segue. I cui effetti, se drittamente sono considerati, vedremo, che Marte cosi
fiero, & crudel animale non poteva essere generato da altra materia piu
conforme a lui, che da questa. Nel tempo di Marte, cioè di guerra, non fruttano
non solamente le biade, ma nè anco si semina, dove suona il bellico furore, le
vigne s'abbandonano, & cosi paiono divenir aceto, l'herbe calcate dalle
correrie muoiono, tutti i frutti de terreni vanno a male, mentre durano le
violentie, & ruberie, il ferro assottigliato ad uso iniquo, & scelerato
consuma i metalli, si coloriscono i campi col sangue di morti, i Castelli se
sono desiderati da essere occupati per ingordigia di regnare, ò per fiera
battaglia, ò per lungo assedio sono rovinati, & cosi le mura delle ampie
Cittadi, et le Rocche, et le fortezze vanno in polve, & rovina. Adunque,
egli si conviene benissimo col seme di tal frutto. Overo con altra ragione è
detto figliuolo di Giunone, la quale spesso habbiamo chiamato terra, & Regina
de Regni, & delle ricchezze, conciosia che per l'ambitione ingorda de
gl'huomini d'intorno tali litigi, contrasti, & differenze & guerre
nascano. Se vogliamo poi haver riguardo al percuoter che si dice, ch'ella fece
con la mano a le parti sue genitali, diremo che allhora ella è incitata, &
percossa, quando l'appetito è eccitato alle cose superflue, dal quale
spessissime volte nasce contrasto, per lo cui talhora si procede in guerra,
& cosi Marte nasce. Che costui poi nato in questo modo habiti appresso i
Bistoni, et Thracesi, si come narra Statio, chiaramente questo si conosce,
percioche sotto il Polo Artoo, per esser regione freddissima quei, che ivi
nascono, sono huomini sanguigni, nè questo dalla discreta Natura in darno è
stato oprato, perche se fossero essangui, non potrebbono resistere. Questi tali
sono abondanti, di sangue, grandi mangiatori, & bevitori ismisurati, di
consiglio tardi, di frodi abondanti, nelle rovine facili, pieni di gridi,
furiosi, che non desiderano alcuna cosa, eccetto per contrasto, & che
ridono delle ferite, il che tutto a Marte, si aspetta; la onde propriamente ivi
è descritta la sua stanza reale circondata da schiera di nembi, & grandini,
& strepitosi Aquiloni, affine, che sentiamo gli empiti, i furori, la
rabbie, i rumori, et i tumulti di quei, che seguono la guerra. Oltre ciò la
casa si descrive di ferro, accioche conosciamo le munitioni de i luoghi, dove
si guerreggia che sono di ferro, cioè pieni d'huomini armati di spade, lancie,
& dardi, i quali, perche per lo piu sono adoprati in cattiva parte,
attristano lo splendore del Sole; attentoche la luce è creata per bene. Oltre
ciò lo splendor del Sole per rispetti dell'armi alle volte diviene livido,
dalla qual lividezza l'aurea luce del Sole pare, che alquanto s'offuschi, &
attristi: onde per questo possiamo creder le menti di quegl'huomini, ne' quali
arde cosi crudo amor, esser ferree, cioè inessorabili inchinate ad ogni male,
& sempre con iniqui pensieri intente contra lo splendor della carità
celeste. Poi tra i ministri di Marte il primo, che comparisca è l'impeto, col
quale i miseri impatienti poscia che con parole hanno gittato i semi della
guerra, correno all'armi, dietro il quale segue la sceleraggine, attentoche
mentre dal furioso impeto siamo cacciati, ci viene levata ogni consideratione
di ragioni, la cui toltoci, leggiermente s'incore nell'homicidio, incendio,
ruina de beni, & delle facultadi; & si come l'attizzato fuoco sale in
maggior fiamma, cosi l'incominciata scelerità, assottiglia, & infiamma
gl'animi de i male opranti, i quali però sono descritti cosi rubicondi, &
infiammati, perche la faccia dell'huomo sdegnato pare di fuoco, ò perche
nascano d'infiammato sangue. Oltre ciò in questa casa di Marte, la qual si
debbe intender esser' in ogni luogo, dove si faccia guerra, gli essangui
timori, i quali ha detto essangui, percioche i timidi sono soliti impallidire,
attentoche tutto il sangue corso d'intorno il cuor del timido, lascia l'altre
parti esteriori di quello prive; il qual timore essendo dubbioso il successo
della guerra, non solamente assale i da poco, ma talhora i valorosi guerrieri,
& Capitani per molte ragioni. Ivi anco sono le insidie, che portano l'armi
nascoste, affine di dinotare la fraude dell'insidiante; d'intorno a queste
bisogna, che i Capitani habbiano molto avertimento, non facendo gli insidiatori
alcuna cosa in presenza, eccetto con sua commodità grandissima. Dice anco, che
tra i ministri di Marte v'è la Discordia armata di due coltelli, accioche
consideriamo, che quando gli huomini vengono a questo, non hanno una istessa
opinione, ma diverse contrarie. Onde da questa diversità d'animi nasce, che
l'una, & l'altra parte move la guerra. Sono ivi anco innumerabili minaccie,
le quali sono l'armi de i gonfiati huomini, di maniera, che non pur questi tali
moveno gare, ma anco questi tali, che minacciano, tanto fanno. Cosi
medesimamente vi è la virtù tristissima, il che da lui è detto, percioche,
benche l'huomo da guerra sia molto occhiuto, robusto, valoroso, & d'intorno
gli eminenti pericoli forte, & costante, tuttavia perche queste tali
virtudi sono inchinate a spargimento di sangue, a ruine di Città, & a
rubamenti, paiono esser tristi, conciosia che sono oprate in tristezza d'altri.
Insieme con gl'altri v'è il furor lieto, & ciò, perche spessissime volte
interviene nelle guerre, il quale chiama lieto, attentoche tra i pieni di
crapula, & vino è solito nascer; percioche di rado veggiamo con lo stomaco
digiuno esser i furiosi. Tra questi anco v'è la morte armata con sanguinoso
volto, volendo perciò dimostrar le spesse uccisioni delle guerre, & l'ampie
effusioni di sangue; overo la chiama armata, per dinotar la morte di quei, che
muoiono per le mani de gl'armati. Resta dichiarar gl'ornamenti del Tempio, i
quali tutti sono per dimostrar la miseria de' venti, & la gloria de
trionfanti; onde perche questo da se a bastanza è chiaro, il lasciaremo, &
cosi anco faremo di Bellona; della cui a sofficienza s'è parlato trattando di
Minerva Armigera. Ci resta parlar alquanto del caminare, & dell'andare di
Marte, il cui principio pare, che venga dal furore, & ira, che adornano le
sue piume, & elmo; il che oprando questi non può esser senza impeto, &
questo di sopra è stato detto. Dice adunque, che questi tali adornano le piume,
& l'armi di Marte, affine, che intendiamo, che essendo fatte l'armi per
mover, & finir le guerre, allhora paiono ornate & splendenti, quando
con impeto sono oprate, percioche in un pigro e benigno soldato sono dette
piangere. Dice poi che il timor prepara i cavalli a Marte, & esser suo
valletto, percioche ò per tema di non esser sovragiunti, o per timor di
strepiti pigliamo i cavalli, & le armi. La fama poi va innanzi i cavalli di
Marte, cioè della guerra futura quasi sempre narrando i fatti cosi veri, come
falsi, i quali da timidi, che gli aspettano leggiermente sono uditi, &
accresciuti. Che Marte anco amasse Venere, alcuni vogliono scoprir la historia
dicendo, che Venere sprezzò le deformità di Vulcano, & a Marte guerriero si
accostò, di che un huomo prudente, & amico di Vulcano essendosi accorto,
scuoprì a Vulcano il mancamento della moglie, il quale di ciò lungamente
dolendosi, & salito in furor à pena s'astenne di non porre le mani contra
la moglie; ma da quello istesso modesto, & benigno huomo fu acquetato.
Altri dicono poi, che quelli, che hanno finto tal materia, hanno voluto mostrar
molti huomini bellicosissimi, & famosi Capitani già esser stati notati di
tal atto venereo. Alcuni altri poi più adentro penetrando, istimano in vece di
Venere potersi intender il concupiscevole appetito congiunto con Vulcano Dio
del fuoco, cioè al calor naturale con matrimonio, cioè con indissolubil nodo.
Di quì a guisa di fuoco, mentre cresce in maggior fiamma, viene detto amar
Marte come piu caldo, & da lui, si come a se piu simile, esser' amata onde
nell'istesso desiderio con lascivia si congiungono; il che dal Sole, cioè
dall'huomo savio viene ripreso, & partendosi, vien'accusato al giusto
calore, cioè da Vulcano. Ma mentre il fervor della disordinata concupiscenza in
contrario s'estende, aviene, che più strettamente è legato da occulti legami,
ciò da pensieri & dilettationi lascive, da quali effeminato non può
sciorsi, di che fatti palesi i suoi dishonesti congiungimenti, dai saggi viene
beffato. Nettuno poi che solo si tramette per li prigioneri, è l'effetto
contrario al fervor lascivo, col quale si come il fuoco dall'acqua, cosi l'amor
vergognoso è estinto, & mentre vuole, colui che patisce le catene, dalla
ragione viene disciolto. Gli è poi attribuito il carro, perche anticamente i
combattenti usavano le carrette. Il lupo poi gli fu dedicato per esser animale
rapace, & ingordo, affine di mostrar la insatiable ingordigia di quelli,
che seguono gli esserciti. Il Pico poi è attribuito, attentoche per lo più gli
huomini da guerra sono intenti a gli auguri, & portenti, & perche
d'ogni cosa, che occorra subito pigliano augurio, overo, si come il Pico col
percuoter continuo del rostro penetra fino nelle quercie, cosi i combattenti
con i continui assalti, & abbattimenti di guerre penetrano le mura delle
Cittadi. La gramigna poi a lui sacrata (secondo Alberigo) è percioche, si come
Plinio dice, questa herba si genera di sangue humano; onde i Romani facendo
guerra, & volendo sacrificar a Marte, li drizzavano un'Altare ornato di
gramigna; il che io istimo da farsi beffe, cioè, che la gramigna nasca di
sangue humano; ma tengo, che ciò altrove habbia havuto origine. Conciosia che
essendo avezzi gli huomini da guerra più volentieri accamparsi ne i luoghi
aperti, & liberi, & perciò per lo più in luoghi, ove nasce la gramigna,
la quale a studio non viene seminata, nè coltivata da gli habitatori,
attentoche la gramigna trahe a se ogni humor della terra, & a bastanza
niente, overo poco ne lascia, da Romani, & forse da gli antichi fu
ritrovato (per dimostrar la virtù del buon guerriero) coronar quelli di herba
gramigna, che per forza d'armi erano entrati primi ne i ripari de gl'inimici.
Cupido, secondo Tullio nelle
nature de i Dei, di Marte & Venere fu figliuolo, il quale i pazzi antichi,
& moderni vogliono, che sia Iddio di gran potere; il che a bastanza si vede
per li versi di Seneca Tragico, che di lui nella Tragedia d'Hippolito dice.
Indi col suo potere
Può far, ch'i Dei celesti
Abbandonino il Cielo,
Et sotto altre sembianze
Venghino a stare, & habitar in
terra.
Febo, che fu del lume
Celeste gran rettore
D'Admeto di Thessaglia
Guidò lieto l'armento
Con la fistola invece de la Lira.
Ma quante volte poi
Quel, ch'i nuvoli, e 'l Cielo
Guida, e governa ogn'hora
Mirando al basso in terra
Prese sembianza in piu minori
forme?
Tallhor movendo l'ale
Candide come neve,
Et talhora cantando
Assai piu dolcemente
Che non fa il bianco Cigno quando
ei more.
Talvolta anco si vide
Con l'ampia fronte oscura
Farsi benigno toro,
Et sopra le sue spalle
A diporto portar vaghe donzelle
Indi cacciarsi in mare
Sul dorso havendo Europa,
Et con piedi notare.
Et
quello, che và dietro.
Ne quali versi si dimostra,
quanto grande sia la di lui potenza. Nè meno si dimostra in quella favola, che
di lui recita Ovidio, dove dice, ch'egli ferì Apollo vincitore di Fitone
dell'amore di Dafne con una saetta d'oro, & Dafne con una di piombo, affine
ch'egli amasse lei, & ella odiasse lui; la sua forma in tal modo descrive
Seneca Tragico in Ottavia.
Finge l'error mortal, ch'amor sia
uccello,
Che è cosi fiero, & dispietato
Dio,
Indi le mani di saette gli orna
Con l'arco sacro, & con la
cruda face,
Credendo che di lui Vulcan sia
padre,
Et che Venere l'habbia partorito.
Ma Servio il fa d'età fanciullo.
Indi Francesco Barberino huomo da non esser lasciato a dietro, in alcuni suoi
poemi volgari il descrive con gl'occhi velati con una benda, con i piedi di
grifo, & circondato con una fascia piena di cuori. Apuleio poi nell'Asino
d'oro descrive quello bellissimo, che dorme con la chioma della testa d'oro,
con le tempie lattee, con le gote purpuree, con gli occhi cerulei, con i
capelli tutti intricati in un globo, & crespi, che quà & là pendevano,
& ventillavano per lo cui soverchio splendore esso lume della lucerna di
Pasife vacillava, per gli homeri d'esso Iddio volatile le piume biancheggiavano
di una luce divina onde benche l'ale fossero queste, & abbassate le piume
tenerine, & delicate, che tremolando spuntavano inquietamente, mostravano
una estrema lascivia, il resto del corpo era candido, molle, & delicato di
tal sorte, che Venere non si poteva pentir haverlo partorito. Oltre ciò Ausonio
con assai lunghi versi di costui recita una favola dicendo, che Cupido per caso
volò tra i mirti dell'Herebo, il quale conosciuto dalle Heroide donne, che per
sua cagione haveano patito supplici crudeli, dishonesti desideri, et morti,
fatta di loro una squadra, subito contra lui si mossero, & indarno
adoprando egli le sue forze, fu preso, & posto in croce sopra un'alto
mirto, indi cosi pendendo egli, gli stavano d'intorno rimproverandogli le sue
ignominie, tra le quali (dice) che vi venne Venere per rimorderlo delle catene
di Vulcano, & minacciarli crudeli penne, la onde perciò commosse le
Heroidi, & rimettendo le loro ingiurie, pregarono Venere, che li
perdonasse, & cosi il levarono di croce, & egli se ne volò al Cielo:
oltre ciò riferiscono molte altre cose, le quai lasciate da parte, dichiareremo
il senso di queste. Assai istimo essere stata cosa possibile, che Cupido fosse
figliuolo di Marte & di Venere & notabile per bellezza, & lascivi
costumi. Ma di costui punto non intesero quelli che finsero, & però quale
fosse quello, che hanno voluto questi, tali, che sia nato, tra l'opinione di
maggiori è da ricercare. E adunque costui il quale diciamo Cupido, una certa
passione di mente apportata dalle cose esteriori, & introdotte per li sensi
corporei, & approvatrice dell'intrinsiche virtudi, prestando à ciò
l'attitudine i sopra celesti corpi. Percioche gli astrologhi vogliono; come
affermava il mio honoratissimo Andalone, che quando aviene nella natività di
alcuno, che Marte sia in casa di Venere, cioè in Tauro, overo ritrovarsi in
Libra & esser significatore della natività, che colui, che allhora nasce,
habbia ad esser lussurioso, fornicatore, essecutore di tutti gli atti venerei,
& huomo scelerato d'intorno tali attioni, & però da un certo Filosofo
chiamato Ali nel commento quadripartito, è stato detto, che ogni volta che
nella natività d'alcuno Venere insieme con Marte partecipa, eglino hanno
potere, & concedeno a quel tale, che nasce, la dispositione atta alle
lussurie, & fornicationi, la quale attitudine opra, che tantosto, che
costui vede alcuna donna, la quale piaccia a suoi sensi esteriori, subito alle
virtù sensitive interiori viene riportato quello, ch'ha piacciuto, & questo
prima perviene alla fantasia, & da questa è transportato alla
consideratione: da questi poi sensitivi viene condotto a quella spetie di
virtù, la quale tra le apprensive virtudi è la piu nobile, cioè all'intelletto
possibile, il quale è il ricetto delle spetie, si come nel libro della anima
mostra Aristotele. Ivi adunque conosciuta, & intesa se viene per volontà
del patiente, dove è la libertà di cacciare, & ritenere, che si come
approvata, sia ritenuta nella allhora fermata memoria; questa passione della
cosa lodata, la quale già si dice Amore, overo Cupido, si ferma nell'appetito
sensitivo, & ivi per diverse cagioni alle volte tanto grande, & potente
diviene, che costringe Giove lasciar il Cielo, & pigliar forma di toro.
Alle volte poi essendo se non fermata, & approvata di maniera passa, &
annulla, che da Venere, & Marte non si genera passione alcuna. Ma secondo,
che di sopra è stato detto, gli huomini atti a ricever la passione secondo la
corporal dispositione sono generati, il che non essendo, non si produrebbe la
passione; & cosi largamente pigliando, da Marte, & Venere si come da
cagione un poco alquanto piu remota Cupido si genera. Ma Seneca Tragico nella
Ottavia con alquanto piu ampia licenza, benche con poche parole descrive la
origine di costui, dicendo.
De la mente l'Amor è una gran
forza,
Et è un calor de l'animo benigno.
Di lussuria si genera costui,
Che da la gioventù deriva, e poi
Da l'otio dolcemente vien nodrito,
Tra i lieti, & ampi beni di
fortuna.
Ma per iscusa della sua
fragilità, i miseri mortali aggravati da questa passione finsero tal peste
potentissimo Dio, i quali Seneca Tragico in Hippolito biasma, dicendo.
A l'atto dishonesto fautrice
La libidine finse Amor Iddio,
Et accioche piu libera ella fosse.
Questo titolo aggiunge il gran
furore
Di cosi
falso, & scelerato nume.
Ma hora è da passar piu oltre;
& narrate le fittioni; vedere quello, che sotto le loro corteccie si
nasconda. Fingono costui garzone, accioche disegnino l'età di chi riceve questa
passione, & i costumi; per lo piu gli inamorati sono giovani, & a guisa
de fanciulli divengono lascivi, nè essendo eglino a bastanza signori di se
stessi, lasciano piu tosto guidar dove l'empito della passione gli caccia, che
dove la ragion gli comanda. Oltre ciò è dipinto alato per dimostrar la
instabilità del passionato; percioche facilmente credendo, & disiando
volano di passione in passione. Viene finto portar l'arco, & le saette, per
dimostrar la subita prigionia de gli sciocchi attento che in uno solo volger
d'occhi sono quasi presi. Dicono che queste sono d'oro, & di piombo,
accioche per quelle d'oro vegniamo a pigliarli il diletto, che si come l'oro è
lucente, & pretioso, cosi anch'egli è. Per quelle di piombo vogliono, che
s'intenda l'odio; il quale si come è grave, vile, & da poco metallo, cosi
dinota l'odio, & il mal voler de gl'animi contrari. Si li aggiunge la face
dimostra gli incendi de gl'animi, che con fiamma continua dà noia a i
prigioneri. Gli cuoprono gli occhi con una benda, accioche consideriamo gli
amanti non sapere, dove si vadano, non haver in loro alcuno iuditio, alcune
distintioni di cose, ma dalla sola passione esser guidati. I piedi di grifo gli
sono aggiunti, per dinotare, che la passione è tenacissima, nè facilmente,
essendo improntata da lascivo ocio, si scioglie. Che poi fosse crocifisso, se
bene riguardiamo questo è un'ammaestramento da noi seguito ogni volta, che
ritornato l'animo nelle primiere forze; con lodevole essercitio vinciamo la
nostra delicatezza, & con occhi aperti riguardiamo a qual partito dalla
dapocaggine eravamo condotti.
Voluttà (secondo Apuleio) fu
figliuola di Cupido & Psiche, della cui generatione a pieno s'è parlato
dove di Psiche s'è scritto, del cui figmento leggiermente si aprirà la ragione
percioche occorendo, che noi desideriamo alcuna cosa, & la vegniamo ad
havere senza dubbio in quella si dilettiamo; & questa dilettatione da gli
antichi fu chiamata Voluttà.
Enomao (secondo Servio, &
Lattantio) fu Rè d'Elide, & di Pisa, & di Marte figliuolo. Ma io tengo,
che fosse un huomo bellicoso, & però finto di Marte figliuolo. Si trova,
ch'egli hebbe guerra contra Pelope, & che da Pelope fu vinto, & havendo
seco fatto pace gli diede per moglie Hippodamia sua figliuola.
Dice Servio, che Hippodamia fu
figliuola d'Enomao, & essendo bellissima donzella, gli fu dimandata per
sposa da molti: onde egli, havea alcuni velocissimi cavalli, ch'erano stati
creati dal fiato de venti fece tal conventione con i dimandatori, che dovessero
seco giuocare a correre con le carrette, & questo tal giuoco si diceva il
certame currule, & se vincevano, voleva darli la figliuola: & se
perdevano, che lasciassero il capo: di che essendone morti molti, avenne, che
Pelope figliuolo di Tantalo giovane bellissimo la dimandò per moglie,
deliberato al tutto di far prova di se. La onde Hippodamia havendo veduto
Pelope, si accese di lui, & corruppe Mirtilo, che guidava la carretta
d'Enomao suo padre, dandoli per premio le primitie della sua verginità. Altri
poi dicano, che da Pelope fu corrotto con questa medesima promissione. Onde
Mirtilo fece l'asse della carretta di cera; & cosi essendo entrati in
corso, rompendosi l'asse di Enomao, Pelope restò vincitore, & hebbe
Hippodamia per moglie. Dice Barlaam haver letto ne gli Annali de Greci, che
Pelope per esserli stato da Enomao negata Hippodamia, contra lui mosse guerra,
& per tradimento di Mirtilo suo capitano restò vincitore: il qual Mirtilo
dimandando il prezzo del tradimento da Pelope, da lui gittato in mare fu morto.
Costei partorì a Pelope suo marito Thieste, Atride, Phistene, & altri
figliuoli.
Thereo fu Re di Thracia, &
secondo Theodontio, figliuolo di Marte, partorito dalla ninfa Bisconide per
forza da lui oppressa; il che in parte Ovidio scrive nella favola di Progne,
& Filomena. Di costui si recita historia tale, il cui fine è favoloso. Che
Thereo havendo con guerra travagliato Pandione Re d'Athene, alla fine fecero
insieme pace, & accioche ella fosse piu stabile, Thereo tolse per moglie la
maggior figliuola di Pandione: la quale havendo di lui partorito già un
figliuolo chiamato Itis, s'accese di grandissimo desio di rivedere sua sorella
Filomena, onde pregò il marito, ò che la lasciasse andare ad Athene, ò che per
Filomena mandasse. Di che Tereo per compiacerle, andò a Athene & impetrò da
Pandione, che lasciasse venir seco dalla sorella Filomena. Cosi posti in
viaggio, & veggendo Thereo Filomena essere bellissima donzella, di lei fieramente
si accese, & in una casa pastorale per forza volse godere de suoi
abbracciamenti; nè contento di ciò, perche quella minacciava voler dirlo alla
sorella, egli le tagliò la lingua, & in quella casa sotto buona guardia
lasciolla, & giungendo tutto travagliato dalla moglie, diede ad intendere
quello, che Filomena per fortuna di mare era morta. Ma Filomena non potendo piu
sopportare lo star rinchiusa, in una tela disegnò tutto il suo vero caso, &
quella per una serva mandò alla sorella, la quale subito comprendendo il tutto,
& sotto habito di allegrezza nascondendo l'affanno finse voler andare à
celebrare i sacrifici di Baccho, i quali in quel tempo di notte si celebravano
dalle donne: cosi ornata di pelli, & di pampani di vite se n'andò dove era
la sorella & vedendola, in quel medesimo modo la condusse seco alla Città
nel palagio; onde piena di sdegno & furore, non sapendo a qual miglior
partito di ciò per vendicarsi contra il marito, rivolse l'ira contra il
picciolo figliuolo Ithi, che le stava d'intorno facendo li vezzi, &
carezze, percioche prendendo quello, con un coltello gli segò la gola, &
cotto in piu sorte di manicaretti il pose alla mensa del padre innanzi a lui,
il quale non sapendo il fatto piu volte addimandò quello, che fosse del
figliuolo, & Progne sempre gli rispose, egli è qui; ma Thereo non intese
mai il motto fino a tanto, che non si levò da mensa, percioche Filomena uscendo
fuori d'una camera gli appresentò il capo del figliuolo da loro serbato; onde
egli subito gittate le tavole per terra, col ferro ignudo si pose a seguitarle,
di che per compassione de gli Dei avenne, che Progne fu conversa in una
rondinella, & rimase sopra il proprio tetto della sua casa, & Filomena
si cangiò in un'uccello dell'istesso nome, & se ne volò in quelle selve,
che da lei la notte erano state lasciate. Thereo fu poi mutato in Upupa, &
cosi tutto il palazzo fu trasmutato. Il senso di queste fittioni secondo
Barlaam è tale, Thereo fu huomo empio & feroce, il quale non possedeva, nè
toglieva alcuna cosa, eccetto per guerra, & per forza, & perciò meritò
essere chiamato figliuolo di Marte, come che lui fosse padre d'Astogiro
prencipe di Biscondi, il quale per la sua commessa scelerità contra la cognata
non hebbe mai ardire mostrarsi alla moglie, & ella per vergogna dell'usata
crudeltà coperta di nera veste, si diede a piangere la sua disgratia, & la
sventura della sorella, & cosi alla favola si trovò inventione, che l'una
in rondinella, & l'altra in lusignuolo fosse cangiata. Thereo poi fu detto
mutato in Upupa, perche l'Upupa è uccello, ha la cresta, & il suo canto è
l'urlare, & di sterco si pasce; & però per la cresta si figura la
corona reale, per gli urli, i lamenti del perduto figliuolo, & per lo
fetido cibo, la noiosa, & fiera memoria del mangiato figliuolo.
Ithi fu figliuolo di Progne &
Thereo, la cui età, & disgratia a bastanza di sopra s'è scritta. Dicono,
ch'egli fu cangiato in un uccellino chiamato gardelino, & questo tengo io
piu tosto essere stato compreso dalla sua fanciullezza, che da altro, percioche
il cardelino è un'uccellino vago, & di vari colori, onde veggiamo i nobili
fanciulli andar vestiti con habiti diversamente trappunti, & lavorati.
Ascalapho, & Ialmeno fratelli
furono figliuoli di Marte, & d'Astochia, si come nella Iliade piace ad
Homero, il quale d'essi in tal modo scrive.
Ascalapho, e Ialmen figli di Marte
Da Astochia partoriti eran signori.
Et
quello, che segue.
Dice Homero ne i medesimi versi,
che questi tali erano signori di Aspilidone, d'Orcomeno, & Menione cittadi,
& che vennero insieme con i Greci con trenta navi alla ruina di Troia. Ma
io, si come è stato detto de gli altri, credo, che questi due fratelli fossero
huomini bellicosissimi, & però chiamati figliuoli di Marte.
Parthaone secondo Theodontio fu
figliuolo di Marte, & di Meroe, & suo padre con altro nome fu detto
Meleagro Re di Calidonia. Ma Paolo dice, che costui fu figliuolo di Marte,
& Sterope figliuola d'Atlante. Tuttavia Lattantio vuole, ch'egli fosse
figliuolo non di Marte, ma di Meleagro figliuolo di Marte. Finalmente
Theodontio afferma esser vero egli essere stato figliuolo di Meleagro, &
Merope vergine di Etholia, ma perche Meleagro fu il primo, che con armi
acquistasse, & possedesse Calidonia, essendo stato figliuolo di Giove
d'Arcadia, da i rozzi habitatori fu tenuto, & nomato Marte, & per
consequenza Parthaone fu istimato figliuolo di Marte. Homero nella Iliade
introduce Diomede, che parla della genelogia di costui, il quale dimostra, che
Parthaone hebbe tre figliuoli, Agrio, Mela, & Oeneo; ma Theodontio
v'aggiunge Thestio da Homero non ricordato.
Agrio, & Mela, si come per
testimonio d'Homero di sopra è stato mostrato, furono figliuoli di Parthaone;
de quali appresso noi non è altra memoria, eccetto che il nome solo.
Thestio (secondo Theodontio) fu
figliuolo di Parthaone & Calidonia ninfa, ma Paolo dice d'Althea; & una
figliuola di lei medesimamente essere stata chiamata Althea, percioche nel
parto di lei morì la madre. Nè di lui si ha altro, eccetto che generò (oltre
Althea) Thosio, & Plesippo.
Si come è stato detto Thosio,
& Plesippo furono figliuoli di Thestio, i quali essendo giovani valorosi,
& forti per l'etade, & d'animo generosi, con gli altri nobili giovani della
Grecia vennero alla caccia del porco Dalidonio, che secondo Ovidio rovinava il
tutto, dove doppo lunga fatica morta la bestia, veggendo eglino che Meleagro
figliuolo del Re Oeneo loro nepote, & capo della cacciaggione, donò il capo
del Cignale alla donzella Athlanta; percioche era stata la prima, che con una
saetta l'havea ferito in segno dell'honore, & pregio vittorioso;
sopportarono con tanto sdegno, ch'una donna tra tanti nobilissimi giovani ne
riportasse il vanto, che a forza le levarono il dono: la onde Meleagro
sdegnato, & facendo empito contra loro, gli ritolse il capo, & gli
amazzò, di nuovo ritornando alla donzella l'honore levatole.
Althea fu figliuolo di Thestio, a
cui fu posto nome tale; perche nascendo ella nel parto morì la madre Althea, si
come è stato detto di sopra. Costei fu maritata in Oeneo Re di Calidonia; al
quale tra gli altri figliuoli, partorì Meleagro, che subito nato fu tolto sotto
destino da i fati, attentoche vide & udì le Parche, che d'intorno il fuoco
dicevano, la vita del fanciullo haver da durar tanto, quanto un di quei
tizzoni, che allhora nel foco ardeva, durasse a consumarsi; la onde Althea
subito levandosi di letto, levò dal fuoco quel tizzone, & amorzandolo il pose
a serbare sotto buona guardia. Ma sacrificando Meleagro a gli Dei per la
conseguita vittoria del cigniale Calidonio; intendendo ella, ch'egli per amore
di Athlanta havea morto i suoi fratelli, da furia assalita, si lasciò guidare
alla vendetta, & togliendo il fatal tizzone da lei fino allhora cautamente
guardato, il gittò nel fuoco, di che il figliuolo Meleagro a poco a poco, si
come quel legno, consumandosi, fornito quello d'ardere se ne morì, il che la
infelice intendendo, & tardi pentita del suo errore, con un coltello si
passò il petto, & infelicemente finì i giorni suoi. Tengo io, che questo
tizzone sia lo humido radicale fatto per legge della natura, che durando
quello, la vita de' nascenti perseveri, il quale dalla madre, cioè dalla
natura, delle cose imposto sopra il fuoco, cioè al secco, è necessario che il
figliuolo muoia.
Oeneo Re di Calidonia, come di
sopra è stato detto, fu figliuolo di Parthaone, & molto piu da noi
conosciuto per l'opra de' figliuoli che per sua propria. Di costui Althea fu
moglie, & hebbe molti figliuoli: ma che fossero tutti di Althea, io nol so,
non mi ricordando haver letto d'altri, che di Meleagro.
Deianira fu figliuola del Re
Oeneo, si come nella morte di Meleagro mostra Ovidio. Costei fu bellissima
donzella di sorte, che molti la dimandarono per moglie. Finalmente essendo
stata promessa prima ad Acheloo fiume, & poi data in matrimonio ad Hercole,
che la dimandò, tra loro perciò nacque grandissima gara: onde vinto Acheloo,
restò ad Hercole. Oltre ciò costei fu non poco amata da Nesso Centauro, &
nel passar d'un fiume rapita, si come si vedrà piu a pieno, dove si tratta di
Nesso, il quale veggendosi ferito a morte con una saetta da Hercole, che il
seguiva; per premio dell'amore che portava a Deianira, le diede in dono la sua
camicia macchiata del venenoso sangue, affermandole, che quella tale spoglia
havea in se virtù di levare ad Hercole ogni altra affettione, ch'ad altra donna
portasse, se una volta se la mettesse in dosso; il che la donna credendo,
volentieri la pigliò, & molto l'hebbe cara, & serbolla fino attanto,
che Hercole s'innamorò d'Iole, a cui, pensando levare tale amore, mandò quella
veste, che se ne ornasse. Onde Hercole vestitosene, & risolvendosi col
sudore quel sangue secco venne in tanta rabbia, & furore per la potenza del
fiero veneno, che fatto un grandissimo fuoco, vi si abbrusciò dentro, & se
ne morì, & cosi per lo dono di Deianira sua moglie, finì i giorni suoi.
Theodontio dice, che la guerra, ch'egli hebbe con Acheloo fu tale, che
desiderando Hercole Deianira, et Acheloo fiume con due gorghi alle volte
irrigando quasi tutta Calidonia, & trahendo seco tutte le biade seminate,
da Oeneo ad Hercole quella fu promessa con patto tale, che dovesse prima
ridurre in un alveo solo il fiume Acheloo, che non potesse piu dar noia ai
terreni: il che non senza grandissima fatica da Hercole fatto, attenne Deianira
per sposa.
Per testimonio di Ovidio, è stato
mostrato Gorge essere stata figliuola di Oeneo; Theodontio dice poi, che Gorge
fu huomo, & non donna, & che morì nella guerra di Thebe.
Meleagro fu figliuolo di Oeneo Re
di Calidonia, & d'Althea nella cui natività, dice Ovidio, che le tre Parche
furono vedute inanzi il fuoco torcere lo Stame vitale & gittando un tizzone
nel fuoco tra loro dire.
O figliuol hora nato, la tua vita
Durerà tanto quanto quel tizzone.
La qual cosa sentendo Althea,
partendosi quelle subito si levò di letto, & pigliando quel tizzone,
l'ammorzò, & il ripose con grandissima diligenza. Questo Meleagro fu
illustre giovane, & al suo tempo per fama chiarissimo, onde secondo il
medesimo Ovidio, avenne, che il padre Oeneo havendo fatto buonissimo raccolto
di biade, fece sacrificio a tutti gli Dei, lasciando solamente ò per sdegno, ò
per oblio adietro: Diana la quale contra lui sdegnata, mandò un ferocissimo
Cigniale, che rovinava tutto il paese di Calidonia. Di che per ammazzarlo
Meleagro mandò ad invitare a questa caccia tutti i famosi, & valorosi
giovani d'ivi intorno: la onde occorse, che tra gli altri vi venne Athlanta
donzella figliuola d'Oeneo, overo (secondo altri) del Re Iasio, di presenza,
& d'età bellissima: la quale per essere nelle caccie molto valorosa,
essendovi invitata, comparse. Per la qual cosa subito di lei essendosi
innamorato Meleagro, avenne, che facendosi la cacciagione, & essendo tutti
con empito d'intorno al Cigniale, ella fu la prima, che tra tutti con un dardo
l'impiagò: dal quale poscia che fu preso, & morto, Meleagro capo della
caccia, ò condotto da l'amore, ò perche pure l'usanza era tale, mandò a donare
ad Athlanta la testa della fiera, ma Lattantio v'aggiunge anco la pelle, il
quale era il principale honore appresso i Cacciatori. Il che sopportando con
isdegno Plesippo, & Thoseo, overo, come dice Lattantio, Agenore, fratelli
d'Althea, con violenza tolsero il detto capo ad Athlanta, overo, che si
sforzarono d'haverlo; la onde Meleagro sdegnato si mosse con furia contra loro,
& amazzolli. Poscia celebrando i Calidoni una grandissima festa per la
morte del Cigniale, & offerendo doni a i tempi, Althea tra loro lieta se
n'andava, si per la morte della fiera, come per la gloria del figliuolo, ma
intesa la morte de i fratelli, subito fu da dolore assalita, & lasciandosi
piu tosto dal furore trapportare a vendicarli, che a piangerli, tolto il
fattato tizzone, il gittò nel fuoco, il quale consumandosi a poco a poco, cosi
anco Meleagro pian piano mancando, se ne morì. Homero nella Iliade in quella
oratione, nella quale Fenice s'ingegna persuadere ad Achille che pigli l'armi
contra Troiani, fa un gran parlamento sopra Meleagro figliuolo d'Oeneo, &
dice, che essendo molto oltraggiato dalla madre Althea per l'homicidio de suoi
zij, egli perciò sdegnata, venendo i nemici fino nel forte della Città di
Calidonia, non volse prender l'armi, ma si stava in piacere in camera con
Cleopatra figliuola di Marcipe Tolomeo, la qual anco si chiama Alciona,
percioche spesse volte piangeva la morte d'Alcione sua zia; il che, se fosse
stato morto, non potrebbe haver fatto. Nondimeno tra questi che vogliono lui
esser morto per la morte de i zij, sono di quei, che credono non dal tizzone
essere stato consumato, ma essere uscito di vita per tradimento della madre.
Barlaam dice, che egli fu morto dalla madre dormendo con una fuste. Ma Paolo
tiene, che a caso egli morisse doppo la gloria del morto Cigniale, & che
poi s'habbia indi trovato la inventione alla favola nel fatal tizzone, il quale
dice istimar essere l'humido radicale, il quale mancando, manca la vita.
Nondimeno morisse da qual morte, & quando si vogli, tutti istimano, che
egli usasse con Athlanta, & che di lei havesse un figliuolo chiamato
Parthenopeo. Meleagro, & questa caccia tanto famosi, secondo Eusebio nel
libro de' tempi fu al tempo, che signoreggiava in Micene Atreo, & Thieste,
ne gli anni del mondo quattro mila, & cento.
Fu Parthenopeo figliuolo di
Meleagro, & di Athlanta, la quale secondo Theodontio fu figliuola di Iasio
Re d'Arcadia, la quale essendo donzella di fermo proposito di non voler marito
si diede nelle caccie a servire a Diana. Finalmente vinta dal valore di
Meleagro, seco si congiunse, & gli partorì Parthenopeo, che con tal nome fu
chiamato dalla pensata verginità della madre, percioche lungamente nascose il
parto, attento che Parthenias in greco, latinamente suona verginità overo
vergine. Della bellezza di costui, & del successo della madre a pieno,
& elegantemente ne scrive Statio. Questi essendo maggior d'animo, che di
forze giovanetto, & ancora senza barba, infiammato dal disio della guerra,
intendendo i capitani Greci essere per andar contra Thebe, senza alcuna saputa
della madre venne all'assedio di Thebe; dove in battaglia ferito, se ne morì.
Ma di costui altrimenti sente Servio. Vuole egli, che fusse figliuolo di
Menalippa, & Marte, overo Melamone, il quale essendo Re d'Arcadia, &
fanciullo, venne (si come è stato detto) a Thebe.
Secondo Statio, Thideo fu
figliuolo del Re Oeneo, il che conferma anco gli altri; & della madre
discordano alcuni. Percioche Lattantio disse che fu figliuolo d'Althea, &
Servio di Euriboea. Oltre ciò di costui si recita una bella historia. Dice
prima Lattantio, ch'egli si partì di Caldonia, perche à caso non sapendo, nella
caccia ammazzò Menalippo suo fratello, & di quì segue Statio dicendo, che
egli tutta la notte travagliato da pioggie, & venti arrivò nella Città di
Argo dove non conoscendo alcuno, & cercando luogo, ove quella notte potesse
al coperto alloggiare, pervenne sotto i portici del palagio Reale, dove
medesimamente poco innanzi Polinice Thebano per la conventione fatta col
fratello Etheocle di regger l'imperio a vicenda un'anno per uno, tutto bagnato
era giunto, & vi havea posto il suo cavallo, di che non essendo in luogo
capace per due, et non volendo Polinice che Thideo vi si fermasse, vennero
insieme a quistione. Il cui rumore sentendo Adrasto scese basso & facendoli
fare insieme pace; gli raccolse nel palazzo. Onde veggendo poi, che Polinice
havea lo scudo coperto di pelle di Leone, & Thideo di Cigniale, subito si
chiarì del dubbioso oracolo, c'havea havuto per le nozze delle figliuole.
Percioche gli era stato detto, che dovea maritar quelle, una in un Leone, &
l'altra in un Cigniale; là onde considerando che i generi quasi gli erano stati
mandati, a Thideo diede Deifile, & à Polinice Argia. Di che amendue questi
giovani di inimici, ch'erano pria, non pure si pacificarono, ma si congiunsero
di parentado, & vera fratellanza talmente, che venuto il tempo, nel quale,
secondo i patti, Polinice dovea pigliar il governo del Reame dal fratello, non
sopportò ch'alcun'altro andasse legato ad Etheocle per dimandare il governo per
Polinice. Ma negando Etheocle di volere osservare i patti, si come scrive
Homero, & doppo lui minutamente Statio, ritornando adietro Thideo, gli fece
armare cinquanta huomini, & ordinando, che facessero un'imboscata contra
Thideo, commandò, che l'amazzassero; ma Thideo punto non smarrito, si difese
valorosamente, & doppo lungo combattere, in molte parti del corpo ferito
(eccetto uno) gli amazzò tutti. Finalmente insieme con Adrasto, & Polinice fatto
un'essercito; havendo già di Deifile havuto un figliuolo, chiamato Diomede,
venne allo assedio di Thebe. Dove combattendo per acquistare il suo Reame,
avenne tra gli altri un giorno, ch'egli fu ferito con una saetta a morte da un
certo Menalippo; il che non potendo sopportare in pace, & sentendosi per la
mortalità della ferita aggiungere alla morte, divenuto come rabbioso, pregò i
suoi compagni, che gli portassero il capo di colui, che lo havea ferito, i
quali andando a combattere, con molto spargimento di sangue fecero tanto, che
amazzarono Menalippo, & gli portarono il capo; il quale non altrimente, che
un cane sentendosi già morire, con i denti incominciò roderlo, & rodendolo
se ne morì. Oltre ciò (secondo Lattantio) furono di quelli, che dissero costui
esser stato da Marte generato, il quale pigliò la effigie di Oneo, non volendo
eglino per ciò intendere altro, eccetto, ch'egli nella sua natività hebbe per
ascendente Marte, & però, essendo a lui simile, di lui il dissero
figliuolo.
Diomede, come a bastanza s'è
detto fu figliuolo di Thideo, & Deifile. Costui capo de gli Etholi, insieme
con gli altri Greci, venne allo assedio di Troia, dove di maniera si diportò
valorosamente, ch'eccetto Achille, & Aiace, fu tenuto il piu forte di tutti
gli altri. Percioche, oltre i Re da lui amazzati, le battaglie da corpo a corpo
havute contra Hettore, & Enea, & altri famosissimi Prencipi di Troiani;
& oltre i presi cavalli di Rheso, & il Palladio a Troiani levato, in quella
guerra ferì Marte, si come nella Iliade testimonia Homero, & cosi anco
Venere, che difendeva Enea, si come prima Homero, & poi Vergilio dicono.
Finalmente ritornando verso la patria vittorioso, dice Leontio, che dalla
moglie Egiale, la quale per conforti di Napulo padre di Palamede s'era
accostata ad altro huomo, non fu ricevuto. Ma Servio dice, ch'egli essendosi
accorto Egiale essersi congiunta con Cillabaro figliuolo di Steleno, perciò
vergognatosi, non volse ritornare nella casa. Oltre ciò Leontio vuole questo
esserli stato pregato da Dione, quando li ferì la figliuola. Nondimeno andato
in Essilio, si condusse nelle parti di Puglia, & occupato il monte Gargano
(come vogliono alcuni) a piedi di quello edificò la Città di Siponto, altri
dicono Arpo, dove havendo molto patito (secondo Virgilio) perdette i compagni
mutati in uccelli, & percioche per oracolo (secondo Servio) portò seco le
ossa di Anchise, ciò gli avenne; onde per questo le ritornò. Aristotele poi
dove scrive delle cose maravigliose da udire, dice, che Diomede a tradimento fu
amazzato da Enea, & occupato i luoghi ch'egli signoreggiava. Nondimeno
(morto, che fu) afferma Agostino che egli da gli habitatori fu deificato, &
egli fu edificato un tempio in quell'Isola dal nome suo chiamato Diomedia,
& doppo la morte di quello i compagni suoi addolorati furono convertiti in
uccelli, che volano d'intorno quel tempio, & l'honorano. Il che afferma
anco Servio, dicendo questi uccelli da Latini esser dette Diomede, & da
Greci Erodij; affermando anco, che venendo i Greci in Italia, quelli gli fanno
vezzi, & carezze, & allegri gli vanno contra, naturalmente fuggendo
Italiani; percioche si ricordano della sua origine, & che da Italiani gli
fu amazzato il loro capo. Theodontio poi dice, che questi tali uccelli ammano i
Greci, & sono contrarij à tutte l'altre nationi, & che ogni anno
portando delle acque ne i rostri adacquano il tempio di Diomede. Ma hora è da
vedere quello che si nasconda sotto le fittioni. Istimo essere stato detto, che
Diomede ferisse Marte, perche combattendo forse con Hettore, che per la famosa
virtù sua nella militia meritamente si poteva chiamar Marte, ferì quello. Cosi
anco Venere, perche ferì Enea figliuolo di Venere. Dice Theodontio, che si
narra i compagni essere stati cangiati in uccelli percioche divennero Corsari,
che tanto velocemente per lo mare con l'aiuto de' remi corseggiavano, che
parevano volare; & (eccetto a Greci) a tutte le altre nationi furono
contrari.
Menalippo (come piace a
Lattantio) fu figliuolo del Re Oeneo. Questi insieme col fratello Thideo in una
selva cacciando, dall'istesso non volendo fu morto.
Secondo Theodontio, Zesio fu
figliuolo di Marte, & di Hebe, della giovanezza del quale io non mi ricordo
haver letto altro.
Flegia (secondo Lattantio) fu
figliuolo di Marte, & scelerato, & superbo contra gli Dei. Di costui,
come vuol Servio fu figliuolo Isione, & Coronide ninfa, la quale intendendo
essere stata vergognata da Apollo, subito mosso dall'ira, arse il suo Tempio in
Delfo, di che Apollo sdegnato, con le saette lo amazzò, & confinò la di lui
anima nell'Inferno sotto pena tale, cioè, ch'ei dimori sotto un gran sasso, che
minaccia rovina, onde sempre sospette, che caggia. Del quale cosi dice
Virgilio.
Et l'infelice Flegia a ogn'un
ricerca,
Et con gran voce grida, & dice
a tutti;
Imparate in veder la mia fortuna;
A far giusto, & non far'onta a
Dio.
Dice Eusebio nel libro de' tempi,
che Flegia arse il Tempio d'Apollo regnando Dauno in Argo, & ne gli anni
del mondo tre mila settecento cinquanta due. Hora veggiamo quello, che gli
antichi habbiano voluto significare sopra la pena attribuita a Flegia. Flegia è
derivata a Flegon , che fignifica fiamma; & però drittamente è detto
figliuolo di Marte, essendo calido, & secco, onde ricerca ardori, &
incendi. Che poi nell'Inferno ei sia condannato con quel supplicio, che è stato
detto, Lucretio istima, che gli antichi habbiano tenuto l'anime pria, che
giungano a i corpi, essere in Cielo; onde venendo ne i corpi, che rispetto a i
sopracelesti sono infernali, quelle scendere nell'Inferno, & ivi patire
diversi tormenti secondo le varie affettioni, overo essercitij, & cosi
Flegia in questa vita tra mortali vivendo, a tal pena è sententiato, la quale
Macrobio nel sogno di Scipione intende, che sia tale, cioè la gran rupe, che
pare cadere, & starli eminente sopra il capo, essere i pericoli, i quali
stanno sopra quelli, che regono le tirannidi, & le difficili imprese;
percioche mai non vivono senza tema; onde constringendo il vulgo soggetto a
temerli, si fanno sempre odiare, & ogn'hora pare, che sopra loro caggia la
meritata pena.
Coronide ninfa (secondo Servio)
fu figliuola di Flegia, la quale essendo bellissima, fu vitiata da Apollo,
& di lui partorì un figliuolo, che poi fu detto Esculapio.
Isione da tutti viene tenuto
figliuolo di Flegia. Vogliono alcuni, che costui per compassione di Giove fosse
raccolto in Cielo; & fatto suo secretario; dove levatosi in superbia per
tal dignità, hebbe ardire di tentar Giunone di stupro: la quale essendosi
lamentata con Giove di ciò, egli fece, che una nube prese la forma di lei,
& giacque con Isione, della cui generò i Centauri; & essendo da Giove
cacciato di Cielo in terra, hebbe ardire appresso mortali vantarsi, c'havea
giacciuto con Giunone; la onde percosso da un folgore, fu sententiato
nell'Inferno ad essere legato, & girato da una volubile ruota piena di
Serpenti. Onde Ovidio dice.
Si rivolge Ision con una ruota
Et seguendo si fugge, e ogn'hor
raggira.
Di questo figmento la ragione
può esser tale. Isione fu di Thessaglia, & Signore de' Lapithi, & di
tal maniera fuori di ragione ingordo di regnare, che per tirannide si sforzò
d'occupare il tutto. Giunone poi hora habbiamo detto, ch'ella è tolta per
l'aere, hora per la terra, & Regina de' Regni & delle ricchezze la
quale in quanto terra pare, che ci porga i Regni in terra, & qualche
stabilità; in quanto aere, che è lucido, pare, che aggiunge qualche splendore a
i Regni; il quale è cosi fuggitivo, che leggiermente si converte in tenebre. La
nube poi per opra del Sole di vapori acquatici, overo d'humiditadi, che si
levano dalla terra, & nell'aere si uniscono, per natura sua diviene
caliginosa, alla vista sensibile, ma alla mano incomprensibile, & senza
essere fermata da alcune radici, quà et là da venti è cacciata; &
finalmente dal calore è risolta in aere, ò dal freddo è cangiata in pioggia.
Che adunque per ciò? Per la nube noi intenderemo il regno; ma perche vi s'aggiunge
l'effigie di Giunone, ciò diremo essere quello, che per violenza possediamo in
terra: il quale non ha simiglianza alcuna di Regno, in quanto si come un Re
signoreggia a i suoi sudditi; cosi quello, che per forza commanda a suoi popoli
non signoreggia veramente, ma ha forma di dominare, & tuttavia tiranneggia.
Cosi anco si come tra l'aere chiaro & una oscura nube è gran differenza;
cosi è tra il Re, & il Tiranno. L'aere è chiaro, cosi il nome Reale. La
nube oscura, tale la Tirannide. Il nome di Re amabile, del Tiranno odioso. Il
Re sale sopra la sua sedia ornato di scettro reale; il Tiranno occupa il
dominio circondato da spaventevoli arme. Il Re dura per la quiete, &
allegrezza de i popoli, il Tiranno per lo sangue, & miseria de suditti. Il
Re cerca la pace, & l'accrescimento de i suoi fedeli con tutte le forze; il
Tiranno ha cura del suo ben proprio con la ruina dell'altrui. Il Re nel seno de
gli amici riposa; il Tiranno (cacciati gl'amici & fratelli) confida l'anima
sua nella securtà de satelliti, & scelerati huomini. La onde in se (come si
vede) essendo queste cose diverse: il Re meritevolmente si può fingere per
l'aere puro, & chiaro; & con lui è qualche stabilità congiunta, se dire
si puote, che alcuna stabilità sia nelle cose caduche: dove poi è il Tiranno,
per lo contrario egli è una nube oscura senza essere congiunta ad alcuna
fermezza: la quale leggermente si risolve, o dal furore delle cose, a cui
soggiace, o per la dapocaggine de gli amici. Lasciate queste cose, istimo, che
senza difficultà vedremo quello, che significhi la favola. Allhora Isione viene
assunto in Cielo, quando con l'animo contempliamo le cose alte, come sarebbe il
Regno, le porpore, gli egregi splendori, la eccelsa gloria, l'alta potenza,
& quelle cose, che al giudicio de i pazzi sono infinite commodità de i Re.
Ne immeritamente ci veggiamo esser fatti secretari di Giove, & Giunone;
mentre quello, che a loro s'appartiene, si come d'uno specchio di divinità,
riguardiamo con animo prosontuoso. Et allhora vegniamo in disio di Giunone;
mentre con un pazzo giudicio riputiamo queste pompe Reali altro, che non sono.
Allhora Isione richiede di stupro Giunone, quando senza che punto si lascia
guidare alla ragione, l'huomo privato si lascia traportare di signoreggiare con
violenza. Ma che aviene, s'alcuno piu oltre ricerca? A lui si mette innanzi una
nube, che tiene l'effigie di Giunone: dal cui congiungimento dell'occupante,
cioè dell'occupato Imperio, nascono i Centauri. Furono i Centauri huomini
bellicosi, di animo altiero, & scorretto, & ad ogni scelerità
inchinati, si come veggiamo essere i Satelliti stipendiarij, & i ministri
della scelerità, alle cui forze, & fede subito ricorre il Tiranno; i quali
però vengono detti nascere di nuvoli, percioche sono nodriti di ombratili sostanze
del Regno, cioè de i sudditi, a quali sono tolte le facultadi per pagare questi
scelerati. Isione poi da Giove viene di Cielo cacciato in terra, cioè dalla
natura delle cose; percioche l'ingordo poscia che ha pigliato il dominio,
lasciati i pensieri splendidi, de i quali con piacevole speme, & falsa
stima si dilettava, viene condotto in travagliati, & certi pensieri, cioè
allhora quando incominciava conoscere di quali fatiche continove, & amare
sia pieno l'imperio. Oltre ciò essendosi costui vantato di havere havuto
congiungimento con Giunone, cioè, havuto ardire chiamarsi Re, viene fulminato
da Giove: con quel folgore vengono abbrusciati i vanagloriosi, che sognandosi
pensano volare, in Cielo, & poi svegliatisi si trovano distesi in terra.
Percioche mentre i gonfiati di superbia come che per violenza de popoli tengono
l'Imperio in se ritornando cacciano il sonno della vana ambitione considerano
quelli affanni in che sono entrati, quelli intrichi, quelle teme, & quelli
pericoli a quali sono sottoposti; dalla qual consideratione non altrimenti che
da acceso fulmine sono tormentati; il quale tormento, se per qualche peccato,
tenendo egli la tirannia, finisse, non al supplicio della volubil ruota
nell'inferno sarebbe confinato, ma perche senza alcun riposo da un continuo
moto, che il circonda nel petto si sente travagliato, & tutti i pensieri
vecchi si rinuovano & i nuovi vi s'aggiungono, mentre tutto timido qui teme
gli aguati di costui, le forze di colui, & dall'altra parte il giudicio
d'Iddio, vien detto essere tormentato dalla ruota volubile, la quale viene
finta piena di serpenti, perche non solamente da continui pensieri, ma da
mordaci viene travagliata. Overo a ciò daremo un'altra spositione, & piu
breve. Diremo la nube essere la speme di regnare: la quale alcuni misurando
malamente le sue forze si rendono certissima; onde si fa simile a Giunone;
perche a colui, che spera, già li pare posseder la cosa sperata, nè altrimenti
della cosa sperata seco dispone, che s'egli la possedesse; & di quì nasce,
che da questa cosi certa speranza, affine che l'effetto segua, colui, che
spera, prepara le sue forze; di che oprando la speranza, cioè la nube, i
Centauri nascono, cioè s'apparecchiano: la onde il pazzo per conseguir quello,
che con la speranza possiede, entra in tanti travagli, che di necessità è che
egli lasci i generosi pensieri, & venga ne gli oscuri; & cosi da Giove,
cioè dalla luce, & splendore de i pensieri cade, overo viene cacciato in
terra; & essendo fulminato, viene gittato nella ruota, si come è stato
detto. Di questa ruota poi, pare, che Macrobio intenda altrimenti; cioè, che
quelli pendano legati d'intorno la ruota, i quali con consiglio non prevedendo
alcuna cosa nè con ragione niente moderando, dando in preda se stessi, &
tutte le sue attioni alla fortuna, & a i casi fortuiti, sempre si ruotano,
& aggirano. Altri poi dove si dice, che Isione fu secretario di Giove &
Giunone, tennero, che Isione fosse augure; percioche nell'aere si pigliavano
gli auguri, per li quali i secreti, cioè quelle, cose, c'hanno a venire
solamente da questi tali erano istimati essere conosciute. Che poi d'una nube
generasse i Centauri, vogliono non doversi intender altro, eccetto, che col
premio de' satelliti piglino la fede, al quale cosi leggiermente, venendo
un'altro dono, si dissolve, che diventa nube. Oltre ciò Fulgentio dice, che
Dromocride nella Theogonia scrive Isione essere stato il primo, che in Grecia
cercasse regnare: & però fu il primo, ch'alla guardia sua trovò cento
huomini armati a cavallo; onde nacque, che furono detti Centauri, cioè cento
armati. Ma io mi maraviglio Isione essere stato il primo, che appresso Greci
desiderasse regnare, ritrovandosi, che molto prima innanzi Isione furono
infiniti Re appresso Sicionij, & Argivi, i quali pur sono Greci, Isione fu
al tempo, che in Argo signoreggiava Danao. Nondimeno egli quì potrebbe
rispondere, gli altri Re, che furono innanzi a lui, di consenso de i suoi
populi haver regnato; ma Isione essere stato il primo, che per forza occupasse.
I Centauri furono figliuoli di
Isione, & d'una nube, si come è stato mostrato. Alcuni vogliono questi
esser stati i primi, che in Thessaglia domassero cavalli, & essere divenuti
famosi Cavalcatori; & perche furono insieme cento, furono detti Centauri, quasi
cento armati, overo, cento Marti; percioche Arios in Greco significa Marte,
overo piu tosto cento aure, attentoche si come il vento velocemente vola, cosi
questi parevano velocemente correre. Nondimeno questa Ethimologia è latina; la
quale punto non si conface con le dittioni Greche. Servio di loro narra favola
tale. Che havendo un Re di Thessaglia mandato i suoi ministri a far ritornare a
dietro alcuni suoi buoi, che da rabbia cacciati erano fuggiti dell'armento,
& quelli a piedi non li potendo arrivare, montarono a cavallo, &
correndo velocemente gli aggiunsero. Onde questi tali veduti su la ripa del
fiume Peneo, da quegli huomini rozzi, che davano bere a cavalli, furono tenuti
essere d'un'istesso pezzo insieme con gli animali, & da questo la favola prese
materia, di che da indi in poi i Centauri si sono dipinti dal mezzo in su
huomini, dal mezzo in giù cavalli. Finalmente questi huomini tali insuperbiti,
& ebbri nelle nozze di Perithoo, volsero rapirli la sposa, ma da Theseo
furono vinti, & superati. Ma Virgilio dice, che quelli furono i Lapithi.
Marte sopportò, che quelli fussero abbattuti, & estinti, percioche eglino
non sacrificarono a lui, havendo pria a tutti gli altri Dei fatto sacrificio:
il che si comprende in questo modo, cioè che loco lasciato l'essercitio
dell'armi, & datisi al mangiare, & bere, di maniera s'effeminarono, che
furono vinti. Se altra fittione, poi sopra questi tali si può dire, a pieno
dove s'è parlato di Isione, l'habbiamo dichiarata.
Eurito uno de Centauri (secondo
Lattantio) venendo in casa di Oeneo Re di Calidonia, gli dimandò per moglie
Deianira; la quale poco innanzi dimandatali da Hercole, gli era stata promessa.
Ma Oeneo, temendo la forza del Centauro gli la promise. Onde nell'ordinato giorno,
che si celebravano le nozze, a caso Hercole sopravenne, dove combattendo con
quelli Centauri, ch'erano ivi, gli amazzò tutti, & hebbe per moglie
Deianira. Ma Ovidio non dice in questo modo, anzi vuole, che havendo Perithoo
menato per sposa Hippodamia, & celebrandosi le nozze, egli pose i Centauri
nella entrata della casa a mangiare, i quai per la crapula divenuti ebbri,
& lascivi di lussuria, con soverchio ardire incominciarono mettere le mani
nelle donne; & havendo Eurito preso Hippodamia, per volerla menar via,
Perithoo & Theseo si mossero contra loro, & venendo alle mani, Theseo
gli tolse Hippodamia, & lo amazzò.
Astilo fu uno de Centauri, &
perche era indovino, ricordò a i fratelli, che non andassero contra i Lapithi.
Finalmente ritrovandosi anch'egli insieme con loro alle nozze, & veggendo,
che Driante di quelli, che gli andavano per le mani facea stratio, temendo del
valor di quello, si diede a fuggire, & si come mostra Ovidio, a Nesso
centauro disse queste parole.
Allhor Astilo a
Nesso, che temeva
Di esser ferito, disse, non
fuggire,
Che salvo tu anderai da i fieri
colpi,
Che fa d'Hercole l'arco horrendo, e
crudo.
Nesso tra i Centauri fu
famosissimo. Questi essendo huomo astuto, & fuggito dalle mani de i
Lapithi, se n'andò in Calidonia, dove dimorando appresso Hebeno fiume di quel
paese, s'innamorò di Deianira figliuola del Re Oeneo; in processo di tempo
avenne, che Hercole andando con la moglie Deianira di Calidonia verso la sua
patria, fu tardato dal fiume Hebeno, che per le pioggie era cresciuto; al quale
Nesso, come quasi per fargli servigio, si offerse a lui, che se voleva nuotare
il fiume, egli portarebbe Deianira all'altra ripa. Il che Hercole accettò. Ma
velocemente Nesso con Deianira in groppa havendo passato il fiume, nuotando
Hercole tuttavia, s'imaginò allhora essere il tempo di sfogar l'ardor suo, e si
diede a fuggire. Ma Hercole pigliato l'arco, con una saetta l'aggiunse, il
quale veggendosi ferito, & conoscendo haver a morire, accioche non morisse
senza vendetta, s'imaginò un nuovo inganno, & subito cavandosi la camicia
tinta di sangue, si come dono dell'amor suo, la diede a Deianira, dandole ad
intendere in quella essere tal virtù che s'ella facesse ch'Hercole se ne
vestisse sarebbe secura che egli giamai non s'inamorasse d'altra donna: il qual
dono la credula Deianira accettò volentieri, & doppo alquanto tempo,
essendo Hercole innamorato d'Iole, credendo ella ritornarlo nell'amor suo, con
quella lo amazzò, si come si dirà piu a pieno nell'avenire. Nesso poi
spogliatasi la veste, espirò, accioche s'adempisse il vaticinio d'Astilo.
Statio dimanda questo fiume, Hebeno Centauro, in memoria della morte di Nesso.
Ophionide, Grineo, & tutti
gli altri Centauri nomati di sopra, furono figliuoli d'Isione & Nube, &
nelle nozze di Perithoo furono ò morti, ò posti in fuga da i Lapithi; si come
nel suo maggior volume Ovidio dimostra.
Perithoo fu figliuolo d'Isione,
ma non di Nube, anzi della moglie, si come dice Ovidio.
Perithoo figlio d'Isione ardito
Menato havea Hippodamia per moglie.
Et quello, che segue. Questi si
come si dice fu intrinseco amico di Theseo Atheniese, & havendo secondo
Lattantio, Hippocratica, ma secondo Ovidio, Hippodamia menato per moglie, si
come dice Servio, invitò alle sue nozze tutti i popoli circonvicini. Onde
avenne, ch'in tal feste essendosi sacrificato a tutti gli altri Dei, Marte solo
fu lasciato adietro: la onde sdegnatosi, fece entrare il furore addosso i
Centauri: i quali levatisi dalle mense contra i Lapithi (si come di sopra è
stato detto) vennero alle mani, & molti di loro ne restarono morti. Ma
Lattantio dice, che in questo contrasto i Lapithi furono estinti; il che si
deve intendere di que' Lapithi, ch'erano Centauri. Oltre ciò vogliono, che
Perithoo (morta Hippodamia, overo vivendo & forse repudiata) patteggiasse con
Theseo suo amico, ch'allhora era celibe, ch'eglino mai non prenderebbono
moglie, eccetto figliuole di Giove. Onde havendo già Theseo rapito Helena,
ch'era reputata figliuola di Giove & di Leda, nè conoscendosi a quel tempo
in terra altra, che fosse tenuta figliuola di Giove, eccetto Proserpina moglie
di Plutone, non potendo quelli salire in Cielo, deliberarono, & si posero
in via per rapir quella nell'Inferno. Ma Cerbero levandosi contra Perithoo, lo
amazzò nel primo impeto; & Theseo cercando aiutarlo, fu in grandissimo
pericolo; & in ultimo fu ritenuto da Plutone. Finalmente ritornando Hercole
d'Hispagna vittorioso da Gerione, & di grandissima preda ricco, intesa la
disgratia di Perithoo, & la prigionia di Theseo, dall'antro Trenaro passò
nell'Inferno, si come di ciò fa fede Seneca Tragico nella Tragedia d'Hercole
furioso. Contra il quale facendosi Cerbero, come nell'istessa Tragedia a pieno
si narra da Hercole fu vinto, & con una catena a tre doppi legato, &
dato nelle mani di Theseo. Alcuni vogliono ch'Hercole stracciasse la barba a
Cerbero. Ma liberato Theseo (dicono) che per lo Trenaro trasse di sopra Cerbero
con l'istessa catena per forza legato. Pomponio nella Cosmografia scrive
appresso il seno del mare Eusino non lontano dalla Città, Heraclea Acherusia essere
un'antro, che và (come si dice) fino nell'Inferno, onde gli habitatori dicono,
che per quello Cerbero fu condotto di sopra. Oltre ciò sono alcuni, che per dar
maggior fede alla favola (essendo abondantemente quel luogo pieno di venenosi
serpi) dicono quelli essere nati della schiuma di Cerbero, nè col tempo da
alcuno potere essere stati estirpati. Quello, ch'a questa historia è finto,
drittamente ad historia s'appartiene. Percioche secretamente a guisa di
ladroni, & non come valorosi giovani, essendo andati per rapire Proserpina
Perithoo, & Theseo, di notte dal cane Cerbero, Perithoo (come si legge) fu
morto, & dalle guardie Theseo preso, per la cui liberatione Hercole andando
all'Inferno, cioè ne i Regni de Molossi, con la clava domò il Cane, & il legò;
indi sotto pretesto di guerra, dimandò Theseo a Plutone, il quale li fu
concesso, & cosi col Cane ritornarono in Athene, overo in Boemia. Per la
barba a Cerbero cavata, dobbiamo intender l'ardire & la forza, della quale
le fu privo. Percioche provando la clava d'Hercole, & veduta la costanza
dell'huomo, divenuto timido, & mutolo, si confessò esser vinto. Attento che
la barba è conceduta a gl'huomini per segno di virilità, si come ne i morali
piace a Gregorio, conciosia che ogni volta che la tocchiamo, over veggiamo,
debbiamo ricordarci, che siamo huomini, & schifare di non far cose, ch'ad
huomo non si convengano. Del resto s'è detto altrove.
Polipite fu figliuolo di Perithoo
& Hippodamia, si come nella Iliade mostra Homero, mentre dice.
Quelli il forte Polipite guidava
figliuolo di Pirithoo, generato
Da l'immortale, & glorioso
Giove.
Polipite, ch'io dico, a Perithoo
La
gloriosa Hippodamia produsse.
Questi, si come si vede per
l'istesso Homero nel Catalogo de' Greci, venne con quelli alla guerra di Troia.
Britona fu ninfa di Candia, &
si come afferma Lattantio, di Marte figliuola, la quale essendo donzella, &
havendo fatto voto di perpetua virginità, si dedicò a Diana, &
continuamente dava opra alle caccie, ma per esser bellissima, piacque a Minos
Re di Cretesi: il quale volendole far forza, nè potendo ella altrimenti difendersi,
si gittò in mare, & cosi dall'onde fu annegata. Avenne poi, che il suo
corpo fu preso da alcuni pescatori: onde ò per sdegno di Marte, ò di Diana, fu
mandato una gran pestilenza a quell'Isola, la quale gli habitatori dell'Isola
credevano non poter cessare, se non edificavano un Tempio a Diana, &
chiamar quello Dittina; percioche quelle reti de Pescatori, con quali fu a
terra tratto il corpo di Britona, si chiamano Dittime.
Evanne (si come piace a
Theodontio) fu figliuola di Marte, & di Thebe, moglie del fiume Asopo: la
quale Evanne fu sposa di Capaneo huomo insolentissimo, & di lui partorì un
figliuolo chiamato Steleno. Credo io, che costei fosse fierissima donna, &
perciò chiamata figliuola di Marte. Ma dicono, ch'ella amò tanto il marito, che
essendo quello stato fulminato, & facendosi appresso Thebe le sue essequie
funerali: mettendosi il corpo di Capaneo mezzo abbrusciato sopra un rogo; per
lo gran dolore dell'animo si gittò nelle fiamme, ch'abbrusciavano quello, &
cosi ardendo insieme con lui; le ceneri d'amendue furono poste in una medesima
urna.
Dicono i Poeti, che Hermiona fu
figliuola di Marte, & di Venere, & moglie di Cadmo Re di Thebe, il
quale lasciò Sphinge per pigliar quella per sposa. Dicono, che Vulcano fece a
costei un monile di singolar bellezza, ma di tristo augurio a chi lo portava:
& questo fu fatto da lui per l'odio portatole, che fosse nata per adulterio
dalla sua moglie. Di costei Cadmo hebbe quattro figliuole, le quali ultimamente
(si come dicono) si cangiarono in Serpenti, & vi restarono fino alla morte.
Sotto la cui fittione si può contener questo. Primieramente Hermiona fu
figliuola di Venere in quanto a Cadmo, perche ò con la sua bellezza, ò con gli
atti lascivi hebbe potere d'incitare le veneree fiamme, cioè il libidinoso
appetito in Cadmo: il che è proprio di Venere: onde per desiderio di lei
rifiutò Sfinge primiera moglie. Puote esser figliuola di Marte, attentoche a
Marte fu cagione di guerra, percioche (si come dice Eusebio citando per
testimonio Palefatto) Sfinge per gelosia d'Hermiona si partì da Cadmo, del
quale era moglie, & subito gli mosse guerra; onde in questo modo Cadmo
venne a pigliar una figliuola di Marte per moglie, cioè una cagione di guerra.
L'infausto monile poi fabricato da Vulcano, si puo comprendere per l'infausto
fine di questo matrimonio, attentoche da Amphione, & Ceto privi del Reame,
furono cacciati in essiglio. Ch'ella anco si cangiasse in Serpente, ciò si puo
intendere, perche gli essuli si come le biscie vanno per luoghi infimi, così
ella insieme col marito s'essercitò in cose basse; là dove, mentre che regnò,
dimorava in eccelse grandezze; overo, perche doppo l'essilio hor quà, hor là,
come i Serpenti, andarono errando, overo, perche invecchiati col petto chino,
& per terra a guisa di biscie, che vanno col petto, caminarono.
Afferma Plinio nel libro
dell'historia naturale Hipervio essere stato figliuolo di Marte, del quale non
mi ricordo haver letto altro, eccetto quello, che l'istesso Plinio dice cioè,
ch'egli fu il primo, che ammazzasse animal alcuno; & però perche ciò parve
opra crudele fu detto figliuolo di Marte.
Secondo l'istesso Plinio, Etholo
fu figliuolo di Marte; & il dardo fu sua inventione. Credo io, che questo
Etholo fosse Re d'Etholia, & che da lui si nomasse quella regione, nella
quale essendo gli huomini molto armigeri, & egli Etholo bellicosissimo, da
essi Etholi fu detto figliuolo di Marte.
Remo, & Romolo, overo Romo;
si come affermano gli antichi Romani, furono figliuoli di Marte, & di Ilia
vergine Vestale. Onde nel libro de' Fastis, narra Ovidio, che Ilia essendo
andata con una urna a pigliar dell'acqua per li sacrifici, & lassa sotto un
salice essendosi fermata, si addormentò; di che veduta da Marte fu impregnata:
ma a quella dormendo parve vedere, che stando innanzi i fuochi vestali, le
erano caduti nel fuoco le bende di lana, con le quali teneva il capo velato;
onde di quelle nascevano due palme, delle quali l'una maggiore con i suoi rami
s'inalzava fino al Cielo, & occupava tutto il mondo, le quali tentando il
zio estirpare, dal Pico uccello di Marte, & da un Lupo erano difese. La
onde per quel congiungimento da lei patito dormendo, havendo partorito due
figliuoli, per commandamento d'Amulio Re d'Albani suo zio furono portati al
Tebro per annegare, ma essendo cresciuto il fiume, & per le pioggie dianzi
uscito del suo letto, non potendo gli essecutori giungere alla ripa, gli posero
vicino a quella. Ivi essendo eglino alquanto nodriti da un Pico, sovragiunse
una Lupa, che havea perduto i suoi figliuoli: la quale ritrovando questi
fanciulli, in vece de i suoi, incominciò porgerli le mammelle, & allevarli.
La ragione di questo figmento a bastanza si comprende ne gli annali de Romani.
Egli si ha per cosa certa, che Ilia d'incerto padre in un parto istesso partorisse
Remo, & Romolo: onde in questo modo le bende, che dinotavano il testimonio
della verginità caderono nel foco. I due figliuoli furono le due palme, perche
restarono vittoriosi, ma l'uno piu dell'altro, cioè Romolo, che fondò l'imperio
Romano, al cui, per le sue, & de i suoi, vittorie fu soggetto tutto il
mondo. Contra questi volse far forza crudele il zio, mentre comandò che fossero
annegati. Dissero poi, che furono nodriti da un Pico, perche il Pico vive di
formiche, per le quali s'intendono gli agricoltori, cosi eglino raccolti da
Faustulo pastore, ch'era anco agricoltore, furono serbati, & da una Lupa
anco allevati, attentoche da Accha Laurentia moglie di Faustulo furono lattati,
& con materna cura governati, la quale chiamarono Lupa, percioche fu nobile
meretrice, & queste tali si dicono lupe per l'avaritia, per cui hanno
gittato da parte la pudicitia; onde fino al dì d'hoggi le habitationi di queste
tali si nomano Lupanari. Che poi siano stati da Marte generati, questo n'è
stato aggiunto per coprire la infame origine de i Prencipi di cosi inclito
legnaggio; il che si conviene anco a i costumi di questi giovani, percioche
furono rapaci, rubatori, animosi, & molto bellicosi, de quali Tito Livio
dice, Che Amulio havendo spogliato del Reame il fratello Numitore, ammazzò
Lauso figliuolo, & (per levare ogni speranza di prole) tra le vergini
vestali pose Ilia, la quale havendo partorito due figliuoli, & per
comandamento d'Amulio essendo esposti, da Faustulo consapevole delle cose
furono allevati & fino all'età giovanile nodriti, i quali dando opra a
rapine, & ladronezzi furono fatti consapevoli della loro progenie, &
dello inganno d'Amulio; onde per vendicarsi, ordirono tra loro una trama, &
fecero, ch'uno di quelli come prigionero, & malfattore da suoi compagni fu
condotto innanzi ad Amulio, & l'altro come accusatore vi comparse
medesimamente. Di che come furono ivi, amenduo si mossero contra Amulio, &
l'amazzarono, indi facendo palese ad ogn'uno di chi erano figliuoli, al vecchio
Numitore suo avo restituirono il reame. Ma eglino dove hora è Roma edificarono
una Città: & mentre l'uno, & l'altro di loro voleva dar nome a quella;
fecero tra loro una tal conventione, che ciascuno andasse sopra un monte
diverso, & quello, che pigliasse migliore augurio, imponesse il nome alla
Città. Onde avenne, che Remo vide sei avoltoi, & Romolo dodici, per la qual
cosa perche ne vide piu da se chiamò la Città Roma. Remo poi, perche andò sopra
un argine designato in loco di muraglia contra il volere, & edito di Romolo,
overo per altra cagione, da Fabio Capitano di Romolo fu morto. Et sono di
quelli, che istimano, ch'egli fosse sepolto nel loco, dove passò il termine
della muraglia, che si haveva a fare, & al dì d'hoggi mostrano una Piramide
nel muro con sassi in alto fabricata sopra il suo corpo edificata.
Romolo fu figliuolo di Marte
& d'Ilia, si come di sopra è stato detto; benche Servio dica, che costui fu
chiamato Romo, ma che poi per vezzi fu detto Romolo, attentoche le carezze suonano
molto meglio ne i nomi diminutivi. Questi fu il primo Re de i Romani, huomo di
maniera bellicosissimo, che meritevolmente fu tenuto figliuolo di Marte,
percioche unqua non riposò. Costui per forza soggiogò a sua ubbidienza molti
circonvicini popoli. Et perche fu huomo di guerra, havea instituito pochi
sacrifici appresso quel popolo novo, che egli haveva adunato d'huomini
fuggitivi, & ladroni, a quali concesse le donne Sabine per inganno prese.
Ma tra gli altri sacrifici havea ordinato i Laurentali per questa cagione (si
come dice Macrobio) perche (secondo, che riferisce Macrobio nel libro
dell'historia) la moglie di Faustulo Acca Laurentia nutrice di Romolo &
Remo (regnando Romolo) si maritò in un certo Carutio Toscano molto ricco: onde
morendo quello, & essendo ella per la facultà di Carutio restata molto
ricca, lasciò suo herede Romolo da lei nodrito. Di che egli in segno di tal
amore instituì la festa Laurentale. Altri pensano diversamente, dicendo, che
non da Romolo, ma da essa Acca Laurentia questo fu introdotto, & da Romolo
mantenuto; la qual opinione pare, che si confermi con l'auttorità di Fulgentio,
che nel libro de gli antichi Sermoni, cosi dice. Acca Laurentia nutrice di Romolo fu solita
per li terreni una volta l'anno sacrificare con dodici suoi figliuoli, che
andavano innanzi il sacrificio: onde essendone morto uno, per bontà della
nutrice Romolo permise succedere in vece del defunto. Onde la usanza continuò
con dodici, & questi dodici, che sacrificavano da indi in poi furono detti
fratelli agrarij, si come Rutilio Gemino ne i libri Ponteficali ricorda. Oltre
ciò Romolo fu il primo, che a Romani ordinò lo anno di diece mesi: il primo de
quali dal padre Marte chiamò Marzo. Appresso instituì cento padri, i quali
nominò senatori, & quelli, che nascevano di questi tali erano detti gentil
huomini. Indi acquetata la guerra con Sabini per lo rapire delle donne, divise
il popolo in curie, & descrisse tre centurie di Cavalieri, & ordinò
molte altre cose piu tosto appartenenti a tempo di guerra, che di pace.
Ultimamente essendo divenuto illustre per molte vittorie; mentre appresso le
paludi Capree faceva una oratione al suo essercito; nata una subita tempesta,
& pioggia con horrendi tuoni, & folgori dal Cielo; da un nembo oscuro
fu coperto di maniera, che fu tolto d'innanzi al popolo, nè poscia mai piu fu
veduto in terra. Di che fu creduto, che egli fosse stato da i Senatori
amazzato; percioche pareva, che favorisse piu alla plebe; & che il corpo
suo fosse gittato nelle paludi. Ma poscia che la plebe per tema della nobiltà
alquanto tacque (da alcuni essendosi dato principio) incominciarono salutarlo,
& chiamarlo Dio, nato di Dio, Re, & padre della Città di Roma, &
farli voti. La qual stolta opinione dicono, che fu confermata per consiglio
d'un nobile huomo. Percioche Giulio Procolo, il quale fu tenuto della stirpe
d'Enea; con Remo, & Romolo, lasciata Alba; era venuto a Roma: onde nella
Città sollecita di sapere con desiderio nuova del perduto Re, montò in renga,
cosi dicendo; Romolo, o Quiriti; padre di questa Città, questa mattina
nell'alba venuto di Cielo in terra m'apparve, & standomi innanzi con quel
venerabile aspetto in questo modo parlommi; Levati, & annuncia a i Romani,
a i Dei essere piacciuto, che la mia Roma sia capo delle terre del Mondo: onde
ch'essercitino la militia, & che faccino sapere a i posteri, che alcune
ricchezze humane non potranno resistere all'armi Romani. Cosi havendomi detto
questo, ritornò in Cielo. Di che avenne, che sotto nome di Quirino; percioche
egli vivendo con un'hasta, che in lingua Sabina si chiama Quiris, caminava, fu
chiamato, & tenuto Iddio. Nondimeno Plinio dove tratta de gli huomini
illustri, dice, che Romolo da Curi castello de i Sabini chiamò i Romani
Quiriti. Morì egli doppo, c'hebbe regnato anni trentasette, & incominciò
regnare ne gli anni del mondo quattro mila, quattrocento, quarantacinque, si
come scrive Eusebio nel libro de i tempi. Et perche egli è stato l'ultimo de i
ritrovati nella prole di Marte, piacemi insieme con lui dar fine al Nono Libro.
Credettero gli antichissimi
huomini, ò famosissimo dei Re, il mare Mediterraneo terminato dal lito d'Africa,
di Asia, & Europa, chiarissimo per mille isole, per opra di Hercole tra
Abila, & Calpe promontorij Occidentali, i quali Pomponio chiama Colonne
d'Hercole, dall'Oceano essere stato mandato alle nostre terre, & a noi
fatto navigabile. La onde (cosi provedendo Iddio per sua liberalità a nostri
bisogni) gran beneficio a mortali è seguito. Percioche maravigliosa cosa è
riguardare (concedendo ciò la gratia divina) le navi imaginate da ingegno
humano, & per arteficio fabricate hora a remi solcando l'onde, & hora
con le vele gonfiate dal prospero soffiar de venti portare ogni gran peso. Che
maraviglia poi è pensare all'ardir di coloro, che si diedero in preda ad onde
non conosciute, & a non provati venti? Veramente ch'io mi spavento.
Nondimeno è tanta la securtà di
questi tali, ò della fortuna, che gli aita, che se bene non sempre, almeno per
lo piu con lontani viaggi passando i mari, non dirò correndo, ma quasi
velocemente volando sono venuti carichi d'oro, & d'altri metalli, di vesti
di porpore, di speciarie, di pietre pretiose, d'avorio occidentale, d'uccelli
peregrini, di balsami, di legni, che non nascano nelle nostre selve, di gomme,
& d'altri sudori d'alberi, di radici, che non germogliano in ogni paese;
dalle quali cosi ai sani come agli infermi corpi seguono infinite medicine,
& rimedi. Ma quello, che è molto utile, & che è stato piu grato a tutti
il genere humano, è stato, che per mezzo di tali navigationi: è nato che si è
passato fino all'altro circolo del Mondo, & cosi si è venuto in cognitione
quali siano gli Arabi, quale il mar rosso; quello, che sudino le selve Sabee;
passar il Tanai, & l'Hircano; conoscer l'Hesperide Atlantici, & gustare
i loro aurei pomi; veder gli aridi Ethiopi, il Nilo, i Libici termini, il
freddo Hiperboreo, & i Sarmati. Cosi l'Hispano e il Moro è visitato, &
visita altri; & si passa in Persia, in India, nel Caucaso, nell'ultima Tile
et nei liti Taprobani; onde l'un con l'altro facendo delle loro merci contrati,
aviene, che non solamente riguardino i costumi, le leggi, & gli habiti degli
altri, ma se bene sanno, si puo dire, che l'uno sia d'un mondo, & l'altro
d'un altro, & tenga, che un istesso Oceano non circondi l'uno, &
l'altro, la consuetudine, & la conversatione opra che habbiamo fede l'uno
in l'altro nelle conventioni, & mercatantie. Onde fanno insieme amicitie,
& mentre insegnano ad altri i suoi linguaggi, medesimamente anco eglino
apprendono gli altrui; di che nasce, che quelli, che la distanza dei luoghi
havea fatto stranieri, la navigatione gli renda concordi, & vicini. Oltre
ciò vi sono molte altre cose, le quali se bene per maraviglia non sono tanto
notabili, sono forse per l'utilità continua molto piu care. Questo mare con i
suoi lembi concede infinite commoditadi de' pesci, onde aviene, che le laute
mense de' ricchi s'ornano di pesci delicati, & i poveri si nudriscono dei
piu vili. Appresso, se si mostra tranquillo, dalle isole abondanti sono portate
da un luogo all'altro pecore, giumenti, biade, & altre cose necessarie al
vivere humano. Egli è buono per far lavande agli infermi, & sani, & col
suo sale acconcia le cose insipide; rende humide le circonvicine, & col suo
girar sotterra per tutti gli additi, & luoghi empie d'acque ogni
cattaratta, onde nascono poi i fiumi, & i fonti; de' quali, se anco poi non
fosse ricettatore, si converrebbono marcire, & putrefare nelle valli, &
generar a noi morbo mortale. Che starò io a raccontar tante cose? Questo cosi
singolar bene a tutti (come finsero gli antichi Poeti) nella divisione del
Reame tra tre figliuoli di Saturno toccò a Nettuno, & di quello fu chiamato
Dio; del quale, perche sono per narrare la discendenza, m'è piacciuto aggirarmi
alquanto d'intorno i benefici suoi. Ho veduto, che mentre sono andato navigando
a ricercare le posterità d'altrui, ch'egli senza pericolo della mia barchetta
mi ha lasciato solcare; hora che io cerco la sua, mi si devrebbe mostrar
tranquillo. il che prego faccia colui, che in un lembo della veste sul lito lo
raccolse.
Nettuno fu figliuolo di Saturno,
& Opi; il quale subito che fu nato dalla madre fu nascosto affine, che da
Saturno non fosse morto, si come nella historia sacra si legge. Gli antichi chiamarono
costui Dio del mare; il che per li versi di Marone è manifesto, mentre dice.
Partitevi con fretta, &
riportate
Al vostro Re; ch'a me toccato a
sorte
Ha
l'imperio del mare, e il fier Tridente.
Ilche forse s'è tolto da Homero,
mentre in persona di Nettuno cosi nella Iliade parla
Tre fratelli figliuoli di Saturno
Noi siamo; i quali ha partorito
Rhea.
Il primo è Giove, & il secondo
io sono,
Il terzo è Dite, ch'in Inferno
regna.
In tre parti ogni cosa habbiam
diviso;
Ha toccato l'honore a chi è
piacciuto.
Ma certamente a me toccato ha
sempre
Habitar ne l'antico, & alto
mare
Senza
potermi mai d'indi partire.
Oltre ciò, Alberigo dice, che di
costui fu moglie Anfitrite, & che hebbe una bellissima successione di
figliuoli, ma di piu mogli. Et essendo stato attribuito una carretta, &
compagni, a qual partito egli se ne vada elegantemente Virgilio il descrive,
dicendo.
Ai superbi destrieri il carro
aggiunge,
E i fren schiumosi pone; & da
le mani
Lascia tutta cader la briglia,
& vola
Col nero caro sovra il mar
liggiero.
Stan salde l'onde, & sotto il
grave peso
L'acque sue il mare parimente
estende.
Fuggon da l'ampio ciel gli oscuri
nembi.
Vengono in compagnia varie
sembianze,
Smisurate Balene, e i Cori antichi
Di Glauco, Inoo, e Palemone, e i
presti
Tritoni; indi l'essercito di Phorco
Sostenta poi da man sinistra Theti,
Et Melite, & la vergin'
Panopeia,
Nisee, Spico, Thalia, &
Cimodoce.
Ma Statio altrimenti descrive il
suo incesso, & caminare, mentre dice.
Si come fa Nettuno allhora quando
Da la spelonca d'Eolo uscir fa
fuori
I fieri venti, & sopra il mare
Egeo
Accompagnato vien da rei ministri.
Stanno d'intorno lui i nembi, e i
verni,
I nuvoli profondi, atri, &
oscuri.
Oltre ciò, questi hebbe lite con
Minerva sopra l'imporre il nome ad Athene; il che a pieno essendo da noi stato
dichiarato dove s'è parlato di Minerva, hora come superfluo il lasciaremo. Cosi
anco delle mura di Troia da lui, & da Apollo edificate nel capitolo di
Laumedonte se ne è parlato. Vogliono appresso ch'egli sia stato allievo di
Giunone, & che in luogo di scettro porti il Tridente, & i fondamenti
delle cose esser sacrati a quello. Ma hora parmi esser da vedere ciò, che la
stolta antichità sotto questo habbia compreso. Nettuno è stato finto Dio del
mar, perche questo si legge nella sacra Historia. Giove dà l'imperio del mare a
Nettuno accioche regnasse in tutte l'Isole, & tutti i luoghi, che sono
appresso il mare. Di qui i Poeti, poscia per haverlo l'historico chiamato Re,
l'hanno finto Iddio; la qual fittione di maniera crebbe, che anco quelli
ch'erano tenuti prudenti da si sciocca credenza furono presi. Dissero poi
Anfitrice esser di lui moglie, percioche sempre col mare è congiunto un suono,
che in ogni luoghi dei liti s'ode ove l'onde battono la terra; & però
Anfitrice è detta da Anfi, che significa circa, & Criton, che vuol dir
suono del mare, onde viene ad essere consonante. Gli è attribuito il carro per
designare il suo movimento nella superficie, il quale si fa con una
rivolutione, & rumore, come proprio fanno le ruote d'un carro. Del suo
caminare, & della sua compagnia (il che da Virgilio è scritto) si può far
coniettura dall'uso, & natura del mare quando ritorna tranquillo. Da Statio
poi è descritto il contrario, cioè quando il mare diviene pieno di procelle. E
poi stato detto il mare esser stato allievo di Giunone perche l'aere dall'acque
riceve accrescimento, si come è stato narrato dove s'è parlato di Giunone. Il
Tridente invece di scettro a lui conceduto dinota la triplice proprietà
dell'acqua, cioche è corrente, navigabile, & buona da bere. I fondamenti
poi sono sacrati a lui perche per opra sua la terra si move, là onde da Homero
spesissime volte è chiamato Ennosigeos , che significa l'istesso, che movente
la terra; di, che per ciò gli insipidi volsero quello che a lui era sacrato da
lui dover essere serbato. O quanto poco haveano letto quel detto di Davite; Se
il Signore non havrà edificata la casa, in vano s'affaticheranno quelli, che la
edificano, & spetialmente quelli, che commetteno i fondamenti a Nettuno,
non essendo nessuna cosa stabile se non si fonda sopra la pietra, & questa
pietra è Christo. Il chiamano Nettuno, come dice Rabano, & Isidoro, perche
il mare cuopre la terra. Overo come vuole Alberigo è detto Nettuno a Nando ,
perche le cose, che sono in lui nuotino; il che tengo da farsi beffe, volendo a
un non pensato nome di Re attribuire tali espositioni.
Doro (secondo Servio) fu figliolo
di Nettuno; il quale altri vogliono, che regnasse nelle parti di Grecia, &
in ogni cosa essere stato di tanta autorità, che tutti appresso quali
signoregiasse dal suo nome fossero chiamati Dori. Ma Isidoro nelle Ethimologie,
& Rabano nell'origine delle cose dicono, che Doro fu figlio di Nettuno,
& Elope, & ch'il nome dei Dori, & l'origine loro è venuta da una
parte della Grecia dalla quale anco s'è cognominata la terza lingua greca, che
si chiama Dorica. Perche costui sia detto figliuolo di Nettuno, ci pare questa
ragione. Primieramente, può essere cosa possibile che egli sia stato figliuolo
di Nettuno Re, & che si per sua virtù come per auttorità del padre venisse
in gran credito, come suole avenire. Et di questo sia detto assai. Oltre ciò
gli antichi furono soliti, & spetialmente quelli ch'erano d'animo generoso,
partirsi dai propri paesi, & andar altrove ad habitare, alle volte
volontariamente per disio di gloria et alle volte cacciati da seditioni, ò da
altra necessità constretti. I quai, perche alle volte i monti non erano per
tutto facili a passare, & i boschi si trovavano per l'antichità pieni di
sterpi, & i liti volentieri erano habitati, si mettevano in mare sopra
qualche Navilio a ricercare alcuna isola ò lito, & dove arrivavano
occupando il lito ò essendo benignamente dagli habitatori raccolti, se per
openione dei popoli mostravano segno di divenire illustri, & famosi, se
bene della sua origine non si sapeva altra notitia, pur che fossero venuti per
mare non solo gli facevano suoi Re, ma anco per piu agrandire la gloria della
sua origine subito gli chiamavano figliuoli di Nettuno. Se forse simili huomini
fossero venuti per terra, dicevano ch'era figliuolo della terra; il che a molti
essere avenuto testimonia la roza antichità. Et accioche tante volte non si
replichi simile parlamento, cosi s'intenderà degli altri figliuoli di Nettuno,
non se ne mostrando però altra ragione.
Amico fu figliuolo di Nettuno,
& Melite ninfa (secondo Servio), il qual vuole, che combattendo con Polluce
restasse vinto. Il che Lattantio piu apertamente narrando dice che, essendo
arrivato Polluce con gli Argonauti al boscho Brebitio; Amico Re dei Brebitij
provocò al contrasto di Cesti Polluce, attento, che sotto specie di tale
invito, & provocatione egli soleva amazzare tutti quelli, che capitavano al
Bosco Brebitio. Avenne che, havendo Amico in tal contrasto condotto Polluce,
restò vinto; onde volendo si come era solito fare agli altri usar la violenza,
Polluce chiamò i suoi compagni, & lo amazzò. Theodontio dice, che costui fu
figlio di Nettuno, & Melantone, figliuola del vecchio Proteo. Ma io crederò
piu tosto a Servio, dicendo Leontio ch'egli venne dall'Isola di Malega non
lontana da Sicila ivi, & occupò per forza il regno di Brebitia. Il paese di
Brebitia è quello, che poscia è stato detto Bithinia, vicina a Troade.
Buthe secondo Theodontio fu
figliuolo di Amico Re di Brebitij; il quale, dice Leontio, amazzato il padre da
gl'Argonauti fu cacciato dal Reame: onde volendo ritornare a Malega per
ricuperare il Reame toltogli, dopo alquanto haver errato per strani viaggi sopra
un picciolo legnetto giunse a Trapani, dove fu benignamente raccolto da
Licaste, nobile, & bellissima meretrice a quel tempo, il quale essendo
bello di modi, & di presenza, & di costumi, & di giovanezza,
leggiermente da lei fu amato. Di, che usando con lei n'hebbe un figliuolo
chiamato Erice. Et perche Licaste per la singolar bellezza, & essercitio
meretricio dagli habitatori era chiamata Venere, la favola hebbe luogo, cioè,
che Buthe havesse di Venere Erice.
Erice (come piace a Theodontio)
fu figlio di Buthe, & Venere. Ma Servio dice di Nettuno, & Venere,
& essere stato nel numero degli Argonauti; onde dice, che Venere andando a
diporto per lo lito di Sicilia da Nettuno fu impregnata, & partorì Erice:
il che alle cose predette male si conface, benche si potrebbe dire Buthe essere
stato un huomo straniero, & dal mare travagliato, & per ciò detto
Nettuno. Questo Erice regnando in Sicilia, & essendo di forze molto potente
havea fatto una legge, che tutti quelli ch'ivi capitavano dovessero con i cesti
combatter seco; il quale alla fine vinto da Hercole, che ritornava di Spagna se
ne morì. Ma Theodontio continuando la historia della generatione di costui
dice, che costui, si per heredità degli avi suoi come per acquisto di molte ampie
ricchezze di Licaste meretrice, ampliate anco dalle forze di Buthe, in quella
parte della Sicilia possedeva un ampio Stato. Onde morendo Licaste, si per lo
thesoro come per lo notabile titolo della madre, benche falso, levatosi in
superbia si fece Re di quel luogo; & sulla cima di quel monte vicino a
Trapani fece edificare un gran tempio, & alla madre sacrarlo, chiamandolo
il tempio di Venere Ericina. Finalmente divenuto tropp'insolente da Hercole fu
morto, & sepolto nel monte dove alla madre havea edificato il tempio.
Forco (secondo Servio) fu
figliuolo di Nettuno, & Thoosa. Dice Varrone, che costui fu Re di Corsica,
& Sardigna, & che da Atlante Re in una battaglia maritima fu vinto,
& gran parte della sua gente distrutta. Là onde i compagni, che restarono
per sua consolatione dissero quello essersi converso in un Dio marino; &
cosi fu detto Dio del mare col favore delle poetice fittioni, che per tale l'approvarono.
Onde in tal modo pare, che Forco con simil rotta s'acquistasse il nome d'Iddio.
Batillo (secondo Theodontio) fu
figlio di Forco monstro marino; del quale, benche dica alcune altre cose,
nondimeno per le lettere rose dal tempo non ho visto altro, né altrove altro
letto.
Dice Servio, che Thoosa fu madre
di Forco; ma Homero nell'Odissea vuole, che fosse figliuola, cosi dicendo;
Antiteo Polifemo, che di forza
Tutti gli altri Ciclope a pieno
eccede
Fu partorito da Thoosa ninfa.
Generata da Forco Dio marino.
Onde si vede, che costei fu
figliuola di Forco, & partorì Polifemo Ciclope di Nettuno. Né per ciò ci
nuoce quello, che dice Servio, perche può essere, che due donne in un medesimo
tempo fossero d'un istesso nome, l'una delle quali figliuola, & l'altra
madre di Polifemo.
Scilla secondo Servio fu
figliuola di Forco, & Croteide ninfa, laquale, come dice Ovidio, fu amata
da Glauco, della città d'Antidone Dio marino; & perche egli faceva piu
stima di lei, che di Circe figliuola del Sole, che di lui era innamorata, Circe
infettò con veneni di maniera la fonte dove Scilla era solita lavarsi, che
entrando Scilla in quella secondo la sua usanza per bagnarsi, subito sentì
cangiarsi in varie forme; di, che havendo a schifo, & noia la sua propria
deformità, si gittò nel mare ivi vicino, & per opra di Glauco suo amante fu
conversa in una Dea marina. Altri dicono che fu fatta monstro marino, la cui
forma cosi descrive Virgilio.
V'è una spelonca, che nasconde
Scilla
Che trahe le navi in sassi, &
duri scogli.
È donna nell'aspetto, & il suo
petto
Par di bella donzella; ma l'avanzo,
Del corpo è fier delfin, & ha
la coda
Di lupo, e appresso del Pachin
dimora.
Ma Homero con un lungo ordine di
versi altrimenti nell'Odissea la descrive in questa forma, dicendo, che ella
abbaia, & ha la voce di Cagnolino poco fa nato; è d'aspetto horribile, ha
dodici piedi con sei capi, & in ogni capo una gran boccha con tre ordini di
denti pieni d'oscura morte, & che dimora in una spelonca; dove in quella
stando stende fuori il capo nel profondissimo mare, & pesca per prendere
Delfini overo Balene. Ma Leontio recita un'altra favola di Scilla differente
dalla superiore. Dice egli che, congiungendosi Scilla con Nettuno, Anfititre
sua moglie mossa da gelosia infettò l'acque dove Scilla era solita lavarsi,
& cosi fece ch'ella si cangiò in fiera Cagnina, la quale fu poi amazzata da
Hercole, che ritornava d'Hispagna carico di preda, estinto il Gerione,
percioche ella gli havea rubato i buoi; ma il padre di lei la ritornò in vita.
Hora lasciate queste cose, egli è da dichiarar quello, che sotto queste favole
si nasconda. Sono di quelli, che istimano già nel lito di Calavria, con un
stretto canale dal mare Siciliano partito, esservi stato una bellissima donna
straniera, & molto vaga, la quale se bene si dava in preda alle lascivie,
& libidini, nondimeno usava ciò con maestria tale, che pareva nei gesti,
& atti una donzella overo castissima donna; di che con simile arte
allacciava i malaccorti viandanti, & delle sostanze gli spogliava, onde di
qui la favola hebbe principio. Fulgentio poi espone questa fittione in senso
piu morale dicendo, che Scilla in greco è quasi detta Exquina , che appresso
noi si dice confusione; onde, che altro è confusione eccetto libidine? La quale
libidine ama Glauco. Glauco poi in greco si dice Lustitio, di, che noi
chiamiamo Glafeomata cecità; adunque ogni uno che ama la lussuria è Cieco.
Percioche fu anco detto figliuolo d'Anthedone, & Anthedon in greco è quasi
l'istesso, che Anthudon ; il che noi chiamiamo veggente il contrario. Adunque
la cecità nasce dal veder torto, cioè da cosa contraria al vedere. Scilla poi è
posta in modo di meretrice, perche è necessario ch'ella meschi i suoi
libidinosi membri con cani, lupi, & sporchi huomini. Giustamente adunque è
congiunta con lupi, & cani. Si dice, che Circe la odiò, perciò che Circe
quasi detta Cyrenere s'espone operatione, & fatica di mano; onde viene a
nascere, che la libidinosa donna non ama le operationi né le fatiche. Questo
dice Fulgentio. Glauco poi dove s'è detto di Circe è tolto per la schiuma del
mare, della cui è abondante il monte Circeo nelle sue radici, per rispetto
degli scogli d'intorno a' quali il mare battuto si frange; & cosi anco è lo
scoglio di Scilla. Nondimeno dove di Circe si tratta, se n'è detto assai. Ma
Salustio dice quel sasso esser simile ad una forma perforata a chi il vede di
lontano. Si è poi finto cani, & lupi esser nati di lei perche sono luoghi
pieni di marini monstri, & l'asprezza di sassi ivi imita il latrar de'
cani. Ma noi pian piano vegniamo ad accostarci alla spositione del figmento.
Egli è certissimo da una parte d'Italia d'inanzi il lito Tauromentano esservi
grandissimi sassi cavernosi, acuti, & che a guisa di rasoi tagliano, che
s'estendeno fino nel mare di Sicilia; dove con quel movimento, che l'Oceano
continuamente è vessato dal flusso, & reflusso, di maniera col corso
veloce, & impetuoso soffiando dall'Arthoo verso Austro i venti, & cosi
dall'Austro verso l'Arthoo, con tanto impeto l'onde tra sé si percuoteno, che
con le sue percosse pare, che ascendano al Cielo; onde da tanto impetuoso
movimento nasce, che entrando l'onde nelle grotte di Scilla si cagioni un
rumore, horrendo, il quale di qua, et di là partito, & rotto s'assimiglia
al latrar de cani, & all'urlar de lupi; & perche l'acque sempre
declinano nel vacuo, aviene, che discendendo quelle nelle caverne di Scilla,
impeto è cosi possente, che se trova navilli seco gli trahe. Et cosi per la
verità degli effetti si vede la fittione di Virgilio. Ch'ella poi (secondo
Homero) habbia molti capi, ciò non è altro, che i molti scogli che sono ivi, i
quali stando eminenti è di necessità, che anco habbiano buon fondamento; il che
s'intende invece de' piedi. Le molte bocche, & gli ordini dei denti non
s'intendono pealtro, che per le spesse schiume, che ivi con l'onde percuoteno,
i quali sono piedi d'oscura morte, cioè di pericolo d'affogarsi a chi ivi
entra. Che anco ella peschi a Delfini, & balene, ciò è stato detto perche
quel luogo è sempre pieno di grandi, & monstruosi pesci. Quello, che poi
diceva Leontio, Scilla congiungersi con Nettuno, è cosa manifesta, percioche
come si vede il sasso s'estende nel mare, & perche ivi sempre è fortuna,
& continuo strepito, è stato finto, che da Anfitrite l'acqua fosse
infettata. Che poi Hercole la amazzasse, dice Theodontio ciò essere stato finto
perche il figliuolo di Ciclope tra i sassi di Scilla morì; là onde per sua
vendetta il Ciclope gittando ivi grandissime machine di sassi chiuse le bocche
di Scilla, & fece il mare navigabile, & per ciò Scilla fu detta esser
morta. Nondimeno in processo di tempo trahendo in sé il mare tutte quelle machine
ivi gittate, ritornò il luogo nella primiera forma, & cosi da Forco la
figliuola suscitata. Dice Theodontio, che Filocoro afferma Scilla stata figlia
di Forco, & che partendosi di Sardigna per andar a marito in Corintho
(percioche era stata data per sposa a Steleno nobilissimo giovane Corintho) ivi
se ne morì, & a quel luogo lasciò il suo nome.
Medusa, Stennione, & Euriale
furono figliuole di Forco, & d'un monstro marino, si come dice Theodontio.
Queste furono dette Gorgoni, & secondo l'antica fama tra tutte non havevano
piu, che un'occhio, il quale adopravano mo' l'una mo' l'altra. Et si come
scrive Pomponio Mela nella Cosmografia possedettero l'isole Dorcadi, le quali
si trovano esser nell'Oceano d'Ethiopia dirimpetto degli Ethiopi hesperidi;
ilche pare, che Lucano dimostri dove dice.
Negli ultimi confini, ove la Libia
Ardente region riceve in grembo
L'Oceano, che dal Sol percosso è
caldo,
Gli ampi terreni di Medusa figlia
Di Forco
ivi son sparsi, & dominati.
Oltre ciò dicono queste tali
haver havuto tal proprietà, che chi le riguardavano si cangiavano in sassi.
Vuole Ovidio, che queste fossero solamente due, ove dice;
Ove habitaron già le due sorelle
Figlie di Forco, c'hebbero per
sorte,
Tra tutte
una sol luce, e un occhio solo.
Et questo basti in quanto a tutte
tre. Hora ci piace dichiarar il senso delle fittioni. Et prima non tengo io,
che queste fossero figlie di Forco Re di Sardigna del qual di sopra s'è
parlato, ma di qualche altro Forco ch'a quel tempo nell'isole Dorcadi regnava.
Istimo, che fossero chiamate figliuole d'un monstro marino dalla simiglianza,
perche la balena è monstro marino tra le cui proprietadi, dicono quelli c'hanno
ricercato le nature degli animali, ella haver questa, che aprendo la bocca
empie di tanto odore il tutto, che tutti i pesci se le avicinano, onde ella ne
piglia quelli, che vuole fino attanto, che si satolla; di, che medesimamente le
figliuole di Forco con la maravigliosa sua bellezza trahevano a vederle tutti
gli huomini, & però furono dette figliuole d'un monstro. Che poi havesse
un'occhio solo, Soreno, & Dionigdo scrittori delle antichità dicono
ch'eglino credeno ciò esser stato finto perche erano d'una istessa egual
belleza. Ma io tengo, che ciò fosse detto perche una istessa openione, &
giudicio fosse di tutti quelli, che le vedevano. Che poi cangiassero in sassi
chi le mirava, istimo questo esser stato trovato percioche cosi grande fosse la
loro bellezza che, veduta quella, ogn'un restasse stupido, mutolo, &
immobile, non altrimenti, che insensibil sasso. Furono dette Gorgoni perche,
secondo Theodontio, morendo il padre, & restando ricchissime, di maniera
hebbero cura delle loro facultadi che, accresciute molto in ricchezze; da i
suoi furono chiamate con tal cognome; il che risona ministre della terra,
percioche in greco Georgi significa agricoltori. Ma Fulgentio ha diversa
opinione. Dice egli esservi tre sorti di terrore, le quali per questi nomi si
dimostranno. Stennio s'interpreta debilità, cioè principio di timor, che
solamente debilita la mente; Euriale poi è l'istesso, che ampia profondità,
cioè stupore overo uscir di se; la quale con un certo profondo terrore occupa
la mente debilitata. Medusa poi significa oblio, laquale non tanto turba
l'apparenza della mente, ma etiandio impone una nebbia al vedere; questo
terrore opra in tutti. Ma serbando sempre riverenza a Fulgentio, queste cose
non ci paiono conformi all'intentione dei fingenti, perche queste non apportano
terrore ma maraviglia.
Medusa si come è stato detto fu
figlia di Forco, & essendo tra tutte l'altre donne bellissima, (secondo
Theodontio) tra l'altre sue qualitadi, & bellezze hebbe i capelli non pur
biondi, ma d'oro; del cui splendor innamorato Nettuno, giacque seco nel Tempio
di Minerva, dal qual congiungimento nacque il cavallo Pegaseo. La onde Minerva
sdegnata, accioche la ignominia fatta al Tempio non restasse invendicata,
cangiò i capelli di Medusa in serpenti, & cosi di bella divenne monstruosa.
Della qual mutatione volando la fama in ogni parte, avenne, che Perseo armato
con lo scudo di Pallade venne per vincer questo monstro, & cosi gli tagliò
il capo; onde volando verso la patria, & portando seco il capo di Gorgone,
occorse, che cadendo le gocciuole del sangue per li diserti di Libia di quelli
nascessero serpenti, de' quali n'è piena la Libia. Istimo esser stato finto,
che Medusa havesse i crini d'oro affine, che comprendiamo quella esser stata
ricchissima, intendendosi per li crini le sostanze temporali. Per queste
sostanze adunque Nettuno, cioè un huomo straniero come fu Perseo, si condusse
in concupiscenza di lei, & usò seco nel tempio di Minerva, cioè supera lei
fra i termini del prudente consiglio; il che anco si dimostra per lo scudo di
Pallade ch'era cristallino, affine, che per quello si comprenda il riguardo,
& avertenza del prudente. Percioche ha questo cristallo per dimostrar a
gl'occhi di chi il mira quello, che dopo di sé si opra; cosi anco il Capitano
discreto col consiglio avertisce quello, che gli inimici ponno essequire, &
cosi s'assecura, mentre rende vani i loro pensati consigli. Dal congiungimento
del prudente, & straniero duce nasce il caval Pegaso, cioè la fama, si come
apertamente si vedrà dove si tratterà di lui. I crini si cangiano poi in Serpi
ogni volta, che ciascuno per la ragione delle sue sostanze viene opresso,
percioche quelle cose, che solevano esser cagione del suo splendor si cangiano
in mordenti sollecitudini, & pensieri. Allhora si leva il capo a Medusa,
quando viene spogliato delle sostanze per le quai pareva poter vivere, &
haver molta forza. Che poi i Serpenti nella Libia fossero generati dalle
gocciuole del sangue ch'uscì del capo di Medusa, piu tosto per fermar meglio la
specie della favola, che per altro istimo essersi detto. Testimonia Eusebio nel
libro di Tempi questa Medusa da Perseo tratto per ingordigia delle sue
ricchezze esser stata vinta, & spogliata delle facultadi, & Reame;
& quel nel tempo, che Cecrope regnava in Athene, producendo per testimonio
Didimo nell'historia peregrina.
Albione, & Borgione, si come
riferisce Pomponio Mela nel libro della Cosmografia, furono figliuoli di
Nettuno; de quali recita questa favola. Dice, che passando Hercole per le foci
del Rhodano, & per quei luoghi, che poi sono stati detti fossi Mariani:
contra lui vennero Albione, & Borgione per impedirli il passo. Là onde
Hercole seco combattendo, et mancandoli i dardi, chiamò in suo aiuto il padre
Giove, che non li mancasse. Il quale dicono, che li diede aiuto in questa
forma, facendo venire una pioggia di sassi; de' quali di maniera quel luogo n'è
abondante, che leggiermente pensaresti esservi piovuto. Tengo io che questi
tali fossero huomini valorosi, & stranieri, i quali ivi havendo fatto le
sue habitationi, & temendo non n'essere scacciati, si fecero contra Hercole
overo altro ch'ivi veniva, dal quale furono vinti; onde i sassi, che
diffusamente sono sparsi diedero materia alla favola.
Servio afferma, che Tara fu
figlio di Nettuno, & dice ch'egli già vicino ai confini da Salentini
edificò Taranto, famosissima città, attribuendole il nome suo; benche Giustino
voglia ch'ella fosse fabricata da i bastardi de Spartani. Ma l'istesso Servio
conferma, che da loro (capo Pallante) fu non edificata, ma restaurata.
Polifemo Ciclope, si come anco
tutti gli altri Ciclopi, fu figliuolo di Nettuno, & Thoosa figlia di Forco,
secondo, che s'è visto di sopra per Homero dove s'è parlato di Thoosa. Si trova
tra tutti gli altri Ciclopi costui esser stato famosissimo, & potentissimo,
& haver amato Galatea ninfa di Sicilia, si come si vede dove s'è detto di
Galatea. Oltre ciò, vogliono ch'egli havesse un occhio solo, & che fosse
huomo di grande statura, il quale nelle selve Siciliane havesse molti gregi;
&, che ultimamente da Ulisse fosse privo dell'occhio. Di costui Homero
nell'Odissea recita favola tale. Dice, che Ulisse vagabondo dopo la ruina di
Troia, lasciati i Lotofagi, essendo venuto in Sicilia vide ivi un huomo
rustico, & selvaggio, che mungeva i gregi, & della entrata della sua
spelonca levava un sasso solo, che venti paia di Buoi non havrebbe potuto
movere. Finalmente, essendo Ulisse insieme con dodici suoi compagni di nave
entrato nell'antro di Polifemo, & narratogli chi eglino fossero, & onde
venissero, dimandandogli appresso favore, & aiuto nelle sue necessitadi,
dal Ciclope superbamente gli fu risposto, & detto, che non temeva Giove,
& che di Giove era migliore. Indi interrogandoli dove havessero lasciato la
nave, da Ulisse, che s'accorse della perfidia di Polifemo gli fu risposto, che
la nave s'era rotta in mare, & che a caso ivi erano capitati. Di, che
Polifemo in presenza di tutti gli altri prese due dei compagni, & vivi se
gli trangugiò ingordamente. Là onde Ulisse impaurito havea pensato amazzarlo,
ma considerando ch'egli non havrebbe potuto levare quella gran machina
dall'entrata della spelonca, si restò. Ma venuta la mattina il Ciclope mangiò
due altri de' compagni, & lasciando Ulisse con gli altri nell'antro, se
n'uscì col grege fuori alla pastura. Onde Ulisse restato ivi rinchiuso
assottigliò nella cima un gran bastone, & il coperse sotto il letame; &
ritornando la sera il Ciclope, medesimamente mangiò due altri dei compagni. Et
Ulisse, il quale insieme con i compagni quando entrarono nella spelonca
havevano alcuni fiaschi di vino, appresentò uno di quelli a Polifemo,
pregandolo, che gli havesse misericordia. Il Ciclope bevuto il vino promise di
farlo se di nuovo gli ne portasse; il che un'altra fiata facendo Ulisse, quello
gli dimandò il suo nome, & egli gli rispose ch'era chiamato Nessuno; al
quale il Ciclope soggiunse: et tu Nessuno sarai l'ultimo, per premio della
bevanda, che m'hai appresentato, ad essere divorato. Cosi havendo traccannato
il buon vino, tutto ebbro s'adormentò; di, che Ulisse pigliato il palo nel
letame nascosto, & affuccandoli la punta, diede animo ai compagni, che li
aiutassero a cacciarlo nell'occhio al Ciclope. il che fatto, Polifemo per lo
dolore svegliato incominciò fortemente gridare et chiamare in suo aiuto i
compagni vicini alla spelonca, i quali stando fuori dell'antro et dimandandogli
chi li desse noia, il Ciclope rispose Nessuno. I quali partendosi, istimando,
che da naturale infirmità ciò facesse, gli dissero, che pregasse Nettuno, che
il facesse adormentare. Ma il Ciclope adolorato, levata la machina dalla boccha
dell'antro, & stendendo le braccia, accioche nessuno degli inimici non
uscisse, toccava ciascuna delle pecore sulla schiena, ad una ad una lasciandole
uscire; onde Ulisse insieme con i compagni vestitisi di pelli di morti montoni,
quadrupedi uscirono della spelonca tra l'altro grege, senza essere da Polifemo
conosciuti, & cosi tutti lieti con delle pecore del Ciclope se n'andarono
alle sue navi, onde quello accortosi dell'inganno trasse quel gran sasso verso
la nave d'Ulisse, & quasi la aggiunse. Ma Ulisse come fu in luogo securo
gli scuoprì il suo nome; il che intendendo il Ciclope, Ahimè disse, ch'io pure
sono giunto al pronostico di Tileno Eurimede Ciclope. Cosi Ulisse si partì. Ma
Virgilio con piu brevi parole in persona d'Archimenide, uno dei compagni
d'Ulisse, narra la sua statura, & habitatione, dicendo;
Di me scordati essendo i miei
compagni
Mi lasciaro ne l'alta, e gran
spelonca
Del Ciclope crudele, &
scelerato;
Ov'entro oscura è la gran tomba,
& piena,
Di brutto sangue, & sanguinosi
cibi,
Et è si grande, che le stelle
tocca.
O dei togliete dalla terra lunge
Tal peste, da veder non già
benigna,
Et nel parlar affabile, o cortese.
Si pasce questi de l'interne membra
Del miser huomo, & de l'oscuro
sangue
Nodrisce la sua vita empia, e
rubella.
Lasciate queste cose di Polifemo,
egli è da scendere all'interno senso. Onde prima è da vedere perche sia detto
figliuolo di Nettuno, & Thoosa. Il che d'intorno penso io che, prestandole
materia la madre figliuola del Re di Sardigna, egli incognito venisse in
Sicilia; della quale havendone occupato parte overo tutta, non essendo
conosciuto fu detto figlio di Nettuno, & fatto Tiranno dell'Isola. Ma vi è
un'altra ragione per la cui meritasse haver per padre Nettuno. Percioche si
come Nettuno quando fortuneggia è inessorabile, cosi i tiranni mossi da ira ò
da cupidigia sono implacabili. Onde costui di cosi gran statura, cioè gran
potenza, fu capo de' gregi, cioè Tiranno de' gran popoli. Che poi havesse un
solo occhio viene a dinotare, che i Tiranni non curano altro, che il proprio
utile; non guardano né a Dio, né al popolo, né al prossimo, né alla suggetta
plebe. Cavano le viscere, & stracciano gli huomini vivi, mentre delle
sostanze spogliano i sudditi, gli condannano in essigli, & innocenti gli tormentano.
Questi nondimeno dal vino, cioè dalle lusinghe de gl'huomini astuti sono
adormentati, & gli è cavato l'occhio mentre sono privi del dominio, &
delle sostanze. Ma Alberigo di questo Polifemo giudica altrimenti, dicendo
Polifemo chiamarsi quasi huomo di molta luce, affine d'accordarsi con Servio,
il quale dice molti haver detto Polifemo haver havuto un occhio, altri due,
altri tre; ma il tutto essere favoloso, come quasi ch'esso voglia, che ne
havesse un solo. Et però afferma costui essere stato prudentissimo huomo, &
haver havuto questo occhio nella fronte, cioè appresso il cervello, ma da
Ulisse con la prudenza essere stato vinto; il che si può concedere in
particolare lode d'Ulisse, che humiliato con doni il senso del Tiranno, &
per Polifemo l'eloquio, & i falsi inganni dell'occhiuto huomo, & la
violenza preparatali, fuggisse le sue mani. Io poi della grandezza di costui
non dubito i Poeti per hiperbole haverne ragionato, poscia, che a questi giorni
appresso Trapani si è trovato una statua d'huomo altissima, & ismisurata,
si come altrove habbiamo dimostrato.
Tilemo Eurimede, uno de i
Ciclopi, si come nell'Odissea dice Homero, & anco degli altri è stato
detto, di Nettuno fu figliuolo, ma di qual madre non si sa, se forse non fu
figliuolo di quella onde è cognominato. Questi fu quello, che predisse a
Polifemo, che da Ulisse gli sarebbe cavato l'occhio.
Bronte, Sterope, & Pirammone
furono famosissimi Ciclopi, & (secondo Theodontio) figliuoli di Nettuno,
& della moglie Anfitrite. Si trova, che questi furono artificiosi huomini,
& molto atti a durare fatica, onde sono attribuiti a Vulcano Dio del fuoco,
che sotto lui appresso l'isola di Lipari facciano le saette a Giove, si come
Virgilio nella Eneide in molti versi descrive. De' quali se dirittamente
vogliamo la cagione della loro origine, & ufficio mostrare, di necessità
poche cose sono da premettere. Essendo adunque almeno due le specie di Ciclopi,
accioche di una non s'intenda l'istesto, che dell'altra si è esposto, sono da
essere distinte. La prima è quella che di sopra si è parlato di Polifemo, onde
assai cattiva appare. La seconda poi è d'huomini artificiosi, come si vedrà
nelle seguenti. Et perche tra loro discordano, anco si discordi la
interpretatione del nome gentile, che tra loro hanno commune è necessario.
Questi Ciclopi adunque, che sono huomini artificiosi, sono cosi chiamati da
Ciclops, che significa circolo, & Copis, che vuol dir occhio; il che
significa circondato di occhio, overo piu brevemente seguendo la sentenza dei
vocaboli circonspetto, overo aveduto. Il che bisogna, che sia l'huomo
artificioso. Percioche se cosi non è, non ponno a misura l'ultime parti essere
corrispondenti alle prime; & però i saggi artefici furono soliti prima che
mettessero mano ad alcun'opra considerare nella mente il principio, il mezzo e
'l fine, accioche potessero fare il fine al principio corrispondente. Et cosi
bisogna incominciare. Ma Papia dice le arti dai Greci essere chiamate Ciclidi,
imperoche la loro origine, si come il principio d'un cerchio, ci è nascosta;
dal qual vocabolo possiamo dire appropriatamente essere chiamati i Ciclopi, si
come dall'arte l'artefice. Lasciate queste, veggiamo perche siano detti
figliuoli di Nettuno. Onde istimo ciò essere detto perche dal mare, overo
dall'acque quasi tutti gli essempi delle arteficiate cose paiono essere presi,
& haver havuto origine. Vogliono, che dai pesci sia tolto l'ordine per
guidare le squadre in battaglia. Da quelli anco veggendo le loro squami, a qual
partito gli huomini, & i cavalli si cuoprino col ferro. Dalla spina del
pesce spogliato della carne s'è apparato a mettere insieme sul lito le navi
lunghe. Dalle testuggini s'è trovata la compositione della cettra. Oltre ciò,
nelle acque le contestioni dell'herbe, & le produttioni de fili sono nate,
& ci è stato mostrato l'intramettere i fili, & tessere le tele. Le
acque furono le prime, che ci mostrarono col sangue dei pesci far le tele in
diversi colori. Appresso ciò, il movimento dell'acque è stato il primo, che ci
ha dato la inventione della Musica, & dei suoi tempi. Ma, che starò io a
cercar tante cose? Innumerabili sono quelle cose le quali il mare produce, che
sono atte ad ammaestrare gli ingegni degli artefici, onde avienne, che
meritamente chiamiamo gli arteficiosi huomini figliuoli di Nettuno, &
Ciclopi. Dice Plinio, che da i Ciclopi, & Calibi fu ritrovato il ferro.
Perche poi siano detti figliuoli di Anfitrite, istimo dalla circondatione degli
strepiti, attento, che da ogni parte il rumore degli artefici fa strepito. Sono
attribuiti all'aiuto di Vulcano perche col foco le cose dure ad uso
dell'artefice sono intenerite, & le molli indurate; come meglio si mostrerà
dove si tratterà di Vulcano. Che poi appresso Lipari l'essercitio fabrile si
eserciti, è stato detto per dimostrare, che dagli artefici sono da eleggere i
luoghi convenevoli all'arti. Perche, che farà un fabro in una palude? che un
pescatore sopra un monte? che un agricoltore tra sassi? che un Medico in una
solitudine; niente veramente. Et perciò sull'isola di Lipari Virgilio descrisse
la fabraria, conciosia, che è luogo affocato, col quale i fabri fanno molli i
ferri. Ma ci resta rendere la ragione dei nomi. Bronte (come dice Alberigo) è
detto dal toneggiare, che si fa, sì per lo soffiar de' mantici come per li
martelli, che percuoteno sopra gli incudi; cosi Sterope viene chiamato dal
fulgore, che nasce dall'incendio. Pirammone poi ha pigliato nome dall'incude
caldo, percioche pur significa fuoco, & Agmon s'interpreta incude. Et però
questi nomi gli sono attribuiti attento, che circa l'arteficio dell'armi,
s'essercitano; onde simili cose non sarebbono attribuite ad uno ch'edificasse
una Nave, un Tempio, né un Palazzo. Ultimamente vogliono, che questi tali,
perche fecero la saetta con la quale Giove percosse Esculapio, che fossero
amazzati da Apollo. Il che io intendo, che Apollo essendo interpretato
esterminante, sia anco cacciatore dell'humore. La qual cosa fa anco il fuoco;
che continuando gli artefici dietro tale essercitio, presto vengono meno;
attento, che si per la continua fatica, come per lo continuo fuoco, anzi tempo
l'humore si disecca, & mancano.
Nausitoo Re di Feaci (come piace
ad Homero nell'Odissea) fu figliuolo di Nettuno, & di Perivia ninfa; del
quale, & della sua prole egli in questo modo parla;
Nausitoo figliuolo di Nettuno,
Et da Perivia ninfa partorito,
Che movendo la terra quel produsse;
Che fu figlia minor d'Eurimedonte.
Di costui non si ritrova altro,
eccetto, che generò Risinore, & Alcinoo.
Risinore fu figliuolo di Nausitoo
si come nell'Odissea in tal modo scrive, Homero.
Nausitoo generò di poi
Risinore, e Alcinoo ambo fratelli.
Questo Risinore secondo l'istesso
Homero tolse moglie, & di lei hebbe una sola figliuola chiamata Ariti, ma
percosso da Apollo se ne morì. Il che credo fosse da febre.
Ariti, si come nell'Odissea
scrive Homero, fu unica figliuola di Risinore; la quale fu tolta per moglie da
Alcinoo fratello di Risinore, & Re dei Feaci, & di lei hebbe una
figliuola chiamata Nausitea, & tre figliuoli. Da costei Ulisse per
consiglio di Pallade trasformata nella effigie di Calpe donzella, venendo da
Calisto ninfa rotto in mare pervenne; dove da lei essendo interrogato di molte
cose gliele espose, & finalmente da quella honoratamente fu raccolto.
Alcinoo Re de Feaci, secondo
Homero nell'Odissea, fu figliuolo del Re Nausitoo, & Virarithe. Da lui
essendo a mensa giunse Ulisse rotto in mare, & honoratamente fu ricevuto,
& offertale per sposa Nausitea. Et finalmente donatili gran doni, &
apparecchiatali una nave, che lo riportasse nella patria, gli furono appresso
conceduti molti compagni.
Nausitea fu figliuola d'Alcinoo,
& Arite, si come mostra Homero; la quale con alcune sue serventi uscita
della città, & essendo andata al fiume per lavar drappi, avenne, che vide
Ulisse rotto in mare star ignudo sopra il lito, & coprirsi con frondi
d'alberi; onde quello pregandola, che gli porgesse un poco da mangiare, &
da coprirsi, ella il tutto fece volentieri, & il pregò, che venisse seco
alla Città nel suo Palazzo, & al padre suo; il che egli fece, si come
Homero a pieno nell'Odissea dimostra.
Laodamante, Alioo, & Clitonio
furono figliuoli (secondo Homero) del Re Alcinoo, & di Ariste: de quali non
si ha altro eccetto generali lodi della loro famosa gioventù, & che insieme
col padre Alcinoo, & la madre loro honorarono molto Ulisse, & gli fecero
ampi doni.
Melione, & Attorione furono
figliuoli di Nettuno, si come nella Iliade scrive Homero, dove introduce il
vecchio Nestore, che dice a Patroclo egli essendo giovane haver havuto guerra
contra gli Arcadi, & haverne morto molti, & che se Nettuno in una nube
non havesse nascosto Melione, & Attorione suoi figliuoli, che medesimamente
insieme con gli altri gli havrebbe morti.
Aone, secondo Lattantio, fu
figliuolo di Nettuno, & affermano che da lui hebbe nome la Aonia, la quale
è una parte della Boemia. Theodontio anco afferma l'istesso, & dice, che
Aone per trattato dei suoi fu cacciato di Puglia, & venne con un navilio ad
Euboia, & indi passò in Boemia, dove signoreggiò a que' popoli rozzi, &
quelli insieme con i circonvicini popoli dal nome suo chiamò Aoni, onde perciò
fu tenuto figliuolo di Nettuno, come, che fosse figliuolo di un certo Onchesto,
richissimo huomo di Puglia, & di Parichia sua moglie.
Mesappo fu figliuolo di Nettuno,
si come dice Virgilio.
Di cavalli Mesappo domatore
Segue dopo i figliuoli di Nettuno,
Cui far
morir non può foco, né ferro.
Costui, si come testimonia
l'istesso Virgilio, venne in aiuto di Turno contra Enea, & condusse seco i
Fescennini, i giusti Falisci c'habitavano i monti di Sorrento, i Cimini che
habitavano le selve, e i laghi, & appresso i Capeni. Nondimeno Servio dice,
che costui per mare venne in Italia, & perciò fu detto figliuolo di
Nettuno. Fu anco detto, che ferro non gli poteva nuocere, perche in battaglia
non fu mai ferito. Dal fuoco poi fu securo perche fu figliuolo di Nettuno,
Iddio dell'acque. Da costui dicono, che Ennio Poeta dice scendere la sua
origine. Fu detto domatore de' cavalli, perche sono animali prodotti da
Nettuno.
Busiri fu figliuolo di Nettuno,
& di Libia figlia di Epafo, si come nel libro di Tempi dice Eusebio.
Questi, si come dice Agostino nel libro della Città d'Iddio, regnando Danao in
Argo ò Re ò Tiranno che piu tosto fosse, immolava i peregrini ch'ivi capitavano
ai suoi dei; il quale fu poi amazzato da Hercole, percioche essendo capitato
nel suo paese voleva far di lui come degli altri. Et l'istesso Servio afferma
le laudi di questo Busiri essere state scritte da Isocrate.
Il cavallo Pegaso, come dimostra
Servio, & Lattantio, fu figliuolo di Nettuno, & Medusa, conceputo nel
tempio di Pallade, come s'è detto di sopra. Ma Ovidio dice ch'egli nacque dal
sangue, che cade dal capo di Medusa, si come nel libro de Fastis si legge.
Si crede questi nato esser del
sangue
Ch'uscendo cadè dal pregnante capo
De la
morta Medusa da Perseo.
La qual opinione d'Ovidio è
seguita da Fulgentio, & Alberigo. Oltre ciò, dicono costui non solamente
essere stato velocissimo, ma uccello, si come l'istesso Ovidio dice;
Questi sopra le nubi, & sotto
ancora
Le stelle andando, invece hebbe di
terra
Il Cielo,
& per li piedi hebbe le piume.
Indi dicono ch'egli con un piede
cavò il fonte Castalio alle Muse, si come l'istesso Ovidio riferisce;
Giunt'è la fama a noi del nuovo
fonte;
Mentre il cavallo di Medusa ruppe
Con
l'ugna de l'un piede il dur terreno.
Et poco da poi segue;
Nondimeno la fama è pura, &
chiara,
Che di tal fonte origin fu Pegaso,
Et Pallade condusse alle sacre acque.
Oltre ciò, dicono ch'egli portò
Bellorofonte, che andava contra la Chimera monstro. Cosi anco Perseo, quando
andò alle Gorgoni. Anselmo poi dove parla dell'imagine del mondo aggiunse a
questo Cavallo alcune cose, le quali non ho trovato esser dette da nessun
altro. Dice ch'egli ha le corna, l'anhelito affogato, & i piedi di ferro,
accioche sia tutto simile ad un monstro. Oltre ciò, il locarono tra le stelle
(testimonio Ovidio);
Sdegnoso già i nuovi freni havea
In bocca tolto; quando l'ugna lieve
Fece, stendendo il pié, l'Aonie
acque;
Hor gode in Cielo quel, che pria
con piume
L'aere trattava; & hor lucer si
vede
Tra cinque, & diece
risplendenti stelle.
Hora sopra queste cose parmi
essere da ricercare quello, che gli antichi habbiano voluto comprendere. Io
tengo, che questo Cavallo sia la fama delle cose oprate, la cui velocità per lo
corso, & volo di questo cavallo si disegna. Il quale viene chiamato figliuolo
di Nettuno, & Gorgone perche nasce dai fatti di terra, & di mare. Che
fosse poi conceputo nel Tempio di Pallade, istimo ciò essere stato finto
percioche dirittamente la fama nasca dalle operationi essequite discretamente,
& con consiglio. Delle cose, che succedono a caso, di ragione nessuno non
merita fama; delle fatte con temerità, piu tosto si gli conviene infamia. Che i
piedi di questo cavallo siano di ferro, ho per fermo ciò essere stato detto
perche nel gire d'intorno mai si stancano le forze della fortuna. Le corna vi
si aggiungono per comprendere la sublimità dei famosi, cosi l'anhelito di
fuoco; accioche si conosca il fervente disio di manifestare. Assai chiaramente
si dichiara ch'egli fece il fonte Castalio, perche per disio di fama, & gloria
temporale da molti è posto ogni affettione; onde ogni volta, che si consegue il
suo intento, tante fiate anco il fonte Castalio, cioè l'abondante materia di
parlare nasce, la quale, perche è propria dei poeti, perciò questo fonte viene
detto essere consecrato alle Muse. Che poi egli portasse ad essequire imprese
Bellorofonte, & Perseo, ciò puote essere stato detto percioche per disio di
gloria furono condotti a quello, che oprarono. Overo, come alcuni vogliono,
v'andarono sopra una nave la cui insegna era un Cavallo alato. Alberigo scrive
di questo Cavallo una peregrina openione tolta dal fonte di Fulgentio. Dice,
che è chiamato Pegaso da Pege , dittione greca che volgarmente suona fonte,
& quello essere di tutti i fonti nome comune. Et di qui vuole il fiume cioè
Pege essere il cavallo di Nettuno, cioè generato da Nettuno, nascendo dal mare
tutti i fiumi; & per l'ale disegna le velocitadi de Fiumi, & da Pege
vuole che siano detti Pagi, i quali gli antichi furono sempre avezzi ponere
appresso i fiumi, & indi Pagani quasi di uno Pege , cioè fonte beventi.
Cosi il fonte il quale dicano con un piede essere stato fatto da Pegaso,
vedremo essere proceduto da Nettuno. Ma quello, che di tal fonte, &
d'intorno questo Cavallo tenga Fulgentio, che ampiamente ne ha scritto, parmi
brevemente dichiarare. Dice adunque il caval Pegaso essere nato del sangue di
Medusa percioche è posto in figura della terra, attentoche scacciando la virtù
il terrore, si genera la fama; onde poi viene figurato con l'ale perche la fama
è uccello. Che poi con una ugna apprisse il fonte alle Muse, questo si finge
perche seguono le Muse ò dar vena in scrivere la fama degli Heroi, & i
fatti degli antichi et moderni. Oltre ciò, l'istesso Fulgentio dice Pegaso
essere interpretato eterno fonte, il che istimo esser detto perche la fama dei
famosi huomini non manca mai.
Nitteo secondo Lattantio fu
figliuolo di Nettuno, & (come vuole Theodontio) di Celleno figliuola
d'Atlante. Dice Lattantio, che costui fu Re d'Ethiopia, & hebbe due
figliuole, cioè Anthiopia, & Nittimene; onde alcuni vogliono, che
lussuriosamente Nittimene s'inamorasse di lui, & che per inganno d'una
nutrice di lei giacesse seco, ma, che avedendosi del commesso errore volse
amazzarla, di che ella se ne fuggì. Altri poi dicono il contrario, cioè ch'egli
s'inamorò della figliuola, & che volendola sforzare ella però se ne fuggì.
Che costui fosse figliuolo di Nettuno egli è cosa possibile, ritrovandosi, che
egli fu quasi al medesimo tempo, che fu Nettuno huomo. Se poi non è per questa
ragione, si dirà, che sia per quella che s'è detto de gli altri.
Dice Lattantio, che Anthiopa fu
figliuola del Re Nitteo. Alla quale Theodontio aggiunge per madre Amalthea
ninfa Cretese, & dice, che Nitteo la diede per moglie a Lice Re di Thebe
d'Egitto. Lattantio poi vuole ch'ella per forza fosse vitiata da Epafo
figliuolo di Giove; altri da Giove. Il che intendendo Liceo la ripudiò, &
tolse per sposa Dirce, la quale impetrò da lui, che ella fosse impregionata. Ma
venuto il termine del parto, per misericordia de i Dei rotti i legami, fuggì in
Citherone, dove partorì Anfione, & Zeto, & gli espose alla morte, di
che ne avenne quello, che di sopra s'è detto parlando d'Anfione.
Nittimene fu figliuola di Nitteo,
& d'Amalthea. Costei, o, che amasse il padre ò pure, che il padre di lei
s'inamorasse, fuggendo da lui per compassione di Minerva fu cangiata in uccello
del nome suo, & tolta in sua protettione. Del qual figmento la ragione può
essere tale. Che Nittimene usò consiglio di prudente, percioche ò per vergogna
del suo fallo ò del padre, mai piu dopo tal fatto non si lasciò vedere, &
indi fu detta Nottola. Che poi venisse in protettione di Minerva, dove di lei
s'è trattato se ne ha detto.
Secondo Theodontio, & Paolo,
Hirceo fu figliuolo di Nettuno, & Alcinoe figliuola d'Atlante; del quale
altro non mi ricordo haver letto.
Pelia fu figliuolo di Nettuno,
& di Tiro, ninfa, & figliuola di Salmoneo Re di Salamina, si come
nell'Odissea assai ampiamente scrive Homero. Dice, che costei era solita molto
spesso per suo diporto andar lungo le rive del fiume Enifeo. La onde Nettuno
cangiatosi nel Fiume Enifeo pigliò la donzella, & usò seco di che per tale
congiungimento partorì Pelia, & Neleo; poscia Tiro si maritò in Erubio.
Regnando Pelia appresso Thessaglia (secondo Lattantio), dall'Oracolo gli fu
risposto, che all'hora la sua morte sarebbe vicina, quando a lui sacrificando
al padre Nettuno sopragiungesse alcuno con i piedi scalzi; onde avenne ch'egli
facendo i soliti sacrifici annuali al padre, a caso vi sopravenne Giasone suo
nepote con un piede ignudo, percioche per fretta correndo al sacrificio nel
fango del fiume gli era rimasta una scarpa. Il che veggendo Pelia, &
ricordandosi dell'Oracolo, non tanto di se quanto dei figliuoli temendo per la
singolare prodezza di Giasone, subito a quello persuase sotto coperta di
gloriosa fama la impresa di Colcho, istimando (si come si diceva) essere troppo
difficile, & periglioso potere acquistare il velo d'oro, di che
leggiermente potrebbe morire. Il quale havendo oltre la speranza di Pelia
essequita la impresa, tornando col velo d'oro, & con Medea sua moglie,
avenne, che per opra di Medea dalle proprie figliuole Pelia fu morto, restando
dopo lui il figliuolo Acasto. D'intorno questa fittione Leontio diceva, che Pelia
fu figliuolo di Nettuno huomo, & ch'egli si congiunse con Tiro sotto spetie
d'un giovane da lei amato lungo il fiume Enifeo; cosi dalla simiglianza
ingannata fu impregnata, & n'hebbe due figliuole.
Che il Re Pelia havesse figliuole,
tra gli altri egli si vede apertamente in Ovidio; ma quali fossero i suoi nomi,
non ritrovo, che nessuno l'habbia scritto. Queste, si come è general costume de
figliuoli, havendo compassione della vecchiaia del padre Pelia sempre gli
stavano intorno. Onde (dicono), Medea sotto spetie di pietà haver indotto
quelle a commettere grandissima scelerità contra lui. Percioche veggendo ella
(secondo l'openione di Leontio), che la vita di Pelia ostava all'imperio di
Giasone, fingendo essere venuta in discordia con Giasone se n'andò a ritrovar
quelle, dolendosi molto dell'iniquità del marito. Di, che per danno suo disse
di voler con herbe ringiovenire Pelia si come poco innanzi havea fatto Esone,
& cosi alle credule figliuole di Pelia persuase, che con un coltello
tagliassero tutte le vene del tremante corpo del padre accioche tutto quel
sangue vecchio, & freddo se ne uscisse; & ella poi nelle vene ve ne
porrebbe di novo, & gagliardo. il che elle facendo Pelia se ne morì, &
Medea ritornò da Giasone. Dice Theodontio, che tra Pelia, & le figliuole
Medea seminò discordia, & che perciò le figliuole amazzarono il padre.
Acasto (testimonio Seneca nella
Tragedia di Medea) fu figliuolo di Pelia, dove cosi parla;
Incolpa te Acasto, ch'ottenendo
Il regno di Thessaglia, il padre
vecchio
Debile, & per l'età d'anni
aggravato
Gli facesti amazzare; & si
lamenta,
Che le sorelle pie contra del padre
Incitasti ad oprar l'indegno fatto.
Et quello, che segue. Et
queste sono parole di Creonte verso Medea.
Fu Neleo figliuolo di Nettuno,
& di Tiro, si come nel capitolo di Pelia s'è mostrato. Il quale (secondo
Homero) essendo cacciato di Thessaglia dal fratello Pelia edificò Pilon, &
ivi honorando i Dei habitò di costui fu moglie Clori figliuola d'Anfione Re
d'Orcomeno, di cui si come dice l'istesso Homero hebbe Nestore, Periclimenone,
Cromio, & Piro femina, & anco hebbe de gli figliuoli fino al numero di
dodici, de' quali non si sanno i nomi.
Clori, & Neleo generorono
Nestore il quale hebbe dodici fratelli, si come testimonia Ovidio dicendo;
Due volte sei di Neleo fummo figli
Tutti giovani belli, &
valorosi.
Costui visse molto, si come
egli medesimo nel tempo della guerra Troiana confessa appresso Ovidio, dicendo.
Son stato spettator d'opere molte,
Et vissi anni dugento, & hor mi
trovo
Esser
entrato nella terza etate.
Oltre ciò fu bellicoso, percioche
tra l'altre sue prodezze, vivendo anco il padre, & essendo egli giovanetto,
fece guerra contra gli Epii, & nella guerra ne estinse molti, si come
Homero nella Iliade dimostra. Poscia, con Theseo nelle nozze di Pirithoo fu
contra i Centauri. Et per tacere l'avanzo, insieme con Greci vecchio venne alla
guerra di Troia, & spesse volte combattete contra Troiani.
Oltre ciò, fu tanto facondo, che
spesse volte mitigò l'ire dei Prencipi, & ridusse in concordia i discordi.
Di costui secondo Homero fu moglie Euridice figliuola di Climenio, di cui hebbe
sette figliuoli, & una figliuola. Quale poi fosse il suo fine, non mi
ricordo haver letto.
Antiloco fu figliuolo di Nestore,
& Euridice, si come Homero nell'Odissea dimostra; il quale induce
Pisistrato figliuolo di Nestore, che in casa di Menelao appresso Lacedemonia
piange la sua morte. Percioche havendo seguito il padre alla guerra Troiana,
ivi valorosamente combattendo da Mennone figliuolo dell'Aurora fu morto.
Pisistrato fu figliuolo di
Nestore, & Euridice. Costui da Nestore fu dato per compagno a Thelemaco
figlio d'Ulisse, ch'andava in Lacedemonia per intender da Menelao qualche cosa
d'Ulisse.
Trasimede di Nestore, &
Euridice fu figlio, & dal padre (secondo Homero) fu menato alla guerra
Troiana.
Questi tali furono figliuoli di
Nestore, & Euridice, i quali ho posto tutti insieme perche di loro non ho
trovato cosa particulare.
Policaste fu figliuola di
Nestore, & Euridice, & secondo Homero fu la piu giovane dell'altre;
onde viene a dinotarsi ch'egli ne havesse dell'altre, de' quali non so né i
nomi né altro.
Periclimeneone fu figliuolo di
Neleo, & Clori, si come dice Ovidio, affermando, che da Nettuno suo avo gli
fu conceduto potersi transformare in quali sembianze egli volesse. Onde avenne,
che per vendetta degli Epiroi combattendo Hercole stranamente contra i Messani,
i Pilii, & gli Elipii, egli mutatosi in uccello contra Hercole con i piedi,
& l'ugne acute gli dava molta noia, di, che con una saetta nell'aere da
Hercole fu morto. Costui, che si cangiava in ogni forma, non intendo essere
altro, che l'agilità de' suoi membri, per la cui come cervo si moveva, &
correva come uccello. Onde può essere, che correndo da Hercole fosse morto.
Cromio fu figliuolo di Neleo,
& Clori, come anco afferma Homero. Costui insieme con dieci suoi fratelli
da Hercole fu morto in quella guerra ch'egli hebbe contra i Pilij, &
Messani, si come anco il tutto Ovidio nel suo maggior volume dimostra.
Piro fu figliuola di Neleo, et
Clori, si come nell'Odissea scrive Homero. Costei fu tanto bella, che quasi
tutti i nobili della Grecia la desiderarono per moglie, & la dimandarono al
padre Neleo; il quale a nessuno non la volse dare se non gli prometteva prima
torre i buoi che gli riteneva Ificlo zio della madre di Neleo, né gli li voleva
rendere. Onde alcuno non havendo ardire mantenerli questo, Melampo a quel tempo
famoso indovino mostrò la via a Biante suo fratello, per lo mezzo della quale
alquanto da poi potrebbe torre i buoi di Neleo, che gli erano tenuti da Ificlo.
Di, che gli persuase, che facesse la promessa a Neleo, per haver si bella
donzella per sposa. Biante adunque dando fede al fratello promise a Neleo la
richiesta; per la qual cosa ingegnandosi di ricuperare i Buoi, da Ificlo fu preso,
& posto in prigione. Poscia indi ad uno tempo lasciato menò i buoi a Neleo,
& hebbe Piro per moglie. Tutte queste cose quasi si contengono nel testo
d'Homero, alle quali aggiunge Leontio che, essendo stato Biante un anno in
prigione, sentì le travi della casa haver fatto vermi, da noi chiamati tarli,
onde comprese per le guaste travi dover seguire la ruina; la quale havendo
annuntiata ad Ificlo, meritò la libertà. Finalmente Ificlo non potendo generare
figliuoli dimandò a Biante quello, che potesse fare per haverne, al quale
persuase, che portasse del veneno di serpente; il che fatto, la moglie
s'impregnò, & a tempo partorì un figliuolo. Per lo qual beneficio da Ificlo
gli furono restituiti i buoi di Neleo, & egli hebbe Piro, che a lui partorì
Antifati, & Mantione.
Cigno fu figliuolo di Nettuno, si
come afferma Ovidio dicendo.
Già Cigno prole di Nettuno havea
A la morte donato huomini mille.
Questi, come dice l'istesso,
havea havuto in dono dal padre, che ferro no'l poteva ferire; per la cui
commodità divenuto ardito, & dando aiuto a' Troiani amazzò molti Greci, et
contra Achille venne a battaglia. Il quale, veggendo ch'egli si gloriava, che ferro
non li poteva nuocere, pigliando un gran sasso il trasse contra quello, già
lasso, & per molti colpi attonito. Onde Cigno dal gran colpo percosso cadè,
& Achille subito gli fu adosso, con un ginocchio calcandoli il petto, &
con le mani stringendoli la gola, di maniera, che constrinse lo spirito
affogarlo; ma incontanente dal padre fu mutato in uccello di suo nome, &
l'armi sole restarono ad Achille. La spositione di questi figmenti può esser
tale. Cigno forse fu detto figliuolo di Nettuno per la candidezza del corpo,
& agilità dei membri, attento, che quelli, che di complessione sono humidi,
la qual'humidità procede da Nettuno padre di quella, sono di colore candidi,
& come una piuma molli, & delicati. Alla quale humidità, se con debita
proportione è congiunto il calore, questi tali sono dotati d'ottima agilità di
membra. Onde aviene che, ammaestrati in schifare i colpi, si come alcuni ne
habbiamo visti, con armi non possano essere feriti; di, che se alcuno vuol
vincere questi tali, è di necessità, che gli vinca a stracchezza. Che divenisse
poi uccello di suo nome, ciò si deve intendere che, morto lui, appresso mortali
non vi restò altro, che il volatile nome.
Grissaore, si come nel libro
degli originali afferma Rabano, fu figliuolo di Nettuno, né altro di lui si
legge.
Otho, & Efialte (secondo
Servio) furono figliuoli di Nettuno et Ifimedia moglie d'Aloo Titano, che fu
ingravidata da Nettuno, si come nell'Odissea Homero dimostra. Questa Ifimedia
Paolo la chiama Elettrione, ma Theodontio Efimeida. Questi adunque, perche
nacquero della moglie d'Aloo, per le piu sono chiamati Aloidi, si come anco
spesse volte Hercole Amfitrionide. Questi tali ogni mese parevano crescere nove
dita. La onde in picciolo spatio di tempo furono finti d'una estrema grandezza
di corpo. Dice Homero, che questi hebbero cosi grande accrescimento perche
erano nudriti dalla terra, & che non vissero piu, che nove anni; di, che
disegnando la sua statura, dice, che la loro grossezza era di nove braccia,
& la lunghezza di nove passi. Oltre ciò dice, che hebbero guerra contra
Marte, & che il presero, & incatenarono, dove fu ritenuto prigione
tredici mesi; &, che se Giunone non havesse pregato Mercurio, che il
liberasse, sarebbe morto in prigione. Il qual Mercurio segretamente il rubò,
& cosi fu liberato. Il che Claudiano tocca dove parla delle Laudi di
Stilicone, cosi dicendo;
Quando, che i due fratelli, che
figliuoli
Furo de l'aspro Aloo, presero Marte
Mettendolo
in prigion legato, & stretto.
Oltre ciò, questi furono mandati
in Gigomantia da Aloo, non potendo egli per la vecchiaia andarvi; i quali ivi,
si come piace ad alcuni, con gli altri fulminati da Giove morirono, & ad
Efiale fu posto sopra il monte Etna, & ad Otho un certo monte Cretese.
Altri dicono poi, tra quali è Homero, ch'eglino per la grandezza del corpo
hebbero ardire porre i monti sopra i monti, & voler andare in Cielo; ma si
come nell'Odissea dice Homero, da Apollo con le saette furono morti. I quali
secondo Virgilio sono confinati nell'Inferno, dove dice,
Qui dei figli d'Aloo gli immensi
corpi
Simili a l'impietà nel loro ardire
Vidi, che con le mani oltraggio al
Cielo
Far pensaro, e spogliar Giove del
regno.
Hora ci resta aprire il senso di
queste cose. Barlaam diceva questi essere stati due fratelli molto potenti,
& figliuoli d'Aloo, ma chiamati poi di Nettuno perche oltre ogni misura di
corpi humani erano cresciuti; il che vogliono appartenersi a Nettuno in
generare corpi cosi smisurati. Che poi vivessero solamente nove anni, & che
fossero nodriti dalla terra, è perche di quei luoghi, che possedevano cavavano
grandissime rendite, & per nove anni hebbero guerra contra Giove, che
secondo l'historie habitava sul monte Olimpo; dove in quella guerra amendue de
pestilentiosa infermità assaliti morirono, & di quì fu detto, che da Apollo
con le saette fu morto. Altri dicono poi, che questi tali insieme con Saturno
vennero contra Giove, & edificarono alcune fortezze, ma, che ultimamente
dalle forze di Giove restarano abbattuti, & morti, in quel conflitto, che
si fece in Flegra. Del preso Marte non ho trovato altro. Tuttavia tengo potersi
esporre in questo modo, Marte essere stato qualche huomo famoso in guerra,
& molto forte di costoro inimico; il quale se bene fu molto potente,
nondimeno come spesso aviene, che i maggiori vengono nelle mani de minori, da
loro fu preso, & imprigionato. Onde alla sua liberatione non si trovando
via, Mercurio, cioè la frode, il quale è Dio di ladri, pregato da Giunone, cioè
corrotto con danari, overo corrompendo guardiani, liberò quello.
Egeo Re d'Athene fu figliuolo di
Nettuno, & Dio Marino, si come Theodontio afferma. Dice Paolo, che costui
hebbe due mogli, la prima delle quali fu detta Etra, figliuola di Pitteo Re di
Throezen, della quale hebbe Theseo. La seconda fu (secondo Ovidio) Medea
fuggitiva, la quale essendo ripudiata da Giasone, & da lui fuggendo, non
solamente da quello fu alloggiata, ma tolta per sposa; onde di lei (come piace
a Giustino) hebbe un figliuolo chiamato Medo. Successe nel Reame del Re
Pandione, che (secondo Theodontio, il quale dice ciò esser vero) di lui fu
padre; di, che regnando lui occorsero molte disgratie agli Atheniesi, percioche
tra l'altre sopportarono lungamente la guerra di Minos Re de' Cretesi, da lui
mossa per vendetta del suo figliuolo Androgeo indegnamente da loro ammazzato. Finalmente
essendo vinti patteggiarono con Minos in tal modo, cioè, che ogni anno si
obligavano mandar sette giovani di piu nobili Atheniesi in Creta al Minotauro;
i quali per sorte tre anni gli furono mandati. Ma il terzo essendo tra gli
altri toccato a Theseo, egli, con grandissimo dolore del padre Egeo, per
andarsene montò sopra una nave. Onde essendo tutti gli altri ornamenti del
navilio, & remi, & corde, & antenne, & vele, & ogni altro
guarnimento nero, hebbe in commandamento dal padre che, se per caso occorresse
ch'egli havesse felice essito, che ritornando dovesse mutare tutte le insegne
nere in bianche, accioche di lontano potesse conoscere quale fosse lo stato
suo. Theseo poi per consiglio d'Arianna restato vittorioso, scordandosi dei
mandati del padre se ne tornava adietro senza haver mosso le vele; di, che il
padre Egeo da un'alta torre riguardando, & veggendo le insegne nere, dubitò
non il figliuolo fosse morto, & per dolore si gittò in mare. Onde essendo
morto, dagli Atheniesi liberati per consolatione di Theseo fu chiamato
figliuolo di Nettuno, & Dio marino, & a lui consacrati altari.
Theseo inclito Re d'Athene fu
figliuolo d'Egeo, & di Ethra. Questi fu giovane di eccelso, & generoso
animo, & oprò molte cose degne di memoria; di maniera, che tra i molti
Hercoli è uno de i nominati. Costui prima con Hercole mandato da Aristeo contra
le Amazone andò seco in compagnia, & si come dice Giustino havendone
amazzate, & prese molte, tra l'altre pigliarono Menalippe, & Hippolita,
sorelle d'Antiope regina. Ma Hercole per le armi della reina restituì Menalippe
alla sorella. Theseo poi tolse per moglie Hippolita, che in sorte partendo la
preda gli era toccata, della cui hebbe Hippolito. Oltre ciò (come riferisce
Statio) con gran virtù raffrenò il superbo imperio di Creonte, che vietava non
si poter fare l'essequie funerali a i Re morti in guerra. Cosi amazzò appresso
Maratone il toro mandato da Euristeo nel paese Atheniese per rovinare il tutto.
Indi fece l'istesso di Scirone assassino, il quale stando sopra un scoglio
constringeva tutti quelli ch'ivi capitavano lavargli i piedi overo adorarlo,
& poi la notte gli gittava in mare. Appresso questo vinse, & amazzò
Procuste, ch'era un altro ladrone, che habitava vicino al fiume Cefiso, &
amazzava quanti passavano d'ivi. Oltre ciò rapì Helena, sorella di Castore e
Polluce, la quale donzella d'estrema bellezza giuocava nella palestra. Amazzò
il Minotauro. Liberò Athene dalla vergognosa servitù. Menò via dal padre Minos
Arianna, & Fedra. Indi lasciata Arianna tolse per moglie Fedra, della cui
hebbe alcuni figliuoli. Poscia fece ritornare nella patria molti Atheniesi, che
per diverse cagioni qua, & là andavano errando, & quelli sparsi, &
agresti ridusse in forma di cittadini. Et si come piace a Plinio nel libro
dell'historia naturale, fu il primo, che trovasse gli accordi. Contra i
Centauri nelle nozze di Piritoo suo amico si diportò valorosamente, & gli
vinse. Indi fu suo compagno nell'andare all'Inferno per rapir Proserpina, ma
men felicemente questo li successe, percioche Piritoo da Tricerbero cane
dell'Orco fu divorato, & egli restò in pericolo di morte prigione, se a
caso non fosse sovragiunto Hercole, che il liberò dal pericolo, & il condusse
di sopra. Dove ritornando ad Athene trovò la mogliera piena di querele, che li
accusò falsamente il figliuolo Hippolito d'haverla voluta sforzare, il quale da
lui perseguitato fu tra vepri, & spini stracciato; il che oscurò in gran
parte il suo splendore. Finalmente già vecchio, & da suoi Cittadini dalla
patria scacciato, appresso l'Isola minore di Schiro finì l'ultimo giorno, dopo
l'haver dicinove anni signoreggiato in Athene. Le lodi di costui con alti versi
dichiara Ovidio, dove dice.
Cantano le tue lodi, ò Theseo
eccelso.
Et quello, che segue per undici
versi continui.
Hippolito fu figliuolo di
Theseo, & Hippolita Amazona. Costui, facendo vita casta, & tutto datosi
alle caccie, con fermo proposito di sprezzare tutte le donne, dalla madrigna
Fedra non v'essendo Theseo fu molto amato; alla quale non havendo voluto
compiacere, ritornando Theseo da lei fu accusato di stupro. Il quale divenuto
furioso volse amazzare il figliuolo, ma Hippolito temendo l'ira del padre montò
sopra la carretta, & si diede a fuggire. Onde avenne che per caso passando
vicino al lito del mare i Buoi marini ch'erano venuti sul lito, udito lo
strepito delle ruote del carro, con furia si mossero per ritornar nel mare; di
che i cavalli d'Hippolito messi in fuga, & smarriti cominciarono uscire del
camino, & per scogli, bronchi, & spini strascinare la carretta, non
giovando il poter d'Hippolito con mani a reggere i freni. La onde come quasi
morto dai circonvicini fu raccolto; benche tutti i Poeti, & spetialmente
Seneca Tragico nella Tragedia d'Hippolito, dicano, che fu stracciato, &
morto, il quale finalmente, per opra, & aiuto d'Esculapio, quasi da morte
fu non senza grandissima fatica ritornato in vita, & nel primiero stato.
Dal qual successo pare, che sia dato luogo alla favola nella quale si legge
Theseo haver havuto in dono dal padre di poter tre volte havere ciò, che
disiasse; onde perche hora disiò che il figliuolo fosse morto, dal padre i buoi
marini furono mandati sul lito. Ma Hippolito per non provar la terza fiata
l'ira del padre, la quale prima havea morto la madre Hippolita, hora
intendendo, che cercava punirlo del non suo fallo, lasciò la terra Atheniese,
& venne in Italia, non lontano dal luogo dove poi fu edificata Roma; &
ivi mutatosi il nome comandò, che fusse chiamato Virbio, perche due volte fu
huomo: l'una inanzi il suo caso, l'altra poscia, che per beneficio d'Esculapio
li pareva essere stato in vita tornato. Ivi dice Theodontio ch'egli edificò un
Castello, & dal nome della pigliata moglie il chiamò Ariccia. Oltre ciò,
Theodontio dice essere falso, che Hippolito menasse vita celibe, anzi, che con
segreto amore amò Ariccia, nobile donna del paese d'Athene; la quale perche era
cacciatrice chiamata Diana, onde diceva, che serviva a Diana; onde per opra di
questa Ariccia avenne, che fu sanato da Eusculapio, istimando Theseo ch'egli
fosse morto.
Virbio fu figliuolo d'Hippolito,
& d'Ariccia, il quale fu partendo dopo la fuga del padre da Athene. Costui,
cresciuto in età, fu mandato dal padre in aiuto di Turno contra Enea, che doppo
la ruina di Troia venne in Italia, si come esso Virgilio descrive dicendo.
D'Hippolito segua la bella prole
Virbio; di cui la madre Ariccia ha
cura.
Et quello, che segue. Di lui non
habbiamo altro.
Demofonte (secondo Theodontio)
fu figliuolo di Theseo, & Fedra. Costui con gli altri Greci venne alla
guerra di Troia. Rovinata poi Troia, ritornando verso la patria per fortuna di
mare fu portato in Thracia, dove da Filli figliuola del Re Ligurgo fu raccolto,
& nel proprio letto alloggiato. Dove essendo alquanto seco dimorato,
intendendo, che Mnesteo Re d'Athene da fortuna, & travagli del mare
conturbato era arrivato all'Isola Melos, et ivi morto, tratto dal disio di
regnare impetrò per qualche giorno licenza da Fili. Cosi racconciate le navi
ritornò ad Athene, dove doppo il ventesimoterzo anno del paterno essiglio (come
dice Giustino) ripigliò il Re il Reame d'Athene, né piu si curò ritornare da
Filli. Di, che essendo regnato ventitre anni, morì. A cui successe Osinte; il
quale dubito se fosse suo figliuolo, ò no.
Secondo Theodontio Antigono fu
figliuolo di Theseo, & Fedra, et come dice Barlaam maggior d'anni di
Demofonte. Onde, doppo lo scacciato padre dagli Atheniesi, quasi anco senza
barba da quelli fu assunto al Reame, & fatto Re fu detto Mnesteo. Di, che
andando a Troia, & non si fidando molto dell'ingegno di Demofonte, seco
menò quello. Costui ritornando adietro, & combattuto molto dal travaglio
del mare, morì nell'Isola Melos.
Medo secondo Giustino fu
figliuolo d'Egeo Re d'Athene, & di Medea; la quale, come dice l'istesso
Giustino, veggendo il filiastro essere allevato da Egeo, facendo da lui
divortio con il figliuolo Medo se n'andò in Colcho. Ma Ovidio dice ch'ella
fuggì per l'apparecchiato veneno a Theseo. Oltre ciò, alcuni vogliono ch'ella
ritornasse nella gratia di Giasone, & questo Medo essere poi andato in
Asia, & haver soggiogato molti paesi, ma haver posseduto quella parte da
noi chiamata Media; la quale da lui, ò dal suo, ò dal nome della madre cosi fu
chiamata.
Onchesto (secondo Lattantio) fu
figliuolo di Nettuno, il quale, come dice Servio, & Lattantio, edificò
Oncheste città vicina al promontorio Micalesso, & da sé la chiamò con tal
nome; ma di lui non ho letto altro eccetto, che generò un figliuolo nomato
Megareo.
Megareo fu figliuolo d'Onchesto,
si come chiaramente testimonia Ovidio dove introduce Hippomene, che cosi parla;
Di me fu padre Megareo; di lui
Onchesto genitor; avo Nettuno.
Adunque (se ben miri) pronepote
Ad essere vengh'io del Re de
l'acque.
A bastanza s'è mostrato Hippomene
essere stato figliuolo di Megareo. Di costui Ovidio recita favola tale. Era
nella città di Sciro Atalanta figliuola d'Oeneo, overo di Iasio, donzella di
maravigliosa bellezza, & velocissimo corso; la quale per lo piu per
commandamento dei dei habitava nelle selve. Costei da molti essendo dimandata
per moglie fece un patto tale, che chi la voleva giuocasse seco a correre,
& se fossero da lei vinti havessero a morire; ma se alcuno lei vincesse,
ella di lui fosse sposa. il che essendo tentato da molti piu tosto arditi, che
aventurosi, invece di haverla per sposa vi haveano lasciato la vita. Onde
Hippomene, che anco non l'havea veduta, si rideva della sciocchezza di questi
tali. Finalmente avenne ch'egli un giorno a caso la vedesse. Di che
maravigliandosi della vermiglia faccia, degli occhi lucenti, della bocca di
corallo, della chioma d'oro, del petto rilevato, del corpo disposto, & dei
piacevoli gesti, subito si sentì ardere per lei. Per la qual cosa colui, che
poco dianzi s'havea fatto beffe degli altri, non dubitò punto il dimandarla per
sposa, & mettersi a pericolo della severa legge. Hippomene adunque si
rivolse a Venere impetrando da lei aiuto; la quale a lui diede tre pomi d'oro
tolti dal giardino delle Hesperide, & gli insegnò come havea da adoprarli.
Onde essendo entrati nel corso, & andandoli innanzi la donzella, egli
ammaestrato subito pigliò l'uno de' tre pomi, & il trasse per terra; di,
che la fanciulla invaghita dal lucente splendore si chinò a prenderlo. Indi con
la velocità sua di nuovo non pure aggiungendolo, ma trappassandolo, Hippomene
medesimamente gittò il secondo, per la cui vaghezza troppo piu splendente della
prima la giovane mossa si diede a volerlo raccorre; onde lo innamorato
accelerando i passi pigliò un poco de avantagio, ma tosto da quella gli fu
tolto. Di che veggendo egli hoggimai essere vicino il segno dove haveano ad
arrivare, gittò il terzo del quale la vergine, piu ingorda, che degli altri due
primi, con animo di tosto trappassarlo si chinò a prenderlo, ma egli intanto
con velocità aggiunse alla disiata meta; la onde la donzella restata vinta
divenne sua moglie. Con la quale ritornando lieto verso la patria, &
essendo impatiente dell'amore, posta da canto la rimembranza del ricevuto dono
da Venere nel bosco di Cibele condusse quella, & ivi seco si congiunse. Di
che, ò per sdegno di Venere ò della madre dei Dei, avenne che gli infelici
amanti si cangiarono in Leoni, & furono aggiunti al carro di Cibele. Sotto
la cui fittione può nascondersi senso tale. Primieramente, se nelle donne è
alcuna ostinata durezza, quella si può con l'oro, & con doni rompere,
attento, che naturalmente tutte sono avare, & ingorde dell'oro. Sono poi
detti amendue essersi conversi in Leoni perche nel bosco di Cibele si
congiunsero insieme, cioè abondarono in delitie humane; onde perciò s'inalzarono,
& cosi furono cangiati in Leoni, essendo i Leoni superbi animali, & poi
all'incontro furono aggiunti al carro di Cibele, cioè in processo di tempo
ammaestrati dalla natura delle cose; perche tutti siamo inchinati alle terrene
leggi, conciosia, che terrenamente viviamo; onde benche diventiamo superbi,
& altieri, alla fine siamo ridotti in terra.
Pelasgo, secondo Theodontio, fu
figliuolo di Nettuno, ma Isidoro dove tratta delle Ethimologie dice ch'egli fu
figliuolo di Giove, & Larissa. Nondimeno, perche si vede, che Theodontio è
stato molto sottile ricercatore di simili cose, ho giudicato essere da credere
a lui. Questi adunque regnò in quella parte della Grecia, che poi da Arcade
figliuolo di Calisto fu detta Arcadia, & secondo Theodontio dal nome suo fu
chiamata Pelasgia, & nell'Asia esservi i Pelasgi; i quali contra Greci
favorirono i Troiani, si come nella Iliade mostra Homero. Ma questi Pelasgi
hebbero il nome da Pelasga, donna greca, la quale dicono con molta gente in
Asia esser passata, & haver edificato una città chiamandola dal nome suo
Pelasgia; & indi essere stati chiamati Pelasgi quelli, che sono appresso
Licia. Altri poi tengono il contrario, cioè Pelasgo essere stato un Re in Asia,
& da lui essersi dimandati i Pelasgi; & indi quella donna Pelasga, dove
poscia furono i Pelasgi, d'Asia in Grecia essere poi passata, dove occupato il
paese impose il nome ai Pelasgi.
Nauplio fu figliuolo di Nettuno,
& Ammimone figliuola del Re Danao, si come testimonia Lattantio; il quale
della di lui origine recita favola tale. Mentre Ammimone figliuola di Danao si
essercitava nelle selve a lanciare il dardo, a caso percosse un Satiro, alla
quale perciò il Satiro volendo far forza quella dimandò aiuto da Nettuno; onde
Nettuno cacciato via il Satiro giacque con lei, dal quale congiungimento hebbe Nauplio.
Si trova, che Nauplio regnò in Euboia, & dicono, che di lui fu figliuolo
Palamede morto appresso Troia. il che non potendo sopportare Nauplio, né
trovandosi forze bastanti a vendicarlo, si rivolse ad adoprar lo ingegno; onde
dimorando i Greci intorno Troia, egli incominciò circondare tutta la Grecia,
& entrare nelle case Reali di tutti i Principi, dove con quelle migliori
persuasioni, che poteva usava adulterio con tutte le loro mogli, & le
persuadeva a congiungersi con quanti elle potevano; istimando perciò, che
ritornando i Greci verso la patria nascerebbono tra loro molte seditioni, &
venirebbono all'armi, di, che amazzandosi l'uno con l'altro egli verrebbe a
vendicar la morte del suo Palamede. Et è stato creduto, si come affermava
Leontio, Clitennestra per opra sua essere venuta negli abbracciamenti d'Egisto;
onde poscia ne fu morto Agamennone, & indi Egisto, & Clitennestra. Cosi
Egiale moglie di Diomede essersi congiunta con Cillibaro figlio di Steleno. Et
per tacer dell'altre, Licofrone si sforza macchiare l'inclita fama di Penelope,
volendo, che per consigli di Nauplio alcune notte giacesse con un de' suoi
Proci. Oltre ciò, dicono, che l'implacabil vecchio con animo si fervente
desiderò la vendetta che, ritornando i Greci dopo la ruina di Troia nella
patria, & essendo cacciati da dura, & rea fortuna, egli montò sopra il
monte Cafareo, dove la notte accendendo una facella, come s'egli volesse a loro
mostrare un porto securo, fu cagione, che molti desiderosi di salvarsi vennero
ad urtare negli scogli pericolosi, onde con tal scelerità ne perì una gran
parte. Del cacciato Satiro, & di Ammimone oppressa da Nettuno, Barlaam con
poche parole ne mostra la ragione, dicendo, che il Satiro fu pedagogo della
donzella, & Nettuno un certo Lerneo Egittio molto famoso, di cui Ammimone
prima fu concubina, che moglie; & da lui essere stato nominato il fonte,
& la provincia Lernea.
Palamede fu figliuolo di Nauplio,
il quale essendo insieme con Greci d'intorno Troia, & essendosi quelli per
una seditione levati contra Agamennone, et toltali la potestà che havea di
comandarli, fu fatto suo Capitano nella guerra. Tra costui, & Ulisse, si
come dice Servio, era odio, percioche Ulisse per non venir alla guerra di Troia
fingendosi esser pazzo, legando al giogo, & all'aratro diversi animali se
ne stava ne i campi a seminar sale; onde Palamede, per far esperienza se ciò
fosse vero ò non, pose in terra dinanzi all'aratro il fanciullo Telemaco, il
quale vedendo Ulisse subito fermò l'aratro; di che si conobbe, che non era
pazzo. Oltre ciò, essendo Ulisse andato in Thracia per fromento, &
ritornando senza niente, con dire, che non ne havea trovato, Palamede andandovi
ne portò molto. Là onde per ciò Ulisse sdegnato sopportava malamente la di lui
gloria. Di, che per suo inganno avenne, che sotto il tabernacolo di Palamede
dai servi suoi vi fu nascosta grandissima quantità d'oro; indi subornati alcuni
messi et havute lettere false, nel consiglio di Greci accusò Palamede c'havesse
intendimento con Priamo, & che con oro fosse stato corrotto, onde per
chiarezza dall'incominciato tradimento comandò, che fosse cavato sotto
l'alloggiamento di lui, che ivi troverebbono l'oro conforme alle lettere, &
alle accuse. il che fatto, & trovatovi il tesoro ch'egli stesso v'havea
fatto nascondere, la accusa d'Ulisse fu tenuta vera, & Palamede come
colpevole con sassi fu morto.
Celleno, Aheno, Occipite, Arpie,
secondo Servio furono tre figliuole di Nettuno, & della terra. Altri dicano
di Theumante, & Elettra. La forma di queste cose descrive Virgilio;
Non è monstro di loro alcun piu
tristo,
Né peste alcuna piu crudele, ò rea
Et per l'ira dei dei da l'onde stigi
Si viene ad inalzare. Il loro volto
È di donzella, & ha d'uccello
il ventre,
Curve le mani, pallide, e
affammate.
Oltre ciò, descrive egli dove
habitano, & onde vennero, mentre dice,
Con nome greco Strofadi son dette
L'isole poste ne l'Ionio mare
U la crudel Celleno, & l'altre
Arpie
Fanno sua stanza; poscia, che
lasciaro
Le mense di Fineo per tema estrema,
Et la primiera entrata le fu
chiusa.
Di queste da Servio si recita una
favola, la quale a pieno è stata scritta dove s'è trattato di Zethe, &
Calai, & si è dichiarato il senso. Similmente anco di queste tali si ha
parlato alquanto dove si ha ragionato d'Aletto, & delle altre Furie, però
qui se ne dirà poco. Vuole adunque Servio ch'elle siano figlie di Nettuno,
& della terra perche habitano in isole, che sono terrene, ma nondimeno dal
mare circondate. Ma io le tengo figlie di Nettuno perche sono monstruose, si
come si vede per li versi di Virgilio. Sono poi, secondo Fulgentio, dette Arpie
perche Arpe in greco volgarmente suona rapire, là onde la prima di loro Abello
è chiamata quasi Abelanalon , che significa desiderare quello d'altrui. La
seconda Occipite, che significa velocemente pigliare. La terza Celeno, che vuol
dir negro, per lo cui si deve comprendere il nasconder della rapina. Et cosi
prima si disidera, secondariamente si toglie, poi si nasconde. Sono dette
havere il volto di donzella o perche, come dice Fulgentio, la rapina sia
sterile, al, che aggiungerò io in quanto a colui a cui è tolta; overo perche i
ladri per suo costume si mostrano in presenza benigni, & piacevoli,
accioche con questa arte possino ingannar gli sciocchi. Hanno le mani curve,
& rampinate, il che non ha bisogno d'espositione. Che poi habbiano la
faccia pallida, ciò non vuole dinotare altro, che la continua fame
dell'appetito insatiabile d'havere, per la quale gli infelici inchinati alla
rapina continuamente sono tormentati. Il ventre dei rubatori è anco sporcho,
& fetido, per dimostrare, che per lo piu l'essito delle rapine è vergognoso;
percioche per le rapine si entra nel giuoco consumatore della roba, & padre
di tutte le miserie, si scende alla lussuria madre delle lascivie, & degli
otij scelerati, si passa alla gola, vergognosissima et dannosa feccia delle
crapule, & infermitadi. Istimo queste essere proprie dei corsari,
avarissimi, & crudeli huomini, percioche habitano nei liti. Oltre ciò, alle
predette Arpie Homero ve ne aggiunge una, la qual chiama Thiella, & dice,
che generò i cavalli d'Achille. Diceva Leontio questa interpretarsi impeto
overo furor di vento, per la cui si dimostra anco la velocità dei corsari alla
rapina.
Sicano secondo Theodontio fu
antichissimo Re di Sicilia, & figliuolo di Nettuno; & da lui
quell'isola, che piu anticamente fu detta Trinacria fu chiamata Sicania, della
cui Solino dove tratta delle Maraviglie del Mondo dice; Alla Sicania, molto prima inanzi le guerre
Troiane, il Re Sicano ivi condotto con grandissima compagnia de Figliuoli diede
nome. Di questi figliuoli non ho mai potuto saper nome alcuno. Nondimeno
Theodontio dice, che Cerere di costui fu moglie, & Proserpina figliuola, la
quale i Poeti chiamarono figlia di Giove.
Fu Siculo Re di Sicilia, & figliuolo
di Nettuno, si come Solino dimostra. Secondo Theodontio regnò dopo Sicano,
& da lui fu nomata la Sicilia. Paolo dice costui essere stato figliuolo di
Corito, & Elettra, & fratello di Dardano. Ma, che fu chiamato figliuolo
di Nettuno, perche di Thoscana navigò in Sicilia, & ammaestrò in molte cose
quegli huomini rozzi.
Con assai benigno spirare de'
venti m'haveano condotto in Achaia tra il Pachino Promontorio di Tinacria,
& le antiche Siracuse. Dove veggendo, che quasi fino al fine haveva
condotta tutta la prole di Nettuno, piu tosto narrando la venuta degli
antichissimi Re nell'Isola, che i loro fatti, meco stesso stava considerando,
& riguardando a quale regione del Cielo dovea drizzar la prora della mia
barchetta. Onde mi venne in mente hora con vele, hora con remi, hora con piedi
esser tanto da spingere inanzi che non vi restasse alcuno figliuolo
dell'infausto vecchio Saturno del quale non fosse descritta la progenie,
eccetto Giove, il quale vollero, che fosse padre, re, & Signore de i Dei,
& degli huomini. Confesso Serenissimo Re, che io restai stupido, & mi
caderono le forze dell'animo; & come quasi al mio viaggio fosse stato
opposto un riparo estremo, & insuperabile, disperatomi diceva; O misero,
già potei entrare nell'ampio, & gran gorgo dell'Oceano, & con un
picciolo legnetto trappassar l'onde, che fino alle stelle s'inalzavano. Potei
trascorrere per tutto il vasto lito del mare Mediterraneo, tra mille scogli,
& risonanti sassi. Potei salire sopra monti alpestri, scendere in valli
oscure, entrare in antri tenebrosi, cercar le stanze delle fiere, & delle
selve, & dei boschi ricercar l'ombre quiete; passar per le Cittadi, &
Castella, & quello ch'è piu terribile, scendere fino nell'Inferno, &
ricercare tutte le tenebrose stanze di Plutone; con gli occhi forare le viscere
della terra, & cosi anco de gli altri Dei la prole, che anco alla penna
resta appesa, come da me conosciuta produrre in mezzo. Ma hora, se non vedrò
Giove, a qual partito potrò descrivere la grandissima sua discendenza? Se poi
voglio veder Giove, m'è di necessità andare in Cielo. Ma infelice me, con qual
gran salto, & da qual monte eccelso mi gitterò in quello? Qual'impeto di
venti m'inalzerà ivi? Qual densa nube mi porterà ivi? O chi mi presterà ale si
veloci? O Dio volesse, che dall'Inferno ritornasse Dedalo, il quale solo seppe
vestir l'huomo di piume, & a mortali mostrare l'insolite vie del Cielo.
Egli forse a questo bisogno mi potrebbe dar aiuto. Il quale, venga onde si
voglia, se non m'è conceduto, dopo tante sofferte fatiche, tante paure vinte,
& tanti ripari superati, lasciando imperfetto l'incominciato viaggio, non
senza vergogna della mia temerità bisognerammi sovrastare. Oltre ciò disiava
vedere la patria de' celesti, & con qual ordine quelli santissimi Theologi
de' Gentili havessero posto i Tempij, i palazzi, gli Atrij, & le stanze
degli habitatori del Cielo. Oltre ciò, insieme con esso Giove veder di lui la
sublime sedia. Con qual ragione quel sacro Concistoro di Dei si convenisse
insieme. Quale tra loro l'Imperio di lui. Quale ordine nel sedere. Quale la maestà
del presidente. Quali legge si dissero. A chi, & in qual modo si
concedessero gl'Imperi, accioche la mortalità fino nel debito fine del Mondo
fosse governata, & le altre gran preminenze di cosi eccelso Dio. Cosi
stando io quasi come disperato, & tuttavia cruciato dal disio di vedere il
Cielo, & fornire il mio viaggio, eccoti, che dal lito di Sicilia senza
regger nè timone nè altro, che da un subito impeto di vento fui portato fino in
Creta; la quale riguardando, non prima vidi il monte Ideo che, toltami la
nebbia dalla mente, & allumato dal vero splendore d'Iddio, conobbi del
padre della prole Giove la culla, & le fornicationi ivi d'intorno, & mi
ricordai ove le sue ceneri, & l'ossa giacessero. Cosi venni a ravedermi
ch'egli non fu il Dio del Cielo, che tiene il throno di quello, ma huomo, i cui
fatti, costumi, & altre attioni con non maggior fatica, che degli altri Dei
Gentili si potevano comprendere dai terreni specchi. Raccolte adunque in me le
forze per descrivere la numerosissima sua prole, entrerò in quello, che poco
inanzi è stato detto, pregando ch'al disiato fine mi conduca colui, che per lo
secco mare Rosso in Egitto condusse il popolo d'Israele.
Giove Cretese, il quale in questa
opra è il terzo, secondo, che tutti gli antichi testimoniano fu figliolo di
Saturno, & Opi. Questo in un medesimo tempo insieme con Giunone partorito,
accioche dal padre non fosse ammazzato, secondo il patto fatto col fratello
Titano, subito, che fu nato dalla madre fu mandato in Ida monte Cretese ad
essere allevato, & si come alcuni vogliono raccomandato ai popoli Cureti,
overo come altri dicono a i Dattili Idei. Ma Eusebio nel libro de tempi dice
ch'egli fu raccommandato a Creto Re di Candiani, il quale il tenne, & nudrì
nella città di Neson, dove è il Tempio di sua madre. Tuttavia, perche dissero,
che fu raccommandato ai Cureti, v'aggiungono, ch'egli da quelli fu portato in
un'antro del monte Ida: dove quello, si come i fanciulli fanno, piangendo,
eglino accioche non fosse sentito facevano strepiti con timpani, scudi, &
altri instrumenti. Al cui suono, secondo la loro usanza, adunandosi l'api,
stillavano nella bocca del fanciullo il mele; per lo cui beneficio egli poi
fatto Dio, le concesse, che generassero senza coito. Ad altri poi piace, che
fosse dato a nudrire alle ninfe, tra le quali, si come afferma Didimo nel libro
della narratione di Pindaro, vi furono due figliuole di Melliseo Re di Creta,
cioè Amaltea, & Melissa; che col latte di Capra, & mele il nodrirono.
Onde nel libro delle divine institutioni Lattantio dice, una capretta della
ninfa Amalthea con le sue poppe haver nodrito Giove fanciullo, & perciò
Germanico Cesare nei versi Arathei dice.
Di Giove ella tenuta vien nutrice,
Se veramente Giove fanciullino
De la Capra fidissima Cretese
Le mammelle poppò; la qual in Cielo
Cangiata in chiara, &
fiammeggiante Stella
Fa testimonio del cortese allievo.
Il che anco pare, che dimostri il
famoso Poeta Francesco Petrarca nella Buccolica, in quell'Egloga il cui titolo
è Argo, cosi dicendo.
Da le tenere labbia le mammelle
Segnate movan te; se il Nettar
forse
Scordar t'ha fatto il latte, che
bevesti.
Fu pur di gregge la nutrice tua.
Et quello, che segue. Servio dice
poi, che non in Ida, ma nel monte Ditte dalla madre fu mandato, & ivi
nodrito. Ma Giunio Columella nel nono lib. dell'Agricoltura, cosi scrivendo
della infantia, & governo di Giove, dice; Né veramente è cosa degna ad uno
rustico volere sapere se Melissa fu bellissima donna, la quale Giove convertì
in Ape; overo come a lei Homero Poeta dice, da i carboni, & dal Sole essere
generate l'api, che nodrirono le ninfe Frixionidi. Poi dice in quella cava
haver habitato le nutrici di Giove, et in sorte per dono divino esserle toccati
que' paschi con quali elle haveano nodrito il picciolo allievo. Questo dice
egli. Onde si viene a comprender, che Giove solamente fu nudrito di Mele.
Questi finalmente cresciuto in età hebbe guerra con i Titani per li pigliati
padri, & gli liberò. Poscia cacciò del reame il padre, attento, che egli
ritrovò, che volea farlo morire, si come di sopra dove s'è parlato di Saturno a
pieno s'è detto. Et di quì dicono, che gli sovragiunse la guerra con i giganti;
onde havendoli vinti sopra loro vi pose alcuni monti, si come è stato mostrato.
Indi soggiogato il mondo con i fratelli divise l'imperio, dando a Plutone il
dominio dell'Inferno, a Nettuno del mare, & per sé tenendo quello del
Cielo. Et molto prima havendo tolto per moglie la sorella Giunone, &
divenuto Re potente, & desideroso di gloria, incominciò divenir ambitioso,
& non meno con astutia, che per forza non solo le lodi humane, ma gli
honori divini ricercare. Edificò Tempi (si come si legge nell'historia sacra) in
molti luoghi, & gli dedicò al suo nome, & in ogni paese ch'egli veniva
congiungeva seco in amicitia, famigliarità, & hospitio tutti i Re, &
Prencipi di popoli; & quando da loro partiva comandava che fosse edificata
una chiesa, & ornata del suo nome, & di quello dell'hospite, come quasi
da questo potesse durare la memoria dell'amicitia, & concordia. Onde con
tale astutia avenne, che furono edificati Tempi a Giove Ataburio, & a Giove
Labriando, essendo stati Ataburio, & Labriando nella guerra suoi aiutori.
Cosi anco a Giove Laprio, Giove Molione, Giove Cassio, & altri simili; il
che da lui con astutia fu imaginato per acquistare per sé l'honore divino,
& agli hospiti suoi nome perpetuo accompagnato con la religione.
S'allegravano adunque quelli tali, & volentieri obedivano al suo Imperio,
& per gratia del suo nome celebravano i sacrifici, & le solennità
annuali; & in tal modo per tutto il mondo Giove seminò la riverenza del suo
nome, dando essempio agli altri d'imitarlo. Questi habitò anco nel monte
Olimpo, si come testimonia l'istessa sacra historia, dove si legge; A quel
tempo Giove nel monte Olimpo facea la maggior parte della sua vita; & ivi a
lui venivano, se havevano alcuna sua differenza. Oltre ciò, se alcuno trovava
qualche novità che fosse utile alla vita humana, veniva a ritrovarlo, & a
Giove la mostrava. Et quello che segue. Oltre questo, come, che tal'huomo fosse
ambitioso d'intorno l'occupar gli honori; & molto libidinoso, nondimeno
ritrovò molte buone, & utili cose alla vita humana, & quelle introdusse,
& alcune cattive ne levò. Et tra l'altre levò dai costumi degli huomini
quella usanza di mangiar carni humane, de' quali al tempo di Saturno usavano.
Cosi finalmente disposte le cose sue finì l'ultimo giorno, del cui fine è
testimonio Ennio. Egli nella Sacra historia havendo prima descritto tutte le
operationi di Giove in vita, in ultimo cosi dice; Indi Giove, poscia, che
cinque volte hebbe circondato la terra, a tutti gli amici, & parenti suoi
divise gl'imperi, & a tutti lasciò leggi, ordini, costumi, & assignò biade;
appresso fece molti altri beni, & havendo conseguito gloria immortale,
& sempiterna memoria, lasciò di sé ricordo ai suoi la età, & la vita
malamente in Creta menata cangio, & se ne ando in Cielo: onde i Cureti suoi
figliuoli hebbero cura del suo corpo, et l'ornarono molto; & a quello
fecero un bellissimo sepolcro in Creta nel castello d'Aulatia, la qual città
dicono haver edificato Vesta; & sopra la sepoltura di lui in lettere greche
antiche fu scritto Giove di Saturno. Ma Eumero dice ch'egli morì in Oceania;
nondimeno, che fu sepolto nel castello d'Aulatia. Forse, che questo nome
d'Oceania fu primo a Creta innanzi, che dal nome di Creta, ninfa, &
figliuola d'Hesperide (come dice Plinio nell'historia naturale), cosi l'isola
fosse detta. O celebratissimo Re, non vedi adunque con quanto ingegno, con
quanto favore della fortuna, con quanti inganni dell'antico inimico questo
huomo si acquistasse un nome eterno, una gloria vana, & gli honori divini?
Mi maraviglio veramente della pazzia di quella, come che rozza età, che con il
poco consiglio credesse, & tenesse per sommo Iddio uno, che haveano visto
nato di huomo, mortale, & passibile. So, che potranno essere di quelli, che
diranno anco di molti meno antichi non meno essere stati inchinati a questa
medesima pazzia, mentre leggeremo da Luca Medico essere stato scritto, che
appresso i Listri di Licaonia predicando Bernabà, & Paolo, huomini
santissimi, la vera fede di Christo, & in nome di quello haver risanato
un'huomo zoppo, & attratto da natività, che da quelli subito furono tenuti
Dei, chiamando Bernabà Giove, & Paolo Mercurio. Onde a quelli ciò
rifiutando, furono apparecchiati vittime, & sacrifici dai Pontefici, &
dal popolo, si come a Dei, de' quali mi maraviglio meno, percioche dinnanzi
gl'ignoranti Listri non per opra sua ma per gratia di Christo, si come essi
testimoniavano, havevano fatto un'opra divina. Ma Giove, qual cosa fu veduto
fare, che fosse piu, che di huomo? niuna veramente. Fu huomo vittorioso,
essendo questa opra d'astutia humana, & bene spesso della fortuna; onde
perciò non doveva essere tenuto da nessuno nè Iddio nè Re del Cielo.
Certamente, troppo facili a credere erano gli huomini di quella età. Noi
adunque lasciamo gli antichi nella sua pazzia, & rivogliamo la penna alle
cose lasciate. Poscia, che s'è detto di Giove quello, che all'historia
s'appartiene, seguiremo quello, che di lui è stato finto. Prima il chiamano
padre, & signor degli Dei, & Re del Cielo; & in luogo di scettro
gli attribuiscono la saetta. Oltre ciò sacrarono a lui la quercia, & in sua
guardia posero l'aquila. Hora veggiamo quello, che sopra ciò hanno voluto
intendere. È detto padre, & Signor degli Dei perche regnando egli i tempi
degli heroi ò incominciarono ò fiorirono, ne quali appresso Greci, & di
poeti overo di Theologhi Gentili incominciò, & fiorì lo studio; i quali
veggendo costui a quel tempo tra tutti gli altri mortali maggiore, & che
già non solamente appresso i suoi, ma anco appresso straniere nationi tuttavia
vivendo si havea acquistato gli honori divini, & ch'era tenuto padre, &
maggiore di quelli, che molto prima di lui erano stati, & erano per Dei
adorati, havendo anco in favore il nome di Giove, che già lungamente innanzi
era celebre, & famoso, & al vero Iddio attribuito, aggiungendoli favore
il luogo della sua habitatione detto Olimpo, col quale nome dimandiamo anco il
Cielo, il finsero padre dei dei, & Re de' cieli. Né bastò attribuirli
quello, che fece, ma molte di quelle cose, che per piu secoli prima erano state
fatte, & spetialmente di quelli altri due Giovi, che furono, si come
habbiamo mostrato, nei Tempi dinanzi, per la confusione dei nomi furono
ritornate in costui, nè altrimenti, che fatte nel suo tempo a lui attribuite.
Et cosa, che molto piu dannosa, molte cose, che s'appartengono al solo vero Iddio,
vero signore di Dei, sotto il velo di simile fittione riposte, &
racconciate furono dagli ignoranti tenute proprie, & appartenenti alla
potentia, & finta deità di quest'huomo. Et tanto crebbe questa ignoranza,
che non solamente furono credute le cose, che sono di Iddio essere di Giove, ma
quelle di Giove essere del vero Iddio, come sono gli adulteri, i tradimenti, le
guerre, & altre simili. Nondimeno, quante volte gli huomini illustri per
questo Giove hanno inteso il vero Iddio, quello, che di Giove è men, che
honesto scritto hanno voluto, che sia compreso per qualche atto naturale
prodotto per opra della natura naturata, la quale è opra d'Iddio; il che io non
lodo, che per dishoneste fittioni sia disegnata la divina potenza. Appresso,
non trovarono il gran numero di Dei perche credessero esservi tanti Dei; anzi i
prudenti volsero quelle deitadi ascritte a molti Dei essere proprie della
potenza di un vero Iddio, ma da lui per uffici distribuite, & lui oprare
per suoi ministri, si come noi facciamo. Il che chiarissimamente nel libro de
Dogmate Platonis mostra Apuleio. Ma noi ottimamente crediamo d'Iddio secondo il
Salmista. Perche disse & fu fatto. Né però neghiamo Iddio haver ministri,
altri della giustitia come sono i Demoni, altri della gratia come gli angeli,
altri dei bisogni, & del vivere, come sono i corpi sopracelesti. Ma di
questo, altrove. Per lo folgore veramente attribuito a Giove invece di scettro,
percioche è affogato, credo io, che quei che hanno finto hanno voluto, che alle
volte sia compreso per lo elemento del fuoco, & dell'aere, come afferma
Servio, & allhora vogliono, che Giunone sua moglie sia l'acqua, & la
terra, attento che da loro per giudicio d'alcuni ogni cosa è procreata; &
cosi secondo Varrone dell'Agricoltura, dove sono detti i gran padri, Giove
padre, & Giunone madre. Tengo, che questa fittione habbia havuto origine da
quelli c'hanno istimato il fuoco cagione di tutte le cose, & che per opra
sua il tutto sia generato, & nudrito. Cosi mentre il foco, & l'aere è
Giove, egli è sua opra l'adunare, & dissolvere i lampi, & i tuoni,
eccitare, & abbassare i venti, mandare folgori, & cose tali; percioche
questo si opra nella regione dell'aere col mezzo del fuoco. Dissero che questa
saetta ch'egli tiene invece di scettro ha tre punte per designare la tripartita
proprietà del folgore, il quale è risplendente, & fende, & abbruscia;
onde se alcuno desidera a pieno intendere del folgore, legga Seneca Filosofo
ove tratta delle questioni naturali. Oltre ciò gli attribuiscono la Quercia, perche
gli huomini della prima età si pascevano de i suoi frutti, & per ciò gli è
parso quell'albero dirittamente essere proprio di colui al quale s'appartiene
nodrir gli huomini da lui prodotti, overo governati. Isidoro dove tratta delle
Ethimologie, par quasi, che voglia quest'albero intendersi la noce, & dai
Latini esser detta Giuglande, quasi ghianda di Giove, perche già fu sacrata a
Giove; onde segue il suo frutto haver tanta forza, che viene posto tra
sospettosi cibi d'herbe ò di funghi, leva da quelli, & amorza ogni veneno,
che vi sia. Affermano poi l'Aquila esser in sua guardia; onde ciò Lattantio per
parole d'altri ne rende la ragione dicendo; Cesare nell'Aratho riferisce
Aglaoste dire che, andando Giove dall'isola di Nasso contra i Titani, & nel
lito facendo sacrificio, un'Aquila per augurio gli volò sopra, la quale
ritornando vittorioso tolse in protettione per l'augurio buono. Ma la sacra
historia dimostra, che l'Aquila fu la prima, che volandoli sopra il capo li
promisse, & annunciò il Reame. Perche poi fanciullo fosse nascosto da
Saturno, perche havesse guerra con i Titani, & perche scacciasse Saturno,
egli a bastanza dove si è parlato di Saturno s'è dimostrato. Del maritaggio poi
di Giunone, dove di Giunone s'è detto egli s'è visto. Cosi dell'origine del nome
di Giove, il tutto s'è mostrato parlando del primo Giove. Cosi per queste cose,
che qui, & altrove si sono scritte, se alcuno volesse potrebbe facilmente
far coniettura quanto questo Giove sia conforme alle proprietadi del pianeta di
Giove, onde perciò meritevolmente sia chiamato Giove.
Nove sono per numero le Muse,
figliuole di Giove, & della memoria, si come nelle Etimologie piace ad
Isidoro. Ma Theodontio diceva di Mennone, & Thespia, per quello forse, che
Ovidio le chiami Thespiadi. I loro nomi sono questi. Clio, Euterpe, Melpomene,
Thalia, Polimnia, Erato, Terpsicore, Urania, & l'ultima Caliope. Dicono,
che queste hebbero guerra con altrettante figliuole di Pierio, & perche le
Pieridi restarono vinte dalle Muse furono convertite in Piche; & per la
loro vittoria le Muse conseguirono il suo cognome. Oltre ciò, dicono, che
queste furono da un certo Pireneo rinchiuse in certi chiostri, & ch'elle in
ruina di chi le riteneva volarono via. Vogliono anco, che a loro sia consecrato
il fonte Castalio, & la selva di Heliconia, & che sonando Apollo la
Lira cantino. Noi, lasciate queste cose, veniremo a torre il velo alle
fittioni. Piace ad Isidoro, Christiano, & santissimo huomo, queste Muse
essere dette da cercare, percioche per quelle, si come volsero gli antichi, la
ragione dei versi, & la consonanza della voce si cerca, onde da loro viene
ad essere derivata la Musica, la quale è nomata dottrina di moderatione. Et si
come dice l'istesso Isidoro; percioche il suono d'esse Muse è sensibile cosa,
& che nel preterito abonda, & s'imprime nella memoria, & però dai
Poeti sono chiamate figliuole di Giove, & della Memoria. Ma io tengo, che
essendo da Iddio ogni scienza, nè solamente per concepir quella basti
l'intenderla se non havrà mandato a memoria le cose intese, & cosi nella
memoria conservate, esprimerle; di maniera, che alcuno sappia, che tu le sappi,
si come dice Persio,
Nulla non giova il tuo saper, s'un
altro
Non sa medesimamente quel che sai.
Il che è ufficio delle Muse;
& di qui elle sono dette figliuole di Giove, & la Memoria è finta. Et
non istimo le Muse esser dette da Moys, che è acqua. La cagione si dirà poi.
Perche siano nove, nel secondo Comentario sopra il Sogno di Scipione Macrobio molto
si sforza mostrarlo, agguagliando quelle ai canti delle otto spere del Cielo,
volendo, che la nona sia la modulatione dei concenti del Cielo; aggiungendo a
ciò doppo molte parole, le Muse essere il canto del Mondo, che fino dai
contadini si sa, perche lo chiamarono Camene quasi Canene, da Canendo.
Nondimeno Fulgentio rende un'altra ragione, dicendo la voce farsi da quattro
denti, i quali mentre si parla sono percossi dalla lingua; onde se ne mancherà
uno prima, che la voce esca, è di necessità, che si mandi fuori un sibilo.
Appresso dai due labbri, come cembali delle parole, che ci prestano la
commodità, cosi della risonanza con la lingua, la quale per la corvezza da una
certa circonflessione, come un'archetto forma lo spirito della parola. Indi del
palato, per la cui concavità si proferisce il suono. Ultimamente, perche siano
nove v'aggiunge la fistola della gola, che per lo sottil canale da l'uscita
allo spirito. Et appresso, perche da molti a queste s'aggiunge Apollo, che
suona, non altrimenti, che conservatore dei concenti, alle predette cose
dall'istesso Fulgentio vi si mette appresso il polmone, il quale come erario
d'un mantice riceve, & rende le cose concepute. Et accioche in cosi
rinchiusa, & interna opra di natura non paia ch'egli voglia ch'a lui solo
sia creduto, di questa straniera ragione induce testimoni Anasimandro
Lampsaceno, & Zenofane Heracleopolite; il quale afferma ch'eglino ne i suoi
Comentari hanno scritto questo, ch'io ho detto. Et v'aggiunge questo dicendo
queste opinioni medesimamente esser anco confermate da gli illustri Filosofi,
come da Pisandro Fisico, & Eusimene in quel libro chiamato Telegumenon .
Oltre questo, l'istesso Fulgentio, parendoli quasi di non havere a bastanza
dichiarato quello, che voleva delle Muse, per addurre in mezzo la ragione dei
nomi, & delle loro operationi cosi dice; Noi veramente diciamo le nove Muse
esser i modi della dottrina, & della scienza. La prima è Clio, che è quasi
la prima cogitatione d'imparare, percioche Clios in greco vuol dir Fama: &
perche nessuno non cerca la scienza, se non per aggrandire la dignità della sua
fama; per ciò la prima è detta Clio, cioè pensiero di ricercar scienza. La
seconda Euterpe, in greco, che appresso noi significa quello, che diciamo
dilettandosi bene; onde il principale è cercar la scienza, et poi dilettarsi di
quello, che si cerca. La terza è Melpomene, che quasi è Melompio Comene, cioè
facendo rimanervi la consideratione, accioche prima vi sia il voler,
secondariamente il dilettarsi di quello, che vuoi, poi fermarti con la consideratione
in quello, che desideri. La quarta è Thalia, cioè capacità, come quasi sia
chiamata Thithoalia, cioè mettente i germini. La quinta Poliminia, quasi Polim,
cioè, che fa molta memoria perche doppo la intelligenza è di necessità che vi
sia la memoria. La sesta Eratho, cioè Euricumenon; il che latinamente diciamo
ritrovante il simile, perche doppo la scienza, & la memoria è cosa giusta,
che trovi qualche simiglianza, & di suo. La settima Terpsicore, cioè
dilettante la instruttione. Adunque doppo la inventione, bisogna, che discerni,
& giudichi quello, che troverai. Urania è l'ottava, cioè celeste, percioche
dopo la giudicatione tu eleggi quello c'hai a dir, & quello c'hai a
sprezzare, attento, che elegger l'utile, & sprezzare il caduco è cosa d'ingegno
celeste. La nona Caliope, cioè d'ottima voce. Adunque questo sarà l'ordine.
Prima è la volontà d'imparare. Seconda, dilettarsi di quello, che vuoi. Terzo è
dar opra a quello, che ti diletta. Quarto è capir quello, a che dai opra.
Quinto, ricordati quello, che capisci. Sesto è ritrovar simile di tuo a quello,
che ti ricorderai. Settimo, giudicare quello, che trovi. Ottavo, eleggere
quello, che giudicherai. Nono, proferir bene quello che eleggerai. Questo dice
Fulgentio. Se io potessi, vorrei affrontarmi con quelli schifi, & insipidi
i quali con le insegne spiegate, & con le squadre ordinate, si sforzano
fare empito contra le Muse, & se potessero con armi in mano cacciarle da
loro; onde mentre, intendendo malamente le parole di Boetio, si credeno essere
armati, si ritrovano disarmati; & vorrei che, considerando succintamente
quello, che s'è detto delle Muse, mi dicessero s'hanno ritrovato queste sublimi
donne ne i postribuli, se hanno seco usato, se credeno Isaia, Giobbe, &
altri santissimi huomini d'Iddio quelle haver guidate dalla compagnia delle
meretrice per collocarle tra i sacri volumi. Sò, che negarebbono questi mai
haver adoprato queste da loro chiamate vecchie meretrici, se a me non fosse
testimonio il sacro Girolamo interprete delle divine lettere; delqual, accioche
dalla loro ostinata ignoranza non possa essere travagliato, piacemi descrivere
si come stanno nel proemio del libro di Eusebio Cesariense da lui di Greco in
Latino tradotto. Dopo molte cose cosi dice Girolamo; Qualcosa piu canora del psalterio,
il quale a guisa del nostro Flacco, & Greco Pindaro hora col Iambo corre,
hora con l'Achaio risuona, hora col Saphico s'empie, & hora col mezzo piede
entra? Qual cosa piu bella del cantico del Deuteronomio, & d'Isaia?
Qual'altra piu grave di Salomone? Quale piu perfetta di Giobbe? il che tutto
con versi esametri, & pentametri, si come Gioseffo, & Origene scriveno,
appresso i suoi composto corre. Et quello, che segue. Istimo, che questi tali
non sapevano essere ufficio delle Muse ordinare i tempi delle voci. Non
sapevano d'intorno la scienza le Muse disporre le cose da fare. Non sapevano
elle haver conceduto le sue amministrationi agli huomini divini in accrescere
la maestà delle sue lettere. Tacciano adunque, & rabbiosi mordano se
stessi, i quali non intendendo si sforzano lacerar gli altri; & noi
rientriamo nel lasciato viaggio. Tengo, circa l'haver havuto le Muse contrasto
con le Pieridi, doversi pigliar questo senso. Sono alcuni di cosi pazzo ardire
che, non havendo cognitione di alcuna scienza, confidandosi nondimeno nel suo
ingegno ardiscono perferirsi ai disciplinati, nè dubbitano con loro disputare;
il che facendosi nel conspetto dei dotti non paiono a quelli scientiati, ma con
una certa pazza, & vana prosontione loquaci. Onde parendo agl'ignoranti,
che dicano molte cose, nè però dicendone alcuna consonante alla ragione, nè
intendendo ciò, che parlano loro stessi, beffati dai prudenti sono tenuti
Piche, o vogliamo dire Gazze, le quali nel loro garrire imitano piu tosto le
voci humane, che l'intelletto. & però questi tali dai scientiati essere
transformati in Pichi, dirittamente ai Poeti è parso di fingere. Che poi
Pirreneo lo volesse imprigionare, credo ciò non voler essere altro eccetto
alcuni, per dimostrarsi impetuosi, & avidi, i quali sprezzate le fatiche
degli studi, poscia, che hanno di libri ornato le camere, & a pena veduto
le loro coperte, come se havessero cognitione di quanto in loro si contiene
hanno ardire istimarsi poeti, overo esservi tenuti dai riguardanti. Ma essendo
volate via le Muse, le quali haveano istimato haver rinchiuse ne chiostri, se
in publico le vogliono seguire, cioè mostrar di sapere quello, che non sanno,
subito vanno in ruina. De quali ne ho io conosciuto alcuni, che fatta una
adunatione di libri si sono tenuti maestri, & nel conspetto dei Sapienti
sono scappati. V'è anco alle Muse consecrato il fonte Castalio, & molti
altri appresso, & questo perche il fonte limpido ha in se proprietà di non
solamente dilettare gli occhi del riguardante, ma anco di condurre l'ingegno di
quello con una certa virtù nascosta in consideratione, & spingerlo a disio
di comporre. Il bosco ò selva poi è a loro sacrato accioche per questo vegniamo
a comprender la solitudine, che debbono usare i Poeti, a quali s'appartiene
considerare i poemi; il che ma non si fa bene tra gli strepiti delle Città nè
tra le genti rusticane, ma (si come piace a Quintiliano dove parla
dell'institutione oratoria) in luogo oscuro, & quieto, come sarebbe di
notte. il che per li boschi si dimostra assai apertamente; percioche sono
opachi per l'adunanza de' rami; & quieti, che per lo piu sono lontani dalle
habitationi de gli huomini.
Acheo, secondo Isidoro tra le
Ethimologie, fu figliuolo di Giove, & vuole, che da lui havessero nome gli
Achei overo Achivi. Con queste poche parole sono contento haver passato
l'affare di questo famoso huomo. Nondimeno, poscia che Theodontio l'ha chiamato
figliuolo di Giove, n'aggiunge ch'egli fu antichissimo Prencipe di Messeni,
& che hebbe una gran schiera di figliuoli, per opra de' quali (perche
piamente appresso Messeni visse) fu fatto, che egli ò per compagnia, ò per
imperio possedesse tutta quella provincia, che fino al dì d'hoggi chiamiamo
Achaia; & che dal suo nome cosi fosse detto. Et da questo afferma ch'egli
hebbe tutta la nobiltà dei Prencipi di Grecia; ma del numero de figliuoli, non
pure ne dice il nome di uno.
Venere, testimonio Homero, fu
figliuola di Giove, & di Didone; & questa è quella la quale Tullio
nelle nature di Dei chiama terza, & vuole, che fosse moglie di Vulcano.
Dicono, che costei s'innamorò di Marte, dell'adulterio de quali si è detto
parlando di Marte. Cosi la chiamano madre d'Enea; il che parlando d'Enea s'è
mostrato. Cosi anco trattando di Diomede, della ferita da lui ricevuta. Et
medesimamente dove si ha narrato di Adone si ha mostrato qualmente a caso dal
figliuolo fu impiagata, & amasse quello. Né mancano di quelli, che credano
esser detto di costei quello che nella sacra historia si legge, cioè Venere
havere instituito il recreamento meretricio. Il che pare, che affermi Agostino
nel libro della Città d'Iddio, mentre dice a costei essere stato offerti doni
da Fenici per far torre le virginità alle figliuole innanzi, che le
congiungessero con i mariti. Oltre ciò, Claudiano dove tratta delle lodi di
Stillicone nel tuo Cipro, ottimo Re, vi descrive un delitiosissimo giardino,
nel quale facilmente si potrebbe annoverare il tutto, che s'appartiene a
persuader lascivia, dove cosi incomincia;
Rende ombra un ampio monte al mare
Ionio
Ne l'isola di Cipro dilettosa.
Et segue continuando per spatio
di quarantasei versi; i quali perche sarebbe troppo lungo non ho notati. Ma
descritto il giardino v'aggiunge quanto sia grande la cura di Venere in
ornarlo, dicendo;
Venere allhora, i bei crin d'oro
avolti.
Et va seguendo per dieci versi.
Ma perche di sopra dove si ha trattato dell'altre Veneri, d'intorno l'espositioni
delle fittioni si è molto ragionato, quì mi parrebbe superfluo replicare. Ci
resta porre quello, che si dubita. Alcuni istimano questa Venere essere
l'istessa con quella di Cipro; ma io tengo, che fossero due, & che questa
veramente fosse figliuola di Giove, & moglie di Vulcano. Altri vogliono,
che fosse figlia di Siro, & di Cipria overo Dione, & moglie d'Adone.
Quelli poi ch'istimano amendue una istessa, dicono, che fu figliuola di Giove,
& Dione, & prima moglie di Vulcano, & poi d'Adone, & per la singolar
bellezza da Cipriani tenuta Venere Celeste, & fu detta Dea, & come Dea
con sacrifici honorata, dove in Pafo li fu edificato un Tempio, & Altari,
& ivi sacrificato con incenso, & fiori, che rendevano soave odore;
percioche Venere per molte cagioni d'odori si diletta. Indi dicono, che costei
essendo sopravivuta al marito, arse di tanta libidine, che quasi in publico si
diede alle lascivie, & per coprire la sua scelerità, dicono, ch'ella
persuase alle donne Cipriane l'arte meretricia, & haver ordinato, che col
corpo ignudo invitassero gli huomini; onde si pose in uso, che anco le vergini
fossero mandate a i liti per dare a Venere le primitie della loro verginità,
& futura pudicitia; & che dal coito degli stranieri si ricercassero le
doti. Theodontio v'aggiunge anco dicendo, cosi scelerata usanza, non solamente
in Cipro lungamente esser stata usata, ma portata fino in Italia; ilche con
l'auttorità di Giustino si conferma, il quale dice ciò per voto alle volte a
Locri esser accaduto.
Tutti vogliono, che Amore fosse
figliuolo di Giove, & di Venere; il che io terrò non d'huomini ma de i
Pianeti. Percioche amendue sono di complessione simili, humidi, & calidi.
Oltre ciò, amendue sono benivoli, & egualmente splendenti; & però da
questi tali esser generato l'Amore, & spetialmente quello, col quale
viviamo insieme, & col quale è finto, che facciamo le amicitie; accioche
vegniamo a comprendere che dalla conformità delle complessioni, & dei
costumi tra mortali l'amore, & l'amicitia si generò; la quale non può esser
vera, eccetto tra i virtuosi, si come chiaramente mostra Tullio dove tratta
dell'Amicitia: & di qui tengo, che piu tosto da questi, ch'ambo sono
benivoli, si dica esser nato, attento che alcuno non può esser benivolo se non
è virtuoso. Del lascivo poi, si è parlato di sopra.
Proserpina fu figliuola di Giove,
& di Cerere, la quale perche sprezzava gli ardori di Venere da Plutone fu
amata, rapita, & portata nell'Inferno, & di lui fatta moglie: la quale
lungamente ricercata da Cerere, & per inditio d'Aretusa ritrovata
nell'Inferno, pehaver gustato tre granelli di mele grane non fu potuta rihavere;
nondimeno da Giove fu sententiato, che sei mesi ella dovesse stare col marito,
& sei mesi con la madre di sopra. Di questa Proserpina, dove s'è trattato
di Cerere, ricordomi haver esposto quanto si nascondeva sotto fittione. Laonde,
eccetto quello, ch'all'historia s'appartiene, non mi curerò narrare. Istimo
costei essere stata figliuola di Sicano Re di Sicilia, & di Cerere, &
che fosse rapita da Orco Re di Molossi, overo Cudonio overo Agesilao, si come
vuole Filocoro nell'anno ventesimottavo d'Eritteo Re d'Athene, & che da lui
fosse tolta per moglie. Tuttavia questa historia è piu diffusa dove si contiene
di Plutone.
Castore, Polluce, & Helena
secondo Fulgentio furono figliuoli di Giove, & di Leda, della cui
concettione si recita favola tale; Che essendosi Giove innamorato di Leda
figliuola del Re Tindaro, egli cangiatosi in Cigno incominciò cantare, per lo
qual canto ella non solamente si condusse ad udirlo, ma a pigliarlo; il quale
essendo pigliato da lei egli prese quella, & giacque seco, per lo qual
congiungimento dicono ch'ella s'impregnò, & partorì un uovo, da cui nacque
Castore, & Polluce, & Helena. Altri poi vogliono, che solamente
nascesse Polluce, & Helena, & che Castore fusse figliuolo mortale di
Tindaro. Alcuni poi dicono, tra quali è Paolo, che da quel congiungimento
nacquero due uova, de l'uno de' quali Castore, & Polluce nacquero, &
dell'altro Helena, & poi Clitennestra. Tutti gli antichi adunque testimoniano
Castore, & Polluce esser stati famosissimi giovani; & prima si legge
ch'eglino furono de gli Argonauti, & che ritornando di Colco Polluce amazzò
Amico Re de' Brebitij, che voleva farli violenza. Poi havendo quelli ricuperata
Helena, che da Theseo gli era stata rapita, andarono di nuovo con gli altri
Greci a dimandar quella, che un'altra volta da Paride gli era stata menata via,
a Troiani. Sono di quelli anco, che dicono, che essi non vennero mai a Troia,
nè ritornarono in Lacedemonia ma che tolti in Cielo da Giove fecero il segno di
Gemini. Nondimeno Tullio scrive, che Homero dice quelli esser stati sepolti in
Lacedemonia. Et Ovidio nel libro di Fastis dice, che havendo eglino rapito
Febe, & la sorella figliuole di Leucipio, quali prima erano state promesse
per spose a Linceo, & Ida fratelli, furono provocati a battaglia da i
sposi, & in quella guerra Castore fu morto da Linceo; contra il quale
correndo Polluce amazzò Linceo, ma Ida havrebbe morto Polluce, se Giove non gli
havesse concesso, che non potesse esser offeso. Lattantio anco nel libro delle
divine institutioni dice Castore, & Polluce mentre rapiscono l'altrui spose
mancarono ad esser Gemini, percioche per la vergogna dell'ingiuria, Ida
sdegnato l'uno passò col ferro, & oltre ciò, dicono, che Castore valse molto
a cavallo, & Polluce in guerra, & che essendo eterno, & veggendo il
fratello, morto, dimandò in gratia a Giove ch'a lui fosse lecito partire col
fratello la divinità. Il che havendolo Giove concesso, amendue furono tolti in
Cielo, & fecero il Pianeta di Gemini; & in loro protettione gli antichi
vollero, che fossero i cavalli. Hora veggiamo il senso, che si nasconde sotto
queste fittioni. Piace a Tullio nel luogo detto di sopra Castore, & Polluce
essere stati figliuoli di Giove terzo, & di Leda, ma di huomo, & non di
Cigno nè iddio; & loro essere di quelli, che i Greci dimandarono
Dioschorti. Forse l'antichità finse Giove cangiato in Cigno perche il Cigno
canti dolcemente; il che è possibile, che Giove fusse tale, che con la dolcezza
del suo canto, come spesse fiate veggiamo essere avenuto, egli guidasse Leda ad
amarlo, & disiarlo. Percioche il canto è uno degli uncini di Venere. O, che
forse Giove era vecchio, & per la vecchiaia canuto, quando amò Leda; &
perche per l'ardente desiderio divenne querulo, fu finto, che si cangiò in
Cigno, il quale è canuto, cioè bianco, & vicino alla morte canoro. Che poi
per tal congiungimento ella partorisse le uova, non credo ciò per altro essere
stato detto accioche nella fittione il parto non paresse dissimile dal genitore,
attento che gli uccelli sono soliti generar uova, overo perche con una certa
pellicina amendue nascessero insieme involti, si come alle volte veggiamo le
uova nascere con un certo pannicello non anco ben fermato nella scorza. Che ad
Ida fosse vietato non poter offendere Polluce, Leontio teneva ciò la forza
della constellatione. Che Polluce con la propria morte sua riscuotesse il
fratello, questo pare da Alberigo essersi detto; & perche, essendo tolti in
Cielo, & havendo fatto il segno de Gemini, cosi anco in quello
medesimamente stelle si dipartono; percioche mostrandosi una l'altra si
nasconde; cosi medesimamente quella, che si è celato, dopo l'occaso della prima
si lascia vedere. La onde mentre uno morendo scende all'Inferno, cioè
all'Occaso, si come huomo mortale, l'altro come divino appare in Cielo. Indi
all'incontro mentre uno ascende in Cielo, pare che sia divino, & l'altro
essendo nascosto, viene tenuto come morto, & esser mortale; & in questo
modo l'uno con l'altro la morte, & divinità hanno patita. Che poi Polluce
solo fosse imortale, ciò si crede essere stato tolto dal folgore della stella,
che gli stà in capo, il quale è di gran lunga maggiore di quello, che si vede
sopra Castore; che alle volte per la grossezza del vapore non si discerne, veggendosi
di continuo quello di Polluce. Ma Paolo dice che Castore per opra di Polluce
dai Lacedemoni fu posto nel numero dei Dei, & in tal modo fatto immortale.
Polluce poi per la pietade havuta verso il fratello, & perche anco fu huomo
notabile, fu deificato, & al fratello congiunto; & cosi con la morte a
vicenda l'un l'altro si riscatò, percioche primieramente Castore, accioche
Polluce non fusse amazzato fu morto. Secondariamente, Polluce affine che il
fratello fosse eterno il fece far Dio, & egli rimase mortale donando al
fratello la sua deità. Havrei posto la SPOSITIONE di Fulgentio; ma perche egli
va sopra il Cielo, la ho lasciata. I cavalli posti in sua tutela sono stati per
dimostrare la dilettatione dei giovani, & il loro intento mentre vissero. Questo
tengo io piu tosto, che altro, che si dica Servio.
È cosa palese, che Helena fu
figlia di Giove, & di Leda, si come di sopra è stato mostrato. Dicono, che
costei tra tutte l'altre mortali fu bellissima, si come manifesta Tullio
nell'arte antica. La cui bellezza a quel tempo fu molto dannosa ai popoli
d'Asia, & di Grecia, & spetialmente mortale a Troiani. Vogliono, che
costei, anco giovanetta, et che nella palestra tra l'altre fanciulle di suo
tempo giuocava, fosse rapita da Theseo Re d'Athene, ma, che poscia contra il
voler di lui dalla madre fosse renduta a Castore, & Polluce, che la
dimandavano. Indi fu congiunta per sposa a Menelao Re de Lacedemoni. Finalmente
da Pari (come piace ad alcuni), che sotto spetie di addimandar Hesiona veniva
come Legato, fu rapita, & menata via, attento, che essendo alloggiato in
casa di Menelao, non v'essendo nè anco Menelao, inamoratosi delle lascive
bellezze di questa sprezzò la ragione dell'hospitio, & con tutte le
masseritie Reali se ne fuggì. Ma Lattantio dice ch'egli con l'armata andò a
Sparta, & dimandò Hesiona; la quale non gli volendo esser restituita, si
come il padre gli havea comesso, con guerra incominciò danneggiare quel Paese,
& prese Sparta per forza, & indi menò seco Helena a Troia. Onde poscia
tutti i prencipi della Grecia, havendo piu volte invano fattala dimandare,
fecero congiuratione contra Troiani, & sotto la guida d'Agamennone con
grandissimo essercito si disposero rihaverla, di che fatti molti fatti d'armi
insieme, doppo dieci anni presa Troia fu restituita a Menelao, non senza
macchia di tradimento; attento che sono di quelli, che dicono, che, morto Pari
da Pirro, ella si maritò in Deifebo: onde cercando i Greci con tradimento dar
fine a quello, che con armi pareva non potersi, havendo simulato d'accordo
partirsi dall'assedio, quella, dalla Rocca (dormendo Deifebo) accesa una
facella diede segno ai Greci, che ritornassero ad occupare la quieta Città, per
lo qual merito (dicono) rihebbe la gratia di Menelao. Nondimeno altri dicono,
che spontanemente fu tolta da Menelao, perche non volontariamente ma per forza
fu rapita. Ma per li versi d'Homero si vede ch'ella stette appresso Troiani
vent'anni, il che molto meno istima la maggior parte, tuttavia questo circa il
fine della Iliade è dimostrato da Homero, dove insieme con Hecuba, & altre
matrone Troiane la introduce a piangere la morte d'Hettore, & dire;
Già certamente hor fa il vigesimo
anno
Che di Grecia partendo io qui ne
venni.
Ma Eusebio nel libro dei tempi
dice ch'ella nel primo anno del Reame d'Agamennone fu rapita da Alessandro,
& che nell'anno quintodecimo dell'istesso Agamennone, Troia fu presa, &
ruinata: cosi vengono a discordarsi. Servio poi mette discordia dell'età
d'Helena. Percioche essendo stati i suoi fratelli degli Argonauti, &
havendo rihavuta quella rapita da Theseo, il quale era stato suo contemporaneo,
& indi dai figliuoli degli Argonauti esser stata fatta la guerra Thebana, i
figliuoli de quali vennero poi all'impresa di Troia per la rapita d'Helena, a
lui pare molto confarsi, tenendo quasi, ch'ella fosse vecchia. il che a me cosi
non pare. Percioche si come si vede per le parole d'Eusebio Helena fu rapita da
Theseo nel decimosesto anno del suo Reame, ch'era negli anni del mondo
tremilanovecentoottantanove, & allhora Helena era fanciullina. Poscia, fu
rapita da Pari nel primo anno dell'imperio d'Agamennone, che fu negli anni del
mondo quattromila, & sette; & cosi tra la prima presa, & la seconda
non vi fu maggior spatio, che di ventitre anni, onde Helena poteva haver
trent'anni in circa quando da Pari fu rapita; nella qual età le donne nobili,
& d'ingegno acuto fanno la sua bellezza piu riguardevole, aggiungendo con
l'arte quello, che le pare, che l'età le toglia; percioche con la isperienza
delle cose fatte dottoresse sanno comporre licori, & empiastri, che non
solo le accrescono la bellezza, ma anco alle volte rendono forze alla
deformità. Nondimeno costei presa Troia, & restituita al suo Menelao, dalle
fortune del mare quà, & là gittata prima fu portata in Egitto, regnando ivi
Tuori, il quale da Homero nell'Odissea è chiamato Polibo, indi ritornò con
Menelao in Lacedemonia.
Clitennestra secondo alcuni, come
di sopra è stato detto, fu figliuola di Giove, & Leda, & nata insieme
con Helena in un'uovo. Costei fu moglie d'Agamennone, & di lui partorì
molti figliuoli. Finalmente essendo andato capo dell'essercito alla guerra
Troiana, morto già Palamede da Greci (si come piace a Leontio), per conforti
del vecchio Nauplio venne ne gli abbracciamenti d'Egisto Sacerdote già
figliuolo di Thieste; onde ritornando Agamennone vittorioso verso la patria,
& menando seco (si come dice Seneca Poeta nelle Tragedie) Cassandra
figliuola di Priamo, che in preda gli era toccata, ò per l'imaginatione
dell'adulterio, ò consapevole della commessa scelerità, ò per ira della menata
concubina, come piace ad alcuni, nel convito dei sacrifici il fece ammazzare.
Ma Seneca ivi dice, che ella, havendoli persuaduto, che si disarmasse, gli
apparecchiò un vestimento, che non havea essito alcuno da por fuori il capo,
onde essendosi vestito le braccia si ritrovò come legato; di che l'adultero,
che nella camera era nascosto lo ammazzò, & medesimamente fece amazzar
Cassandra, di che subito morto occupò il Palazzo, dove havendo insieme con
Egisto regnato sette anni, da Horeste insieme con Egisto fu amazzata.
I Palisci furono due fratelli (si
come nel libro dei Saturnali afferma Macrobio), & figliuoli di Giove, &
di Thalia ninfa, de' quali recita favola tale. Nella Sicilia v'è il fiume Simeto.
Appresso questo la ninfa Thalia fu ingravidata da Giove; di che havendo tema
dell'ira di Giunone desiderò, che la terra l'inghiottisse. Il che fu fatto. Ma
venuto, che fu il tempo di partorire i fanciulli ch'ella teneva nel ventre la
terra s'aperse, & dell'alvo materno di Thalia uscirono due fanciulli, che
furono chiamati Palisci, & subito in quel fiume si cacciarono, i quali cosi
furono nomati, perche prima furono inghiottiti dalla terra, poscia gittati
fuori, entrarono di nuovo ad affogarsi, & si fecero in un laco, che sempre
bolle nel fondo; & quelle tali acque sono chiamate Cratere, & per nome
le dicono Delli, istimando, che siano fratelli de i Palisci; onde sono tenuti
in grandissima riverenza, & spetialmente per li giuramenti. Questo dice
Macrobio. Questi, si come assai si puo comprendere per Macrobio, fe un'Altare,
& un Sacerdote, dove si vedevano maravigliose cose. Percioche Aristotele in
quel libro che egli scrisse delle cose maravigliose da udire dice; Nel Palisco
di Sicilia v'è un'acqua di dieci cubiti, la quale da due gorghi uscendo malto,
mentre si rimira, pare che voglia sommergere un campo ivi vicino, ma cadendo
dritta nel primiero stato ritorna, dove ivi si deve una certa cosa divina,
attento che se alcuno descrive sopra una tavoletta il giuramento di quella cosa
che ci vorrà, & metterà quella sopra
l'acqua; se il giuramento sarà giusto, la tavoletta nuoterà; se ingiusto si
affonderà; & oltre ciò il periuro di maniera si gonfia, che il sacerdote
del luogo non trova cosa per curarlo. Ma Macrobio afferma, che se fosse
differenza tra alcuno, ò di furto ò d'alcuna altra cosa, & lo accusato
dicesse, che appresso lo Cratere col giuramento volesse giustificarsi, rimasti
d'accordo vi andavano; se colui, che giurava giurava giustamente, & fosse
innocente si partiva senza offesa, ma il falso giuratore era poi nel laco della
vita privo. Veramente sono cose maravigliose, & grande era dello antico
inimico la potenza in questi tali. Perche adunque siano detti figliuoli di
Giove, & la madre fosse inghiottita dalla terra Theodontio produce questa
ragione. Dice, che non lontano da Palermo vi era una sporca Cloaca, che si
dimandava Thalia, nella cui tutta l'acqua, che per la pioggia da quella parte
del monte Etna soccadeva, ivi scendeva, & faceva suo capo; onde tutto
quello, che si ritrovava gittato in quella caverna, non molto da poi pareva,
che andasse nei laghi overo ne i fonti Palisci, che bolleno: la onde pareva,
che la pioggia, la quale vogliono essere nata da Giove, cioè per opra
dell'aere, si nascondesse in quel luogo sotterra, & di nuovo nel laco de'
Palisci nascesse; & cosi da Giove essere nati i Palisci.
Iarba Re de' Getuli fu figliuolo
di Giove, & di Garamantide ninfa, si come testimonia Virgilio, dove dice;
Questi nati d'Amone, & della
ninfa
Garamanta, qual fu da lui rapita.
Paolo poi dice ch'egli fu
figliuolo di Giove, & della figliuola del Re Bisalpo, con la quale giacque
Giove in forma di Montone. Ma di questa cosa l'honorato Andalone narra favola
tale. Giove ritornando dal convito degli Etiopi havendo veduto sulla riva del
fiume Bragada Garamantide ninfa bellissima, che si lavava i piedi, essendo di
natura libidinoso subito desiderò congiungersi con lei; ma la donzella
veggendolo venire verso lei, tutta smarrita volse incominciar a fuggire ma un
gambero, ch'era nell'acqua vicino a suoi piedi, la pigliò nel dito minuto d'un
piede, & per la doglia la fece ivi alquanto dimorare, onde cercando di levarselo
dai piedi fu sopragiunta da Giove, il quale giacendo seco la impregnò, &
per tale congiungimento partorì Iarba. Giove poi lo ricevuto servigio dal
gambero pose quello in Cielo, & il fece un segno del Zodiaco, quale
propriamente si dice Cancro. Leontio dice Iarba essere creduto vero figliuolo
di Giove &quando egli circondando il mondo con la sua libidine macchiò
tutti i luoghi; & Garamantide essere stata figliuola di Garamante Re de'
Garamanti, da lui nella ripa del Nilo trovata, & violata. Il che io intendo
farsi al tempo del solstitio estivo; & perciò è stato finto la donzella per
lo caldo sulla riva del fiume andata essere stata dal Cancro ritardata.
Theodontio dice, che Iarba fu figlio del Re Garamante, ma chiamato di Giove
perche guidò i Getuli dalle ultime solitudini d'Ethiopia, & arene secche
nel lito d'Africa, & ammaestrò quelli in molte cose appartenenti al vivere
humano. Oltre ciò, il già detto Paolo diversamente di questo Iarba altrove
scrive. Egli dice haver letto Garamantide essere stata bellissima, & nobile
donzella di quel paese, la quale per lo caldo della state dimorando sulla riva
d'un fiume fu presa dal Re Amezetulio, & ingravidata; a cui partorì Iarba.
Et però, secondo lo antico costume, dagli habitatori a quali doppo la morte del
padre signoreggiò, fu chiamato overo creduto figliuolo di Giove, attento che
con ottimi instituti ridusse i fieri costumi loro in piu benigni. Questi,
secondo Virgilio, desiderò per moglie Didone.
Testimonia Agostino nel libro
della Città d'Iddio Mena essere stata figliuola di Giove, cosi dicendo. Ma vi è
la dea Mena, la quale è sopra i fiori del menstruo, & fu figliuola di
Giove, ma ignobile. Papia dice costei essere la Luna; benche Varrone attribuisca
questo ufficio a Giunone, come nell'istesso afferma Agostino. Istimo, che sia
stata attribuita per figliuola a Giove perche da Giove è causato il menstruo,
conciosia, che Men in greco suona difetto; il quale è in questa parte delle
donne, nell'utero delle quali la provida natura in nodrimento del parto serba
il sangue purissimo. Il quale fra un mese, non ingravidando la donna, dal
calore naturale, per lo quale si comprende Giove, si corrompe, & corrotto
si manda fuori.
Mirmidone (secondo Isidoro dove
tratta delle Ethimologie, et doppo lui secondo Rabano) fu figliuolo di Giove,
& Corimosa ninfa, & da lui vogliono che i Mirmidoni fossero detti;
attento, che fu loro capo, & anco (secondo Rabano) dopo Cecropo fu Re
d'Atheniesi. Ma Servio ha tenuto altra opinione del nome de i Mirmidioni.
Percioche dice nella regione d'Athene essere stata una fanciulla chiamata
Mirmice, la quale per la castità, & diligenza era molto grata a Minerva; ma
avenne ch'ella dimostrò a tutti l'aratro di Cerere da Minerva per dispetto
nascosto; la onde Minerva molto sdegnata la converse in formica, & la
condennò a non restar mai di non fare adunanza di grano: la quale havendo
generato molti figliuoli, avenne, che morendo i Thessali, sudditi ad Eaco
figliuolo di Giove, di quelle formiche trasformate in huomini furono
restaurati, laonde furono detti Mirmidoni, perche le formiche erano chiamate
Mirmici da Mirmice, fanciulla conversa in formica. Ma io tengo, che Mirmidone
fosse qualche huomo famoso, per li cui meriti fu nomato figliuolo di Giove.
Fu Xanto Fiume figliuolo di
Giove, si come nella Iliade testimonia Homero, dicendo;
Del rivolgente Xanto generato
Da l'immortale, & glorioso
Giove.
Questo fiume correva appresso
Troia, & si coniunge col Symoi vicino al mare, & con quello corre.
Questo fiume è maggior di fama, che di onde, & Homero finge ch'egli fece
molte cose contra Greci. Ma egli è da maravigliarsi, che Homero altrove habbia
detto tutti i fiumi essere figliuoli dell'Oceano, & qui dica il Xanto
essere figlio di Giove. il che veramente non è fatto inavertentemente. Alcuni
dicono, che il Xanto è piu tosto torrente, che fiume, tra quali è Lucano,
dicendo:
In un serpente rivo in polve secco
Ritornat'era quel, che fu già
Xanto.
Però, crescendo piu tosto per
pioggie, che per fonte è figliuolo di Giove, & non dell'Oceano, cagionandosi
le pioggie nell'aere, che è Giove; dalle quali vengono i Torrenti.
Barlaam dice, che Lucifero è
figliuolo di Giove, & dell'Aurora, & che amò Trachina ninfa, della
quale violata da lui ne hebbe due figliuoli, cioè Ceoim, & Dedalione.
Istimo, che costui fosse huomo benigno, & piacevole, & perciò detto
figliuolo di Giove. Che poi la madre di lui fosse detta l'Aurora, penso per
questo; perche Venere, che la mattina precedendo al Sole, & l'Aurora, si
dice Lucifero, pare nascere dal seno dell'Aurora; la onde tengo, che sia tratto
dalla conformità de i costumi; & si come Lucifero è celeste, cosi questi
dell'Aurora è detto figliuolo, & perche signoreggiò alla Provincia
Trachina, fu finto, che giacque seco, & n'havesse due figlioli.
Dedalione fu figliuolo di
Lucifero, si come testimonia Ovidio dicendo;
Era veloce, & molto fiero in
guerra,
Dotato di gran forza, nominato
Dedalion per nome, che fu figlio
Di quello padre, il qual l'Aurora
chiama,
Et esce
dopo lei fuori del Cielo.
Di costui l'istesso Ovidio recita
favola tale; Che havendo egli una figliuola chiamata Lichione, che per la sua
bellezza molto piacque a Febo, & a Mercurio, ella levatasi in altezza hebbe
ardire parlar contra Diana, onde avenne, che da lei fu con le saette percossa,
& morta. Di che celebrandosi le essequie funerali di lei, piu volte
Dedalione per lo dolore si volse gittare nel rogo dove si abbrugiava il corpo
della figliuola; ma essendo tre volte ritenuto, la quarta ostinatamente
correndo verso il fuoco prima, che ivi giungesse fu converso in Sparvieri, onde
quelli costumi ch'egli havea essendo huomo, mantenne anco uccello. Theodontio
levando il velo a questa fittione riferisce una historia, dicendo; Che Lichione
si maritò in Penio Epidaurese, & che Penio fu raccolto, & molto
honorato Dedalione padre di lei, huomo rapacissimo; il quale perciò era stato
scacciato dal fratello Ceice. Ma essendo morta la figliuola, & mancando la
speme del parentado, ritornando nell'antico costume fu detto essersi cangiato
in Sparvieri.
Lichione fu figliuola di
Dedalione; la quale di quattordici anni essendo bellissima, & da molti
dimandata per moglie, come dice Theodontio, si maritò in Penio. Indi ritornando
Mercurio dal monte Cilleno, & Febo da Delfo, veduta la loro bellezza
amendue s'accessero di lei, & separatamente le dimandarono di giacer seco.
Ma Apollo indugiò fino alla notte per havere il suo intento. Tuttavia Mercurio,
non potendo tardar tanto, toccò la donzella col caduceo, & la fece
adormentare, & cosi dormendo usò seco, & si partì. Ma venuta la notte,
Apollo cangiatosi in una vecchia se n'andò a lei, & giacque seco; di che
avenne ch'ella d'amendue s'impregnò, & di Mercurio partorì Antiloco, il
quale in processo di tempo non degenerando dal padre divenne eccellentissimo
ladro. Di Febo poi partorì Filemone, il quale fu molto eccellente nella cettra,
& in versi. Ma costei, per la generosa prole, & perche havea piacciuto
a cosi eccelsi Dei, levatasi in superbia, hebbe ardire anteporre la sua alla
bellezza di Diana; laonde Diana sdegnata con le saette la amazzò. Sotto la
corteccia della qual favola quello che vi si nasconda, di sopra parlando di
ciascuni di loro egli s'è mostrato. Lichione poi amazzata da Diana non istimo
esser altro, eccetto, che in lei oprando gli humori frigidi se ne morisse.
Ceice Re della Trachinna terra fu
figlio di Lucifero. Onde cosi dice Ovidio.
Questo Ceice del qual fu genitore
Lucifero, reggeva senza forza,
Et senza occisione il suo reame;
E in lui splendeva lo splendor
paterno.
Era adunque, si come l'istesso
Ovidio scrive, di questo bello, & pio huomo moglie Alcione, da lui molto
amata, et che molto amava lui; la quale, volendo egli andare all'oracolo d'Apollo
Clario, ne potendo fare il viaggio per terra per rispetto della guerra di
Forbante, a suo maggior potere fare resistenza, che non entrasse in mar. Ma
Ceice piu tosto volendo esseguire il suo desiderio, che compiacere alla moglie,
nè prestarle fede, montato sopra una nave pigliò il viaggio. Nè molto navigò,
che si levò una grandissima fortuna per la quale il legno si ruppe, & egli
dall'onde fu annegato. Ma Alcione rimasta a casa, giorno, & notte con
preghi, & sacrifici per la salute del marito honorava Giunone; la quale piu
non potendo sopportare le vane preghiere della divota donna andò alla casa del
sonno, & ritrovò Morfeo, uno dei ministri del Sonno, il quale ha potere
pigliare tutte le diverse sembianze humane; pregandolo, che in sonno annunciasse
ad Alcione quello, che era avenuto al marito di lei. Il che fatto, Alcione
mesta, & afflitta la mattina correndo al lito, presaga di quello, che in
sogno havea la notte visto, a caso trovò il corpo del marito ivi dall'onde del
mare gittato. Il quale veduto, mentre non potendo piu sopportare il dolore
voleva gittarsi nel mare, per misericordia delli Dei, & di Lucifero,
amendue cosi il morto corpo come Alcione, si cangiarono in uccelli, che tengono
il nome della donna, & fin al dì d'hoggi habitano appresso i liti, & i
mari. De quali nell'Hexameron Ambruogio dice, che hanno quel spatio di tempo
deputato da i parti, quando fieramente il mare si leva, & piu fiere onde
percuoteno ne i litti; cosa, che è maravigliosa, che dice, che poste le uova
nel lito, subito il mare si fa benigno, & tutte le fortune cessano, fino
attanto, che per spatio di sette dì con le uova, & nascano gli uccellini,
& che per sette giorni gli nodrisca. Cosi il mare per spatio di quattordici
giorni stà queto, et si mostra benigno a questi uccelli, cosi volendo Iddio; i
quali giorni da i nocchieri sono chiamati Alcioni. Questo dice Ambruogio; il
che se un Poeta l'havesse detto, istimerei favoloso. Theodontio afferma questa
historia, & quello, che è scritto appresso il fine della fittione, dice essere
stato detto per lo caso, & nome della donna. Percioche forse a quel tempo,
mentre il gittato corpo di Ciece dall'onde cacciato fu nel lito, & che
Alcione afflitta dal dolore si tormentava, quelli uccelli c'havevano il nome
d'Alcione vi apparvero. Laonde da tutti fu detto i morti essersi cangiati in
quelli uccelli.
Orione fu figliuolo di Giove, di
Nettuno, & di Mercurio, secondo Ovidio. Ma perche le cose communi sono
solite essere nomate dal piu degno, piace a Theodontio che egli solamente sia
detto di Giove. Nondimeno, benche gli antichi siano d'accordo della origine,
del processo, & essito della vita discordano. Attento che di lui Ovidio
prima recita favola tale, cioè che, cercando la terra Giove, Mercurio, et
Nettuno, avenne, che sovragiunti dalla notte, nè sapendo ove alloggiare,
entrarono in un picciolo tugurio del vecchio Hyrei, lavoratore d'un campicello;
il quale non gli conoscendo, altrimenti benignissimamente gli raccolse, ma
tosto, che s'avide ch'erano Dei, amazzato un Bue a quelli fece sacrificio. Per
la qual divotione Giove mosso gli disse, che dimandasse quello, che disiava;
onde egli rispose, che non havea moglie, & che alla prima, che gli era morta
havea promesso non ne pigliar altra, ma, che disiava un figliuolo. Di che Giove
con gli altri due dei pigliarono il cuoio del morto Bue, & in quello
pisciando il diedero al vecchio, che gittandovi sopra della terra il lasciasse
stare diece mesi coperto. il che fatto, in capo del termine ne uscì un
fanciullo, che fu chiamato Orione; il quale cresciuto in età, & nella
caccia divenuto compagno di Diana, fidandosi troppo in sé stesso hebbe
ardimento dire non esser nessuna fiera, che da lui non fosse vinta. Per la qual
cosa i Dei mossi fecero, che in breve la terra mandò fuori un scorpione, dal
quale fu superato, & morto. Onde latona figlia di Satellito, & di lui
havendo compassione il portò in Cielo, & il fece un segno celeste appresso
il Tauro, & vi pose appresso il suo cane chiamato Syro. Questo narra
Ovidio. Ma Servio dice, che questo avenne al Re Enopione, il quale grandemente
desiderò congiungersi con Diana; dalla cui (testimonio Horatio) con le saette
fu morto. Onde medesimamente a ciò si conface Homero, mentre dice, che per
invidia degli Dei appresso Ortigia da Diana con le saette fu amazzato. Ma egli
fu morto dallo Scorpione mandato da Diana, & che per misericordia degli Dei
fu assunto in Cielo, & fatto il segno delle fortune. Nondimeno Servio altrove
di lui tiene diversa openione, dicendo, che quello, essendo tenuto figliuolo
d'Enopione, & essendo di grandissima statura, divenne eccellente
cacciatore, ma volse vitiare la figliuola d'Enopione; per la qual cosa da
Enopione fu privato degli occhi: onde poi hebbe per oracolo, che s'egli andasse
per lo mare di tal maniera verso l'Oriente, che sempre havesse le concavitadi
degli occhi dirimpetto ai raggi del Sole, che potrebbe rihavere la luce. il che
egli si sforzò di fare; onde sentendo lo strepito dei fabricanti Ciclopi, con
la guida del suono pervenne a quelli, & pigliatone uno di loro sopra gli
homeri, che gli mostrava il camino, andando all'incontro del Sole rihebbe la
luce. Questa favola adunque cosi diversa nasconde in sé, & la ragione
Fisica et l'historia. Percioche io tengo, che i poeti d'intorno la generatione
d'Orione vogliono dimostrare il principio della nostra, intendendo per Giove,
& Nettuno il callido, & l'humido essere congiunto con l'human seme. Per
lo cuoio del Bue, l'utero della donna; nel quale, poscia, che discende il seme
dell'huomo, se qualche naturale frigidità non sopravene, che al ventre stringa,
& chiuda l'entrata, & faccia adunare il seme insieme, là il seme non
starà nella matrice. La qual frigidità vollero, che fosse intesa per Mercurio,
che di complessione è freddo. Del cuoio poi coperto di terra, cioè circondato
dalla machina corporale, dopo dieci mesi n'esce il fanciullo. Ch'egli poi
cercasse usare con Diana, ciò si può intendere che, essendo Orione un segno
celeste, il quale incominciando mostrarsi circa il mese d'Ottobre, aviene, che
nascano pioggie, empiti di venti, & fortune, per le quali si fanno
innondatione, & movimenti di mare; & cosi pare, che in ciò egli voglia
superare la Luna, cioè Diana, la quale è cagione dei movimenti dell'acque. Ma
mancando la di lui potenza, & continuando quella della Luna, dimostra da
lei restar vinto; overo, durante il moto della Luna spesse volte aviene, che
gli empiti d'Orione si raffrenino et la fortuna sia ristretta; & cosi dalle
saette di Diana viene ferito. Che poi fosse vinto dal Scorpione uscito dalla
terra, la ragione è questa; La imagine d'Orione da gli antichi Astrologhi è
posta appresso il segno di Tauro, & nel mese d'Ottobre in Oriente appare;
onde allhora, si come è stato detto, incominciano le cattive stagioni, come
quasi egli le porti seco. La imagine poi di Scorpione è locata dall'altra parte
del Cielo; nè prima incomincia ascendere in Oriente, che Orione manca in
Occidente. Et perche circa il suo comparire cessano le pioggie, & le fortune,
& incomincia apparire il tempo chiaro, & la Primavera, fu detto
Scorpione haver vinto Orione; il qual Scorpione è stato detto essere mandato
dalla terra perche nasce di quella, overo perche levando di Oriente pare
ch'esca dalla terra; Che fosse privo degli occhi da Enopione, & le altre
parti favolose, s'appartengono poi all'historia; la quale Theodontio recita in
tal modo; dice, che Enopione fu Re di Sicilia, & Orione suo figliuolo,
giovane molto robusto, & gran cacciatore; il quale un giorno lasso per lo
caldo, & per le fatiche della caccia entrò in una grotta, &
adormentossi, onde in sogno gli parve Venere, che gli persuadesse che levandosi
da dormire si dovesse congiungere con la prima donna, che incontrasse: il quale
svegliatosi, & uscendo dell'antro s'incontrò in Candioppe sua sorella, che
medesimamente era a caccia; la quale pigliata da lui, & condotta nell'antro
fu spogliata del fior verginale, & impregnata d'un figliuolo, che fu
chiamato Hippolago. La qual cosa intesa da Enopione, & essendosi molto
sdegnato con Orione, il cacciò in essilio. Di che egli privo della speranza di
regnare andò a consultarsi con l'oracolo, dal quale gli fu risposto, che
andando verso Oriente ricuperarebbe lo splendor reale. Il quale montato in Nave
insieme con Candiope, & col figliuolo, per opra d'un buon Nocchiero fu
condotto in Thracia; dove col valor suo, & col favor del Cielo havendo
soggiogato gli habitatori fu molto istimato, & detto figliuolo di Nettuno.
Onde credo, che senz'altro sia assai chiara la intention delle fittioni.
Hippolago come di sopra si vede
fu figliuolo d'Orione, & Candiope, del quale in tutto non mi ricordo haver
letto altro eccetto, che generò Driante.
Fu figliuolo Driante di
Hippolago, si come testimonia Statio, dove dice.
Indi move l'horribile Driante,
Che dal fiero Orione origin'hebbe.
Espone Theodontio, che mediante
Hippolago, di cui figliuolo, hebbe origine da Orione. Questi fu nella guerra di
Thebe, & favorì alle parti d'Etheocle, dove in battaglia havendo a morte
ferito Parthenopeo (come piace a Lattantio), da Diana con le saette fu
amazzato: fu di lui moglie Clustimena di Colcho, dalla cui hebbe per figliuolo
Licurgo.
Secondo Homero nella Iliade,
Licurgo fu figliuolo di Driante. Di costui narrano molte cose. Dice l'istesso
Homero nel medesimo luogo, che costui perseguitando le nutrici di Bacco, che
stavano nascoste nella Nisa, & per tema Bacco essendo fuggito in mare,
Licurgo divenne in odio ai Dei, i quali il privarono della luce. Ma Servio
dice, che sprezzando costui Bacco, & dandosi ad intendere di sapere da sé
stesso governar le viti, da se si tagliò una gamba. Lattantio poi vuole ch'egli
fosse di Thracia Re, & gittato in mare percioche fu il primo, che misciasse
il vino con l'acqua; & una cosa cosi sincera, & delicata guastò con
molti veneni. Le quai cose tutte contrarie, in tal modo si ponno ridurre in
una. Dice Servio, che costui fu usato all'acqua, & però sprezzava il vino;
laonde dagli Dei fu accecato, attento, che non conoscesse la bontà di cosi
famoso licore moderatamente usato. Il quale essendo da lui sprezzato, tagliava
le viti; di che finsero, che a se tagliasse le gambe, percioche il gusto del
vino rende gli huomini al tutto piu pronti. Che poi fosse gittato in mare, non
è altro eccetto ch'egli per la sua semplicità dalla natura delle cose fu
sententiato a bere sempre acqua, rifiutando in tutto il vino. Overo altrimente.
Vogliono, che costui fosse sprezzatore di Bacco perche, essendo grandissimo
bevitore, pareva, che sprezzasse le forze del vino; onde per lo soverchio bere
perdete il lume dagli occhi; il che aviene a molti. Che poi si credesse
tagliare, ciò non vuole significar altro eccetto, che bevendo molto si credeva
mettecarestia nel vino; ma si tagliava le gambe, cioè si privava delle forze,
si come spesso veggiamo occorrere agl'ebbri mentre carichi di vino vanno
traballando. Che anco fosse gittato in mare, è stato detto perche essendo il
mare salso, & la salsedine concitando maggior sete, questi tali bevitori
quanto piu beono tanto piu hanno sete, onde sono gittati in mare, cioè paiano
posti in perpetua sete.
Angeo secondo Lattantio fu
figliuolo di Licurgo, si come anco pare, che voglia Statio, dove dice
Veggiamo dalla mura il fiero Angeo,
Che i figli d'Eaco minacciando
stassi.
Et quello, che segue. Ci pare
adunque, che fossero degli Argonauti; laonde non tengo, che fosse figlio di
costui, attento, che leggiamo Driante padre di Licurgo essere morto nella
guerra Thebana, la quale fu molto da poi. Oltre ciò, Isidoro dove tratta delle
Ethimologie dice, che costui edificò Samo; onde si viene a vedere, che fu piu
antico di Licurgo.
Dice Papio, che Arpalice fu di
Thracia, & figlia di Licurgo, & nelle caccie molto valorosa; della
quale dice Virgilio;
Overo come Arpalice a Cavallo
Con tanta fretta corre, che
trapassa,
Et a
dietro si lascia il veloce Hebro.
Fillide, come dice Ovidio nelle
Pistole, fu la figlia di Licurgo Re di Tracia; alla quale, dopo la ruina di
Troia da venti, & da fortuna cacciato essendo pervenuto Demofonte, da lui
fu alloggiato, & tolto in letto; & per la morte di Mnesteo Re d'Athene
volendo ritornare nella patria, racconciate le navi, & tolta licenza da lei
per un certo spatio di tempo fu lasciato partire. Ma non ritornando al debito
tempo, & ella non potendo sopportare piu la lontananza (come vogliono
alcuni), con laccio finì la sua vita. Altri poi dicono, che volendo gittarsi in
mare, per compassione degli Dei fu conversa in un mandolaio, & che
finalmente ritornando Demofonte mandò fuori i suoi fiori. Della qual fitione la
ragione può essere tale. Il mandolaio in greco si dice Filla, nel cui restò il
nome della morta Filli. Questo tale albero soffiando Zefiro, che è vento
Occidentale, & andando in Traccia, passa per lo paese d'Athene; fiorisce,
essendo proprio di questo vento di maniera favorire alle piante, & all'herbe,
che fioriscano. Et di qui la favola hebbe luogo, cioè Fillide allegrarsi, &
fiorire per lo ritorno dello inamorato da Athene.
Minos è stato detto figliuolo di
Giove, & Europa, la quale fu da lui rapita nel lito di Fenicia, si come
parlando di lei è stato narrato di sopra. Questi homai d'età provetto tolse per
moglie Pasife figliuola del Sole, & di lei n'hebbe figliuoli, &
figliuole. Tra quali vi fu Androgeo, giovine di gran speranza, il quale da
Atheniesi, & Megaresi per invidia fu morto, attento, che nella palestra
havea superato tutti gli altri per vendetta della morte; del quale Minos mosse
guerra contra loro d'intorno al cui principio, & in continuatione avennero
alcune cose, delle quali si è trattato dove si parlò di Pasife, & Theseo.
Ma prima dell'altre cose, Minos per tradimento di Scilla figliuola del Re Nisso
soggiogò i Megaresi, & indi vinti gli Atheniesi a sé gli fece tributari.
Finalmente fece rinchiudere Dedalo insieme col figliuolo Icaro nel Labirinto,
percioche havea prestato aiuto all'adulterio di Pasife; ma essendone volato
fuori, egli pigliate l'armi gli perseguitò fino in Sicilia, dove (come nella
Politica piace ad Aristotele) appresso il castello di Camerino dalle figliuole
di Crotalo fu morto. Doppo la cui morte i Poeti il fecero giudice dell'Inferno,
come dice Virgilio.
Essamina gli errori il gran Re
Minos,
Et il vaso movendo aduna l'alme;
Da le
quali lor vita, & opre intende.
Le quali cose, essendo tutte
piene d'historie, & fittioni, sono alquanto per ordine dichiarate. Che
Minos adunque sia tenuto figliuolo di Giove, sono di quelli, che vogliono ciò
esser vero, ma di Giove huomo, & Re di Creta; il quale nel lito di Fenicia
andò a levare Europa, con la quale secretamente con messi s'era accordato di
pigliarla, & sopra una Nave la cui insegna era un Toro, overo, che la Nave
cosi era chiamata, la condusse in Creta. Onde fu finto ch'egli si cangiasse in
Toro; & ivi fatte le nozze in lui si maritò, & di quello partorì Minos,
& altri figliuoli. Sono poi di quelli, che vogliono ch'ella fosse rapita,
& vitiata da Giove, & poi maritata in Asterio Re di Creta, & che di
lui partorisse quei figliuoli c'habbiamo detto, si come nel libro dei Tempi
Eusebio scrive; onde se cosi è, è stato finto ch'egli fosse figliuolo di Giove
ò per aggrandire la sua gloria, ò perche nelle sue opre si mostrò simile al
Pianeta di Giove. Fu tra l'altre cose huomo a' suoi sudditi giusto, & per
giustitia severo, & a Cretesi diede le leggi, le quali anco non havevano
havuto; & affine, che da quel rozo popolo fossero accettate piu volentieri,
solo se n'andava in una spelonca, & come havea ordinato quello, che gli
pareva necessario, uscendo fuori gli dava ad intendere, che il padre Giove gli
havea commesso quella tal cosa, con la quale astutia, & forse, che avenne,
che per ciò fu tenuto figliuolo di Giove, le leggi da lui ordinate furono
havute in gran precio. Che poi fosse figliuolo d'Asterio, a noi pare, che per
modo alcuno il tempo non ce lo conceda, ritrovandosi, che Asterio regnò in
Creta nel tempo di Danao re d'Argivi, che fu cerca gli anni del mondo
tremilasettecento, & cinquantadue; essendo stata la guerra da lui havuta
contra Atheniesi nel tempo, che regnava Egeo, il quale signoreggiò circa gli
anni del mondo tremilanovecentosessanta. Che Dedalo poi volasse via, ciò fu
detto perche, trovate le galee lunghe, le quali con remi sono molto veloci,
secretamente come se volasse si partì. È poi chiamato giudice nell'Inferno
percioche noi mortali rispetto ai corpi sopracelesti siamo infernali, onde nel
dar leggi, si come fece, si può dire, che fu giudice dell'Inferno. Ma
certamente, egli non è da pretermettere quanto vanamente gli scrittori hanno
giudicato del tempo di costui. Si legge adunque appresso Eusebio, che Minos
regnò in Creta nell'anno decimosettimo del dominio d'Hircoo Re d'Argivi, il
quale fu l'anno del Mondo tremilasettecentonovantasei; nè molto da poi,
regnando Acrisio in Argo, da Cretesi fu rapita Europa, negli anni del mondo
tremilaottocentosessantanove, la qual differenza quanto sia contraria dalla
prima egli si vede. Conseguentemente ivi si scrive, che regnando Pandione in
Athene Europa fu rapita, il che puotè essere d'intorno gli anni del mondo quasi
tremilanovecentosedici; & questo tempo molto meglio si conviene, che gli
altri tempi detti di sopra con quelle cose, che di Minos si leggono. Percioche,
si come l'istesso Eusebio dice, che Paradio vuole, regnando Egeo in Athene
Minos ottenne il mare, & diede le leggi a Cretesi; il che si comprende, che
fu negli anni del mondo tremilanovecentocinquantatre. Et benche ivi si legga
Platone dire ciò esser falso, tanto nondimeno si conface con quelle cose, che
da Filocoro nel libro d'Attide del Minotauro si scriveno, che piu non
potrebbono essere conformi, come, che alquanto discordino da quelle, che poscia
sono recitate da Eusebio, il quale afferma l'anno LXI dell'imperio di Atreo
Minos in Sicilia haver pigliato l'armi contra Dedalo. il che secondo la
computatione del tempo fu negli anni del mondo quattromila, & due; la qual
cosa è molto lontana dagli altri Tempi, come, che è anco possibile ch'egli
havesse vivuto tanto, se non vi fossero in contrario i tempi dei successori, si
come si vedrà poi. Quello, che s'apartiene poi al Toro, & a Pasife, egli
s'è detto di sopra dove s'è trattato di Pasife.
Fu Androgeo figliuolo di Minos,
& di Pasife, & giovane di molta virtù; il quale in Athene nella
palestra superando tutti, fu da Atheniesi, & Megaresi morto per invidia.
Onde per vendicarlo il padre mosso amazzò Niso Re de Megaresi, & con crudel
guerra vinse gli Atheniesi, & a sé gli fece tributari.
Glauco secondo Servio fu
figliuolo di Minos, ma di qual madre no'l dice; il quale venendo in Italia
voleva l'imperio di quella, ma però non gli fu concesso, conciosia, che non
insegnò a gli habitatori alcuna cosa degna, si come havea fatto il padre, che
trovò il costume della cinta a quegli huomini ch'andavano discinti. Laonde
costui mostrò a quelli lo scudo, dal quale anch'egli fu detto Labico, & i
popoli Labici. Cosi si vede, che Minos alquanto regnò in Italia; di che mi
maraviglio, & sospetto, che i corrotti vocaboli non facciano essere anco
l'historia corrotta.
Arianna fu figliuola di Minos,
& Pasife, si come spesse fiate dimostra Ovidio. Costei s'inamorò di Theseo,
mandato da Atheniesi in Creta; onde essendosi seco segretamente congiunta,
& havendole egli promessa la fede di torla per moglie, & menar seco
Fedra sua sorella per Hippolito, gli insegnò la via di poter entrare nel
labirinto, vincere il Minotauro, & con la guida d'un filo d'indi uscire. Il
quale havendo condotto a fine ogni cosa, tolse di notte in nave Arianna, &
Fedra, segretamente spiegando le vele alquanto si partì; & nell'isola di
Chio (come dice Ovidio) overo di Naso (secondo Lattantio), la notte partendosi
lasciò Arianna, che dormiva, la quale svegliata et veggendosi ivi abandonata,
& sola, con gridi, & feminili pianti incominciò far risuonare tutti
que' lidi. Onde Bacco a caso d'ivi navigando, & veggendo costei s'inamorò
di lei, & la tolse per moglie, & di lei, come piace ad alcuni, hebbe
Thoante Re di Lenno. Ma havendo Bacco vinto il Re degl'Indi, & essendosi
inamorato d'una figliuola di quello, Arianna per ciò molto si dolse; di che
Bacco con carezze, & abbracciamenti havendola mitigata inalzò fino in Cielo
la corona di lei, la quale prima Vulcano havea fatta & donato a Venere,
& Venere poi l'havea conceduta ad Arianna. Et cosi la ornò di nuove stelle,
& la chiamò Arianna, & libera, trahendola, & congiungendola
appresso di sé in Cielo, & facendone una imagine celeste. Ma io faccio
questa spositione. Naso, & Chio sono isole abondanti di vino, dal quale
tengo, che Arianna si lasciasse convincere, & che però ebbriaca fosse ivi
da Theseo lasciata; onde, perche poscia si diede in preda al soverchio bere, fu
detta moglie di Bacco. Indi, perche ogni honestà della donna dal vino è
corotta, da Venere le fu donata una corona, cioè l'insegna di libidine; la quale
vien portato fino al Cielo, cioè in notitia d'ogn'un. Né solamente il
vergognoso dishonore dell'infamia portato per le bocche degl'huomini; ma
oprando il vino, la donna si lascia incorrere ne gli abbracciamenti di tutti.
Fedra fu figliuola di Minos,
& Pasife, si come assai per la fama antica è divulgato. Costei insieme con
la sorella Arianna, vinto il Minotauro, si partì con Theseo; onde si come è
stato detto di sopra, lasciata Arianna sopra un'isola divenne moglie di Theseo,
& di lui partorì Demofonte, & Antiloco. Finalmente, essendo Theseo
andato con Pirithoo nell'Inferno perapire Proserpina, Fedra s'innamorò del
figliastro Hippolito; alla cui libidine non volendo il casto giovanetto
acconsentire, ella assalita da rabbia al ritornar, che fece Theseo accusò
Hippolito, che l'havesse voluta sforzare. Laonde il giovane temendo l'ira del
padre, si come di sopra parlando di lui è stato detto, fuggendo fu dai cavalli
stracciato, & morto; onde venendo la nuova della di lui morte, Fedra tardi
pentita manifestò a Theseo la scelerità sua, & con la spada d'Hippolito se
stessa amazzò. Ma Servio dice, che con un laccio ella finì i giorni suoi.
Deucalione, si come piace nella
Iliade ad Homero, fu figliuolo di Minos, ma da qual madre non si sa. Nondimeno
si puote presumere suo successore, percioche Hidumeneo di lui figliuolo fu Re
di Creta.
Hidumeneo, secondo il testimonio
d'Homero, fu figliuolo di Deucalione. Questi insieme con Greci fece guerra
contra Troiani. Ma (secondo Servio) rovinata Troia, ritornando con le navi
verso la patria hebbe grandissima fortuna; onde fece voto agli Dei, che se il
lasciassero ritornar salvo nel suo reame, ch'egli a loro farebbe sacrificio di
quella prima cosa, che gli venisse inanzi. Di che essendo giunto in porto,
avenne, che prima di tutti il figliuolo per disio di rivedere il padre si gli
offerse; per la qual cosa (come dicono alcuni) havendolo immolato, overo (come
piace ad altri) volendolo sacrificare, da i Cittadini per tal crudeltà fu
cacciato. La onde essendo rimontato in nave, & havendolo il vento gittato
fino a Salentino promontorio di Calabria, ivi deliberò fermare il suo essilio;
di che non lontano dal lito per sé, & per li suoi edificò la città di
Pittiglia.
Orsiloco fu figlio d'Hidumeneo,
si come nell'Odissea scrive Homero dove scrive la di lui Genealogia,
incominciando da Giove fino ad esso. Questi havendo seguito il padre alla
guerra di Troia, & essendo il tutto succeduto prospero, per la sua
insolenza nella presa di Troia fu amazzato da Ulisse, conciosia, che s'opponeva
con tutte le sue forze per non lasciar dare la debita parte della preda a
quello.
Sarpedone secondo Homero fu
figliuolo di Giove, & Laodania figliuola di Bellorofonte, la quale openione
segue anco Servio. Ma pare, che Agostino tenga altrimenti, dicendo; In quelli
anni, cioè regnando Danao in Argo, da Xanto Re de' Cretesi, del quale appresso
altri habbiamo trovato altro nome, si trova essere stata rapita Europa, &
indi generati Rhadamanto, Sarpedone, & Minos, i quali sono chiamati dalla
maggior parte figliuoli di Giove, & di lei. Et quello, che segue. Altri
dicono, che furono figli d'Asterio, & per ciò io non tengo, che questo sia
quel Sarpedone, essendo stato quello molto tempo prima. Ma perche di quello non
si legge cosa alcuna, basterà haverci posto il nome; & di questo seguiremo
quello, che si scrive. Questi adunque fu Re di Licia, & seguitò la parte
Troiana contra Agamennone, & i Greci, & fu famosissimo guerriero, il
quale combattendo fece molte cose degne di ricordo, si come nella Iliade Homero
scrive. Finalmente fu morto da Patroclo, & per commandamento di Giove
d'Apollo fu levato il corpo di mezzo la battaglia, & nel fiume lavato,
& unto d'ambrosio licore, & con la real veste ornato, & dato ai
suoi, che vi facessero le pompe funerali. Onde, questo poco di figmento, che vi
è non vuole significaaltro eccetto, che per opera d'un Medico fu curato il
corpo, & con unguenti per conservarlo, tutto unto.
Antifate fu figliuolo di
Sarpedone; testimonio Virgilio dove dice;
Et Antifate il primo, il qual
diceva,
Se esser primo figlio della madre
Thebana,
& di Sarpedone alto, & degno.
Costui rovinata Troia venne con
Enea in Italia, dove combattendo contra Turno fu da quello amazzato.
Rhadamanto (si come tutti
vogliono) fu figliuolo di Giove, & Europa, regnando Danao in Argo; &
secondo Eusebio fu Re di Licia. Questi, essendo severo essecutore di giustitia,
fu da i Poeti finto, che stà nell'Inferno ad essaminare i peccati dei colpevoli.
Del quale Virgilio dice;
Rhadamanto è preposto a questi
regni,
Egli gastigha, e gli errori
intende,
Et con tormenti confessar ci sforza
Quei peccati, ch'alcuno in vita ha
fatto.
Dell'origine, & fittione di
costui, egli è da intendere l'istesso, che di Minos è scritto.
Acrisio secondo Ovidio fu
figliuolo di Giove. Di lui Ovidio parlando, induce Ulisse a ragionare con poche
parole della sua nobiltà verso Aiace in tal modo;
A me Laerte, ad esso Acrisio è
padre
E 'l sommo Giove a lui; nè fu tra
questi
Posto in
Essilio, ò discacciato alcuno.
Laerte, come è stato mostrato, fu
figliuolo d'Acrisio. Costui tolse per moglie Anticlia figlia d'Auttolico, &
di quella n'hebbe Ulisse, & le sorelle. Egli non vide andar volentieri
Ulisse alla guerra di Troia, si perche era vecchio, come anco perche ritornando
doppo molti travagli di mare fece vendetta di molte ingiurie.
Fu Echimene figliuola di Laerte,
si come nell'Odissea Homero dimostra dicendo;
Con Echimene insieme minor d'anni
Di tutte le figliuole di Laerte.
Costei, si come nel medesimo
libro si legge, fu data per moglie dal padre ad un certo per nome chiamato
Samnide.
Di Ulisse, famosissimo huomo
appresso gli antichi, è incerta la progenie. Percioche alcuni dicono ch'egli fu
figlio di Sisifo ladrone, tra quali è Servio, che dice, che Anticlia madre
d'Ulisse prima, che si maritasse giacque con Sisifo figliuolo di Eolo, &
s'impregnò d'Ulisse. Il che a lui gitta in occhio Aiace figliuolo di Thelamone,
mentre (in Ovidio) con ciò n'andò d'inanzi Greci, cosi dice.
Perche adunque di Sisifo fu nato,
E a lui simil nei furti, &
negl'inganni.
Il che anco afferma Theodontio,
dicendo, che Anticlia prima si maritò in Sisifo, ma, che lasciandolo, &
essendo già pregna si maritò in Laerte; nondimeno del concetto di Sisifo
partorì Ulisse. Ma Leontio dice, che essendosi Anticlia maritata in Laerte,
& andando a consultarsi con Apollo, fu presa da Sisifo ladrone, che poi fu
amazzato da Theseo, & da quello fu impregnata; onde per tale congiungimento
ne nacque Ulisse. Altri poi vogliono, che fosse figlio di Laerte, tra quali fa
testimonio Homero, Virgilio, & l'antica fama dei piu secoli invecchiata;
de' quali seguendo io l'auttorità dico, che Ulisse fu figliuolo di Laerte,
& fu huomo di gran consiglio, & di sublime ingegno; ma, che valesse piu
ò di frode ò d'ingegno, ciò è dubbioso. Spesse volte Homero chiamò costui
Multimodo, quasi come egli havesse molti modi per essequir tutte le cose.
Certamente egli patì molti travagli, & nondimeno con maravigliosa fortezza
gli avanzò tutti. Costui giovanetto tolse per moglie Penelope figliuola
d'Icaro, la quale per virtù, & pudicitia fu bellissima donzella, &
subito di lei hebbe un figliuolo Thelemaco. Finalmente essendo rapita Helena da
Pari, mentre Palamede facea la scielta de' Greci per andar contra Troiani (come
dice Servio), cercò fuggire tale occasione fingendosi pazzo; onde venendo in
Ithacia Palamede, egli fu ritrovato con diversi sorti d'animali sotto il giogo
nei campi seminar sale. Ma Palamede sospettando dell'astutia dell'huomo tolse
il piccolino Thelemaco, & per far prova dell'astutia dell'ingegnoso huomo
pose quello nei solchi dei campi, all'incontro dell'aratro dove seminava
Ulisse; il quale veggendo il figliuolino Thelemaco subito con l'aratro lo
schifò. di che conosciutosi, che non era pazzo fu sforzato andare alla guera,
dove grandemente, mentre durò l'assedio, mantenne l'amicitia con Diomede
Etholo. Et poscia, che per farsi benivoli i venti sotto spetie di nozze hebbe
condotto Ifigenia nel sacrificio, con gl'altri venne a Troia, dove con
grandissima astutia per ottener la vittoria de la guerra incominciata oprò
molte cose necessarie. Attento, che (come dice Theodontio) per opra sua avenne,
che Achille dalla madre tra le figliuole di Nicomede in habito di donzella
nascosto fu ritrovato, & anco condotto all'assedio. Per opra sua le saette
d'Hercole (senza le quali dicevano Troia non poter esser presa) con Oracolo
furono ritrovate, & da Filotete anco ottenute, & a Troia portate. Per
opra sua le ceneri di Laumedonte, che sopra la porta Scea d'Ilione con gran
guardia erano serbate, furono d'ivi levate. Doppo questo, egli insieme con
Diomede rubbò il fatale Palladio di Troia. Cosi anco amazzato Dolone, con
Diomede medesimamente divenuto spia, di notte tagliò la testa a Rheso Re di
Thracia, & condusse nell'essercito de' Greci i suoi cavalli bianchi pria,
che gustassero dell'acqua del Xanto. Et spesse volte, si come dice Servio,
vestitosi in habito d'un mendico, & povero, volentieri sopportò delle
ripulse, & delle busse per entrar in Troia a spiare quello, che si facesse,
& fedelmente riferì sempre quello, che havea veduto; dove tra l'altre, una
fu conosciuto da Helena. Oltre ciò essendo molto eloquente, & bel
parlatore, piu volte tra Greci, & il Re Priamo fece l'ufficio di legato,
per accordarli. Appresso, molte fiate dimostrò anco quanto nelle battaglie,
& in mezzo l'armi fosse valoroso. Cosi anco nei parlamenti, & consigli
molte fiate con la sua prudenza aiutò i Greci. Hebbe odio coperto contra
Palamede; percioche contra sua voglia il trasse alla guerra, & condusse di
Thracia buona copia di fromento, la qual cosa egli mandatovi non havea voluto
fare. La onde con inganno cercò farlo morire, si come è stato detto parlando di
Palamede. Ultimamente si crede, che costui facesse qualche trattato, onde ò per
opra di Sinone ò per qualche altro tradimento Troia fosse presa, &
rovinata. Indi presa Troia, egli venne in gara con Aiace suo figliuolo di
Thelamone per l'armi di Achille, le quali finalmente per la sua eloquenza gli
furono date. Oltre ciò, ammazzato Orsiloco figliuolo del Re di Creta, percioche
contrastava, che a lui non fosse data la parte della preda Troiana, si come si
faceva agli altri Prencipi, amazzata anco Polissena, & percosso ad un sasso
Astianatte, montò in nave per ritornar verso la patria. Ma fu molto vano il suo
pensiero, percioche assalito da molte fortune di mare, per spatio di diece anni
qua, & là in diversi paesi andò errando. Primieramente, dall'onde, & da
venti cacciato (si come egli stesso nell'Odissea narra ad Alcione Re di Feaci)
fu portato nel paese di Ciconij, i quali vinti da lui, & saccheggiata tutta
la città d'Hismaro, perduti pochi compagni, dalla fortuna fu guidato fino a
Lotofagi, onde non ritornando a dietro quelli compagni da lui ivi mandati a
spiare il luogo, fu portato di nuovo in Sicilia, dove con dodici compagni entrò
nell'antro di Polifemo Ciclope, de' quali il Ciclope havendone divorato sei,
egli con un tizzone affogato cavò l'occhio a Polifemo, & vestitosi delle
pelli dei castratti con l'avanzo dei compagni uscì dalla spelonca. Poscia portato
in Eolia, ottenne da Eolo i venti rinchiusi in uno utro; di che partendosi,
& essendo vicino ad Itacha slegò l'utro in presenza dei compagni, che si
credevano quello essere pieno di tesoro; per la qual cosa, soffiando il vento
contrario, di nuovo fu portato in Eolia, dove da Eolo cacciato via, & per
lo mare navigando, il sesto giorno arrivò da i Lestrigoni. I quali essendoli
contrari, perdute tutte le navi, & la maggior parte de i compagni, con una
sola nave capitò da Circe; la quale havendo cangiato i suoi compagni ch'erano
andati a investigare il luogo in fiere, egli da Mercurio havuto un Farmaco
arditamente se n'andò a quella, & col brando ignudo minacciò amazzarla se
subito non ritornava i compagni nelle primiere forme; il che fu fatto, &
dimorò seco per spatio di un anno, con cui hebbe un figliuolo detto Thelegono.
Ma havendo lasciato l'immortalità, fu ammaestrato della via c'havesse a tenere;
dove lasciato ivi Alpenore per violenza a caso morto, montò in nave, & con
prospero vento in una notte venne sino all'Oceano. Dove fatti quelli sacrifici,
che Circe gli havea insegnato se n'andò all'Inferno, & ivi ritrovò la madre
Anticlia, & Alpenore poco dianzi morto, con molti altri; di che fu avisato
da Tiresia indovino di molte cose. Indi ritornato alla nave, un'altra fiata
andò da Circe, & sepelì Alpenore. Cosi delle cose a venire da Circe
ammaestrato si partì, & giunse all'isola de le Sirene; onde accioche elle
non potessero ritenerli, fece, che tutti i compagni si stopparono con la cera
le orecchie, & fece, che legarono lui all'antenna della nave; laonde
cantando quelle, passò la pericolosa Isola. Oltre ciò, non senza grandissimo
pericolo, & commune fatica di tutti passò Cariddi, & Scilla. Indi
essendo giunto a quei luoghi dove le ninfe custodivano i gregi del Sole,
commandò, che alcuno non gli toccasse. Ma essendosi egli adormentato, & i
compagni havendo gran fame, Euriloco persuase ai compagni che togliessero degli
animali di quei gregi; il che fatto, & havendone quelli portato molti in
nave, subito si levò una fortuna tanto terribile, & crudele, che la Nave si
ruppe, & tutti i compagni furono morti, & dispersi. Ulisse solo ignudo,
essendosi pigliato all'arbore della nave, per spatio di nove giorni continui fu
dall'onde, & dal vento travagliato, & alla fine fu gittato appresso
l'Isola Ogigia, dove da Calipsone ninfa raccolto ivi per sette anni fu con
benigna accoglienza ritenuto: ultimamente, mal volentieri da lei havendo
impetrato di partirsi, & essendo insieme con i suoi compagni montato in
nave, Nettuno offeso da lui, percioche combattendo gli havea morto il figliuolo
Cigno, & havea fatto rovinar Troia da lui edificata, & indi havea privo
dell'occhio il figliuol Ciclope, fece, che l'impeto del mare fu tale che, rotta
la nave, egli fu costretto gittarsi ignudo nell'onde. Di che Leucothoe, havendo
compassione del misero abbattuto dal mare, gli prestò il suo velo con l'aiuto
del quale il terzo giorno essendo giunto al lito, & entrato nella bocca del
fiume de Fenici, ributtato il velo nel mare si pose ignudo tra le frondi dei
boschi; dove ritrovato da Nausitea figliuola di Alcinoo, hebbe vesti da
coprirsi; & per opra di Pallade fu condotto fino ad Arethi moglie del Re
Alcinoo, dal quale meritò ricever doni, & Nave, & compagni, che il
conducessero fino in Ithaca; laonde in Nave dormendo fu da Pallade avisato di
quello, che dovea fare. Per la qual cosa svegliato et smontato di Nave, si
transformò in un povero vecchio, & andò ritrovare i suoi lavoratori di
villa, dove vide il figliuolo Thelemaco, & parlò seco. Finalmente fu da
Siboote suo porcaio condotto nella patria senza essere da altrui conosciuto,
& nella propria casa sopportò alcune parole ingiuriose usategli da i Proci
di Penelope; dove poi fu da Eurichia sua nutrice riconosciuto. Di che Ulisse
subito insieme col figliuolo, & con due di suoi lavoratori prese l'armi
contra quei Proci, & dopo molto combattere gli amazzò tutti; benche
Theodontio dica, che gli cavò gli occhi, & che gli conducesse in tanta
miseria, che stavano nelle strade cercando un poco di pane per vivere. Qui,
poscia, che hebbe veduta Penelope, partissi per andare in villa a rivedere il
vecchio Laerte. Ultimamente, secondo Theodontio, restò smarrito per molti
horrendi sogni; de' quali cercando la interpretatione, hebbe in risposta, che
si guardasse dal figliuolo. Il quale partendosi, & istandosi in lochi
rimoti, & nascosti, quanto puotè si schifò dai portenti sogni. Ma
finalmente Thelegono, che a lui nacque di Circe, venendo in Ithacia per
ritrovarlo fu cacciato dalla casa di lui. Di che essendo giovane forte, &
animoso amazzò molti di quelli, che gli contrastavano; onde Ulisse pigliando un
dardo il lanciò contra quello. Ma Thelegono havendo schifato il colpo, prese
quel medesimo dardo, & il trasse contra il padre; per lo qual colpo
conoscendosi Ulisse vicino alla morte, dimandò a lui chi egli fosse. Onde
inteso c'hebbe il nome, & la patria, conobbe, che quello era suo figliuolo;
per la qual cosa s'avide non haver potuto fuggire il suo destino, & cosi se
ne morì. Ma Leontio dice ch'egli a caso fu morto da Thelegono, che cercandolo
il punse con una spina di pesce avenenata. Veramente lunga è l'historia di
costui, & brevemente narrata con alcune fittioni, per entro delle quali la
maggior parte per inanzi è stata esposta. Et però con poche parole veggiamo l'avanzo.
Et primieramente ciò, che intendino per gli utri con i venti rinchiusi, &
legati con una catena d'argento, la quale da i compagni fu sciolta. Homero
nell'Odissea vuole formare un huomo perfetto; & tra l'altre cose volendo
dimostrare quello, che dalla bontà divina a noi nascendo è donato, dice, che da
Eolo, cioè da Iddio, i venti cioè concupiscevoli appetiti sono rinchiusi in un
cuoio di bue, cioè infusi nell'arbitrio dell'età virile; la quale deve essere
forte, & costante, si come è il cuoio del bue; & questi tali sono
legati con una catena d'argento, cioè dalla famosa risonanza della chiara
virtù; la quale veramente non serba il cuoio da alcun'altro meglio fermato, che
di quello, che stà intento al divino amore; nondimeno questa catena è slegata
da i compagni d'Ulisse, cioè dai sensi dell'human corpo, che per nostra
dapocaggine signoreggiano alla ragione; & slegano questa catena istimando,
che nell'utro vi sia gran preda. il che significa, perche pensano essere di
gran lunga migliore, & piu dolce vita nei piaceri, che non sono sottoposti
a nessuna regola, che in quelli legati da salda ragione. Tuttavia slegati
questi, mentre si lasciavano cadere in questa e in quella lascivia si levano le
fortune, cioè i rossori, le riprensioni della conscienza, i travagli
dell'animo, le afflittioni, la miseria, le infermità, & mille spetie de'
mali, che ci allontanano dalla patria, cioè dalla quiete. Che poi andasse
all'Oceano, & che ivi per sacrifici gli fosse mostrato il camino
dell'Inferno, istimo ciò essere stato detto perche Ulisse in una notte
navigasse al lago Averno, nel golfo di Baia, dove morto Alpenore facesse quel
sacrificio nel quale l'anime si chiamano di sopra, & cosi da que' maligni
spiriti havesse notitia delle cose richieste. Il velo poi ad Ulisse rotto in
mare prestatoli da Leucothoe, istimo non essere stato altro, che la immobile
speranza ch'egli fissa teneva nel petto di fuggire quel pericolo. Questa oprò,
che non si disperando non pericolasse; la qual speme, poscia, che ottenne il
suo intento, lasciò adietro. Che poi spessissime fiate fosse da Pallade
aiutato, percioche da lei con l'avertenza sua ammaestrato, fuggì molti
pericoli, & molte cose oprò a lui necessarie.
THelemaco fu figliuolo d'Ulisse,
& picciolino dal padre lasciato alla madre Penelope; il quale insieme con
lei dai Proci havendo ricevuto molti oltraggi, alla fine insieme col padre a un
tratto si vendicò.
Telegono fu figliuolo d'Ulisse,
& di Circe; il quale cresciuto in età, & cercando vedere il padre, a
caso non lo conoscendo lo amazzò, dove ritornando in Italia edificò Tiburi,
c'hora si chiama Tivoli, si come dice Ovidio.
E già di Thelegono, & già le
mura
Di Tiburi vid'io, dove habitava
La rozza
gente, che vi pose mano.
Ma Papia dice ch'egli edificò
Tusculo.
Ausonio fu figliuolo d'Ulisse, si
come scrive Paolo Lombardo in quella historia ch'egli scrive de fatti di
Longobardi; dicendo tutta l'Italia di lui essere stata nomata Ausonia. Ma Tito
Livio mostra volere altrimenti nel libro ottavo dell'edificatione di Roma, dove
dice; Minturno, & Vestina, Città degli Ausoni, a tradimento da M. Pellio,
& C. Sulpitio consoli furono prese, & fu quasi estinta, &
annichilata tutta la gente Ausonia. Onde quella particella dell'Italia fu
l'Ausonia. Io tengo, che questo Ausonio fosse quel Latino il quale alcuni
vogliono essere stato figliuolo di Circe, & Ulisse, & nodrito da Marica
ninfa, attento che (testimonio Servio) Marica sia la Dea del lito de'
Minturnesi appresso il fiume Liri. Nondimeno noi, benche ci restino molti
figliuoli della prole di Giove, facendo fine al presente libro riposaremo
alquanto.
Se doppo lungo corso di viaggio,
Illustre Re, come, che il camino non sia venuto al fine, al discreto
condottiere della carretta il levare i cavalli pieni di ansia da quella,
alquanto riposare, & appresso qualche prato, & da alcun fonte rinfrescare,
onde egli intanto medesimamente si trahe la sete, & piglia un poco di
ristoro, cosi anco al buon'arator, sebene tutto il terreno dall'aratro non è
fesso, è conceduto, sopra restandogli ancora una parte del giorno, sciorre i
buoi dal giogo, & lasciargli posare, & pascere alquanto, mentre egli
spirando una dolce aura all'ombra dei boschi canta le rozze canzoni, & si
sforza scordarsi le dure fatiche. Indi medesimamente al famoso Capitano di
guerra (conceduto anco, che la battaglia non sia finita), è lecito col segno
della raccolta i lassi, & sanguinosi soldati far ritirare, accioche levato
dal pericolo della morte in un'altro assalto, rinovate le forze, contra gli
inimici siano piu gagliardi. Chi dirà, che a me non sia lecito, se bene fino al
fine non sono giunto della numerosa prole di Giove Cretese, havendone nondimeno
esposta una grandissima parte, riposare alquanto, per vedere se potrò giungere
al vero segno? Alcuno dirittamente istimo. Seguendo adunque l'altrui costume,
non altrimenti, che s'io fossi pervenuto a qualche segno certo, & ordinario
di far pausa, tutto lasso per la fatica, nell'Ausonia (benche litto impetuoso)
mi fermai, considerando appresso che quello che si distingue con piu brevi
termini, nell'intelletto piu facilmente si capisce, & meglio si manda a
memoria. Ivi girando gli occhi d'intorno, incominciai a riguardare le vestigie
delle cose antiche. Qui le antiche Cume, il Tempio (opra di Dedalo) dei
Calchidiesi, la sepoltura di Miseno, & le acque Giulie mi tenevano l'animo
sospeso. Et all'incontro Inarime, antico hospitio delle Simie, & da Inarime
la percossa Prochita, mi ritoglievano l'animo cosi anco mi facevano a se
drizzar la mente i risonanti gorghi per le rivolutioni de bollenti fiumi del
Vulturno, le nebule del fusino Liri, le paludi del Linterno, famoso per
l'essilio, & gran morte del primo nobile Africano, & quasi ivi dinanzi
la Villetta di M. Scauro fino al dì d'hoggi per lo suo nome celebrata: indi le
ruinate quasi in tutto vestigie delle Formiare, Cingiò alle radici de' monti,
Caleno, Stelenate, & Campano, terreni per maravigliosa abondanza notabili;
i sopra eminenti Castelli a' terreni Suessa, Theano, Sudicino, Caselino,
Thelesie, & molte altre anticaglie si de' Romani come de Cartaginesi,
appresso, molte altre cose; le quali a voler dichiarare sarebbono piu lunghe,
che utili all'historia. O quanto m'allegrava nell'animo veggendo la mia Italia
per opre eccelse non pure essersi agguagliata, ma haver trappassato la loquace
Grecia. Ma essendosi con un breve riposo ricreato un poco l'animo, ripigliai le
forze, & volentieri rientrai nel mare instabile, & fui portato fino in
Frigia, dove m'avenne in fantasia cercare, & descrivere la prole di
Tantalo, & d'alcuni altri figliuoli di Giove. Il che mi sia conceduto continuare,
ne prego colui il quale al toccar con la verga del servo suo Mosè fece
abondantemente uscir acque da una rupe al popolo per la sete afflitto. Tantalo
trentesimo figliuolo di Giove, che generò Niobe, & Pelope.
Tantalo secondo Lattantio fu
figliuolo di Giove, & di Plote ninfa. Dice Eusebio, che costui fu Re de
Frigia regnando Eritreo in Athene, & che appresso hebbe guerra per lo
rapito Ganimede contra Irgio, Re di Dardania, & padre di Ganimede. Oltre
ciò, vogliono, che costui havesse un giorno seco a convito tutti li Dei, &
che per far prova della loro deità, amazzasse il figliuolo, & cotto in
diverse sorti di manicareti gli lo appresentasse inanzi; i quali smarriti di
tal cosa, non pure sostennero di gustarne, ma raccolte tutte le membra insieme
ritornarono il fanciullo nella primiera forma, & perche se avidero, che vi
mancava una spalla, la quale era stata mangiata da Cerere, in luogo di quella
gli ne rifecero una d'avorio; indi per Mercurio richiamata l'anima da morte a
vita, gli la restituirono. Tantalo poi fu da loro cacciato all'Inferno, &
sententiato a supplitio tale, cioè, che fosse posto in un fiume fino alla gola,
& che sempre fosse afflitto da continua sete; &, che chinando la bocca
in quello per bere, il fiume s'andasse medesimamente allontando, di maniera,
che non ne potesse gustare. Indi gli aggiunsero sopra il capo alberi carichi di
pomi, i quali pendessero i rami fino alla di lui bocca; ma, che volendone egli
pigliare, eglino tanto s'inalzassero quanto medesimamente s'affaticasse per
prenderne. Et cosi avenne che, posto tra i pomi, & l'acque, continuamente
vivendo in fame, & sete l'infelice huom fosse tormentato. Hora è da
avertire quello, che si nasconda sotto tali figmenti. Onde concedendo ch'egli
fosse figliuolo di Giove, ò vero ò per qualche simiglianza a lui attribuito,
& lasciando da parte quelle cose, che s'appartengono di Ganimede, le quali
sono dette, dove di lui si parla. Dico, che fu detto lui haver posto il
figliuolo innanzi alli Dei; perche essendo avarissimo huomo, & havendo cura
d'augmentar molto la facultà sua, amava i fromenti, da quali ne traheva il
denaro non altrimenti, che il figliuolo; onde allhora gli pose inanzi a i Dei
quando ne i coltivati campi gli seminò, percioche i semi gittati nei solchi
stanno nel cospetto dei sopracelesti corpi; di che per operatione de' Cieli
ritornando in spiche, pigliano la primiera forma. Ma l'homero divorato da
Cerere, cioè il seme consumato dalla terra, è rinovato d'avorio, mentre nella crescente
biada v'entra la forza del nodrimento. Il supplitio poi di costui, chiaramente
dimostra la vita dell'huomo avaro; percioche Fulgentio dice Tantalo
interpretarsi visione volontaria, il che benissimo si conface a ciascuno avaro,
attento, che non adunano l'oro, nè l'ampia facultà per servirsene, anzi per
specchiarsi in quella; & non potendo sopportare far per sé alcuna cosa di
quelle adunate ricchezze, tra quelle posto si muore per la fame, & sete.
Niobe fu figliuola di Tantalo,
& Taigete, si come ella medesima appresso dimostra Ovidio, dicendo;
Tantalo fu mio padre, al quale solo
Fu concesso alla mensa delli dei
Sedere, & de le Pleiadi sorella
È la mia madre, nè negar si puote.
Ma salva la riverenza d'Ovidio,
il padre di costei non fu quel Tantalo amico delli Dei, percioche quello fu
huom pio, Re di Corintho, & di tempo molto prima. Ma Lattantio dice, che
costei fu figliuola di Tantalo, & Penelope. Costei, come piace a
Theodontio, fu maritata in Anfione Re di Thebe, accioche Anfione prestasse
favore alle parti di Penelope, che guerreggiava contra Enomano Re d'Elide,
& di Pisa; del cui Anfione ella partorì sette figliuoli, & altretante
figliuole, benche Homero nella Iliade dica, che furono solamente dodici. Costei
essendo donna d'altiero spirito, & sacrificando i Thebani per commandamento
di Mantho figliuola di Tiresia, a Latona incominciò fortemente con parole
riprendergli, & preferir se a Latona; per la qual cosa Latona sdegnata si
lamentò con i figliuoli, onde avenne, che giocando nei campi i figliuoli di
Niobe, Apollo i maschi, & Diana tutte le femine le amazzò; onde furono
sepolti appresso il Monte Silifone. Niobe adunque, priva del marito, & de'
Figliuoli, appresso le loro sepolture piangendo fu cangiata in sasso. Dei
figliuoli, & di Anfione ne è stato detto di sopra. Ma circa il suo essersi
convertita in sasso, Tullio tra le questioni Tusculane istima ciò essere stato
finto per lo suo eterno silentio in pianto. Ma a questa fittione v'aggionge
Theodontio, dicendo, che fino al dì d'hoggi nel Monte Sifilo si vede la statua
di pietra di costei, di maniera in atto flebile, & mesto, che si stimarebbe
ch'ella per le lagrime venisse meno. Il che non è fuor di natura. Percioche gli
antichi per memoria della gran fortuna della superba donna poterono mettere sul
Monte Sifilo porre una statua di sasso in guisa d'una donna, che pianga; onde
essendo il sasso di complessione freddo, levandosi in lui i vapori humidi dalla
terra, per la frigidità del sasso si risolveno in gocciuole d'acqua, a
simiglianza di lagrime. Et di qui forse gli ignoranti tengono, che Niobe
fin'hora piangendo si consume.
Pelope, figliuolo di Tantalo di
Taigete, secondo Barlaam fu huom notabile, & gran guerriero; il quale in
Frigia regnando hebbe guerra contra Enomao Re d'Elide, & di Pisa. La quale,
si come scrive Thucidide, fu molto memorabile, & grandissima. La cagione
della guerra, dice Paolo. fu Hippodamia, figliuola d'Enomao, & amata da
Pelope, percioche havendoglila dimandata per moglie gli fu negata. Dice Servio
che molti furono quelli, chi dimandarono per la sua singolar bellezza questa
Hippodamia; onde da Enomao fu fatto quel patto, che di sopra dove s'è trattato
d'Hippodamia habbiamo detto. Ma Barlaam dice, che la cosa non andò a quel modo;
anzi, che parendo a Pelope, che tal conditione fosse inhumana mosse l'armi
contra Endimaco; onde da ogni parte essendosi adunato un grande essercito, per
tradimenti di Mirtolo capo delle genti di Enomao, il quale con astutia fu
corrotto da Pelope, Pelope restò vittorioso, & in tal modo hebbe
Hippodamia, & il reame. Ma dimandando Mirtilo il premio del tradimento, fu
da lui gittato in mare. Dice Eusebio nel libro de i Tempi, che costui menò
Hippodamia per moglie nell'anno decimoquarto dell'imperio di Piriteo Re
d'Argivi, che fu negli anni del Mondo tremilaottocentocinquantasette; &
poco dianzi dice che, regnando Liceo in Argo, Pelope regnò appresso gli Argivi
cinquantatre anni, & che dal nome suo gli chiamò Peloponnesi. Dice anco,
che regnando Acrisio in Argo, Pelope fu presente ai giuochi Olimpi, & che
poi mosse l'armi contra Troia; &, che da Dardano fu espugnato negli anni
del Mondo tremilaottocentoottant'uno, leggendosi molto prima essere stato
Dardano. Onde io non so qual sia la miglior opinione delle tante differenti.
Costui di Hippodamia hebbe molti figliuoli.
Dice Lattantio, che Lisidice fu
figlia di Pelope, & Hippodamia, & moglie d'Elettrione; onde di lui
partorì Alcmena madre d'Hercole.
Atreo fu figliuolo di Pelope,
& Hippodamia; il quale, si come per le parole di Seneca Poeta nella
Tragedia Thieste si può comprendere, insieme con il fratello Thieste regnò
nella Morea, con patto c'hora l'uno hora l'altro signoreggiasse. Ma finalmente
tra loro nacque discordia, la quale secondo Lattantio fu per cagion tale. Si
come è stato detto di sopra, egli si ritrova, che Mirtilo fu gittato in mare da
Pelope. Di che Mercurio sdegnato, pose tanta discordia tra Thieste, & Atreo
che diventarono inimici. Haveva Atreo un montone, del quale in tal modo Seneca
Tragico parla.
Ne le superbe stalle un nobil grege
Di Pelope possede; di cui guida
È un bel montone, che per tutto il
corpo
Ha di fin oro sparsa la sua lana.
Chi questo tiene anco gli aurati
scettri
Dei lantalici Re si gode lieto.
Il possessor di questo è quel, che
regna;
A questo dietro sol va la fortuna
Del
gran reame. Hor ei securo giace
Pascendo i prati, & le diverse
herbette
In un rimoto luogo, ch'è diviso
Da un sasso, che il fatal grege
nasconde.
Desiderando Thieste haver questo
montone, s'imaginò, che potrebbe ottenerlo s'inducesse ne suoi abbracciamenti
Merope moglie d'Atreo; nè l'occasione mancò del cattivo pensiero, percioche,
& di lei ne hebbe figliuoli, & la menò via dal marito; la onde vennero
a guerra insieme, & Thieste fu cacciato del Reame. Ma Atreo non si
contentando dell'essiglio del fratello, fingendo perdonarli il richiamò nella
patria, & a quello pose inanzi nel convito tre figliuoli amazzati a
mangiare, & gli diede del loro sangue mischiato con altre bevande a bere;
indi, poscia, che hebbe mangiato, & bevuto, commandò, che gli fosser poste
inanzi le mani, & i piedi de i figliuoli, facendo manifesto di qual cibo
l'infelice padre si fosse pasciuto. Onde dicono, che mentre la gran scelerità
si commetteva il Sole, che si levava in Oriente, se ne fuggì in Occidente per
non vedere tanta iniquità. Nondimeno, secondo Lattantio, questo Atreo fu morto
da Egisto figliuolo di Thieste. Il velo d'oro del Montone in questa historia
finto, penso doversi intendere si come pare, che inteso l'habbia Varrone dove
tratta dell'Agricoltura, mentre dice le pecore haver havuto per la carità le
lane d'oro, si come in Agro Atreo; la quale Thieste cercò per se usurpare.
Overo piu tosto per questo Montone da velo d'oro doversi intendere il thesoro
per loquale i Re sono istimati, & senza il quale non si ponno fare le
necessarie spese alla guerra, nè mantenere lo splendor reale. Il Sole poi
rivolto in Occidente dinota, che a quel tempo fa l'Eclipsi; la quale dagli
huomini non essendo conosciuta, parve molto monstruosa. Nondimeno Lattantio
dice, che questa in Micene fu predetta da Atreo, & da lui prima ritrovata;
del quale Thieste veggendo essere approvata l'openione, tutto colmo d'invidia
dalla Città partì.
Questi furono figli d'Atreo, si
come afferma Cicerone nelle nature de Dei, il quale dice, che appresso i Greci
furono annoverati tra i i Dioscorti. Il che è inditio, che fossero huomini
famosi, essendo di questi stato Castore, & Polluce e di essi niente altro
si ritrova.
Thieste fu figliuolo di Pelope,
& Hippodamia; il quale contra il fratello Atreo hebbe quegli odi, che sono
stati raccontati di sopra; onde havendo sopportato dal fratello le cose dette,
desiderando farne vendetta andò a consigliarsi con l'Oracolo, dal cui gli fu
risposto, che di lui, & Pelopia sua figlia potrebbe nascere chi potrebbe
vindicare la morte de figliuoli. Il che inteso da lui, si come persona, ch'era
inchinato alle scelerità, & massime alla libidine, subito venne ne gli
abbracciamenti della figliuola, et di lei n'hebbe Egisto, che poscia amazzò
Atreo, stuprò Clitennestra, & anco tagliò a pezzi Agamennone.
Furono questi tre figliuoli di
Thieste, & della moglie d'Atreo, si come si comprende per le parole di
Seneca nella Tragedia di Thieste; benche solamente ricordi due, cioè Tantalo,
& Fistene, mentre dice.
A la pietade il primo; acciò non
pensi,
Che manchi la pietade; onde sia
detto
Tantalo è
prima vittima de l'avo.
Indi da poi nomina Fistene, cosi
dicendo;
Allhor d'innanzi del crudel Altare,
Trahe crudelmente il fanciullin
Fistene,
Et il capo gli leva, e appresso il
pone
De l'altro fratel morto il busto
intanto.
Ricorda poi il terzo, mentre
senza nomarlo altrimente dice;
Indi tenendo il ferro in mano tinto
Del sangue delli due; quasi
scordato
Spinse la fiera man verso del petto
Del fanciullino il fé cader a
terra.
Questo terzo fanciullo secondo
Theodontio fu chiamato Arpagige; onde di loro non si legge altro eccetto, che
furono vendetta al zio, & cibo del padre.
Pelopia secondo Lattantio fu
figlia di Thieste, ma non dice di qual madre. Costei fu impregnata per
l'Oracolo dal padre Thieste, & di lei nacque un figliuolo, il quale per
vergogna ella subito espose alle fiere. Onde si viene a comprendere, che per
lussuria, & non per Oracolo, Thieste incorse in questo, attento, che la
risposta dell'oracolo per cuoprire la ignominia di Thieste, dopo la occisione
de suoi fatta da Egisto, fu ritrovato.
Egisto nacque di Thieste, &
Pelopia, figliuola dell'istesso Thieste, si come egli stesso testimonia nella
Tragedia di Seneca, dicendo;
Et constretta dai fati la figliuola
Di me suo padre porta il ventre
pieno.
Questi, tosto, che fu nato, dalla
madre per la vergogna del commesso peccato nelle selve fu gittato, accioche
dalle fiere fosse divorato, & non rimanesse in vita testimonio della
scelerità del zio, del padre, della madre, & insieme della sorella. Ma
diversamente avenne. Percioche ò per beneficio de Pastori ò per voler d'Iddio
ritrovato nelle selve dalle Capre, da quelle fu nodrito, & allattato, &
poscia fu chiamato Egisto da Ege , cioè capra, che allevò. Questi, finalmente
venuto in notitia de' suoi, & condotto nel Palazzo Reale, essendo già
cresciuto in età, & tenuto in poca stima, già consapevole delle cose
passate, overo instigato dal padre, che piu tosto si crede, & piu a
Lattantio piace, amazzò Atreo; alquale Thieste occupando il Palazzo successe.
Finalmente morto Thieste, & regnando Agamennone, & Menelao, i quali per
la rapita Helena erano andati all'assedio di Troia, Egisto, come piace a
Leontio, persuaduto da Nauplio venne ne gli abbracciamenti di Clitennestra,
& poscia col favore di quella amazzò Agamennone, che ritonava vittorioso della
ruina di Troia; & sette anni possedette il reame di Pelope. Ultimamente, da
Horeste figliuolo d'Agamennone egli insieme con l'adultera Clitennestra, senza
lasciar alcuno herede fu ammazzato.
Fistene, si come dice Theodontio,
fu figliuolo di Pelope, & Hippodamia, il quale morendo giovane raccomandò
al fratello Atreo Agamennone, & Menelao, suoi piccioli figliuoli. Il quale
volentieri gli tolse, & nodrì come figliuoli; & per ciò in processo di
tempo estinta la memoria di Fistene furono tenuti figliuoli d'Atreo, & da
tutti chiamati Atridi.
Menelao Re de Lacedemoni (come
vuole Theodontio) fu figliuolo di Fistene, & fratello di Agamennone. Seneca
nella Tragedia di Thieste mostra in tutto volere, che fossero figliuoli
d'Atreo, dove in persona d'Atreo, parlando dice;
Del mio consiglio consapevol sia
La certa fede de la prole incerta
Ministro Agamennone, & sia
cliente
Del padre Menelao presente al
tutto;
Onde da questo scelere si vegga
Se mi negano ciò, nè voglion fare
Guerra contra di lui, nè serban
sdegno
Chiamando il zio, egli di loro è
padre.
Et cosi paiono figliuoli d'Atreo,
& di Merope. Nondimeno tenga pure il lettore l'opinione che piu li piace.
Menelao adunque, si come mostra Eusebio nel libro dei Tempi, vivendo Atreo,
& Thieste fu detto Re de Lacedemoni, ne gli anni del Mondo tremilaottocento
& novantasette. Ma Agamennone, che a Thieste successe (secondo Homero),
incominciò regnare in Micene negli anni del mondo quattromila, & sette. Fu
di costui moglie Helena figlia di Giove, la quale nel primo anno del regno
d'Agamennone, & secondo Eusebio nel decimo di Menelao (come dice Darete
Frigio), Assente Menelao, il quale era andato da Nestore a Pilon, da Pari
mandato legato a Castore, & Polluce fu rapita nell'isola Citherea sotto il
castello Heleno, con consentimento però di lei, & ritrovandosi i fratelli,
& Hermiona appresso Agamennone. Ma Dite dice, che allhora Menelao, &
Agamennone erano andati in Creta per dividere i tesori i quali ivi havea
deposto Atreo. Di quì avenne, che Menelao per consiglio del fratello si lamentò
con i Prencipi Greci, ma indarno con legationi essendo dimandata Helena, alla
fine con l'armi fu ricercata; onde doppo dieci anni piu tosto a tradimento, che
per forza presa Troia, fu rihavuta, & restituita a Menelao. Il quale, si
come fecero gli altri, essendo montato in Nave per ritornare nella patria, fu
da fortuna condotto (come scrive Eusebio) a Tuori Re d'Egitto, il quale da
Homero è chiamato Poligio; indi essendosi consultato con Proteo indovino
(secondo Homero nell'Odissea), poscia, che andò errando otto anni ritornò in
Lacedemonia, essendo già molto prima stato amazzato Agamennone, & in quelli
giorni a caso Egisto. Quello, che poi avenisse di lui, & dove, & di
qual morte finisse l'ultimo giorno, non mi ricordo haver letto.
Hermiona, come testimonia Ovidio
nelle Pistole, fu figlia di Menelao, & Helena. Costei fu promessa per
moglie ad Horeste figliuolo d'Agamennone. Ma Pirro, havendo Egisto ammazzato
Agamennone, occupato il Palazzo reale, & fatto fuggire Horeste, conceduta
Andromaca già moglie di Hettore, da lui menata da Troia ad Heleno, si pigliò
per moglie questa d'Horeste. Nondimeno, havendo poi Horeste amazzato Pirro, si
ripigliò la sua sposa; & cosi ella ritornò moglie di Horeste, & di lui
partorì il figliuolo Horeste.
Megapentho secondo Theodontio fu
figliuolo di Menelao, & di Lidia, sua prigionera doppo la tolta di Helena;
il che pare, che testimoni Homero nell'Odissea, mentre dice;
Tolse Asparta d'Alettore figliuola
Per moglie del figliuolo Megapento;
Il quale molto forte fu da lui
Generato di Lidia sua servente,
Percioche i Dei non diedero
figliuolo
Ad Helena; da poi ch'hebbe Hermiona
Figlia da loro desiata tanto,
Che di Venere bella havea
sembianza.
Cosi per questi versi si comprende,
che Menelao diede anco per moglie ad Agapento Asparta figliuola d'Elettore, le
cui nozze Thelemaco figliuolo d'Ulisse venendo d'Ithacia ritrovò, che si
celebravano.
Agamennone fu figliuolo di
Fistene, si come di sopra s'è mostrato; & picciolo raccomandato ad Atreo.
Costui fu Re di Micene, & successore di Thieste, si come nella Iliade pare
anco, che Homero voglia, dove scrive molti versi sopra lo scettro d'Agamennone,
che dicono quasi l'istesso. Appresso Troia, nel consiglio di Greci, come capo
Agamennone teneva lo scettro, il quale havea fatto il Fabbro Vulcano, &
quello dato a Giove figliuolo di Saturno; poscia Giove il concesse a Diattoro
Agrifonte Hermia Re poi a Pelope Filipo; indi Pelope ad Atreo, il quale morendo
il lasciò al bellicoso Thieste, & Thieste il lasciò ad Agamennone, che
dominava molte isole, & Argo. Nelle quale parole non si serba il descritto
ordine della Geneologia, il quale descrivendo io ho seguito l'auttorità dei
Latini. Incominciò Agamennone, secondo Eusebio, regnare ne gli anni del Mondo
quattromila, & sette, nel qual'anno Helena fu rapita, & tutta la Grecia
mossa contra Troiani; onde per general consentimento di tutti adunata l'armata
in Aulide, & fatto generale dello essercito, si drizzò alla guerra,
lasciando la moglie Clitennestra, della cui havea già havuto molti figliuoli;
di che appresso sostenne molte fatiche, & sopportò anco l'odio d'alcuni
Prencipi, per lo quale fu privo della dignità, & in suo luogo inalzato
Palamede; il quale per inganno d'Ulisse essendo stato morto, Agamennone con
maggior sua gloria fu ritornato nel primiero stato di quello, che con ignominia
fu deposto. Oltre ciò, sopportò gli sdegni d'Achille per Briseida a lui levata.
Finalmente presa, & ruinata Troia, essendo a lui in sorte toccata Cassandra
figliuola di Priamo, con molta altra preda, montò in Nave per ritornare verso
la patria; ma da fortune di mare travagliato (come scrive Homero), andò errando
quasi un'anno pria, che ritornasse nella patria. Ma intanto (come testimonia
l'istesso Homero), havendo secretamente Egisto figliuolo di Thieste occupato il
tutto, poste per tutto il lito spie alla guardia, & intesa la venuta
d'Agamennone, con venti degli amici suoi fece una imboscata, & egli con lo
avanzo della sua compagnia fingendo amicitia con Agamennone l'andò ad
incontrare, & gli apparecchiò un solenne convito; nel quale di
consentimento di Clitennestra ammazzò Agamennone, che mangiava. Ma Seneca Poeta
della morte di lui tiene altra oppenione, percioche nella Tragedia intitolata
Agamennone dice, che Clitennestra, sdegnata perche Agamennone haveva seco
Cassandra (ma io credo, che fosse addolorata per la tema del commesso fallo) si
pacificò con l'adultero Egisto, col quale era venuta in corruccio; onde
accordati insieme, quel giorno nel quale Agamennone entrando nella patria entrò
anco in casa, dalla infedel moglie, che gli havea apparecchiato il convito le
fu appresentata una vesta intiera senza essito nessuno; di che vestitosene le
braccia, & gittatasela in capo, quasi come legato, & orbo fu da lo
adultero morto: cosi Agamennone finì la sua vita.
Ifigenia fu figliuola
d'Agamennone, si come nella Tragedia di quello testimonia Seneca. Ma altri la
chiamano Hifianassa, si come tra gli altri Lucretio. Costei fu donzella molto
bella, della quale Servio narra questa historia; volendo i Greci andare contra
Troia, & essendo giunti in Aulide, Agamennone a caso amazzò un cervo di
Diana, laonde la dea sdegnata gli mandò i venti contrari; &t però non
potendo navigare, & appresso essendo infettati di peste, si consultarono
con l'Oracolo, il quale gli rispose, che col sangue d'Agamennone bisognava
placar Diana. Di che da Ulisse sotto simulatione di nozze Ifigenia fu condotta
ad essere immolata, & già vicina agli altari per misericordia degli Dei fu
d'ivi levata, & in sua vece postavi una cerva. Di che Ovidio dice;
Restò vinta la dea; onde d'inanzi
Mandò degli occhi loro oscura nube;
Et intanto si dice, ch'una Cerva
De la donzella in vece di Micene
Fu posta inanzi al sacrificio, e a
quelli,
Che stavano divoti lei pregando.
Ma secondo Servio la donzella fu
condotta nella regione Taurica, & datta al Re Toante, & indi fatta
sacerdotessa di Diana Dittina; onde secondo l'ordinata usanza sacrificando con
l'humano sangue alla Dea conobbe il fratello Horeste, da lei per inanzi non piu
veduto, il quale ricevuto l'Oracolo, che cessarebbe il furore di lui, &
dello amico Pilade se n'andò in Colcho, & amazzato Thoante, tolse il
simulacro nascosto tra alcuni fascetti, onde poi da Ifigenia Diana fu riportata
in Lacona. Quello, che poi avenisse d'Ifigenia, non mi ricordo haver letto.
Quello anco, che di sopra s'è detto, cioè Diana in luogo d'Ifigenia haver posto
inanzi il sacrificio una Cerva, egli è da credere, che fosse arteficio humano,
percioche Agamennone, accioche tutto il popolo gli fosse ubbidiente, fu finto
haver immolato la figliuola la quale in mezzo del tumulto tolta loro dinanzi,
affine, che l'inganno non fosse scoperto fu mandata in paese lontano, &
sotto ombra sacerdotale serbata.
Chrisothemi Laodicea, &
Ifianassa furono figliuole d'Agamennone, & Clitennestra, si come io penso,
attento che, si come si legge in Homero, Agamennone ne offerisce qual piu li
piace ad Ulisse, dicendo;
Genero a me sarà, nè piu nè meno,
Ch'Horeste l'havrò caro, il quale è
mio
Unigenito solo, & è nodrito
In abondanza molta, & gran
splendore.
Nel palazzo reale ho tre figliuole
Lodicea, Chrisotemi, Ifianassa.
Pigli qual'egli vuol; n'habbia la
eletta;
Ch'io mi contento quel genero
farmi.
Nondimeno Leontio dice, che
questa Ifianasse è Ifigenia; il che non credo, perche come havrebbe Agamennone
detta Ifigenia essere in casa, la quale sapeva ne' sacrifici, per ritrovarle
prosperi venti, ò essere stata morta ò altrove segretamente nascosta.
Elettra fu figliuola
d'Agamennone, & Clitennestra, si come chiaramente si vede in Seneca nella
Tragedia d'Agamennone; percioche andando Agamennone allo assedio di Troia,
costei picciolina fu lasciata a casa. Questa adunque veggendo il padre morto si
secretamente raccomandò Horeste a Strofilo Focese amico d'Agamennone, &
indi aspramente oltraggiò la madre per la commessa scelerità. La onde
Clitennestra la fece imprigionare. Quelo poi, che di lei avenisse, non mi
ricordo haver letto.
Aleso fu figliuolo d'Agamennone,
si come chiaramente Virgilio dimostra.
Questo Aleso figliuol d'Agamennone
Fiero inimico del Troiano nome,
A la
Carretta aggiunge i suoi cavalli.
Ma di qual madre egli nascesse
non se ne ha certezza; percioche altri dicono di Briseida, & altri di
Cassandra; il che non credo, attento, che essendo nato di Cassandra, per l'età
non potrebbe essere stato in aiuto di Turno contra Enea. Theodontio tiene, che
costui congiurasse insieme con Clitennestra contra il padre; di che però lo
stima di lei figliuolo, & dalla patria essere stato scacciato. Il quale
fosse per qual cagione si volesse, venendo in Italia (secondo Virgilio),
appresso il monte Massico di Campania si fermò, & indi, si come capital
nemico del nome Troiano, venne in favor di Turno contra Enea. Ma Ovidio nel
libro de Fastis mostra haver opinione ch'egli edificasse la Città de Falisci,
& per ciò dice,
Era venuto per voler de' cieli
Alesso figlio d'un figliuol
d'Atreo.
Dal quale istima, & ha per
fermo, & certo
C'havesse nome la falisca terra.
Della discendenza da lui appresso
noi non è memoria alcuna.
Oreste fu figliuolo d'Agamennone,
& Clitennestra (si come a bastanza di sopra è stato mostrato). Dice
Theodontio ch'a costui anco picciolino fu promessa per sposa Hermiona,
figliuola, & fanciulla di Menelao, & Helena. Costui, amazzato da Egisto
il padre Agamennone; per diligenza, & cura della sorella Elettra fu
segretamente levato da Micene, & mandato a Strofilo Focese, dal quale con
diligenza fu guardato, & nodrito, contra la voglia d'Egisto, & della
madre, che cercavano farlo morire, onde in processo di tempo cresciuto in età,
& aspettata l'occasione, essendogli stato da Pirro tolto Hermiona si mosse
per vendicare la morte del padre, & amazzò l'adultero Egisto insieme con la
madre Clitennestra, che già haveano regnato sette anni. La onde dicono, che
perciò divenne subito furioso, parendoli sempre haver innanzi l'imagine della
madre con la boccha, & le mani piene d'horribili serpenti, che di continuo
(si come dice Statio) gli minacciavano con ardenti faci la morte. Ma Pilade
figliuolo di Strofilo, il quale nel tempo della morte paterna era fuggito via,
ivi venendo, & promettendoli la desiatasalute, seco il condusse all'altare
di Diana Dittina in Colcho, dove Horeste lasciò quel furore, & quella
imagine della madre da lui si partì; onde conosciuta la sorella Ifigenia ivi
Sacerdotessa, & amazzato il Re Thoante, tolse il simulacro della Dea, &
con quello involto in un fascio di legna (secondo alcuni) ritornò nel Reame,
& per inganno di Macareo sacerdote nel Tempio d'Apollo amazzò Pirro figliuolo
d'Achille, & ritolse Hermiona per sua moglie. Altri vogliono poi che egli
prima che ritornasse nel Reame venisse in Italia, & che non lontano da Roma
appresso Aricia mettesse giù il simulacro di Diana, & ivi ordinasse empi
sacrifici. Ma fosse ciò quando si volesse, Eusebio nel libro de i Tempi
afferma, che doppo la morte d'Egisto regnò quindici anni, & che l'anno
ventesimo di Demofonte Re d'Athene amazzò Pirro. Solino poi nel libro delle
cose meravigliose dice, che egli doppo la morte della madre hebbe sempre in compagnia
del suo essilio, & in tutte le sue sventure Hermiona. Dove, che anco
finisse l'ultimo giorno suo, vi è dubbio, dicendo Servio, che le sue ossa,
edificata già Roma, da Aricia in Roma furono portate, & sepolte innanzi al
tempio di Saturno, che è il Clivo Capitolino, appresso il tempio della
Concordia. Solino poi dice, che nella cinquantesimaottava Olimpiade, che le sua
ossa per oracolo da Spartani furono trovate nel monte Tegeo, et che erano di
tanta grandezza che per lunghezza facevano sette cubiti.
Thisamene come scrive Eusebio fu
figliuolo d'Horeste, & a lui successe nel reame; del quale, perche altro
non si ha di lui; non passaremo piu oltre.
Corintho fu figliuolo d'Horeste,
si come dice Anselmo in quel libro che egli scrisse dell'Imagine del Mondo, nel
quale afferma, che edificò Corintho, Città d'Achaia, & la chiamò col suo
nome; & l'istesso dice Gervaso Tilleberese; i quali, come, che siano nuovi
autori, nondimeno non sono di picciola autorità. Oltre ciò, Isidoro nel libro
dell'Ethimologie dice, che Corintho figliuolo d'Horeste edificò in Achaia
Corintho. Ma io non tengo, che l'edificasse, ma forse, che il restaurasse,
attento, che Eusebio nel libro de' tempi vuole, che quello fosse edificato
molto prima da Sisifo, & nomato Efira.
Horeste, si come testimonia
Solino tra le Meraviglie del Mondo, fu figliuolo d'Horeste, & d'Hermiona;
& afferma, che da lui furono nomati quei popoli, che si dicono Horestidi,
cosi dicendo; Il matricida fuggitivo da Micene, havendo destinato passar piu
lontano, havea mandato qui a nodrire un picciolo figliuolo, che di Hermiona gli
nacque; la quale in tutti gli affanni suoi gli era fida compagna. Ei crebbe,
& nello spirto del Real sangue portando il nome di suo padre, acquistò ciò,
che è, & quello, che entra nel seno Macedonico, & mare Adriatico; &
tutto quello, che possedette dal nome suo chiamò Horestia. Di costui non ho
letto altro. Nondimeno si crede, che i suoi venissero in lunga discendenza, in
tanto, che Trogo Pompeo afferma Pausania interfettore di Filippo Re de Macedoni
haver havuto origine da Horeste; ma in qual modo, per l'antichità non se ne ha
notitia.
Dionisio, si come nel libro delle
nature de i Dei scrive Cicerone, fu figliuolo di Giove, & della Luna; il
quale io direi, che fosse l'istesso, che Baccho se nella madre non fossero
dissimili, attento, che Tullio gli ascrive Orgia per madre. Nondimeno, egli è
cosa possibile che cosi sia, cangiata la fittione, mentre l'uno, & l'altro
pigliamo per lo vino, & non per huomo. Percioche Giove, cioè il calore del
giorno, & la Luna, con la rugiada, & humidità nella notte danno favore
alle viti, & conducono l'uve all'accrescimento, & maturezza. Et cosi
questo, che nel colmo s'honora sarà di Nisa, & l'altro delle cime dei Monti
di Parnaso Baccho, percioche abonda di vignette a lui sacrate; & sarà detto
Dionisio, quasi Dio di Nisa, attento, che Dios in greco volgarmente significa
Dio.
Perseo, tenuto da gli antichi
padre di tutta la nobiltà di Grecia, fu figliuolo di Giove, & di Danao
figliuola d'Acrisio. Onde Ovidio dice;
Non pensa esser Iddio, nè men
pensava
Perseo punto di Giove esser
figliuolo,
Del quale s'impregnò con pioggia
d'oro
Danae la madre; e partorì poi
quello.
Ma qualmente egli nasce di Danae,
ciò si può vedere dove di lei s'è trattato. Questi adunque già cresciuto (come
dice Lattantio), per commandamento del Re Polidetto pigliò l'impresa contra la
Gorgone; onde hebbe il cavallo Pegaso alato, lo scudo di Pallade, i taloni,
& scimitarra di Mercurio, & incominciò a prendere il volo da Afesante, si
come narra Statio dove dice;
Un monte v'era, che per fino al
Cielo
Col dorso s'inalzava, & torto,
& chino.
Et cosi va continuando per cinque
versi. La quale Gorgone da lui, senza patir danno, con lo scudo di Pallade fu veduta,
& considerata, di che la vinse, & le levò il capo; onde poi con quello
cangiò in sasso Atlante, che gli negava l'ospitio. Indi ritornando verso la
patria, & volando per l'aria, vide nel lito di Soria vicino ai regni di
Cefo la donzella Andromeda legata ad un scoglio per diffetto della madre, &
sententia d'Ammone, per essere dal Mostro marino divorata; a cui d'intorno nel
lito stavano piangendo il padre, & i parenti. Di che egli ivi volato, &
intesa la cagione di tanta crudeltà, fece patto con i suoi, che voleva la
donzella per moglie, se dalla bestia fiera la liberava; il che fu fatto,
conciosia che amazzò la fiera. Indi celebrandosi le nozze, Fineo fratello di
Cefeo, a cui dianzi la sentenza la donzella era stata promessa per sposa, venne
a ridomandarla, & quasi volerla per forza come cosa sua; di che Perseo
contra lui, & i fautori suoi si mosse, & molti ne amazzò; & alla
fine, per spedirsene piu tosto, converse tutti gli altri col mostrargli il capo
di Medusa in statue marmoree. Oltre ciò, cangiò anco in sasso Prito fratello di
suo avo, il quale havea cacciato del reame Acrisio, & restituì il Reame
all'avo. Oltre ciò si dice ch'egli guerreggiò contra Persi, nella qual guerra
amazzò il padre Libero, che gli era contrario, & che anco soggiogò tutto
quel paese, al quale dal nome suo diede il nome, dove edificò Persepoli Città
reale; la quale poi, come scrive Quinto Curtio nei Fatti d'Alessandro, fu
rovinata da Alessandro Macedonico tutto pieno di vino, & di crapula. Cangiò
anco in sasso (secondo Lattantio) l'avo Acrisio. Indi vogliono, che insieme con
Cefeo, Cassiopea, & Andromeda sua moglie fosse assunto in Cielo, & tra
le stelle di quello posto, si come testimonia Anselmo dicendo; A questa si
congiunge Cefeo re, & Cassiopea moglie di lui, alla quale s'aggiunge Perseo
figliuolo di Giove, & Danae, che appresso di sé tiene la stella
d'Andromeda. Hora lasciando queste cose, è da venire alla spositione del
figmento. Perseo guidato dal cavallo Pegaso dimostra l'huomo guidato dal
desiderio della fama. Nondimeno, altri vogliono ch'egli nel passaggio havesse
una nave la cui insegna overo nome fosse Pegaso. Lo scudo di Pallade credo, che
si debba intendere per la prudenza, con la quale consideriamo i fatti degli
inimici, & noi stessi difendiamo dalle loro insidie, & armi. I talari
di Mercurio credo, che significhino la prestezza, & la vigilanza in
essequir le cose. Cosi la scimitarra dalla parte didietro acuta dimostra, che
noi al tempo di guerra debbiamo far preda, & rimover quelli dalle nostre
occisioni. Di Gorgone, & Atlante, a bastanza dove di loro si è parlato se
ne ha detto. Che poi liberasse Andromeda dalla fiera marina, istimo questo
esser historia, dicendo anco nella Cosmografia Pomponio queste parole; inanzi
il diluvio (come dicono) fu edificato Ioppe, dove gli habitatori affermano, che
regnò Cefeo, per quel segno, che anco tengono del titolo del nome di lui, &
del fratello da loro conservato con grandissima riverenza; & perche anco
della favola d'Andromeda conservata da Perseo, & liberata dal Mostro
marino, la quale tanto è celebrata da i versi de Poeti, si dimostrano l'ossa
della fiera crudele, è chiaro inditio della verità. Questo dice egli. Oltre
ciò, Girolamo Prete nel libro, che compose delle distanze de luoghi dice; Ioppe
Castello maritimo di Palestina in Tribuda, dove fino al dì d'hoggi si mostrano
i sassi nel lito dove fu legata Andromeda, la quale si dice, fu liberata da
Perseo suo marito. Plinio poi tra i famosissimi scrittori huomo notabile,
scrive in tal modo; Della bestia, alla quale si diceva essere stata esposta
Andromeda, furono portate à Roma l'ossa, lequali tra gli altri miracoli M.
Scauro mostrò nella sua Edilità di lunghezza a piedi quaranta, di altezza, che
trappassavano le coste degli Elefanti d'India, & le spina di grossezza sei
piedi. Che Perseo poi cangiasse Prito, & i suoi nimici col capo di Gorgone
in sassi, non istimo esser stato altro eccetto, che con le ricchezze di Gorgone
gli fece star queti, & por giù l'armi. Lo avo Acrisio poi (per Eusebio nel
libro di Tempi) si ritrova in altra maniera esser stato converso in sasso,
percioche egli fu morto da lui a caso, & cosi con perpetua frigidezza
divenne simile ad un sasso. Che in Cielo poi fatto stella dalla parte di
Settentrione risplenda, istimo in ciò deversi seguire la openione di Tullio
nelle Questioni Tusculane, il quale di lui, & degl'altri dice: Ne lo
stellato Cefeo con la moglie, con la figliuola, & col genero sarebbe
nomato, se la divina cognitione delle cose celesti non havesse condotto il loro
nome all'errore della favola. Del tempo di quello poi si dubita, scrivendo
Eusebio ch'egli amazzò la Gorgone negli anni del mondo
tremilasettecentoventinove. Nondimeno in questo anno istesso (secondo altri),
dice, che fu insieme con la moglie assunto in Cielo. Poscia, poco da poi dice,
che nel secondo anno del Re Cecrope, che fu nel tremilaottocentocinquantasette,
combattete contra i Persi con la morta Gorgone. Né molto da poi scrive, che
nell'anno trentesimoquinto del Re Cecrope Acrisio da lui fu morto, & il
regno d'Argivi transportato in Micene; il che tengo per vero, conciosia, che il
tempo meglio si conface con le cose oprate.
Gorgofone (testimonio Lattantio)
fu figliuolo di Perseo, & Andromeda, del quale non habbiamo altro eccetto,
che generò Elettrione & Alceo.
Elettrione come piace a Lattantio
fu figliuolo di Gorgofone, del quale non si legge altro, che di lui nacque
Alcmena, della cui nacque Hercole; onde se non fosse questo, l'antichità ci
havrebbe lasciato solo il nome.
Vuole Lattantio, che Alcmena
fosse figlia d'Elettrione; il che Plauto medesimamente nell'Anfitrione
dimostra, dicendo; Il quale si è maritato in Alcmena figliuola d'Elettrione.
Costui, come ivi il medesio Plauto dice, fu moglie d'Anfitrione Thebano, &
di lei s'inamorò Giove, il quale sotto specie d'Anfitrione giacque seco, &
generò Hercole, si come apertamente si dirà parlando d'Hercole.
Paolo dice, che Alceo fu
figliuolo di Gorgofone, & appresso noi conosciuto piu per la fama del
figliuolo, che per suo splendore, percioche (come dicono) fu padre
d'Anfitrione.
Fu Anfitrione, secondo Paolo,
figliuolo d'Alceo, & huomo nell'armi valoroso, si come Plauto nella di lui
Comedia dimostra. Di costui fu moglie Alcmena, con la quale dimorava a Thebe;
onde mentre egli per Thebani guerreggiava contra Thelebuoi, Giove sotto spetie
di lui giacque con Alcmena, & di lei hebbe Hercole. Anfitrione poi
nell'istesso parto hebbe generato da lui Hificleo. Oltre ciò, piace a Plinio
nel libro dell'historia naturale, che costui fosse l'inventore di sogni, &
delle visioni, & di quelle anco spositore.
Hificleo, come scrive Plauto
nell'Anfitrione, fu figlio d'Anfitrione, & Alcmena, & partorito in un
parto istesso con Hercole. Ma Hificleo nacque dopo il nono mese, che fu
concetto, & Hercole insieme lui, non anco fornito il settimo. Il che pare,
che Agostino nel secondo della Città d'Iddio non conceda, che la donna in
diversi tempi possa impregnarsi di piu d'uno in un parto.
Iolao, come afferma Solino delle
Meraviglie del Mondo, fu figlio d'Hificleo, & essendo entrato nella
Sardigna acquetò gli animi degli habitatori, che insieme erano discordi, &
ivi edificò Olbia, & altri Castelli Greci; onde da lui furono chiamati que'
popoli Iolessi. I quali, come fu morto, appresso la sua sepoltura edificarono
un tempio, percioche havendo immitato le virtù paterne havea liberato la
Sardigna di molti mali. Questo dice Solino. Nondimeno vi furono anco d'Hificleo
altri figliuoli.
Steleno secondo Homero fu
figliuolo di Perseo, & Andromeda, percioche nella Iliade descrive
Agamennone, che fa una oratione, & disegna la Geneologia d'Euristeo, &
dice, che Steleno fu figliuolo di Perseo, & padre d'Euristeo. Costui, come
afferma Eusebio nel libro dei Tempi, transferrito il Reame d'Argivi da Perseo
in Micene, dopo Perseo signoreggiò; ma quanto, non si ritrova. Conciosia, che
morto Acrisio, il quale regnò trent'un anno, subito segue il principio del
Regno di Euristeo, essendovi nondimeno traposti cinque anni; & ritrovo
regnando l'istesso Euristeo essere scritto che Steleno signoreggiò in Micene
quarant'anni; dove questi si siano perduti, no'l posso ritrovare.
Euristeo come è stato mostrato fu
figliuolo di Steleno. Della natività di lui Homero narra favola tale; Che un
certo giorno havendo Giove nel Cielo detto alli dei, che in quel giorno
nascerebbe un huomo il quale signoreggiarebbe a tutti i circonvicini, Giunone
gli fece fermare ciò con giuramento, & subito scese in terra, & ritenne
Lithia la quale noi chiamiamo Lucina, Dea de i parti, appresso la moglie di
Steleno, che già si trovava pregna in sette mesi; onde del ventre di lei ne
fece cavare un figliuolo, che fu chiamato Euristeo. Quel giorno istesso era
anco per nascere Hercole, ma Alcmena, per essere stata ritenuta la Dea dei
parti, non puote partorire. Di che avenne, che quello, che Giove intendeva di
Hercole si cangiasse in Euristeo; il quale poscia ad altri, & ad Hercole
signoreggiò, & regnò in Micene anni quarantacinque, dove venendo a morte
lasciò Atreo successore. Questa favola dal successo prese materia, veggendo gli
huomini, che Euristeo signoreggiava al forte Hercole.
Bacchemone secondo Lattantio fu
figliuolo di Perseo, & Andromeda et signoreggiò ad alcuni popoli d'Oriente,
i quali poi da Achemenide di lui figliuolo (come dice Theodontio) furono
chiamati Achemenidi; & affermano essere stata loro inventione i sacrifici
di Apollo. Costui appresso loro è in habito ponteficale, con la mittra, &
con amendue le mani spezza le corna d'un Bue; il che penso esser fatto per
dinotare il suo grandissimo potere.
Achemenide come vuol Theodontio
fu figlio di Bacchemone, come, che vi siano di quelli, che vogliano lui essere
stato figliuolo di Perseo. Costui signoreggiò ai popoli Achemenij, & dal
suo nome cosi chiamolli. Indi morendo lasciò suo successore, il figliuolo
Orcamo.
Orcamo, si come di sopra è stato
detto da Theodontio, fu figliuolo di Achemenide, del quale fu moglie Eurimene
bellissima donna; della cui n'hebbe una sola figliuola chiamata Leucothoe;
onde, percioche ella haveva ubbidito al Sole, che s'era di lei innamorata, viva
la fece sotterrare.
Leucothoe fu figliuola d'Orcamo,
& Eurimene, si come testimonia Ovidio nel suo maggior volume, dove dice,
che Febo di lei grandemente si innamorò. Di che, pigliata la effigie della
madre Eumene, di notte l'andò a ritrovare, & mandate via tutte le donne
ch'erano nella sua camera, come quasi ella volesse seco ragionare di cose
segrete, le palesò chi ella si fosse, & ritornò nella propria forma; onde la
donzella volontariamente gli compiacque. Il che essendo pervenuto all'orecchie
di Clitia, da Febo per innanzi amata, mossa da gelosia subito narrò il tutto ad
Orcamo; il quale sdegnato, & troppo severo commandò, che viva fosse
sepolta. Ma Febo non le potendo ritornar la vita, la cangiò in una verga
d'incenso. La ragione di questa fittione da alcuni si rende tale, che la
donzella per lo commesso adulterio con qualche splendido giovane, secondo il
costume Sabeo fosse viva sepolta, dove a caso in quel luogo nascendo forse un
virgulto d'incenso, del qual legno quel paese per la virtù del Sole è
abondantissimo, & crescendo in alto, si diede materia alla favola. Ma io
tengo, che appresso gli Achemenidi vi sia qualche luogo chiamato Leucothoe, il
quale per essere abondante d'incenso viene detto esser amato dal Sole; il quale
pigliò la sembianza della madre, cioè la complessione necessaria per nodrire le
verghe dell'incenso, onde ivi discende & si congiunge con l'humidità della
terra, di maniera, che chi vi pone alcuna pianta viva, subito ella cresce,
& ascende in alto.
Eritreo, overo Eritra (come piace
a Solino) fu figliuolo di Perseo, & Andromeda, & signoreggiò nei
confini del mar Rosso; come, che vi siano di quelli, che dicano essere stato Re
d'Egitto. Di cui l'istesso Solino scrive in tal modo. Oltre la foce del
Pelusiaco vi è l'Arabia, che s'appartiene al mare Rosso; il quale Varrone dice,
che è nomato Eritreo dal Re Eritra, figliuolo di Perseo, & Andromeda, &
non solamente dal colore. Questo dice egli. Eritreo appresso Arabi fu di molta
auttorità, talmente, che morendo, in una certa Isola del mar Rosso, molto più
famosa dell'altre, a lui edificarono un famosissimo sepolcro, & l'adorarono
come un Dio, chiamando dal suo nome il mar Rosso Eritreo. Col quale fino al dì
d'hoggi il chiamano i Greci, cioè Eritra talasson , percioche Talasson
significa mare. Di lui non si legge altro.
Nel libro della naturale historia
Plinio, dice, che Perse fu figlio di Perseo; del quale non ho trovato altro
eccetto, che fu inventore delle saette. Il che forse appresso i suoi è vero,
attentoche appresso l'altre nationi troviamo, che molto prima furono usate.
Aone come dice Paolo fu figliolo
di Giove, & della ninfa Muoside; dal quale vuole, che la Boetia fosse
chiamata Aonia, perche ivi regnò. Ma noi seguendo l'auttorità di Lattantio, di
sopra l'habbiamo attribuito per figliuolo a Nettuno. Nondimeno Theodontio diceva,
che per fattione de' suoi fu cacciato di Puglia, & che fu figliuolo
d'Onchesto, & essere venuto in Boetia, dove s'acquistò Nettuno per padre,
& dal suo nome chiamò quella provincia. Tuttavia no'l facevano padre
d'alcun figliuolo; onde Paolo afferma, che generò Dimante.
Dimante secondo Paolo fu
figliuolo d'Aone, & da lui fu generato Asio, & Alisiore. Ma altro non
mi ricordo, che si legga di quello.
Leggesi, che Asio fu figliuolo di
Dimante, si come nella Iliade scrive Homero, dove dice;
Asio, che Zio fu d'Hettore
guerriero,
D'Hecuba frate, & di Dimante
figlio.
Costui, come, che Homero il
chiami fratello d'Hecuba, & zio di Hettore, diceva Leontio essere stato
fratello d'Hecuba da parte di madre, ma di diversi padri. Costui diede favore a
Priamo contra Greci.
Ovidio dice, che Alisiroe fu
figlia di Dimante, si come dimostra dove dice.
Bench'egli uscito de la prole sia
Di Dimante; si dice, che la madre
Alisiroe Eaco in nascosto
Vicino partorì del monte d'Ida.
Costei adunque di Priamo partorì
Exaco, che poi fu detto essersi cangiato in Smergo.
Eaco fu figliuolo di Giove, &
Egina, si come nella Iliade dice Homero.
Peleo figlio d'Eaco; di cui padre
Fu il sommo, eccelso, &
glorioso Giove.
Come Giove si congiungesse con
Egina, egli s'è mostrato di sopra dove di Egina si ha parlato. Dice Ovidio, che
costui regnò in Enopia, alla cui dal nome della madre diede il nome di Egina;
dove essendo gli huomini venuti meno, egli in sogno vide una quercia piena di
formiche, che hora in su, & hora in giù caminavano; onde gli pareva, che
pregasse Giove, che gli concedesse, che quelle formiche divenissero huomini. Il
che da dovero fu fatto, et in tal modo la sua Città fu ristorata. Di che chiamò
quegli huomini Mirmidoni, attento, che Mirmex in greco vuol dir formica. Oltre
ciò, gli antichi dissero, che costui insieme con Minos, & Radamanto
nell'Inferno essamina i peccati degl'huomini, & secondo i meriti gli
punisce. Sotto questi tali figmenti si nasconde pria questo; che la città di
lui, per la peste vuota di Cittadini, fu d'agricoltori ripiena, i quali a guisa
delle formiche la state raccogliono dai campi le biade, & l'altre cose
necessarie affine di non morire il verno di fame. Questi tali egli ammaestrò
nelle leggi, & sotto quelle gli sforzò vivere, & di qui fu detto
figliuolo di Giove, & giudice nell'inferno. Percioche, rispetto ai corpi
sopracelesti, i mortali sono infernali.
Phoco fu figliuolo d'Eaco, si
come è scritto per Ovidio, dove si legge.
Gli viene inanzi Thelamone il quale
Fu fratello di Peleo, e il terzo
Phoco.
Et quello, che segue. Di
costui altro non habbiamo eccetto, che fu amazzato da Peleo.
Thelamone fu figliuolo d'Eaco,
& d'anni il maggiore dei fratelli; il quale Servio dice, che fu de gli
Argonauti, & compagno d'Hercole. Costui ritornando di Colcho, &
lamentandosi Hercole del perduto Hila appresso i Misij, & di Laumedonte,
che gli havea vietato, che non passasse per lo lito di Troia, onde voleva
ritornarvi con un'essercito, & passarvi per forza, come partecipe della
ricevuta ingiuria volse seco andare a tale impresa. Onde presa Troia, &
amazzato Laumedonte, percioche fu il primo, che salisse sulle mura di Troia,
hebbe in parte della preda Hesiona figliuola di Laumedonte; della cui, havendo
già d'un'altra havuto Aiace, hebbe Teucro. Costui, ò cacciato ò non ricevuto
nella patria se n'andò in Cipro, & edificò la Città di Salamina.
Aiace, bellicosissimo huomo, fu
figlio di Telamone. Costui con gli altri Greci venne alla ruina di Troia, &
(affine di lasciar da parte l'altre meravigliose opre, che fece in battaglia)
hebbe ardire contrastare da corpo a corpo con Hettore; onde se si deve prestar
punto di fede ad Homero, se la notte non sopraveniva, Aiace ritornava
vittorioso a suoi. Ma fattosi oscuro, secondo l'antica usanza havendogli
Hettore donato un coltello, & Aiace a lui una cinta, Aiace fresco,
gagliardo, & animoso partendosi lasciò andare a Troia Hettore tutto lasso,
& fiacco. Questi doni (secondo Servio) furono di cattivo augurio, percioche
Aiace poi con quel ferro si ammazzò, & con quella cinta Hettore da Achille
fu strascinato. Ma essendo presa, & rovinata Troia, Aiace hebbe grandissima
contentione con Ulisse sopra l'armi del morto Achille; onde veggendo, che
dinanzi il consiglio di Greci la virtù dell'armi convenne cedere all'eloquenza,
divenuto furioso con quel coltello, che gli donò Hettore si amazzò, & secondo,
che dice Ovidio fu cangiato in un fiore del nome suo. Onde l'antichità ci
ammaestra, che le nostre forze liggiermente a guisa d'un fiore si dissolverano.
Teucro fu figliuolo di Telamone,
& di Hesiona figlia di Laomedonte; la quale pare, che non fosse moglie di
Telamone, percioche Homero alle volte nella Iliade dice, che Teucro fu
bastardo. Costui nondimeno fu huomo molto famoso, & nell'armi valente,
& insieme col fratello Aiace andò alla guerra di Troia. Ma finita quella, &
ritornando verso la patria senza il fratello, non puotè essere ricevuto di che
se n'andò in Cipro, & ivi edificò la Città di Salamina, & v'habitò
l'avanzo de la sua vita. Il che tengo piu vero di quello, che di sopra s'è
scritto di Telamone.
Peleo fu figliuolo d'Eaco, &
vivendo fu in grandi imprese. Attento, che con Meleagro andò alla caccia del
Cignale di Calidoni. Cosi insieme con Peritoo combattete contra i Centauri. Di
costui, come narra Ovidio, fu moglie Theti dea dell'acque; della cui s'innamorò
Giove, il quale però s'astenne di congiungersi con lei, perche per oracolo
havea conosciuto, che di lei nascerebbe un figliuolo, che sarebbe maggior del
padre. Nondimeno, a Peleo per convincere, & ottener costei fu necessario
l'ardire, & la forza. Attento, che Peleo per consiglio del vecchio Proteo
havendola un giorno presa, essa cangiandosi in varie, & diverse forme di
maniera smarrì quello ch'egli la lasciò. Onde ritornando da Proteo, gli fu di
nuovo persuaduto, che non dovesse haver tema di quelle trasmutationi; anzi, che
la prendesse, & dovesse ritener salda, perche se ciò facesse havrebbe il
suo intento. Peleo nel seguente giorno trovandola in un antro, che dormiva, la
prese; di che ella secondo il suo costume cangiandosi in varie forme, &
sentendo per ciò ch'ei non la lasciava, alla fine ritornando nella sua propria
forma l'accettò per marito. Laonde Giove invitò alle loro nozze tutti i Dei
eccetto la Discordia; la quale sdegnata, veggendo, che Giunone, Pallade, &
Venere stavano in disparte l'una presso l'altra, gittò fra loro un pomo d'oro,
et disse sia dato alla piu degna; di che tra loro subito nacque gara, ciascuna
di loro dicendo essere la piu degna. Et non volendo Giove tra loro sopra ciò dar
la sentenza, le mandò da Paride, che habitava nella selva d'Ida. Questi per la
promessa a lui da Venere, bellissima donna, sprezzate le promesse delle altre,
lo diede a Venere, come la piu degna, la quale gli concesse la rapita d'Helena.
Onde ne seguì la ruina di Troia, & la morte d'Achille, il quale nacque da
quelle nozze ove ella non fu invitata; & cosi vendicò l'ingiuria. Peleo
adunque di Theti hebbe Achille, & Polidori fanciulla. Poi havendo amazzato
il fratello Phoco andò in essiglio, cosi volendo la severa legge del padre;
dove principalmente n'andò da Cei Re di Trachinna, dal quale amichevolmente fu
ricevuto. Poscia partendosi d'ivi se n'andò in Magneto, dove da Acasto con la
fraterna uccisione fu purgato. Quello, che poi ne seguisse, no'l so. Hora,
quello, che sia da sentire per queste fittioni, è da avertire. Theti fu nobile
donna, nella cui natività fu previsto, che di lei dovea nascere un'huomo, che
di virtù avanzarebbe il padre. Et però Chirone di lei padre tra se rivolse
molti, & diversi consigli, non sapendo a cui darla per moglie. Cosi stando
in questi termini, Peleo dimandandola per moglie la prima fiata fu espulso,
& cosi le variationi de' consigli furono le mutatione delle forme di Theti.
Finalmente di nuovo Peleo dimandandola doppo molti consigli del padre, la
hebbe; onde nelle sue nozze, cioè per la creatione d'Achille, sono invitati
tutti i Dei, cioè tutti i corpi sopra celesti, ai quali s'appartiene secondo le
loro diverse possanze nel corpo già creato infonder diversi effetti accioche sia
perfetto. La discordia non viene chiamata, affine, che non disgiunga la
incominciata opra, & vada a male. Ella poi vi si aggiunge mentre l'huomo
incomincia pensare quale delle tre sia piu splendida vita, ò la contemplativa,
la quale per Pallade si comprende, overo l'attiva, che si intende per Giunone,
overo la voluttuosa, che si dimostra per Venere. Delle quali non volse Giove,
cioè Iddio, dar la sentenza, acciò che l'altre non paressero per sua boccha
dannate, & all'huomo data la necessità. Di queste tre piu ampiamente si è
detto, dove di Paride si ha parlato.
Polidori, come dice Homero nella
Iliade, fu figliuola di Peleo, & amata dal Fiume Sperchio, onde
congiungendosi seco partorì Mnesteo, il quale andò con Achille alla guerra.
Costei fu poi maritata in un certo Borione.
Achille, fortissimo dei Greci,
come è stato mostrato, fu figlio di Peleo, & di Theti, il quale subito
partorito dalla madre fu portato all'Inferno, & affine, che fosse patiente
delle fatiche tutto il lavò con le acque stigie, eccetto un talone, per lo
quale teneva quello. Poscia il diede a nodrire a Chirone Centauro, il quale lo
allevò non secondo, che gli altri si nodriscono, ma solamente gli faceva il
cibo di medolle d'orsi, di leoni, & d'altre fiere da lui prese; &
questo accioche facesse gran lena. Onde dice Lattantio, che perciò fu nomato
Achille da A, che significa senza, & Chilos cibo, quasi nodrito senza cibo.
A costui Chirone insegnò l'Astrologia, & la medicina, & anco sonar la
lira. Finalmente prevedendo Theti che per la rapita Helena da Paride dovea
nascer guerra, & in quella morir il figliolo Achille, per vedere se col
consiglio poteva schifarli la morte segretamente rubò quello dall'antro di
Chirone, che dormiva, & era anco giovanetto, lo portò nell'isola di Schiro
in casa del Re Licomede; onde vestendolo in habito di donna, &
ammaestrandolo, che ad alcuno non dovesse dire, che fosse maschio, il diede a
Licomede, che il serbasse con l'altre sue figliuole. Ma lungamente non puotè
esser nascosto alla donzella Deidamia figliuola di Licomede egli esser maschio;
di che aspettata l'occasione giacquero insieme, & per la commodità
dell'amore anch'ella tacque il sesso del giovanetto, & di lui s'impregnò,
& partorì uno fanciullo da loro chiamato poi Pirro. Ma havendo i Greci
congiurati contra Troiani, et havuto per oracolo Troia non poter senza Achille
esser pigliata, Ulisse fu mandato a ricercarlo. Il quale havendo presentito,
che era tenuto nascosto sotto habito di donna appresso figliuole di Licomede,
accioche invece del giovane non rapissero una donzella, si imaginò un nuovo
inganno. Onde fingendosi essere mercatante pigliò molte merci da donna, &
fra quelle vi pose un arco con alcune saette, con presuposto, che liggier cosa
sarebbe, che Achille mosso dal natural instinto pigliasse in mano quello, onde
ne gli atti venisse ad avedersi di lui. Né il suo pensiero mancò d'effetto,
conciosia, che essendo appresentato alle figliuole di Licomede, tutte
incominciarono maneggiare diverse cose donnesche, ma subito Achille preso
l'arco, & le saette incominciò adoperarlo; di che Ulisse subito s'avide
quello essere Achille, & con persuasioni l'indusse a venir alla guerra.
Dove nel viaggio, posto giù l'habito feminile, pigliò molte Città de gli
inimici, & guadagnò grandissima preda, & tra l'altre una donzella
figliuola del sacerdote d'Apollo, la quale diede ad Agamennone, et per se tenne
Briseida medesimamente da lui presa. Ma essendo bisogno per commandamento dei
dei, che Agamennone restituisse al sacerdote la figlia, egli a lui tolse
Briseida. Laonde Achille sdegnato stette poscia molti giorni, che nè a
persuasione nè a' preghi di alcuno non volse mai pigliar l'armi contra Troiani.
Finalmente un giorno essendo molto malmenati i Greci dai Troiani, da Nestore fu
menato Patroclo a lui, pregandolo, che se non voleva pigliar l'armi, almeno
acconsentisse ch'egli in vece di lui se ne vestisse, & montasse sopra la
sua carretta per guidare nella battaglia gli ociosi Mirmidoni; il che,
malamente però sopportando, ma non potendoli negare alcuna cosa, a Patroclo
concesse. Il quale essendo entrato nella battaglia, & da tutti tenuto per
Achille, fece molti danni a' Troiani, ma finalmente sopravenendoli Hettore, il quale
lungamente havea disiato affrontarsi seco, & hora per le false insegne
credeva Patroclo Achille, il misero Patroclo da lui liggiermente fu vinto,
& morto, & dell'armi spogliato. Indi, come quasi egli havesse vinto
Achille, vestitosi delle sue armi trionfante se ne ritornò in Troia. Per tal
cosa Achille molto turbato alquanto pianse l'amico, & con funebri pompe
solenni, & meravigliosa magnificenza il fece sepellire. Poscia dalla madre
Theti, la quale era venuta per mitigare il suo dolore, havute nuove armi, che a
lei da Vulcano furono date, & essendosi armato, per vendicar la morte
dell'amico entrò nella battaglia; dove havendo morto molti Troiani, amazzò anco
Hettore. Né assai gli parve per satollar l'ira l'haverlo morto, che anco
legando il corpo morto alla sua carretta, vergognosamente strascinò quello
d'intorno le mura di Troia in presenza di Priamo, & indi appresso la tomba
di Patroclo per spatio di dodici giorni fece star quello, dopo il quale
finalmente con preghi, & grandissimi doni fu poi conceduto al vecchio
Priamo, che inginocchioni di notte il venne a pregare. Doppo questo, in
un'altra battaglia amazzò Troilo; per la qual doglia Hecuba smarrita, &
temendo, che se Achille durasse lungamente gli altri figliuoli restati, &
la patria andrebbe in ruina, con feminil inganno tese lacci alla vita di
quello. Sapeva ch'egli amava Polissena, perciò che nel tempo della tregua la
vide, & gli piacque; onde subito gli fece sapere per un messo, che se
lasciava star di combattere gli darebbe per sposa Polissena. Al che essendosi
accordato Achille, fu pattuito, che segretamente, di notte, & solo venisse
nel tempio di Timbreo Apollo, il quale era quasi appresso le mura di Troia, che
ivi egli trovarebbe lei con la figliuola, & gli darebbe per sposa. Il che
bramando, & disiando Achille, di notte, solo et disarmato venne secondo
l'ordine nel Tempio. Contra il quale uscendo fuori Pari, che era nascosto
dietro un altare, & essendo molto instrutto in adoprar l'arco, con una
saetta il colse nel calcagno, & il ferì, onde invano con la spada ferendo
contra gl'inimici fu morto, et finalmente nel Sigeo Promontorio Troiano da i
suoi fu sepolto. In cosi lunga historia nondimeno narrata con brevi parole non
v'è altro di finto eccetto Achille attuffato nell'onde Stigie da un calcagno in
fuori, & che ferito in quello se ne morì. D'intorno a la qual cosa piace a
Fulgentio, che l'huomo bagnato nell'onde Stigia sia ciascuno avezzo a le
fatiche, attento, che Stigie s'interpreta tristezza; affine, che si comprenda
nessuno durare nelle cose liete ma piu tosto essere disgiunto, se altre volte
vi fosse durato. Che poi il talone non fosse bagnato, ciò cuopre il misterio
fisico. Percioche i Fisici vogliono, che le vene le quali sono nel talone
appartenghino alla ragione delle reni, di musculi, & delle parti virili. Et
per ciò per lo talone non bagnato nella Stige volsero designare la invitta
libidine d'Achille, la quale però per le fatiche non si estinse, attento, che
si vede, che per la libidine egli andò nelle mani degli inimici, & da loro
fu morto.
Pirro, si come si è visto, fu
figliuolo d'Achille, & Deidamia, & fu chiamato con tal nome, come dice
Servio, dalla qualità de' capelli, attento, che il suo dritto nome era
Neottolemo. Costui, morto Achille, a pena di prima barba fu condotto alla
guerra di Troia, & a guisa del padre fu animoso, & di mirabile ingegno.
Onde, se bene giunse cerca il fine della guerra, nondimeno non fu morto,
percioche egli fu uno di quelli arditi, & valorosi giovani, che entrarono
nel cavallo di legno da Greci con inganno fatto fabricare. Il quale poscia, che
in Troia fu condotto, Pirro con gli altri uscendo di quello, mentre l'altra
gente giunse da Tenedo, fece grandissima occisione de Troiani, percioche
entrando quasi nel mezzo del Palazzo reale amazzò Polite figliuolo del Re
Priamo nel grembo del misero, & vecchio padre. Indi stendendo le mani
contra Priamo, che l'oltraggiava per la crudeltà usata, fece, che col suo
sangue bruttò gli Altari da lui sacrati. Oltre ciò, rovinata Troia, amazzò
Polissena bellissima donzella dinanzi la sepoltura del padre, per placar
l'anima di quello. Appresso, tra la preda Troiana essendogli toccato Andromaca
già moglie d'Hettore, egli se la tolse per sposa; la quale secondo alcuni gli partorì
due figliuoli, Peripeleo, & Molosso. Poscia inamoratosi d'Hermiona
figliuola di Menelao, diede per moglie Andromaca ad Heleno figliuolo di Priamo
con una parte del Reame, percioche essendo indovino gli havea predetto, che non
entrasse nel mare, si come gli altri havevano fatto; & per sé rapì Hermiona
moglie d'Horeste, facendosela sposa. Indi, ò da povertà constretto ò per fervor
d'animo desideroso di preda (come piace ad alcuni), incominciò diventar
Corsaro, la qual navigatione agli altri noiosa da lui fu nomata Pirratica,
& i ministri Pirrati, attento, che egli fu il primo, che l'essercitasse,
come dice Paolo. Finalmente Horeste dal paese Taurico (lasciata la furia)
ritornando nel reame, corrotto Macareo, sacerdote d'Apollo Delfico, amazzò Pirro
in quello. Et tale fu il suo fine.
Peripeleo secondo Paolo fu
figliuolo di Pirro, & Andromaca, ma Theodontio dice d'Hermiona; nè di lui
appresso noi è pervenuto altro.
Molosso fu figliuolo di Pirro,
& Andromaca. Costui succedendo al morto padre signoreggiò ai popoli
d'Epiro, i quali dal nome suo chiamò Molossi. Ma mentre pervenne alla età di
prima barba dimorò sempre appresso la madre, & morendo lasciò Polidette suo
figliuolo.
Restò adunque (secondo Paolo) di
Molosso Polidette, ò maschio ò femina, che si fosse; che io non ne ho fermezza.
Dopo il quale successivamente degli Eaci non ritrovo nessuno, eccetto dopo
molti secoli, non essendosi appresso Greci lungamente tenuto altra progenie piu
nobile. De gli Eaci fu Pirro Re degli Epiroti, che fece guerra contra Romani
per opra de' Tarentini. Cosi anco Alessandro Epirota da Lucano Satellite
amazzato. Et appresso Olimpiade, famosissima reina de' Macedoni, & madre
del magno Alessandro. Et molti altri per virtù, & titoli illustri.
Pilunno come dice Paolo fu
figliuolo di Giove, del quale (secondo Servio) Piturano fu fratello, &
amendue Dei. Di questo Pilunno fu sua inventione il ritrovar l'usanza di porre
lo sterco nei terreni, & però fu detto Sterculino; benche Macrobio nel
libro di Saturnali dice, che questo fu ritrovamento di Saturno, & che
Pilunno ritrovò l'arte di macinare il fromento, onde perciò fu da i Pistori
honorato, & chiamato Pilo. Dice Theodontio, che a costui da un pastore fu
condotta Danae figliuola d'Acrisio, la quale fuggiva l'ira del padre insieme
col picciolo Perseo; onde egli conosciuta la sua natione la tolse per moglie,
& abandonata la Puglia, nella quale era grande, percioche era quasi
sottoposta ad Acrisio, insieme con lei se ne venne da i Rutuli; dove con Danae
edificò Ardea, & di lei hebbe Dauno.
Dauno fu figlio di Pilunno, &
(come afferma Theodontio) di Danae figliuola di Acrisio. Costui regnò in
Puglia, & da lui la chiamò Daunia. Et l'istesso Theodontio dice, che costui
fu proavo di Turno, il quale medesimamente è chiamato Dauno. Del figliuolo di
costui, & del padre del secondo Dauno, non mi ricordo havere letto altro.
Dauno, secondo Theodontio, del
precedente Dauno da parte del figliuolo fu nepote. Di costui fu moglie Venilia
sorella d'Amata sposa del Re Latino, della cui si ritrova c'hebbe molti
figliuoli. Tra quali vi fu quella, che dicono essere stata data per moglie al
profugo Diomede. Paolo diceva solamente, che Dauno padre di Turno fu figliuolo
di Pilunno, attento, che Virgilio parlando di Turno dice;
Del quale avo è Pilunno, et del
qual'anco
La dea Venilia è degna genitrice.
Ma io credo piu tosto a
Theodontio, conciosia, che Virgilio altrove in persona di Giunone cosi parla;
Nondimen egli per origin tiene
Il nostro nome; che Pilunno a lui
Fu il
quarto genitor, se ben comprende.
Il che secondo Paolo drittamente
non potrebbe essere, dove secondo Theodontio risponde al giusto numero.
Turno Re di Rutuli fu figlio di
Dauno, & della moglie Venilia; il quale al suo tempo essendo stato
famosissimo nella disciplina militare, fu anco giovane di tanta meravigliosa
fortezza di corpo, che in ciò parrebbe non prestare alcuna credenza a gli antichi,
se da piu moderno testimonio non fosse confermata. Et tra l'altre cose stanno
chiarissimi argomenti della sua fortezza appresso Virgilio, mentre combattendo
da corpo a corpo con Enea, cosi il Mantovano scrive.
Senza dir altro; un sasso grande
vede
Un sasso antico, e smisurato; il
quale
A caso per un termine era posto
A divider i campi; onde, ch'a pena
Con gli homeri l'havrebbono possuto
D'huomin' sei paia sostener ben
forti.
Et l'havea preso con la man
tremante
Et contra l'inimico lo vibrava.
Il che Agostino nel decimoquinto
della Città d'Iddio mostra havere per fermo. Oltre ciò Pallante figliuolo
d'Evandro da lui in battaglia morto, gli presta molta auttorità. Percioche
habbiamo letto, che al tempo d'Arrigo Cesare terzo Imperadore il suo corpo non
lontano da Roma fu trovato da un Villano, che cavava la terra, cosi intiero
come se poco dianzi fosse stato sepolto; il quale essendo tratto della
sepoltura, d'altezza, & di grandezza avanzava le mura di Roma. Dove si
vedeva ancora in lui il buco della ferita fattagli dalla lancia di Turno, che
trappassava la lunghezza di quattro piedi. Laonde molto bene si può considerare
di quanto valore, & di quanta fortezza dovesse essere Turno, che
combattendo vinse si gran giovine; & di qual sorte dovea essere il fusto
della lancia, che fece si smisurata fenestra. Con famosi versi Virgilio
nell'Eneida dimostra, che costui hebbe gran guerra contra Enea, percioche
Latino diede per sposa Lavinia sua figliuola ad Enea, la quale prima havea
promesso a Turno; onde dopo molte battaglie, & haver amazzato Pallante
figliuolo di Evandro, & privatolo del Balteo, che era una sorte di cinta
notabile, che portavano i gran guerrieri, & a sé postolo per rimembranza di
tal honore, venne a battaglia d'accordo da corpo a corpo con Enea. Di che
restando Enea vittorioso, & impetrandoli Turno la vita, leggiermente
l'havrebbe ottenuta, se non fosse stato, che Enea drizzando gli occhi in lui
vide il Balteo di Pallante, che per la pietà dell'amico tosto il commosse. Laonde
lo amazzò. Questo si è narrato secondo Virgilio, il quale con tutte le forze
s'estende nelle lodi d'Enea; ma secondo gli altri la cosa è diversa. Dicono
alcuni, che non sono huomini di picciola auttorità, che Enea fu vinto da Turno,
& fuggendo amazzato appresso il fonte Numico, nè da indi in poi mai piu fu
veduto il suo corpo; ma, che Turno fu poi morto da Ascanio. Di che, trattando
di Enea è stato parlato.
Iuturna fu figliuola di Dauno,
alla quale (secondo Virgilio) Giove tolse la virginità, & in vece del
levatole honore le diede l'immortalità; & fu fatta ninfa del Numico fiume.
Costei s'adoprò molto in aiuto del fratello; il che se per le fittioni è
discorso, istimo, che in ciò ella oprasse, che per la divisione del fiume
Numico avenisse, che gl'inimici di Turno non potessero libera, &
ispeditamente andare nel territoro di Ardea, nè contra esso Turno. Ma veggendo
mancar Turno, tutta mesta si nascose nell'onde. Sono di quelli, che dicono
costei segretamente haver havuto amicitia col Re Latino; il che scoprendosi,
tutta piena di vergogna da se stessa si gittò nel fiume Numico. Et cosi da
Giove, cioè dal Re oppressa, fu fatta ninfa del fiume Numico.
Mercurio fu figliuolo di Giove,
& di Maia figlia d'Atlante, si come è assai chiaro. Furono si come s'è
udito inanzi; i Mercuri molti; onde, benche da gli antichi quasi a tutti siano
attribuite le medesime insegne, & ornamenti, nondimeno non a tutti è
conceduta una deità istessa. Percioche uno è Iddio della medicina, l'altro dei
mercanti, l'altro dei ladri, & altro dell'eloquenza, il quale Theodontio
vuole, che sia questo figliuolo di Maia. Tuttavia non descrive quello, che a
ciò il mova; nè io, poscia che non l'ho ritrovato, non intendo piu sottilmente
ricercarlo. Credo solamente gli antichi haver voluto ogni Mercurio essere Iddio
dell'eloquenza, conciosia, che i Mathematici affermano, che al pianeta di
Mercurio s'appartiene nei corpi nostri disporre, & ordinare ogni organo
overo fistola, che per consonanza in noi risuona. Et di quì alcuni credono lui
essere detto nuntio, & interprete de i Dei, perche per gli organi da lui
disposti si manifestino gl'intrinsechi de' nostri cuori; i quali si ponno dire
segreti di Dei in quanto, che se non sono espressi con cenni ò con parole,
nessuno eccetto Iddio non gli conosce, & in questo è interprete di tali
segreti, perche le parole che sono organizate per gli organi da lui disposti da
lui sono interpretate, & aperte, le quali da un cenno solo non potevano
essere comprese. Adunque è messaggio, & interprete de gli Dei, & indi
Dio dell'eloquenza. Il che piu chiaramente per gli uffici a lui attribuiti,
& per gli ornamenti a lui apposti si dimostra. Mercurio è coperta col
capello, per dimostrare, che contra i fulmini dell'invidia la eloquenza con
forte coperta si conserva, la qual cosa altro non è, che la gratia, che
l'eloquente merita da benivoli auditori. Questa lungamente conserva gli scritti
de gli antichi contra maligni, & invidiosi; il che a se mostra haver
previsto Ovidio, mentre dice;
Ho già fornito un'opra, che nè
foco,
Né di Giv'ira non potrà, nè ferro,
Né edace
antichità far, che sia estinta.
Mercurio poi porta l'ale a piedi
per dinotare la velocità del parlare, il quale in un medesimo momento esce
dalla bocca di colui, che ragiona, & è raccolto nell'orecchie di quello
ch'ascolta. Oltre ciò, per lo piu disegnano ai messaggieri la necessaria velocità.
Porta la verga in mano per dinotare l'ufficio del nuntio, percioche i messaggi
furono soliti, come per un certo segno, portar le verghe; con la qual verga
dicono, che Mercurio rivoca l'anime dalla morte, & alcune ne infonde nei
corpi; onde perciò possiamo comprendere le forze dell'eloquente, per le quali
molti già dalle fauci della morte sono stati levati, & altri in quella
cacciati. Chi dalla morte tolse Milone? Chi Popilio Lenate, per tacer de gli
altri, se non l'eloquenza di Cicerone? Chi in bocca dell'Orco cacciò Lentulo,
Cethego, Statilio, & altri huomini dell'istessa setta, se non la terribil
forza dell'eloquenza di Catone? Oltre ciò, con questa verga dicono, che
Mercurio incita i venti, accioche consideriamo un eloquente poter incitare dei
furori, si come contra Cesare appresso Arimino fece la creatione di Curione;
cosi anco serenare le cose nubilose, cioè rimover gli sdegni, si come fece
Tullio per Deiotaro, mentre con una benigna oratione acquetò il gonfio petto di
Giulio Cesare contra lui. Che poi con questa medesima vergha tolga, & da i
sogni, egli è assai chiaro, che per l'eloquenza i pigri, & sonnolenti si
svegliano all'essercitio, & i troppo animosi ad acquistar gloria alquanto
raffrena, & fa addormentare. A quella verga vi s'aggiunge un serpente,
accioche dalla prudenza del serpe si comprenda essere bisogno, che l'eloquente
sia discreto in eleggere i luoghi et anco le persone d'orare, affine, che
l'Oratore guidi ove desia gli auditori.
Eudoro, come dice Homero nella
Iliade, fu figliuolo di Mercurio, & di Polimila figliuola di Finalte, del
cui in tal modo parla;
Et il Partenio martiale Eudonio
La sedia incominciava, che fu
figlio
Di
Polimila figlia di Filante.
Di costui Homero segue una lunga
favola, dicendo, che Mercurio veggendo Polimila leggiadramente ballare, &
cantare con le altre del Coro di Diana, di lei s'accese; onde segretamente
andando nel suo Palazzo giacque con lei, & generò Eudoro, huomo
velocissimo, & bellicoso; il quale andò con Achille alla guerra di Troia.
Mirtilo come dice Lattantio fu
figliuolo di Mercurio, & guidò il carro del Re Enomao. Onde Pelope
inamorato della figlia d'Enomao Hippodamia, per haverla per moglie si deliberò
entrare nel pericolo del contrasto del giuocar a correre con le carrette
insieme con Enomao, di che essendosi accordato con Mirtilo, che se lasciava
ch'egli vincesse voleva lasciarlo haver i primi frutti d'Hippodamia. Per la
qualcosa Mirtilo pose un asse di cera alla carretta, la onde nel mezzo del
corso la carretta d'Enomao restò per terra, & Pelope hebbe la vittoria,
& la donzella. Indi gittò Mirtilo in mare, il quale dimandava la sua
promessa; di che morendo venne a dar nome a quel mare, che da lui si chiamò
Mirtilo. Nondimeno, il vero è, che Enomao per tradimento di questo Mirtilo,
ch'era capo delle sue genti, fu in guerra vinto, & morto, si come parlando
di Pelope s'è detto.
Lari furono due figliuoli di
Mercurio, & della ninfa Pari, si come dice Ovidio. Ma Lattantio nel libro
delle divine institutioni dice ch'ella si chiama Larunda, overo Lara. Solamente
dell'origine di questi Ovidio narra favola tale; Che amando Giove Iuturna,
ninfa del Thebro, & sorella del Re Turno, ordinò all'altre ninfe del luogo,
che se quella fuggiva la ritardassero, accioche nel seguirla ella non
s'annegasse. Ma Lara figlia d'Almone (come dice Paolo), & una delle Naiadi
riferì tutto l'ordine di Giove a Iuturna, & Giunone. La onde Giove sdegnato
privò della lingua Lara, & commandò a Mercurio, che la conducesse
nell'Inferno, dove havesse ad esser ninfa Stigia. Onde Mercurio nel guidarla,
& riguardarla s'inamorò di lei, & per lo camino giacque seco; la quale
essendosi impregnata, di lui partorì due figliuoli, i quali egli dal nome della
madre chiamò Lari. La fittione di questa favola tiene il senso assai nascosto.
Giove è il calore, il quale appetisce la ninfa Iuturna, cioè l'humidità, nella
cui possa oprare; ma Lara, la quale qui è posta per lo troppo calor della donna,
separa l'effetto del fuoco, che opra. Nondimeno Mercurio, cioè la frigidità,
per opra della Natura eccitata, vacuato il superfluo calor della donna ritira
il seme in uno, & cosi Lara è privata della lingua, cioè della potenza di
nuocere. Di questa solamente calcata calidità, Mercurio, cioè (secondo i
Gentili) la moderata prudenza della Natura, ne trahe i Lari. Ma non però
dirittamente da quella, ma levata quella (secondo l'openione d'alcuni) aviene,
che i Lari col creato parto nascano, overo siano creati; i quali standovi ella
non potevano essere creati. De quali Lari tutti gli antichi non hanno havuto
una istessa openione. Percioche gl'antichi istimarono, che essendo l'anima
rationale da Mercurio condotta in un nuovo corpo, come ho detto altre volte, deversi
credere, che da Mercurio però sia guidata, perche nel sesto mese quel parto,
che viene attribuito a Mercurio sia tenuto ricever l'anima, overo la vital
potenza ne l'anima degli Dei, over i Dei venir custodi della nuova anima, i
quali alcuni hanno chiamato genio overo genij, & alcuni gli hanno detti
Lari, come poco inanzi è stato narrato. Et si come Censorino afferma nel libro
del giorno natale, vuole, che sia detto Genio ò perche cura, che siamo
generati, overo perche sia generato insieme con noi, overo, che sempre difendi
i Geniti, & dice, che da molti antichi è affermato Genio, & Lare
esser'una cosa istessa, & specialmente Caio Flacco in quel libro ch'ei
lasciò scritto a Cesare, De Indigitamentis . Et benche dica esservi un solo
Lare overo Genio, seguendo poi v'aggiunge, che per openione d'Enclide Socratico
ogn'uno ha il genio doppio, & cosi ciascuno per openione degl'antichi ha
due Lari. Il che assai pare, che si confermi per l'auttorità d'Anneo Florio,
che nel quarto del suo Epitoma, cosi scrive; Et di notte ad esso Bruto, il
quale col lume acceso secondo alcun suo costume stava seco pensoso, si
appresentò una certa oscura imagine; onde interrogatala chi si fosse, ella gli
rispose, il tuo cattivo genio, & questo subito dagli occhi del riguardante
sparve. Di che si può considerare che non sarebbe andato il suo cattivo genio
se non vi fosse anco il buono; & cosi sono due. La verità Christiana gli
chiama angeli, non generati col nascente ma accompagnati al nato. De' quali
l'uno buono sempre incita al bene, & l'altro cattivo si sforza al
contrario; & come testimoni, & conservatori de' nostri beni, &
mali, fino alla morte continuamente ci accompagnano. Oltre ciò, credettero
questi Lari esser sopra le cose private, sicome nel principio dell'Aulularia
dimostra Plauto, & gli chiamarono Dei famigliari overo domestici, & si
come gli habbiamo detti essere apposti alla custodia del corpo, cosi ascrissero
alla guardia della casa, & nelle case gli diedero un luogo commune, cioè
dove gli antichi facevano nel mezzo della casa il focolare, & ivi con
sacrifici secondo l'antico costume gli honoravano. Il che appresso noi non s'è
anco scordato. Attentoche se bene quel errore sciocco se n'è andato, durano
anco i nomi, & una certa sapienza degli antichi sacri vestigi. Habbiamo noi
Fiorentini, & cosi forse anco alcune altre nationi, per lo piu nelle case
domestice, dove si fa il fuoco commune à tutta la famiglia della casa, alcuni
instrumenti di ferro, che sostentano le legna del fuoco chiamati Lari, cioè i
capi fuoco, & ne l'ultimo di Dicembre dal padre di famiglia si mette sopra
il fuoco con l'uso de capi un gran tizzone, a cui stà d'intorno tutta la
famiglia; & egli sedendo dall'altro capo del gran legno si fa dar bere,
& poscia, che ha bevuto spruzza con l'avanzo del vino, che nella tazza gli
è restato il capo dello tizzone a caso, & indi havendo tutti gli altri
bevuto, come quasi havessero essequita la solennità, ogn'uno va per fatti suoi.
Questo spesse fiate vidi io essendo fanciullo essere celebrato da mio padre,
huomo veramente Catholico, & Christiano, in casa sua. Né dubito, che anco
fino al dì d'hoggi non si osservi da molti, piu tosto per usanza de' suoi
maggiori, che per inganno d'alcuna idolatria ò superstitione.
Evandro Re d'Arcadi, come dice
Paolo, fu figliuolo di Mercurio, & Nicostrata, & veramente fu huomo per
valore, & ingegno illustre. Dice Servio, che egli amazzò un certo Icerillo,
huomo molto bestiale, si come Hercole Gerione; onde per lo suo singolar valore
fu nomato uno tra i molti Hercoli. Et l'istesso Servio dice, che costui fu
nepote di Pallante Re di Arcadia, & che havendo amazzato suo padre, cioè il
marito di Nicostrata, per conforti d'essa Nicostrata, che era indovina,
lasciata l'Arcadia venne in Italia, onde cacciati quelli, che v'erano nati
possedette que' luoghi dove poi fu edificata Roma, & fondò un picciolo
castello sul monte Palatino, & ivi raccolse Hercole, che ritornava
d'Hispagna con la vittoria del vinto Gerione, il quale il liberò da gl'insulti
del ladrone Caco. Indi raccolse anco Enea, che doppo la ruina di Troia andava
cercando nuovo paese, & nella guerra contra Turno gli diede aiuto, &
gli mandò Pallante suo figlio, il quale morto da Turno fu dogliosamente pianto
dall'infelice vecchio. Fu chiamato figliuolo di Mercurio perche tra gli altri
fu huomo eloquentissimo, cosi ne afferma Theodontio.
Pallante fu figliuolo del Re
Evandro, si come molte volte nell'Eneida mostra Virgilio; & essendo giovane
molto illustre, & virtuoso divenne amicissimo di Enea, onde con molta gente
seguì quello nella guerra contra Turno, dal quale fu morto, & dallo
sfortunato padre con lagrime sepolto. Il corpo di costui, si come riferisce
Martino in quel libro chiamato Martiniana, al tempo d'Arrigo Terzo imperador di
Romani fu da un'Agricoltore non lontano da Roma ritrovato, cosi intiero come
poco dianzi fosse stato sotterrato, il quale di statura era cosi grande, che
d'altezza trapassava le mura; & quello, che è piu maraviglioso, il buco
della ferita fattali da Turno si vedeva grandissimo, di maniera, che passava di
lunghezza quattro piedi, aggiungendo a ciò, che sopra il capo di lui vi fu
trovato una lucerna ch'ardeva con perpetuo fuoco, nè poteva essere estinto nè
con soffiare nè gittarli sopra acqua. Finalmente fattole di sotto nel fondo un
forame, s'estinse. Oltre ciò, dice, che nel sepolcro v'era intagliato questo
Epitafio:
Filius
Evandri Pallas quem lancea Turni militis occidit more suo iacet hic .
D'Evandro ancora (come dice
Servio) fu figliuola Pallantia, il quale afferma, che Varrone narra costei
essere stata vitiata da Hercole, & che di lei generò Latino Re de Laurenti.
Alla fine questa venendo a morte, si come dice, fu sepolta in quel monte, che
dal suo nome fu chiamato Palatino.
Pane, non quello, che fu detto
Dio d'Arcadia, ma un'altro, fu figliuolo di Mercurio, & Penelope, come nel
libro delle nature dei Dei scrive Cicerone. Et benche Licofrone dica, che
Penelope moglie d'Ulisse giacesse con tutti i Proci percioche Ulisse non
ritornava, & che di uno partorì Pane, nondimeno sono di quelli, che
vogliono essersi dato luogo a questa fittione, & intendersi essere avenuto,
che per eloquenza d'alcuno Penelope si lasciasse conducere ad usare degli
abbracciamenti d'altrui, & haver partorito un figliuolo, perche parve
acquistato con eloquenza, fu detto figlio di Mercurio. Ma io, si come ho detto
altrove, non posso imaginarmi, che una pudicitia cosi famosa come fu quella di
Penelope si lasciasse piegare, nè macchiare da eloquenza, nè opra d'alcuno.
Furono veramente anco delle altre donne dell'istesso nome, ma non forse di
pudicitia eguali a lei; onde puotè avenire, che nascesse Pane chiamato
figliuolo di Mercurio.
Vulcano fu figliuolo di Giove,
& di Giunone, si come quasi tutti i Poeti affermano. Costui, perche era
zoppo, & difforme, come tosto fu nato fu dai padri gettato nell'Isola di
Lenno. Di questo parla Virgilio nella Bucolica, dove dice;
Al quale non arisero i parenti,
Né Dio d'haver costui alla sua
mensa,
Né la Dea
si degnò d'haverlo in letto.
Tutti affermano, che costui hebbe
moglie, ma chi ella si fosse, tutti non sono d'accordo. Percioche Cigno (come
descrive Macrobio nel libro de' Saturnali) dice, che Maia fu moglie di Vulcano.
Pisone vuole Maiestà. Homero prima, poi Virgilio, & gli altri Poeti Latini,
scriveno, che fu Venere. Ma essendo cosa certa, che piu d'uno furono i Vulcani,
egli può essere vero, che habbiano scritto bene, attento, che non dicono di
quale Vulcano fossero mogli Maia overo Maiestà. Che poi di Vulcano di Lenno
fosse moglie Venere, pare, che se ne habbia certezza. Oltre ciò, dicono costui
Fabro di Giove, & affermano, che Vulcano appresso l'isola di Lipari ha le
fucine, & i Ciclopi, che il serveno nel fabricare i folgori, & l'arme
delli Dei; onde vogliono, che tutto quello, che con artificio è composto fosse
da lui formato, come l'armi d'Achille, & Enea, il Monile d'Hermione, la
corona d'Arianna, & altre cose simili. Oltre ciò dicono che, essendo dal
Sole scoperto l'adulterio di Venere sua moglie, & di Marte, con catene
invisibili avinse amendue. Il chiamano anco Mulcibero, & padre di molti
figliuoli. Volendo adunque dalle cose dette cavare il sentimento; egli è prima
da sapere questo Vulcano essere stato figliuolo di Giove, & di Giunone,
& haver signoreggiato in Lenno, & di lui Venere essere stata moglie, la
quale da lui fu ritrovata giacere con un huomo d'arme, si come è stato detto di
sopra dove si ha parlato di Marte. Et questo in quanto all'historia basti.
Quanto poi ad altro senso, egli è prima d'avertire il fuoco appresso noi essere
di due sorti. Il primo è esso elemento del fuoco, che non vedemo, & questo
molte volte i poeti chiamano Giove. Il secondo poi è il fuoco elementato dal
primo causato, & questo è doppio. Il primo è quello, che nell'aere per lo
velocissimo circolar moto nelle nubi s'accende; & questo, mentre uscendo
quello si rompe, genera lampi, & tuoni, & con grandissimo empito è
cacciato in terra. Il secondo poi è questo fuoco, che noi usiamo di legna,
& altre cose, che s'abbrusciano, il quale da noi è cavato da dure pietre,
& mantenuto. Di questi tre in questa fittione si fa ricordo, percioche il
primo è Giove, da cui, & dalle cose aeree, & terrene, che si debbeno
intendere per Giunone, gli altri due nascono. Di questi l'uno, & l'altro è
zoppo, attento, che si riguardaremo il frangimento della nube vedremo il fuoco
non drittamente uscirne, ma hora in questa hora in quella parte declinare;
& cosi diremo, che va zoppo. Cosi anco medesimamente le fiamme del nostro
fuoco non vedremo mai, che s'inalzino egualmente, ma in guisa d'un zoppo hora
piu basso hora piu alto ascendeno di questi il primo, si come è stato mostrato,
viene gittato di Cielo in terra; nè a lui arrideno i padri, perche tantosto,
che è creato è gittato a terra, onde in tal modo nol giudicano degno della sua
mensa. Vogliono poi, che fosseno gittato in Lenno, perche spesso in quell'isola
cadeno folgori. Che la Dea non si degnasse haverlo in letto, piu a basso dove
si tratterà d'Erittreo si narrerà la cagione. Quello, che è appresso noi fu
nodrito dalle Scimie, percioche la Scimia è un animale il quale ha dalla
Natura, che tutto quello che ella vede all'huomo oprare, medesimamente si
sforza di fare; & perche gli huomini con l'arte, & col suo ingegno si
sforzano in molte cose imitar la Natura, & d'intorno tali attioni il fuoco
è molto necessario, è stato finto le Scimie, cioè gli huomini haver nodrito
Vulcano, cioè il fuoco. Delquale, accioche si conosca il suo bisogno, nel libro
delle Ethimologie in tal modo Isidoro scrive; Senza il fuoco nessuna sorte di
metallo non si può gittare, nè lavorare. Non è quasi cosa alcuna, che che col
fuoco non sia composta. Altrove compone il vetro, altrove l'oro, altrove
l'argento, altrove il piombo, altrove il rame, altrove il ferro, altrove il
bronzo, & altrove le medicine; col fuoco i sassi sono ridotti in rame, col
fuoco il ferro si genera, & doma, col fuoco l'oro si fa perfetto, col
fuoco, abbrugiati i sassi, i muri si congiungono; il fuoco cocendo i sassi neri
gli fa venir bianchi, i legni bianchi abbrugiando manda in polve, & ne fa
neri carboni; di legna dure fa cose frali, di cose putride ne fa di odorose;
slega le cose strette, & le sciolte unisce; mollifica le dure, & le
dure rende molli. Questo dice Isidoro. Oltre ciò, vogliono, che costui sia
Fabro di Giove, & artefice di tutte l'altre cose artificiose, affine, che
si comprenda, che tutto quello, che si fa artificioso è fatto con l'aiuto del
fuoco; il quale come artificioso è chiamato Vulcano da qualche famoso artefice
cosi nomato. Perche poi le sue Fucine siano dette essere appresso Lipari, &
Vulcano isole, chiaramente si vede. Elle sono isole, che vomitano fuoco, &
il loro nome favorisce alla fittione. Certamente sono chiamate Vulcane, ma non
da Vulcano figlio di Giove, anzi da un certo Vulcano, il quale nato in Emalio
possedette quelle. Né solamente volsero ch'egli fosse il fabro dell'armi, overo
il fuoco delle cose giuocali, overo Vulcano; ma, che prestasse materia alle
conventioni de gli huomini, & al principio de i contratti, si come pare,
che affermi Vitruvio nel libro della Architettura, dicendo; Gl'huomini secondo
l'antico costume nelle selve, nelle spelonche, & nei boschi nascevano,
& usando agreste cibo menavano la lor vita. In questo in un certo luogo
dalle tempeste, & venti strepitosi i densi alberi incominciano crollarsi,
& tra loro percuotere i rami, onde ne usciva fuoco; di che per la gran
fiamma quelli che ivi habitavano tutti smarriti se ne fuggirono. Poscia
riposando alquanto, piu vicino venendosi ad accostarsi, & considerando
quello esser di grandissima commodità ai corpi, alla tepidezza del fuoco
aggiungendo legna, & conservando quello, vi guidavano de gli altri, &
con atti facendoli cenni gli mostravano l'utilitadi, che da lui trahevano. In
quel concorso de gli huomini, che altrimenti che hora non si fa mandavano fuori
le voci dallo spirito, per la conversatione d'ogni giorno insieme, erano
fermati per voler pure cavarne i vocaboli, che fossero intesi. Indi piu volte
separando le cose, nel costume a sorte tanto snodarono la lingua, che
incominciarono parlare; & cosi tra loro procrearono le parole. Adunque per
l'inventione del fuoco essendo nato appresso gli huomini il principio del
consiglio, & conversatione, & adunandosi molti in un luogo, i quali
prima si come facevano gli altri animali andavano non dritti, ma chini, &
in quattro, & considerando la magnificenza delle Stelle, & maneggiando
facilmente con le mani, & diti quello, che volessero, incominciarono
allhora altri farsi coperti di frondi, altri cavar spelonche sotto i monti,
alcuni imitando i nidi delle hirondini con fango, & virgulti edificar
luoghi per stare al coperto. Questo dice Vitruvio. Non havea il famoso Vitruvio
il Pentateuco, percioche d'intorno a questo principio havrebbe trovato Adamo
nomare un altro essere stato inventore del parlare, & haver nomato il
tutto. Et altrove havrebbe conosciuto, che Caino edificò non solamente case, ma
anco Cittadi. Ma di questo altrove. Perche poi i Ciclopi siano dati a Vulcano
per aiuto, egli si è dichiarato parlando di loro. Questo fabro è chiamato
Vulcano (come dice Servio), quasi Volicano, che per l'aere voli. È poi detto
Mulcibero (come narra Alberigo), che quasi renda piacevole la pioggia;
attentoche andando le nubi in alto, per lo calore si risolveno in pioggie. Ma
io tengo, che sia detto Mulcibero perche mollisca il rame, & gli altri Metalli.
Erittonio, chiamato da Homero
Criteo, fu figliuolo di Vulcano, & Minerva; della cui creatione dagli
antichi si recita favola tale. Che Vulcano havendo fabricato i folgori a Giove,
che guerreggiava contra i Giganti, richiese a lui per premio, che gli fosse
concesso congiungersi con Minerva; il che da lui gli fu conceduto, dando però
licenza a Minerva, che se potesse con tutte le sue forze difendesse la sua
verginità. Essendo adunque entrato Vulcano con Minerva alle strette, &
volendo per forza fare il fatto suo con lei, che si difendeva gagliardamente,
avenne, che Vulcano per la soverchia voglia si corruppe, & sparse il seme
in terra, del quale dicono, che nacque Erittonio, che havea e' piedi di
Serpente; onde cresciuto in età, per nascondergli fu il primo, che ritrovasse
l'uso di andare in carretta, si come narra Virgilio.
Erittonio fu il primo, c'hebbe
ardire
Accompagnar quattro destrieri al
carro.
Et quello, che segue.
L'intentione di questa favola in tal modo è scoperta da Agostino nel libro
della Città d'Iddio. Dice, che appresso gli Atheniesi fu un tempio commune a
Vulcano, & a Minerva, nel quale fu ritrovato un fanciullo annodato da un
Serpe; onde gli Atheniesi giudicando per ciò, che questo fanciullo havesse a
divenire grande huomo, il serbarono, & perche non si sapeva di cui fosse
figliuolo, l'attribuirono a quelli a' quali il tempio era dedicato, cioè a
Vulcano, & a Minerva. Oltre ciò, costui, come dice Anselmo nel libro della
Imagine del Mondo, fu assunto in Cielo, et locato tra l'altre imagini celesti
fu chiamato Serpentario.
Figliuola d'Erittonio fu Procri,
& moglie de Cefalo; della quale Ovidio scrive la Geneologia, et quale fosse
la sua sorte, si come habbiamo parlato dove si è trattato di Cefalo. Onde di
lui scrive Ovidio.
Et altrettante figlie; ma di due
Pari era la bellezza; & di
queste una
Procri; qual fu di Cefalo mogliera.
Orithia fu figlia d'Erittonio,
si come Eusebio nel libro de i Tempi dimostra. Costei fu rapita da Borea di
Thracia figliuolo d'Astro, & da lui tolta per moglie, la quale gli partorì
Zeto, & Calai.
Come piace a Lattantio,
d'Erittonio fu figliuolo Pandione, Re d'Athene, & a lui successe nel Reame:
del quale, eccetto, che appresso Eusebio visse nel Regno anni quaranta, non
habbiamo altro; ma oltre ciò hebbe anco due figliuoli, & altrettante
figliuole, delle quali, poscia, che lasso per la continua guerra fatta contra i
Thracesi hebbe fatto la pace, una cioè Progne diede a Tereo Re di Thracia per moglie,
& dell'altra cioè di Filomena amaramente pianse la disgratia, onde di sopra
se ne è parlato ampiamente.
Fu Progne, & Filomena, si
come apertamente narra Ovidio, figliuole di Pandione Re d'Athene. Progne fu
data per sposa a Tereo Re di Thracia, del quale gli partorì Ithis. Filomena
poi, seconda figliuola di Pandione, fu vergognata da Tereo, & tagliatale la
lingua. Onde avenne, che per ciò Progne amazzò il figliuolo Ithi, & il
diede a mangiare al padre, di che Progne fu mutata in una hirondine, Filomena
in un Lusignuolo, & Tereo in una Upupa; il che si è narrato ampiamente
parlando di Tereo.
Caco fu figliuolo di Vulcano, si
come dice Virgilio;
Qui una spelonca fu dove giamai
Non penetrava alcun raggio di Sole,
Tutta coperta da virgulti, &
spini
Dove l'imagin fiera del mezz'huomo
Caco stava nascosto, ivi per sempre
Di fresco sangue era il terreno
molle,
E a le superbe porte erano affisi
Humani capi, pallidi, & di
sangue
Fetido aspersi, che pendevan giuso.
A questo monstro padre fu Vulcano,
Et ei di quello vomitava fuori
Gli horridi fuochi, & caminava
in guisa
D'una
gran mole, & machina superba.
Di costui si narra, che
ritornando Hercole d'Hispagna, ch'era alloggiato con Evandro, di notte gli rubò
i buoi, & per la coda gli condusse nella sua spelonca; di che la mattina
Hercole avedendosi che i buoi erano scemati, nè potendo considerare ove fossero
andati, attento, che vedea l'orme in contrario, che dall'antro mostravano venir
al pasco, nondimeno udì, che i Buoi rubati muggivano perche si trovavano senza
gli altri, & cosi quei di fuori gli rispondevano. Onde aviandosi verso
l'antro s'avide dell'inganno di Caco, & per forza entrando nell'antro
amazzò Caco, & ripigliò i suoi Buoi. Ma altri vogliono, che da Caca sorella
di Caco fosse rivelato ad Hercole il furto del fratello, & che per ciò ella
lungamente meritasse con sacrifici, & Altare essere honorata. Servio dice,
che costui fu chiamato figliuolo di Vulcano perche spesso abbruggiava tutti i
luoghi a lui circonvicini, il quale Alberigo diceva, che fu sceleratissimo
figliuolo, overo servo d'Evandro, il cui nome suona l'istesso; conciosia, che
Cacos in greco vuol dire cattivo. Sotto la fittione di questa favola è openione
di Solino, dove tratta delle maraviglie, che vi si contenga historia. Percioche
dice, che Caco habitò in quel luogo, che si chiama Saline, dove poi fu fatta la
porta Trigemina di Roma. Indi dice, che Celio narra ch'essendo andato legato a
Tarcone Tirreno, da Marsia Re fu dato in guardia a Megalo Frigio, dal quale con
piu ampi sussidi fu ritornato onde s'era partito; & havendo quelli occupato
il reame circa il Vulturno, & la Campania, mentre cercavano contra Evandro,
& gli Arcadi tentare alcuni mottivi, Caco fu morto da Hercole, che allhora
si trovava appresso Evandro, & Megalo; se n'andò dai Sabini, a i quali
insegnò l'arte degli auguri.
Ceculo, se si deve prestar fede a
Marone, fu figliuolo di Vulcano, del quale cosi parla;
Né de la gran cittade Prenestina
Mancovi il fondator Ceculo, il
quale
Stimato fu da tutta quella etate
Da Vulcan generato, & Re creato
Tra i
gregi agresti, e in fuoco ritrovato.
Di costui si recita favola tale.
Furono due fratelli c'hebbero una sola sorella, la quale sedendo appresso il
fuoco, a caso le cadè una favilla della fiamma ardente in grembo, della cui
dicono, che la donzella si impregnò, & partorì un figliuolo chiamato
figliuolo di Vulcano, & per haver gli occhi lippi il nomarono Ceculo. Il
quale un giorno essendo forse infestato, che non fosse figliuolo di Vulcano,
pregò Vulcano, che gli facesse vedere se fosse suo figlio. Onde senza nessuno
indugio da Vulcano fu mandato un folgore, che arse, & amazzò tutti quelli,
che non credevano lui essere suo figliuolo. Laonde dagli altri fu tenuto vero
figliuolo di Vulcano. Io tengo la ragione di tal fittione esser questa. Che il
proprio nome di Ceculo fosse Preneste, & che dalla infermità degli occhi
fosse nomato Ceculo; & egli, & Preneste figliuolo del Re Latino essere
stato un istesso, ma, che per la favilla volata nel grembo della madre fosse
attribuito a Vulcano, & che col fuoco, & con l'incendio castigasse i
suoi nemici. Indi anco edificasse Preneste, & venisse in aiuto di Turno
contra Enea.
Tullio Servilio fu figliuolo di
Vulcano, & di Cresa Corniculana, si come nel libro de Fastis mostra Ovidio,
dicendo;
Perche padre di Tullo fu Vulcano,
Et la Corniculana Cresia madre.
Et poco da poi segue;
Per forza sta prigiona appresso il
fuoco,
Et da lei vien concetto. Adunque
tiene
Servio
l'origin sua da l'alto Cielo.
Oltre ciò Ovidio dice, che costui
fu amato dalla Fortuna, & ch'ella era solita andar a lui per una fenestra
del Palagio, & starsene seco; dove poi vi fu fatta una porta, che da quella
fenestra fu chiamata fenestrale. L'intento di questa favola si piglierà dalla
historia di Tito Livio puntalmente narrata, la quale io con poche parole
spiegherò. Dico, che da Tarquino Prisco Re de' Romani pigliato Corniculano, tra
l'altre prigionere una certa giovanetta di nobile aspetto fu da lui condotta
nel suo Palazzo reale; la quale essendo pregna partorì Tullio Servilio. Sopra
la testa del quale, anco fanciullo, & che dormiva in culla, fu visto da alto
scendere una fiamma di fuoco, & sopra quella fermarsi senza punto
offenderlo; il che veduto da Tanaquile Reina, & ammaestrata ne gli auguri,
persuase al marito, che quel fanciullo si dovesse nodrire con gran cura,
percioche egli havea ad essere di gran commodità alla sua famiglia. Di che
allevato, & divenuto valoroso giovane, tolse per moglie una figliuola di
Tarquino. Onde essendo Tarquino stato ferito dai figliuoli d'Anco Martio, &
per quella ferita morto, dalla reina il corpo di quello fu segretamente serbato,
fino attanto, che per commandamento suo Tullio occupò il Palazzo Reale, essendo
anco piccioli i figliuoli di Tarquino. Laonde, presa la signoria, &
scoperta la morte del re, Servio fu creato re, & successore; il quale dalla
moglie havendo già havuto due figliuole, diede quelle per spose ai figliuoli di
Tarquino Prisco. Egli poi havendo fatto molte cose utili per Romani, da
Tarquino superbo suo genero, instigato dalla moglie sua figliuola, fu morto,
dopo l'haver regnato anni quarantaquattro. Quella fiamma adunque fu cagione,
che si fingesse ch'ei fosse figlio di Vulcano, il che dimostra Ovidio dicendo;
Segni ne mostrò il padre; allhora
quando
Con la fiamma di fuoco risplendente
S'andò
sopra del capo raggirando.
Che fosse poi dalla fortuna
amato, i successi ne fecero fede. Plinio nel libro de gli huomini illustri
dice, che costui fu figlio di Publio Cornicolano, & di Ocreatia captiva.
Le due Tullie (auttore Tito
Livio), furono figliuole di Tullio Servilio, & mogli di Arrunco, &
Lucio figliuoli di Tarquinio Prisco. La maggior Tullia, d'animo severo,
insopportabile, & ad ogni scelerità inchinata, toccò ad Arrunco, benignissimo
giovane. La minore, ch'era quieta, & benigna, fu data a Lucio, giovane
inquieto, maligno, & d'animo ambitioso. La maggior Tullia era infiammata di
desio di regnare, & sempre con risse, & oltraggi crucciava il quieto
marito, & biasimava la sua disgratia, che non l'haveva fatta sposa di
Lucio. Finalmente avenne, che Arrunco, & la minor Tullia morirono; laonde
subito la maggiore s'accordò con Lucio, & contra il consenso di Servilio,
che quasi a forza acconsentì, si tolsero per sposi. Onde la scelerata donna incominciò
instigare con parole l'animo del marito, & con stimoli infiammarlo al
regnare. Di che avenne un giorno, che Lucio entrò nella Curia, & come Re
ivi si pose a sedere, & fece scacciar Tullio, che ivi veniva, & indi
gli mandò dietro, & il fece ammazzare. Il che inteso da Tullia, tutta lieta
montando sopra una carretta se n'andò per salutare il marito Re. Poscia
ritornando verso casa, & veggendo il carrattieri il corpo del morto
Servilio in mezzo la strada, sovrastette alquanto per non vi passar sopra con
la carretta; ma Tullio oltraggiandolo con parole volse, che con le ruote vi
andasse sopra. Costei hebbe figliuoli di Lucio, tra quali vi fu Sesto
Tarquinio, che per la violenza usata contra Lucretia moglie di Collatino,
Lucio, & tutti gli altri figliuoli furono cacciati in essiglio, & ella
insieme; la quale puotè udire appresso i Gabij Sesto essere stato tagliato a
pezzi, & vedere il marito appresso Cuma di Campania vecchio miseramente
consumarsi. Il fine poi della donna non mi ricordo haverlo trovato.
Per la maggior parte del vasto,
& gran gorgo pieno di procelle, & piu difficile da solcare, con l'aiuto
d'Iddio, lasciata a dietro la poppe incominciava lasciarmi vedere il mare
quieto, non impedito quasi con nessun scoglio, & concedermi l'onde assai
piu del solito tranquille; onde con la speranza, & disio di toccare il lito
dove mi prometteva c'havrei riposo, & che per le vinte fatiche come buon
nocchiero mi darebbe la corona d'alloro, a piu potere con vele, & remi
spingeva innanzi.
Ma ecco che, mentre levandomi
dalla foce del Thebro m'era lasciato da un benigno venticello condurre nel mare
Euboico, mi s'appresentarono l'antiche Thebe di Cadmo; di che venendomi in
mente l'isole Colie, che inavertentemente havea trappassato, meco stesso
considerai quanto mi restava a fare, cioè descrivere quel famosissimo domatore
dei mostri, che di forze trappassò tutti gli altri mortali, & fu Re di si
strani popoli, onde molte volte quasi è avenuto ch'io in mare sia pericolato;
& appresso mi restava mettere per ordine la di lui discendenza. Per la qual
cosa alquanto s'intepidì quel fervore, che conduceva me desideroso al lito.
Cosi mi fermai, & meco stesso pensando leggier cosa non essere ch'io
potessi descrivere quelle fatiche che non sarebbono da niun'altro mortale,
eccetto Hercole, state esseguite, istimai essere bene che io mi riposassi,
& con qualche particella di otio ripigliare un poco piu di forza per le
afflitte membra, affine, che tra i famosi sudori d'Alcide io non venissi meno
overo essendo debile, da Eolo non fossi portato ove già non vorrei. Cosi non
havendo già intieramente annoverata la prole del terzo Giove, di novo, Inclito
Re, restai sospeso come s'io fossi giunto a certo termine. Ma divenuto già, tua
mercé, gagliardo, per fornir l'avanzo del mio viaggio spiego le vele della mia
navicella al vento, pregando secondo la consueta usanza, colui, che di niente con
facilità compose tutte le cose, che mi sia propitio, & mi conduca al fine
di questa fatica.
Hercole, come scrive Plauto
nell'Anfitrione, fu figliuolo di Giove et Alcmena, la quale, come vogliono
alcuni, con tal patto si maritò in Anfitrione, che fosse obligato far vendetta
della morte di suo fratello amazzatole dai Theleboi. Nella quale impresa (dice
l'istesso Plauto) ritrovandosi Anfitrione, Giove innamoratosi di Alcmena prese
la forma d'Anfitrione, & come se venisse dal campo una mattina nell'alba
andò a ritrovar quella, la quale credendolo il marito giacque seco; onde si
impregnò, benche anco fosse pregna di Anfitrione. Ma dicono, che non una sola
notte bastò alla generatione di tal parto, anzi, che per ispatio di tre
continue giunte in una, all'adultero Giove fu conceduto il tempo de stare in
diletto. Il che è scritto da Lucano.
Mentre d'Alcmena il gran rettor del
Cielo
Lieto godeva in Thebe, commandato
Haveva,
che tre notte in una fosse.
Cosi Alcmena al tempo suo partorì
due figliuoli, cioè del marito Anfitrione Ificleo, & di Giove Hercole.
Oltre ciò, Homero recita una altra favola, che appartiene alla natività di
costui, la quale lasciaremo per essere stata narrata dove si è parlato di
Euristeo figliuolo di Steleno. Gli antichi inalzano costui con maravigliose
lodi, & inquanto alla statura del corpo il fanno grandissimo di maniera,
che non vogliono, che alcuno lo avanzasse di grandezza, la quale dicono, che fu
di sette piedi, il che pare, che Solino affermi dove dice, Molti diffiniscono
alcuno non poter passare la lunghezza di sette piedi, tra la quale fu Hercole.
Et volendo egli haver sopportato l'odio della madrigna Giunone, & fatto
servitù al Re Euristeo, confermano, che di fortezza di corpo, & d'ingegno
trapassò tutti gli altri. Le cui singolari, & gloriose fatiche quasi tutti
vogliono, che fossero partite in dodici, benche io ne ritrovi trent'una, come,
che non eguali. Primieramente, essendo costui fanciullino, & in culla
insieme col fratello, da Giunone, che con odio il perseguitava (dormendo i
padri) gli furono mandati due Serpenti per divorarlo, i quali veduti da
Ificleo, egli per ciò smarrito si gittò di culla, & con le strida svegliò
il padre, & la madre, che levandosi di letto trovarono Hercole con le mani
havere preso quei Serpenti, & amendue haverli affocati, de quali nella
Tragedia d'Hercole Furioso Seneca in tal modo parla,
Pria, che conoscer ei potesse i
mostri
Vincerli incominciò; perche due
Serpi
C'han le creste sul capo con le
bocche
Venian verso di lui; contra de' quali,
Brancolando si mosse il fanciullino
Con intrepido petto riguardando
Quegli occhi ardenti de' maligni
Serpi;
Et stendendo le mani inverso loro
Quasi come scherzando quelli prese
Con quei nodi, c'hor son tanto
robusti,
Et con la mano tenera si strinse
Che strangolò le venenose fiere.
Secondariamente, appresso la
Palude Lerna combattete con l'Hidra, crudelissimo mostro, il quale havea sette
capi; & ogni volta, che se ne toglia uno, subito in luogo di quello ve ne
nascevano sette. Ma estinta col fuoco la origine vitale di quella, la superò.
Della quale nel medesimo luogo Seneca parla
Che i fieri mostri, è il numeroso
male
De la
Lerna palude? Non al fine
Col fuoco
il vinse, & l'insegnò morire?
La terza, essendo il Leone Nemeo
a tutti un paese dannoso, egli raccolto da Molorco pastore, che a quel luogo
era piu vicino, se n'andò contra quello, & prese; & indi havendolo
scorticato, per segno del valore suo si vestì della spoglia del Leone. Onde Ovidio
dice;
Da le robuste braccia morto giace
Il gran Leon Nemeo fiero, &
horrendo.
La quarta, andò contra il Leone
Teumesio, non meno horrendo del Nemeo; dove arditamente havendoselo posto sotto
i piedi, lo scannò. Del quale Statio nella Thebaide fa ricordo;
D'Anfitrione l'adornato figlio
De la spoglia Cleonea, ch'estinse
il fiero
Theumesio
Leon da ogn'un temuto.
La quinta fu contra il Cinghiale
Menalio, che rovinava il tutto. Onde Seneca nell'istessa Tragedia.
Che il Menalio Cinghial sto a
ricordare
Tra i folti gioghi d'Erimanto
avezzo
Far i
boschi d'Arcadia ogn'hor crollare?
Et come dice Lattantio, ei portò
questo Cinghiale vivo ad Euristeo. La sesta, egli col corso vinse, & prese
la Cerva c'havea i piedi di bronzo, & le corna di oro, la quale habitava
sul monte Menala, & nessuno non la poteva pigliare; di che Seneca
medesimamente parla;
Et del Menalo monte la veloce
Fiera, ch'il capo havea molto
adornato
D'oro da
lui fu in corso, & vinta e presa.
La settima, con l'arco ammazzò
gli uccelli Stinfalidi, cioè le Arpie, delle quali l'istesso Seneca scrive;
Indi assalì per l'aere gli uccelli
Stinfalidi, li quali erano avezzi
Con l'ale
oltraggio fare al giorno, e al Sole.
La ottava, prese il Toro, che
Theseo vincitore havea menato di Creta, il quale per la insolenza ruinava tutto
il paese de Athene, del cui s'è detto parlando di Pasife. Ma in tal modo Seneca
il ricorda;
Di non
picciol timore l'ardito Toro.
Nella nona fatica vinse Acheloo,
del quale si è narrato parlando di lui; onde Ovidio ciò tocca, dicendo;
Non sete voi quelle possenti mani,
Che spezzaste le corna al fiero
Toro?
Nella decima vinse, & amazzò
Diomede Re di Thracia, il quale soleva amazzare quelli, che alloggiavano seco,
& poi dargli a mangiare ai suoi armenti; di che Hercole havendolo morto, il
fece mangiare ai suoi cavalli proprii. La qual cosa ricorda il medesimo Seneca;
Che starò a ricordar le stalle dove
Il gregge di Bistonio si pasceva
Di carni humane, onde agl'istessi
armenti
A la fine fu dato il Re perverso.
Nella undecima, essendo il Re
Busiri figliuolo di Nettuno, & Libia divenuto grandissimo ladrone, &
dando noia a tutti i passi vicini al Nilo, facendo sacrificio di tutti quelli
stranieri, che nelle sue mani capitavano alli Dei, Hercole ivi arrivando il vinse,
& rese securo tutto quel paese. Laonde Ovidio dice;
Adunque ho domat'io Busiri, il
quale
Con il sangue stranier macchiava i
Tempi?
Nella duodecima andò in Libia,
& appresso Sumitto città d'Africa, come dice Lattantio, vinse alla lotta
Antheo figliuolo della terra, del quale l'istesso Ovidio scrive;
Ad Antheo
della madre il cibo tolsi?
La favola di costui, dove ho
scritto d'Anteo si è narrata. Nella terzadecima pose le Colonne in Occidente,
delle quali Pomponio Mela nella Cosmografia dice; Indi vi è un Monte molto alto
posto dirimpetto alla Spagna, & dall'altra parte un altro. Quello è
chiamato Calpe, & questo Abila, & l'uno, & l'altro si chiama le
Colonne d'Hercole. La fama del nome vi aggiunge una favola, cioè Hercole già
haver rovinato le cime di molti monti, & con la gran mole d'Anteo, & di
que' monti haver fatto una massa, che fece rivolgere l'Oceano per quelle parti
dove hora bagna. Nè Seneca tacque questo, dove dice.
Et d'ogni parte ruppe i monti,
& fece
Al rovinoso Oceano la via.
Nella quartadecima tolse i pomi
d'oro alle donzelle Hesperidi, & amazzò il vigilante dracone, del quale
cosi dice Seneca;
Dopo questo assalito havendo i
luoghi
Del riccho boscho portò via l'aurate
Spoglie
di quel si vigilante drago.
Nella quintadecima pigliò guerra
contra Gerione, che in tre forme si transformò, onde tre volte gli fu bisogno
vincerlo; & alla fine havendolo morto, con gran pompa condusse l'armento
hispano, & famosissimo fino in Grecia. Il che tocca Seneca dicendo;
Tra i piu lontani gregi de la gente
D'Hispagna, morto fu il Pastor
triforme
Del Taratesio lito, & fu la preda
Da la Spagna ne l'Asia anco
condotta.
Nella sestadecima riportò ad
Euristeo il Balteo della Reina delle Amazone, la quale fu da lui vinta. Onde
Seneca;
Non vinse lui la vedova Regina
De le Amazoni, che proposto havea
Di sempre
dimorar in casto letto?
Nella decima settima amazzò anco
Caco ladro dell'Aventino; onde Boetio parlando della Consolatione;
Et Caco
satollò l'ire d'Evandro.
Nella decimaottava Hercole con
gran travaglio superò i Centauri, che con insolenza volevano il dì delle nozze
rapire Hippodamia a Pirithoo. Di che Ovidio dice;
Ne durar
meco potero i Centauri.
Nella decima nona amazzò Nesso
Centauro, che sotto spetie di farli servigio s'era ingegnato menarli via la
moglie Deianira; si come chiaramente si vede, dove si ha scritto di Nesso.
Nella ventesima, con l'aiuto di Giove, che fece piover pietre, come nella
Cosmografia mostra Pomponio, Hercole superò Albione, & Begione, che non lontano
dalla foce del Rodano gl'impedivano il suo viaggio. Nella ventesimaprima liberò
Hesiona figliuola di Laumedonte dal mostro marino, come s'è visto parlando di
Laumedonte. Nella ventesimaseconda rovinò Troia. Nella ventesimaterza amazzò
Lacinio ladrone, che dava noia con assassinamenti all'ultima parte dell'Italia;
& a Giunone edificò un tempio chiamato di Giunone Lacinia. Nella
ventesimaquarta (come narra Homero nella Iliade) egli ferì con un dardo da tre
punte in una mammella Giunone; il che dice Leontio da lui essere stato fatto
percioche dal Re Euristeo havea inteso ch'ella era cagione di tutte le sue
fatiche. Nella ventesimaquinta con gli homeri sostenne il Cielo; di che fu
cagione, dice Anselmo nel libro della imagine del Mondo, percioche facendo i
Giganti guerra contra i Dei, tutti gli Dei si ritirarono in una parte del
Cielo, onde tanto fu il loro peso, che pareva il Cielo voler rovinare. Per la
qual cosa, affine, che non cadesse, Hercole insieme con Atlante vi pose le
spalle. Nondimeno la favola è piu chiara che, essendo lasso Atlante, &
disiando mutar la spalla, in questo mentre Hercole vi sottopose le sue. Onde
Ovidio descrivendo quello, che si lamenta, il fa in tal modo parlare;
Retto non
ho con queste spalle il Cielo?
Nella ventesima sesta, Hercole
andò all'Inferno, & ivi ferì Dite, si come nella Iliade Homero dimostra.
Nella ventesima settima liberò dall'Inferno Theseo impaurito per la morte di
Pirithoo, & il condusse di sopra. Nella ventesima ottava ricondusse
Alceste, moglie d'Admeto Re di Thessaglia, dall'Inferno al marito. Percioche
dicono che, essendosi infermato Admeto, & pregando Apollo, che li porgesse
aiuto, da Apollo gli fu riposto, che non v'era rimedio alcuno, eccetto se
qualche d'uno de suoi piu prossimi non moriva per lui. Il che intendendo la
moglie Alceste, non paventò punto accettare la morte in vece del marito, &
cosi morì, & Admeto fu liberato; il quale havendo molto dolore della
moglie, pregò Hercole, che andasse all'Inferno, & conducesse di sopra la di
lei anima. Il che fu da lui fatto. Nella ventesima nona, entrando nell'Inferno
prese per la barba il Tricipite cane Cerbero, che gli vietava la entrata, &
gli la cavo, legandolo appresso con una catena a tre doppie, & conducendolo
di sopra, si come s'è ragionato parlando di sopra di lui. Nella trentesima,
ritornando dall'Inferno amazzò Lico Re di Thebe perche havea voluto sforzare la
moglie Megera, si come nella Tragedia d'Hercole Furioso Seneca dice; cosi anco
divenuto furibondo amazzò i figliuoli, & la moglie, & appresso instituì
i giuochi Olimpici in honore di Pelope. Ultimamente, accioche una volta
vegniamo a capo, non puotè vincere la trentesima prima fatica, percioche
havendo vinto gli altri mostri, fu sottoposto dall'amore di una donna. Dice
Servio, che havendoli Eurito Re di Etholia promesso per moglie Iole sua
figliuola, per disconforto dei figliuoli, attento, che havea amazzato l'altra
moglie Megera, gli la negò. Laonde Hercole, presa la Città, & amazzato
Eurito, ottenne Iole. Essendo adunque infiammato dell'amore di costei, per suoi
commandamenti messe giù quella clava, & la spoglia del Leone, &
incominciò profumarsi, vestirsi delicatamente, & darsi a cose lascive;
& quello, che è piu vergognoso, tra le serventi dell'amata giovane si diede
a filare, & raccontar delle favole. Onde nella Thebaide dice Statio.
Cosi la Lidia moglie si rideva
d'Anfitrione mirando il figliuolo
Esser spogliato de l'horribil
pelle,
Et dagli homeri suoi pender le
vesti
Sidonie, molli; & d'odorosi
unguenti
Tutto essersi bagnato; indi fra
l'altre
Serventi sue con la conocchia
starsi
Favole raccontando; & con la
destra
Già tanto
ardita i cembali sonare.
Nondimeno, Ovidio nel suo maggior
volume, & Statio in questo luogo vogliono non Iole Ethola, ma Onfale Lidia
essere stata quella, che li facesse fare questi essercitij. Ma egli è cosa
possibile, che l'uno, & l'altro fosse vero, essendovi stati molti Hercoli.
Cosi a diversi appresso diverse donne puotè ciò avenire. Mentre adunque era
tenuto da cosi vano amore, Deianira ricordandosi del dono, che già le fece
Nesso Centauro, & credendo essere vero quello, che morendo ei le disse, per
voler ritornare Hercole nell'amor suo le mandò segretamente la veste del
Centauro; della quale senza considerarvi essendosene vestito, & andato a
caccia, per lo sudore quel venenoso sangue c'havea toccato quella spoglia di
maniera gli entrò nella carne, & nelle vene, che cadde in cosi
intollerabile, & ismisurato dolore, che deliberò morire. Cosi nel Monte
Oeta fatto un sublime rogo, donate le saette, & la faretra a Filottete
figliuolo di Fiante, ascese sopra quello, & comandò gli fosse dato il
fuoco; onde in tal modo mandò fuori lo spirito. Seneca nella Tragedia di
Hercole Oete dice, che fu raccolto in Cielo da Giove, & havendolo pacificato
con Giunone sua madrigna gli fece dar per moglie Hebe, Dea della gioventù,
& figlia di Giunone. Ma Homero nell'Odissea dice ch'egli nell'Inferno fu
trovato da Ulisse, & che parlò molto seco. Nondimeno, scrive, che colui,
che vedeva Ulisse non era il vero Hercole, ma un suo Idolo. Costui appresso,
quanto vivendo con la sua fortezza fece restare attoniti i mortali, tanto,
& piu morendo ingannò gli sciocchi. Percioche con tanta riverenza di sé
occupò le menti, che fu tenuto per sublime Iddio. Nè solamente da questo errore
fu ingannata la Grecia, ma fu tenuto in grandissima riverenza da Romani, &
tutto il mondo; onde con statue, tempi, & sacrifici santissimamente, anzi
pazzamente fu adorato, & osservato. Ma hora è tempo da scoprire le
fittioni; & prima è da vedere quello, che suoni il nome d'Hercole. Diceva
Leontio Hercole haver havuto il nome da Hera, che è la terra, & Cleos, che
è gloria; & cosi Hercole è l'istesso, che glorioso in terra. Overo Heracles
da Heros, & Cleos ; & cosi si dirà glorioso Heroe. Ma Paolo voleva
Hercole essere detto da Erix, che significa Lite, & Cleos gloria, &
cosi verrebbe a chiamarsi glorioso delle Liti. Ma Rabano nel libro dell'origine
delle cose dice che, credendo quegli antichi Hercole esser il Dio della virtù,
istima egli cosi essere chiamato quasi Heruncleos , che latinamente diciamo
fama d'huomini forti. Et scrive, che Sesto Pompeo narra Hercole essere stato
agricoltore. Nondimeno i Greci chiamano costui Hiraclin; laonde noi gli
dovremmo chiamare Heracli, & non Hercoli. Ma chiamandosi cosi per
l'invecchiata usanza, da i Latini pare, che il vitio sia iscusato. Tuttavia,
questo nome d'Hercole istimo essere stato di un huomo solo, cioè di quello, che
a Thebe nacque d'Alcmena; tenendosi che sia stato appellativo di molti.
Percioche Varrone havendo annoverato quarantatre huomini chiamati Hercoli,
dice, che tutti quelli, che si diportarono valorosamente furono nomati Hercoli.
Di qui adunque aviene, che leggiamo Hercole Tirintheo, Argivo, Thebano, Libico,
& altri simili. La onde si viene a comprendere, che tutte le prescritte
fatiche non furono d'un solo, ma di piu; le quali, perche la confusione dei
nomi le ha mischiate insieme, non si sa a cui propriamente si debbano
ascrivere, nè meno si sa quale fosse fatta pria, & quale poscia, per la qual
cosa confusamente si danno ad un solo Hercole. Nè è cosa impossibile, secondo
Pompeo, che uno ne fosse agricoltore. Percioche non solo ai nobili la natura è
liberale, benche i corpi dei nobili la fortuna faccia piu famosi. La diversità
dei costumi, & dell'opere diede inventione, che prima Ificleo, & poi
Hercole d'altro coito fosse generato, attento, che essendo Ificleo huomo
rimesso, fu attribuito ad Anfitrione; & però fu detto prima essere stato
generato perche agli Astrologhi parve, che allhora era, quando si imaginarono,
che potesse essere generato, essere convenevole ai suoi costumi; & cosi
conseguentemente quella diHercole; & di quì hanno fatto, che fusse generato
poi. Et perche era vendicatore delle ingiurie; & introduttore delle leggi,
& religioni, fu dato per figliuolo a Giove. Ma io tengo, che fosse
figliuolo d'Anfitrione, & generato in un medesimo congiungimento con
Ificleo, come, che la acutezza de Mathematici non possa vedere altra ragione
perche fossero gemini, & di costumi differenti, eccetto le diversità delle
constellationi. Cosi Giacob, & Esaù; cosi anco molti altri al tempo nostro
sono stati gemelli, & non concetti in diversi tempi ma in un medesimo
coito, come tiene Agostino nel libro della Città d'Iddio; et nondimeno essa
ragione d'operationi diverse non anco è assai chiara se non al solo Iddio:
benche si potrebbono dire molte cose, che forse parrebbono conformi alla
verità. La Triplice notte attribuita alla concettione di costui, penso essere
stata compresa dalle opere humane, percioche non in cosi breve tempo si
finiscono i grandi edifici come si farrebbono le picciole stanze dei poveri;
& però come se quasi anco la Natura d'intorno la produttione de i grandi
huomini mettesse piu tempo, & maggiore fatica, dove nella creatione de gli
altri huomini pare, che una sola notte basti, ad Hercole, che dovea trappassare
gli altri, ne furono tre concedute. Credo poi essere stato finto che Giunone li
fosse contraria perche il Re Euristeo, che a lui signoreggiava, il quale in
questo luogo possiamo comprendere per Giunone, dea dei Regni, temendo forse
l'inclito suo valore, & che non tentasse nel suo Regno qualche novità, con
imprese continue sempre se'l tenne lontano; & cosi la potenza Reale li fu
contraria. Le fatiche ascritte ad Hercole, già habbiamo detto essere state di
molti; onde le fittioni d'alcune di sopra habbiamo dichiarate dove hanno
appartenuto a quelli, che sono stati tenuti di tal numero. Alcune anco in sé
tengono la semplice historia; & però di molte poche ne restano coperte
sotto poetico velame. Onde per levarlo, dice Theodontio haver letto in alcuni
codici de' Greci, Hercole essere stato figliuolo di Anfitrione, & non di
Giove, & che una notte alla culla di lui, & del fratello andarono due
Serpi (come fu creduto) domestici, & tratti dall'odore del latte, del quale
sono molto desiderosi; onde fu ritrovato dai padri, che Hercole, vegghiando
senza paura nessuna, come meglio poteva con le mani da lui se gli cacciava. Il
che fu tenuto per cosa maravigliosa; di che nacque di questo fanciullo tanta
speme, che non solamente fu tenuto ch'egli havesse a venire huomo mirabile, ma
ancor quei sciocchi incominciarono credere, che fosse figliuolo d'Iddio; per la
qual cosa la favola trovò inventione, che fosse conceputa di Giove colui, che
la moglie honesta havea partorito dal marito. La seconda gloria di Hercole è,
che amazzò l'Hidra da sette capi, del qual figmento Alberigo recita favola
tale. Dove chi l'Hidra fu un certo luogo, che spandeva acqua da diverse parti,
onde la città, & tutti i luoghi, & terreni circonvicini ne pativano; di
che se si chiudeva un addito, se ne rompevano molti. La qual cosa veggendo
Hercole, nel circuito asciugò molti lochi, & cosi chiuse il gorgo
dell'acqua. Ma io tengo ch'egli fosse qualche huomo famoso, che rivolse le acque,
che da diversi scaturagine facevano i lochi paludosi, & fetidi, in questo
modo, che, cercando il loro principio, rivolse quello in qualche altra parte,
lasciando secca la palude Lernea, la quale chiamarono Hidra perche a usanza
d'Hidra si piegasse in volta, & andasse serpendo, attentoche anco Hidios in
Greco è l'acqua; onde perche il luogo dove pria era la palude fu lasciato
secco, finsero l'Hidra essere stata vinta col fuoco. Ma Eusebio nel libro dei
Tempi dice, che Platone mostra havere di questa Hidra altra openione, il quale
afferma l'Hidra essere stato un calidissimo Sofista, percioche è costume dei
Sofisti, che (se non vi si considera), risolto un dubbio da loro proposto ve ne
nascono molti: ma l'astuto filosofo, lasciate le parti d'intorno, si sforza confutare
la principale, la quale rimossa, anco l'altre si confundeno. Di Acheloo, della
favola d'Anteo, & dei pomi delle Hesperidi, si è dichiarato il tutto ai
luoghi suoi. Della fittione di Gerione, dice Servio, che Gerione fu un Re
d'Hispagna Tricipite, overo da trimembre, cosi però istimato perche
signoreggiava a tre Isole vicine alla Spagna, cioè alle Baleari, & alla
minore Ebuso. Dice anco, che haveva un cane da due teste, volendo per ciò, che
si intendesse, che era molto potente con essercito per terra, & armata per
mare; onde narra, che Hercole andato ivi con una olla di ferro il vinse,
intendendo per l'olla di ferro una forte nave ben fornita d'armi, con la quale
Hercole si condusse a lui. Altri poi dissero, che questo Gerione era Trianime;
il che Rabano comprende per due suoi fratelli, tanto seco concordi, che in
ciascuno di loro pareva, che fosse l'anima degli altri. Giustino poi di lui
cosi dice; In un'altra parte d'Hispagna, la quale è nelle medesime Isole dove
fu il regno di Gerione, in questa è tanta abondanza di pascoli, che se gli
armenti non sono astenuti da quello vengono tanto grossi, che si corrompono; di
che gli armenti di Gerione, che in quel tempo solevano essere le sole
ricchezze, vennero in tanta fama, che Hercole per la grandezza della preda si
partì d'Asia, & andò ivi a rubarli. Ma esso Gerione non hebbe tre forme di
Natura, si come dicono le favole, ma furono tre, di tanta concordia che
parevano tutti tre d'un animo solo. Nè senza cagione ei mosse guerra ad
Hercole; ma veggendo i suoi rapiti armenti perduti, per forza con guerra cercò
rihaverli. Questo dice Giustino. Di Caco è stato detto di sopra. De i due
Leoni, & del Cinghiale Menalio; perche crediamo alle historie, non ci resta
a dire l'altro. Delli Stinfalidi uccelli, cioè Arpie, & del Tauro, dove si
è parlato del Re Minos si ha trattato. Cosi di Diomede, di Busiri, & delle
Colonne, queste sono historie narrate; nè meno fu vero delle Amazone, dei vinti
Centauri, di Nesso Centauro, degli amazzati Albione, & Bergione, et di
Hesiona; il che si è particolarmente scritto parlando di ciascuno di loro. Che
rovinasse Troia, fu verissima historia. Ne che amazzasse Licinio è altro, che
la morte d'un ladrone. Che sostenesse con gli homeri il Cielo, questo è detto
impropriamente. Può bene essere, che essendo egli stato ammaestrato nella
Astrologia da Atlante, a quel tempo famosissimo huomo, & volendo Atlante
riposarsi, overo venendo a morte, Hercole entrasse in suo luogo, & sotto
entrasse nella fatica d'insegnare i corsi dei corpi sopracelesti. Che poi con
un dardo da tre punte impiagasse Giunone, descrive l'opra del sapiente;
percioche il prudente per tre ragioni sprezza, & fa poco conto delle
ricchezze, & sublimi potenze, attento, che le cose temporali in reggerle
sono ansie, in conservarle piene di sospetti, & pensieri, & nello stato
dubbiose, & frali, & cosi col dardo da tre punte è ferita Giunone da
Hercole. Che ancora scendesse all'Inferno, & impiagasse Dite, egli è
l'istesso, che si è detto di Giunone, essendo Dite Iddio delle ricchezze; il
quale tante volte è ferito quante sono sprezzate le ricchezze, si come leggiamo
havere fatto alcuni Filosofi, perche le tenevano inimici degli studi. Che
liberasse Theseo, è piu tosto historia, che fittione. Di Alcesta dall'Inferno
ritornata ad Admeto, narra Fulgentio, che havendo il padre di Alcesta fatto
questo partito, che chi voleva sua figliuola per moglie dovesse mettere sotto
una carretta due fiere differenti; onde Admeto per dono d'Apollo, & Hercole
vi aggiunse il Cinghiale, & il Leone; & cosi hebbe Alceste. Dice
adunque Admeto essere posto in modo di mente, & egli essere detto Admeto,
come colui, che potrà affrontare il meto, cioè la paura. Questi desidera
Alceste per moglie. Alce significa poi in lingua Attica Prosontione. Adunque la
mente, sperando, congiungere a sé la prosontione aggiunge due fiere alla sua
carretta, cioè aggiunge due virtuti alla sua vita dell'animo, & del corpo;
il Leone come virtù dell'animo, & il Cinghiale come virtù del corpo. Acciò
gli è favorevole Apollo, et Hercole, cioè la virtù, & la virtù. Adunque la
prosontione pone se medesima alla morte per l'anima, come fece Alcesta, la
quale prosontione, la virtù, benche stia in pericolo di morte, rivoca dallo
Inferno, come fece Hercole. Ma io tengo altrimenti. Admeto è l'anima rationale,
col quale allhora si congiunge Alcesta, cioè la virtù; percioche Alce in greco
è l'istesso, che virtù, mentre dal leone, & dal Cinghiale, cioè
dall'appetito irascevole, & concupiscevole, la sua carretta, che è la sua
vita è guidata. La virtù non per altro vi si aggiugne, eccetto, che da quella
siano frenate le passioni. Et cosi per la salute dell'anima contra le passioni
la virtù oppone sé stessa; la quale se alle volte per la fragilità nostra
sottogiace, dalla rivocata fortezza è rilevata. Di Cerbero è stato parlato al
suo luogo. Il Re Lico poi da lui morto, con le altre particolarità, si
appartiene alla historia. Nondimeno, si trova, che Hercole morì, come scrive
Eusebio, negli anni del regno d'Atreo et Thieste sessantatre, percioche cadè in
una infermità mortale; onde per lo rimedio delle doglie si gittò nelle fiamme,
& questo fu quell'Hercole Thebano figliuolo di Anfitrione, che visse anni
cinquanta due, & morì negli anni del mondo quattromille, &
quattrocento. Dicono, che fu assunto in Cielo, percioche tra l'altre imagini
celesti dagli Astrologi è descritto, che anch'egli fu Astrologo. È stato poi
finto, che togliesse la Gioventù per moglie, percioche il corpo del famoso
huomo, il valore, la fama e il nome sempre piu si rinfresca, & dura giovine;
si dice poi, che si conciliò con Giunone, perche come l'huomo è spogliato di
vita non puotè piu essere turbato nè da concupiscenza dei Regni, nè da altro
mortale, che signoreggi.
Questi furono figliuoli di
Hercole, & di Megera, figliuola de Creonte Thebano, de quali, Creontiade,
Tirimaco, & Diicoonte, nell'Odissea gli fa figliuoli di Hercole, & da
lui ammazzati nel ritorno dallo Inferno dopo il morto Lico. Ma Seneca Poeta
nella Tragedia di Hercole Furioso nomina solamente Oxea, & Creontiade da
Hercole ammazzati. Et però gli ho notati tutti quattro; de' quali altro non mi
ricordo haver letto.
Hitoneo, come piace a Lattantio,
fu figliuolo d'Hercole, & Pafia; il che dimostra anco Statio, che dice egli
havere favorito nella guerra Thebana ad Etheocle. Costui edificò Hittone,
antichissima città di Boemia, dove egli signoreggiò. Ma Lattantio in un luogo
dice, che Statio nomina Hitone per Minerva, da un Castello, che è in Macedonia
dove è l'antica sua sedia.
Cromi fu figliuolo d'Hercole,
come testimonia Lattantio dicendo; Si trova Cromi essere stato figliuolo
d'Hercole, & haver havuto i Cavalli di Diomede di Thracia soliti a pascersi
di carni humane; i quali, amazzato Diomede, furono da Hercole tolti. Ma Statio,
piu antico affermatore, di tal cosa dice;
Va Cromi, & Hippodamo; uno de'
quali
Nacque de Hercole invito, &
glorioso.
Et questo intende Cromi. Et poco
da poi segue;
Et poscia Cromi con l'Herculee
forze
Et con tutto il vigor del padre
prese,
Hippodamo, e il lanciò fin ne le
parti
Dove il termine suo disegna il
mondo.
Costui con Adrasto se n'andò alla
guerra di Thebe.
Agile (secondo Lattantio) fu
figliuolo d'Hercole, dicendo che, quando dice la gioventù Tirinia, doversi
intender quelli, che con Agile figliuolo d'Hercole furono alla guerra di Thebe.
Hilo fu figliuolo d'Hercole,
& Deianira, si come Seneca poeta nella Tragedia di Hercole Oeta in piu
luoghi dimostra. Costui insieme con gli altri, che doppo la morte del padre
furono cacciati dal Re Euristeo, se n'andò ad Athene, dove con tutti insieme
edificò un Tempio alla misericordia overo Clemenza; & ciò fece per
testimonio dell'aiuto concessoli da gli Atheniesi, & per ricorso de i
posteri scacciati.
Sardo fu figliuolo de Hercole,
come dice Rabano, & Anselmo; i quali vogliono, che egli con molta gente si
partisse di Libia, & occupasse l'isola di Sardigna, la quale da Greci
essendo nomata Ico, dal nome suo fu detta Sardigna. Ma Solino nelle Meraviglie
del Mondo dice, ch'ella da Thimeo fu detta Sandaliotte & da Crisippo
Munivia, & che Sardo figliuolo d'Hercole (cangiatole il nome) la chiamò
Sardigna.
Cirno (secondo Rabano) fu
figliuolo d'Hercole, il quale afferma che da lui fu prima habitata quell'isola,
che noi chiamiamo Corsica, & dal nome suo chiamata Cirno.
Diodoro, come nel libro
dell'Antichità scrive Giuseppe, fu figliuolo di Hercole, affermando ch'Alfera,
& Ianfrante, figliuoli di Abraham, & di Cethura, da Hercole nell'Africa
riceverono aiuto, & Echea haverli dato per moglie Isaia
sua figliuola; della cui hebbe Diodoro, del quale Cofone fu figliuolo. Et cosi
si vede questo Hercole, che generò Diodoro essere stato antichissimo.
Sophone, secondo Giuseppe nel
libro dell'Antichità Giudaica, fu figliuolo di Diodoro, & regnò in Affrica;
onde i Barbari della Libica regione da questo Sofone furono nomati Sofaci.
Piace nella Iliade ad Homero, che
Tlipolemo fosse figliuolo d'Hercole, & Altiocchia da lui rapita in Efiro,
città di Laconia; il quale divenuto grande, amazzò l'avo suo vecchio chiamato
Licemone, che traherà l'origine da Marte. Onde fatte alcune navi, con alquante
persone, fuggendo i fratelli, & i parenti, ne entrò in mare, & andò a
Rodo, dove signoreggiò a Rodiani. Indi andando i Greci all'impresa di Troia
anch'egli vi volse andare, come il tutto si può vedere in Homero.
Thessalo, come nella Iliade dice
Homero, fu figliuolo di Hercole, & generò due figliuoli, coi quali andò
alla ruina di Troia insieme coi Greci.
Questi furono figliuoli di
Thessalo, si come Homero nella Iliade dimostra, & andarono insieme col
padre alla guerra di Troia.
Aventino fu figliuolo d'Hercole,
& di Rhea, si come mostra Virgilio dove dice
Et ivi del bel Hercole figliuolo
Mostra Aventino bello i suoi
cavalli.
Costui venne in favor di Turno
contra Enea. Et Theodontio dice, che costui è quello il quale vogliono Latino
haver havuto dalla figliuola di Turno.
Thelefo secondo Lattantio fu
figliuolo d'Hercole, & Auge; il quale da lei essendo nelle selve alle fiere
esposto, fu da una Cerva lattato. Costui, come vuole Lattantio, in Licia
signoreggiò ai Cithesi, & morendo lasciò due figliuoli.
Euripilo fu figliuolo di Thelefo,
si come nell'Odissea dimostra Homero. Dice Leontio, che da Giove fu donata una
vite d'oro a Troio per premio del rapito Ganimede, la quale per successione
pervenne a Priam,.iIl quale intendendo la virtù d'Euripilo nelle cose di
guerra, mandò quella alla madre di lui, accioche gli lo mandasse in aiuto; onde
ricevuto il dono, gli lo mandò. Ma egli fu amazzato sotto Troia da Nottolemo
con molti dei Chithij, a quali dopo la morte del padre havea signoreggiato.
Ciparisso secondo Lattantio fu
figliuolo di Telefo. Dice Servio, che Silvano Dio delle Selve amò costui; il
quale havendo una mansuetissima Cerva da lui tenuta molto cara, quella da
Silvano inavertentemente li fu morta, di che Ciparisso per dolore se ne morì.
Ma Silvano poi il converse in un albero dell'istesso nome. A questa fittione la
conformità del nome, & perche di continuo geme, ha dato materia.
Furono Lido, & Laniro, come
afferma Paolo, figliuoli d'Hercole, &t Iole figliuola del Re Euritho; de
quali non è rimasto altro, che il nome, & che Lido fu padre di Lanio, si
come l'istesso Paolo narra.
Lanio, come il predetto Paolo
vuole, fu figliuolo di Lido; ma non narra di qual madre, nè quale fosse la sua
vita. Onde, perche altri non ne scrivono, non ho che riferir di lui.
Descritta la progenie del
magnanimo Hercole, ci resta parlare d'Eolo Re de venti; il quale Theodontio,
& doppo lui Paolo dicono, che fu figliuolo di Giove, & Sergesta figlia
d'Hippote Troiano, & cosi fratello uterino di Aceste. Ma Plinio nel libro
della naturale historia dice ch'egli fu figliuolo d'un certo Heleno, & che
ritrovò la ragione dei venti. Costui nondimeno, come a lui piace, regnò
appresso l'Isole, che sono vicino alla Sicilia verso l'Italia, le quali alcuni
chiamano Eolie da questo Eolo, & alcuni Vulcanie da Vulcano, già Re di
quelle; delle cui la megliore è Lipari. Chiamano i Poeti costui Re overo Iddio
de venti; del quale descrivendo Ovidio l'ufficio, & la stanza, cosi dice;
Venne in Eolia a la Città de'
venti,
Ove con gran furor son colmi i
luoghi
D'Austri irati; quinci en la gran
cava
Eolo preme i faticosi venti
Le sonanti tempeste, & come
Rege
Pon lor legami, & gli affrena
chiusi;
Ov'essi disdegnosi d'ogni intorno
Fremono, & alto ne rimbomba il
monte.
Et cosi và continuando per otto
versi, Nondimeno esso Eolo (testimonio Virgilio), confessa tenere il regno,
& l'imperio de i venti da Giunone, si come si vede quando dice.
Tu (quale ei sia) sol mi concedi il
regno
Col scettro, & fai ver me
benigno Giove;
Indi m'accogli a le celeste mense,
E auttor mi fai di rie tempeste, e
pioggie.
Oltre ciò Homero nell'Odissea
dice, che costui, havendo sei figliuoli, & altrettante figliuole, diede
quelle per mogli a maschi, & che Ulisse errando capitò ivi, dal quale hebbe
tutti i venti rinchiusi in una utre, & legati in una catena d'argento,
eccetto Zefiro. Alcuni assegnano tali ragioni di queste fittioni. Dice Solino
Strogile essere una delle Isole Eolie, & quella dalle parti, che il Sol
leva non molto stretta, & dalle altre differente per piu minute fiamme;
attentoche quasi tutte vomitano foco. Laonde nasce, che dal fumo di lei
spetialmente gli habitatori prevedono, che venti per spatio di tre giorni siano
per soffiare; di che è avenuto, che Eolo fosse tenuto Iddio de Venti,
affermando Paolo ch'egli, non havendovi anco gli altri posto fantasia, fu il
primo, che alquanto lungamente havendo considerato al rimbombare dei venti,
& ai moti delle fiamme, di maniera havea compreso i loro corsi che,
sentendole ò veggendole, subito prediceva qual sorte di vento fosse per levarsi
in quelle parti, non altrimenti, che s'egli havesse a commandarli; & cosi
di questa falsa credenza la fama crescendo, appresso gli ignoranti gli impetrò,
che fosse istimato Dio de i venti. Nondimeno, sono di quelli, che vogliano in
questa fittione di Virgilio, che Eolo, il qual siede nella rocca, sia la
ragione ch'in Cerbero ha la sua sede, & i venti siano gl'instabili, &
vani appetiti, che nell'antro dell'human petto fanno tumulto, i quali se dalla
ragione non sono raffrenati, è di necessità, che conducano in mortal ruina che
gli manda, anzi bene, & spesso, che ruinino, & squarcino tutto il
mondo. Percio che habbiamo potuto conoscere quello, che sia seguito dalla mal
lasciata impetuosa libidine di Paride, che dalla pazza prosontione di Xerse Re
de' Persi; che dall'ambitione di Mario; che dall'avaritia di Crasso, & di
molti altri, che da loro in uno utre dati nel poter d'Ulisse da giudicare,
l'habbiamo mostrato di sopra dove di Ulisse s'è detto. Oltre ciò, Virgilio
artificiosamente tocca la natural cagione de venti. Veramente nascano nelle
caverne oprando il moto dell'aere, & uscendo sono portati per l'aere. Et
cosi confessa tenere il Reame da Giunone, cioè dall'aere, senza il quale il
vento non puote essere creato; onde quando si levano in alto si racconciliano
con Giove, in quanto, che s'appropinquano piu alla ragione del foco, & si
assettano alle mense de i Dei, superiori corpi; & durando la dispositione
dell'aere convenevole a produrgli, essi anco continuano. Oltre ciò, sono di
quelli, che vogliano i dodici figliuoli di Eolo essere dodici venti, si come
Aristotele nelle Methaure dice, che sono, & vogliono, che sei di questi
habbiano possa col suo spirare oprare, che la terra mandi fuori overo dispone
le forze a produrre il frutto, et altri sei, che rendino quella apparecchiata à
riceverlo, & cosi gli opranti maschi, & i patienti fanno femine.
Machareo, & Canace, come nelle
Pistole Ovidio dimostra, furono figliuoli di Eolo; i quali meno, che
honestamente amandosi, & usando insieme della commodità consanguinea,
avenne, che Canace partorì di Machareo un figliuolo. Il quale segretamente per
una Nodrice essendo mandato fuori del palazzo a nodrire, occorse, che il
fanciullo infelice col suo gridare si scoperse all'avo; il quale infiammato per
la scelerità de figliuoli commandò, che l'innocente fosse dato a mangiare a'
cani, & per un Satellite mandò un coltello a Canace, accioche li suoi
portamenti usasse di quello. Ma ciò, che di lei seguisse, no'l so. Ma Machareo
se ne fuggì. Et sono di quelli che vogliano questo Machareo essere stato quello
che, poscia divenuto Sacerdote d'Apollo Delfico, che acconsentì ad Horeste
nella morte di Pirro figliuolo d'Achille.
Alcione fu figliuola di Eolo, si
come Ovidio narra, & fu moglie di Ceice Re di Trachinna, & figliuolo di
Lucifero; de quali l'infelice caso habbiamo detto di sopra dove s'è parlato di
Ceice.
Di Eolo fu figliuolo Miseno, si
come dice Virgilio.
Miseno d'Eolo figlio; a cui nessuno
Fu con la tromba eguale in dar
ardire,
E in accender col suon i cori a
l'arme.
Questi era stato già fido compagno.
Et cosi va continuando per otto
versi, ne quali Virgilio descrive qualmente, morto Hettore, ei seguì Enea;
& un certo giorno giuocando a cantare con li Dei, da un Tritone fu preso,
& annegato. Nè molto da poi segue, che da Enea fu sepolto, & a quel
loco imposto il suo nome. Hora, perche le cose semplicemente dette da Virgilio
non sono vere, egli è da considerare quello, che vi si nasconda. Finge adunque
Miseno d'Eolo figliuolo perche fu trombetta, perche il suono della tuba non è
altro, che un spirito mandato fuori per quella concavità dalla bocca, si come
il vento è un aere sforzato, & per le concavità della terra mandato fuori;
& perche Eolo si dice Dio de venti, come di loro sia auttore, dalla simiglianza
dell'opra Miseno è chiamato suo figliuolo. Che poi da Tritone trombetta di
Nettuno ei fosse pigliato, & in mare sommerso, sono di queli, che credono
ciò essere inventione di Virgilio per coprire la iniquità d'Enea, il quale
spesse volte chiama Pio; percioche istimano, che da esso Enea, che faceva quel
infausto sacrificio a gli Dei infernali fosse amazzato, si come Alpenore in
quel medesimo luogo fu morto, attento, che non si poteva fornir quel sacrificio
senza sangue humano. Che poi gli facesse un sepolcro, facilmente si può
credere, per premio della toltali vita. Nè vi è dubbio, che appresso Baie non
sia un picciolo monte, che anco tiene il nome di Miseno. Ma non so già se quel
nome fosse dato a lui dal sepolto huomo ò piu tosto dal monte all'huomo, accio
fosse piu convenevole alla favola.
Eritheo fu figliuolo di Eolo, si
come nell'Odissea scrive Homero. Di costui fu moglie Tiro figliuola del Re
Salmoneo suo fratello, & della cui hebbe Esone, Pherita, Alcimedonte, &
Amitthaone.
Esone fu figliuolo di Eritheo,
& Tiro, si come s'è detto di sopra, il quale havendo generato Giasone,
famosissimo giovane a quel tempo tra tutti i Greci, fu da lui, per virtù
d'incanti, & d'herbe di Medea sua moglie, ringiovenito, della qual fittione
il senso può esser tale; cioè, che Esone, per l'insperato ritorno, &
vittoria di Giasone andato in Colco all'acquisto del velo d'oro, hebbe tanta
allegrezza, che quella età, che declinava verso la morte parve, che tutta si
fosse ringiovenita.
Giasone (testimonio Ovidio) fu
figlio di Esone; del quale si narra tale historia. Fu Pelia Re di Thessaglia
zio di Giasone, il quale per Oracolo havea in comandamento ogni anno
sacrificare al padre Nettuno (si come narra Lattantio). Ma sapeva questo, che
ogni fiata, che occorresse, che alcuno a quei sacrifici andasse con un piede scalzo,
egli di certo morrebbe. Avenne che, celebrandosi quei sacrifici, Giasone con
fretta a quelli venendo lasciò una scarpa nell'arena del fiume Anauro, che da
quel fango gli fu tratta di piede. Ilche veggendo Pelia, & incominciando
dubitare non solo di sé, ma de figliuoli, persuase à Giasone, che andasse in
Colco all'acquisto del vello d'oro, con animo, che egli dovesse restarvi
estinto, percioche havea inteso tale impresa esser invincibile. Il quale,
accettata la impresa, si fece da Argo fabricare nel golfo Pegaso in una nave
lunga, la quale dall'auttore fu nomata Argo, & invitò seco quasi tutti i
nobili giovani di Grecia, tra quali vi fu Hercole, Orfeo, Castore, Polluce,
Zeto, Calai, & molti altri famosissimi, & per sangue, & per valore
giovani, i quali da Statio nella Thebaide sono chiamati per la nobiltà Semidei.
Questi dal nome della nave furono detti Argonauti. Onde essendo insieme
adunati, dal porto Pegaso Giasone fece partire la nave, & con prospero
vento fu condotto in Lenno. Dove essendo quell'isola governata da donne sole,
le quali sprezzando l'imperio dei mariti gli havevano tutti ammazzati, &
regnando Isifile già figliuola del Re Thoante, Giasone (come testimonia Statio)
havendo insieme con i compagni vinto quelle, fu da Isifile ricevuto, & nel proprio
letto raccolto. Finalmente ripreso da Hercole abbandonò Isifile, restata di lui
pregna, & giunse in Colcho; dove essendo bellissimo giovane avenne, che
Medea figliuola del Re de Colchi si innamorò di lui. Alla quale segretamente
promettendo torla per moglie, da lei fu ammaestrato a qual partito potesse
domare i Tori, che havevano i piedi di bronzo mettergli il giogo, ammazzare il
serpente vigilante, & seminare nei solchi i loro denti, & poi lasciare,
che quegli huomini armati, che di quelli uscissero tra loro si mandassero in
ruina; & anco gli insegnò la breve via per pigliare il velo d'oro, il quale
secondo le instruttioni havendo essequito il tutto, venne alla disiata preda,
& toltala segretamente, con i compagni, & con Medea se ne fuggì.
Nondimeno, egli è cosa chiara che tutti gli Argonauti non tennero un'istesso
viaggio, legendosi, che Hercole, & quasi tutti gli altri arrivarono
all'Helesponto, & Propontide, & scrivendo tutti gli antichi che Giasone
entrò nella foce dell'Hibero, & indi pervenne quasi fino a quella parte
dove l'Histro diviso è portato nel mare Adriatico, & in quella entrando
arrivò fino nell'Adriatico. Il che allega Aristotele in quel libro delle cose
maravigliose da udire, Dicendo; Che benche ivi siano luoghi innavigabili, Giasone
gli fece navigabili. Et peconfermare questo viaggio, dice, perche quei luoghi
per li quali dice, che Giasone navigò sono solitari, & pieni di cose
mirabili, si ritrovano altari fabricati da Giasone, et in una Isola del mare
Adriatico da Medea vi fu edificato un Tempio a Diana. Oltre ciò, il castello di
Pola, che fino al dì d'hoggi dura, prima fu habitato dalla genti di Colco.
Queste cose al mio giudicio non provano con la navigatione, ma piu tosto
potrebbono fermare quelle, che gli altri tengono, cioè Giasone quanto piu tosto
potesse haver finito il viaggio con la nave. Indi ostando i monti al suo
navigare, i compagni portando sopra gli homeri la nave haver superato i monti,
& essere pervenuti all'Histro, fiume Cisalpino, & caminando haver fatto
quei Tempi, & Altari, che si narrano. Ma tenesse qual viaggio si voglia, si
ritrova, che gli ritornò col vello d'oro nella patria, & portò quello (come
dice Lattantio) a Creonte Re de i Corinthi. Costui di Medea havendo havuto due
figliuoli, oprò si ch'ella gli ringiovenì il padre Esone, la quale poi sotto
spetie di ciò fece, che le figliuole di Pelia amazzarono il padre; laonde ò per
la scelerità di questo ò per altra cagione Giasone la ripudiò, & come dice
Lattantio tolse per moglie Glauce. Ma Seneca nella tragedia di Medea dimostra,
che togliesse Creusa figliuola di Creonte Re di Corinto, per lo qual sdegno,
poscia, ch'hebbe veduto per incanti, & malie di Medea abbrugiate tutto il
Palazzo, vide anco con gli occhi propri da lei con un coltello essere
squarciati i propri figliuoli da lui generati; onde di qui può essere vero, che
egli poi togliesse Glauco. Finalmente per suo difetto essendo fuggita Medea da
Egeo, dal quale era stata tolta per moglie, di nuovo (come dicono) fu tolta da
Giasone, che di Thessaglia era stato scacciato. Onde di nuovo insieme con Medea
passò in Colco, & ritornò in stato il vecchio Oeta padre di Medea, il quale
era stato privo del Reame; indi nell'Asia oprò molte cose magnifiche, intanto,
che ivi come Dio fu adorato, & al suo nome furono drizzati tempi, &
Altari; i quali poscia per commandamento d'Alessandro Macedonico, che forse
hebbe invidia alla sua gloria, furono rovinati. Quale poi, & dove fosse la
sua morte, non mi ricordo havere letto. In questa historia cosi succintamente
narrata vi sono alcune cose poetice sotto coperta di fittione, le quali se
possiamo sono da scoprire. Si legge prima che domò i tori c'haveano i piedi di
bronzo, & che dalle nari spiravano fuoco; i quali istimo, che fossero i
Baroni del Regno di Colco, di forze quasi invincibili, & di spirito
elevati. Onde penso, che non con guerra, ma con parole, & simili andamenti
fossero da lui superati, & che disponesse i populari a seditione secondo il
voler suo, & di Medea. Di che amazzato con inganno il vigilante dracone,
cioè il sovrastante della guardia del regno, & per la sua morte quasi
seminati i denti, cioè le cagioni di tal fatto, i Colchi venissero alle mani
l'un contra l'altro; per la qual cosa di maniera venissero con la guerra a
indebilirsi, che facilmente poi fossero soggiogati da Giasone, & spogliati
di ricchezze, & del vello d'oro, cioè del gregge c'havea il pregiatissimo
vello. Plinio istima, che costui fosse il primo, che navigasse con navi lunghe.
Thoante, & Euneo furono figliuoli
di Giasone, & Isifile, si come a bastanza si vede per Statio nella nelle
Thebaide. Fu creduto veramente che, andando Giasone in Colco, ella di lui
restasse pregna, et come si può comprendere partorisse due figliuoli; onde
appresso le Lenniadi non essendo lecito nodrire maschio alcuno, ella gli mandò
altrove ad allevare. Di che essendo poi stata scoperta per havere serbato il
padre vivo, & scacciata dalla Signoria, fu presa da Corsali, & a
Licurgo Re Nemeo venduta, overo come serva data; per la qual cosa piu non vide
quelli. I quali essendo cresciuti in età, & con Adrasto Re andati alla
guerra di Thebe, udirono la madre, da loro non conosciuta, che in una selva
trovata a caso dal Re Adrasto, a quello raccontava la vita sua. Laonde subito
la conobbero per madre, & la scamparono dall'ira del Re Licurgo, che la
voleva far morire per lo male da lei serbato fanciullino Ofelte. Quello, che
poi di loro avenisse, non ne ho certezza.
Filomelo (come scrive Rabano nel
libro delle origini delle cose) fu figliuolo di Giasone, nè di lui altro si
legge, eccetto che generò Pluto.
Scrive Isidoro nelle Ethimologie,
che Pluto fu figliuolo di Filomela, del quale non ho trovato altro se non, che
generò Pareante.
Fu Pareante figliuolo di Pluto,
come scrive Isidoro, il quale dice, ch'ei possedette l'isola Paro, & il
Castello di quella dal nome suo chiamò Paro, percioche prima si diceva Minoia.
Polimila (secondo Leontio) fu
figlio d'Esone; il quale dice, che non hebbe altro figliuolo, che costui. Ma io
credo piu all'invecchiata fama, che vuole Giasone essere stato figlio di Esone,
che ad un'autor nuovo, benche egli è cosa possibile, che Giasone havesse due
nomi.
Leontio dice, che Alcimedonte fu
figliuolo d'Eritteo, allegando, che Ferecide narra, che Alcimedonte venendo a
morte lasciò Epitropo suo picciolo figliuolo al fratello Pelia; il quale
essendo dalla madre dato a Chirone ad allevare, cresciuto in età da Pelia fu
mandato in Colco.
Epitropo secondo Leontio fu
figliuolo d'Alcimedonte, il quale secondo Ferrecide dalla madre fu dato a
Chirone Centauro a nodrire. Onde essendo cresciuto in età, ritornando nella
patria, & dimandando al zio Pelia la paterna heredità, fu da lui mandato in
Colco all'acquisto del Vello d'oro.
Peritha fu figliuolo di Criteo,
& Tiro, si come nell'Odissea Homero narra; del quale non si legge altro
eccetto, che fu padre d'Amittaone.
Amittaone, come nell'Odissea
d'Homero si legge, fu figliuolo di Critheo, & Tiro. Dice Homero, che costui
fu gran guerriero, nè piu oltre scrive di lui.
Melampo, già famoso augure,
secondo Statio nella Thebaide fu figliuolo di Mittaone. Scrive Lattantio, che
costui dalla pazzia curò le figliuole del Re Preto, si come ho mostrato di
sopra, onde ne hebbe una per moglie, & la metà del regno. Fu veramente
questo Melampo dottissimo nella cognitione delle herbe, si come dissero gli
antichi. Di lui restò un figliuolo, Theodamante.
Theodamante fu figliuolo di
Melampo, si come testimonia Statio nella Thebaide, dove dice:
Vogliono, che il famoso Theodamante
Del santo, & buon Melampo nato
sia.
Fu questo Theodamante di maniera eccellente
indovino che, inghiottito dalla terra appresso Thebe Anfiarao, Adrasto, &
gli altri principi ch'assediavano Thebe sostituirono lui in vece d'Anfiarao.
Biante fu figliuolo d'Amitthaone,
si come dice Theodontio; del quale Homero narra una historia, che di lui fu
moglie Piro figliuola di Neleo; la quale historia si è narrata di sopra dove si
ha parlato di Piro. Nè altro di lui si legge eccetto, che habitò appresso Pilo,
città di Neleo, & che hebbe due figliuoli.
Manthione, come scrive Homero
nell'Odissea, fù figliuolo di Biante, & Piro ne di lui riferisce altro
eccetto, che generò Clitone, & Polifide.
Clitone fù figliuolo di
Manthione, si come nell'Odissea testimonia Homero, dove dice, che essendo
bellissimo giovane fù rapito dall'Aurora, nè mai piu comparse. Nondimeno
Barlaam dice, che andò in Oriente, nè curandosi piu di ritornare nella patria
signoreggiò ad alcuni popoli; & però fu finto, che fosse rapito
dall'Aurora.
Polifide fu figliuolo di
Manthione (secondo Homero nell'Odissea, il quale allega, che fù famoso indovino,
& sostituito in luogo d'Anfiarao nella guerra Thebana dalla terra
inghiottito; il che narra anco Statio. Costui generò Theoclimene.
Fù Theoclimene, si come ad Homero
piace, figliuolo di Polifide, & dimorando nella città d'Argo, & essendo
tenuto famosissimo indovino, ivi amazzò un'huomo. La onde essendosi fuggito,
& venuto nella città di Pilo, d'ivi insieme con Thelemaco figliuolo
d'Ulisse si partì, & se n'andò in Ithacia.
Homero nell'Odissea afferma, che
Antifate fu figliuolo di Bia, & Piro; nè di lui si ha altro eccetto, che
generò Oicleo.
Ocleo col testimonio dell'istesso
Homero, fu figliuolo d'Antifate, & generò l'indovino Anfiarao, il quale
alcuni tengono, che fosse figlio di Linceo Re d'Argivi, & d'Hipermestra.
Anfiarao (dicano gli altri, ciò
che vogliano) fu figliuolo d'Oicleo, si come nell'Odissea testimonia Homero,
& Statio nella Thebaide. Costui tra gli altri antichi indovini è tenuto il
piu famoso. Il quale, essendo Adrasto Re d'Argivi per muover guerra contra
Thebani, insieme con Melampo ascese sopra un monte per vedere quello, che ne havesse
a succedere; & tra il resto havendo previsto, che s'ei andava a questa
guerra non ritornerebbe piu nella patria, si andò a nascondere nelle grotte, nè
manifestò il luogo a veruno altro eccetto, che ad Erifile sua moglie, si come a
fidatissima persona; della quale già havea havuto alcuni figliuoli. Ma instando
i prencipi Argivi, che si andasse contra Thebani, nè aspettandosi altro, che
Anfiarao, da loro non ritrovato, avenne, che Erifile havea veduto ad Argia,
figliuola d'Adrasto, & moglie di Polinice, un monile, che già Vulcano havea
donato ad Hermiona sua figliastra, & moglie di Cadmo, del quale se
n'invaghì forte; onde patteggiando con Argia, che le donasse quel monile le
insegnò Anfiarao, si come nella Thebaide diffusamente Statio dimostra. Cosi adunque
Anfiarao, per frode della moglie scoperto, con gli altri Principi Argivi andò
alla guerra; dove un giorno combattendo valorosamente contra Thebani, in un
subito levandosi un grandissimo terremoto, & in quella parte dov'egli era
aperta la terra, fu insieme con l'armi, & con tutta la carretta da quella
inghiottito, con grandissima maraviglia de' circonstanti. Statio afferma, che
costui armato, & vivo discese alla presenza di Dite, & secondo il
costume poetico dice, che il pregò di molte cose; le quali nulla importano a
noi. Fu nondimeno appresso gli antichi a quel tempo tanta la trascuraggine, che
colui il quale videro per giudicio d'Iddio dalla terra esser inghiottito, il
tennero amico d'Iddio, anzi un Dio, et in quella parte dove s'aperse la terra edificarono
ad honore del nome un Tempio, & gli Altari, & gli instituirono
sacrifici. Dice Plinio, che da costui fu ritrovato, il che non sò se io mi
debba credere, perche mi ricordo haver letto appresso i Caldei ciò essere stato
inventione di Nembrotto, che fu molto prima.
Fu Almeone figliuolo d'Anfiarao,
& Euriphile. A costui Anfiarao, sforzato andare alla guerra, manifestò la
iniquità della moglie, & gli lasciò la cura di vendicare la futura sua
morte; il quale morto il padre, & ricordandosi del suo commandamento,
aspettata l'occasione, per mantenere la pietà paterna diventò impio contra la
madre, & la amazzò.
Homero nell'Odissea dice, che
Anfiloco fu figliuolo di Anfiarao, & Erifile, nè di lui altro ho letto.
Catillo, secondo Solino nelle
Maraviglie, fu figliuolo di Anfiarao; del quale in tal modo scrive; Catillo
figliuolo d'Anfiarao, dopo la prodigiosa morte del padre appresso Thebe, per
commandamento di Odelavo con tutta la famiglia mandato a Versacro, in Italia
generò tre figliuoli, Tiburtino, Catillo, & Corace, i quali (scacciati
dall'antico Castello di Sicilia i vecchi Sicani) dal nome del fratello Tiburtio
maggior d'anni diedero nome alla Città. Questo scrive Solino.
Questo Tiburtio secondo Solino fu
figliuolo di Catillo, & dal suo nome, per essere il maggiore, dai fratelli
fu chiamata la Città di Tivoli. Ma Plinio nell'historia naturale dice i
Tiburtini molto prima di Roma haver havuto principio, & appresso loro
essere tre Quercie vicino alle quali l'inaugurato si dice. Dicono quello, cioè
Tiburtino, essere stato figliuolo d'Anfiarao, che morì a Thebe una età prima
della guerra Iliaca.
Catillo secondo fu figlio del
primo Catillo, che generato da Anfiarao, si come afferma Solino; il quale,
secondo il testimonio di Catone, fu Arcade, & generale dell'armata
d'Evandro, & edificator di Tivoli.
Corace secondo Solino fu
figliuolo di Catillo primo, & insieme con i fratelli pigliò la Città di
Siciliani non lontano da Roma, la quale, si come è stato detto di sopra fu dal
nome di Tiburtino detta Tivoli.
Salmoneo secondo Lattantio fu
figlio d'Eolo, & regnò appresso Elide. Fu huomo insolente, &
insopportabile, il quale non si contentando dello splendor regio, si sforzò
farsi Iddio dai suoi. Onde fatto fabricare un ponte di bronzo tanto in alto,
che passava per sopra Elide, con la carretta vi correva per sopra; il che si
per lo suo strepito come per lo suono del bronzo faceva si gran rumore, che
pareva un tuono, per la qual cosa i sudditi, che all'improviso sentivano questo
si smarrivano forte. Oltre ciò, stando cosi in alto lanciava facelle in
simiglianza di folgori, & se per caso colui, che era tocco da quelle non
moriva, v'erano i suoi seguaci, che lo amazzavano; & cosi in questa
iniquità voleva essere istimato Giove, che fulminasse. Ma Iddio non sopportando
lungamente la di costui pazzia, con un folgore da dovero il cacciò all'Inferno,
come dice Virgilio;
Vidi Salmoneo le crudeli, &
giuste
Pene pagar, mentr'ancor cerca farsi
Nel
folgore, & nel tuon simile a Giove.
Tiro, come piace ad Homero
nell'Odissea, fu figlia di Salmoneo Re d'Elide; con la quale Nettuno appresso
il fiume Enifeo transformatosi in una spetie di quelle acque si giacque, &
n'hebbe due figliuoli, cioè Neleo, & Pelia, si come è stato detto di sopra.
Poscia ella si maritò in Critheo figliuolo d'Eolo, & partorì Esone,
Pherita, & Amittaone.
Ificlo, secondo Lattantio, fu figliuolo
di Eolo, & essendo potente tolse i buoi a Tiro, figliuola di Salmoneo,
& madre di Neleo, che a Neleo si appartenevano; & quelle ritenne fino
attanto, che per opra di Biante, overo di Melampo suo fratello augure, gli
restituì al genero di Neleo. Percioche questo Ificlo è quello che, non potendo
generare, per commandamento di Biante overo di Melampo havve il veneno del
serpente; il che fatto, subito generò Podacre. Dice Leontio questo veleno
essere un'herba della quale se il serpe ne gusta subito muore, & è
appropriata alla sterilità.
Podacre si come afferma Lattantio
fu figlio d'Ificleo, del quale auttore alcuno non fa ch'io m'habbia letto,
altro ricordo.
Sisifo fu figliuolo d'Eolo, si
come a bastanza si vede in Ovidio, dove dice;
Ritorna, dove d'Eolo il figliuolo
Sisifo un grave sasso ogn'hor
tormenta.
Et Oratio nell'Ode dice Sisifo
d'Eolo figlio. Dove egli è da avertire, che furono due Sisifi, & cosi di
necessità vi fa piu d'un'Eolo, benche Lattantio dice, che furono solamente due.
Ma prima veggiamo dei Sisifi. Il primo Sisifo fu al tempo di Danao Re d'Argivi,
ò almeno di Linceo figliuolo d'Egisto, che a Danao successe, perche l'uno,
& l'altro testimonia Eusebio nel libro dei Tempi. Dice ch'egli al tempo di
Danao Re d'Argivi edificò la Città Efira, la quale Corintho figliuolo di
Horeste chiamò poi dal nome suo Corinto, che fu negli anni del mondo
millesettecento, & ventinove. Nè molto poi, secondo altri allega, che
l'istesso Sisifo edificò Efira nell'anno quintodecimo del Regno di Linceo, che
fu negli anni del mondo millesettecentonovantaquattro. E questo fu detto Re de
Corinthi, cioè d'Efira. Il che non si conface, percioche quelli, che furono
detti Re dei Corinthi molti da poi incominciarono, cioè negli anni del mondo
quattromila, & cento, nel tempo, che a' Latini signoreggiava Enea Silvio,
& agli Atheniesi Melentone padre di Codro; il loro primo Re Aletio. Onde
costui fu figlio di quell'Eolo del quale fu anco Critheo, Salmoneo, &
Ificleo, & gli altri del suo tempo; & di lui fu moglie Merope figliuola
d'Atlante, la quale li partorì Glauco, & Creonte, della quale dice Ovidio;
Et Merope la settima figliuola
Sisifo a te mortal fu data moglie.
Vi fu anco l'altro Sisifo, &
medesimamente figliuolo d'Eolo; & di questo l'auttorità di sopra
testimoniano piu tosto, che di quello, che si è detto. Et questi fu regnando
Egeo in Athene, percioche, come dice Lattantio, havendo Sisifo con crudeli
rubamenti occupato un monte posto tra il mare Ionio, & Egeo, che si chiama
Isthmos, si pasceva con tal pena de mortali, che aggravando gli huomini col
peso d'un grandissimo sasso gli faceva morire. Ma Servio dice che, havendo egli
preso i viandanti, s'assettava sopra un scoglio, & gli chiamava, che li
lavassero i piedi; cosi mentre stavano intenti a tale essercito, con un calcio
gli precipitava in mare. Vuole Homero, che costui dimorasse nella Città d'Epira
d'Argivi, che poscia fu detta Corintho. Altri dicano poi ch'egli fu segretario
de i Dei, & perche manifestò i loro segreti, fu nell'Inferno condennato a
tal pena, che sempre rivolgesse un sasso di grandissimo peso, si come narra
Ovidio;
O sempre trahi, ò sempre spinge
inanzi
Sisifo il sasso, che minaccia
danno.
Costui, si come habbiamo scritto
di sopra, fu amazzato da Theseo; il quale, se fu figlio d'Eolo, non puotè
essere di quel Eolo, di cui fu l'altro Sisifo, che fu molto piu antico, nè
puotè essere d'Eolo, che regnò in Lipari, essendo questi gia morto prima, che
quello nascesse; & cosi pare, che ci siano stati tre Eoli, i quali senza
differenza alcuna i Poeti gli chiamano Dei de' venti, ò tutti ò un solo. Di
questo Sisifo, sono di quelli, che credano Ulisse essere stato figliuolo, si
come è stato detto dove di lui si ha scritto. Il sasso poi carreggiato di
sopra, & poi lasciato venir a basso, dice Macrobio sopra il Sogno di
Scipione doversi intendere il mantenere, & difender la vita con efficaci,
& faticosi sforzi; il che è proprio de Ladroni.
Glauco, come nella Iliade dice
Homero, fu figliuolo di Sisifo Re d'Efira; percioche in persona di Glauco,
nepote di questo, combattendo sotto Troia contra Diomede, descrive tutta la
geneologia di questo Glauco, si come segue.
Bellorofonte, si come si legge
nella preditta oratione di Glauco, fu figliuolo del predetto Glauco. Fu questo
Bellorofonte bellissimo giovane di persona, & di virtù molto notabile. Dice
Homero, che costui fu Re di Efira, & essendo da Prito Re d'Argivi privo del
Reame, per commandamento di lui si ritirò alla sua Corte. Di che avenne, che
Anthia sua moglie, overo (secondo Lattantio) Stennobe, innamorata della di lui
bellezza il ricercò ne' suoi abbracciamenti; onde egli negandole ciò, fu
accusato da lei al marito Prito di haverla voluta sforzare. Il quale di ciò
sdegnato, & non volendo insanguinarsi le mani di lui, il mandò con alcune
lettere ad Artebate suo socero, nelle quali si conteneva, che il facesse
morire. Bellorofonte adunque giunto in Licia da Artebate fu mandato, affine,
che morisse, ad amazzar la Chimera; percioche la Chimera era un mostro della
sorte, che è stato detto di sopra. Ma Bellorofonte havuto il cavallo Pegaso se
ne volò a lei, & la ammazzò. Indi havendo Artebate guerra contra i Solimissi,
& confidandosi molto nel valore di Bellorofonte, il mandò contra quelli; il
quale medesimamente gli vinse, & pose in rotta. Poscia gli commandò, che
pigliasse l'armi contra le Amazone, che si erano mosse contra lui, onde .
Bellorofonte le vinse, & le constrinse ritornare ne suoi confini. Il che
veggendo il Re, di lui si mosse a compassione, & (secondo Lattantio) gli
diede per moglie Alchimene, sua figliuola, & sorella di Anthia, con una
parte del reame; della cui hebbe Isandro, Hippoloco, & Laodamia. Ma Stenobe,
poi, che seppe egli essere stato dal padre honorato, si ammazzò, & come
piace a Servio, per tal peccato le figliuole di Prito divennero pazze. La
verità di quello, che qui è finto, giudica Fulgentio tale. Dice Bellorofonte
essere detto quasi Bulefertinta , il che noi Latinamente diciamo consultore di
sapienza, il quale sprezza la libidine, cioè Anthia, attentoche Anthion in
greco latinamente si dice contrario; la quale Anthia è moglie di Prito, perche
Pritos si dice Sordido, onde la libidine di chi altri è moglie eccetto, che
d'un Sordido, & il buon consiglio, cioè Bellorofonte, sopra, qual cavallo
si assetta se non sopra il Pegaso? il che è quasi Pegasion, cioè fonte eterno.
Percioche la sapienza del buon consiglio è l'eterno fonte; perciò si fa alato,
attentoche ricerca tutta l'universa natura del Mondo con la veloce Theorica dei
pensieri. Oltre ciò, Bellorofonte ammazzò la Chimera, la quale è detta quasi
Chimeron , cioè Fluttuatione d'amore, che da Fulgentio si depinge con tre capi,
perche gli amori sono tre gli atti, cioè incominciare, oprare, & finire.
Percioche l'amore, mentre nuovamente viene, come Leone fieramente ci assale, il
che si intende per lo primo capo della Chimera; la testa di Capra poi si finge
nel mezzo, che è la perfettione della libidine, percioche la Capra è animale
pronto alla Libidine. Vi è poi il capo di dragone, Il che si intende, che doppo
la perfettione ci resta la ferita della penitenza, & il veleno del peccato.
Ma dica quello si vuole Fulgentio, questa è la historia. La Chimera essere un
Monte di Licia, che dalla cima vomita fiamme. Indi poco piu al basso nodrisce
Leoni. Poscia alle radici di quello v'abondano molti Serpi; le quali cose
rendendo quel loco inhabitato, & nocivo ai circonvicini, da Bellorofonte,
come è stato detto altrove, fu fatto habitabile, & di tai cose purgato.
Oltre ciò, pare a Plinio nel libro dell'historia naturale, che di costui fosse
inventione il porre sotto il carro i cavalli.
Bellorofonte, & Achimene
generorono Laodamia. Costei essendo bellissima piacque a Giove, il quale
(secondo Homero) giacque seco, & la ingravidò di Sarpedone, che fu poi Re
di Licia.
Isandro, si come Homero scrive
nella Iliade, fu figliuolo di Bellorofonte, & Achimene; onde essendo
grandissima guerra tra i Licij e i Solimissi, combattendo in favore de i Licij
dai Solimissi fu morto.
Hippoloco, come di sopra dice
Homero, fu figliuolo di Bellorofonte, del quale non si legge altro eccetto, che
generò Glauco.
Glauco fu figliuolo d'Hippoloco,
si come egli istesso nella Iliade narra a Diomede. Percioche essendo egli
venuto in aiuto di Troiani, & un giorno combattendo contra Diomede, venne
seco in parlamento, & tra l'altre cose a quello narrò la sua Geneologia;
per lo che Diomede, fatto ricordevole dell'antica amicitia de' suoi precessori,
patteggiò seco di piu non combattere l'uno contra l'altro; onde dati, &
ricevuti alcuni doni, si partirono. Questi poi nella guerra fu alla fine morto.
Creonte fu Re de' Corinthi, &
figliuolo di Sisifo, si come nella Tragedia di Medea per le istesse parole di
lei Seneca dimostra, dicendo;
Unqua non venga ai miseri si fiero
Giorno, che giunga si famosa prole
A vergognosa prole, nè i nepoti
Di Febo con di Sisifo i nepoti.
Credo, che qui si intenda questo
Creonte essere stato figliuolo di Sisifo ladrone, & perciò Medea viene a
rifiutare i nepoti di Sisifo come usciti di vergognoso ceppo, che non siano
consanguinei a' suoi figliuoli.
Creusa, si come s'è visto di
sopra, fu figlia di Creonte Re dei Corinthi, & promessa per moglie a
Giasone. Laonde per ciò sdegnata Medea, con suoi incanti in un scrigno
rinchiuse un inestinguibil foco, & quello fermato il mandò per li propri
figliuolini piccioli, si come una cosa piacevole da giuocare, ad essa Creusa;
la quale aprendo quella picciola cassellina per vedere quello, che vi fosse
entro, subito quel foco mandò fuori la fiamma, & abbruggiò tutto il palazzo
di Creonte, & essa Creusa insieme. Ma i figliuoli di Medea di ciò avisati
si partirono prima.
Cefalo fu figliuolo d'Eolo, si
come chiaramente si vede in Ovidio. Di costui fu moglie Procri figliuola del Re
Eritteo; nondimeno dice Servio che nacque di Hifilo. Costui fu amato
dall'Aurora, la quale (secondo Servio) gli donò un cane chiamato Lelapa, &
due dardi, che mai non erano lanciati indarno, percioche si dilettava di
caccie. Onde richiedendoli poi l'Aurora i suoi abbracciamenti, egli le rispose,
che s'havea dato fede con la moglie di serbare castità; a cui soggiunse
l'Aurora, pregoti, che faccia prova della castità di Procri sotto forma altrui.
Di che essendosi cangiato in mercante, se n'andò a lei con molte gioie, &
doni, di maniera, che la condusse ne' suoi voleri; onde subito tutto turbato si
palesò a lei chi egli si fosse. Ma Ovidio dice, che l'Aurora usando degli
abbracciamenti di Cefalo, & egli curandosene poco, & amando solamente
Procri, dall'Aurora tutta piena di sdegno gli fu detto;
Ingrato ferma tutti i tuoi lamenti,
Et habbi pur, li disse, la tua
Procri,
Che, se la mente mia prevede il
vero,
Ancor ti pentirai d'haverla havuta.
Il che inteso, subito Cefalo
incominciò sospettare della pudicitia della moglie, & deliberato farne
esperienza, sotto habito di mercante venne alla propria casa; dove non veggendo
cosa alcuna men, che honesta, quasi volse lasciare stare di tentare piu altro;
nondimeno, durando tuttavia in quella fantasia, tanto fece, che pattuì con la
moglie per prezzo di molti doni una notte seco; il che concluso, subito si
dimostrò chi egli era. Onde Procri, mossa dalla vergogna del fallo, subito se
ne fuggì nelle selve, & si fece ninfa di Diana, incominciando attendere
alle caccie; dalla quale hebbe in dono un cane, & un dardo. Finalmente con
preghi havendo Cefalo acquetata la moglie, da lei hebbe in dono il dardo, &
il cane. Di che continuando tuttavia egli nelle caccie, & bene spesso
essendo lasso, & affannato, nel maggior calore del Sole si ritirava
all'ombre de gli arbori, et per suo refrigerio cantando chiamava l'Aura. Per la
qual cosa un certo villanello sentendolo, & istimando, che ei chiamasse la
ninfa, riferì il tutto a Procri, la quale mossa da Gelosia, per vedere, che
fosse costei, che chiamata andasse a lui, si nascose tra gli arboscelli di
quella valle. Laonde secondo il solito sentendo Cefalo, che con piacevole voce
invitava l'aura, pian piano alquanto si mosse per vedere quello, che non
havrebbe voluto; Cefalo, sentendo il movere dei virgulti, istimando quella
essere una fiera lanciò il dardo, che mai non feriva invano, & inavertentemente
impiagò la moglie; la quale nelle sue braccia raccolta, pregandolo, che in
luogo di lei non volesse mai pigliar l'aura per sposa, se ne morì. Ma Anselmo
pare, che creda questa Aura essere stata femina, & scrive Cefalo di lei
haver havuto un figliuolo chiamato Hespero; il che anco Theodontio istima. Et
cosi verrà ad essere historia, & non fittione quello, che si narra.
Hespero, differente al detto di
sopra, fu figliuolo di Cefalo, & dell'Aura, overo Aurora, si come scrive
Anselmo nel libro dell'Imagine del Mondo. Del quale, eccetto il nome, non si
legge altro.
Come a pieno si legge in Ovidio,
figliuolo d'Eolo fu Athamante Re; del quale Servio recita questa historia.
Dice, che Athamante hebbe per moglie Neifile, della cui hebbe Friso, &
Helle; ma stimulata dal furore del padre Libero essendosi andata nelle selve,
Athamante tolse Ino, figliuola di Cadmo, per matrigna ai figliuoli. La quale,
si come è costume delle matrigne, contra i figliastri s'imaginò una rovina,
onde oprò con le Donne, che tutti i fromenti, che erano per seminarsi, si
guastassero; di che nacque una terribil fame. Finalmente Athamante havendo
sopra ciò mandato per consiglio ad Apollo, Ino con inganni corruppe colui, che
v'era stato mandato, & fece ch'ei riferì al Re l'Oracolo haverli risposto,
che la fame non poteva cessare se non s'immolavano i figliuoli di Neifile, i
quali già da lei erano stati accusati, che havessero affogati i fromenti. Per
la qual cosa Athamante, temendo l'invidia della plebe, publicamente diede nel
volere della matrigna i figliuoli, & in segreto a quelli concesse un
salutifero rimedio, & oprò, che Friso menasse via il Monton d'oro; il quale
avisato da Giunone, insieme con la sorella Helle montò sopra quello, &
partendosi schifò la morte. Indi v'aggiunge, che Giunone dall'Inferno eccitò le
Furie contra Athamante; le quali venendo nella stanza dove era a caso Athamante
gli gittarono al collo due de' suoi serpi, per quali montò in tanta furia che,
veggendo verso di sé venire Ino con due figlioli, credendo ch'ella fosse una
Leonza, & i figliuoli Leonzini, mandato fuori un gran grido si mosse contra
quelli, & togliendo con furia di braccio ad Ino Learco, con tutte le forze
il percosse ad un duro sasso. Il che veggendo Ino, & tutta smarrita
fuggendo con Melicerte in braccio, con precipitio si gittò ad una rupe in mare,
la quale si chiama Leucothea. Quello, che poi avenisse di Athamante, non se ne
trova memoria. Giunone, Dea de i Regni, & delle ricchezze, spesse volte è
finta da i Poeti essere stata contraria a Thebani rispetto della frequente
mutatione de Re appresso loro fatta; dalla cui veramente consequiscono molti
mali a popoli. Ma quello, che s'appartiene ad Athamante, dice Barlaam, che
l'odio di Ino contra i figliastri fu tale, che per opra d'un certo Ariete, che
nudriva Friso, esso Friso insieme con la sorella Helle se ne fuggì con tutto il
tesoro, & le cose di piu valore, con consentimento però d'Athamante. Di che
havendo Ino molto a male, non solamente oltraggiava con parole Athamante che
havesse spogliato il reame di tesoro, & di ornamenti reali, ma anco havea
infiammato tutti i baroni del regno contra lui, come rovinatore dello Stato. La
onde Athamante, sdegnato contra Ino, un giorno prese come furioso i figliuoli
da lei partoriti, & ne fece quello, che si è detto.
Friso, & Helle furono
figliuoli del Re Athamante, & di Neifile; contra quali (secondo Lattantio)
mentre la madrigna Ino s'imaginava come farli morire, a loro, che incerti
andavano per l'Isola, dalla madre fu apparecchiato un Montone dal vello d'oro.
Ma Servio ha detto di sopra dal padre; onde, secondo il comandamento di lei
amendue montati sopra quello, se n'andarono in Colcho per salvarsi. Di che
portandoli per mare il Montone, avenne, che Helle smarrita cadè nel mare, &
subito dalla vorraggine dell'acque fu inghiottita. Onde nacque, che impose
cognome eterno a quel mare. Percioche da lei sommersa da indi in poi quella
particella di mare dove ella morì fu detta Hellesponto. Friso poi giunse salvo
ad Oeta Re de' Colchi, & essendo da lui amichevolmente ricevuto, appresso
l'imperio della madre consacrò il Montone alli dei; ma altri vogliono, che
fosse sacrato a Marte solo. Et si come scrive Pomponio Mela, appresso le foci
del fiume Fasi da Themistagora Milesio fu edificato un Castello, & nomato
Fasi; appresso il quale fu un Tempio di Friso, & un nobile bosco per lo
vello del Monton d'oro. Finalmente Oeta diede una figliuola per moglie a Friso,
la quale tengo, che fosse Calciope. Ma intendendo dall'oracolo ch'egli si
dovesse guardare dalla prole d'Eolo, & sapendo, che Friso era nepote
d'Eolo, come che gli havesse dato una figliuola per moglie, & di lei
havesse havuto figliuoli, piu tosto temendo di sé, che havendo riguardo al
genero, per schifare il pericolo a lui annunciato ammazzò l'incauto Friso. Il
che qui ci pare favoloso; & benche di sopra si habbia esposto secondo
l'openione di Barlaam, piacemi notare il senso degli altri. Sono adunque di
quelli, che dicano per lo scampo di Friso, & di Helle essere stata
apparecchiata una nave, la cui insegna era un Montone d'oro. Ma Eusebio dice,
che Palefatto afferma l'Ariete essere stato chiamato il bailo, per lo quale
furono liberati dagli aguati della madrigna. Ma, che fu adunque quello, che da
Friso fu consacrato alli dei overo a Marte, se il Montone fu la nave, overo
Ariete il bailo? di che tengo per vero, ò simile al vero, quello, che dice
Barlaam; &, che dalla madre a lui fosse apparecchiato il Montone si può
intendere in tal modo. Habbiamo detto di sopra ch'ella non morì, ma se n'andò
nelle selve; onde come consapevole d'un qualche tesoro nascosto puotè rivelarlo
al figliuolo, & cosi apparecchiarli un Montone d'oro. Il Montone poi fu
consacrato a Marte, affine, che comprendiamo i Re consecrare i thesori, &
serbar quelli per potersene servire nelle guerre secondo i bisogni. Oltre ciò
scrive Eusebio, che ciò, secondo alcuni, fu al tempo, che Erittheo regnava in
Athene, & Abante in Argo; il che fu negli anni del mondo tremilaottocento,
& venti. Secondo altri poi regnando Prito in Argo; che fu negli anni
tremilaottocentoquarantatre.
Citoro fu figliuolo di Friso, si
come nella Cosmografia testimonia Pomponio. Dice tra l'altre cose appresso il
fiume Partenio esservi la città dei Cithosi, edificata da Cithoro figliuolo di
Friso. Questi con gli altri figliuoli di Friso (come dice Lattantio), morto
Friso entrò in mare per fuggire dall'avo Athamante, ma travagliato da fortuna
di mare fu raccolto da Esone padre di Giasone. Ma i nomi de i fratelli non si
sanno.
Learco, & Melicerte furono
figliuoli d'Athamante, & Ino figliuola di Cadmo, si come è stato detto di
sopra. Questi, nondimeno, morirono piccioli, percioche Learco dal padre fu
percosso in un sasso, & Melicerte insieme con la madre Ino, che si gittò in
mare si annegò. Nondimeno, dicono, che Venere havendo di loro compassione pregò
Nettuno, che li facesse del numero de' suoi Dei del mare; Il che fu fatto,
& però Ino fu chiamata Leucothoe da quella rupe dove ella si gittò, che in
latino si direbbe Amatuta, & Melicerte fu detto Palemone, che in latino
suona Portuno, & con Tempi, Altari, & sacrifici lungo tempo furono adorati.
Ma Servio dice, che Melicerte con un navilio andò in Ithismo, & fu raccolto
dal Re Ethiope, onde i sacrifici Ithismi, che si facevano in honore di Nettuno
furono fatti Melicerti. Et di qui nacque, che da Nettunno furono fatti Dei.
Theodontio vi aggiunge la cagione, dicendo, ch'essendo Ino bellissima giovane,
et Melicerte vago fanciullo, fuggendo col navilio pervennero da Sisifo, il
quale da alcuni fu anco chiamato Ethiope; onde essendo libidinoso usò de' suoi
abbracciamenti, & per premio gli fece Dei del mare; & in tal modo pare,
che Venere per loro intercedesse. Indi, altrove dice, che Ethiope ricevette
quelli fuggitivi, & gli fece sovrastanti al suo porto, dandoli tutte
l'entrate, che di quello si trahevano; & di qui i loro nomi furono
cangiati.
Havrei potuto, se mi fosse
piacciuto, a cosi ampia progenie del terzo Giove aggiungere due illustri
huomini, Alessandro Macedonico domatore dell'Asia, & Publio Cornelio
Scipione, alquale fu conceduto ricuperare le Hispagne occupate dagli Africani, &
fare soggetti essi Africani a Romani. Ma perche fino alla loro età pare, che
fosse andato fuori di usanza quella antica pazzia per la quale i famosi si
gloriavano essere ascritti con fittione alla prole de i Dei, & erano venuti
quei secoli ne' quali lo splendore si cercava per la virtù, piu tosto havrebbe
paruto cosa ridicola, che degna di lume havergli inalzati con questa fittione;
ho giudicato lasciarli adietro. Oltre ciò, quello, che con ambitione, &
fraude si cerca, o con silentio si rifiuta, non assai giustamente si concede.
Prima Alessandro sopportò favoleggiarsi, che Giove in forma di Serpente si
congiungesse con la madre Olimpiade, & ch'ei fosse nato di tale
congiungimento. Indi, non anco contento di molti titoli, che la fortuna
favoreggiando al suo ardire haveva aggiunto al suo splendore, & di quello,
che a bastanza per favola del volgo si era ritrovato, con fraude si cercò
attribuire Giove per padre, subornando a ciò i sacerdoti d'Amone Libico. O
insipido desiderio di famoso giovine; piu tosto volere essere generato di
adulterio, che di matrimonio; piu tosto voler haver la madre impudica, che
pudica; piu tosto voler essere tenuto figliuolo d'un dracone, che del
clarissimo Re Filippo; & piu tosto bastardo, che legitimo. O delle menti
mortali non solamente vana, ma vergognosa gloria. Colui, che continuamente
negli occhi degli amici sopportava cose mortali per li rumori delle bugie,
vanamente disiava dagli istessi essere riputato immortale. Ma che, alla fine?
Per questa cagione meritamente è ributato; nè della frode s'allegri colui, che
per la virtù si poteva lodare. Ma Scipione, se bene per mormoratione del volgo
veniva detto essere stato generato da Giove, che in forma di Serpente se n'era
andato nel letto della madre, onde per questo, & perche la notte quando
entrava nel Campidoglio mai non li abbaiavano i cani, che l'incontravano, &
perche anco per virtù dei meriti suoi pareva, che si accrescesse fede alla
favola, come, che ciò non negasse, nondimeno essendo sapientissimo mai non
volle confermarlo. Laonde parendo, che tacitamente ei rinuntiasse questo honore
come frivolo, non si appartiene a me attribuirglilo apertamente. Et cosi non
havendo piu ritrovato altri figliuoli di Giove, overo discendenti, & a sé
la progenie fatto fine, anch'io medesimamente finirò il libro.
Con la scorta della divina luce,
benche con passo tremante, habbiamo caminato per le oscure stanze dell'Inferno,
& per li lontanissimi luoghi dal Cielo delle anime nocenti, & habbiamo
ricercato i rozzi liti del grandissimo, & ampio mare, ma con gagliardo navigare
circondato tutte le isole sottoposte a vario calore di Sole; & appresso, di
maniera con un certo acuto riguardare habbiamo solcato i suoi profondissimi
gorghi, che habbiamo veduto le cerulee habitationi di Nettuno, & del
vecchio Protheo, i Chori, & le stanze delle ninfe, gli animali del medesimo
mare, le schiere dei pesci, & l'origine, & capi dei fiumi. Oltre ciò
habbiamo passato famosissime Città, ombrosi boschi, intricate selve, alti
monti, travagliate valli, antri nascosti nelle rupi, mari lunghissimi da
trapassare, & apparenze per lo nome loro spaventevoli. Indi, tolte quasi le
piume di Dedalo, con un certo ardito volo della consideratione portati fino in
Cielo habbiamo riguardato l'aureo trono di Giove, l'aurea casa del Sole, i
luoghi spatiosi delli Dei, i gran tempi ornati d'oro, & di gemme, il
Consistoro delli Dei per la maravigliosa luce splendido, & venerabile, i
perpetui lumi delle stelle, & i loro flessi, & reflessi, & i suoi
moti composti con maraviglioso ordine. Cosi, Clementissimo Re, secondo la
promessa, al meglio, che s'è potuto, habbiamo raccolto tutti i fragmenti
dell'antico naufragio, & lo habbiamo, vista le forze del nostro ingegno,
ridotto in un corpo, quale egli si sia; di maniera che, tolto il principio da
Demogorgone, il quale gli erranti antichi dissero primo di tutti i Dei, per
successioni di quello ordinatamente fino all'ultimo figliuolo di Giove terzo
Eolo, & di esso Eolo Athamante, & di Athamante Learco, & Melicerte
figliuoli, con ogni diligenza l'habbiamo ridotto, affine, che s'adempi il tuo
desio. Appresso, accioche non paresse che si havesse lasciato alcuna cosa di
tua voglia, a tutte le fittioni habbiamo aggiunto quelli passi, che habbiamo
trovato dagli antichi, overo ch'io ho per mia openione approvato, si come tu
stesso (concedendo Iddio) sei per vedere. Le quali cose in tal modo adempite,
il desiderio del riposo mi persuadeva che, come quasi fossemo giunti in uno
luogo overo porto da principio ricercato, smontassi di navilio nel lito, &
drittamente rendute gratie a Iddio, vero conceditore dei doni, mettessi le
ghirlande di Lauro alla vittoriosa barchetta delle fatiche, & andar poi al
desiato ocio: nondimeno Iddio m'infuse di sopra nella mente un piu lodevole
consiglio. Siamo veramente con l'auttorità de' Prudenti avisati, che per
coniettura preveggiamo quello, che del passato sia per avenire. Certamente sono
stati soliti bene, & spesso, se non sono stati prima acconci, &
fortificati, molti navili, & anco grandissimi combattuti dall'onde
contrarie del mare, benche vicini al porto, rompersi, pericolare, & in
tutto andare in ruina. Che adunque è da pensare, che sia per avenire ad una
navicella, se slegata, & senza governo viene lasciata nel mezzo del mare?
Non hora adunque ci resta picciola fatica. In vero la prora è da legare, &
la nave da sondare con ferme ancore, & anco da cuoprire con quelle difese,
che possiamo, accioche dagl'infiammati folgori dell'aere si strepitoso non sia
abbrusciata, overo fraccassata dalle pioggie mischiate con tempeste, overo dal
furibondo Aquilone, dal turbato Austro, dal furioso Euro Libico, & dagli
altri senza ordine nessuno soffianti venti percossa in un scoglio ò nel lito,
overo sia inghiottita dall'onde piene di fortune, & vada a male. La quale
con grandissimo sudore per gli Euripi, & risonanti sassi, per le fortune
del mare, & mille pericoli, salva fino alla fine del viaggio habbiamo
guidata. Il che crederò haver fornito allhora, quando con vere ragioni haverò
confutato quelle cose, che già sono state opposte, & ponno opporsi contra la
poesia, & i Poemi dagli nimici del Poetico nome. Ho conosciuto veramente,
& mi ricordo quante, & quali cose quelli ignoranti dissero, già non
havendo chi li rispondesse in contrario. Et di qui, mentre leggeranno
quest'opra, assai comprendo quello, che mossi da invidia siano per dire contra
i Poeti, & contra di me. Adunque a questa ultima fatica, che si partirà in
due altri volumi, mi presti aiuto colui, che di tutte le cose è Alfa, &
Omega , principio, & fine.
Insieme col favore di Giesù
Christo, verrà (perche cosi ho meco proposto, Illustre Re) questa opra, pria
che drizzi il passo altrove, nelle mani di tua sublimità, accioche prima si dia
al giudicio di colui per lo cui volere è fatta, & secondo il poter suo gli
presti riverenza. Onde, poscia, che benignamente havendola ricevuta havrai
riguardato il tutto, & col sublime tuo ingegno ricercato tutte le parti
sue, ti maraviglierai, che in cosi gran volume la richiesta di tua benignità si
sia distesa, come, che per la necessità dei libri in molti luoghi tenga, che
non sia a bastanza perfetto, & forse leggendo i nascosti sensi poco dinanzi
sotto roza corteccia, hora prodotti in luce, pieno di maraviglia gli guarderai,
non altrimenti, che se da un globo di fuoco vedessi uscir fuori fonti d'acque,
di che con una certa modesta dilettatione loderai te stesso, che già molto
prima ti sei imaginato il vero dei Poeti, cioè quelli semplicemente non essere
stati huomini favolosi, come vogliono alcuni invidiosi, ma dottissimi, &
dotati d'un certo animo divino, & arteficio; nondimeno, raccolte tutte le
cose, non ho molto per certo quale sarà per essere la openione tua di tutta
l'opra. Tuttavia meco stesso m'imagino questo, che (oprando la giustitia sola)
tu del corpo, & delle membra ne sarai per dare intiera, & salda
sentenza; & anco istimo, che per la tua carità reale riprenderai le meno
atte, & loderai quelle, che ritroverai degne di lodi. Veramente questo a me
sarà assai, & molto, & già di tale speranza mi godo. Poi havendola veduta,
& dandola nelle mani delle armi a riguardare, tengo, che non sarà da tutti
con giusta billancia pesato. Nè ciò sarà cosa nuova sotto il Sole. Il piacer di
sé stesso trahe ciascuno. Oltre ciò l'edace livore, mortal peste de' viventi,
di maniera dalla prima età in poi ha occupato i petti degli huomini, che
rarissimi giusti giudicij, abbruciando quello, sono conceduti. Laonde con
rabbioso latrare si gli leveranno molti contra, & con crudel morso gli
leveranno, & straccieranno quelle parti, che ritroveranno con men salda
fermezza unite, & fortificate. Contra e' quali, perche già sento le parole,
secondo l'usanza antica, & le oppositioni, che mi faranno i cianciatori,
affine che, come ho già detto, cosi lunga fatica liggiermente non si risolva,
& per li dardi infiammati non vade in cenere, & favilla, con opportune
risposte è di necessità ch'io gli vada contra. Nondimeno prego, che anco tu,
ottimo Re, per lo quale molto mi sono faticato, meco ponga il tuo generoso
petto alle loro calunnie. Il che se farai, gli inimici della nostra fatica come
fumo in aria se n'andranno.
Concorreranno, come si fa allo
spettacolo d'una nuova opra, non pur l'inetto volgo, ma anco vi conveneranno
gli huomini dotti, & poscia, che da ogni parte havranno riguardato, non dubito,
che vi siano degli huomini per bontà degni di riverenza, & di mente
intiera, & scienza, i quali seguendo i tuoi vestigi loderanno le cose da
commendare, & per una certa vera affettione riprenderanno le men degne: a'
quali sarò io tenuto render gratie, & essere obligato, benedirli, &
ringratiar la loro giustitia. Ma di gran lunga sarà maggiore la moltitudine
della plebe, che in un circolo, fatta una corona, affiserà gli occhi negli
ordini manco bene compartiti dell'opra et ogni altra menda, se alcuna ve ne
sarà piu ingorda di vedere qualche cosa da mordere, che ritrovar, che lodare.
Contra questi mi resta la guerra, & da me sono da pigliar l'armi, & mi
è di necessità, che con migliori ragioni gli convinca; ma non contra tutta la
schiera insieme, percioche forse la gran turba facilmente m'opprimerebbe; ma
con le squadre ordinate, affine che le mani s'assuefacciano al combattere,
& pian piano si smarriscano gli inimici, sono prima gagliardamente da
pigliar l'armi. Sono questi, per lasciare il resto del volgo, alcuni huomini
pazzi, i quali hanno tanta loquacità, & arroganza, che si presumono con
gridi dar sentenza contra tutte le cose d'ogni lodatissimo huomo, sprezzandole,
& facendone poco conto, & pur, che possano, biasimandole con vergognose
parole, onde, poscia, che del loro abbaiar sonoro, come se predicessero qualche
suo grandissimo honore, si sono dimostrati Idioti, non altrimenti, che se non
si potesse opporre nessuna cosa contra la sua ignoranza, istimando il sommo
bene essere il dar opra alle crapule, alle libidine, & al pigro ocio, nelle
taverne, & nei lupanari, stando con le tazze piene di spumoso vino, &
vomitando le soverchie crapule, si sforzano biasimare le vigilie degli huomini
dotti, le fatiche, gli studi, le honeste considerationi, & la modestia con
le loro infettate lingue, & con le sue vergognose opre bruttare. Di che
averrà che, veduta quest'opra, ridendosi diranno; O insipido huomo, quanta
dolcissima quiete, & quanto bonissimo tempo ha egli perduto; quanta frivola
fatica ha consumato, quanta carta ha perduto, & in vano versetti ha
esposto. Non sarebbe stato meglio ch'ei fosse stato inamorato, c'havesse
bevuto, dormito, & conceduto cosi gran tempo ai piaceri, che haver scritto
queste ciancie? Soggiungeranno anco, Veramente, quelli, che vogliono essere
tenuti prudenti sono una pazza sorte d'huomini, percioche perduto il tempo
nelle vigilie, pria, che godino un giorno lieto, biasimando le cose da lodare,
incorreno nella morte a tutti eguale. O giusto, & venerabile giudicio
uscito dai bacchanali dei ruffiani, dal senato dei gnatonici, dalle taverne dei
crapulatori, & ubbriachi, & dalle volte delle meretrici. Ma, che tante
cose? I vituperi di questi tali tengo per famose lodi d'huomini illustri,
istimando partecipe di vergogna colui, che è lodato da huomini vergognosi.
Vadino adunque questi tali ad applaudere a parasiti, ruffiani, meretrici, &
altri simili, & lodino quelli, che danno opra alla crapula, & all'otio,
lasciando gli huomini saggi, & le loro opere nel suo splendore; non essendo
nessuna cosa piu inconvenevole d'un huomo ignorante, alcuna piu noiosa d'un
indotto, il quale innanzi il misero, & caduco giorno della sua mortalità fa
il suo corpo sepolcro dell'anima infelice. Questi veramente puzzano da cosi
fetida infamia, che gli huomini saggi con maggior patientia potrebbono udire
piu tosto gli asini raggiare, i porci grugnire, & muggire i buoi. Vadino
adunque questi tali, & attendino al ventre, senza non pur riprendere gli
altri, ma comparire, se quando sono sobrij punto di loro si vergognano.
Si riguarderà anco quest'opra
un'altra sorte d'huomini forse manco da riprendere della prima, ma di prudenza
non maggiore; & questi sono quelli che prima c'habbiano veduto la porta
della scola, perche talhora hanno sentito mentovare i nomi dei Filosofi, si
tengono essere Filosofi, & se non sel credono, desiderano, che gli altri lo
stimino, onde, fingendo una certa gravità di parole, & costumi, havendo
alle volte veduto alcuni libricciuoli volgari, benche solamente parlino delle
sommità delle cose, affine che siano riputati quello, che disiano, praticano
con huomini dottissimi, spesse volte movendo dubbi di cose piu sublimi, come
sarebbe a dire, qualmente in tre persone sia una deità sola, overo se Iddio può
fare un simile a sé, ò perche non per mille migliaia de' secoli creasse Iddio
il mondo che lo facesse, & altre tali. Et mentre odeno le risposte dei
prudenti, fatte alcune frivoli risposte in contrario, & udite le repliche,
& conclusioni dei dottori, come quasi a bastanza non sia a loro stato
sodisfatto, si vedranno alquanto crollare il capo, & con un riso torcer la
faccia, riguardando anco gli astanti non altrimenti, che se per riverenza del
rispondente lasciassero passar per buone le sue ragioni. Onde, poi, quello, che
il loro intelletto ha capito dalla bocca degli huomini dotti, & nella
memoria sua serbato, appresso qualche donniciuola overo il volgo ignorante, nei
circoli, se gli viene occasione, come se havessero veduto i segreti del Cielo,
& da Iddio gli fosse stato rivelato, la sua intentione mandano fuori, &
quelle medesime cose narrano, volendo, che perciò si consideri, che non senza
grandissima fatica hanno cavato quello di che hanno parlato, col suo ingegno
speculativo, dai segreti della divina mente; & affine, che in tutto
appresso la plebe siano tenuti per saggi, ampliando i loro parlamenti, non però
con quella medesima testura di parole, anzi hor qua hor là per diverse materie
trappassando, nè alcuna concludendo, intricano sé stessi, & gli auditori
suoi, si come a sofficienza fussero capaci di tutte l'arti liberali; allegando
spesse volte autori da loro mai non veduti, come sarebbe Prisciano, Aristotele,
Cicerone, Aristarco, Euclide, Tolomeo, & altri, circa le scienze huomini
famosissimi, i quali alla fine da loro con una certa stomacosa diceria mostrano
essere sprezzati, con affermare, che tratti da una certa dolcezza si sono dati
alle cose eccelsi di Theologia. Cosi fanno anco dei costumi degli huomini, de i
fatti degli heroi, delle sacre leggi, de gli ordini, & de i Latori delle
leggi. Et se alle volte aviene parlare della poesia, ò dei Poeti, con tanta
noia quelli, & i loro poemi, come se intieramente havessero veduto, il
tutto, & conosciuto essere da sprezzare, vituperano, ne fanno poco conto,
& dimostrano da sé cacciare, di maniera, che come quasi non gli possano
patire, borbotando, & imprudentemente dicono le Muse, l'Helicona, il fonte
Castalio, il bosco di Eebo, & simili cose essere ciancie d'huomini fuori
d'intelletto, & favole per li fanciulli in farli apprendere la grammatica.
Per le quali scempietà di già so quello che veggendo questo mostro, diranno
contra me, contra l'opra mia, & contra i Poeti. Ma tengo essere meglio
havere compassione alla loro ignoranza che con ragioni opporsi a quelli.
Percioche non intendendo sé stessi, molto meno sono per intendere gli altri.
Sono ignoranti, & mancando el lume della verità, dalla sensualità si
lasciano condurre; ai quali per carità mia, & non per suo merito voglio
dire che, lasciati gli altrui uffici, attendino ai suoi.
Et se sono vessati da questa
cupidigia di gloria d'essere istimati dotti, entrino nelle schole, odino i
precettori, volgano i libri, vegghino, & imparino, & diligenti visitino
le palestre de' disputanti; tenendo a mente che, volendo essere troppo innanzi
tempo dotti, non eschino fuori dell'instituto di Pitagora, il quale vietava,
che alcuno, che entrasse nelle sue schole non aprisse la bocca di cose
Filosofice prima, che non ne havesse udito cinque anni. Il che, poscia, che
lodevolmente havranno fatto, & saranno pervenuti al benemerito titolo, se
gli piacerà entrino in mezzo, predichino, disputino, riprendino, coreggino,
& con forte intelletto si opponino ai suoi riprensori, che se poi faranno
altrimenti, il suo sarà dimostramento di pazzia, & non di sapienza.
Oltre ciò, sono certi huomini
togati, con le fibbie di oro, & quasi con reale ornamento notabili, non
meno riguardevoli nello andare, che per la gravità dei costumi, & facondia
del parlare, accompagnati da gran schiera di Clientuli, & per grande
autorità notabili. Questi sono i famosissimi precettori delle leggi, &
Presidi dei tribunali, da quali, se dirittamente è amministrata la ragione, i
costumi cattivi degli huomini sono raffrenati, l'innocenza s'innalza, & i
ciascuno, che dimanda viene conceduto quello, che è suo; & per questi non
solamente il verbo della Republica nelle sue forze si conserva, ma con
immortale giustitia in meglio s'aumenta. Adunque sono venerabili, &
dignissimi di sublime honore. Nondimeno, benche con la sua prudenza purghino le
altrui colpe, da una macchia sono quasi tutti bruttati. Si affaticano per disio
di oro, nè altro overo alcuno tengono degno di lode se non risplende di oro.
Istimo, che questi tali con gli altri verranno per vedere se all'opera nostra
con le sue leggi ponno opporre qualche difetto. Nè m'inganna (se seguiranno
l'antica usanza) quello, che vi siano per oppore. Sono soliti, lasciati i rostri,
& uscendo fuori dei Palazzi, & spetialmente mentre alquanto sciolti da
gli affari vengono nell'adunanza degli amici, se aviene nel parlamento fare
ricordo dei Poeti, con lodi innalzare quelli, perche furono huomini dottissimi,
& eloquentissimi; ma alla fine, doppo molte parole, mandano fuori il
nascosto veleno sotto il mele, ma non però mortale. Dicono, che sono stati poco
prudenti; perche attendendo alla Poesia hanno speso il tempo senza nulla
avanzare; il che eglino cosi non hanno fatto, che hanno atteso ad essercitio,
che doppo lunghe fatiche gli ha fatto conseguire delle ricchezze; aggiungendo a
questo i Poeti essere stati poverissimi huomini, di alcuno splendore notabili,
non riguardevoli per ricchezze, né per honore, nè per seguito, volendo per ciò
inferire, che perche non furono ricchi la loro scienza sia da essere tenuta in
niun pregio. Le quali parole insieme con una nascosta conclusione leggiermente
entrarono ne gli animi degli ascoltanti, essendo tutti noi inchinati
all'avaritia, & con pazza credenza istimando il sommo bene consistere in
possedere ricchezze. Guidati adunque da questa peste, mi imagino, che se
vedranno la nostra opera doppo molte parole diranno, che è bella, ma essere
stata vana, & disutile la mia fatica, percioche non tende dove s'inchinano
l'altrui fatiche dei mortali, & cosi parrà, che non pur contra di me
habbiano dato sentenza, ma per una certa consequenza parranno havere biasimato
insieme con l'opera i poeti, et la povertà, si come cosa cattiva. Pia
veramente, & all'humanità conforme, & dignissima di gratie pare questa
oppositione all'opinione del volgo, purche dal fonte di charità uscisse fuori.
Ma perche piglia origine dall'offuscato giudicio dell'appetito inetto, ella è
da ridersi, & da rifiutare, & alla loro rugginezza è d'havere
compassione. Et perche alla dignità di questi tali è da riportarsi, accioche
non istimino essere lasciati doppo le spalle, penso la loro obiettione con piu
ampie parole essere da rivolgere nei suoi principij. Confesserò adunque
volontariamente quello, che s'è detto, la poesia non apportare nessuna facultà,
& i Poeti essere stati poveri, se poveri debbono essere detti quelli che
spontaneamente hanno sprezzato le ricchezze. Ma non confesserò già, che siano
stati pazzi perche habbiano seguito lo studio di Poesia, attento, che gli
terrei prudentissimi, se cattolicamente havessero conosciuto il vero Iddio;
onde ripigliando hora il mio parlare, affine, che non paia, che con una mia
confessione sì lontana assolutamente io voglia lasciare lo steccato della battaglia
a gli oppositori come vittoriosi, metteremo in campo la loro prima oppositione.
Dicono adunque, gli splendidi interpreti delle leggi famosi, la poesia non
apportare alcuna ricchezza, volendo per ciò, si come a bastanza si può
comprendere, escludere quella da essere seguita, si come sia di nuovo momento
tra le altre scienze. Veramente, per ritornare a dire quello, che anco hò
detto, egli è cosa certa, che la Poesia non apporta ricchezze; nondimeno non
confermo, si come questi vogliono, questo avenire per ignobiltà, perche
l'ufficio overo intento delle speculative scienze non è tale nè attende a
questo, si come fa lo artificio dei mecchanichi, & usurai, la cui
intentione è tutta a questo fine; il quale, accioche giunga tosto, non operano
alcuna cosa di bando. Cosi anco gli causidici, i quali di qua dai delitti degli
huomini, di là dall'ammaestramento delle leggi, si fabbricano le officine dove
col martello della lingua, che si vende batteno i dinari, & fanno l'oro con
le ciancie delle lagrime dei meschini; il che in tutto la poesia ricordevole
della sua generosa origine abhorrisce, & rifiuta; onde se è da biasimare
overo di farsene poco conto, seco insieme non sarà di nessuno pregio la Fisica
maestra delle cose, & per opra della cui impariamo le cagioni delle cose,
che sono. Di alcuno medesimamente la Theologia, per le cui dimostrationi
dirittamente conosciamo Iddio; de i quali non ho mai inteso, che lo studio
fosse di cercare tesori. Se questi non sanno, la Poesia dà opra a cose
maggiori. Percioche habitando ne' Cieli, unita ne i divini consigli, move da
alto le menti di pochi huomini nel desiderio dell'eterno nome, & con la sua
bellezza le conduce a sublimi pensieri, & condotte le dimostra peregrine
inventioni, & dagli egregi ingegni manda fuori stranieri concetti. Et se
quando chiamata con benigne preci dalla alta sedia scende in terra accompagnata
dalle sacre Muse, non ricerca per habitare gli alti palazzi dei Re, non le
superbe case degli ociosi, ma entra, & habita negli antri, nelle cave de i
monti, all'opere dei boschi, ne i fonti cristallini, & nelle habitationi
degli studiosi, benche poverissime, & per la luce a mancare vicina, vuote;
il che forse si dimostrerrà piu a pieno altrove, ricercando ciò la materia. Et
cosi essendo celeste, & etterna non ha conversatione alcuna con le cose
fragili, caduche, & brevi, fa nulla stima degli splendori manuali, si come
vani, volatili, & vili, & quelli rifiutando, & contenta dei suoi
beni etterni, non cerca, & non cura di accumulare ricchezze. Doppo questo,
alla detta oppositione v'aggiungono i Poeti essere stati poco prudenti, i quali
hanno seguito tale habito, che a i seguaci suoi non ha mai prestato ricchezza
alcuna, onde, per risponderli, tengo essere opra molto prudente fermarsi sopra
la elettione; di che vorrei mi rispondessero, chi meritamente nello eleggere
sia da essere tenuto piu prudente, il giudice ò il Poeta? Veramente istimo, che
colui piu prudentemente habbia eletto studio, che trahe la mente alle cose
celesti, che la abbassi alle terrestri, & che presti un bene piu tosto
stabile, & lungo, che frale, & brevissimo. I Poeti elessero la scienza,
che tra le stelle, tra le sedie degli Dei, & ornamenti celesti, con la
continua consideratione conduce i suoi. Che ciò sia vero, ne rendano testimonio
essi poemi de' Poeti con stilo elegante cantati, che guidano al cielo chi li
legge. Ma i Causidici, seguendo la facultà delle leggi, si vagliono della sola
memoria degli scrittori: rendendo ragioni non per loro ingegno, ma per gli
scritti de i leggislatori. Nè è da pensare, si come a bastanza si può vedere,
quelli fermarsi d'intorno le cose eccelse ò partite dalla natura, come sarebbe
se il Sole per dritta ò torta strada d'India passa in Hispagna, anzi sapranno
rispondere se di ragione hereditaria ò piu tosto livellaria overo possessoria
Titio overo Sempronio occupa un campicello, & se si debba dire certo debito
ò usuratico, & se una femina callida possa partirsi dal freddo marito.
Queste certo sono gran cose, famose, & tolte di grembo alla Natura. Oltre ciò
la Poesia, la quale s'elessero i poveri Poeti, è stabile, & fissa scientia,
fondata con le cose eterne, & fermata con i Principii; la quale in ogni
luogo, & in ogni tempo è quella medesima, nè mai conquassata da nessuni
moti. Ma le leggi non cosi; con ragioni eguali non viveno gli Ethiopi, &
Sarmati, nè quella istessa autorità di leggi è nella militia, che si trova a
quelli, che viveno nella pace. Indi spesse fiate sono mutate, & vi
s'aggiunge, & leva. Et appresso ciò, gli statuti particolari, & le constitutioni
dei Regni nel dar delle sentenze fanno restar quelle mutole. Si invecchiano
anco, & alle volte moiono. Percioche alcune già furono in gran pregio, che
al nostro tempo sono sprezzate, overo in tutto estinte. Et cosi non sempre sono
le istesse, si come si ritrova la Poesia; delle quali, per piu non parlare,
assai si vede essere da chiamare facultà delle leggi, & non scienza. Et
quanto preceda la scienza alla facultà, i prudenti tanto antichi come moderni
se l'hanno conosciuto. Oltre ciò, la Poesia concede un lungo bene agli
imitatori, se è da chiamar bene quello, che tutti noi pare desiderare, cioè la
vita, almeno per fama se non altrimenti, condurre in lunga età. Percioche, come
si vede chiaramente, col nome del compositore sono quasi immortali i versi de i
Poeti. Ma del giurista, se bene alquanto egli con le vesti risplende,
spessissime fiate more il nome col corpo. Egli è poco essere durato un secolo,
se si annoverano i secoli d'Homero. Et per venire al mio desio, non parrà
dubbio alcuno a niun saggio i Poeti haver fatto buona elettione, là dove i
giurisperiti nello elleggere sono stati meno prudenti; percioche sono divenuti
non saggi, mentre si sforzano quello, che è suo vitio rivolgerlo in quelli, che
no'l meritano. Poi dicano i Poeti essere stati poverissimi, attento, che eglino
da quel fonte, che habbiamo detto di sopra si sono empiuti il ventre, &
spetialmente poi, che essi Leggisti sono dottissimi, come se la povertà fosse
piu reprehensibile dell'avaritia, & ignoranza. Conciosia, che egli è
chiarissimo i Leggisti essersi molto gonfiati d'oro per le lagrime altrui, per
le altrui ruine, pericoli, & molte volte miserie; onde si sono vestiti,
& coperti di varie pelli, & con le fiubbe dorate compaiono con la
schiera adietro dei Clientuli, cosi volendo però la pazzia di mortali. Ma cosi
non sono i Poeti, non già per sua ignoranza ma per loro innocentia, conciosia,
che non si può negare, che non habbino voluto essere poveri; ma bene sono stati
tanto piu per fama, & gloria immortali (cosa, che questi tali non vogliono,
che sia); il che con essempi non mi sarà difficile mostrare. Habbiamo per cosa
certa Homero essere stato tanto povero che, essendoli mancato il lume degli
occhi, non haveva di che pagare un fanciullo, che lo guidasse. Ma fermati un
poco, che vedrai se questo fu ricca povertà. Vinto Dario, potentissimo Re de
Persi, da Alessandro Macedonico, nelle mani di quello vennero tutte le
bagaglie, & altre cose di valore di Dario; tra le quali fu trovato una
casselina d'oro di maraviglioso artificio, & d'ornamenti pretiosissimi.
Questa, cosi per volontà del Re come per consentimento di tutti i suoi
prencipi, fu serbata non per porvi dentro le gioie nè le altre cose simili di
valore di lui, ma i volumi d'Homero. Quale mai si splendido honore è stato
conceduto ai bene ornati Iuristi. Nessuno altro fu piu povero delli beni di
fortuna di Plauto, il quale per la necessità, affine, che honestamente potesse
satolare il suo ventre, il giorno s'affaticava per premio a volger con le mani
le mole, & le notti vegghiava a comporre le Comedie, il cui numero, &
artificio oprò, che la Laurea, spetial insegna de' vincitori, & trionfanti
Poeti, non sprezzò cinger le chiome di lui, benche povero, la qual verdezza,
& odore in honore del suo nome fino al dì d'hoggi dura, là dove de gli interpreti
delle leggi le berrette, non le giovando l'oro, dai topi, & dalle tignuole
sono state consumate. Oltre ciò, le sostanze di Ennio da Branditio, famosissimo
huomo, & poeta Illustre, furono cosi debili, che nell'Aventino si
contentava di stare col servigio d'una sola servente, la cui penuria de' servi
gli fu ristorata con l'abondanza degli honori; tra quali, essendo per sé stesso
huomo chiarissimo, basterà scriverne un solo. Essendo venuto a morte, vollero i
Scipioni, che in vita erano stati suoi amici, il corpo di quello essere sepolto
nella loro sepoltura, non spreggiando, che le ceneri d'un huomo Brondusino
fossero mescolate con le ceneri di Cornelij. Oltre questo, chi non sa, che
Virgilio Marone fu povero figliuolo d'uno, che faceva olle? Egli non hebbe
altre sostanze, che un picciolo podere paterno nella villa Ande, che al dì
d'hoggi si chiama Pietola, non lontano da Mantova, il quale da lui non senza
lite fu posseduto. I cui meriti de suoi studi furono tali, che divenne
amicissimo d'Ottaviano Cesare, allhora Imperatore del mondo, dal quale, per
serbare l'egregio poema dell'Eneida da lui morendo lasciato per testamento, che
fusse abbrugiato, ogni auttorità delle leggi fu calcata co' piedi, & con
questi eleganti versi comandò, che fosse serbato, & honorato,
Dunque
han potuto l'ultime parole, e quello che seguita.
Prego hora voi dottori, che mi
rispondiate, quale di voi fino hora riccho di gioie, di denari, & vesti, da
cosi invitto, & glorioso prencipe ha havuto tanto honore? Seguivano
appresso molti altri, per lieta povertà, & per ricevuti honori molto
notabili. Ma egli è da por fine agli essempi, havendo si per questi come per
ragioni prodotte a bastanza, come penso, dimostrato i Poeti essere stati
prudenti, & benche poveri, nondimeno molto honorati, & fino al dì
d'hoggi vivere con fama immortale; là dove le richezze, & i nomi dei
causidici come fumo nell'aria si sono dispersi. Onde parmi anco, che con
l'istesse ragioni si possa comprendere non essere stata cosa fuori di
proposito, se questo giova, havere composto i Poemi, nè i miei sudori non
essere stati frivoli in comporre. Hora doppo questo parmi uscire piu innanzi,
per vedere se io posso frenar l'impeto de gli cianciatori contra la povertà. E
adunque la povertà fuggita da molti come insopportabil male (secondo il volgo)
una picciola quantità di beni manchevoli; benche io istimarei quella essere
infermità d'animo, per la quale anco quelli, che di robba sono abondanti molte
volte s'affaticano. Percioche se la prima è manca del disio d'accrescere, è
piacevole, & di riposo, che infiniti sono i suoi commodi. La seconda poi è
inimica di pace, & di riposo, che infelicemente tormenta le menti dove
habita. La prima fu de Poeti; i quali questi chiamano poveri, onde assai gli
bastava mentre havessero tanto, che gli sostentasse la vita. Con la guida di
questa, volendo la libertà, conseguimo la tranquillità dell'animo, &
appresso il lodevole ocio; con i quali mezzo, vivendo in terra, gustiamo le
cose celesti. Questa è posta in fermezza, nè teme le minaccie overo punture
della fortuna, che riversa le cose mondane. Fulmini l'aere di sopra, crolli la
impetuosa rabbia dei venti il Mondo; inondino le continue pioggie i campi,
eschino del suo letto i fiumi, sia il mare pieno di armate, nascino tumultuose
guerre, & corrino i ladroni per ogni parte; ella ridendosi di queste ruine,
& incendij vive allegra in dolce securezza. Questa per oracolo d'Apollo in
persona d'Aglao Sofidio, possessore d'un picciolo campicello, fu preposta ai
tesori del Re Gige. Di questa essendosi dilettati i Poeti, poterono ornare
l'animo di virtù, attendere alle considerationi celesti, tessere i poemi con
risonanti versi, & a sé acquistare eterno nome. Di questa essendosi
dilettato Diogene, al tempo suo famosissimo Prencipe de i Cinici, puote donare
tutte le sue ricchezze, de quali era abondantissimo, a chi ne voleva, & le
donò. Piu tosto volle habitare in un dolio, come cosa piu da conversare, che
nei Palazzi, & mangiare lattuche agresti per le sue mani lavate, che
adulare a Dionisio per usare delle delitie reali. Questa voluntaria abiettione
di cose, & chiarezza de studi puote incitare a venirlo a vedere quel
superbo giovane, che già teneva con l'animo l'imperio a tutto il mondo,
Alessandro Magno, che desiava la sua amicitia, & in vano gli offeriva gran
doni. Di questa dilettandosi Xenocrate, contento d'un picciolo horto, puote
muoversi l'animo dell'istesso giovane a desiderare la benivolentia sua; la
quale ricercò con nobile legatione, & doni reali. Di questa essendosi
dilettato Democrito, lasciò spontaneamente alla Republica di Atheniesi i
paterni terreni, & le innumerabili ricchezze, giudicando meglio allegrarsi
della libertà con la povertà degli studi, che essere travagliato dalla servile
cura delle ricchezze. Di questa essendosi dilettato Anaxagora, tratto dalla
dolcezza della Filosofia puote sprezzare le gran possessioni, affermando, che
havrebbe perduto sé stesso se le havesse voluto coltivare. Per opra di costei
Amicla, povero nocchiero, nel lito solo senza paura udì Cesare, che gridava,
& picchiava alla porta d'una capanna, la cui voce i Re superbi temevano. Cosi
il povero Arunco, ardendo tutta l'Italia per l'incendio della guerra civile,
tra i marmorei monti della Luna, riguardando i moti del Cielo, del Sole, &
della Luna, stette senza paura. Queste cose non mirano quelli, che stracciano
la povertà, & la fuggono. Prego, che mi dicano, se fosse bisognato ad
Homero litigare col lavoratore del terreno, overo dal curatore della casa
ricercare i conti delle cose domestiche, quando potrebbe haver potuto pensare
ai versi della Iliade, & Odissea, & inalzare il nome suo col splendore
fino alle stelle, che fino al dì d'hoggi dura? Quando Virgilio? Quando gli
altri imitatori della poesia con la povertà? Non adunque i vestiti di porpora
la prezzarono perche sia coperta d'un sottil manto. Percioche dirittamente ella
è la prima gloria de' studenti. Non so veramente, anzi so quello, che importi
il corpo ornato di vesti pregiate, se la mente è infettata per lo lezzo dei
vitij; nè, come pensano, la sollecita turba procede sola alla compagnia. Questa
sempre è seguita dai Poeti ornati dell'alloro, & spesse volte il nomato
Homero, Esiodo, Euripide, Ennio, Terentio, Virgilio, Horatio, & molti altri
la hanno ornata con divini versi. Cosi nondimeno con piu chiara pompa, vestiti
di palmate tuniche i Camilli, i Quinti Curtij, i Fabritij, i Scipioni, & i
Catoni, già piu ricchi d'invidia, & di gloria dei fatti, che di oro, con
splendidi Trionfi l'hanno accompagnata, preposta a gli eccelsi Re, & posta
sopra l'Imperio del Mondo. Cosi adunque accompagnata, & ornata; sola, &
squalida i Giuristi diranno, che ella se ne vada. Oltre ciò, la seconda povertà
è la loro, che si sforzano fuggire questa come capital nemica; onde non
avertendo, che con quanto maggiore sforzo segueno le ricchezze, cadono con
tanto maggiore empito nel grembo della vera povertà. Gli prego dirmi, che altro
è la povertà, che nella grande abondanza essere tormentato dal disio di
congregare? Dirò io, che Tantalo sia ricco, se circondato dal cibo, &
dall'acqua si muore di fame, & sete? Sia ciò lontano, che egli è poverissimo.
Ma concediamo ai nostri leggisti la ricchezza di Dario, & veggiamo, che
piacere ne possano cavare. Se crediamo alla esperienza, sempre sono crucciati
da ardente, & continua sollecitudine quelli, che si chiamano ricchi. Se
nell'aere è un nuvoleto, subito sospettano la pioggia, & ansiosi temeno,
che i seminati non si guastino. Se il vento si leva, che non cavi gli
arboscelli, overo gli edifici cadino. Se in terra si leva qualche foco, il
ricco per tema trammortisce, che le fiamme non volino nelle sue case. Se si muove
guerra, l'infelice si spaventa, che i suoi armenti et gregi non li siano tolti.
Se nasce concordia dai litigi, come se ciò fosse sua disgratia, ne geme. Onde
tormentato da continui rancori sempre teme la invidia degli amici, l'astutia
dei ladri, la forza degli assassini, le insidie dei parenti, & i tumulti
civili. Vi potrei aggiungere molte cose; le quali non solamente fanno poveri
questi ricchi, ma anco mendichi. Nel giuoco sono posti i beni della fortuna,
non fermati da nessuno aiuto certo. Cessino adunque i miseri di fare insulto
contra i benemeriti, & veggino che, per levare ogni cagione di litigio, i
Poeti non havere seco voluto nessuna cosa commune. A quella turba con venale
grido sempre stanno d'intorno, nelle loggie, & tribunali, huomini pieni di
liti. Ma i Poeti nelle selve, & solitudini passano gli occhi con le
considerationi. Quelli con cupido animo ricercano i peccati degli nocenti.
Questi col verso inalzano le degne opre degli huomini illustri. Quelli con
tutti gli affetti desiderano l'oro. Questi con tutte le forze cercano la
gloria, & la inclita fama. Et per non passare piu oltre, assai si vede
queste cose essere tra sé differenti; le quali se non ponno movere voi. Giudici
di tutte le cose, che parliate piu moderatamente verso i Poeti, l'auttorità del
vostro Solone vi raffreni; il quale di grandissimo datore di leggi, già vecchio
volontariamente volò nello studio della poesia.
Oltre ciò, Serenissimo dei Re, vi
è, si come tu molto meglio hai conosciuto, per dono divino una casa in terra
fabricata a guisa del concilio celeste, & solamente dedicata ai sacri
studi. In questa sopra una sublime sedia, mandata dal grembo d'Iddio, fa sua
residenza la Filosofia maestra delle cose, con la faccia augusta, notabile per
lo divino splendore, ornata di vesti reali, & con la corona di oro in capo.
Nè altrimenti, che imperatrice de' mortali, nella mano sinistra tiene i libri
et con la destra regge il scettro. Indi con ornato parlare insegna a quelli,
che vogliono udire quali siano i lodevoli costumi de gli huomini, quali le
forze della madre natura, quale il vero bene, & quasi segreti celesti. Dove
se entrerai, non è dubbio, che tu non vegga un sacrario dignissimo d'ogni
riverenza, & se guarderai quello, che non ponno fare gli studi humani,
considerar gl'ingegni, & comprendere gl'intelletti, chiaramente ivi il
tutto vedrai, & di maniera ti maraviglierai, che teco stessa dirai quella
essere una casa, che contiene il tutto, anzi quasi essa effigie di mente
divina, & tra l'altre di somma riverenza dignissima. Sono ivi doppo la
imperatrice nelle piu alte sedi posti gli huomini, ma non però molti,
nell'aspetto benigni, & nel parlare; & anco per la gravità dei costumi
con tanta honesta, & vera humiltà riguardevoli, che piu tosto gli
crederesti dei, che mortali. Questi già essendo sopra alle attioni pieni di
scienza, abondantemente agli altri infondeno quelle cose c'hanno conosciuto. Vi
è anco un'altra moltitudine strepitosa di diverse spetie d'huomini; tra la
quale alcuni, lasciata ogni superbia, vigilanti attendeno a i loro
commandamenti per vedere, se forse con lo studio potessero ascendere a piu alto
grado. Altri vi sono poi che, a pena uditi i principij delle cose, con animo
superbo stendeno le acute mani nelle vesti della Imperatrice, & con acre
violenza toltone alcune fila, & ornati di varij titoli, i quali bene, &
spesso fuori di casa trovano, che si vendono, non altrimenti, che se havessero
tutta la mente piena di divinità con una certa superbia gonfiati si levano
dalla sacra stanza; ma nondimeno con quanto danno de gli ignoranti, i prudenti
se'l veggono. Questi tali adunque, fatta insieme una congiura contra tutte le
buone arti, prima si sforzano essere tenuti huomini buoni, lasciano venire le
loro faccie roze per parer vigilanti, camina con gli occhi chini accioche non
paia che mai si dilunghino dalle considerationi. Vanno col passo tardo, affine,
che sotto il soverchio peso delle considerationi sublimi dagli ignoranti siano
tenuti vacillare. Vesteno di un habito honesto, non perche la mente sia
honesta, ma per potere con la finta santimonia ingannare. Il loro parlare è
rarissimo, & grave. Pregati, non rispondeno prima, che con mandino fuori un
sospiro, mettino alquanto tempo fra mezzo, & levino alquanto gli occhi al
Cielo. Et questo fanno perche dai circonstanti vorrebbeno essere tenuti, che
non senza difficultà mandassero fuori dalle labbia le parole, che sono per
dire, come se uscissero da un lontano segreto de i sopracelesti spiriti. Fanno
professione di santità, pietà, & giustitia, spesse fiate usando quella
parola profetica; Il zelo del Signore mi
rode. Di qui procedendo alla dimostratione della sua maravigliosa scienza, dannano
tutte le cose, che non hanno conosciuto, nè invano. La prima loro voce è Oh. Il
che fanno overo perche non siano interroganti di quelle cose, che non
saprebbono rispondere, overo perche siano tenuti haver sprezzato ò non curato
di sapere cose da loro tenute vili, & basse, ma haver atteso a maggiori.
Con questi inganni havendo preso i giudicij dei poco saggi, prosontuosamente
incominciano, & segueno andar d'intorno alle città, tramettersi tra i
negotii secolari, dar consigli, trattar matrimoni, esser presenti a contratti,
dettar note di testamenti, pigliar carichi di far essequirli, & oprar molte
cose, che poco si convengono a Filosofi. Onde aviene che alle volte vengono in
gran fama del volgo, & tanto si gonfiano, che caminando desiderano dalla
plebe essere mostrati a dito, & di lontano udire, che si dica, che siano
gran maestri; indi vedere, che i nobili nelle piazze, & nelle strade si li
levino a far riverenza chiamandoli Maestri, salutandoli, invitandoli,
mettendoli di sopra, & andandoli dietro. Per queste cose, messa da parte
ogni consideratione, hanno ardire oprare il tutto, nè si vergognano nelle
altrui biade porre le loro falci. Di che aviene che mentre si ingegnano
biasimare le altrui cose aliene dalle sue, alle volte occorre parlare della
Poesia, & dei Poeti; de' quali sentendo il nome, subito si infiammano di
tanto furore, che diresti quelli haver gli occhi di fuoco. Nè si ponno fermare,
fremono, & sono da lo empito crucciati. Poi quasi contra di loro, non
altrimenti, che contra mortali nemici fosse congiurato, hora nelle scole, hora
nelle piazze, hora sopra i pulpiti, ascoltandoli talhora il volgo inerte,
incominciano con pazzi gridi biasmarli, di maniera, che i circonstanti non pur
temino degli innocenti, ma di sé stessi, & dicono la Poesia in tutto non
esser niente, & una vana facultà, & ridicola; i Poeti essere huomini
favolosi, & per chiamarli con piu dispettoso vocabolo gli dicono fiaboni, i
quali habitano le selve e i monti perche non sono dotati di costumi nè di
civiltà. Oltre ciò dicono i loro poemi essere troppo oscuri, bugiardi, pieni di
lascivie, cavati da ciancie, & pazzie delli Dei Gentili, che affermano un
certo Giove adultero, & huomo vergognoso, hora padre de i Dei, hora Re de'
cieli, hora fuoco, hora aere, hora huomo, hora toro, hora Aquila, & altre
simili cose inconvenevoli. Cosi anco, che fanno Giunone, & molti altri
simili per nomi famosi. Appresso, gridano i Poeti essere seduttori delle menti,
persuasori dei peccati; & per macchiarli (se potessero) con maggior nota
d'infamia, dicono, che i Poeti sono simie de i Filosofi. Aggiungendo a questo
essere grandissimo sacrificio contra Dio leggere overo tenere i libri dei
Poeti; & senza far nessuna distintione, con l'auttorità di Platone vogliono
che non solamente siano cacciati dalle case, ma banditi dalle Città; & le loro
Scenice mereticole approvando Boetio, fino alla morte dolci, essere
detestabili, & da cacciare insieme con loro, & in tutto da rifiutare.
Che tante cose? Sarebbe troppo lungo voler produrre il tutto, che il mortal
odio crucciato da invidia gli fa dir contra i Poeti. Egli è da credere, Inclito
Prencipe, che la opra nostra pervenirà a questi cosi celebri Giudici, cosi
giusti, tanto benigni, & tanto favorevoli, la quale sono certo, che sarà
circondata a guisa, che fu una picciola fiera famelico Leone, per trovarli, che
divorare. Et perche il tutto è Poetico, non aspetto piu benigna sentenza di
quello, che fulminano contra i poeti, nè so a quai colpi opporre il petto
eccetto a quelli, che l'antico odio m'ha dimostrato, & quelle mi sforzerò
ributtare. O vero Iddio, sij tu contra a questi inconsiderati gridi, &
resisti al furore di questi pazzi. Et tu anco ottimo Re, perche si è venuto al
incontro, con le forze del tuo generoso petto sij presente, & porgi aiuto a
chi per te guerreggia. Hora fa bisogno l'animo, & il petto saldo. Percioche
le armi di questi tali sono acute, & venenose, ma non hanno forza.
Nondimeno, se i Giudici fossero non bene aveduti, potrebbono haver vigore. Onde
mi spavento, & tremo, se prima Iddio, che non abbandona chi spera in lui,
& tu poi non mi favoreggi, attento che le mie forze sono picciole, &
l'ingegno debile; ma la gran speme dell'aiuto, in che mi confido farà, che
accompagnato dalla giustitia farò empito in loro. Già mi sento porgere al cuore
ardire.
Volendo io picciolo huomo entrare
nella schola contra queste gigantee mole, che si fermano con quella autorità,
che ponno a mostrare la Poesia essere nulla overo vana facultà, se dimanderò
prima, che cosa sia Poesia, overo d'intorno a, che s'appartenga il suo ufficio,
tengo, che non havrò fatto altro, che haver cercato il nodo nel giunco. Ma
perche egli è da fare, che questi tali egregi precettori di tutte le facultà
n'aprano un passo, d'intorno alla quale vogliano, che sia il nostro contrasto,
io di ciò gli prego; nondimeno parmi di vederli, & so, che con l'ostinata
fronte non mai tinta da rossore alcuno diranno quello, che poco inanzi
malamente hanno detto. O vero Iddio, adunque sij presente, & pon gli occhi
a queste loro ridicole obiettioni, drizzando i suoi passi a miglior camino.
Dicono adunque, biasimando la
Poesia, quella al tutto esser nulla; il che se cosi è, vorrei sapere, onde è
nato, che già tanto tempo tanti illustri huomini s'habbiano acquistato il nome
di Poeta? Onde i molti volumi dei poemi? Et onde è nato questo nome di Poesia?
Se nulla è la poesia? Certamente se sono per risponder niente, sono per andar
per Ambages, cosi tengo io, perche di ragione non potranno produr cosa, che non
sia contra la oppositione sua vana. Egli è cosa certa, si come doppo questo si
mostrerà al suo luogo, questa, si come l'altre discipline, havere havuto
principio da Iddio, dal quale è nata ogni sapienza; onde, si come anco l'altre,
dall'effetto han havuto il nome, dal quale poscia è derivato il celebre nome
de' Poeti, & indi dei Poemi dai Poeti. Il che cosi essendo, si può vedere,
che la Poesia (come dicevano) non è niente; la quale essendo scienza, che
diranno gli altieri Sofisti? Credo, che alquanto ritireranno il piede, overo
piu tosto passando alla seconda parte per la disgiunta copula, soggiungeranno,
s'ella è facultà, è vana. O, cosa ridicola. Sarebbe stato men male haver
tacciuto, che con parole frivole haversi precipitato in maggior errore.
Non veggiono gli ignoranti esso
cioè significato di nome di questa facultà dimostrar sempre una certa pienezza.
Ma di questo, altrove. Ben prego questi degni huomini, che esprimano con qual
ragione la facultà della Poesia sia da dir vana, attento, che per sua
instigatione (favoreggiando la divina gratia) vi sono tanti volumi, tanti
poemi, & tante inventioni chiarissime, & peregrine. Veramente si
ammutiranno, se il cordoglio della vana dimostratione loro ciò patirà? Ma, che
dico, io, che ammutiranno? Piu tosto vorranno morire, che confessare il vero
non pure con le estreme labbia, ma nè anco col tacere. Entreranno in un altro
adito, & facendo una interpretatione a suo modo, con questa additione
soggiungeranno deversi intendere la poesia essere vana, dannosa, &
detestabile, percioche i Poemi, che dalla poesia vengono cantano le vanità dei
suoi Dei, & persuadeno cose scelerate. Come, che questa reprobatione
potrebbe essere confutata col non essere vano quello, che è pieno di pazzie, si
poteva medesimamente sopportare; ma quello, che per lei vogliono si potrebbe
con ragion confessare, confessando spontaneamente, che non vi è alcuno Poema,
che esprima quello, che afferma; laonde se la cattiva spetie potesse nuocere al
buon genere, eglino havrebbono vinto. Ma prego dirmi, se Prasitele ò Fidia,
dottissimi nella scoltura, haveranno scolpito Priapo, che di notte vada verso
Iole; piu tosto, che la riguardevole per honestà Diana, overo se averrà, che
Apelle, overo il nostro Giotto, al quale nell'età sua Apelle non fu superiore,
piu tosto depinto Marte, che si congiunga con Venere, che Giove, che nel trono
dia ragione alli dei, diremmo queste arti essere da biasimare? ciò sarebbe cosa
pazza; questa è colpa degli ingegni lascivi. Medesimamente, già furono alcuni
Poeti, se Poeti si denno chiamar questi tali, i quali ò per ragione di suo
volere ò per acquistare la gratia del popolo, cosi ricercando quel secolo,
& persuadendo la vana lascivia, lasciata l'honestà caderono in queste
inettie, le quali sono da biasimare, da lasciare, & gittar via, si come piu
ampiamente si dirà poi. Ma per questa scelerità finta da alcuni non è da
biasimare universalmente la poesia, dalla quale veggiamo essere derivate tante
virtù, tante persuasioni, ricordi, & ammaestramenti di buoni Poeti, che
hanno havuto cura scrivere le considerationi celesti col loro sublime ingegno,
grande honestà, & ornamento di stile, & di parole. Ma, che piu? Non
solamente è qualche cosa la poesia, ma una scienza venerabile. Et si come nelle
precedenti si ha veduto, & nelle seguenti si mostrerà, è una facultà non
vana, ma piena di succo a quelli, che vagliono, con l'ingegno premer fuori i
sensi dalle fittioni. Onde chiaramente si vede, per non allungare piu i
parlamenti, nel primo entrare della battaglia i nostri capi contrari haverci
volte le spalle, et con picciola fatica haverci lasciato libero lo steccato del
duello. Ma egli è da narrare, che cosa sia Poesia, per dimostrarli quanto
falsamente si pensino quella essere una vana facultà.
La Poesia, da gli ignoranti,
& negligenti lasciata, & rifiutata, è un certo fervore di scrivere ò
dire astrattamente, & stranieramente quello, che haveva trovato, il quale
derivando dal seno d'Iddio, a poche menti (come penso) nella creatione è
conceduto. Laonde, perche è mirabile, sempre i Poeti furono rarissimi. Gli
effetti di questo fervore sono subblimi, come sarebbe condurre la mente nel
desiderio del dire, imaginarsi rare, et non piu udite inventioni, le imaginate
con certo ordine distendere, ornar le composte con una certa inusitata testura
di parole et sentenze, & sotto velame di favole appropriato nascondere la
verità. Oltre ciò, se la inventione richiede, armar Regi, condurli in guerra,
mandar fuori armate in mare; descrivere il Cielo, la terra e 'l mare, ornar le
Virgini di ghirlande, & fiori, designare gli atti de gli huomini secondo le
qualità, svegliare i sonnolenti, inanimare i pusillanimi, raffrenare i
temerari, convincere i nocenti, inalzare i famosi con meritate lodi, &
molte altre cose simili. Se alcuno di questi ne' quali s'infonde questo fervore
farà queste cose men convenevolmente, al mio giudicio non sarà lodevole Poeta.
Appresso, come, che enfiammi gli animi ove è infuso, rare fiate essendo
instigato essequisce alcun'opra da essere commendata, se gli instrumenti con
quali furono soliti compire le cose considerate veranno meno; come sarebbono i
precetti della Grammatica, & Rethorica, de quali vi fa mistiero buona
cognitione, benche alcuni mirabilmente nello scrivere volgare già habbiamo
scritto, & per ciascuno ufficio della Poesia habbiamo caminato; nondimeno è
stato di necessità, che almeno habbiano conosciuto i proprij delle arte
liberali, & delle morali, & naturali, & appresso essere stati
ammaestrati della copia dei vocaboli, haver veduto i ricordi dei maggiori,
essersi ricordati delle historie delle nationi, & regioni del Mondo, delle
dispositioni de' mari, de' fiumi, & de' monti. Oltre questo, le dilettevoli
per artificio della Natura solitudini fanno bisogno; cosi anco la tranquillità
dello animo, & l'appetito della gloria secolare, & spesse volte molto a
giovato lo ardore della età. Conciosiache se mancano queste cose, spesse fiate
l'ingegno si raffredda d'intorno le pensate. Et perche di questo fervore, che
illustra, & aguzza le forze delli ingegni alcuna cosa non deriva, che non
sia arteficiata, la Poesia per lo piu è chiamata arte. Della cui poesia il nome
non è indi nato; onde molti poco avertentemente istimano cioè da Poyo Poys ,
che suona l'istesso, che fingo fingis, anzi è derivato da Poetes antichissimo
vocabolo de' Greci, che Latinamente suona esquisita locutione. Percioche que'
primi enfiati di spirito incominciarono stranieramente a parlare a quel secolo
anco rozzo, come sarebbe in verso, che allhora in tutto era una sorte di
locutione non conosciuta. Et accioche paresse anco sonoro all'orecchie degli
ascoltanti, moderarono quello con misurato tempo; & affine, che per la
troppa brevità non levasse la dilettatione, nè con la soverchia lunghezza
porgesse rincrescimento, con certe regole di misura, & tra diffinito numero
di piedi, & sillabe il constrinsero. Ma quello, che da cosi diligente
ordine di parlare usciva, non piu era detto Poesia, ma Poema; & cosi come
già habbiamo detto ha conseguito il nome si all'arte come all'artificiato dal
loro effetto. Diranno forse questi oltraggiatori illustri che, se bene io ho
detto questa scienza dal seno d'Iddio essere infusa nelle anime anco tenere,
che eglino non vogliono credere alle mie parole, alle quali potrebbono haver
conceduto assai fermezza quelle cose, che fin'hora habbiamo veduto, se gli
animi fossero giusti; ma anco fanno bisogno testimoni. Se leggeranno adunque
quello, che Marco Cicerone, huomo Filosofo, & non Poeta, ha detto in quella
oratione, che fece nel Senato per Aulo Licinio Archia, forse si inchineranno
piu a darmi fede. Dice egli in tal modo. Et cosi habbiamo inteso da grandi
huomini, & dottissimi gli studi dell'altre cose essere fermati nella
dottrina, nei precetti, & nell'arte; ma il Poeta valere per natura, &
essere eccitato dalle forze dell'ingegno, & quasi essere enfiato da un
certo spirito divino. Adunque, per non far piu lunga diceria, assai si può
vedere dagli huomini pij la poesia essere una facultà, haver origine dal grembo
d'Iddio, dall'effetto pigliar il nome, & a lei appertenersi molte cose
degne, & eccelse; delle quai quelli istessi, che ciò negano spesse volte si
serveno, se cercano dove ò quando, & con qual guida, & per opra di cui
essi compongano le loro fittioni, mentre drizzano le scale per gradi distinte
fino al Cielo; mentre medesimamente i famosi alberi di rami secondi producono
alle stelle, mentre circondano con giri i monti fino in alto. Diranno forse,
che da lei incognitamente vi sono condotti, & che quello ch'eglino usano è
opra di Rethorica; il che io in parte non negherò; percioche la Rethorica ha le
sue parti d'inventione; ma appresso i velami delle fittioni, ella non v'ha che
fare. Egli è pura Poesia tutto quello, che sotto velame componiamo, &
stranieramente si ricerca et narra.
Se tu Re mio, ricercherai sotto
qual parte del mondo, in qualtempo, & per opra di cui la Poesia
primieramente sia comparsa in terra, a pena penso, che ti si potrà dare vera
risposta. Alcuni hanno tenuto questa con le sacre cerimonie degli antichi haver
havuto origine, & cosi appresso gli Hebrei essere nata, percioche le Sacre
Lettere testimoniano eglino essere stati i primi, che facessero sacrificio a
Dio; nelle quali si legge Caino, & Abel fratelli, & primi figliuoli
nati nel mondo, haver a Iddio sacrificato. Cosi anco da Noé, cessando l'onde
del Diluvio, & escendo dell'Arca, haver fatto sacrificio a Dio. Oltre ciò
Abraam, vinti inimici, a Melchisedech sacerdote offerse il pane e 'l vino. Ma
per queste cose non restando sodisfatti di quello, che cercano, piu tosto indovinando,
che con ragione parlando, dicono questi tali non poter essere stati veri
sacrificij senza nessuna cerimonia di parole, soggiongendo, che da Mosè il
sacrificio fu intieramente essequito quando, doppo l'havere per l'asciutto Mar
Rosso passato sicuramente col popolo d'Israele, instituì Sacerdoti, Sacrificij,
& il tabernacolo drizzato a guisa di futuro Tempio, & ritrovò le
orationi per placar la divina mente. Il che veggendo, si dirà la Poesia non
prima appresso Hebrei haver havuto principio, che al tempo di Mosè Prencipe
degli Israeliti; il quale circa il fine della vita di Marato Re de Sicioni,
morto negli anni del Mondo tremilaseicento, & ottanta, condusse il popolo
d'Israele, & ordinò i sacrifici. Vi sono degli altri, che vogliono
concedere questa gloria ai Babiloni; tra quali Veneto Vescovo di Pozzuolo,
grandissimo investigator delle historie, era solito affermare con lungo parlare
la Poesia essere molto piu antica di Mosè, come sarebbe, che fosse nata al
tempo di Nembrotto. Diceva ch'egli fu il primo inventore dell'Idolatria,
percioche havendo veduto il foco commodo a' mortali, & conoscendo, che dai
motti, & mormorationi diversi di quello certe cose future, affermano quello
essere Iddio; & però non solo in luogo d'Iddio lo adorò, & ciò persuase
a i Caldei, ma etiandio gli edificò Tempi, ordinò Sacerdoti, & v'aggiunse
anco orationi, nelle quali dimostrava egli haver dato origine al parlare;il che
è possibile, benche chiaramente non esplicasse onde ciò havesse cavato. Ma io,
come, che spessissime fiate habbia letto appresso gli Assiri essere prima stato
essercitato lo studio della Filosofia, & la gloria delle armi, nondimeno
senza qualche altro piu degno testimonio di fede non crederò cosi leggiermente
un tanto sublime artificio haver havuto origine appresso cosi fiere nationi. I
Greci appresso narrano la Poetica essere nata appresso loro, si come con tutte
le forze afferma Leontio; nella quale credenza ch'io alquanto mi lascio
condurre, ricordandomi alle volte haver inteso dall'inclito mio precettore tale
principio ella haver havuto appresso gli antichi Greci. Percioche al principio
tra quegli huomini anco rozzi havendo alcuni di piu elevato ingegno
incominciato a riguardare con maraviglia le opre della madre Natura; & indi
per le considerationi dei sensi entrare in loro una credenza, che vi fosse
alcuno per opra del quale sotto il suo imperio tutte le cose, che vedessero
fossero governate, & ordinate, il chiamarono, senza altro sapere, Iddio.
Indi istimando, che alle volte egli anco venisse ad habitare in terra, &
tenendo, che fosse santo, affine, che venendo ritrovasse stanze al nome suo
fabricate li drizzarono le sacre Chiese, & con grandissima spesa le
edificarono; onde noi al dì d'hoggi le chiamiamo con l'istesso nome.
Poscia, per farselo piu
favorevole, s'imaginarono alcuni honori singolarissimi da essere a lui fatti ne
i Tempi da quelli chiamati sacri. Finalmente, perche quanto s'imaginarono che
ei trappassasse ogn'altro di divinità tanto gli pareva, che dovesse essere tra
tutti piu honorato, vollero, che nei suoi Tempij, & sacrifici fossero
constitute le mense d'argento, i vasi d'oro, i candellieri, & tutti gli
altri simili lavori di gran pregio, & huomini dei piu prudenti, &
nobili del popolo, i quali furono poi da loro detti Sacerdoti, accioche vestiti
non di communi, & volgari habiti, ma di pregiatissime vesti, a quello
amministrassero gli uffici. Ultimamente, perche gli pareva cosa vergognosa, che
quelli Pontefici, & Sacerdoti facessero i sacrifici a tanta deità come
mutoli, & taciti, vollero, che fossero poste insieme parole le quali
dinotassero le lodi, & magnifichi fatti d'essa divinità, & fossero
espressi i voti; & le preghiere del popolo, secondo le necessità degli
huomini a lui fossero drizzate. Et perche sarebbe paruto inconvenevole, parlare
con tanta divinità, nè piu, nè meno come se si parlasse con un lavoratore, ò
con uno suo servo, ò amico commune, i piu prudenti volsero, che si trovasse un
non commune modo di ragionare, il quale commisero, che fosse dai sacerdoti
imaginato. Tra quali alcuni pochi, nondimeno, onde si crede, che vi fosse
Museo, Lino, & Orfeo, commossi da una certa instigatione di mente, finsero
peregrini versi con tempi, & misure regolati, & gli trovarono in lode
d'Iddio; ne quali, perche fossero di maggior autorità, sotto corteccia di
parole vi posero eccelsi mistieri divini, volendo perciò, che la venerabile
maestà di questi tali per la troppo notitia del volgo non fosse trasportata in
disprezzo, & precipitio; il quale arteficio essendo paruto maraviglioso,
& fino all'hora non piu udito (si come habbiamo predetto), dall'effetto il
chiamarono Poesia, overo Poete, & quelli, che l'havevano composto furono
detti Poeti. Et perche anco il nome favorisce all'effetto, egli si crede ch'ai
versi fosse aggiunto il canto; & cosi con l'altre cose appresso Greci haver
havuto origine la Poesia. Del tempo poi si dubitava molto. Diceva Leontio piu
volte haver inteso da Barlaam Calavrese suo precettore, & da molti altri
huomini dotti in tali cose, nei tempi di Foroneo Re d'Argivi, che incominciò regnare
negli anni del mondo tremilatrecento e ottantacinque, Museo, da noi nomato per
uno degli inventori dei versi, essere stato appresso Greci famosissimo huomo,
& quasi nell'istesso tempo haver fiorito Lino; de' quali fino al dì d'hoggi
la fama loro è assai illustre, la quale ci dimostra ch'eglino furono ministri
sopra gli antichi sacrifici, & a questo anco vi s'aggiunge il Thracio
Orfeo; onde per ciò sono tenuti i primi Theologi. Ma Paolo Perugino diceva la
poesia essere molto piu moderna (non mutando però gli Autori), affermando, che
Orfeo, il quale è scritto per uno degli antichi inventori, fu in fiore nei
tempi di Laumedonte Re di Troiani, cerca gli anni del mondo tremilanovecento,
& diece. Et, che questo Orfeo fu uno degli Argonauti, & non solamente successore
a Museo, ma di esso Museo figliuolo d'Eiumelfo precettore.
Il che anco nel libro dei tempi
testimonia Eusebio. Di che si vede (si come è stato detto) molto piu giovane
che non si diceva appresso Greci essere la Poesia. Nondimeno, a queste cose rispondeva
Leontio dicendo, che dai dotti Greci era tenuto molti essere stati gli Orfei,
& i Musei, ma quel vecchio Orfeo, che fu contemporaneo all'antico Museo,
& Lino essere stato greco; la dove il Thracio è predicato piu giovani. Ma
perche questo piu giovane trovò la orgia di Baccho, & Menandro notturne
compagnie, & rinovò molte cose d'intorno ai sacrifici antichi, & nella
oratione hebbe molto potere, per le quai cose appresso i contemporanei fu
tenuto in molta stima, dai posteri fu istimato il primo Orfeo. Alla cui
openione è forse da accostarsi, ritrovandosi anco per testimonio d'alcuni
antichi anzi il nato Giove Cretese esservi stati alcuni Poeti, constando per
Eusebio, che dopo la rapita Europa da Giove fiorì Orfeo Thracio. Essendo
adunque tra loro cosi discordi, nè adducendo nessuno assai valido testimonio
degli Autori antichi per confermare le loro ragioni, non ho per certo a cui si
debba credere. Tuttavia si vede per li tempi descritti, se si deve dar fede a
Leontio, appresso Greci piu tosto, che appresso Hebrei; & se a Veneto,
prima appresso Caldei, che appresso Greci essere comparsa la Poesia. Se poi
vogliamo credere a Paolo, seguirà, che Mosè pria, che i Babiloni ò i Greci di
questa essere stato maestro. Ma io, come, che Aristotele tratto forse dalla
ragione detta di sopra dica i primi Poeti essere stati Theologi, tenendo
ch'egli habbia voluto inferire perciò ch'eglino fossero Greci, il che pare, che
levarebbe un poco della openione di Leontio, non crederò già, che i sublimi
effetti di questa poesia (lasciamo in quella bestia di Nembrotto), ma nè in
Museo, Lino overo Orfeo, benche antichissimi Poeti, se forse (come pensano
alcuni) Museo, & Mosè non sono un istesso, fossero prima infusi, ma nei
sacratissimi, & dicati a Dio Profeti, leggendo, che Mosè (incitato com'io
stimo a questo desiderio) scrisse una grandissima parte del Pentateuco non
solamente in stile, ma in versi heroici, dettatili dallo Spirito Santo. Et cosi
anco molti altri grandissime cose in versi Latini sotto velame da noi chiamato
Poetico hanno finto; de quali io, nè forse vanamente, penso i Poeti Gentili
haver seguito i vestigi in comporre i Poemi. Nondimeno, là dove i divini
huomini ripieni di Spirito Santo, & da quelli investigati scrissero i suoi
volumi, cosi gli altri per violenza della mente, onde sono stati detti vates ,
cacciati da questo fervore hanno fornito i suoi Poemi. Ma tu, inclito Re, non
havendo io altro, che mi dire d'intorno tale origine, secondo il giudicio tuo,
piglia quello ti piace.
Questi magnifici cianciatori
affermano appresso le cose dette che i Poeti sono huomini favolosi, & per
usare di piu vile, & detestabile vocabolo, stomacosi, & alle volte anco
gli chiamano cianciatori. Nè dubito punto, che appresso gli ignoranti questa
obiettione non paia molto vera, & scelerata. Ma io me ne rido. Non può il
lezzo delle fracide lingue d'alcuno macchiare il glorioso nome degli huomini
illustri. Mi doglio veggendo questi tutti tinti di livore sfrenatamente
lasciarsi trasportare contra gli innocenti. Ma, che sarà poi? Concedo, che i
Poeti sono favolosi, cioè compositori di favole; nè ciò istimo vergognoso,
altrimenti di quello, che sarebbe ad un Filosofo havere formato un silogismo.
Percioche se egli si dimostra, che cosa sia favola, quali le spetie delle
favole, & di quali questi favoloni habbiano usato, istimo, che ciò non
parrà si grande sacrilegio (come vogliono questi) l'havere narrato favole.
La favola adunque tra l'altre
cose piglia honesta origine da For, Faris , & da quella deriva la
confabulatione, la quale altro non suona, che collocutione. Il che assai si
dimostra per Luca nell'Evangelio, mentre scrive di due discepoli, che dopo la
passione di Christo andavano in un Castello chiamato Emaus, cosi dicendo; Et
eglino ragionavano insieme di tutte quelle cose, che erano occorse; onde
avenne, che fabulando, & ragionando tra loro, esso Christo si gli
avicinava, & andava seco. Et se il favoleggiare, o vogliamo dire fabulare,
a quei santi huomini non si imputava vitio, non sarà peccato havere composto
favola. Ma cediamo un poco a questi. Non mi ostinerò, che non sia fuori di
proposito l'havere composto favole, s'io vi concederò che i Poeti habbiano
solamente composto le semplici favole; ma eglino non saranno mai letti, che da
un huomo intelligente non sia conosciuto qualche gran misterio essere nascosto
sotto la favolosa corteccia; & però alcuni furono soliti in tal modo
diffinire la favola; La favola è una locutione essemplare overo dimostrativa sotto
fittione, e dalla cui levata la corteccia, è manifesta la intentione del
favoleggiante. Credo, che di quattro sorte sia la spetie di queste. La prima
delle quali al tutto manca di verità nella corteccia, come sarebbe quando
facciamo, che gli animali brutti, & le cose insensibili parlano; & di
queste fu grandissimo auttore Esopo, huomo Greco per antichità, & anco
gravità honoratissimo. & conceduto, che di queste non solamente il volgo
civile, ma anco gli huomini agresti si servino, molte volte non ci ha talhora
fastidite nei suoi libri includervi Aristotele, huomo di celeste ingegno, &
Principe dei Filosofi peripatetici di quelle. La seconda spetie poi talhora si
compone nella superfitie favolosa, & simile alla verità, si come sarebbe se
diremo le figliuole di Mineo per haversi opposto, & sprezzato i sacrifici
di Baccho essere state converse in pipistrelli. Queste fino dalla prima età
ritrovarono gli antichissimi Poeti, i quali hebbero cura coprire insieme le
cose humane, & divine con figmenti; et quelli, che hanno seguito i piu
sublimi Poeti le hanno rivolto in meglio, benche alcuni di Comici le habbiano
guaste, perche piu curarono del volgo lascivo, che dell'honestà. La terza
spetie poi è piu simile all'historia, che alla favola.
Di questa altramente et
altramente hanno usato i famosi Poeti. Percioche gli heroici, benche paiano
scrivere una historia, come Virgilio mentre scrive Enea combattuto dalla
fortuna del mare, & Homero Ulisse legato all'antenna della nave per non
essere condotto dal canto delle Sirene; nondimeno sotto velame hanno altro
sentimento di quello, che mostrano. Oltre ciò i piu honesti comici, come
Plauto, & Terentio, si sono serviti di questa spetie di favoleggiare non
intendendo altro, che solo quello, che le scritture risuonano; ma nondimeno con
l'arte loro descrivendo i costumi, & le parole di diversi huomini, &
con questo ammaestrare i lettori, & fargli cauti, & tali cose, se bene
in fatto non furono, essendo communi, poterono, overo potrebbeno essere. La
quarta spetie poi non ha punto di verità in sé, nè in apparenza nè in nascosto,
essendo inventione delle pazze vecchiarelle. Delle quali quattro spetie, se
questi eccellenti riprensori danneranno la prima, verranno anco a biasimare
quello, che leggiamo nelle sacre lettere, cioè i legni delle selve havere
parlato nel constituirle un Re.
Se si reproba la seconda, si
verrà anco a confutare quasi tutto il sacro volume del Testamento Vecchio; il
che sia lontano; veggendosi quasi con l'istesso passo caminare quelle cose, che
in quello sono scritte come vanno quelle de i Poeti. Et questo in quanto al
modo di comporre. Percioche dove manca la historia nessuno non cura dalla
possibilità superficiale; & quello, che il poeta chiama favola overo
fittione, i nostri Theologi l'hanno detta figura. Il che, che cosi sia se'l
veggiano i Giudici piu giusti, contrapesando con egual peso la superficie delle
lettere sopra le visioni di Isaia, Ezechiele, Daniello, & d'altri sacri
huomini, & poi le fittioni de i Poeti. Se tutte tre (cosa, che non ponno)
diranno essere da biasimare, non sarà altro che dannare quella spetie di
parlare della quale, spessissime volte ha usato Giesù Christo figliuolo
d'Iddio, nostro Salvatore, essendo in carne; benche non per quello vocabolo di
Poeta le habbiano chiamato le sacre lettere, ma per Parabole, & in alcun
luogo per essempio, attento: che per ragione d'essempio sia detto. Che poi
tutte quattro siano da essere biasmate, non veggendo ciò esser mosso da alcuno
convenevole principio, nè essere difeso da riparo di nessuna arte, overo a
dovuto fine con ordine condotto, non me ne faccio gran conto, percioche niente
non si confanno con le favole de' Poeti; & benche io mi creda questi
riprensori essere da istimare in niente non essere differenti da queste
semplici favole: gli prego a rispondermi, se diranno, che lo Spirito Santo,
& che Christo Iddio sia favolone? I quali amendue sotto una istessa deità
parlarono per favole.
Non lo crederanno, se saranno
saggi. Io, se mi piacesse passare in lungo parlare, benissimo dimostrarei la
diversità dei nomi non allontanarsi, se le qualità de gli stili si convengono;
ma essi se'l veggano. Spesse volte leggiamo, che queste favole, le quali essi
per lo vocabolo tanto disprezzano, hanno queitato gli animi incitati da pazzo
furore, & ridotti nella primiera mansuetudine, come fu quando da Mennio
Agrippa, gravissimo huomo, la plebe Romana contraria ai Senatori dal Sacro
monte con una favola fu ritornata nella patria. Con le favole spesse fiate si
sono ristorate le forze degli animi lassi degli huomini illustri occupati
d'intorno cose sublimi; il che non solo si può dimostrare per essempi antichi,
ma tuttavia si vede. Perche veggiamo i gran Principi occupati d'intorno a cose
eccelse (come quasi ammaestrandoli la Natura delle cose), doppo le sublimi
dispositioni in meglio dei suoi Regni, per ristorare le loro forze, far
chiamare quelli, che con piacevoli favole gli confortino gli animi lassi; onde
sotto le favole contenute sopra il peso di qualche attione di travagliata
fortuna spesse volte hanno sentito ricreatione. Il che si vede in Apuleio,
quando la Charità, generosa donzella, per sua disgratia prigionera di quei
malandrini, raccontando la sua mala sorte, per narrar la favola di Psiche
dolcemente, fu da quella vecchieta ricreata. Per le favole habbiamo veduto
talhora de gli animi sonnolenti essersi svegliati a miglior opra; & per
tacere di me stesso, & dei minori, udì già raccontare dall'Illustre huomo
Giacopo Sanseverino, Conte di Tricarico, & Chiarmonte, egli havere inteso
da suo padre, che Roberto figliuolo del Re Carlo, che poi fu inclito Re di
Gierusalemme, & di Sicilia, fu giovane di cosi sonnolente, & freddo
ingegno, che non senza grandissima difficultà del suo precettore puote capire i
primi principij delle lettere; onde disperando di lui, & il padre, &
quasi tutti gli amici, i suoi Pedagoghi con diligente astutia trassero
l'ingegno di quello a leggere, & udire a raccontare le favole di Esopo. Di
che venne in tanto desiderio di saperle che, tratto dallo studio di quello, non
pure imparò poscia in breve tempo queste domestiche a noi arti liberali, ma
anco con grande acutezza passò fino ai segreti della sacra Filosofia, &
diventò Re tale, che da Salomone in poi di lettere, & Reame gli huomini non
conobbero il piu dotto di lui. Che tante cose? Tanto vagliono le favole, che
gli indotti della prima loro testura si dilettano, & dei dotti gli ingegni
d'intorno le cose nascoste si essercitano. Et cosi con una istessa lettione
fanno profitto, & dilettano. Non adunque con si scoperta fronte, ne con si noiosa
sentenza, questi schifi vomitino il suo odio, nè la sua malignità overo
ignoranza contra i Poeti; & se sono in cervello, pria curino le loro
pazzie, & poi con nuvoli di cattive parole si sforzino offuscare gli altrui
splendori; Riguardino; riguardino questi censori, quali, & quanto noiosi
essempi, & atti usino per movere il riso delle donnicciuole ben spesso;
& poscia, che si saranno purgati, cercheranno correggere le favole altrui.
Ricordandosi, che Christo disse agli accusatori, che colui il quale fosse senza
peccato, fosse il primo a pigliar le pietre contra l'adultera donna.
Tra questi sono alcuni di tanta
temerità che, senza essere armati di nessuna autorità, non si vergognano dire
essere pazzia il credere, che i famosissimi Poeti sotto le loro favole habbiano
nascosto alcun senso; anzi, che hanno composto quelle piu per dimostrare quanto
ponno le forse della sua eloquenza; & spetialmente mentre col mezzo di
quello da gli ignoranti gli erano credute le cose false per vere. O iniquità
d'huomini ò inetta scelerità, che mentre abbassano gli altri, essi da poco si
credeno inalzare. Chi altri, che ignoranti diranno, che i Poeti habbiano fatte
le favole semplici et che solamente in sé non contengano altro, che
l'esteriore, per dimostrare l'eloquenza? O bella ragione, come se quasi la
eloquenza non si potesse fare valere d'intorno le cose vere. Certamente hanno
conosciuto male la sententia di Quintiliano, del cui grandissimo Oratore
l'openione è, che cerca le cose false non vaglia alcun nerbo d'eloquenza. Ma di
questo altrove. Chi adunque, per venire a questo, sarà si pazzo, & di si
poca consideratione, che leggendo nella Bucolica di Virgilio questo verso; Nanque canebat uti magnum per inane coacta,
insieme con quegli altri versi, che segueno dietro questa sentenza. Et nella
Georgica le api havere una parte di mente divina, con le cose applicate a
questo. Et nell'Eneida; Principio cælum, & terras camposque liquentes , con
le cose, che vi seguono; dalle quali vi si cava il puro suco di Filosofia, che
non veggia chiaramente Virgilio essere stato Filosofo, & non l'estimi
eruditissimo huomo per dimostrare la eloquentia sua; della cui molto valse in
havere condotto Aristeo Pastore nei segreti della terra dalla madre Olimene,
overo Enea per vedere il padre nell'Inferno?, & questo sotto favoloso
velame havere scritto senza sentimento alcuno? Chi è stato cosi ignorante, che
veggendo il nostro Dante spesse fiate sciorre gl'intricati nodi della sacra
Theologia con maravigliosa dimostratione, che non s'accorga egli non solamente
essere stato Filosofo, ma anco famoso Theologo? Et se ciò terrà, per qual
ragione penserà ch'egli habbia finto, che B. membre grifo traha quella carretta
sulla cima del monte Severo accompagnata da sette candelieri, & altretante
ninfe, con l'avanzo di quella pompa trionfale? Per dimostrare, che egli sapeva
comporre rime, & favole? Chi appresso sarà tanto scioccho, che istimi il
famosissimo, & Christianissimo huomo Francesco Petrarca, la cui vita, &
i cui santi costumi noi stessi habbiamo veduto, & lungamente, per la Iddio
gratia, vederemo, haver speso tante vigilie, tante fatiche, tante notti, tanti
giorni, & tanti studi nella sua Bucolica solamente per la gravità del
verso, & l'eleganza delle parole, & per fingere, che Gallo dimandasse a
Tirreno la sua fistola, & che cantasse insieme Panfilo, Mitione, &
altri spensierati Pastori? Nessuno veramente che lo conosca dirà ciò, &
molto meno quelli, che hanno veduto ciò, che egli in sciolto stile ha scritto
nel libro della vita solitaria, & in quello ch'egli ha intitolato dei
rimedi all'una, & l'altra fortuna; per lasciare molti altri da parte; ne'
quali quanta santità si può comprendere nel seno della Filosofia Morale, tanta
con gran maestà di parole in quelli si comprende di maniera, che non si può
dire nessuna cosa piu piena, piu ornata, piu matura nè piu santa ad
instruttione dei mortali. Potrei anco addure i miei versi Bucolici, del cui
sentimento io sono consapevole, ma ho giudicato tacerne, perche fin hora non mi
tengo la tanto ch'io mi debba annoverare tra gli huomini eccellenti, &
perche le cose proprie sono da lasciare ragionarne a gli altri. Tacciano
adunque questi cianciatori ignoranti, & i superbi se possono ammutiscano,
essendo da credere, che non pure gli huomini illustri, nodrito dal latte delle
Muse, et allevati nelle habitationi della Filosofia, & in sacri studi,
habbiano locato profondissimi sensi nei suoi poemi; ma etiamdio non essere
alcuna cosi pazzarella vecchiacciola, d'intorno il fuoco di casa, che di notte
vegghiando con le fantesche racconti alcuna favola dell'Orco ò delle Fate,
& Streghe, dalla cui spesissime volte finta, & recitata sotto ombra
delle parole riferite, non vi senta incluso secondo le forze del suo debile
intelletto qualche sentimento, alle volte da ridersi poco, per lo quale vuole
mettere timore ai picciolini fanciulli, overo porgere diletto alle donzelle,
overo farsi beffe dei vecchi, o almeno mostrare il potere della fortuna.
Dissi di sopra, che questi noiosi
dicono anco, che i Poeti habitano nelle Ville, nei Monti, & nelle Selve
perche sono privi di civiltà, & costumi. O ignorante sorte d'huomini. Non
veggono che mentre vogliono con falso aiuto approvare la verità si fanno
bugiardi? Io non solamente confesso i Poeti habitare nelle Ville, Selve, &
Monti, anzi, se essi non l'havessero detto io era per dirlo, & forse già
l'ho detto, ma non per quella causa ch'essi gonfiati adducono, cioè, che non
vagliano di civiltà; conciosia che, ch'eglino ne vagliano, assai ne fanno fede
i Poemi, a' quali se sprezzano credere rivolgano gli scritti degli antichi
Filosofi, & leggano gli annali, ch'io non dubito, che spesso ritroveranno i
Poeti, mentre gli ha piacciuto, hanno usato delle amicitie, conversationi,
& vivere dei Re, & nobili Principi; il che non si concede agli huomini
rozzi, & da poco. Nè in testimonio della verità mi mancano alcuni essempi,
che mi occorrono. Potrei veramente, se io volessi, mostrare Euripide poeta
intrinseco di Archelao Re de' Macedoni, Ennio Brondusino famigliarissimo de i
Scipioni; Virgilio amicissimo d'Ottaviano Cesare. Et se non curano gli antichi,
non mancano dei moderni. Il nostro Dante fu congiunto di stretto nodo
d'amicitia con Federigo di Arragona Re di Sicilia, & con Cane dalla Scala,
Illustre Signore di Verona. Sappiamo appresso, & è quasi notissimo a tutto
il mondo, Francesco Petrarca essere stato molto amato, & molto famigliare
di Carlo Imperadore, di Giovanni Re di Francia, di Roberto Re di Gierusalemme,
& Sicilia, & di molti sommi Pontefici, & di quelli, che vivono vi
sarà, mentre vorrà. Ma se questi maldicenti non sanno, i Poeti habitano, &
hanno habitato nelle solitudini perche non nelle piazze, non ne i Palazzi
publici, non nei Theatri, non ne i Campidogli, non sotto le loggie communi
(dove tutt'hora concorreno genti, conversa la plebe, & si stanno le
feminucciole) è conceduta la consideratione delle cose sublimi, senza la cui,
quasi continua, non ponno principiare nè finire gli imaginati Poemi. Ma a pena
crederò, che havessero detto questo, se sanamente havessero letto quello, che
scrive Oratio Fiacco a Floro; poscia, che elegantemente, secondo suo costume,
gli ha annoverato alcuni impedimenti della Città, interrogando gli dice;
Giudichi adunque, che si possa in
Roma
I Poemi compor tra cure, &
stenti?
Volendo per ciò, che s'intenda
non si potere. Nè di questo contento, aggiungendovi alcune altre
inconvenevolezze dalle quali continuamente le Città sono vessate, soggiunge
quasi sdegnato dicendo;
Và
dunque, & pensa tu versi sonori.
Quasi, che dica, non potrai. Et
poi seguendo gli dimanda;
Tu vuoi, che fra gli strepiti
notturni
Et i diurni ancor io cante, &
segua
I vestigi
toccati dei Poeti?
Nè molto da poi soggiunge;
Qui dunque, dove in mezzo sono
posto
Di travagli, fortune, & civil
garre
Unir mi degnerò già mai parole,
Che commovano il suon de la mia
lira?
Per li quai versi, per piu non ve
n'aggiungere, assai si vede perche i Poeti amino i luoghi selvaggi. Il che
leggiamo anco havere fatto Paolo heremita, Macario, Antonio, Arsenio, & molti
altri venerabili, & santissimi huomini, & non per mancamento di
civiltà, ma per servire con piu libero animo a Dio.
Ancora, che non sia cosa tanto
detestabile, come pare, che questi istimino l'habitare le selve, non si
veggendo in esse nessuna cosa finta, fucata, nè alla mente inconosciuta.
Veramente tutte le opre di Natura sono semplici. Ivi sono i dritti faggi verso
il Cielo, & gli altri alberi, che con la sua opacità porgono l'ombre
fresche: ivi la terra contesta di verdeggianti herbe, & di mille colori di
fiori distinta; ivi i chiari fonti, & limpidi ruscelli, che con piacevole
mormorio scendeno da i vicini monti, ivi i depinti uccelli, che col canto
addolciscono l'aere, ivi le frondi, che dal movere di una leggiera aura
risuonano: ivi gli animaletti, che giuocano: ivi i gregi, & gli armenti,
ivi le case pastorali, & le cappannette senza cura nè rispetto alcuno,
& ivi tutte le cose sono piene di tranquillità, & silentio, le quali
non solamente, satollati gli occhi, & l'orecchie delle sue delitie, allettano
l'animo, ma anco paiono, che constringano in se la mente, & l'ingegno, se
forse fosse lasso, a ripigliare le forze, & condur quello al disio della
consideratione di cose sublimi, & ad avidità anco di comporre; il che con
maravigliosa esortatione ci persuade la compagnia dei libri, & i canori
Chori delle Muse, che ci stanno d'intorno, le quali tutte cose essendo
drittamente considerate, quale studioso huomo non preporrà le solitudini alle
Città? Ma non il diffetto de i Poeti, nè le solitudini (se diffetto si può
chiamar questo) moveno questi insolenti huomini a riprenderli, anzi la loro
macchiata mente da mortale ambitione, dalla quale essendo lontani i Poeti, egli
dicono, che sono huomini da fuggire. Egli è usanza d'huomini di pessimi costumi
grandemente disiare, che tutti gli altri a loro siano conformi, per coprire
overo difendere i suoi peccati con gli altrui. Vergogninsi, & ammutiscano
adunque se i Poeti non fanno, come eglino. Percioche gli huomini saggi fuggono,
& hanno per cosa vergognosa il contrafarsi la faccia con la pallidezza. Et
se abhorriscono col tardo passo continuamente caminare per le Città, eglino il
fanno perche ricusano comprare la gratia, & le lodi dello inerte volgo con
la vergognosa, & difforme hippocrisia; non si curano da gli ignoranti
essere mostrati a dito, rifiutano il dimandare, & disiare i governi,
sdegnano il caminare per li palazzi reali, & divenire adulatori di maggiori
per potere acquistare un qualche beneficio, overo per compiacere un poco meglio
al loro ventre, & attendere piu all'otio, nè vogliono assentire alle
donnicciuole per trarle dalle man qualche denaro, affine di acquistare con
inganni quello, che non si può con i meriti. Oltre ciò, con tutti i loro
effetti questi tali iniqui cercano, che gli altri diano via la sua robba perche
parte ne venga in suo potere, come se secondo la quantità dei premij si
comprassero le sedie del Cielo. Ma questi, che sono malmenati da loro,
contentandosi di un vivere leggiero, & di un breve sonno, con la continua
speculatione, & con lodevole essercitio componendo, & scrivendo,
ricercano la famosa gloria, che al nome suo per molti secoli dura. O, che sorte
d'huomini è questa da essere sprezzata? O biasimevole solitudine di questi
tali, Ma, che stò io a continuar con parole? Haverei molte cose da dire, se la
illustre candidezza, la egregia virtù, & lodevole vita de i Poeti famosi
con piu salda fortezza contra questi iniqui sé stessa non difendesse.
Questi cavillosi dicono, che
molte volte i Poemi sono oscuri, & questo per vitio de i Poeti, i quali ciò
fanno per dimostrare, che quello, che è molto intricato, sia con piu arteficio
composto; & vogliono ch'eglino facciano questo come smemorati dello antico
instituto degli Oratori, per lo quale si vieta la oratione dovere essere piana,
& lucida: ò giudicio di perversa mente; qual altro, eccetto: ò una anima
iniqua, si sarebbe piegato in cosi scelerato pensiero, che quello, che a lui è
inacessibile non solamente haggia in odio, ma cerchi se potesse con falsa
accusa macchiarlo? Confesso alle volte i Poeti essere oscuri, ma mi diano
eglino (se vogliono) la risposta, le ritrovano le scritture de i Filosofi, a
quali spesse volte essi impudicamente si congiongono, cosi piane, & chiare,
come dicono dover essere la oratione? Se ciò affermano, mentiranno; percioche
tra gli scritti di Platone, & Arist. (per tacer degli altri) le clausule,
& sentenze sono tanto annodate in alcun luogo, che già da molti acuti
huomini, incominciando dal loro tempo fino al dì d'hoggi, diversamente essendo
state esposte, malamente ponno render fede quale sia il suo vero senso, nè la
concorde sentenza. Ma che dico de i Filosofi? Non è stato il divino eloquio,
del quale essi desiderano essere tenuti professori, porto dallo Spirito Santo
pienissimo d'oscurità, & dubbi? E cosi veramente; & se ciò negheranno,
essa chiara verità si vedrà. Nè sono molti testimoni, tra quali, se li piace
interroghino Agostino, Santissimo, & Dottissimo huomo, & di cui cosi
eccelse furono le forze dello ingegno, ch'egli senza precettore (come da se
stesso confessa) apparò molte scienze; & tutto quello, che da i dieci
Cathagorij cavarono i Filosofi; & nondimeno non si vergognò dire, &
confessare non havere potuto intendere il principio d'Isaia. Non adunque ne i soli
poemi sono le oscurità. Perche adunque non accusano cosi i Filosofi come i
Poeti? Perche non dicono lo Spirito Santo nelle sue opere havere congiunto
oscure sentenze, perche paressero piu artificiose, come quasi egli non sia
sublime artefice di tutte le cose? Non dubito, che in loro non sia tanta
temerità, che lo farebbono, se non sapessero, che sono difensori a i Filosofi,
& che a quelli, che parlano contra lo Spirito Santo sono preparati i
supplici; & però vanno contra i Poeti perche sanno che mancano di
difensore. Istimando appresso non essere ivi colpa nessuna dove subito la pena
non segue. Questi dovrebbono havere veduto alcune cose da veder oscure, che per
lo vitio loro sono chiare. Ad un losco risplendendo il Sole, che è chiaro,
l'aere pare nuvoloso. Sono poi altre cose per sua natura tanto profonde, che
non senza difficultà la acutezza anco d'un nobile intelletto puote penetrare
nel segreto di quelle si come nel globo del Sole, nel quale prima che vi si
possa affisare bene spesso gli acutissimi occhi sono ributtati. Alcune altri
poi, se bene per natura sua forse sono chiare, sono coperte da tanto arteficio
dei fingenti, che malamente anco alcuno vi può con l'ingegno trarre il vero
senso, si come molte volte il grandissimo corpo del Sole tra le nebbie nascoste
non può essere veduto da i dottissimi Astrologhi, nè compreso in qual parte del
Cielo si giri puntalmente col loro affisare d'occhi, & tali non nego, che
alle volte non siano i poemi de i Poeti. Ma non però, come vogliono questi,
sono con ragione da essere biasimati; percioche egli è proprio ufficio de i
Poeti, tra gli altri, non denudare le cose coperte sotto velame, anzi se sono
apparenti, cercare di coprirle con quanta industria mai ponno, & levarle da
gli occhi dei mal dotti, accioche per la soverchia famigliarità non aviliscano,
ma siano piu degne di memoria, & riverenza. Onde, se diligentemente faranno
quello che a loro s'appartenirà, i Poeti verranno piu tosto ad essere lodati,
che biasimati. Et però, come è stato detto, confesso quelli talhora non essere
oscuri, ma anco indissolubili sempre; se un'intelletto acuto non gli conosce,
& intende. Ma tengo, che questi tali, che porgono tante querele habbino piu
tosto gli occhi di nottola, che humani. Nè sia alcuno, che pensi da i Poeti per
invidia sotto le fittioni essere stato nascosto il vero, ò perche vogliono in
tutto negare ai lettori il sentimento delle cose celate, overo per dimostrarsi
piu arteficiosi; ma solamente ciò hanno fatto accioche quelle cose, c'hanno
voluto intendere, ricercate con la fatica degli ingegni, & diversamente
interpretate, alla fine ritrovate siano tenute piu care. Il che molto piu
ciascuno di buono intelletto debbe havere certissima c'habbia fatto lo Spirito
Santo; la qual cosa pare, che si confermi per Agostino nell'undecimo libro del
Celeste Gierusalemme, dove dice; Del
divino sermone la oscurità a questo è anco utile, che partorisce molte
sententie di verità, & in lume della cognitione le produce, mentre uno cosi
l'intende, & un altro altramente. Et altrove l'istesso Agostino sopra il
centesimo, & ventesimo salmo dice. Però forse è posto piu oscuro, accioche
generi molti intelletti, & piu ricchi si partino gli huomini, i quali hanno
trovato chiuso quello, che in molti modi si sarebbe aperto, che se in un modo
solo l'havessero aperto. Et per usare ancora piu del testimonio di Agostino
contra questi calcitranti, affine che intendano quello ch'egli adduce in difesa
delle oscurità delle sacre lettere, & io voglio, che sia inteso per le
oscurità de i poemi, Dico, che sopra il Psalmo centesimo, &
quarantesimosesto cosi scrive. Qui non è
nessuna cosa cattiva; ma qualche d'una oscura, non da pigliar perche ti sia
negata, ma perche ti esserciti.
Onde per non usare d'intorno a
questo altre autorità d'huomini sacri, non voglio, che questi tali habbiano
noia udire che io voglio l'istesso essere inteso delle oscurità de' Poeti, che
si tiene da Agostino delle divine; ma anco dico, che debbano con la loro
invetriata fronte considerare, quanto maggiormente sia da tenere l'istesso di
queste; che rispettivamente a pochi sono apposte, essendo ciò locato nelle
sacre lettere, che a tutti s'appartengono. Ma se volessero forse la durezza del
testo, le figure delle orationi, & dittioni, & colori, & modi dei
peregrini vocaboli essere quelli, che dannassero la non conosciuta da loro
bellezza, & di quì i Poeti essere chiamati oscuri, non so, che altro dirli
eccetto, che di nuovo ritornino alle schole de i Pedagoghi, studiano, &
apparino quale licenza da gli antichi autori sia conceduta alle autorità de i
Poeti, & piu diligentemente cerchino, oltre le cose volgari, &
famigliari, quali siano anco le rare, & peregrine. Ma, che stò io con tali
parole a continuare? con meno havrei potuto ciò fare. Facciano, che si
spogliono il vecchio ingegno, & si vestino di un nuovo, & generoso, che
quello che hora gli pare oscuro gli parrà poi famigliare, & aperto. Nè si
credano coprire la dura rozzezza del suo intelletto col precetto de gli antichi
oratori, del quale non dubbito, che sempre i Poeti non siano stati ricordevoli.
Ma avertiscano, che l'ordine delle parole altrimenti proceda orando, che
fingendo, & le fittioni essere state lasciate al volere del fingente come
opra d'un'altra spetie; dove grandemente da i Poeti si serba la maestà dello
stile, & si ritiene la dignità dell'istesso, si come nel terzo libro delle
inventive contra il Medico dice Francesco Petrarca.
Nè come essi paiono istimare, ha
invidia a quelli, che non ponno carpire, ma preponendo la dolce fatica,
consulta alla dilettatione, & alla memoria insieme. Percioche sono piu care
le cose che acquistiamo con difficultà, & con piu cura sono serbate, si
come il medesimo Petrarca nell'istesso libro narra. Che tante cose? Se quelli
hanno l'ingegno rozzo, riprendano la sua dapocaggine, & non i Poeti, nè si
oppongano contra loro con fieri lattrati, da quali seco benissimo è stato
contrastato. Attento, che nel primo incontro, affine, che gli ignoranti non
s'affatichino, da essa prospettiva di cose è stato porto terrore. Ritirinsi
adunque adietro piu tosto a tempo, che volendo passare innanzi, affaticata la
sonnolenza dello ingegno, con rossore gli sia data la ripulsa. Et per dirlo di
nuovo a chi mi vuole intendere, a snodare i dubbiosi groppi egli bisogna
leggere, affaticarsi, veggiare, interrogare, & con ogni fatica sottigliare
le forze del cervello; & se per una via alcuno non può aggiungere dove
disia, entri per un'altra; et se gli resiste qualche incontro, ne prendi
un'altra, fino a tanto, che se gli giovano le forze, gli paia lucido quello,
che prima gli pareva oscuro.
Oltre ciò questi maligni dicono,
che i Poeti sono bugiardi, & si sforzano, se potessero, fermar questo luogo
con salde ragioni, dicendo quello che spesse volte è stato detto, cioè quelli
nelle sue favole scrivere bugie, come sarebbe un'huomo converso in sasso; il
che in tutto pare contrario alla verità. Appresso allegano, che i Poeti dicono
bugiardamente esservi molti Dei, essendo cosa certissima, che non ve n'è piu,
che uno, & quello vero, & onnipotente. Aggiungendo, che Virgilio,
Prencipe de i Poeti Latini, ha narrato la historia di Didone meno, che vera,
& simili altre cose. Credo che per ciò istimino haver vinto. Et havrebbeno
vinto, se non vi fusse alcuno, che con la verità confutasse le loro insipide
esclamationi. Che sarà adunque? Istimava nelle precedenti haver risposto a
bastanza a questa parte, là dove ho descritto, che cosa sia favola, quante le
spetie delle favole, & di quali si siano serviti i Poeti, & perche. Ma
in questa materia di nuovo è da ritornare. Dico, che i Poeti non sono bugiardi,
percioche la bugia, secondo il mio giudicio, è una certa falsità similissima
alla verità, per la cui da alcuni si opprime il vero, & esprime quello, che
è falso. Di questa afferma Agostino, che otto sono le spetie; delle quali, se
bene alcune ne sono piu gravi dell'altre, di alcuna nondimeno consapevoli non
si possiamo senza peccato servire, nè senza nota d'infamia, per la cui siamo
chiamati bugiardi. L'intento della quale diffinitione, se dirittamente sarà
riguardato degli inimici del Poetico nome, conosceranno questa riprensione onde
affermano essere bugiardi i Poeti, mancare di forze; attento, che le fittioni
de i Poeti non s'accostano a nessuna delle spetie di bugia: conciosia, che non
è loro animo con le fittioni ingannare alcuno, nè, si come e la bugia, le
fittioni poetiche per lo piu non sono non molto simili, ma nè anco punto
conformi alla verità, anzi non poco discordanti, & contrarie. Et concedendo
che una spetie di favole, la quale habbiamo detto parer piu tosto historia, che
favola, sia molto simile alla verità, per antichissimo consentimento di tutte
le nationi dalla macchia della bugia è purgata, & netta; essendo per usanza
antica conceduto, che ciascuno si possa servir di quella per ragione d'essempio,
in cui non si cerca semplice verita, nè si vieta la bugia. Et se si riguarda
l'officio de i Poeti molte volte di sopra mostrato, eglino non sono obligati à
questo legame, che usino della verità nella superfitie delle fittioni;
percioche, se venisse a loro trito la licenza di vagare per ogni sorte di
fittione, il loro ufficio al tutto si risolverebbe in niente. Che piu? Se tutte
quelle cose, che sono dette in confutatione meritevole fossero annullate, il
che penso non si possa fare, questo ci resta da non potersi confutare; alcuno
di ragione essercitando il suo ufficio per ciò non può cadere in nota
d'infamia. Il Podestà secondo la legge sententia che ai mal meritati sia
tagliato il capo; non però di ragione si dice homicida. Cosi nè anco il soldato
saccheggiatore de i terreni dei nimici non si dice ladrone. Nè il
Giureconsulto, se bene un poco men giusto consiglio concede al clientulo,
mentre dal segno della ragione non si separi, non meriterà il nome di
falsidico. Cosi anco il Poeta, benche fingendo menta, non incorre nella
ignominia di bugiardo, essequendo giustissimamente il suo ufficio non
d'ingannare, ma di fingere. Se nondimeno volessero sopra questo far instanza
che quello, che non è vero è buggia, sia detto come si voglia. Se ciò non è
fatto, io nondimeno piu oltre non estenderò le mie forze per confutare questa
obiettione. Ma ricercherò, per vedere quello, che siano per rispondere, con
qual nome siano da chiamar quelle cose, che sono scritte per Giovanni
Evangelista nello Apocalipsi con maravigliosa maestà dei sensi, ma in tutto
molte volte nella prima faccia discordanti alla verità. Con qual nome esso
Giovanni, & con quale le altre, & gli altri, che nel medesimo stile
hanno scritto, & coperto le gran potenze d'Iddio? Io veramente chiamarle
bugie, nè dir loro bugiardi, ancora, che fosse lecito, non ardirei. So
nondimeno, diranno (il che anch'io sono per dire in parte, se ne sarò
dimandato) Giovanni, & gli altri Profeti essere stati veracissimi huomini;
la qual cosa già si è conceduta. Oltre ciò, v'aggiungeranno da loro non essere
stato scritto fittioni, ma piu tosto deversi chiamar figure, & cosi essere;
onde per consequenza figuratovi essere stati di quelle scrittori. O rifugio da
ridersi; come siamo quasi per credere che quello, che è similissimo nella corteccia,
per mutatione overo diversità di nome habbia possa oprare diversi effetti. Ma
in ciò sia minor contrasto. Sono figure, ma gli prego, che m'esprimano se nella
letterale corteccia hanno in se verità. Se vogliono che io mi creda questo, non
sarà altro, che con la bugia velarmi gli occhi dell'intelletto, si come
cuoprono quella verità cui inclusa. Onde non essendo questi tali nè da chiamare
nè da credere bugiardi, perche non vi sono, cosi nè anco i Poeti; i quali,
vista le loro forze, metteno il loro studio sotto diverso significato usare
delle fittioni. Non si può negare, che i Poeti non habbiano descritto molti
Dei, essendovene un solo; ma ciò non è da imputargli per bugia, perche non
credendo nè fermando, ma secondo sua usanza fingendo scrissero. Perche qual'è
colui tanto di sé stesso non consapevole, che istimi nessuno ammaestrato negli
studi di Filosofia essere di cosi pazza opinione, che creda esservi molti Dei?
Se a bastanza habbiamo buon'intelletto, dovemo facilmente credere i dotti
huomini essere stati studiosissimi investigatori della verità, & quelli
fino là dove lo humano ingegno può penetrare haver toccato, & senza dubbio
conosciuto solamente esser un Dio; alla cui notitia essere pervenuti i Poeti,
nelle loro opre chiaramente si comprende. Leggi Virgilio, che il troverai
orare, & pregare dicendo;
Se mai ti pieghi, per mortale
preghi
Onnipotente Giove; hor drizza gli
occhi.
Et quello, che segue. Il quale
epitheto non troverai ch'egli mai habbia dato a nessuno altro degli Dei. Il
resto della moltitudine degli Dei istimarono non Dei, ma membri d'Iddio, &
uffici di deità. Il che tiene anco Platone, il quale chiamiamo medesimamente
Theologo. A questi tali, per riverenza dell'ufficio diedero il nome di deità conforme.
Ma non istimo che questi noiosi per ciò s'acquetino. Certamente grideranno i
Poeti del vero Iddio, & unico, il quale noi diciamo eglino haver
conosciuto, haver scritto molte bugie; & perciò meritevolmente essere
chiamati bugiardi. Ma io non dubito, che i Poeti Gentili habbiano men
rettamente giudicato del vero Iddio, & cosi di lui non mai haver scritto
cosa, che men vera fosse; & cosi, si come questi vogliono, loro essere
detti bugiardi, ò haver usato bugie, io questo non tengo. Percioche le spetie
degli huomini bugiardi sono almeno due, de i quali i primi, sappiando, &
avertendo, mentono per offendere ò non offendere, overo per giovare; &
questi non solamente sono da essere chiamati bugiardi, ma per piu proprio
vocaboli mentitori. I secondi sono che, non sapendo di dire bugia, nondimeno
l'hanno detta. Et tra questi vi fa bisogno la distintione. Sono anco alcuni di
questi la cui ignoranza è insopportabile nè riceve veruna iscusa, come sarebbe
a dire: Egli si vieta per publica legge che alcuno Cittadino non tenga un
Cittadino in prigione privata. Caio ha ritenuto Sempronio suo debitore, onde
dalla pena vuole difendersi con l'ignorantia della legge; la quale iscusa
perche par vana, cioè che il Cittadino non sappia le leggi communi, non può
difendere il nocente. Cosi anco l'huomo Christiano d'età perfetto, dalla
ignoranza degli articoli della fede non si può difendere. Vi sono degli altri
de quali pare, che l'ignoranza sia da essere iscusata, si come i fanciulli se
non sapranno Filosofia. Un'huomo montano se non havrà cognitione di cose di
mare. Et un nato cieco se non conoscerà i caratteri, & simili altri; tra
quali si ponno annoverare i Poeti Gentili, che se bene hanno conosciuto l'arti
liberali, la Poetica, & la Filosofia, non però hanno potuto conoscere la verità
della Religion Christiana. Non anco era venuto a risplendere in terra quella
luce di verità eterna la quale alluma ogni huomo, che viene in questo mondo.
Non anco gli invitanti alla Cena d'agnello havevano cercato il Mondo chiamando
ogn'uno. Questo dono era dato di sopra ai soli Israeliti, accioche conoscessero
il vero Iddio, & giustamente, & dirittamente l'adorassero. Questi non
anco invitavano alcuno a communicar seco cosi celebrato convivio, ma nè anco
andando, se qualche straniero vi fosse stato, l'ammettevano. Et cosi sentendo
meno, che il vero, scrissero del vero Iddio pensando narrare il vero; di che
con questa accettevole ignoranza iscusati, non sono da chiamare bugiardi. So,
che diranno. Con ogni ignoranza, che sia detta la bugia, colui, che la dice è
bugiardo; il che non si può negare, benche con quella medesima nota d'infamia
non siano da macchiare quelli c'hanno peccato con ignoranza escusabile come
quelli c'hanno peccato con manifesta, & inescusabile, si come s'è detto,
havendo quelli non solamente l'equità, ma anco l'austerità delle leggi per
iscusati; onde, se cosi è, non incorrono in nota di bugia; & se vogliono
quelli ad ogni modo essere bugiardi, io gli aggiungerò per compagni di
Filosofi, come Aristotele, Platone, Socrate, & molti altri da loro
grandemente honorati, colpevoli dell'istesso peccato. Istimo, che questi ottimi
censori di nuovo inalzeranno le voci in Cielo, salendo nello Salterio, &
nella Cithera, perche non assai a bastanza una particella di questa obiettione
non gli parrà ributtata. O non saggi; se bene ad uno soldato viene rotto lo
scudo, non però la squadra intiera è mossa di luogo. Adunque non s'inalzino, ma
ricordinsi che, spessissime volte ribattuti, si sono ritirati per forza. Quello
di che rimproverano Virgilio, è falso. Non volse veramente l'huomo prudente
recitare l'historia di Didone, perche sapeva bene, come dottissimo di cose
tali, Didone essere stata per honestà singolarissima donna, & che con le
proprie mani volle piu tosto darsi la morte, che con le seconde nozze rompere
il casto suo proposito fiso nel petto di castimonia; ma per conseguire con
l'arteficio, & velamento poetico quello, che faceva di mistieri alla opra
sua, compose la Favola in molte cose simile all'historia di Didone; il che, si
come poco dianzi è stato detto, per antico instituto è conceduto ai Poeti.
Nondimeno, puote alcuno piu degno di risposta, & forse tu istesso,
Prencipe, ricercare, a che ciò era di mistieri a Virgilio? al quale, accioche
degnamente sia risposto. Dico che egli a ciò per quattro cagioni fu condotto.
Prima, accioche in quel medesimo stile il quale havea pigliata nell'Eneida
seguisse il costume poetico, & spetialmente d'Homero, di cui fu in quella
opra imitatore; percioche i Poeti non fanno come gli Historici, i quali da un
certo principio incominciano la loro opra et con una continua, & ordinata
descrittione delle cose fatte la conducono fino al fine; Il che veggiamo haver
fatto Lucano, La onde molti piu tosto lo stimano metrico historico, che poeta.
Ma con un arteficio molto maggiore, ò cerca il mezzo dell'historia ò alle volte
cerca il fine i buoni Poeti incominciano quello, che hanno in animo, &
fanno nascere cagione di recitare quelle cose, che inanzi parevano haver
lasciato, si come nell'Odissea fa Homero, il quale quasi nel fine degli errori
di Ulisse descrive quello patir naufragio, & essere portato nel lito dei
Fenici, dove l'induce a racontar al Re Alcinoo tutto quello, che dal dì in poi,
che si partì da Troia gli era avenuta. La qual cosa volendo anco far Virgilio,
& havendo scritto Enea fuggire dal lito di Troia doppo la ruinata cità, non
ritrovò piu atto luogo a condurlo, pria, che giungesse in Italia, che nel
Africano lito, conciosia, che fino ivi havea sempre navigato tra gli inimici
Greci. Et essendo stato il lito d'Africa fino a quel tempo sempre habitato da
genti selvaggie, & barbare, era di necessità, che il conducesse dinanzi a
persona degna di riverenza da cui fosse raccolto, & dalla quale fosse
indotto a narrare le sue, & de' Troiani sventure. Onde non ritrovando
altri, che Didone, la quale, se bene non allhora, nondimeno egli si crede, che
doppo molti secoli habitasse, & signoreggiasse ivi, fece che Didone il
raccolse, & gli diede alloggiamento, & si come leggiamo, per suo
comandamento le recitò i suoi, & degli altri travagli. Secondariamente; il
che si nasconde sotto poetico velame, Virgilio intende per tutta l'opra
dimostrare da quali passioni la fragilità humana sia turbata, & da quali
forze dall'huomo constante sia superata. Et già havendone dimostrato alcune,
volendo dinotare per quali cagioni dall'appetito concupiscevole siamo condotti
in lascivia, introduce Didone, per generosità di sangue illustre, per età
giovane, per presenza bella, per costumi notabile, di ricchezza abondante, per
castità famosa, che signoreggia alla sua Città et al popolo, per prudenza,
& eloquenza notabile, & vedova, quasi per l'isperienza piu atta alla
concupiscenza di Venere. Tutte le quai cose hanno possa d'incitar l'animo
d'ogni generoso huomo, non, che d'un essule che ha patito naufragio, & che
è condotto a non conosciuta regione, & ha bisogno d'aiuto. Et cosi per
Didone intende la concupiscevole et attrativa potenza armata di tutte le cose
necessarie, & per Enea figura ciascuno atto a tal giuoco; di che doppo
l'haverlo fatto allacciare, & finalmente fattoci vedere da quali attioni
siamo condotti nelle scelerità, ci dimostra poi per qual via siamo ricondotti
nella virtù, inducendo Mercurio interprete de gli Dei, che rimprovera ad Enea
le vanità, & cose lascive, & l'essorta a cose gloriose & mgnanime;
per lo quale Virgilio intende o il morso della propria conscienza o la
riprensione dell'amico, & huomo eloquente, da i quali noi dormendo nel
lezzo delle vergogne svegliati, & ricondotti nel dritto, & bel camino,
cioè alla gloria; & allhora sciogliemo il nodo della vergognosa
dilettatione quando, armati di fortezza, con animo constante, & forze
sprezziamo, facciamo poco conto nè si curiamo di carezze, lagrime, preghiere et
altre cose tali, che ci guidano in contrario. Nella terza Virgilio cura nelle
lodi d'Enea d'inalzare la progenie dei Giulij in honore d'Ottaviano Cesare, il
che fa mentre dimostra quello, che sprezza le immonditie della carne, & con
la fortezza della mente calca le delitie feminili. Nella quarta intende di
inalzare la gloria del nome Romano; la qual cosa opera a bastanza mentre
descrive le preghiere, & maledittioni di Didone vicina alla morte.
Percioche per quelle s'intendeno le guerre de' Cartaginesi con Romani, & i
Trionfi, che di loro ne riportarono Romani, ne' quali assai s'inalza il nome
Romano. Et cosi Virgilio non fu bugiardo, si come i poco intendenti istimano,
nè altri Poeti, che anco medesimamente habbiano finto.
Vogliono anchora, & tuttavia
cridano questi maldicenti del nome Poetico, al tutto essere da estinguere,
& mandare in oblio i versi dei Poeti, percioche sono tutti composti di
lascivie, & ciancie di Dei Gentili; nè in alcun modo essere da partire, che
ad uno, & istesso Iddio siano attribuite piu forme; & tutte le cose, si
come fanno i Poeti al suo Giove, ad altri.
Gli aversari nostri a guisa di
stolto soldato entrano nosco in contrasto; il quale si lascia trasportare da
tanto impeto di nuocere allo inimico, che se stesso non riguarda, onde bene
spesso aviene, che quei colpi ch'egli prepara conttra l'altro, egli disarmato
gli riceve. Io a queste obiettioni ridotte in uno invoglio mi pensava assai
nelle precedenti scritture haver risposto, nelle quali mi ricordo spessissime
volte essere stato scritto, & incluso sotto diverse forme, lascivie,
ciancie, & nomi, honesti, & saporiti sensi, de' quali anco ricordomi
haver posto dei miei secondo le forze del debile ingegno, rimovendo le loro
corteccie. Ma i dishonesti atti de gli Dei in ogni via, & spetialmente da i
Poeti Comici descritti, non lodo nè approvo; anzi gli biasimo, & tanto
istimo da essere vituperati in ciò gli scrittori quanto gli atti. Veramente
l'ara di fingere è spatiosissima, & la Poesia sempre camina col corno pieno
di fittioni. Non adunque mancavano a tutti i sensi honestissime corteccie. Ma
questa querela già molto è stata levata, & acquetata, percioche nelle
Scene, & nei Theatri da i Mimi, Histrioni, & Parasceti, & simili
huomini già si cantavano cose enormi. In tutto le levarono, & reprovarono
gli antichi Romani (Cicerone testimonio), & dannarono essa scena, &
arte ludibrica, dicendo, che la paragonarono con la nota censoria, & gli
rimossero dalle Tribù. Cosi anco per editto dei Pretori fu vietato, che se
alcuno dell'arte ludrica ò per parlarne ò per pronontiarla andasse nella scena,
subito fosse tenuto per infame. Poscia, doppo Costantino Cesare, &
Silvestro Pontefice germinando in ogni parte, & ogni di piu crescendo la
catolica fede, furono dal mondo scacciati, & mandati in oblio i versi di
tali Comici, & scenici Poeti, & solo restarono i libri de gli Illustri,
& lodevoli huomini, & le operette de Poeti, i quali spiegarono le cose
fatte, & naturali con poco piu augusto stile, arteficioso parlare, &
piu faconda grandezza, sotto convenevole coperta di fittioni, & imagini. Et
cosi, quelli, che il Semideo Platone havea commandato che fossero cacciati
dalla Città, & contra i quali questi nostri ignoranti della verità
gridando, già furono mandati in ruina, & dispersi. Ma accioche a questi nostri
riprensori sia risposto in quell'altra parte di obiettione, che ci fanno. Dico
che, se i prudenti inanzi la incominciata battaglia havessero meglio
riguardato, havrebbono veramente veduto che quello ch'essi opponeno a i Poeti
Gentili ritorna contra loro. Non si maravigliarebbono dai Poeti essere stato
chiamato Giove hora Dio del Cielo, hora Foco dell'aere, hora Aquila, hora
Huomo, & hora in tutte quelle altre forme, che piu vogliono essere stato
descritto, se si ricordassero esso vero, & unico Dio hora Sole, hora Fuoco,
hora Leone, hora Serpente, hora Agnello, hora Verme, & hora anco Sasso
dagli huomini santi essere stato descritto nelle sacre lettere. Et cosi
medesimamente la venoratissima Madre nostra santo Ro. Chiesa, la quale i sacri
volumi ci mostrano alle volte essere chiamata donna vestita del Sole, alle
volte Donna di varietà vestita, talhora Carro, talhora Nave, alle volte Arca,
Casa, Tempio, & con altri nomi tali; il che anco, & della Vergine
Madre, & dell'inimico del genere humano spessissime volte mi ricordo haver
letto. Della gran quantità dei nomi ho da dire questo istesso. Quasi cose
innumerabili appresso i nostri sono attribuite a Iddio, & altrettante a
Maria Vergine, & alla Chiesa, & questo è fatto non senza misterio, si come
nè anco fecero i Poeti. Che ruggeno adunque questi inconsiderati? Eglino,
cacciati dalla invidia, non vorrebbono, che vi fosse quello ch'essi non
conoscono.
Questi Caritevoli anco affermano
ch'i Poeti sono persuasori de i peccati; nella cui accusa, se facessero
distintione, forse, che in parte gli concederei vittoria. Egli si ritrova, che
già tempo furono alcuni Comici dishonesti, overo, che cosi fosse il loro
scelerato ingegno, overo cosi ricercando l'età corrotta. Et se Nasone
Sulmonese, Poeta di chiaro ma lascivo ingegno, compose un libro dell'arte
amatoria, nel quale, se bene si persuadeno molte cose scelerate, nondimeno non
è cosa meno, che necessaria; percioche alcuno giovanetto al tempo nostro è cosi
sciocco, nè donzella cosi semplice, che essendo mosso il loro ingegno dal vano
appetito non conoscano per venire a quello, che disiano, anco molto piu di
lontano, cose piu acute di ciò, che ci insegni colui il quale viene istimato
essere stato sopra questo singolare maestro. Se adunque meno questi, i quali
talhora habbiamo detto essere da cacciare, seguendo l'honestà dell'arte Poetica
hanno meritato incorrere in questo biasimo, & esser insieme con i tempi
accusati, che poi si conviene agli altri di famosa honestà notabili? Ma
veramente non è da sopportare questa querela. Et perciò, accioche si vegga
perche sono accusati i famosi Poeti, gli prego dirmi se mai hanno letto i versi
d'Homero, Se di Virgilio, di Horatio, Giuvenale, & molti altri simili;
& se confessano haverli letti, m'esprimano verso dove habbiano trovato
rivolte queste persuasioni di difetti, accioche veggendo quello che anco non
habbiamo veduto, condenniamo insieme con loro i malfattori. Nondimeno, egli è
cosa superflua negare. Ma chi adunque, udita l'accusa, non comprenderà, che mai
non habbiano letto? attentoche chiaramente dovemmo credere, che se gli
havessero veduto, non sarebbon caduti in cosi stolta opinione. Tuttavia
m'imagino, che da tale questione questi aggiungeranno iniquità a sceleratezza,
conciosia che non ponno tacer, tanto temeno, che per lo silentio non sian
riputati, che meno habbiano letto, & veduto; onde a faccia aperta diranno
senza punto di vergogna, come se però fossero molto da lodare; Che haver veduto
queste ciancie, vah', che non l'habbiamo vedute ne meno le vogliamo vedere; noi
attendiamo a cose maggiori. O vero Iddio, se tu vuoi, tu poi fare un poco di
pausa dall'opra tua eterna; & se della tua deità ciò appetissero gli occhi,
potresti securamente addormentarli, poscia, che questi hanno cura delle cose
tue: eglino vegghiano per te tutte le notti, & per te spendono le loro
fatiche. Credo certamente, che quelli movano il primo mobile, mentre danno opra
a cose maggiori; questo è gran cosa, & assai, & se sopporti degna
fatica di tali. O ignoranti menti d'huomini. Non avertiscono, mentre fanno si
poco conto degli altri, quanto miseramente [scuoprano la sua ignoranza.
Posciamo vedere anco noi, se di quelli piu stolti non siamo, a bastanza vedere
quanto sia giusta la loro acusa, quanto santa, & quanto tolerabile la
sentenza. Ma accioche non sia alcuno che istimi ch'io m'habbia a risponder
questo per un certo frivolo indovinare ch'io mi faccia, confesso ch'io sono
guidato a ciò da certissima coniettura. Percioche già ho sentito a simile
interrogatione alcuni anco, che piu noiosamente hanno risposto, & cosa, che
a me è stata piu grave, un certo huomo d'età venerabile, per santità
riguardevole, & anco in altro per dottrina notabile, non solamente far tal
risposta, ma da sé stesso moversi piu mortalmente a parlar contra ciò. Non dirò
bugia, Iddio l'ha conosciuto, Inclito Re. Era allhora costui, come mi parve,
tanto crudel nemico del Poetico nome, che pareva no'l poter proferire eccetto,
che noiosamente; il che, dove meno all'honestà sua era bisogno, da lui fu
dimostrato. Attento, che una certa mattina nello studio nostro generale
leggendo in publico il sacro Vangelio di Giovanni a molti auditori, a caso
essendo incorso in questo nome, con la faccia accesa, con gli occhi infiammati,
& con piu alta voce del solito, tutto tremendo disse molte cose scelerate
contra i Poeti. Et alla fine, accioche si conoscesse la di lui giustitia, hebbe
a dire, & con giuramento affermò quasi, che non havea veduto nè mai voluto
vedere alcuno libro de' Poeti. O giusto Iddio; che sono per dire gli ignoranti,
se in tal modo altre fiate ha parlato un huomo dotto, d'anni grave, &
d'auttorità pieno? Havrebbe peggio potuto parlare un stolto? Vorrei sapere, se
non hanno veduto nè conosciuto i Poeti, & se a cose maggiori attendeno
questi famosi censori, onde gli conoscono incitatori de' peccati? Perche questi
si convenevoli giudici, che danno sententia di cose non conosciute non
s'assettano sopra i tribunali? I quali non pure fanno sententia sopra le parti
udite, ma anco sopra le non ricercate? Diranno forse, che inspirati dallo
Spirito Santo portano cosi severo decreto contra i Poeti. S'io me'l credessi,
direi, s'egli è possibile, che lo spirito divino entri in cosi fetide anime,
non che v'habbiti. O scelerità empia. O dannoso male. O vergognosa temerità. Un
cieco haver ardire dar sentenza di colori. Cosi, già come fanno questi honorati
censori, ho inteso ch'erano soliti fare Foroneo appresso Argivi, Ligurgo
appresso Lacedemoni, Minos appresso Cretesi, & Eaco appresso i Mirmidoni.
Ma per arrivare dove ho l'animo (abbaino pure quanto vogliono questi reverendi
giudici), non sono i Poeti, si come essi vogliono, persuasori dei mancamenti;
anzi se dirittamente, & non tinti di livore insano saranno letti i loro
volumi, si troveranno espulsori di quelli, & hora soavissimi, & hora
acerrimi esortatori, secondo i tempi, di virtù. Il che, accioche non paia, che
con si poche parole habbia provato, sono contento porre inanzi gli occhi degli
strepitosi almeno alcuna cosa dalla cui possano (volendo) comprendere il vero.
Et lasciati i ricordi d'Homero, che per esser greco e meno famigliare a'
Latini, leggano, & rileggano, se vogliono, le cose, che sono nell'Eneida,
massime le essortationi, che fa Enea ai compagni a sopportare le fatiche
estreme. Leggano quale ardore egli hebbe di morire honoratamente per la salute
della patria in mezzo l'armi. Quale la pietà verso il padre, il quale sopra gli
homeri fu da lui portato in luogo securo per le ardenti case, tra i rovinosi
tempi, tra il mezzo degli inimici, & mille volanti dardi. Quale la clemenza
verso l'inimico Achimenide. Quale la fortezza d'animo per rompere, & render
vane le catene d'un lascivo amore. Quale la giustitia, & liberalità verso
gli amici, & stranieri nel partire i doni ai benemeriti nei giuochi
anniversali del padre Anchise fatti appresso Aceste. Quale la prudenza, &
avedimento nel discendere all'Inferno. Quali le essortationi alla gloria
fatteli dal padre. Quale la sua diligenza in farsi degli amici. Quanto grande
la affabilità, & la fede in conservarsi gli acquistati. Quanto pie le
lagrime verso l'amico Pallante. Quali i spessi ricordi di lui al figliuolo. Che
starò io a produrre tante cose? Prego, che si facciano innanzi questi, che ruggeno
contra il nome Poetico. Contrapesino le parole di questo poeta, misurino le
sentenze, & se gli basta l'animo, cavino il suco, che ne ponno; &
vedranno, se è grato a Iddio, non, che se il poeta è essortatore di cattivi
costumi. Veramente se Iddio fosse stato dirittamente conosciuto et adorato da
Virgilio, quasi nessuna altra cosa non si leggerebbe piu santa del suo volume.
Et se mi diranno, che le leggi non vogliono, che col testimonio d'un solo
s'approve nessuna cosa, tolgano appresso il Flacco Venusino, Persio da
Volterra, & Giuvenale d'Aquino; i Satirici versi de' quali sono drizzati
con tanto impeto di virtù contra i vitij, & vitiosi, che pare, che gli
mandino in ruina. Se adunque questi piu sono assai, facciano adunque quelli
ch'accusano i Poeti come essortatori di peccati, & con la mansuetudine
domino la sua rabbia, nè si sdegnino apparare pria, che ridendosi voglino fare
giudicio delle fatiche altrui; accioche, mentre lanciano contra gli altri i
dardi della sua iniquità sciocca, non provochino contra sé i folgori della
divina vendetta.
Dietro questo, gli iniquissimi
insidiatori dicano i Poeti essere seduttori delle menti, imperoche col suo
dolce suono, con l'elegante parlare, & con la ornata, & diligente
oratione, infondeno le loro inettie ai lettori, & cosi guidano ove non fa
mistieri gli sciocchi studiosi. Quale ignorante, & che non habbia veduto i
Poeti, si come sono ignoranti essi accusatori, & non hanno veduto i Poeti
illustri, & se gli hanno veduto, per sua dapocaggine non gli hanno intesi,
non crederà facilmente, che questi parlino benissimo, giustamente, &
santamente contra i Poetici versi? Ciò vegga Iddio, & sel veggano quelli a'
quali da lui è conceduto il lume dell'intelletto. Ma tu Citharedo divino Davio,
solito con la dolcezza del tuo verso acquetare i furori di Saulo, se hai
cantato nessuna cosa soave ò meliflua, nasconde il tuo Lirico verso. Et tu
Giobbe, il quale in verso heroico hai scritto le tue fatiche, & la
patientia, s'egli è dolce, & ornato fa l'istesso, insieme con gli altri
sacri huomini, che con verso mortale hanno cantato i divini misteri. Et quello
ch'io dico a questi sia detto anco ad Orfeo, Homero, Marone, Flacco, &
altri; posciache si è venuto a tanto, che si trovano di quelli, che senza pena
nessuna dicano, che il corrompere le menti degli huomini è il mandare fuori
metriche orationi in dolce suono, elegante, & ben purgato. O Bavio, &
tu Mevio, allegratevi, poiche sono biasimati questi; a voi, che non pensava,
già è stato conceduto il tempo, & preparato un luogo ampissimo. So, che
diranno si havere detto essere cosa]
dannosa havere scritto, & letto le pazzie in risonanti versi. Confesso, che
questa additione era di non picciolo momento, se nelle precedenti ragioni piu
volte non si fosse dimostrato quali siano le inettie dei Poeti illustri le
quali essi biasimano; & però quello, che havevano per gran cosa si è
risolto in nulla. Nondimeno, per venire piu drittamente a questo, perche dicono
i Poeti essere seduttori delle menti, prima vorrei sapere, che essendo molti i
Poeti, quali siano seduttori delle menti, et quale si tenga per tale? Per
aventura non me ne potrebbono produrre altri, che quelli, che studiano. Quali
adunque da loro siano studiati, essa accusa gli dimostra. Se questi amano gli
amorosi con quei si trastullano, con gli occhi fanno vezzi alle donnicciuole,
che rideno, dettano letterine d'amore, compongono rime, & fanno canzoni per
esprimere le affettioni, & sospiri, & mancando loro le forze del debile
ingegno, per necessario aiuto, & rimedio riccorreno dai maestri dell'arte
amatoria. Di qui rivolgono i volumi di Catullo, Propertio, & Nasone. Onde
volontieri dalle vane descrittioni di questi tali, narrate in versi soavi,
& ornate da facile testura di parole, come in tutto a questo inclinati, si
lasciano condurre, & guidare, & ritenere. Di quì hanno conosciuto le
vanità de i Poeti. Di qui gli ingrati accusano i suoi precettori, & quelli
chiamano sedutori delle menti, che da loro volontariemente, & non da altri
pregati sono stati seguiti. A gran cose adunque, anzi a grandissimo danno opra
i nostri riprensori. Percioche non è picciola cosa servire all'amore, alle cui
forze prima Febo, & poi Alcide domatori de i mostri cederono. O quanto
meglio sarebbe stato all'ignorante havere tacciuto, che in sua vergogna havere
parlato. Attentoche se riguardassero, mentre pensano havere accusato i Poeti
conoscerebbono havere mostrato se stessi colpevoli. Da questa accusa adunque
quali siano i loro studi, quali desiderij, & quale la giustitia
manifestamente conosciamo. Ma che openione possiamo havere di questi tali, se a
caso una donzella con gli atti lascivi, con gli occhi vaghi, & con
piacevoli parole gli porgesse dishonesta speme, poscia, che da mutoli, &
taciti versi si lasciano guidare? Vergogninsi adunque i miseri, & in migliore
riformino il loro scioccho consiglio riguardando Ulisse, huomo gentile, che
sprezzò non i canti de i muti versi, ma le dolci voci delle Sirene, come
nocive, & passò per quelle. Et perche sia detto alcuna cosa d'intorno alla
forza del vocabolo, il quale si come sceleratissimo oppongono a i Poeti,
dovrebbono havere veduto che, se bene fu opposto a Christo nostro Salvatore da
i Giudei, i quali vergognosamente il chiamarono seduttore, nondimeno non sempre
esser da pigliare in cattiva parte. Non hanno potuto quegli scelerati huomini
nel servirsi di quello levarli l'antica forza, perche seducere overo sedurre si
può pigliare in buona parte. Percioche egli è ufficio di buon pastore, che ha
cura delle cose pastorali havere sedutto, ò per meglio dire separato da gli
infettati, & amalati armenti i non anco infermi. Et cosi alle volte gli
huomini saggi per suoi ricordi seducono, cioè separano gli animi generosi da
quelli, che sono infermi del morbo dei vitij. La dove credo, Poeti illustri
spessissime fiate sedurre i creduli, & farli migliori; di che questi
guidati non dal diffetto anco de i Poeti men, che honesti, ma dal loro proprio,
se potessero si sforzano mostrare il contrario. O vero Iddio, rimovi questa
peste dagli ignoranti creduli, & correggi questi cianciatori, & di
maniera ammaestrali, che con l'essempio tuo vogliano piu tosto fare, che
insegnare.
Alcuni di questi, che si
preferiscono agli altri dicono, che i Poeti son Simie dei Filosofi. Ma non ho
molto per certo se dicono questo per incitar riso agli huomini, si come spesso
fanno le donnicciuole con le sue fanfaluche, ò piu tosto secondo l'openione
dell'animo, che cosi si credano, overo per iniquità di mente, affine di farsi
beffe. La prima certamente si devrebbe con sdegnoso animo sopportare da i
prudenti, veggendo da gli ignoranti farsi favole ridicole al volgo sopra gli
huomini notabili, percioche gli asini, & porci barbati, overo bestiaccie di
qual sorte piu vuoi, vestite di diverse pelli, facilmente per le strade
caminando trovarebbono chi di loro molto meglio potrebbe dire, & trovare
tali cose, & peggiori. Se poi credendoselo l'affermano, overo se ne rideno,
l'uno, & l'altro tanto stoltamente quanto malignamente oprano. Egli è
proprio, & naturale delle Simie (si come talhora si ricordiamo haver detto)
di volere, potendo, imitare tutti gli atti, che fanno gli huomini, onde pare,
che questi tali vogliano, che i Poeti siano imitatori, & indi Simie de i
Filosofi; il che non sarebbe tanto da ridere, percioche per lo piu i Filosofi
furono huomini honesti, & inventori delle buone arti. Ma gli indotti si
ingannano, attento che, se a bastanza intendessero i versi de i Poeti,
avvertirebbono tutti non Simie, ma di esso numero de Filosofi essere computati,
non essendo da loro nessuna altra cosa sotto velame Poetico nascosta, eccetto,
che conforme alla filosofia, secondo l'openione degli antichi. Oltre ciò, il
semplice imitatore in alcuna cosa non s'allontana dai vestigi dell'imitato; il
che punto nei Poeti non si vede, conciosiache, se bene non escono dalle
conclusioni Filosofice, nondimeno per quella istessa via non tendeno a quello.
Il filosofo, come chiaramente si vede, con i silogismi reprova quello, che men
vero istima, & nella istessa forma approva quello, che intende, &
questo apertissimamente, si come puote. Il Poeta quello, che ha conceputo con
la imaginatione sotto velame di fittione (levati in tutto i silogismi), quanto
piu artificiosamente puote nasconde. Il Filosofo è stato solito in stile di
prosa, come le piu volte, & facendo anco quasi poco conto del suo ornamento
scrivere le sue cose. Il Poeta in verso, con grandissima cura ricercando
ornamento notabile, ha fatto i suoi poemi. Oltre ciò, egli è cosa propria de'
Filosofi disputare nelle Accademie, & dei Poeti cantare nelle solitudini.
Onde queste cose non essendo tra sé conformi, il poeta non sarà, come dicono,
Simia del filosofo. Ma se dicessero, che fossero Simie della natura, si
potrebbe forse con animo piu giusto sopportare, attento, che il Poeta iusta il suo
potere si sforza descrivere in famosi versi tutto quello ch'ella opra, &
tutto quello, che per operatione sua perpetua si opra; il che se questi
vorranno riguardare, vedrano le forme, i costumi, i parlari, gli atti di tutti
gli animali, & i meati del Cielo, & delle stelle, gli empiti de i
venti, i sonori strepiti delle fiamme, i rumori dell'onde, le altezze dei
monti, l'ombre de' boschi, i corsi de i fiumi tanto apertamente descritte, che
quelle istesse cose penseranno in poche letterine di diversi essere locate. In
questo confesserò io i Poeti [essere simie; il che io tengo honoratissima cosa,
cioè con l'arte sforzarsi imitar quello, che per potenza opra la natura. Ma,
che tante cose? Sarebbe meglio a questi tali oprare, se potessero, che noi
insieme con loro divenissimo Simie di Giesù Christo, che farsi beffe dei non
conosciuti Poeti, avenendo spessissime volte, che quelli, che tentano l'altrui
pizzicore graffiare sentano anco le altri ugne con ansietà insanguinarsi del
loro.
Questi arbitri della giustitia,
anzi ingiustitia, con ardente rabie desiderando la rovina del Poetico nome,
come quasi contra lui havessero detto poco, ad alta voce gridano con simile
gracchiare; O famosi huomini; ò riscossi col sangue divino; ò grato popolo a
Iddio; se punto di pietà, se punto di divotione, se punto di amore della
Christiana religione, & se punto di tema d'Iddio è in noi, gittate nelle
fiamme questi infausti libri de' Poeti, abbrugiateli, & date le loro ceneri
a serbare ai venti, percioche l'haverli in casa, leggerli, & ad alcun modo
anco volerli vedere, è mortal peccato. Empiono l'anime di mortal veleno,
traheno voi nell'Inferno, & in eterno vi fanno essuli del regno celeste.
Dopo questo inalzando i gridi adducono in testimonio Girolamo, il quale dicono,
che dice nella Pistola a Damasso del figliuolo prodigo; I versi dei Poeti sono cibo dei demoni. Et
con queste, & molte altre simili cose, con la gola gonfiata intonano gli
auditori ignoranti: O pietà. O antica fede. O gran patientia d'Iddio, che
sopporti? Perche, ò fattor delle cose, nelle dritte torri, perche nelle alte
cime dei monti drizzi i folgori? Questi, Santissimo Padre, sono da ferire, i
quali con la lingua piena d'inganni, & con bugiarda ruina d'altri, &
spesse volte innocenti, si usurpano la gloria vana. I medici con la terra
cuopreno i suoi errori; questi con le prohibitioni et fiamme si sforzano celare
le loro ignoranze. Qual semplice huomo udirà questi tali, che non istimi i Poeti
essere dannosissimi huomini, inimici del nome divino, imitatori dei demoni,
crudeli, malefici, & sempre attori di opre inique, ne' quali non sia
nessuna cura delle buone arti, nessuna pietà, nessuna fede overo santità?,
& cosi per opra, & iniquità di questi ignoranti, i famosi huomini
conseguiscono quella ignominia, che non meritarono mai. Ma spero, che Iddio una
volta il vedrà. Ma noi veggiamo possendo quale sia questa si mortale iniquità,
che questi tali gridano essere commessa se si tengono, veggono ò leggono i
versi dei Poeti; quelle cose, che in sé contengano i loro libri, quello che
persuadano, quello, che dannino, & quello, che insegnino, egli si ha a
bastanza dichiarato di sopra. Ma lasciate quelle, voglio, che contra la verità
quelli scrivano tutte le cose scelerate, & le persuadano ai lettori. Che
sarà poi? Furono huomini Gentili, non conobbero Iddio, innalzarono la sua
religione da loro istimata vera, & mandarono in luce fittioni, che spesse
volte portarono nel suo ventre gratissimi, & lodevoli frutti. Ma, che poi?
Prego questi eccellentissimi esclamatori, mi dicano se a quelli sia vietato da
alcuna antica overo nuova dottrina descrivere in qual Stile, che volessero le
scelerità dei loro dei? Non veramente credo nè anco al Christiano, che finga,
mentre la dirittamente intesa fittione contra la catolica verità dichiarata non
partorisca cosa, che vietata sia. Se le leggi, i Profeti, nè le sacre
institutioni dei Pontefici ciò non ti prohibiscono, che male è tenerli, &
leggerli? Diranno, perche con la dolcezza loro sono seduttori delle menti. A
questa obiettione poco innanzi si ha risposto. Ma se sono cosi debili, & di
picciola levatura si guardino, ricordandosi dell'antico proverbio, che diceva:
Colui che ha l'elmo di vetro non entri nella battaglia dei sassi. Nondimeno,
confesso anco piu oltre essere meglio studiare i sacri libri, che questi,
ancora, che fossero perfetti, & tengo, che chi gli studiano fanno meglio,
& sono piu accetti a Iddio, & la Chiesa. Ma non tutti nè sempre siamo
guidati da un medesimo affetto, & cosi talhora alcuni sono guidati ai
Poetici; onde se vi siamo condotti, overo volontariamente ci incorriamo, che
peccato, & che male è questo? Possiamo senza danno udire i costumi barbari
se vogliamo, raccorre essi barbari, alloggiar quelli, se ci la dimandano farli
ragione, far amicitie seco, ma leggere i libri dei Poeti (se a Dio piace) da
questi dottissimi huomini ci è vietato. Nessuno non ci prohibisce, che non
ricerchiamo i mortali errori di Manicheo, Arrio, Pelasgio, & degli altri heretici,
affine, che gli conosciamo; ma egli è cosa horrenda, anzi, come questi gridano,
mortale, leggere i versi Poetici. Possiamo anco riguardare i dishonesti
gioculatori, che per lo piu fanno scelerati giuochi nel mezzo delle strade,
udire nei conviti gli histrioni, che cantano cose inique, & patire i
ruffiani, che nei lupanari bestemmiano; nè per ciò siamo tratti nel centro
dell'Inferno. Ma il leggere i Poetici poemi ci fa privi del regno eterno. Al
depintore anco nelle sacre chiese è lecito depingere il cane Tricerbero, che fa
la guardia alla porta di Plutone, Cheronte nocchiero, che solca il fiume
Acheronte, le Erinne cinte d'ire, & armate d'ardenti faci, & esso
Plutone prencipe del regno infernale, che tormenta i dannati; ma ai Poeti
l'haver scritto le istesse cose in verso è scelerità, & irremissibile
peccato a chi le legge. All'istesso Pittore è conceduto nelle sale dei re,
& degli huomini nobili depingere gli amori degli dei antichi, & le
scelerità degli huomini, & ogn'altra sua inventione senza divieto alcuno,
& questo è concesso, che sia veduto da ciascuno secondo il piacer suo; ma
le inventione dei Poeti, limate di ornate lettere, & lette piu dai saggi,
vogliono, che occupino le menti, che non fanno quelle mirate dai sciocchi. Che
tante cose? Confesso ch'io manco volendo, s'io potessi, conoscere con quai
forze, & con qual potenza l'edace malignità, & l'ignoranza habbia
potuto spingere questi cianciatori in cosi gran pazzia. Almeno dovrebbono
havere saputo, che il Vaso d'Elettione ci ha lasciato. Che il sapere il male
non è male, ma l'operarlo. Et essi novissimi precettori, credo per essere
tenuti dalle sue donnicciuole piu prudenti, & per conseguirne piu grasse
schiacciate, non si vergognano dire non dirò sapere, ma leggere i Poeti essere
cosa dannosissima. O noiosa cosa da udire, ancora, che fossero in tutto da
sprezzare i Poeti. Sarebbe cosa iniqua, se tu vedessi nel fango una pietra
pretiosa, & raccorla, come quasi il fango, che si gitta via l'havesse fatta
meno pregiata? Nè si vergognano questi interpreti con questa sua prosontuosa,
& generale prohibitione volere della verità essere fatta bugia, se talhora
haverà parlato il poeta; anzi a bocca aperta negano, che l'habbiano detta. Egli
è cosa da ridere sentire il diavolo, inimico del genere humano, talhora haver
potuto dire qualche buona parola, ma i Poeti, come, che contra la conscienza
poco dianzi habbia conceduto, che siano cattivi, benche forse in alcuni non vi]
si potria opporre di ragione nessuna cosa dishonesta eccetto la Gentilità, non
haver potuto dire pur una buona parola; da i sacri huomini anco talvolta è
chiamato in testimonio il diavolo; ma l'havere invocato un Poeta, per
l'auttorità di questi oppositori è irremissibile peccato. Ma hora prego, che questi
riprensori, & preconi dell'essilio de i Poeti mi dicano, che piu della
Filosofia può havere peccato la Poesia. Certamente la Filosofia è ricercatrice
della verità. Della ritrovata poi sotto velame fidelissima serbatrice ne è la
Poesia. Se quella sente le cose meno, che diritte, questa non ha potuto haver
serbato il giusto. Perch'ella è servente della padrona, & è di necessità,
che segua i suoi vestigi. Se quella esce di strada, che anco questa pigli
cattivo camino la necessità la constringe. Che è adunque, se a bocca piena
allegghiamo i filosofi Gentili, serbiamo le loro sentenze, & non fermiamo
alcuna cosa se non quasi fortificata dalla sua auttorità? Sappiamo, che
abborriscono i detti de i Poeti, & biasimandoli li condenniamo. S'inalza
Socrate, s'honora Platone, & si riverisce Aristotele, per lasciare gl'altri
da parte, che tutti furono Gentili, & molte volte huomini irreprobabili per
le false openioni. Homero da i nostri oltraggiatori si scaccia, si danna
Hesiodo, & si disprezza Marone, & Flacco, i cui figmenti in se non
hanno altro, che le loro disputationi. Onde perche studiano i loro volumi,
& da quelli benche con difficultà, nol patendo l'ingegno, alcuni principij
ne hanno compreso, lodano quelli come se gli havessero intesi; ma perche non intendendo
la profondità degli scritti de i Poeti, gli sprezzano, & abhorriscono.
Nondimeno gridino, latrino, commandino, & persuadino quello, che vogliono,
se gli scritti de i Filosofi, se i fatti dei barbari, & le perfidie degli
heretici si ponno leggere, anco i volumi dei Poeti senza peccato nè offesa di
Dio nè del mondo si ponno leggere, tenere, & udire, con la mente tuttavia
però intiera, & costante; accioche dicendo quelli alle volte alcuna cosa in
approvatione della fede loro Gentile, i lettori, come stranieri non si
lasciassero da quella macchiare. Hora ci resta all'ultima parte de loro gridi
un poco piu valorosamente, & con piu lungo parlare da opporsi, perche con
questa, cavata dall'autorità d'un famosissimo & santissimo huomo, si
credeno haver fermato tutte l'altre prime. Dicono adunque esclamando le parole
di Girolamo a Damaso Papa; I versi dei
Poeti sono cibo dei demoni. Il che, se a bastanza havessero inteso, vedrebbono
anco da noi essere stato fermato, & spetialmente dove già innanzi una
volta, & un'altra habbiamo detto esser stata dannata, & confutata la
sporcitia de i Comici. Ma perche senza fare nessuna distintione dei Poeti,
offuscati dalla nebbia dell'invidia, ciecamente fanno empito in tutti, egli è
da abbassare la loro ignoranza, & essi sono da porre in perpetuo silentio.
Se adunque le Pistole, se i volumi, & se questa medesima auttorità, che
producono non per testimonio di Girolamo ò d'alcuno altro, che vogliano essere
stati condennati i Poeti, studiosamente havessero letto, certamente havrebbono
trovato queste parole dichiarate dà Girolamo et appostovi il suo senso, &
anco la obiettione, che fanno cosi libera, & specialmente l'havrebbono
trovata dichiarata nella figura della donna captiva col capo raso, senza la
veste, con l'ugne tagliate, & con i peli cavati da essere data in
matrimonio all'Israelita. Et se non vorranno essere piu religiosi ò piu
delicati de i santi Dottori, troveranno questo cibo di Demoni non solamente non
gittato via, nè come commandato posto nelle fiamme, ma con diligenza conservato,
maneggiato, & gustato da Fulgentio, dottore, & Pontefice Catholico,
come si vede in quel libro da lui chiamato delle Mithologie; nel quale con
elegante stile ha descritto, & esposto le favole de i Poeti. Medesimamente
troveranno Agostino, famosissimo Dottore, non haver havuto a schifo la Poesia
nè i versi Poetici, anzi con diligenza, & vigilanza havergli studiato,
& inteso; il che volendo non potrebbono negare, attento, che spessissime
volte nei suoi volumi il santo huomo vi induce Virgilio, & altri Poeti, nè
quasi mai noma Virgilio senza alcun titolo di lode. Cosi, per dirlo di novo,
trovarebbono Girolamo, Eccellentissimo, & santissimo Dottore, & di tre
lingue maravigliosamente instrutto, il quale questi tali cercano produrlo per
testimonio della sua ignoranza, con tanta diligenza havere studiato i versi dei
Poeti, & havergli serbato nella memoria, che pare, che non habbia quasi mai
alleggato alcuna cosa senza il loro testimonio. Riguardino, se no'l credano,
tra l'altre sue opre il Prologo di quel libro, che tratta delle Hebraiche
Questioni, & vi mettino consideratione, se si accorgeranno egli essere
stato tutto Terentiano. Et riguardino anco se spesissime volte induce ad un
certo modo come quasi suoi affermatori Horatio, & Virgilio, et non solamente
questi, ma Persio, & altri. Leggano appresso la di lui facondissima
Epistola ad Agostino, & veggano se in quella tra gli huomini Illustri
l'huomo dotto vi annoveri i Poeti che essi con tanti gridi, se potessero, si
sforzano confondere. Ma se no'l sanno rilegganno gli Atti degli Apostoli, &
sentino se Paolo ha studiato, & conosciuto i versi Poetici. Troveranno
certamente, che a lui, disputando contra le ostinatione degli Atheniesi, non
venne a noia servirsi del testimonio dei Poeti. Et anco altrove egli usò di
versi di Menandro Comico, mentre dice; I
cattivi parlamenti corrompeno i buoni costumi. Et se bene mi ricordo allegga un
versetto d'Epimenide Poeta, il quale apertissimamente si potrebbe dire contra
questi, dicendo;
I Cretesi mai sempre son bugiardi,
Son male bestie, & hanno i
ventri pigri.
Et cosi anco quello, che fino al
terzo Cielo fu rapito, il che questi piu Santi vogliono che sia peccato, overo
cosa iniqua, fu tenuto havere letto, & imparato versi di Poeti. Oltre ciò,
ricerchino quello, che s'habbia scritto Dionisio Ariopagita, discepolo di Paolo
et egregio Martire di Christo, nel suo libro della Gerarchia Celeste. Secondo
la sua intentione veramente dice, persegue, & approva la divina Theologia
nella fittione Poetice, si come tra l'altre cosi dicendo; Ma molto arteficiosamente la Theologia si è
usata, nelle sacre Poetice formationi, in non figurati intelletti, rivelando,
come s'è detto, l'animo nostro, & ad esso con la propria, &
conietturale guida provedendo, & ad esso riformando le Sacre Scritture.
Indi, segue molte altre cose, che segueno dietro questa sentenza. Et per
lasciare ultimamente gli altri ch'io contra la bestialità di questi potrei
addurre, non ha esso Signore, & Salvator nostro parlato molte cose in
Parabole convenienti allo stile Comico? Non ha egli verso Paolo prostrato usato
delle parole di Terentio, cioè; Egli ti
è cosa dura calcitrare contra lo stimolo . Ma sia da me lontano, che istimi
Christo haver tolto queste parole da Terentio; benche molto prima fosse di
quello, che fossero dette queste parole. A me basta assai, per fermare il mio
proposito, il nostro Salvatore haver voluto, benche sia sua parola, &
sentenza, tal detto essere stato proferito per bocca di Terentio, accioche in
tutto si deggia i versi dei Poeti non essere cibo del Diavolo. Che diranno hora
questi illustri sbagliafoni? Grideranno ah? Si leveranno contra i versi de i
Poeti, essendo reprovati dal suo medesimo testimonio?, & anco essendo
ripulsi et vinti dal testimonio di molti santi huomini? Veramente esclameranno,
percioche la loro rabie è invincibile; ma quanto giustamente, Tu Ottimo Re tel
vedi, & se'l veggono quelli a quali la ragione è piu amica, che non è
ostinata la durezza di questi tali. Ma a questi, che dannano cosi absolutamente,
Iddio giustissimo giudice gli renderà una volta il merito della invidia, &
a loro sarà misurato di quella istessa misura della quali eglino ad altri
misurano.
Egli ha paruto poco ai nostri
maligni lo haver posto ogni suo sforzo per scacciar i Poeti (se havessero
potuto) dalle case, & mani degli huomini; & però, ecco, che con
un'altra schiera fatta di nuovo fanno empito, & armati dell'auttorità di Platone
con scelerata gola mandano fuori sonore voci, dicendo per commandamento già di
Platone i Poeti deversi cacciare dalle Città; indi; per sovenire dove manca
Platone v'aggiungono, accioche con le sue lascive non corrompano i costumi
civili. Alla quale oppositione, se bene a bastanza pare, che di sopra vi sia
stato risposto, non mi rincrescerà di nuovo piu ampiamente haverli risposto.
Confesso adunque essere grandissima l'autorità di questo Filosofo, nè essere da
sprezzare, se dirittamente viene intesa. Del cui senso questi veramente ò nulla
ò il contrario tengono, come si vedrà. Nondimeno, a quelli si ha dimostrato,
che i Poeti volontariamente habitano nelle solitudini; laonde gli chiamavano
montani, & huomini rozzi. Ma se poi per forza habitassero nelle Città, che
direbbono questi iniqui? Direbbono, che sono tiranni. Ma s'hora volessero
rivolgere la sententia, & chiamarli habitatori delle Città, egli è falso.
Si ritrova, che Homero tra l'aspro degli scogli, & le montagne dei boschi,
doppo l'havere cercato il Mondo, con estrema povertà habitò nel lito delli
Arcadi, dove veggendovi con la mente, ma nondimeno infermo del lume degli
occhi, dette quelli grandi, & maravigliosi volumi non politi dall'Hibileo,
ma dal Castalio mele, della Iliade, & dell'Odissea. Virgilio poi, d'ingegno
non minor d'Homero, sprezzata la città di Roma allhora Reina del Mondo, &
lasciato Ottaviano Cesare Monarca di tutto il mondo, della cui amicitia molto
si dilettava, si ricercò non lontano da Napoli inclita città di Campania, che allhora
anco era non poco abondante di delitie, & otio, un separato luogo vicino al
quieto, & solitario lito (come diceva Giobanni Barillo, huomo di gran
spirito) tra il promontorio di Posilibo, & Pozzuolo, antichissima colonia
de' Greci; da cui quasi mai nessuno, se non lo ricercavano, non andava. Nel
qual luogo, dopo i versi della Georgica, cantò la celeste Eneida; della quale
eletta solitudine volendo Ottaviano lasciare testimonio, & memoria, havendo
fatto portare da Brundusio le ossa dell'istesso Virgilio, non lontano dalla
eletta solitudine le fece sepellire, presso quella via, che al dì d'hoggi si
chiama Puteolana, accioche morte giacessero ivi vicino dove lo spirito vivendo
si havea eletto l'habitatione. Et accioche sempre non discorriamo per le cose
antiche, le quali ancor che facilmente, benche siano con degno testimonio
fermate, sono da questi repugnanti negate, Francesco Petrarca, veramente huomo
divino, & nell'età nostra famosissimo Poeta, sprezzata la Occidentale
Babilonia, & la benivolenza del Pontefice Massimo, la quale quasi tutti i
Christiani grandemente desiderano, & procurano, & di molti Cardinali,
& altri Prencipi, non se ne è andato in Valchiusa, solitudine famosa, &
luogo della Francia, Dove la Sorga Re dei fonti nasce; & ivi quasi tutta la
sua fiorita gioventù, contento del solo servitio d'un suo famigliare,
considerando, & componendo ha speso? Veramente egli ciò ha fatto. Vi sono i
vestigi, & vi staranno lungamente; una picciola casa, un orticello, &
mentre a Dio piace, ci viveno molti testimoni. Se adunque, per piu non ne
nomare, egli è cosi, per Dio egli è poco bisogno, che in ciò nessuno
s'affatichi per lui oltre cacciare i Poeti dalle Città. Vorrei nondimeno
intendere da questi se istimano, che Platone, quando scrisse il libro della
Republica, nel quale si commanda questo ch'eglino dicono, intendesse di Homero,
cioè, che se quella Città gli fosse piacciuta, ei ne fosse da esser cacciato.
Non so quello, che siano per rispondere, ma io non lo credo, havendo già letto
di lui molte cose da essere lodate, percioche le sacratissime leggi de i Cesari
il chiamano padre di tutte le virtù; & spessissime volte i latori di
quelle, per farle degne di maggior riverenza, & fermarle con un certo
sacrosanto testimonio, tra quelle de' versi d'Homero alcune volte hanno messo,
si come nella fine del Proemio del Codice di Giustiniano si legge un verso
della Iliade, & nel medesimo sotto il titolo de iustitia, & iure , et
cosi anco nel contrahenda emotione, & de Legatis, & fidescommissis,
& in molti altri luoghi, si come chi no'l crede il può vedere nella
Pandetta Pisana. Oltre ciò, molte famosissime Città della Grecia, essendo anco
morto, & povero, vennero per lui in contentione, volendo ciascuna, che
fosse suo Cittadino; & sopra ciò ne mossero lite, si come chiaramente si
può comprendere per le parole di Cicerone nella Oratione per Archia, dove
dice; i Colofoni dicono, che Homero è
suo Cittadino, i Chij se l'usurpano, I Salamini il dimandano, ma i Smirni
confermano ch'egli è suo, di sorte, che anco nel suo Castello gli edificarono
un Tempio; & molti altri medesimamente tra se per lui contendono. Il che
anco si vede testimoniare da certi antichissimi divulgati versi tra i dotti, i
quai ricordomi havere letto cosi;
Sette cittadi litigan d'Homero
Samo, con Smirne, Colifonte, e
Chio,
Indi
Pilo, con Argo, & con Athene.
Poscia, esso Platone nel medesimo
libro della Republica, & in altri spesse volte produce questo in testimonio
delle sue conclusioni. Se adunque dalle leggi è tenuto padre, se ornamento di
quelle, se anco dimandato per cittadino da tante Città, & se da esso
precettore Platone prodotto per testimonio, egli è cosa pazza pensare l'istesso
Platone haver commandato da prudentissimo huomo Poeta dover essere cacciato dalla
Città. Oltre ciò, per questo editto di Platone istimaremmo Ennio dovere essere
scacciato dalla Città, il quale della povertà contento fu tanto caro per la
virtù sua a' Scipioni, huomini non solamente per armi, guerre, et sangue
illustri, ma famigliarissimi della Filosofia, & per Santi costumi
famosissimi, che anco doppo la sua morte vollero le ceneri di quello essere
locate presso quelle dei suoi maggiori, & sepolte nella sua archa? Se
questi se'l credono, no'l crederò io; anzi tengo, che Platone havrebbe
desiderato la sua Città essere ripiena di tali huomini. Che diremo poi di
Solone, il quale, date le leggi agli Atheniesi, benche già fosse vecchio si
diede alle cose poetice, diremmo dovere essere cacciato dalla Città colui, che
ridusse la Città scorretta in vita, & costumi civili? Che poscia del nostro
Virgilio, del quale (per lasciare il resto) la faccia tanto si arrosava per
vergogna d'ogni dishonesta parola, che tra gli altri dell'età sua udiva a dire,
& di maniera se ne vergognava la mente sua, che per ciò anco giovane, ne fu
chiamato Parthenia , che latinamente risuona vergine ò verginità? di cui tanti
sono i ricordi, che ci persuadeno alla virtù (si come spesse fiate già s'è
detto) quante sono le parole dei suoi versi; onde, accioche non si abbrusciasse
quella divina opra, si come egli morendo haveva comandato, Ottaviano Cesare
Augusto, lasciato da parte le cure del grandissimo Imperio, non pure ciò fare
s'oppose contra le leggi, ma anco vi compose que' versi, che fino al dì d'hoggi
si leggono, & che dinanzi habbiamo recitati. Del quale medesimamente fino
al presente appresso Mantovani con tanto honore è celebrato il nome, che non
potendo honorare quelle ceneri tolteli da Ottaviano secondo il disio loro, quel
antico suo poderetto, a guisa d'un huomo, che viva, da lui nomato honorano,
& riveriscono, & a' giovani figliuoli i vecchi padri il dimostrarono
come una cosa sacra, & degna di riverenza. Indi a' stranieri, che ivi
capitano, come quasi per aggrandire la loro gloria, non senza grandissimo
testimonio di virtù il fanno vedere, & di lui parlano. Adunque noi
crederemo, che Platone volesse questi virtuosissimi huomini, & gloria de i
luoghi essere cacciati dalla Città? O stolto Capitolo. Potrei dire molte cose
di Persio Volterrano, & di Giuvenale d'Aquino, per le quali si vedrebbe
chiaramente non essere stato intentione di Platone questi tali essere da
cacciare dalla Città. Ma l'animo mi guida a narrare le vedute, & produr di
quelle, che da questi non si possano negare nè gittare doppo le spalle. Crederò
adunque Platone essere stato si pazzo che havesse giudicato Francesco Petrarca
dover essere cacciato dalla Città; il quale dalla giovanezza sua facendo vita
casta, di maniera abhorrisce le sporcitie veneree, che a chi il conosce egli è
santissimo essempio d'honestà; di cui la bugia e mortale inimico; il quale è
rifutatore di tutti i vitij, & venerabile arca di verità, splendore di
virtù, e regola di Catholica santità. Pio benigno, divoto, & talmente
vergognoso, che merita essere chiamato un'altro Parthenia . Egli è, appresso,
gloria della facultà poetica, & Orator soave, & facondo. Al quale
essendo manifesto tutto il seno di Filosofia, ha un ingegno oltre uso humano
acuto, una memoria tenace, & la cognitione piena di tutte le cose, quanto
mai in huomo sia possibile. La onde tutte le opre sue, cosi in prosa come in
verso, che molte ve ne sono, risplendeno con tanto lume, hanno tanto soave
odore, sono riguardevoli per tanti fioriti ornamenti & dolci per la
eleganza delle gravi parole, & saporite per lo maraviglioso suco delle
sentenze, che sono tenute piu tosto essere fatte con arteficio d'ingegno
divino, che humano. Che dirò tante cose? Veramente egli avanza l'huomo, &
di gran lunga trapassa le forze de' mortali; nè io predico queste lodi come
quasi ch'io commendi un huomo antico, & già molti secoli morto, anzi
riferisco i meriti (mentre piace a Dio) l'uno, che vive, & vale. Il quale,
famosi laceratori, se non credete alle mie parole, con la fede degli occhi
potete vedere. Nè dubito, che di lui avenga quello, che molte volte è accaduto
a' famosi huomini, come dice Claudiano.
La
presenza minor rende la fama.
Anzi arditamente affermo, che la
di lui presenza aggrandirà la fama, tanto è notabile, per la maestà dei
costumi, per la facondia della soave eloquenza, & per la piacevolezza, e
per la ben composta vecchiezza; onde di lui si potrebbe dir quello, che di
Socrate si legge in Seneca Filosofo morale, cioè, Gli auditori suoi haver
cavato piu dottrina dai suoi costumi, che dalle parole; & per tacer una
volta di questo famosissimo huomo: prego, che questi mi dicano se questi tali
Poeti saranno cacciati da Platone fuori della città? Et se simili sono
cacciati, vorrei mi allegasse quali cittadini ei sia per introdurvi? piglierà
forse dei ruffiani, de i gnatoni, de' parasiti, de' lussuriosi, de gli
ubbriachi ò de' degni delle forche, e simili a loro? O Felice, ò longamente per
durare Republica di Platone, se caccia i Poeti, & habbia questi Cittadini
ministri dei costumi, et vite de gli huomini. Ma sia lontano ch'io pensi il
dottissimo huomo haver inteso questo ch'eglino interpretano; anzi tengo, &
i famosi Poeti, et tutti gli altri simili a loro non tanto essere Cittadini
delle Città, & della sua Republica, ma Prencipi, & maestri. Ma questi
stomacosi diranno, se non questi, quali adunque comanda Platone Poeti esser
cacciati? A tali sarebbe da risponder, cercatelo voi, censori da poco.
Nondimeno, perche egli è d'havere compassione all'ignoranza di ciascuno, &
benche male se l'habbiano meritato, tuttavia è da havergliela, si come a tutti
i licori hanno la loro feccia, la quale è da gittare, et il licore da serbare,
cosi anco è l'stesso delle facultà, e scienze, le quali si debbono raccorre,
& pigliare il licore lasciando la feccia. Percioche qual cosa è piu vera
della Filosofia, maestra di tutte le cose? Questa, per tacere degli altri,
hebbe i Cinici, & gli Epicuri, i quali involti in scelerati errori si sono
quasi sforzati in alcune cose quasi dishonestarla: di maniera, che parvero piu
tosto di lei inimici, che ministri. Ma dimando se per questi tali diremmo esser
da scacciar Xenocrate, Anaxagora, Panetio, et altri di questo titolo ornati?
Questo sarebbe ufficio di stolto, & ignorante. Qual cosa è piu santa della
religion Christiana, & questa ha havuto i Donatisti, i Macedoni, i Photini,
& altri heretici di piu fetida feccia macchiati; ma nondimeno per questi
non diciamo esser profani nè scelerati Basilio Cisariese, Giovanni Chrisostomo,
Ambruogio Melanese, Leone Papa, & altri sacri, et venerabili huomini. Cosi
anco la Poesia, per tacer dell'altre, hebbe la sua feccia, & vi furono
alcuni, che sono chiamati Poeti Comici, tra quali, se alcuni ve ne furono di
honesti, vi fu, come Plauto, & Terentio, che per lo piu sono paruti con le
loro vergognosissime inventioni macchiare la splendida gloria della Poesia;
& a questi si può alle volte aggiungere Ovidio. Questi veramente, ò per la
innata lascivia della mente ò per disio di guadagno, ò per lo piacer commune
del volgo, composte le sue favole le recitavano nelle scene con poca riverenza
de i costumi; onde i petti lascivi erano incitati alle scelerità, & la
virtù di constanti era travagliata, & quasi tutta la disciplina dei costumi
declinava; et quello ch'era piu dannosissimo, come, che la religione Gentile
tra l'altre cose sia da sprezzare, haveano ridotto i popoli a cosi scelerati
spettacoli di sacrifici ch'eglino istessi se ne vergognavano. Simili Poeti
anco, si come è stato detto per inanzi, non solamente abhorrisce la Religion
Christiana, ma anco essa Gentilità gli rifiutò. Questi veramente istimo esser
quelli, che Platone commandò, che fossero cacciati dalla Città; ma io tengo,
che non pure dalla città questi tali, ma dal mondo debbano essere cacciati. Ma
per questi deve essere cacciato Hesiodo, Euripide, Statio, Claudiano, & simili?
Io penso di non. Questi adunque facciano distintione, & se non sono
macchiati d'odio non degno piglino i male meriti, lasciando in suo riposo,
& pace i notabili.
Ultimamente, Inclito Re, questi,
che bestemmiano il Poetico nome, mossi da scelerità temeraria, hanno havuto
ardire entrare nei sacri silentij, nei rimotti additi dell'antro Gorgoneo,
nelle honeste stanze della poesia, & nei Chori, & divini canti delle Vergini,
& con discordanti gridi quei turbare; & indi armati di quelle parole di
Boetio, santissimo, & famosissimo huomo, che si leggono cerca il principio
di quel suo libro della Consolatione, dove fa parlare la Filosofia, & dire; Chi ha lasciato andar da questo vecchio
queste scenice meretrici, le quali non pure rimediarebbono ai suoi dolori con
alcuno aiuto, ma con dolci veleni piu gli nodrirebbono? Et quello, che segue,
empire con alte voci il tutto, non altrimenti, che se fossero vittoriosi;
cercando, se potessero commover le innocenti menti con ignominiosi oltraggi,
non intendendo già quello, che vogliano dire quelle parole di Boetio. Percioche
riguardando solamente la corteccia, sgridano queste pudicissime donne non
altrimenti, che se fossero femine di carne, perche i loro nomi sono feminili,
esser dishoneste, scelerate, venefice, & meretrici, & facendole come
vili meretrici tengono anco che elle stiano prostrate nel mezzo de i fornicatoi
a petitione della feccia del volgo. Nè questo gli basta, anzi di quì vogliono,
che anco i Poeti siano huomini dishonesti, cosi facendo il loro argomento. Se
le Muse per testimonio di Boetio sono meretrici, sono dishoneste donne, &
cosi è necessario, che quei a quali sono famigliari siano huomini dishonesti,
attentoche l'amicitia, ò famigliarità non si può congiungere, nè stare eccetto
per conformità di costumi; che elle siano famigliarissime di Poeti, egli si
vede chiaramente anco per li propri suoi versi; & cosi (come già è stato
detto) sono huomini dishonesti. Vedi verso qual fine, prudentissimo Re, tenda
la vana astutia di questi tali? ma sia come ella si voglia, con la verità
bisogna confonderla. Quante adunque, quai siano, & di quali nomi ornate le
Muse, & quello, che per loro habbiano compreso gli huomini illustri, (se
bene mi ricordo) l'ho dimostrato nell'undecimo libro di questa opra. Ma
fin'hora non restando acquetata la loro iniquità, alquanto egli è da
affaticarsi. A bastanza istimo, che si possa dalle cose per innanzi cittate
comprendere di due sorti essere la specie de i Poeti, delle quali l'una è
venerabile, lodevole, & sempre agli huomini pij grata. L'altra poi è vile,
vergognosa, et scelerata, & è quella di quei Poeti che per innanzi ho detto
meritare dal Mondo non, che dalla città essere cacciati. Il medesimo si può
dire delle Muse, delle quali si può affermare, che uno sia il genere, & due
le spetie. Percioche conceduto, che ciascuna di loro di quelle medesime forze,
& istesse leggi attuamente usi, veggendo, che da gl'atti diversi si cavano
diversi frutti, cioè di qui l'amaro, & di qui il dolce, non
inconvenevolmente possiamo pensare che una sia honesta, & l'altra
dishonesta. L'una adunque di queste da essere lodata con tutti i titoli habita
nelle selve d'Allori, & nel fonte Castalio, & in tutti i luoghi, che
conosciamo per Religione degni di riverenza; è amica di Febo, va ornata di
fiori, & ghirlande, & è molto notabile per la dolcezza del canto; &
soavità della voce. L'altra è quella, che guidata dai Poeti comici habita nelle
scene, ne i Theatri, & nelli spettacoli, & con scelerate fittioni per
mercede si mostra benigna al volgo vile, et di niuno ornamento lodevole è
illustre. Questa non mitiga nè sana le malattie de gl'infermi con la
consolatione delle virtù, nè con salutiferi nè sacri rimedi, ma con querele,
& gemiti sino alla morte gli innalza con quella dilettatione con la quale
si dilettano i presi dalle passioni. La onde a bastanza ponno vedere gli
inimici dei Poeti quello, che non sapevano, cioè, che Boetio mentre gridava le
Muse essere meretrici egli havere voluto intendere della triviale specie delle
Muse; & però disse Scenice meretrici, il che chiarissimamente questi
oppositori havrebbono potuto vedere se havessero inteso quello, che dopo poche
parole detto dalla Filosofia si legge. Dice in tal modo; Ma lasciatemelo da curare, & sanare alle
mie Muse. Et accioche piu chiaramente si vedesse ch'egli parlava della seconda
specie delle Muse, molte volte nei seguenti scritti la Filosofia introduce alla
cura, & consolatione di Boetio le dilettationi dei versi et le fittioni
poetice. Adunque, poscia, che la Filosofia al suo arteficio congiunge quelle,
egli è da tenere, che siano honeste; & se sono honeste, & anco quei a'
quali sono famigliari (si come vuole la produttione di questi tali) è di
necessità, che siano honesti huomini; di che le Muse vengono ad essere honeste,
& i Poeti sono honestissimi; onde invano questi tali si sono sforzati con
vergognosa infamia infamare, & quelle & questi. Percioche le Muse non
ponno essere oltraggiate perche l'ingegno del poeta sia cattivo, & lascivo,
che allhora questa sorte di Muse, che a loro favorisce non è la buona nè la
vera.
Con quelle ragioni, che io ho
potuto, Clementissimo Re, ho ributtato le oppositioni di questi maligni, &
iniqui huomini; & se io non havessi havuto riguardo all'honestà mia, mi
sarei rivolto con piu ree parole, & acuti stimoli contra la vita, &
costumi suoi. Nondimeno, tengo ch'eglino diranno oltre le dette molte altre
cose, a tutte le quali volendo rispondere la oratione andrebbe troppo in lungo;
& la troppo abondanza delle parole molte volte rincresce a gli ascoltanti
mediocri, non, che agli animi reali involti in maggiori affari. Et però, per
non essere noioso a tua Maestà, & non parere, che io voglia cacciare questi
oltre i confini del mondo, essendo piu tosto da havere compassione alla loro
ignoranza, che da proceder contra la loro meritata ruina, ho in animo far fine,
& far cosa, che essi non farebbono, cioè con gratia tua inanzi il fine di
questo libro deporre ogni mia ira, & giusto sdegno, perdonando alla loro
malignità, & parlando verso loro con amichevoli parole, per vedere se forse
io potessi cangiare in meglio il suo consiglio, & openione.
Voi adunque huomini prudenti, se
sete saggi, vi prego, mettete giù l'ire, & acquetate i turbati petti.
Assai, anzi troppo tra noi si ha con odio combattuto. Voi sete stati i primi,
che contra i nocenti havete mosso l'armi per cacciarli del Mondo. Io
all'incontro v'ho opposto il petto con tutte le forze mie (con l'aiuto d'Iddio,
& dei loro meriti) accioche i benemeriti non fossero cacciati dai contrari
inimici, benche se eglino venissero contra voi in egual campo, con tardo
pentirvi conoscereste quanto prevagliano alle vostre, & mie forze.
Nondimeno egli si ha combattuto, & si è venuto a tanto, che con qualche
gloria degli offesi, come, che con grandissimo sudore, in tutto si ha alquanto
calcato la libidine del vincere, & con giuste leggi si può fare la pace.
Facciamola adunque, & volentieri pigliandola diamo riposo alle fatiche. Tra
noi si sono dispensati i premi della guerra. Io ne riporto alquanto di dottrina
in preda per premio di consolatione; & cosi si ha basciato assai luogo alla
pace. Credo che cosi vogliate, perche vi dovete pentire haver cominciato; &
però usiamo dei beni della pace. Il che, affin che conosciate ch'io dico di
cuore, perche sono stato il primo offeso, sarò anco il primo ad incominciare a
mantenere le leggi dell'amicitia, accioche l'istesso anco voi facciate; onde
quelle poche cose ch'io vostro amico caritattivamente sono per dirvi,
pigliatele con giusto, & tranquillo animo. Eccovi, honoratissimi huomini,
che con quelle dimostrationi c'ho potuto vi ho dichiarato, che cosa sia Poesia,
la quale voi facevate nulla, quali i Poeti, quale il loro ufficio, & quali
i costumi suo; & voi gli sgridavate cianciatori, scelerati huomini,
esortatori di peccati, & macchiati di mille mali. Indi ho designato, che
cosa siano le Muse, le quale chiamavate meretrici, & forse pensavate, che
habitassero nei lupanari. Onde se sono da tanto, & tanto honorati, non
solamente non gli dovete biasimare, ma honorargli, con lodi inalzarli, amarli,
& studiare i loro volumi per diventar migliori; dal qual bene, accioche non
vi ritire ò l'età senile ò l'havere udito le piu famose scienze, sforzatevi di
voi stessi poter quello, che di sé non si vergognò poter il vecchio Prencipe,
& di tutte le virtù singolar ornamento, Roberto, inclito Re di
Gierusalemme, & di Sicilia; il quale già famoso filosofo, & egregio
precettore di Medicina, & tra gli altri di quel tempo notabile Theologo,
havendo fino al sessagentessimosesto anno dell'età sua fatto poco conto di
Virgilio, & chiamatolo insieme con gli altri Poeti (si come fate voi) huomo
favoloso, & di niun pregio, lasciatogli l'ornamento di versi, tosto, che
udì Francesco Petrarca esporli i sensi segreti de i poemi tutto pieno di
stupore se stesso riprese, & si come io stesso l'udì con le mie orecchie
affermò, che mai prima non lo havea pensato cosi egregi, & sublimi sensi,
& sotto cosi ridicola corteccia come sono le fittioni de' Poeti, haver
potuto nascondersi, si come vedeva doppo la dimostratione dello studioso huomo
esservi rinchiusi; & con grandissimo cordoglio biasimava il suo ingegno,
& disgratia, che cosi tardi havesse conosciuto l'arteficio Poetico. Nè si
vergognò, nè puotè esser ritenuto dalla vecchiaia, nè dalla breve futura vita,
che, posti da parte gli studi delle splendide facultadi; non incominciasse, per
pigliare il pieno senso da Virgilio, dargli opra. Ma la subita morte, che vi
s'interpose gli interruppe lo studio; il quale se havesse potuto continuare,
chi dubita, che non vi fosse uscito con grandissimo honore de i Poeti, &
comodo degli Italiani, che attendeno a tale studio? Che adunque v'arrecarete a
sdegno voi accettar quello che ad un Re sapientissimo parve santo? A pena il
crederò. Non istimo già, che voi siate Tigri ò fiere bestie, de' quali
l'ingegno, come la crudeltà di quelle, non si possa piegare in meglio.
Nondimeno, se oltre questa mia credenza pia anco ne i vostri petti dura
l'inimico ardore contra i male meriti, almeno per honor vostro, ogni volta, che
il pizzicore della lingua vi si spinge a sparlargli contra, vi prego per lo
sacro petto della Filosofia, del cui forse alle volte havete bevuto il latte,
che non vi lasciate andar precipitosamente di tal sorte contra il poetico nome;
anzi se a bastanza sete in cervello, usiate sempre della distintione dove vi fa
bisogno. Ella veramente ritorna le cose concordi, & rimosse le nebbie
dell'ignoranza rende chiaro l'intelletto, & per via diritta ove vuole guida
l'ingegno. Et questo fate accioche con infami non congiungiate i venerabili
Poeti, de' quali si è mostrato molti de Gentili esser stati. A voi sia assai
far empito contra i dishonesti comici, & contra questi vomitar l'ire.
Contra questi con buona pace degli altri rivolgete il vostro incendio. Oltre
ciò perdonate agli Hebrei, percioche non senza sdegno della divina Maestà si
ponno oltraggiare. Et col testimonio di Girolamo si ha mostrato alcuni di
quelli, sotto Poetico stile dettatoli dallo Spirito Santo, haver cantato le sue
profetie. Medesimamente anco i Christiani sono da esser riserbati dalle
ingiurie, percioche molti dei nostri sono stati Poeti, & hoggidì ve ne
sono, i quali sotto la corteccia delle loro fittioni hanno rinchiuso i sacri,
& divoti sensi della religion Christiana; accioche vi sia mostrato di molti
alcuna cosa. Il nostro Dante, benche in lingua volgare ma arteficiosa, in quel
libro chiamato Comedia mirabilmente ha disegnato il triplice stato dei defonti
secondo la dottrina della Sacra Theologia. Et l'Illustre, & ultimo Poeta
Francesco Petrarca nelle sue Bucoliche, sotto velame di pastorale eloquio, con
maravigliosa descrittione ha notato le lodi del vero Iddio, & dell'inclita
Trinità, & molte altre cose. Vi sono i volumi, & a chi gli vogliono
intendere, vi si veggono i sensi. Oltre ciò, viveno i versi di Prudentio, &
Sedulio, che sotto fittione esprimeno la verità. Et Aratore, non solamente
huomo Christiano ma sacerdote della Romana Chiesa, & Cardinale, in versi
heroici, cantando a usanza de' Poeti, disegnò i Fatti de gli Apostoli. Indi
Giuvenco, huomo Spagnuolo ma vero Christiano, sotto velame del huomo, del bue,
del Leone, & dell'Aquila fingendo anco compose tutti gli atti di Christo,
figliuolo d'Iddio vero, nostro Redentore. Et per non ne produrre altri in
mezzo, se alcuna humanità non vi trahe, che almeno perdoniate a i nostri, non
vogliate esser piu severi della nostra Madre Chiesa, la quale con lodevole
consideratione riguardando non si sdegna mostrarsi benigna con molti, &
spetialmente con Origene. Costui hebbe tanto gran potere nel comporre, che mai
parve, che l'ingegno d'intorno ciò gli venisse meno, nè che la mano in scrivere
si stancasse; onde si crede, che facesse piu di mille volumi sopra di diverse
materie.
Tra quali tutti ella, a guisa di
saggia verginella, che tra vepri, & spini coglie con le dita non offese i
fiori, & da parte lascia avilire i pungenti spini, lasciate le cose men che
bene credute, tolse le lodevoli, & ha voluto serbarle tra i suoi thesori.
Vedete adunque, essaminate, & con giusta misura contrapesate i detti de'
Poeti; & quelle cose, che men santamente sono scritte, lasciate: &
quelle, che sono ben dette non biasimate, istimando quasi subito per li vostri
gridi contra i Poeti esser tenuti dall'ignorante popolo Agostini, o Girolami.
Percioche questi, che non meno furono santi, che giusti, & prudenti, mai
non fecero impeto contra la Poetica nè l'arteficio dei Poeti, ma contra gli
errori della Gentilità da loro recitati, i quali sempre con intrepida voce
hanno anco biasimato al conspetto degli inimici della Catholica verità, &
che calcitravano. Ma continuamente hanno riguardato, & considerato i loro
scritti composti con tanta arte di parole, per tanta dolcezza soavi, con tanta
gravità di sentenze ornati, & con tanta anco politezza limitati, che pare
essere cosa necessaria da quelli cavare quanto ornamento di latinità fa
bisogno. Et per non procedere in piu lungo parlare (come dice Cicerone per
Archia), questi studi fanno la gioventù,
dilettano la vecchiezza, ornano le cose prospere, alle contrarie porgono
rifugio, & solazzo. Dilettano a casa, non impediscono fuori; stanno le notti
con noi, peregrinano, & rusticheggiano con noi; i quali se noi non
potessimo nè toccare nè col senso nostro gustare, allhora deveressimo anco
riguardarli veggendoli in altri. Onde essendo da non sprezzare nè rifiutare la
Poesia, anzi da honorare insieme con i Poeti, se sete saggi, assai si ha parlato.
Ma se perseverate ostinatamente in tal rabie, benche di voi haggia compassione,
essendo voi da sprezzare nessuna cosa a bastanza si potrebbe scrivere.
Con quelli ripari c'ho potuto,
Serenissimo Re, fin quì ho fondato la mia navicella, accioche dall'ondeggiare
del turbato mare, o dall'impeto de venti contrari non fosse cacciata al lito,
& ivi rotta restasse. Et affine che dalle nubi celesti, che si cangiano in
pioggie, tempeste, & saette non fosse aperta, fulminata, & cangiata in
cenere, vi ho aggiunto quelle coperte, che m'ho imaginato esserle necessarie,
& appresso anco la ho legata con forti corde a duri scogli, accioche
dall'onde non fosse portata nel mezzo del mare. Contra l'ira d'Iddio non vi
giova alcun riparo de mortali, & però ho giudicato lasciarla nelle sue
mani. Egli, senza il cui aiuto alcuna cosa veramente non puo stare, per sua
misericordia la conserva. Hora mi resta che io ripari a i dardi gittati contra
il lasso nocchiero, & s’io posso, a qualche modo gli levi. Perche chi
dubita, che da molti non sia ricercato? Nondimeno si come men patientemente
forse sono paruto alle volte haver sopportato quelle cose, che sono state dette
contra i Poeti, & la Poesia, cosi con grandissima patienza quelle saette,
che voleranno contra il nocchiero, vengano per qual commandamento si voglia, sono
per patire. Nè la ragione di questa patientia è lontana. Certo, che
indegnamente al mio giudicio la bella Poesia, & gli eleganti huomini in
questa scienza furono oltraggiati, ma non sò s’io mi debba dire piu tosto per
iniquità de i superbi, o de gli ignoranti. Ma il nocchiero non cosi. Percioche
se bene secondo le forze sue con l'arte marinaresca si ha sforzato per cattivi
passi di mare, & pericolosi scogli guidare in luogo sicuro la sua
barchetta, accioche giustamente non possa esser ripreso; nondimeno so, che di
molte cose egli è ignorante, & però di molte cose commesse con minor
avertenza, forse meritevolmente puo esser ripreso. Farò adunque con l'aiuto
d'Iddio quello potrò, accioche in tutto non paia temerariamente haver oprato
quello, che ha fatto. Quelli mi toglia dalle fauce di malignanti, ilquale senza
offesa tolse dal camino del fuoco gli Israeliti fanciulli, che speravano in
lui, conducendomi al fine dell'estrema fatica in gloria del santissimo nome
suo.
So, che da ogni parte i già detti
overo altri famosi correttori di leggi con gli occhi intenti riguarderanno
questo Collosseo, & riguardatolo, m'imagino, che siano per dire forse con
pia intentione, percioche egli è cosa dura all'huomo conoscere le menti degli
huomini cosi grande opra essere poco necessaria, & perciò non haver ad
essere in pregio. Questi veramente con queste poche parole tasseranno quasi
tutta l'opra, parendo, che l'obiettione da una certa non molto espressa verità
sia non pur colorata, ma anco approvata. Attentoche chi non dirà nel primo
sguardo, non dirò non necessario ma anco superflue essere le favole de’ Poeti,
de quali tutta quest'opra è piena? Ma io istimo, che sia da tener altrimenti.
Confesso questa opra esser fatta di favole; cosi anco se concederò quella poco
necessaria, mostrerò medesimamente molte cose non necessarie, & tra queste
quest'opra, pregiatissime esser state. Et indi farò veder, che questa fatica
perche è utile cosi pubblicamente, quanto privatamente, esser da annoverar anco
tra le necessarie. In pregio adunque, & grandissimo si mostrano esser molte
cose poco necessarie, ritrovati dall'arteficio degli huomini, & fatte per
opra di natura. Noi volendo edificare eccelse cose, ricerchiamo scultori, architetti,
murari, et altri simili artefici; la onde un rozzo Pastore le edificarebbe col
fango, & palustri cannelle. Orniamo i Tempi, i Campidogli, i Palazzi de i
Re, de i popoli, & dei Principi con grandissime spese, & superflue
pitture, & si serviamo di coppe, & vasi d'oro, & argento; la onde
al nostro bisogno si potrebbono servire di quei di terra. Cosi si dilettiamo di
corone, di vesti di porpora, & di riccami d'oro, & per lo nostro
bisogno ci bastarebbe un’habito semplice di lana d'ogni pecora. Et cosi l'arti,
& gli ornamenti, che sono poco, & dirò nulla necessari, sono venuti in
pregio. Ma perche queste cose alcuno le potrebbe dire pretiose per l'ambitione
de gli huomini, veggiamo se vogliamo dire la natura delle cose discretissima
anco d'intorno le cose superflue ambitiosa. Onde prego dirmi, a che la chioma
del capo fa bisogno? Nondimeno molti affermano che tanto l'hanno in pregio che
se Venere andasse con tutte le gratie accompagnata senza quella non potrebbe
piacer a Marte, & tanto la istimò Cesare Dittatore, che per coprir la testa
calva, impetrò dal Senato la perpetua corona d'alloro. A che giova la barba de
gli uomini, della quale se ne è senza alcuna d'età provetto, non senza rossore
entra fra gli altri? A che le corna al Cervo? A che le penne di vari colori
dipinte sono concesse agli uccelli? non mi si può rispondere per altro che per
ornamento. Et cosi per non discorrere per piu cose, quello, che altre volte non
era in pregio per cagione d'ornamento diventa precioso. Onde per causa
d'ornamento, divenendo le cose pretiose, certamente quest'opra sarà in pregio.
Qual cosa può essere piu bella ne i parlamenti de gli huomini, che alle volte
haver traposto delle favole con le sentenze? Qual cosa stà meglio, &
l'haver condotto a gli istessi ragionamenti i fruttuosi sensi delle favole?
& quest'opra concederà abondantemente l'uno, & l'altro. Questa appresso
dimostra con le pesate, & eleganti orationi apportar seco molto ornamento,
leggendosi per entro sparse molte sententie, & passi di Cicerone, Girolamo,
& molti altri huomini prudenti. Poteva adunque bastare l'haver dimostrato
quest'opra essere pretiosa per causa dell'ornamento; ma a questo vi s'aggiunge
l'utilità cosi publica, come privata, che vi deriva: dalla cui maggior pregio
se ne trahe. Alcuni istimavano i Poeti huomi Dotti solamente haver composto le
favole semplici; onde per consequenza gli tenevano non pure non utili, ma anco
dannosi, di che discorrendoli col leggere non ne cavano alcun frutto. Ma
quest'opra, mentre scopre, il velame delle fittioni, dimostra i Poeti essere
stati huomini ammaestrati, & a i lettori rende le favole con diletto
fruttuose; & se alcuni Poeti per altrui opinione parevano essere estinti,
noi quasi ritrovati in vita, & fatti Illustri gli ritorniamo alla
republica, & privatamente quella utilità, che non conosciuta, era gittata
via, per ciò manifesta si raccoglie, & a piu alti sensi gli ingegni di
lettori sono eccitati. Oltre ciò spero, cosi volendo Iddio, che si come già ve
ne furono, si leveranno di quelli, che drizzeranno le menti alla Poesia, a
quali non picciola commodità, mentre leggeranno i ricordi, & memorie degli
antichi sarà conceduta da quest'opra. Ma che dirò tante cose? Se bene
mancheranno tutte le cose, c'ho detto, perche Ottimo Principe, per lo cui
commandamento ho pigliato questa fatica sia col mezzo di questa opra sodisfatto
al tuo disio, il tengo pregiatissimo, benche sia cosa lodevole haver piacciuto
a molti. Cosi anco se a tua sublimità non sarà grato, come che fosse per
piacere, & esser caro a tutti gli altri, a me sarà picciolo momento. A te
adunque si appartiene, se ti piace far quest'opra pretiosa, et abietta, &
vile.
Con quella istessa pietà forse
parleranno de gli altri, & vedendo quest'opra cosi piena di fessure, nè
bene unita, diranno, che non durerà lungamente, & che minaccia ruina per le
apriture, che’l dinotano. Io a questi ricordatori volentieri rendo gratie,
percioche dagli occhi miei cacciano il sonno, & mi fanno aveduto, accioche
presti rimedio al bisogno. Ma perche m'imaginai, che fosse per avenire ciò
innanzi, che incominciassi l'opra; se punto inclito Re ti ricorda, questo
istesso si dimostra nel principio, dove con quelle ragioni, ch'io puoti feci
vedere, perche molto dubitassi quest'opra havere ad essere mutola, senza
ordine, & poco durabile; onde si come si vede, & questi dicono,
l'antivedimento mio non mi ha ingannato. Et però d'intorno questo difetto vengo
ad essere di ragione iscusato. Tuttavia con quelli puntelli ch'io puoti, la
ridussi in fortezza nè poscia, che la ho compiuta non è anco venuto, nè
mostrato nuove fessure, nè istimo, si come questi bisbigliano, che si tosto le
vecchie stopate habbiano ad allargarsi. Percioche, se a guisa de mortali, per
conietture vogliamo fare giudicio delle cose future, quest'opra durerà
lungamente. Conciosia che spesse volte habbiamo veduto delle rocche fermate
sopra i duri sassi piu tosto andare in ruina, che un tugurio di pescatore
fabricato di cannelle in un paludo. Questi, che hanno gli edifici non cosi
securi nè stabili, stanno vigilanti, & spesse fiate gli fanno racconciare i
fondamenti, rinovare i palchi, ricoprire i tetti, & con diversi appoggi gli
sostentano; onde quelle cose, che tosto mostravano andare in ruina, bene, &
spesso durano anni, & secoli. Altrimenti fanno quelli, che istimano
possedere le fortezze, perche mentre stanno in riposo, ecco, che uno di que'
gran sassi, sopra cui sono fondate, per lo soverchio peso, si spezza, &
cadendo si trahe dietro tutto l'edificio in ruina. Vi sono anco altri pericoli.
La invidia camina per li palagi, & gli odij apparecchiano la ruina. Una
picciola casa da pochi, & dal possessore conosciuta quanto piace a Iddio
dura. Chi havrebbe potuto pensare, che Troia, allhora ferma Città di Priamo,
governata da tante degne forze, tanto ricca, & tanto potente, & che era
capo di tutta l'Asia, & faceva tremar tutta la Grecia, fosse andata piu
tosto in ruina, che la picciola capannetta del povero Aglao Sofidio? Cosi
habbiamo veduto de i giovani robusti, forti, et gagliardi da una picciola
febre, overo altro accidente esser quasi condotto a subita morte; la dove
talvolta dei deboli, & mal gagliardi vecchi hanno vivuto piu che anco non
havrebbono voluto. Ma che giova discorrere per gli essempi de i quali la vita
dei mortali è abondantissima? Dicano questi quello, che vogliono & io tengo
quello, che desidero. Nondimeno ho questo per certissimo. Se il Signore non
guarderà la Città; in vano vegghia quello, che la custodisce. Egli è in suo
potere il serbare, & rovinare. A lui solo si appartiene il sapere quanto
tutte le cose mondane siano per durare, & quanto tosto per cadere. In lui è
tutta la speme de i prudenti, Egli se'l vegga. Io perche ho conosciuto l'opra
mia piena di fessure, le ho commandato, che sia humile, sapendo, che Iddio
concede gratie a gli humili. Ma che stò io a fare parole della lunghezza, &
del durare di lei? Essendo a me grandissima cosa, sia pur pieno di fessure, di
caverne, & di trasparenze, si come l'ho potuta comporre, che possa arrivare
nelle tue mani, accioche tu conosca non dirò la mia vigilanza, ma la mia
ubidienza. Questo a me sarà assai. Se poi finalmente durerà piu oltre, istimo
essere da imputare alla bontà divina, & fortuna reale.
M'imagino, che sopraverranno
alcuni, che vedute quelle cose, che haveranno visto altri, diranno dover essere
cosa piu desiderabile all'huomo prudente questa mole andare a terra, che durare
lungamente, essendo il proprio suo difetto per levarvi i casi iquali la
continuatione dimostrerà. Et spetialmente questo che tal machina è formata alla
riverscia col petto largo, & chino a terra, & con i piedi verso il
Cielo. O sententia di Socrate. Felici i Medici, de quali la terra cuopre gli
errori, essendo spessissime volte anco delle cose scritte, & bene dette
perche sono in publico lacerate da i denti canini, ò almeno datole noia col
latrare; et medesimamente quasi gittato a terra dalle parole de caminanti
quello, che si è ricercato, & composto con grandissima fatica, &
confermato fino dove è stato possibile con l'autorità d'huomini Illustri. Ma
che? egli è da patire il tutto; accioche con l'humiltà siano calcate le cose
proterve. Nondimeno a questi, che cosi parlano non ho altro, che risponderli,
eccetto quello che ho conosciuto, cioè che del principio di questa Geneolo.
molti diversamente hanno pensato; ilche nel principio di quest'opra non si ha
lasciato di mostrare, & ho anco dichiarato perche m'habbia tolto il piu
antico di tutti gli altri Dei, de quali si habbia memoria alcuna, & a
questo capo antichissimo, si come ho potuto trovare, successivamente il petto,
et l'altre membra gli ho aggiunto. Se altre opinioni poi vi sono piu vere,
& che mostrino miglior ordine; ilche non nego, che non possa essere
possibile; se bene ho veggiato molto, & cercato molti volumi, confesso non
haverle vedute, nè conosciuto in qual modo, nè con qual ordine meglio, nè piu
propriamente si potessero queste membra attribuire a si gran corpo. Onde producano
eglino in mezzo quello, c'hanno di piu veduto, accioche vedutolo, se di ragione
quelle cose, che io ho scritto meriteranno biasimo, a loro si dia intiera fede;
percioche per dire, che io ho fatto una mole senza ordine, & non mi
mostrar’altro, è piu tosto con iniquità un’oltraggiare le cose altrui, che
lodevolmente riprendere, nè utilmente correggere.
Oltre la difformità dell'opra
poco innanzi ripresa, questi overo altri vi aggiungeranno molte cose essersi
lasciate, che si devrebbono haver poste. Se io volessi negare questo, non
potrei, ricordandomi almeno delle appartenenti alla superficie favolosa, per lo
difetto de i libri circa il principio di quest'opra haver scritto, molti
huomini della prole dei Dei esservi per mancare. Et se pure si dirà, che i
libri si trovano, chi tra mortali havrà tanto ardire, che uscendo fuori dica,
che gli habbia veduto tutti, & letto? Io veramente confesso senza rossore
di fronte me non haver veduto nè anco quelli, c'hanno potuto veder gli altri;
onde non negherò, che non ne possano essere stati lasciati molti, & alcuni
anco per difetto della debile memoria pretermessi; percioche non basta
l'havergli veduti; di che prego i ricordevoli, che mi perdonino, nè vogliano
attribuire a malitia quello, che è avenuto per ignoranza, overo per oblio. Vi è
anco un'altra cosa, contra laquale ponno forse parlare gli huomini sublimi,
cioè d'intorno le espositioni de i sensi dati alle favole. Sia da me lontano,
che a questi voglia oppormi, attento che tengo, che ciò possa essere possibile,
non havendo mai havuto ardire di presumermi tanto anzi imaginato essere poco
atto a queste cose. Et chi ritroverà d'huomo imperfetto opra perfetta? Egli è
solo in poter d'Iddio comporre l'opre perfette, perche anch'egli è perfetto.
Nondimeno se alcuna cosa piu temeraria d'intorno ci ho oprato, ottimo Re,
guidato da tuoi commandamenti la ho fatta. Et però, se d'intorno questa parte
mi sarò men bene diportato, il peso sia imposto a tua grandezza. Ma io prego questi
piu prudenti per lo venerabile, & santo nome della Filosofia, laquale penso
honorino, che si come di una certa autorità de i piu prudenti usando, infingono
i detti nelle cose men bene commesse, si anco con la humanità pia vi porgano
rimedio. Percioche non è cosa insolita, che gli huomini eruditi veggiano
quello, che non ha veduto l'indotto, se alle volte gli indotti hanno veduto
delle cose non vedute da i dotti. Io son‘huomo, onde non è cosa nuova, nè
maravigliosa un’huomo haver peccato, attento che si come dice Oratio;
Anco a le
volte dorme il buon’Homero.
Oltre ciò furono cento gli occhi
d'Argo, che a due a due per volta dormivano, & gli altri vegghiavano; &
nondimeno non puote vietare, che una volta non si chiudessero tutti. Onde
eglino suppliscano alle dichiarationi delle favole, & mutino quello, che
male si ha esposto, & in meglio riformino quello, che men bene si ha
dichiarato. Io veramente, se bene a pieno non ho scritto li tutto giusto, nè
intiero; nondimeno m'ho creduto farlo; il che non essendo, non sono cosi
ostinato, che non confessi il mio peccato humilmente, & che con grato animo
non tolga la correttione si come huomo; ilquale, se bene con tutti i piedi
camino verso la vecchiaia, non mi vergogno imparare, anzi desidero, &
cerco. Se eglino faranno questo, l'opra verrà perfetta, & io divenuto più
dotto per la loro liberalità, diverrò piu lodato.
Doppo questi si leveranno de gl’altri,
& quasi lamentandosi diranno, che a questa opra ho aggiunto favole, &
historie non piu udite, affine di rendere i testi piu gravi, & intricati.
Confesso havervi traposto non nuove favole, nè historie alle antiche, ma forse
da molti latini, fin hora non piu udite, nè lette, delle quali non ne ho posto
alcuna, se non cavata da i Commentari de gli antichi. Et questo ho fatto non
per fare piu gravi, o intricate i testi, ma per essere cosi bisogno. I lamenti
di questi tali, che si malamente secco si accordano procedeno dal non poter
patire alcuna cosa patientemente. Se tu haverai scritto i testi facili, &
chiari, dicono, che lo stile è da pedagogo, debile, fiacco, & snervato. Se
poi è un poco piu alto, piu polito, limato, & grave, nel primo incontro
affastiditi, se subito non capiscono il senso chiaro, accusano il compositore,
& il chiamano sforzato, & duro, come che anco sia limitato di facile
arteficio, & cosi sdegnati il disprezzano. Ma a me pare di non havere
scritto in parte alcuna confusamente, nè che le favole da loro piu non udite,
& nel mezzo poste gli possano render alcuna cosa oscura, nè difficile.
Nondimeno m'imagino questi tali mossi da una certa malignità tacita voler
biasimare le favole, & le historie a loro incognite, si come non vere,
sotto pretesto d'intricato testo. Già egli s'è detto, che tutte sono state
tolte da i commentari degli antichi, si come i nomi de gli autori notati ne
fanno fede le quali se forse non le hanno vedute, come quasi alcuna cosa non
possa esser vera, se non è stata da quelli letta, non debbono però istimare,
che siano da reprobare. Ho piu che certo quelli haver veduto molte cose, che a
me sono in tutto incognite, cosi anch'io posso haver letto di quelle, che anco
non sono venute alla loro cognitione. Giamai alcun solo, eccetto Iddio, ha
potuto haver la cognitione di tutte le cose. Adunque con quell’animo leggano le
cose da me ritrovate, colquale vorrebbono le sue da gli altri esser lette:
& se forse alquanto dura gli pare la testura, raccolgano l'ingegno nelle forze,
che vederanno essere chiarissimo quello, che istimavano oscuro.
Istimo anco, che questi tali
moveranno un'altra querela, dicendo, ch'io in confermatione delle favole, &
historie scritte da gli autori antichi, ho molte volte prodotto de gli huomini
moderni, & non conosciuti, a quali, per esser nuovi autori, se vi si deve
prestar fede la cosa è dubbiosa. Veramente questa lamentatione ha in se
alquanto di gravità. Percioche, se bene sono stati nuovi autori già quelli, che
hora sono vecchi, nondimeno egli pare, che quello che è durato per molti secoli
dalla lunghezza del tempo sia confermato, & indi habbia havuto molta autorità;
il che se si debba credere medesimamente di tutti i nuovi, come che habbiano
ben meritato, appresso molti la cosa pende. Ma io sono di questa opinione, mai
non essere per durare in età a venire quegli autori, de quali la novità non sia
approvata, essendo necessario dalla novità loro pigliar il principio della
approbatione; & cosi io quelli, che produco per nuovi, havendoli in vita
conosciuto, & conoscendoli per loro meriti esser huomini famosi, &
degni ho havuto ardire chiamarli per testimoni. Io so questo di loro, che quasi
sempre per tutto lo spatio della sua vita hanno dato opra a gli studi sacri,
sempre hanno conversato tra eccellenti huomini per scienza, & per costumi
sono huomini lodevoli di vita, nè macchiati da alcuna vergognosa nota de infamia,
& i loro scritti, & detti sono confermati anco da piu prudenti. Credo
adunque, che per questi meriti la sua novità sia da agguagliare all'antichità.
Ma accioche alcuno non istimi che io habbia prodotto huomini men gravi con
l'autorità mia voglio approvarli. Piacemi de novissimi scriver alcuna cosa
particolare, per lasciare al giudicio de gli altri, s'io havrò parlato bene.
Spesse fiate ho prodotto il generoso, & venerabil vecchio Andalone de Negri
Genovese già ne i moti delle stelle mio Dottore, delquale quanto fosse
l'avedimento, la gravità de i costumi, & la cognitione delle stelle, tu
ottimo Re l'hai conosciuto; percioche (si come diceva egli) per la conformità
de gli studi ti fu famigliarissimo; onde si come hai potuto haver visto, non
solamente con le regole de gli antichi (come per lo piu facciamo) conobbe i
movimenti delle stelle, ma havendo cercato quasi tutto il Mondo sotto ogni
clima, & sotto ogni orizonte, certificato della isperienza de i corsi col
vedere apparò quello, che noi comprendiamo per udita; & però (come che io
creda in tutte le cose esserli da prestar fede), d'intorno a quelle, che si
appartengano alle stelle penso esserli da prestar quella fede, che si darebbe a
Cicerone dell'arte Oratoria, ò a Marone della Poetica. Oltre ciò vi sono molte
opre di costui, che dimostrano il corso delle stelle, & de Cieli, lequali
dimostrano quanta preminenza havesse questo vecchio circa cose tali. Cosi anco
alle volte come notabile, & singolar Poeta produco Dante Aligeri
Fiorentino, ilquale è di molto merito. Percioche tra i suoi Cittadini fu per
famosa nobiltà onorato, & come che le sue sostanze fossero leggieri, &
dalla cura famigliare & ultimamente da lungo essilio fosse travagliato,
nondimeno sempre ripieno di dottrine Fisice, & Theologice, diede opra a gli
studi, & fin'hora il confessa la Giulia Parigi, dove spessissime volte
entrò nello studio a sostentare conclusioni sopra tutte le scienze contra tutti
che seco voleano disputare ò farli oppositioni. Fu anco d'intorno la Poesia
ammaestratissimo, nè altro, che l'essilio gli tolse la corona d'alloro.
Percioche nell'animo suo havea deliberato non la voler pigliar altrove, che
nella patria sua; il che non gli fu concesso. Ma che piu cose? Quale egli si
fosse, l'inclita opra sua da lui scritta con maraviglioso artificio in lingua
Fiorentina sotto il Titolo di Comedia in rima, il dimostra: nella quale
veramente non Mithico, ma piu tosto Catholico, & divino Theologo mostra
essere: & per esser già a tutto il Mondo noto, non so se la fama del suo
nome alla tua grandezza sia pervenuta. Ho anco ricordato, benche di rado, per
testimonio Francesco di Barberino, huomo veramente per honestà di costumi,
& notabil vita lodevole, ilquale se bene ha havuto maggior cognitione de i
sacri Canoni che dell'arte Poetica, nondimeno ha mandato fuori alcune operette
in rime volgari, che rendeno testimonio della nobiltà dello splendido ingegno
suo, lequali stanno, & sono in pregio appresso gli Italiani. Questo fu
huomo di intiera fede, & degno di riverenza, ilquale, se bene Fiorenza non
si degna haverlo tra suoi Cittadini, nondimeno sempre l'ho tenuto per ottimo
testimonio, & degno di fede, & da esser annoverato tra tutti gli
huomini Illustri. Oltre ciò alle volte produco Barlaam monaco di Basilio
Cesariese, huomo di Calavria, già di picciola statura, ma di gran scienza,
& di maniera nelle Greche lettere dotto, che havea privilegi de Imperadori,
Principi Greci, & dotti huomini, che facevano fede non a quelli tempi
appresso Greci essere, ma nè anco da molti secoli in poi esservi stato spirito
dotato di maggiore, nè si notabile sapere. Non debbo io credere adunque a
costui, & massime nelle cose appartenenti a Greci? Non ho veduto nessuna
opra sua, benche habbia udito dire, che ne habbia composto alcuna, nondimeno ho
havuto alcuni de suoi scritti non altrimenti ridotti in libro, nè ornati di
alcun titolo, iquali se bene dimostrassero, ch'egli non fosse molto instrutto
nel Latino, tuttavia facevano fede, che havea veduto molte cose, &
benissimo intese. Medesimamente vi aggiungo Paolo Perugino huomo tra gli altri
gravissimo, ilquale fu di eta provetto, & instrutto della cognitione di
molte cose, & lungo tempo maestro, & custode della Libraria di Roberto,
inclito Re di Gierusalemme, & di Sicilia. Et se mai huomo fu curioso in ricercar
cosa alcuna costui per comandamento anco del suo Principe fu uno di quelli, che
ricercò le historie, & i Poeti famosi con grandissima diligenza; onde però
essendo divenuto strettissimo amico di Barlaam, quelle cose, che non puote
havere da i Latini, cercò col suo mezzo haverle da i libri Greci. Questi
scrisse un gran libro intitolato delle Collettioni, nel quale tra l'altre cose,
che erano molte, & appartenenti a diverse, penso che con l'aiuto di Barlaam
raccogliesse tutto quello, che si può trovare sopra gli Dei Gentili non
solamente appresso Latini, ma anco appresso Greci. Nè mi vergognerò dire che
essendo anco giovanetto, molto prima, che tu invitassi lo animo mio a questa
opra, da quello raccolsi molte cose piu tosto avido, che intelligente,
spetialmente quelle, che sono apposte sotto il nome di Theodontio, ilqual
libro, con grandissima discommodità di questa opra, per difetto di Biella sua
impudica moglie morto lui, ho trovato insieme con molte altre sue opre
smarrito. Penso adunque, che in quel tempo, che a me venne a notitia, alcuno a
lui non fosse da agguagliare in questo. Dopo questi spesse volte produco
Leontio Pilato, huomo di Thessalonica, si come egli afferma, auditore del
predetto Barlaam, ilquale nell'aspetto è huomo rozzo, ha la faccia nera, la
barba prolissa, la chioma nera, occupato sempre in continui pensieri, di
costumi rozzo, nè molto civile huomo, ma si come l'isperienza ha dimostrato
dottissimo di lettere Greche, & come un'arca piena d'historie, & favole
Greche, benche delle Latine non sia molto instrutto. Di costui non ho veduto
opra alcuna, ma tutto quello, che narro, l'ho compreso in viva voce da lui.
Percioche per spatio quasi di tre anni continui, che meco amichevolmente ha
conversato, da questo ho visto Homero; nè delle infinite cose da lui a me
recitate mi sarebbe bastato la memoria, se bene non havessi havuto altra cura
famigliare, se sopra le carte non le havesse notato. Similmente alle volte anco
m'ho voluto servir di Paolo Geometra Cittadino della mia patria, il quale so,
che per fama Inclito Re, a te è manifesto, percioche ho conosciuto, che a
questo tempo l'Aritmetica, la Geometria, & l‘Astrologia ad alcun’altro in
tal maniera, come a costui non hanno aperto il seno; attentoche istimo, che
sopra quelle a lui non sia alcuna cosa nascosta; & quello, che è piu
mirabile da dire, & anco da vedere, e, che di tutto quello, che parla sopra
le stelle, ò sopra il Cielo, subito con instrumenti a ciò fatti con le proprie
mani, con aperta fede mostra a chi vuol vedere il vero del tutto. Nè questi solamente
è conosciuto nella patria ò in Italia; ma molto piu Parigi, ove per la fama de
suoi studi è illustre, cosi anco è nomato appresso Brittani, Spagnuoli, &
Africani; iquali hanno in pregio questi studi. Veramente costui era huomo
felice, se fosse stato d'animo piu ardente ò fosse nato in piu liberal secolo.
Che alla fine? Produco Francesco Petrarca Fiorentino honoratissimo precettore,
padre, & signor mio, poco fa in Roma per consiglio del Senato, &
approvatione di Roberto Inclito Re di Gierusalemme, & di Sicilia, da essi
Senatori di Corona d'Alloro coronato, da essere annoverato piu tosto tra gli
antichi huomini Illustri, che tra moderni; il quale, non dirò tutti gli
Italiani, de quali è singolare, & immortale honore, ma se tutta la Francia
la Alemagna, & la Inghilterra, remotissimo cingolo del mondo, & molti
popoli di Grecia, hanno conosciuto per singolar Poeta, non dubito, che per
insino in Cipro alle tue orecchie non habbia la fama portato il nome suo. Già
di costui si veggono molte opre, & in verso, & in prosa di memoria
dignissime, lequali di qui rendono testimonio del suo divino ingegno. Vi è, chi
desidera l'uscita, per essere anco sotto chiavi rinchiusa, la divina Africa
scritta in verso Heroico, che narra i gran fatti del primo Scipione Africano.
Vi è la Bucolica, hoggi mai per la fama de suoi versi divulgata per tutto. Vi è
il libro delle Pistole a gli amici scritte in metrico stile. Oltre ciò vi sono
due gran volumi d'altre Epistole in prosa con tanta copia di sentenze, et di
cose fatte, & risplendenti per tanto ornato arteficio, che il giusto
lettore giudicherà, che in alcuna cosa non siano da posporre alle Ciceroniane.
Vi è un libro della Solitaria vita, & un’altro, che dopo pochi giorni
novamente verrà in luce, sopra gli rimedi all'una, & l'altra fortuna. Oltre
questo nello studio ve ne sono molti altri, che tosto vivendo lui, leggeremmo
in publico forniti. Chi adunque rifiuterà questo in testimonio? Chi negherà
prestar fede a suoi detti.? O non havessi io poco innanzi scritto cosi
leggiermente di lui, che quante, & quali vi lodi potrei aggiungere, per le
quali la fede de suoi scritti diverebbe maggiore? Ma le cose dette al presente
bastino. Queste adunque ho havuto da dire sopra i novi autori. Ma accioche non
paia, che io habbia lasciato di parlare sopra gli antichi non conosciuti, mi
restano alcune poche cose a dire. Diranno questi tali riprensori anco, che io
produco certi Autori antichi da loro piu non uditi mentovare, come se quasi
perche eglino non gli habbiano veduti, non sia da prestarli alcuna fede.
Veramente egli è cosa da pazzo credere alcuna cosa non essere degna di fede,
eccetto che le vedute da loro, quasi come se havessero con le loro lettioni
accresciuto la credenza a gli Autori antichi. Confesso haver recitato molte
opinioni, et favole di Autori antichi de quali forse i nomi a pochi moderni
sono in cognitione; percioche parmi (come ho detto anco) i loro detti, &
scritture dover essere approvate dall'antichità, & tutti quelli, che io ho
citati, ò gli ho veduto, ò letto, ò trovato allegati da altri Autori piu
moderni, iquali se non sono stati veduti da questi querelanti, nè uditi i loro
nomi, la colpa non è de gli Autori, ma della sua dapocaggine; & però
lamentarsi di se, &, non di me debbono. Non ponno i volumi dalle librarie
volare nelle mani de i sonnolenti, nè quelli, che gli hanno veduto portarli in
publico a far la mostra. Leggano, & ricerchino, che troveranno quello, che
non conoscono, & si faranno famigliari gli stranieri; & ritroveranno,
che vagliano tanto, quanto gli istimano quelli, che gli hanno letti. Queste
cose sono quelle, che io ho a produrre, sopra gli Autori antichi, & moderni
da loro non conosciuti, nè gustati, & da me prodotti, de quali se i meriti
non mi provocassero ad indurli, a ciò il bisogno mi constringerebbe. Percioche
hanno sempre le Civili, & Canoniche leggi, oltre i molti testi, per malitia
de gli uomini, accresciuti i suoi apparati mandati fuori già da molti dottori.
Hanno i volumi de i Filosofi diligentissimamente i composti commenti. Hanno i
libri di Medicina gli scritti di molti, che dichiarano i dubbi. Cosi anco le
sacre scritture hanno molti interpreti. Hanno anco & hebbeno tutte le altre
facultà, & arti i suoi propri chiosatori, a quali se fa bisogno, ogni uno,
che vuole può ricorrere, & di molte eleggere quali vuole. Sola la Poesia,
perche sempre fu domestica di pochi ne ha paruto mai, che apporti niente di
guadagno a gli avari, non solamente per molti secoli negletta, & vile, ma
anco stracciata da molti persecutori di questi appogi. Per la qual cosa è di necessità,
che quà, & là da chi possiamo senza questa elettione ricorriamo, & se
bene non molto, almeno quello che possiamo, da ciascuno pigliamo; il che molte
volte da me essere stato fatto può ogni saggio vedere, havendo non solamente
talhora ricorso a gli Autori moderni: ma anco a qualche picciola chiosa di tal
Autore senza nome. Et però questi lamentevoli, cosi sforzandomi il bisogno, si
acquetino cosi sopra gli Autori vecchi, come moderni da loro non conosciuti.
Non dubito, che ò questi, ò altri
diranno per qual ragione d'autorità habbia posto nella mia opra molti versi
Greci. Il che veramente veggio, che procederà da fonte di carità, anzi da
origine di malignità, & nequitia. Ma non però, con l'aiuto d'Iddio, mi
moverò a sdegno, anzi secondo usanza, con humil passo andrò per la risposta.
Dico adunque a questi tali, se no'l sanno, ch’egli è pazzia, cercar da i
ruscelli quello, che si può havere da i fonti. Io havea i libri d'Homero, &
anco gli ho; da quali si sono tolte molte cose accommodate all'opra nostra,
& da questi si può comprendere molte cose da gli antichi essere state
raccolte; & da quali si come da ruscelli non è dubbio che havrei potuto
pigliarle, & spessissime fiate ne ho tolto, ma alle volte mi ha paruto
meglio servirmi del fonte, che del ruscello, ne una sola volta mi è avenuto,
che nel ruscello non ho trovato quello, di che era abondantissimo il fonte.
Onde in tal modo hora la dilettatione, & hora la necessità mi hanno nel
fonte cacciato. Oltre ciò talhora gli scrittori si dilettano mischiare delle
cose ne gli scritti, che in qualche modo habbiano a fermare il lettore, &
guidarlo in dilettatione, overo riposo accioche con la troppa continuatione
eguale della lettione venendoli noia non cessi dalla lettione, & la
tralasci; il che forse talhora hanno potuto fare i versi in quella compartiti.
Indi quello, che in propria forma è posto, ha possa di rendere piu stable le
forze del testimonio, se forse l'oppositore vi repugna. La onde adunque quelli,
che non daranno a me credenza sopra i versi notati di Homero pigliando la
Iliade, overo l'Odissea potranno da se stessi farne paragone, & cosi si
chiariranno, s'io havrò scritto cose vere, ò false; & se saranno poi vere,
mi concederanno miglior fede. Nè oltre questo, io son solo, che habbia traposto
le cose Greche con le Latine; l'usanza antica fu tale, veggano, se gli piace, i
volumi di Cicerone, leggano gli scritti di Macrobio, riguardino i libri
d'Apuleio, & per piu non produrne, rivolgano le operette di Massimo
Ausonio, che spessissime fiate ritroveranno questi havere fraposto i versi
Grechi nelle Latine scritture. In questo ho io seguito i loro vestigi. Ma
m'imagino, che subito diranno, se già questo fu lodevole, hoggidì è fatica
frivola. Attentoche non v'essendo alcuno, che habbia cognitione delle lettere
Greche, l'antica usanza si è dismessa. Ma io in ciò ho compassione della
latinità, laquale se in tutto ha tralasciato gli studi Greci di maniera, che
non conosciamo i caratteri delle lettere egli và male per lei, percioche, se
bene tutto l'Occidente si rivolge ad apprendere la Latina lingua, & che
paia, che ella da se stessa ne gli studi sia sofficiente, nondimeno se fosse
accompagnata con la Greca, molto piu della sola Greca sarebbe Illustre;
attento, che non anco gli antichi Latini hanno cavato tutto il buono dalla
Grecia, ma molte cose vi restano, & spetialmente da noi non conosciute,
lequali sapendole, potressimo diventare piu dotti.
Ma di questo un'altra fiata.
Questi poi non hanno riguardo a cui drizzi questa fatica, perche vederebbono,
che io la ho fatta a petitione di un Re, a cui non meno sono famigliari le
lettere Greche, che le Latine, & appresso ilquale continuamente dimorano
molti huomini Greci, & Dotti, a quai non paranno superflui questi versi
Greci, si come paiono a i Latini ignoranti. Ma che tante cose? acconsentiamo un
poco a questi oltraggiatori per causa di dimostratione ho scritto, & notato
de i versi Greci. Che sarà poi? gli prega diemi debo io per ciò essere morso? a
cui faccio ingiuria io se uso delle ragioni mie? Se no'l sanno, questo è honore
mio, & gloria mia, cioè tra Toscani usare versi Greci. Non sono stato io
quello, che nella patria mia da Vinegia condussi Leontio Pilato, ilquale
venendo da lunghi viaggi voleva andare all'Occidentale Babilonia? No'l raccolsi
nella mia propria casa, & lungamente ve'l tenni? Non procurai con
grandissima fatica, che fosse accettato tra i Dottori dello studio Fiorentino,
& fosse condotto a leggere con publico stipendio? Fui veramente io, io sono
stato il primo ch'a mie spese ho fatto ricondurre i libri d'Homero, &
alcuni altri Greci in Coscana dalla cui si erano partiti molti secoli innanzi
senza mai piu ritornarvi, ne solamente gli ho condotti in Toscana, ma nella patria.
Io sono stato il primo tra Latini, che da Leontio Pilato privatamente ho udito
la Iliade. Io appresso sono stato quello, che ho operato, che i libri d'Homero
fossero letti in publico, & se bene a pieno non ho compreso la lingua
Greca, almeno ho oprato, & mi sono affaticato quanto ho potuto; & non
vi è dubbio, che se lungamente fosse dimorato appresso noi quell’huomo
vagabondo, che meglio l'havrei compresa. Ma come che molti auttori Greci habbia
veduto, nondimeno per dimostratione del mio precettore ne ho compreso alcuni,
de quali secondo il bisogno nella presente opra mi sono servito. Che male è
quello l'havere scritto le favole de Greci, de quali questo libro ne è
pienissimo, dal nome, per causa di dimostratione si dice esser fatto, ma
l'havervi trapposto alcuni versi cavati dalle lettere Greche si biasima. Puote
Mario d'Arpino, vinti gli Africani, i Cimbri, & i Thedeschi a guisa del
padre Bacco usare del suo licore un beveraggio. Cosi anco C. Duellio, che fu il
primo, che in battaglia di mare vinse i Cartaginesi, dalla cena ritornando a
casa puote sempre usare i lumi di cera, come che queste cose fossero contra il
costume de Romani, & eglino il sopportarono patientemente; ma meco si
crucciano alcuni, se oltre il solito dell'età nostra mescolo qualche verso Greco
con le scritture Latine, & della fatica mia mi piglio un poco di gloria.
Veramente io istimava apportar qualche splendore alla latinità, là dove veggio
contra di me haver mosso una nebbia di sdegno. Certamente mi doglio, ma che
penso, che faranno i dotti, conciosia che questi tali sono anco per dir
l'istesso de gli altri: Nondimeno se bene egli è da curarsene, tuttavia si può
sopportare con patientia. Finalmente prego tutti, che sopportino ciò con animo
quieto, ricordandosi (testimonio Valerio), che non sia humil vita che non sia
toccata dalla dolcezza della gloria.
Forse alcuni huomini religiosi
mossi da santo zelo leggendo le cose precedenti diranno essere fatta ingiuria
alla sacrosanta Religione Christiana, mentre habbiamo detto i Poeti Gentili
essere Teologi, iquali facciamo, che non possano esser altri, che veri
Christiani. Veramente io istimo questi tali riprensori huomini degni di
riverenza; onde quando diranno questo mosso da Christiano amore, io gli ne
rendo gratie, percioche io gli sento solleciti della mia salute. Ma mentre poco
riguardano a quello che parlano, chiaramente dimostrano, ch'hanno veduto pochi
libri, attentoche se molti ne havessero studiato, il libro del celeste
Gierusalemme tra gli altri famosissimo, non dovrebbe da loro esser stato
trapassato senza esser veduto. In quello havrebbono potuto haver letto Agost.
nel sesto lib. riferire l’opinione di Varrone dottissimo huomo, laquale è che
egli pensa di tre sorti essere la Theologia, cioè Mithica, Fisica, &
Civile. Mithica si dice favolosa, da Mithicon, che in greco suona Latinamente
favola, & questa alle Comedie, e Theatri, de quali si ha parlato di sopra,
è accomoda, laquale per le cose vergognose oprate nelle Scene da gli Illus.
Poeti è anco improverata. Fisica poi, laquale, si come si comprende per la
interpretatione del vocabolo, è naturale, & anco morale, perche pare al
mondo utile, e lodevole. La Civile poi overo Politica, laquale può anco essere
detta sacrificola, si dice appartenere alla Città; questa per l'abhominevole
scelerità de i vecchi sacrifici, è da reprobare dal vero culto d'Iddio, &
dal dritto della fede. Di queste la Fisica si attribuisce a i Poeti famosi;
percioche sotto le sue fittioni cuoprono le cose naturali, & morali, &
i fatti de gli uomini Illustri; & alle volte quelle, che paiono
appartenersi a i suoi Dei; & spetialmente, mentre prima composero i sacri
versi in lode de gli Dei, & i loro fatti nascosero sotto corteccia Poetica,
si come è stato detto; la onde dall’antica Gentilità sono stati chiamati
Theologi; & Aristotele testimonia, che essi furono i primi Theologizanti.
Onde benche eglino non habbiano havuto nome tale dal vero Iddio, delquale non
ne hebbero cognitione, nondimeno venendo i veri Theologi, non hanno potuto
perderlo, serbando il vocabolo in se la sua forza ilquale è nato da ogni Iddio.
Di che istimo accorgendosi i Theologi moderni, cioe il nome datoli dalla
cagione non se gli poter levare, accioche la Theologia non si possa intendere
nè Mithica ne Fisica nè Civile, non solamente si chiamano Theologi, ma
professori della sacra Teologia, nè questo con alcuna instantia, è rimproverare
come cosa ingiuriosa al nome Christiano. Percioche non chiamiamo tutti huomini
quanti mortali sappiamo essere formati d'anima rationale, & corpo? come che
altri siano Gentili, altri Israeliti, altri Agareni, altri Christiani, &
altri di cosi perversi costumi, che piu tosto sono da tenere fiere crudeli, che
huomini? Nondimeno chiamandoli tutti con uno istesso nome, cioè huomini, sappiamo
di non fare nessuna ingiuria a Christo redentor nostro, ilquale habbiamo
conosciuto oltre Iddio essere stato vero huomo. Medesimamente se alcuno dice i
Poeti THeologi, non fa ad alcuno ingiuria. Se alcuno gli nomasse sacri chi è
cosi fuori di se, che non vedesse che mente? benche, si come si vede nelle cose
precedenti, talhora la loro Theologia s'estenda d'intorno le cose honeste:
laquale spessissime fiate piu tosto Fisiologia, overo Etheologia, che Theologia
si deve dire, mentre le loro favole tengono in se cose naturali, overo morali:
& questa anco piu adoprarsi circa la verità Catholica, purche la qualità
delle favole il voglia. Il che habbiamo conosciuto havere fatto alcuni poeti
Orthodoxi, dalle fittioni de quali sono stati coperti i sacri documenti. Et
accioche a questi non sia noia havere udito, nè gli paia cosa difficile, che
alle volte i Poeti si possano chiamare sacri Theologi, il nostro Dante non ha
celato sotto velame Poetico tutto quello, che è nel sacro seno della Filosofia?
La onde è da chiamare Theologo sacro. Cosi anco quelli, che sono sacri
Theologi, ricercando ciò il bisogno, diventano Fisici. Laqual cosa se altre
volte non aviene, almeno la dimostrano, mentre esprimeno il senso da una favola
di legni, che gli constituiscono un Re.
Diranno forse de gli altri con
piu dritto animo de i primieri, essere non honesto all'huomo Christiano
descrivere, overo ricercare le superstitioni de Gentili, et gli dishonesti
sacrifici, overo Geneologie, havendo possa talhora queste cose tali guidare le
menti dei lettori in false opinioni, & molte volte ritenerle in pericoloso
pensiero. Nol negherò. Questo veramente è detto santissimamente, & tengo
che alcuni siano da levare dallo studio di tali cose, & cosi anco potersi
concedere ad alcuni senza nessuna sinistra opinione. Percioche se da queste
fosse paruto necessario astenerse tutti, non dubito, che la Sacra & Santa
Madre Chiesa con perpetuo decreto non l'havesse vietato. Già fu utilissimo,
mentre a pena appresso Gentili pullulava la Chiesa, contra questi tali,
percioche fino allhora erano instrutti con tutte le forze perseverare, &
fortemente havere cura delle cose sacre, si per l'origine della vera fede come
per la perseveranza della Gentilità, accioche i lettori da simili cose tratti
come da uno uncino dell'antichità, a guisa del cane, non ritornassero al
vomito. Ma hoggidì per gratia di Giesù Christo si è venuto in fermissima
fortezza, & si ha mandato in ruina, & perpetue tenebre il mortal nome
de Gentili insieme con gli errori suoi, & la vittoriosa Chiesa possede lo
steccato de gli inimici. La onde quasi senza pericolo queste cose si maneggiano
& ricercano. Nondimeno non nego, che non sia ben fatto astenervi il
fanciullo, che ha la memoria pronta, & tenace, & anco l'ingegno
tenerino, il quale non ancora ha la perfetta cognitione della Religione
Christiana. Ma nondimeno se ben forse altri piu duri anco di me si lasciassero
credere in cosi vituperoso peccato, come che niente altro non havessi studiato,
a pena posso credere, che a me ciò avenisse, percioche dal ventre della madre
mia portato al fonte della nostra regeneratione, & ivi lavato, quello, che
per me fu promesso da quelli, che mi levarono dal Battesimo, in quanto puote la
fragilità humana, fino al dì d'hoggi mi ho sforzato osservare, havendo sempre
per cosa certissima quello, che si essalta nella congregatione degli huomini
giusti, cioè esservi un Dio in tre distintioni di persone, & questo,
eterno, & di tutte le cose dritto fattore; & di quelle con perpetua
ragione governatore, conservatore, & rettore, che in se contiene il tutto,
& da alcuna cosa non è contenuto. Et cosa maravigliosa, & non piu
udita, per artificio dell'istessa deita si è fatta la parola di lui eterna, con
l'adombratione dello Spirito Santo, per cacciare la macchia del genere humano
per la disubidienza de i primi padri oprata, con l'annunCiatione celeste nel
utero della beata Vergine divenendo carne: & indi dal ventre di quella,
come huomo passibile, & mortale nascendo: ilquale anco fanciullo nel grembo
della madre de i Re Sabei con doni fu adornato, & crescendo in età tra i
Dottori della sacra legge, mentre gli scioglieva gli annodati dubbi, non Dio,
ma fanciullo di maravigliosa speranza fu tenuto. Non anco lo eterno splendore
della verità haveva levate la nebbia dalle menti loro, che conoscessero il vero
Iddio a quelli promesso, veggendolo formato di mortal carne. Oltre ciò per cosa
certa colui, ilquale lasciata l'habitatione celeste, tolse la forma di servo d'Iddio,
& tra gli huomini havendo già conversato trenta anni, fu lavato nel fiume
Giordano dal peloso, & selvaggio Profeta, che fu tratto dal ventre della
madre pieno di sacro spirito per aprire la porta della celeste salute; onde il
Cielo intonò di sopra & un forte mormorare d'una eminente nube si sciolse
in voce di deità, dicendo: Questo è il
mio figliuolo diletto, nel quale a me sono bene compiacciuto; udite lui.
Appresso questo, credo, & ho per cosa ferma che in Galilea facesse di acqua
vino per dimostrare la divinità nascosta nel sacro petto; & indi pigliato
il sacro consortio, se ne andasse in Giudea, nelle Città dei Fenici in Samaria,
& Galilea, dove con la celeste scienza nel Tempio, & nelle Sinagoghe
ammaestrò i popoli, curò i leprosi, ritornò la favella a mutoli, allumò ciechi
da natività fece di morti vivi, commandò alle febri, all'onde, & a i venti,
& in molte altre cose mostrò segni della sua deità. Doppo questo ho per
fermo, che venendo l'hora sua, procurando la invidia de gli Hebrei Sacerdoti
contra quello, doppo l'havere lavato i piedi a gli Apostoli, & celebrato
quel gran convito, nelquale con le sue proprie mani, & parole fu ordinato
quello ineffabile sacrificio della nostra Communione, dove diede il suo corpo
in cibo, & il suo sangue in bere cosi a i presenti, come a i futuri,
essendo venduto da un scelerato, & iniquo de i suoi compagni, fornita la
oratione nel diserto, fu preso dalla rea, & perversa turba de' Giudei, che
con fusti, & lanterne il cercavano, & condotto alla presenza de
Principi, dove falsamente accusato da alcuni falsi testimoni, cosi sopportando
l'humiltà sua, & di qui condotto nel Palazzo del Preside, & beffato, fu
battuto con le verghe, ornato di corona di spine, con sputi, & sorgozzoni
oltraggiato, & ultimamente a guisa di ladro sententiato, conficcato in una
alta Croce, & in quella con aceto, & fele abbeverato, delquale essendo
già per l'humanità vinta da i supplici, venuto al fine la vita: overo, &
istimo meglio, come piace a Thomaso d'Aquina, havendo volontariamente raccolto
le forze, & mandato fuori lo spirito, tremò tutto il Mondo, & lo
splendore del Sole di mezzogiorno per tre hore si oscurò offuscata la Luna in
contrario, benche a Policano altrimenti scriva Dionisio Ariopagita, di che mi
maraviglio.
Indi essendoli forato il petto
con una lancia da un cieco soldato, mandò fuori sangue, & acqua, dalquale
credo habbiano havuto principio tutti i sacrifici della nostra salute. Ne me
non ho per certo, ch'ei fosse levato di Croce, & sepolto, & poi per
virtù della sua deità, si come haveano predetto i sacri Profeti, doppo il terzo
giorno, si come Giona del ventre della balena, cosi dal ventre della terra
vincendo la morte resuscitò, & ritornato vivo visitò le case infernali;
dove rompendo le porti infernali, & mettendosi sotto i piedi Plutone,
ritornò in libertà tutta l'antica preda; & doppo questo apparve molte volte
a i suoi, & stando nel mezzo di loro, che lo vedevano senza esser impedito
dalla corporea salma col vero corpo già mortale da se stesso volò in Cielo da
colui, che lo havea mandato in terra. Dove poscia mandò sopra gli Apostoli suoi
quel celeste fuoco, che esce da se, & medesimamente dal padre suo, &
vivifica, alluma, & ammaestra il tutto; delquale eglino essendo illustrati,
subito incominciarono far guerra contra il Principe del Mondo; onde col loro
sangue, & molte ferite (nato in ogni luogo il seme della verità, &
ottenuta la vittoria) trionfando nella celeste patria seguirono il suo Duce.
Cosi fu ordinata dall'istesso unigenito d'Iddio la pia congregatione de i giusti,
& quel sacro lavacro della regeneratione, per lo quale sono cancellate le
cattive opere de mortali, essequendo appresso gli altri lodevoli, & degni
sacrifici dell'istessa conventione per liquali diventiamo piu ubidienti a
Iddio, & caduti per nostra imbecillità si leviamo, & volentieri a lui
riccorriamo; nè però da noi si sparge il sangue humano si come già fecero molti
Gentili, nè meno a lui sacrifichiamo secondo l'antico costume, Montoni, nè
Tori. Nè da me fu mai tolta questa verità, che col testimonio de padri non
creda quell'ultimo giorno haver avenire, nelquale ritorneranno tutte le cose
mortali in niente, & per opera eccelsa d'Iddio tutti ripigliando le nostre
ceneri, ritorneremo di nuovo in mortal corpo si come prima eravamo, ma eterni;
onde venendo nel prefinito luogo, dove esso Christo giudice del tribunale
sederà in maestà propria, & si vedranno i segnali della sua passione: &
poi udiremo la finale, & eterna sentenza de meriti nostri. Di che io
similmente nella futura vita non per miei meriti, ma per misericordia divina
spero veder Dio redentore mio nella mia carne, & con i beati viver lieto
nella terra de viventi.
Questa fede adunque sincera, per
non parlare piu oltre, & questa eterna verità, è di maniera fissa nel mio
cuore, che non pure puote essermi levata da nessuna forza di Gentilità, ma nè
anco in alcun modo crollata, nè macchiata. Percioche se bene sono huomo
peccatore, nondimeno per gratia di Giesù Cristo, non sono il Terentiano
giovanetto Cherea, ilquale veggendo depinto Giove, che dai tetti in pioggia di
oro cadeva nel grembo di Danae, innammò anche egli nella disiata da lui
scelerità. La leggerezza, se n'è andata con gli anni giovanili, se però punto
d'intorno alle cose dette ve ne fosse stato, ilche non mi ricordo. Oltre ciò
considerando che con inganni continui, & reti da ogni parte tese, l'antico
nemico ruggendo come Leone camina per l'orme dei mortali por ritrovare alcuno
da divorare sforzandosi di condurre tutti in ruina io come quel vecchio
Mitridate Re di Ponto, ilquale con magnanimo ardire, & gran dispendi per
quaranta anni continui contra il popolo Romano mantenne grandissima guerra,
& memorabile, dalla gioventù sua contra il mortale veneno si armò il petto
di medicine, & rimedij medesimamente ho armato il mio dell'Evangelica verità,
con la sacra dottrina di Paolo, & con i commandamenti, consigli, &
persuasioni d'Agostino & molti altri venerandi padri; la onde disprezzo
l'armi gentili. Se io huomo Christiano per commandamento tuo, ò inclito Re, le
pazzie de Gentili ho trattato, ho fatto ciò in dispregio della loro falsa
credenza, & se alle volte, è lecito agguagliare le cose picciole alle
sublimi, ho fatto quello, che anco con somma lode hanno fatto alcuni santissimi
huomini, si come Agostino, Girolamo, & con alcuni altri insieme Lattantio.
A me veramente dalla fanciullezza in poi, è cosa chiarissima tutti gli Dei
delle genti (con la guida del Salmista) essere Demoni, & di qui sempre mi
sono spiacciuti i loro scelerati affari. Confesso nondimeno, lasciato la sua
falsa religione, essermi piacciuto i costumi, & gli scritti d'alcuni Poeti;
& però non solamente havergli lodato, ma secondo il poter mio difeso dalle
oppositioni de gli accusatori, si come chiaramente per innanzi s'è visto. Et
questo ho fatto, affine che non siano lacerati da gli ignoranti; percioche se
havessero conosciuto, & adorato Christo, tra i piu sublimi del Christiano
nome sarebbono tenuti. Ma alcuni riguardando alle cose di sopra, diranno, tu
hai fatto bene, attento che l'haversi fatto forte contra i inimici, sempre fu
lodevole. Ma quelli che vanno sopra le cime dalle cime sono gittati a terra.
Già molti, istimandosi fortissimi da un debile incontro anco dell'inimico sono
talhora caduti. Et se gli altri mancano, de quali il numero è grande, nondimeno
Salomone certissimo testimonio della imbecillità humana vi è presente. A costui
fu conceduto ogni scienza, tutte le ricchezze & Imperio grande. Con
grandissima giustitia tenne soggetti i popoli, a Iddio edificò un maraviglioso
Tempio, ordinò molte cose buone; & finalmente già d'età maturo, mettendo da
parte il donatore de gli honori, ascendendo il Monte Maloch dell'offensione,
con i ginocchi chini adorò l'Idolo de gli Egitij. Che adunque, sarai tu piu
forte di Salomone, nè piu aveduto? S'inganniamo confidandosi troppo di noi.
Queste cose non si ponno negare, che non siano vere. Nondimeno, un'altra sorte
di contrasto mi resta con gli errori de Gentili, che non fu quello di Salomone
con l'Egittia moglie, laquale conoscendo, che con le sue carezze, &
lascivie havea allacciato l'anima del suo marito infelice, desiderosa
d'inalzare i suoi Dei, hora con abbracciamenti venerei, hora con dolci parole,
hora con soavi carezze, hora con lascivie, preghi, & lagrime, le quali sono
prontissime alle Donne, & hora con sdegni, & querele, non pure i
giorni, ma le notti anco crucciava l'animo dell'innamorato marito. O quanto
sono gravi, & insopportabili i contrasti delle amate Donne, et spetialmente
i notturni. Questi finalmente temendo non perdere la gratia dell'amata moglie
rivolse le spalle, & disarmato si sottopose alle forze dell'armata donna.
Ma a me non è tal guerra contra le ciancie de Dei Gentili, percioche con mille
ragioni già da me conosciute le ho confutate. Et però leggiero è il mio
contrasto con quei privi di forze, & cacciati dalla schiera. So nondimeno,
che il fidarsi troppo di se stesso alle volte è vitio, ma io di me non mi fido,
ma si bene della gratia di Giesù Christo, dal cui pregiato sangue sono stato
riscosso. Spero, ch'ei non patirà che io ilquale giovanetto drittamente ho seguito
i suoi vestigi, hora vecchio pericoli; anzi s'io verrò a cadere egli mi porgerà
la sua mano, acciò mi rilevi & con piacevole riposo aiuterà me lasso. Ma
per giungere al fine, assai dalle cose dette si puote presuporre, che non a
tutti è lecito parlare delle cose de Gentili, ma ne anco a tutti vietato.
Se bene alcuni confesseranno
esser vere parte di quelle cose, che si sono dette, nondimeno istimo, che non
riposeranno, anzi tengo, che diranno esser stato meglio haver speso il tempo in
studi piu santi, che haver detto cose tali. Ilche se alcuno negherà, veramente
non sarà molto saggio. Ma io dirò ben questo, che bene so, che v'erano in
pronto le leggi de gli Imperatori, i Canoni de i Pontefici, & la Medicina,
de quali sono istimati molti santissimi gli studi, percioche per loro mezzo i
mortali d'oro ingordi si arrichiscono. Vi era anco la Filosofia, per la cui
ottima dimostratione si conoscono le ragioni delle cose, & si appara il
separare le cose vere dalle false, & si deve ricercare da tutti gl’ingegni
generosi. V'erano anco i sacri volumi, da iquai siamo ammaestrati sprezzar le
cose frali, & si sono dichiarate le potenze d'Iddio, & appresso
dimostrato per qual sentiero si vada al Regno celeste, ilqual studio veramente
è da preporre a gli altri. Ogni uno adunque, che di questi mi havessi eletto,
forse gli oppositori havrebbono detto che mi havrei fatto meglio. Ma si ogni
uno facesse quello, che deve, lo essecutore delle leggi invano sederebbe ne i
tribunali. Nondimeno, egli non è cosi facile, come istimano alcuni, volere il
tutto, che dobbiamo, & molto piu difficile conseguire se vogliamo.
Percioche, si come il Citharedo di varie corde altre tirate piu lente, altre
piu molli, rendendo queste acuto suono, & quelle piu grave, con la dotta
mano, & con l'archetto da cosi discordi tuoni trahe una soavissima armonia;
cosi la madre natura di cui le forze sono infinite, & l'ingegno perfetto,
produce queste cose frali atte a diversi uffici, accioche da questa diversità
d'uffici ne risulti la conservatione del genere humano, d'intorno alquale è
molto intenta; & non si potendo andare in lunga conservatione, la nuova
produttione avertendo, che se tutti fossemo prodotti eguali (per lasciare il resto)
gli huomini non potrebbono essere prodotti, nè con alcuna ragione per un
tempicello solo durare: di qui aviene che per discretto ordine della Natura,
questo nasca Fabro, quello Nocchiero, quell'altro Mercante; alcuni atti alla
dignità Sacerdotale, altri governi, altri a professione di legge, altri Poeti,
altri Oratori, alcuni Filosofi, & altri sublimi Teologi; & da quali
studi diversi è necessario, che risulti la conservatione di si gran moltitudine
d'huomini. Attentoche, se tutti (percioche egli si appartiene ad ogn'uno, se si
potesse, ascendere a sublimi studi) si drizzassimo alla Theologia, & che
l'agricoltore non vi fosse, di quali frutti noi seguendo cosi nobile studio,
saremmo nodriti? Se l'architetto nè il Legnaiuolo non ci fosse, in quali case, &
sotto quai tetti si difenderessimo dalle pioggie, da i venti, dal freddo, dal
caldo, & dalle altre continue incommoditadi? Et se non vi fosse il Lanaio,
nè il Sarto, dove si pigliarebbono le vesti, Che starò ad annoverare tante
cose? si come in commodo del corpo humano dalla natura delle cose sono apposti
gli uffici, & membri tra se di qualità defferenti, accioche si fermi in
questa diversità; & si come la melodia si fa dalla diversità de i tenori,
cosi anco accioche il genere humano perseveri fu necessario, che fossimo
prodotti a studi tra se differenti.
Et se da essa Natura, laquale
(cosi volendo Iddio) in tal modo ha ordinato i Cieli, il girare, & il corso
de Pianeti con diversi moti, che senza alcuna sua fatica veggiamo essere
prodotti a diversi uffici, prego dirmi, chi sarà colui, che felicemente habbia
ardire passare in ufficio differente da quello a cui sia nato? Non sono già
cosi ignorante, che non habbia conosciuto, che con la potenza del libero
arbitrio, delquale tutti vogliamo, non possiamo vincere le forze della Natura,
ilche leggiamo havere fatto alcuni, laquale veramente è opra da annoverare tra
le cose, che di rado avengono, tanto siamo condotti da grande, & quasi
invincibile, necessità quando nasciamo. Et se bene a diverse cose siamo generati,
nati, & nudriti, se bene operiamo quelle, a quali siamo guidati, veramente
egli è assai, senza che vogliamo passare piu oltre, laqual cosa tentando già
alcuni invano, perderono quello che erano, ne poterono diventare quello, che
cercavano. Tuttavia a tutte l’altre attioni, che la Natura si habbia prodotto
gli altri, me ella (testimonio la sperienza) ha prodotto dal ventre della madre
disposto alle considerationi poetiche, & al giudicio mio, a questo sono
nato. Assai mi ricordo, che da fanciullo il padre mio pose ogni suo sforzo,
perch'io divenissi Mercante; onde non essendo anco entrato nella adolescenza,
havendomi fatto benissimo apprendere l'Aritmetica, mi pose a stare con un
grandissimo Mercante, appresso ilquale nello spatio di sei anni non feci altro profitto,
che perdere il tempo. Di qui, perche si vide per alcuni inditij, che sarei
stato piu atto a gli studi delle lettere, commando il padre mio, ch'io entrassi
ad udire le regole Pontificali, istimando perciò, ch'io havessi a divenire
ricco; di che sotto un famosissimo Maestro quasi altro tanto tempo invano
perdei. Questi studi mi fastidivano l'animo di maniera, che nè in l'uno, nè
l'altro di questi uffici, nè per la dottrina del Precettore, nè per l'autorità
del padre, dalla cui con nuovi commandamenti continuamente ero stimulato ne per
preghi d'amici, nè villania, non puoti mai inchinarvi l'animo, tanta era
l’affettione, che alla Poesia guidava quello. Nè per nuova imaginatione di
consiglio l'animo mio s'inchinava allhora alla Poesia, anzi dall’antichissima
dispositione vi era cacciato. Percioche ricordomi, che anco non haveva sette
anni, nè havevo veduto fittione alcuna, & a pena havevo cognitione de i
primi elementi delle lettere, non che udito alcuno Dottore, che in me fu il
disio di comporre fittioni, cosi spinto dalla natura:& se bene non erano di
alcuno momento, nondimeno alcune ne composi, ma non anco le forze dell'ingegno
di cosi tenerilla età erano bastanti a tanto ufficio. Tuttavia cresciuto in età
piu matura; & divenuto huomo di libertà mia, senza che alcuno a ciò mi
confortasse nè m'insegnasse, anzi facendomi resistenza il padre, &
biasimandomi studio tale, l'ingegno da se stesso divenne capace di quel poco,
che di Poesia ho compreso, onde con grandissima cupidigia la ho seguita, & con
grandissimo diletto ho visto, & letto i libri de i suoi Autori, & sommi
sforzato al meglio, che ho potuto intendergli. Et maravigliosa cosa da dire,
non havendo anco conosciuto con quali, overo quanti piedi caminasse il verso,
& a ciò opponendomi con tutte le forze mie, quello, che hora anco non sono,
quasi da tutti, che mi conoscevano, fui chiamato Poeta. Nè ho dubbio alcuno
che, se mentre la età a questo era piu atta, il padre mio havesse acconsentito
a questi studi, che non fossi diventato uno tra i famosi Poeti. Ma cercando
egli prima nelle arti mercantesca, & poi nella industriosa facultà al
guadagno piegar l'ingegno mio, e avenuto, che io non sia stato nè negoziatore,
ne Canonista, & ho perduto di essere notabile Poeta. Gli altri studi delle
facultà, se bene mi piacessero, perche a quelli non era guidato, non gli ho
seguito. Nondimeno ho veduto i sacri volumi, da quali, attentoche la età è
piena d'anni, & la debolezza dell'ingegno mi ha sconsigliato, sono rimosso,
parendomi cosa vergognosa, che un vecchio incominci nuovi studi, essendo cosa a
tutti disonesta, mettersi a quello, che non si pensa non poter finire. Et però
istimando per volere d'Iddio essere chiamato a questo, in questo anco mi voglio
fermare, & lodare quello, che oprerò col mezzo della dimostratione di
questi studi: & cerchino gli altri quello gli pare. Quelli adunque, che
sopportano il pecoraio dare opra alle sue pecore, il molinaio al molino, &
lo statuario alle sue statoue, lascino anco me dar opra a i Poeti, nè in ciò mi
siano contrari.
Saranno di quelli, che
trascuratamente si faranno innanzi ad alta voce gridando, che io sono huomo
pazzo, percioche mi presumo cavare fuori della terra i busti de gli antichi Re,
& le già per lunga pace quiete ceneri in nuovo odio suscitare, overo con
piu moderni nuvoli offuscare gli antichi splendori, & appresso in meno
opportuna consideratione eccitare le mezze morte scelerità de gli dei nel
conspetto di tutti, & indi sotto honorato titolo di Geneologia de gli Dei
narrare i loro ladronezzi, & incesti. Questa certo è una lunga querela,
& composta di molti membri: onde per sua dimostratione considero, che
questi si sono accorti di quello, che m'ha scritto, & spetialmente mentre
si lamentano, che io ho narrato i fatti delli Dei Gentili. Questa lamentatione
all'ohora mi sa di animo gentile, & se cosi sono nella mente le parole, si
come i lamenti, che escono dalla bocca, fino al dì d'hoggi in alcuni vive
quello errore infame, il quale prego Iddio, che tolga, & la ritorni in
nulla. Egli è cosa facile rispondere a queste obiettioni. Temerariamente opra
colui, che di soverchio trappassa i termini dello ardire, tale ricordomi essere
la spinione d'Aristotele nel libro della Ethica; ma io istimo non gli havere
passato. Percioche havere ardire oprare quello, che dalla necessità del bene è
conceduto, non è temerità. Ho letto non essere vietato ad alcuno scrivere i
fatti de i Re, ò honesti, ò dishonesti, che si siano. Nondimeno era meglio a i
Re oprare cose tali, che di loro non si potesse riferire cosa men che honesta.
Io di questi non con ordinato, nè a ciò disposto stile ho scritto, ma
leggiermente tal volta ne ho trattato alcuna, si come l'ordine della opra mi ha
constretto. Ma concedendo anco, ch'io l'havessi fatto, non però o fatto male
alcuno, nè oprato cosa nuova, & disusata. Vi sono dei volumi cosi antichi,
come grandi Illustri scrittori, ne quai con famoso stile, & intiero ordine
si trattano i fatti de i Re; da' quali se alcuna cosa nella opra mia di loro si
contiene, novissimo là ho raccolta. Se adunque si deve far querela alcuna,
lamentinsi di que' maggiori, & antichi historici i cui celebratissimi
scritti già lungamente sono stati palesi a tutto il mondo, da questi, se alcuno
odio si può generare, si ha incominciato a far principio contra i ceneri già
quieti. Ma gli prego, che pietà è questa? da qual fonte di charità nasce? &
quale è la cagione di questa pietà? Credo, che questi tali, desiderando
mostrarsi generosi, non sappiano in qualaltro modo darlo ad intendere, che col
mostrare di haver cura de gli honori reali, & turbarsi nel sentire dirne
male. O come per picciolo pregio questi tali istimano comprarsi la nobiltà;
laquale si acquista con i famosi costumi con la giustitia, con la sanità, &
con la scienza. Questi tali se fossero nobili, saprebbono, che non pure è
superfluo, ma anco dannoso non solamente a i Gentili, ma a tutti i mali meriti
havere compassione; & però se sono saggi, serbino questa pietà in meglio.
Le vergognose scelerità de gli dei Gentili non dormeno, nè sono estinte, anzi
dalla sacra dottrina di Christo sono state sepolte senza mai piu levarsi, &
indi con la gran mole della dannatione coperte, & oppresse. Il peso di
questa mole, se bene non molto, almeno in quanto vogliono le forze mie; si come
huomo Christiano, mi sono sforzato accrescere, aspettando perciò conseguire più
tosto degne lodi, che riprensioni. Non dimeno io faccio poco conto di questi
morsi; percioche con nessuna acutezza di dente non ponno offendere alcuno.
Questi adunque, se sono Christiani, tacciano, & si pentino se hanno havuto
giamai compassione delle oppositioni fatte alli Dei Gentili, attentoche tra
l'altre cose questo difetto non stà bene all'huomo Christiano.
Alcuni verranno poi, che mi
chiameranno breve, perche alle volte più tosto succintamente, che con lungo
ordine ho narrato le favole, & le historie, & di quelle dichiarato i
sensi. Ma non dubito poi, che non vi siano anco di quelli, che diranno, che
talhora sono piu lungo, che non faceva bisogno. Ai primi dirò che egli è come
dicono, ma che io sono stato constretto a cosi fare, & di ciò vi sono molte
ragioni. Alcune sotto poche parole sono state riferite, perche non v'era, onde
io potessi scrivere né, estendermi piu lungo, eccetto, se del mio non havessi
voluto fingere, overo ampliare le favole, & historie; ilche deve al tutto
fuggire ogni degno huomo. Altre poi havevano bisogno di poca scrittura, per
raccontarle anco a pieno; onde, se bene vi si considera, sarebbe stato vitio
l'haversi esteso molto. Nondimeno vi sono molte cose, che senza dubbio
havrebbono sopportato più lunga copia di parole, ma prego questi tali dirmi, se
io (lasciamo tutte quelle cose, che si potrebbono haver detto, overo ricercato
la materia) havessi solamente scritto quelle, che mi occorrevano nella memoria
d'intorno le lunghissime historie, & favole, d'intorno i particolari atti
cosi delli Dei come delli huomini, d'intorno i molti sensi delle fittioni,
d'intorno il testimonio delle favole, & historie antiche, d'intorno le
autorità, l’opinioni, et le relationi, et d'intorno simili altre cose, quando
mai istimano, c'havrei dato fine a quest'opra? Veramente a pena un secolo mi
sarebbe bastato, & il volume sarebbe divenuto si grande, che nel primo solo
incontro tutti i lettori si sarebbono smarriti. Et però mi sono imaginato
essere stato assai l'haver leggiermente toccato quelle cose, che si sono dette;
percioche non scriviamo ad un fanciullo, nè al volgo da poco anzi si come altre
volte è stato detto, ad un dottissimo Re, & ad huomini saggi se alle volte
dalle tue mani Serenissimo Prencipe sarà per pervenire ad altri quest'opra.
Oltre ciò, accioche gl'ingegni si essercitino, non cosi a pieno sono da
scrivere tutte le cose. Attentoche quelle cose, che si acquistano con qualche
fatica sono solite piu a piacere, & essere tenute con maggior diligenza di
quelle, che da se stesse entrano nell'intelletto del lettore. Egli è anco da
lasciare spatio di scrivere a i posteri, accioche non paia, c'habbiamo havuto
invidia a i futuri mostrando con una certa arroganza, alla cui tutti aspiriamo,
haver occupato la gloria de i posteri. Adunque con benigno animo egli è da
sopportare quello, che per honeste cagioni è stato detto brevemente, overo per cagione
di brevità lasciato. A quelli poi, che diranno che alle volte io sia stato piu
lungo del debito, non so che risponderli altro eccetto, che mi è stato bisogno
cosi essere: ò perche alle volte (come aviene) la dilettatione dell'intelletto
mi spingeva, la quale anco ai piu prudenti talhora concede la penna
liberalissima. Ma che? si come le cose brevi hanno possa di essercitare
gl'ingegni degl'intendenti, cosi le piu ampie provocar quelli dei meno
intendenti. Et però quelli, che piu sanno, ricordinsi che anco eglino una volta
sono stati rozzi; di che senza sdegno sopportino, se un poco piu ampiamente si
ha durato fatica per li piu giovani.
Saranno forse di quelli che
diranno quello, che alle volte è stato anco detto di alcuni altri famosi
huomini, cioè, che io ho finto per gloria del nome mio haver per tuo
commandamento, ò inclito Re composto quest'opra. Onde non essendo ciò vero, la
loro fede sarà tarda, ma si conoscerà bene il scelerato animo di quelli, che
ardendo d'invidia fanno falsa coniettura contra gli altri. Egli è cosa certa,
per usare delle parole di Cicerone, che tutti siamo guidati dallo studio di
lode, & ciascuno ottimo è condotto grandemente dalla gloria; & però
essendo cosa gloriosa ad un picciolo huomo poter servire ad un grandissimo,
& ottimo Re, non troverà con difficultà fede haver detto alcuni per
inalzare la humilità sua haver finto una simile bugia; ma non crederò mai, che
gli scrittori lo habbiano fatto. Tuttavia di questo un'altra volta. Io per
parlar di me; non negherò, che non sia disioso di gloria; ma come che la
desideri, non sono però cosi sfrenato, non di maniera acceso di tal desiderio,
nè tanto inimico dell'honestà; che m'havessi lasciato incorrere, non dirò senza
rossore, in cosi vergognosa bugia, ma nè anco in tal viltà di mente. In questo
mi confesso superbo, se superbia si deve dire questa. In tali cose non essendo
ricercato, non darei honore, nè titolo ad alcuno, eccetto al solo Iddio del
Cielo; nè questo anco osarei verso tutti, che mi ricercassero. Tu hai
conosciuto, Ottimo Re, che contra mia voglia, & rifiutando questo carico,
per prieghi, & persuasioni di Donino tuo Barone, mi sono condotto a fare il
tuo volere, cioè ad entrar sotto questa fatica; nè passando molti anni avenne
poi, che Bechino Bellinzoni tuo famigliare, & nostro Cittadino, venendo di
Cipro, mi trovò in Ravenna, dove poscia che con piacevoli parole la clemenza,
& gratia di tua Maestà verso me di alcun merito, con grandissime essortationi
per nome, & commandamento tuo, ricondusse di nuovo l'ingegno mio d'intorno
la presente opra da me quasi posta da parte, & tralasciata. Medesimamente
Paolo Geometra a te carissimo mostratemi molte volte lettere segnate col
sigillo di tua Sublimità, nelle quali si contenevano commissioni a me di questa
opra, mi ha fatto a ciò sollecito. Iddio ha conosciuto, et tu sai, che io non
ho giamai veduto nè la Maestà tua, nè tu hai me potuto vedere. Ho creduto a
queste commissioni, & sono entrato sotto grandissimo peso a gli homeri. Se
senza tua saputa queste cose sono state fatte, per li già nomati sono stato
ingannato, & cosi confesso questi che parleranno contra me, essere
veritevoli, affermando; ch'io per tua commessione non l'habbia composta, ma non
già per mio difetto, eccetto se alcuno non dicesse, che io havessi fallato in
questo perche non mi habbia risposto, che l'havrei fatto, se tu con lettere a
me spetialmente diretive me l'havessi commesso, ma questo mi è paruto superbo
troppo; attento che havrei mostrato per persona degna di poca fede Donino tuo
famosissimo soldato, il quale per essere morto quell’anno istesso, che mi venne
a trovare, no'l posso hora chiamare per testimonio. Tuttavia Becchino, &
Paolo Geometra vivono. Questi io, & la reale tua fede ho in terra per
testimonio di questa verità. Te adunque insieme con loro invoco. A te si
aspetta questa fatica, se la necessità farà bisogno, in resistere a questa
oppugnatione, & con la confermatione della verità purgare il nome mio da
cosi vergognosa nota d'infamia. Ma per lasciarti alquanto riposare ottimo Re,
verrò a questi oppositori, & alle loro obiettioni per ragion mia risponderò
alcuna cosa. Affermo tanto, quanto s'io fossi a lite dinanzi un tribunale, che
io ho testimoni vivi, nè di feccia plebea, ma huomini Illustri, perche a me
faceva poco bisogno, che andassi fino in Cipro per si vile bugia; se desiderava
ornare l'opera mia del nome Reale quasi come io non havessi prima saputo quello
che mi faceva. Poscia sono stato confortato da altri indrizzarlo a degni
Principi, istimando non solamente, che eglino col nome loro a me havessero à
partorir gloria, anzi che io con tal mezzo, delle mie scritture venissi ad
aggiungere splendore a i loro Illustri Titoli. Nè ciò è meraviglia percioche vi
sono i segni de gli aiuti de gli scrittori, & i nomi de’ Re. Di qui
Alessandro Macedonico; il quale hebbe ardire animosamente con gran schiera di
soldati assalire tutto il Mondo, andando contra Persi menò seco molti di questi
scrittori che scrivessero i suoi fatti; dove venendo in Sigeo, vide il busto
d'Achille, & tacer non puote, che con parole non dimostrasse quanto grande
gli paresse la gloria, che i Re conseguivano da gli scrittori, chiamandolo
fortunato per haver havuto Homero trombetta delle sue prove. Di qui Pompeo
Magno, ilquale fece la fortuna eguale con la virtù, donò a Theofante Mithileno
una Città, come se egli fosse per fare il nome suo immortale tra le schiere,
dei soldati. Di qui i Scipioni, Tito Fulvio, Cato Censorino, Quinto Metello
Pio, Caio Mario, & molti altri uomini Illustri si sono mostrati benigni, et
liberali a gli scrittori, per moverli a scrivere di loro. Perche adunque nelle
mie lettere buggiardamente includerò un’inclito Re; come se per forza volessi
dargli gloria, & con vergognosa macchia oscurar la mia? Se io fossi cosi
ingordo l'inalzare con bugie la mia gloria ho molte altre operette, lequali non
sono ornate di alcuno titolo simile, eccetto che la Bucolica, laquale mi
dimandò, che egli la intitolassi Donato Apenninigena povero ma huomo da bene,
& singolare amico mio. Perche a tutte non pongo innanzi nomi di Re? Oltre
cioè cosa nuova al mondo, che i Re desiderino alcuni scritti, & fare delle
amicitie? Non veramente. Ricordomi a giorni nostri Roberto splendido Re di
Gierusalemme, & di Sicilia, ornato di titoli da molti, haver dimandato al
famoso huomo Francesco Petrarca, che gli intitolasse l'Africa da lui nuovamente
composta, che di ciò non gli potrebbe fare piu alto dono; perche ricerco egli
questo, & per inalzare qual gloria? ò quella di Francesco, ò la sua?
Veramente la sua. Che tante cose? I famosi scrittori non fanno Illustri nomi de
i gran Principi; anzi di piu essi Re per opra de gli scrittori sono conosciuti
da i posteri. Oltre ciò se la opra è lodevole, che autorità le può apportare l'aggiuntovi
nome di Re? Overo qual gloria sopragiungere al benemerito autore? ma se è anco
da biasimare, con qual ragione questa inscrittione potrà farla lodevole, ò
rimovere la vergogna imputata allo auttore? Adunque la approvatione de gli
scrittori apporta honore, & gloria ai nomi Reali, & non i titoli a gli
scrittori. Io, si come gia ho detto, sono in ciò cosi ostinatamente superbo,
che da Iddio in fuori, al quale sono da attribuire tutte le cose, che se non
fossi preggato, ò ricercato non ascriverei l'honore d'un verso solo nè anco a
Cesare Dittatore, nè a Scipione Africano, se suscitassero, eccettuando qualche
mio amico. Sia detto questo, ò mio Re, con tua buona gratia, & perdono. Et
ultimamente pregoti, che se aviene, che mai tu oda alcuni fare tali oppositioni,
come consapevole del vero, commandali con sdegno reale, che tacciano, & con
virtù signorile difendi quello, che a te di tua commessione è stato indrizzato,
anzi composto. Mi restarebbono molte cose a dire, ma perche parmi haver detto
assai, ho giudicato lasciare il resto, lasciando la fortuna dell'opra a Iddio,
donatore delle gratie, & a te, la quale poscia che sarà pervenuta nelle tue
mani, se a te piacerà, con l'aiuto tuo uscirà poi in publico ò starà nascosta.
Ecco finalmente, Clementissimo
re, che con l'aiuto della divina pietà si è venuto al fine della opra, nella
quale con quell’ordine, che ho potuto ho descritto secondo le narrationi de gli
antichi la origine de gli Dei Gentili, & la loro discendenza con molte
fatiche quà & là ricercata. Onde secondo il commandamento di tua Maestà in
quanto s'hanno potuto estendere le picciole forze del debile ingegno mio, doppo
le favole v'ho aggiunto i sensi delle fittioni cavati dagli antichi, ò
dall'intelletto mio. Appresso, ho dimostrato, cosa, che mi è parso
ufficiosissima, ad alcuni Poeti contra l'opinioni di questi tali, non dirò
essere tutti giusti, ma non haver semplicemente composto le favole ridicole,
anzi piene di succo, & di scienza; & quelli essere per scienza singolari
per ingegno, & costumi illustri, & anco per famoso splendore notabili.
Oltre ciò ho fermato il mio legnetto nelle onde con l'ancore, & l'ho bene
legato confidandomi sempre piu nella bontà divina, che nella securezza de
legami. Cosi anco dal nocchiero ho levato quei dardi, che mi parevano piu
mortali, come che m'imagini restarvi molte altre cose, contra le quali a pena
credo che mi sarei potuto armare. Percioche non fu mai cosi armigero soldato,
che tanto si potesse armare cautamente, che non vi restasse qualche luogo
disarmato & da poter ferire. Esso Iddio adunque mi difenda, il qual solo
vede le strade de i maligni, & volendo può vietarle. Nondimeno perche sono
huomo, & non ho mai conosciuto alcuno cosi aveduto, che se non è difeso dalla
divina Providenza, non caggia spessissime volte in travaglio, tengo essere
assai possibile, che alle volte habbia lasciato molte cose da dire, scritto di
quelle da tacere, non haver a bastanza con ragione confermato delle narrate,
overo men compiutamente haver sodisfatto al tuo disio, overo anco in molti
altri modi haver peccato, di, che mi doglio. Et perche conosco chiaramente, che
i peccati sono da imputare alla mia ignoranza, supplice ti dimando perdono,
& humilmente per lo tuo scettro regale pregoti, che con la grandezza del
tuo infinito ingegno supplisca a i miei difetti cancellando le superfluità,
ornando le parole disornate, & correggendo, & emendando il tutto
secondo il giudicio della tua sincera mente. Et se forse fosti occupato in cose
maggiori, si come per lo piu voi altri Re solete essere, & non potesti
spendere il tempo in questa fatica, allhora supplico tutti gli huomini honesti,
sacri, pij, & Catholici, & spetialmente il Celibe Francesco Petrarca,
famosissimo mio precettore, alle cui mani talhora perverrà questa opra, che per
amore di quel pregiatissimo sangue di Giesù Christo vogliano emendare tutti
quegli errori, che forse disavedutamente ho fatto, & ridurli in termine
buono, che questo lo attribuirò a sua pietà, & benignità. Voglio, che alla loro
censura, & correttione questa mia fatica sia sottoposta. Oltre ciò Inclito
Re, se vi è cosa buona, et ben detta, et che a te piaccia, mi allegro, et della
fatica mia resto contento. Ma non voglio già, che tu imputi ciò a mio sapere,
nè per questo dimando gli Alori, nè altri honori, a Iddio veramente pregoti,
che tu gli attribuisca, dal quale deriva ogni gratia, & compiuto dono; di
che a lui ne darai gli honori, & le gratie vere. Attentoche io secondo mio
costume sempre doppo l'haver fornito ogni mia honesta fatica, sono avezzo con
quella affettione di mente, che posso cantare quel detto di Davit. Non a noi,
non a noi Signore, ma al nome tuo dà la gloria.