CANZONI DEL DECAMERONE

Giovanni Boccaccio

 

1

- -

Io son sì vaga della mia bellezza,

che d'altro amor già mai

non curerò né credo aver vaghezza.

-

Io veggio in quella, ognora ch'io mi specchio,

quel ben che fa contento lo 'ntelletto:

né accidente nuovo o pensier vecchio

mi può privar di sì caro diletto.

Quale altro dunque piacevole obgetto

potrei veder già mai

che mi mettesse in cuor nuova vaghezza?

-

Non fugge questo ben qualor disio

di rimirarlo in mia consolazione:

anzi si fa incontro al piacer mio

tanto soave a sentir, che sermone

dir nol poria né prendere intenzione

d'alcun mortal già mai,

che non ardesse di cotal vaghezza.

-

E io, che ciascuna ora più m'accendo

quanto più fisi tengo gli occhi in esso,

tutta mi dono a lui, tutta mi rendo,

gustando già di ciò ch'el m'ha promesso:

e maggior gioia spero più dappresso

sì fatta, che già mai

simil non si sentì qui da vaghezza.

-

2

- -

Qual donna canterà, s'io non canto io,

che son contenta d'ogni mio disio?

-

Vien dunque, Amor, cagion d'ogni mio bene,

d'ogni speranza e d'ogni lieto effetto;

cantiamo insieme un poco,

non de' sospir né delle amare pene

ch'or più dolce mi fanno il tuo diletto,

ma sol del chiaro foco,

nel quale ardendo in festa vivo e 'n gioco,

te adorando come un mio idio.

-

Tu mi ponesti innanzi agli occhi, Amore,

il primo dì ch'io nel tuo foco entrai,

un giovinetto tale,

che di biltà, d'ardir né di valore

non se ne troverebbe un maggior mai,

né pure a lui equale:

di lui m'accesi tanto, che aguale

lieta ne canto teco, signor mio.

-

E quel che 'n questo m'è sommo piacere

è ch'io gli piaccio quanto egli a me piace,

Amor, la tua merzede;

per che in questo mondo il mio volere

posseggo, e spero nell'altro aver pace

per quella intera fede

che io gli porto. Idio, che questo vede,

del regno suo ancor ne sarà pio.

-

3

- -

Niuna sconsolata

da dolersi ha quant'io,

ch'invan sospiro, lassa innamorata.

-

Colui che move il cielo e ogni stella

mi fece a suo diletto

vaga, leggiadra, graziosa e bella,

per dar qua giù a ogni alto intelletto

alcun segno di quella

biltà che sempre a Lui sta nel cospetto;

e il mortal difetto,

come mal conosciuta,

non mi gradisce, anzi m'ha dispregiata.

-

Già fu chi m'ebbe cara e volentieri

giovinetta mi prese

nelle sue braccia e dentro a' suoi pensieri,

e de' miei occhi tututto s'accese

e 'l tempo, che leggieri

sen vola, tutto in vagheggiarmi spese;

e io, come cortese,

di me il feci degno;

ma or ne son, dolente a me!, privata.

-

Femmisi innanzi poi presuntuoso

un giovinetto fiero,

sé nobil reputando e valoroso,

e presa tienmi e con falso pensiero

divenuto è geloso;

laond'io, lassa!, quasi mi dispero,

cognoscendo per vero,

per ben di molti al mondo

venuta, da uno essere occupata.

-

Io maledico la mia sventura,

quando, per mutar vesta,

sì dissi mai; sì bella nella oscura

mi vidi già e lieta, dove in questa

io meno vita dura,

vie men che prima reputata onesta.

O dolorosa festa,

morta foss'io avanti

che io t'avessi in tal caso provata!

-

O caro amante, del qual prima fui

più che altra contenta,

che or nel ciel se' davanti a Colui

che ne creò, deh! pietoso diventa

di me, che per altrui

te obliar non posso: fa ch'io senta

che quella fiamma spenta

non sia che per me t'arse,

e costà sù m'impetra la tornata.

-

4

- -

Lagrimando dimostro

quanto si dolga con ragione il core

d'esser tradito sotto fede, Amore.

-

Amore, allora che primieramente

ponesti in lui colei per cui sospiro

senza sperar salute,

si piena la mostrasti di virtute,

che lieve reputava ogni martiro

che per te nella mente,

ch'è rimasa dolente,

fosse venuto; ma il mio errore

ora conosco, e non senza dolore.

-

Fatto m'ha conoscente dello 'nganno

vedermi abbandonato da colei

in cui sola sperava;

ch'allora ch'io più esser mi pensava

nella sua grazia e servidore a lei,

senza mirare al danno

del mio futuro affanno,

m'accorsi lei aver l'altrui valore

dentro raccolto e me cacciato fore.

-

Com'io conobbi me di fuor cacciato,

nacque nel core un pianto doloroso

che ancor vi dimora:

e spesso maladico il giorno e l'ora

che pria m'apparve il suo viso amoroso

d'alta biltate ornato

e più che mai infiammato!

La fede mia, la speranza e l'ardore

va bestemmiando l'anima che more.

-

Quanto 'l mio duol senza conforto sia,

signor, tu 'l puoi sentir, tanto ti chiamo

con dolorosa voce:

e dicoti che tanto e sì mi cuoce,

che per minor martir la morte bramo.

Venga dunque, e la mia

vita crudele e ria

termini col suo colpo, e 'l mio furore,

ch'ove ch'io vada il sentirò minore.

-

Nulla altra via, niuno altro conforto

mi resta più che morte alla mia doglia.

Dallami dunque omai,

pon fine, Amor, con essa alli miei guai,

e 'l cor di vita sì misera spoglia.

Deh fallo, poi ch'a torto

m'è gioia tolta e diporto.

Fa costei lieta, morend'io, signore,

come l'hai fatta di nuovo amadore.

-

Ballata mia, se alcun non t'appara

io non men curo, per ciò che nessuno,

com'io, ti può cantare.

Una fatica sola ti vo' dare:

che tu ritruovi Amore, e a lui solo uno

quanto mi sia discara

la trista vita amara

dimostri appien, pregandol che 'n migliore

porto ne ponga per lo suo onore.

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5

- -

Amor, la vaga luce

che move da' begli occhi di costei

servo m'ha fatto di te e di lei.

-

Mosse da' suoi begli occhi lo splendore

che pria la fiamma tua nel cor m'accese,

per li miei trapassando;

e quanto fosse grande il tuo valore,

il bel viso di lei mi fé palese;

il quale imaginando,

mi senti' gir legando

ogni vertù e sottoporla a lei,

fatta nuova cagion de' sospir miei.

-

Così de' tuoi, adunque, divenuto

son, signor caro, e ubidente aspetto

dal tuo poter merzede;

ma non so ben se 'ntero è conosciuto

l'alto disio che messo m'hai nel petto

né la mia intera fede

da costei, che possiede

sì la mia mente, che io non torrei

pace fuor che da essa, né vorrei.

-

Per ch'io ti priego, dolce signor mio,

che gliel dimostri e faccile sentire

alquanto del tuo foco

in servigio di me, ché vedi ch'io

già mi consumo amando e nel martire

mi sfaccio a poco a poco;

e poi, quando fia loco,

me raccomanda a lei, come tu dei,

che teco a farlo volentier verrei.

-

6

- -

Amor, s'io posso uscir de' tuoi artigli,

appena creder posso

che alcuno altro uncin mai più mi pigli.

-

Io entrai giovinetta en la tua guerra,

quella credendo somma e dolce pace,

e ciascuna mia arma posi in terra,

come sicuro chi si fida face:

tu, disleal tiranno, aspro e rapace,

tosto mi fosti adosso

con le tue armi e co' crudel roncigli.

-

Poi, circundata delle tue catene,

a quel che nacque per la morte mia,

piena d'amare lagrime e di pene

presa mi desti, e hammi in sua balia;

e è sì cruda la sua signoria,

che giammai non l'ha mosso

sospir né pianto alcun che m'asottigli.

-

Li prieghi miei tutti glien porta il vento:

nullo n'ascolta né ne vuole udire,

per che ognora cresce il mio tormento,

onde 'l viver m'è noia né so morire.

Deh! dolgati, signor, del mio languire,

fa tu quel ch'io non posso:

dalmi legato dentro a' tuoi vincigli.

-

Se questo far non vuogli, almeno sciogli

i legami annodati da speranza.

Deh! io ti priego, signor, che tu vogli;

ché, se tu 'l fai, ancor porto fidanza

di tornar bella qual fu mia usanza,

e, il dolor rimosso,

di bianchi fiori ornarmi e di vermigli.

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7

- -

Deh lassa la mia vita!

Sarà giammai ch'io possa ritornar

donde mi tolse noiosa partita?

-

Certo io non so, tanto è 'l disio focoso,

che io porto nel petto,

di ritrovarmi ov'io, lassa, già fui.

O caro bene, o solo mio riposo,

che 'l mio cuor tien distretto,

deh dilmi tu, ché 'l domandarne altrui

non oso, né so cui.

Deh, signor mio, deh fammelo sperare,

si ch'io conforti l'anima smarrita.

-

Io non so ben ridir qual fu 'l piacere

che sì m'ha infiammata,

che io non trovo dì né notte loco.

Per che l'udire e 'l sentire e 'l vedere

con forza non usata

ciascun per sé accese nuovo foco,

nel qual tutta mi coco;

né mi può altri che tu confortare

o ritornar la virtù sbigottita.

-

Deh dimmi s'esser dee e quando fia

ch'io ti trovi giammai

dov'io basciai quegli occhi che m'han morta;

dimmel, caro mio bene, anima mia,

quando tu vi verrai,

e col dir'Tosto' alquanto mi conforta.

Sia la dimora corta

d'ora al venire e poi lunga allo stare,

ch'io non men curo, sì m'ha Amor ferita.

-

Se egli avvien che io mai più ti tenga,

non so s'io sarò sciocca,

com'io or fui a lasciarti partire.

Io ti terrò, e che può sì n'avenga;

e della dolce bocca

convien ch'io sodisfaccia al mio disire.

D'altro non voglio or dire:

dunque vien tosto, vienmi a abracciare,

ché 'l pur pensarlo di cantar m'invita.

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8

- -

Tanto è, Amore, il bene

ch'io per te sento, e l'allegrezza e 'l gioco,

ch'io son felice ardendo nel tuo foco.

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L'abondante allegrezza ch'è nel core,

dell'alta gioia e cara

nella qual m'hai recato,

non potendo capervi esce di fore,

e nella faccia chiara

mostra 'l mio lieto stato;

ch'essendo innamorato

in così alto e raguardevol loco,

lieve mi fa lo star dov'io mi coco.

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Io non so col mio canto dimostrare,

né disegnar col dito,

Amore, il ben ch'io sento;

e s'io sapessi, mel convien celare;

ché, s'el fosse sentito,

torneria in tormento:

ma io son sì contento,

ch'ogni parlar sarebbe corto e fioco

pria n'avessi mostrato pure un poco.

-

Chi potrebbe estimar che le mie braccia

aggiugnesser già mai

là dov'io l'ho tenute,

e ch'io dovessi giunger la mia faccia

là dov'io l'accostai

per grazia e per salute?

Non mi sarien credute

le mie fortune; ond'io tutto m'infoco,

quel nascondendo ond'io m'allegro e gioco.

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9

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Io mi son giovinetta, e volentieri

m'allegro e canto en la stagion novella,

merzé d'amore e de' dolci pensieri.

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Io vo pe' verdi prati riguardando

i bianchi fiori e' gialli e i vermigli,

le rose in su le spini e' bianchi gigli,

e tutti quanti gli vo somigliando

al viso di colui che me amando

ha presa e terrà sempre, come quella

ch'altro non ha in disio che' suoi piaceri.

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De' quai quand'io ne truovo alcun che sia,

al mio parer, ben simile di lui,

il colgo e bascio e parlomi con lui:

e com'io so, così l'anima mia

tututta gli apro e ciò che 'l cor disia:

quindi con altri il metto in ghirlandella

legato co' miei crin biondi e leggieri.

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E quel piacer che di natura il fiore

agli occhi porge, quel simil mel dona

che s'io vedessi la propia persona

che m'ha accesa del suo dolce amore:

quel che mi faccia più il suo odore

esprimer nol potrei con la favella,

ma i sospir ne son testimon veri.

-

Li quai non escon già mai del mio petto,

come dell'altre donne, aspri né gravi,

ma se ne vengon fuor caldi e soavi

e al mio amor sen vanno nel conspetto:

il qual, come gli sente, a dar diletto

di sé a me si move e viene in quella

ch'i' son per dir: «Deh! vien, ch'i' non disperi.»

Assai fu e dal re e da tutte le donne comendata la

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canzonetta di Neifile; appresso alla quale, per ciò che già

-

molta notte andata n'era, comandò il re che ciascuno per

infino al giorno s'andasse a riposare.

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10

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S'amor venisse senza gelosia,

io non so donna nata

lieta com'io sarei e qual vuol sia.

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Se gaia giovanezza

in bello amante dee donna appagare,

o pregio di virtute

o ardire o prodezza,

senno, costumi o ornato parlare

o leggiadrie compiute,

io son colei per certo in cui salute,

essendo innamorata,

tutte le veggio en la speranza mia.

-

Ma per ciò ch'io m'aveggio

che altre donne savie son com'io,

io triemo di paura,

e pur credo il peggio:

di quello avviso en l'altre esser disio

ch'a me l'anima fura.

E così quel'che m'è somma ventura

mi fa isconsolata

sospirar forte e stare in vita ria.

-

Se io sentissi fede

nel mio signor quant'io sento valore

gelosa non sarei:

ma tanto se ne vede,

pur che sia chi inviti l'amadore,

ch'io gli ho tutti per rei.

Questo m'acuora, e volentier morrei,

e di chiunque il guata

sospetto e temo non nel porti via.

-

Per Dio, dunque, ciascuna

donna pregata sia che non s'attenti

di farmi in ciò oltraggio;

ché, se ne fia nessuna

che con parole o cenni o blandimenti

in questo in mio dannaggio

cerchi o procuri, s'io il risapraggio,

se io non sia svisata,

piagner farolle amara tal follia.