Giovanni Boccaccio

 

L'Amorosa visione

 

 

Edizione di riferimento: Giovanni Boccaccio: Amorosa visione, a cura di Vittore Branca, in Tutte le opere, a cura di V. Branca, vol. III, Mondadori, Milano 1974

 

 

 

 

Nelli tre infrascritti sonetti si contengono per ordine tutte le lettere principali de' rittimi della infrascritta Amorosa Visione. E però che in quelli il nome dell'autore si contiene, altrimenti non si cura di porlo. I sonetti sono questi.

 

      Mirabil cosa forse la presente

vision vi parrà, donna gentile,

a riguardar, sì per lo nuovo stile,

sì per la fantasia ch'è nella mente.

      Rimirandovi un dì, subitamente,                                                     5

bella, leggiadra et in abit'umile,

in volontà mi venne con sottile

rima tractar parlando brievemente.

      Adunque a voi, cui tengho donna mia

et chui senpre disio di servire,                                                            10

la raccomando, madama Maria;

      e prieghovi, se fosse nel mio dire

difecto alcun, per vostra cortesia

correggiate amendando il mio fallire.

      Cara Fiamma, per cui 'l core ò caldo,                                          15

que' che vi manda questa Visione

Giovanni è di Boccaccio da Certaldo.

 

      Il dolce inmaginar che 'l mio chor face

della vostra biltà, donna pietosa,

recam'una soavità sì dilectosa

che mette lui con mecho in dolcie pace.

      Poi quando altro pensiero questo disface,                                      5

piangemi dentro l'anima 'ngosciosa,

cercando come trovar possa posa,

et sola voi disiar le piace.

      Et però volend'i' perseverare

pur nello 'nmaginar vostra biltate,                                                       10

cerco con rime nuove farvi i' onore.

      Questo mi mosse, donna, a compilare

la Visione in parole rimate,

che io vi mando qui per mio amore.

      Fatele onor secondo il su' valore,                                                 15

avendo a tempo poi di me pietate.

 

O chi che voi vi siate, o gratiosi

animi virtuosi,

in cui amor come 'n beato loco

celato tene il suo giocondo focho,

i' vi priego c'un poco                                                                           5

prestiate lo 'ntellecto agli amorosi

versi, li quali sospinto conposi

forse da disiosi

voler troppo 'nfiammato; o se 'l mio fioco

cantar s'imvischa nel proferer broco,                                                 10

o troppo è chiaro o roco,

amendatel acciò che ben riposi.

Se in sé fructo o forse alcun dilecto

porgesse a vo' lector, ringratiate

colei la cui biltate                                                                              15

questo mi mosse a ffar come subgiecto.

E perché voi costei me' conosciate,

ella somigli' Amor nel su' aspecto,

tanto c'alcun difecto

non v'à a chi già 'l vide altre fiate;                                                       20

e l'un dell'altro si gode di loro,

ond'io lieto dimoro.

Rendete a llei 'l meritato alloro!

E più non dico 'mai,

perché decto mi par aver assai.                                                         25

 

 

TESTO A

 

CANTO I

 

Move nuovo disio la nostra mente,

donna gentile, a volervi narrare

quel che Cupido graziosamente

in vision li piacque di mostrare

all'alma mia, per voi, bella, ferita                                                          5

con quel piacer che ne' vostri occhi appare.

Recando adunque la mente, smarrita

per la vostra virtù, pensieri al core,

che già temea della sua poca vita,

accese lui di sì fervente ardore,                                                          10

che uscita di sé la fantasia

subito entrò in non usato errore.

Ben ritenne però il pensier di pria

con fermo freno, ed oltre a ciò ritenne

quel che più caro di nuovo sentia.                                                      15

In ciò vegghiando, in le membra mi venne

non usato sopor tanto soave,

ch'alcun di loro in sé non si sostenne.

Lì mi posai, e ciascun occhio grave

al sonno diedi, per lo qual gli agguati                                                  20

conobbi chiusi sotto dolce chiave.

Così dormendo, in su liti salati

mi vidi correr, non so che temendo,

pavido e solo in quelli abbandonati

or qua or là, null'ordine tenendo;                                                       25

quando donna gentil, piacente e bella,

m'apparve, umil pianamente dicendo:

– Se questo luogo solo a gire a quella

somma felicità, che alcun dire

non poté mai con intera favella,                                                         30

abbandonar ti piace, il me seguire

ti poserà in sì piacente festa,

ch'avrai sicuro e pieno ogni disire –.

Fiso pareva a me rimirar questa

ed ascoltare intento sue parole,                                                         35

quando s'alzò alla sua bionda testa,

ornata di corona più che 'l sole

fulgida, l'occhio mio, e mi parea

il suo vestire in color di viole.

Ridente era in aspetto e 'n man tenea                                                 40

reale scettro, ed un bel pomo d'oro

la sua sinistra vidi sostenea.

Sopra 'l piè grave, non sanza dimoro,

moveva i passi; e lei tacendo ed io

pensato di volere suo aiutoro:                                                            45

– Ecco – risposi, – donna, il mio disio

è di cercar quel ben che tu prometti,

se a' tuoi passi di dietro m'invio.

– Lascia –, diss'ella, – adunque i van diletti

e seguitami verso quell'altura                                                             50

ch'opposta vedi qui a' nostri petti.

Allor lasciar pareami ogni paura

e darmi tutto a seguitar costei,

abbandonando la strana pianura.

Poi che salito fui dietro a costei                                                         55

non già per molto spazio, il viso alzai

istato basso infin lì verso i piei:

rimirandomi avanti, i' mi trovai

venuto a piè d'un nobile castello,

sopra al sogliar del quale io mi fermai.                                               60

Egli era grande ed altissimo e bello

e spazioso, avvegna che alquanto

tenebroso paresse entrando in quello.

– Siam noi ancora là dove cotanto

ben mi prometti, donna graziosa,                                                       65

di dovermi mostrar? –, diss'io intanto.

Ed ella allora: – Più mirabil cosa

veder vuoi prima che giunghi lassuso,

dove l'anima tua fia gloriosa.

Noi cominciammo pur testé quaggiuso                                               70

ad entrar a quel ben: quest'è la porta:

entra sicuro omai nel cammin chiuso.

Tosto ti mostrerò la via scorta,

per la qual fia ad andarvi diletto

se non ti volta coscienza torta.                                                           75

Ed io: – Adunque andiam, ché già m'affretto,

già mi cresce il disio, sì ch'io non posso

tenerlo ascoso più dentro nel petto.

Vedi com'io mi son sicuro mosso,

vedi ch'io vegno e trascorro di voglia,                                                80

d'ogni altra cura nella mente scosso.

– Ir si conviene qui di soglia in soglia

con voler temperato, ché chi corre

talor tornando convien che si doglia –.

Sì era il suo dir vero, che apporre                                                      85

né contro andarvi io non arei potuto,

né dal piacer di lei potuto torre

in ciò, ancor ch'io avessi saputo.

 

 

CANTO II

 

«O somma e graziosa intelligenzia

che muovi il terzo cielo, o santa dea,

metti nel petto mio la tua potenzia:

non sofferir che fugga, o Citerea,

a me lo 'ngegno all'opera presente,

ma più sottile e più in me ne crea.                                                        5

Venga il tuo valor nella mia mente,

tal che 'l mio dir d'Orfeo risembri il suono,

che mosse a racquistar la sua parente.

Infiamma me tanto più ch'io non sono,

che 'l tuo ardor, di ch'io tutto m'invoglio,                                            10

faccia piacere quel di ch'io ragiono.

Poi che condotto m'ha a questo soglio

costei, che cara seguir mi si face,

menami tu colà ov'io ir voglio,

acciò che' passi miei, che van per pace                                              15

seguendo il raggio della tua stella,

vengano a quello effetto che ti piace».

Ragionando con tacita favella

così m'andava nel nuovo sentiero

seguendo i passi della donna bella.                                                    20

Ruppemi tal parlar nuovo pensiero

ch'un muro antico nella mente mise,

apparitoci avanti tutto intero.

Allor la bella donna un poco rise,

me stupefatto e d'ammirazion pieno                                                   25

veggendo, e disse: – Forse tu divise

del camin nostro che qui venga meno:

o se più è, non vedi da qual loco

li passi nostri su salir porrieno.

Oltre convien che venghi ancora un poco,                                          30

ed io mostrandol, vederai la via

che ci merrà al grazioso gioco –.

Non fummo guari andati che la pia

donna mi disse: – Vedi qui la porta

che la tua alma cotanto disia –.                                                          35

Nel suo parlar mi volsi, e poi che scorta

l'ebbi, la vidi piccioletta assai,

istretta ed alta, in nulla parte torta.

A man sinistra allora mi voltai

volendo dir: «Chi ci potrà salire                                                         40

o passar dentro, ché par che giammai

gente non ci salisse?» e nel mio dire

vidi una porta grande aperta stare,

e festa dentro mi vi parve udire.

E dissi allor: – Di qua fia meglio andare,                                             45

al mio parere, e credo troveremo

quel che cerchiam, ché già udir mel pare –.

Non è così rispuose, – ma andremo

su per la scala che tu vedi stretta

e 'n su la sommità ci poseremo.                                                         50

Tu guardi là, e forse ti diletta

il cantar che tu odi, il qual piuttosto

pianto si dovria dire in lingua retta.

Il corto termine alla vita posto

non è da consumare in quelle cose                                                     55

che 'l bene etterno vi fanno nascosto.

Levarsi ad alto, alle gloriose,

utilemente s'acquista virtute,

che lascia le memorie poi famose.

E s' tu non credi forse che a salute                                                     60

questa via stretta meni, alza la testa:

ve' che dicon le lettere scolpute

Alzai allora il viso, e vidi: «Questa

piccola porta mena a via di vita;

posto che paia nel salir molesta,                                                        65

riposo etterno dà cotal salita;

dunque salite su sanza esser lenti,

l'animo vinca la carne impigrita».

Io dissi: – Donna, molto mi contenti

col ver parlar che tua bocca produce,                                                70

e più m'accertan le cose parventi,

guardando quelle; ma dimmi, che luce

è quella ch'io veggio là entr'ora?

perché in questa così non riluce? –

– Voi che nel mondo state, vostra mora                                             75

fate in loco tenebroso e vano:

e però gli occhi alla dolce aurora

alzare non potete, a mano a mano

che voi di quella uscite, a veder quanta

sia la chiarezza del Fattor sovrano.                                                    80

Rompesi poi la nebbia che v'ammanta

quando ad entrar nel vero incominciate,

e conoscete poi la luce santa.

Dirizza i piedi alle scale levate;

su non sarai che vie maggior chiarezza                                               85

vedrai che là non è mille fiate:

adunque che fia in capo dell'altezza? –.

 

 

CANTO III

 

Ristata era la donna di parlare

e rimirava ch'io entrassi dentro

di rietro a lei, che già volea montare.

– Sed e' vi piace, prima andiam là entro –,

diss'io a lei. E quella: – Tu disii                                                            5

di rovinar con doglia al tristo centro.

Io dico insino a qui: se là t'invii,

in cose vane l'anima disposta

a bene oprar convien che si disvii.

Pon l'intelletto alla scritta ch'è posta                                                   10

sopra l'alto arco della porta, e vedi

come 'l suo dar val poco e motto costa –.

Ed io allora a riguardar mi diedi

la scritta in alto che pareva d'oro,

tenendo ancora in là voltati i piedi.                                                     15

«Ricchezze, dignità, ogni tesoro,

gloria mondana copiosamente

do a color che passan nel mio coro.

Lieti li fo nel mondo, e similmente

do quella gioia che Amor promette                                                    20

a' cor che senton suo dardo pugnente».

– Or hai vedute ed amendune lette

le scritte, e vedi chi maggior promessa

e più utile fa: dunque che aspette?

Non istian più omai, ché 'l tempo cessa                                              25

e 'l perder quello spiace a' più saputi;

adunque omai saliam –, mi dicev'essa.

– Ver è, donna gentil, ch'i' ho veduti –,

risposi, – scritti i don, però vedere

vorrei provando qua' son posseduti.                                                  30

Ogni cosa del mondo a sapere

non è peccato, ma la iniquitate

si dee lasciare e quel ch'è ben tenere.

Venite adunque qua, ché pria provate

deono esser le cose leggieri                                                               35

ch'entrare in quelle c'han più gravitate.

Ora che siamo quasi nel sentieri,

andiam, vediamo questi ben fallaci:

più caro fia poi l'affannar pe' veri –.

– Se tu sapessi quanto e' son tenaci                                                   40

e quanto traggon l'uom di via diritta,

non parleresti sì come tu faci.

Toglianci quinci –, disse, – ché già fitta

veggo la mente tua, se più ci stai,

a quel che dice la seconda scritta.                                                      45

Il che lasciar, a chi il prende, mai

impossibile par fin che si more,

e per que' va poi agli etterni guai –.

La donna giva già. Ed ecco fore

della gran porta due giovini uscire;                                                     50

l'uno era corto e bianco in suo colore

e l'altro rosso; e incominciaro a dire:

– Dove cercando vai gravoso affanno?

Vien dietro a noi, se vuoi il tuo disire.

Sollazzo e festa, come molti fanno,                                                    55

qua non ti falla, e poi il salir suso

potrai ancor nell'ultimo tuo anno.

Il luogo è chiaro e di tenebre schiuso:

vien, vedi almeno, e satira' ten poi,

se ti parrà noioso esser quaggiuso –.                                                 60

Piacevami il dir loro, e già: «Con voi»,

dir voleva, «io verrò»; ma mi diceva

colei: – Lascia costoro, andian su noi –.

E per la destra man preso m'aveva

seco tirando me in su; e l'uno                                                             65

la mia sinistra e l'altro ancor teneva,

ridendosene insieme, e ciascheduno

tirandomi diceva: – Vienne, vienne,

cerchi sola costei il cammin bruno –.

Lì d'una parte e d'altra mi ritenne                                                       70

l'esser tirato; dond'io: – Ben sapete –,

volto alla donna, – che io non ho penne

a poter su volar, come credete,

né potrei sostener questi travagli

a' quai dispormi subito volete –.                                                        75

Fermata allor mi disse: – Tu t'abbagli

nel falso immaginar, e credi a questi

ch'a dritta via son pessimi serragli.

A trarti fuor d'errore e di molesti

disii discesi, e per voler mostrarti                                                       80

le vere cose che prima chiedesti;

né mai avrei lasciato d'aiutarti

col mio veder nelle battaglie avverse.

Ma poi che ad altro t'è piaciuto darti,

truova il cammino dell'opere perse,                                                    85

ch'io non ti lascerò, mentre che io

vedrò non darti tra quelle diverse

a voler seguitar bestial disio –.

 

 

CANTO IV

 

Seguendomi la donna, com'io lei

pria seguitava, co' due giovinetti

a man sinistra volsi i passi miei.

Intra lor due avean noi due ristretti,

e con più spesso passo n'andavamo                                                    5

a riguardare i men cari diletti.

Andando in tal maniera, noi entramo

per la gran porta insieme con costoro,

ed in una gran sala ci trovamo.

Chiara era e bella e risplendente d'oro,                                              10

d'azzurro e di color tutta dipinta

maestrevolmente in suo lavoro.

Humana man non credo che sospinta

mai fosse a tanto ingegno quanto in quella

mostrava ogni figura lì distinta,                                                           15

eccetto se da Giotto, al qual la bella

Natura parte di sé somigliante

non occultò nell'atto in che suggella.

Noi ci traemmo nella sala avante,

quasi nel mezzo d'essa, e quivi stando                                                20

vedevam le figure tutte quante.

Ell'era quadra: ond'io che riguardando

giva per tutto, dirizzai il viso

ver l'una delle facce, in piede stando.

Là vid'io pinta con sottil diviso                                                           25

una donna piacente nell'aspetto,

soave sguardo avea e dolce riso.

La man sinistra teneva un libretto,

verga real la destra, e' vestimenti

porpora gli estimai nell'intelletto.                                                        30

A piè di lei sedevan molte genti

sopra un fiorito e pien d'erbette prato,

alcuni più e alcun meno eccellenti.

Ma dal sinistro e dal suo destro lato

sette donne vid'io, dissimiglianti                                                         35

l'una dall'altra in atto ed in parato.

Elle eran liete e lor letizia in canti

pareami dimostrassero, ma io

con l'occhio alquanto più mi trassi avanti,

Nel verde prato a man destra vid'io                                                   40

di questa donna, in più notabil sito,

Aristotile star con atto pio:

tacito riguardando, in sé unito,

pensoso mi pareva; e poi appresso

Socrate sedea quasi smarrito.                                                            45

Eravi quivi ancor Platon con esso,

Melisso, Alessandro v'era e Tale,

Speseusippo lei mirando spesso;

Raclito ancora e Ipocràs, il quale

in abito mostrava d'aver cura                                                             50

ancora di sanare il mondan male.

Ivi sedeva con sembianza pura

Galieno, e con lui era Zenone

e 'l geometra ch'a dritta misura

mosse lo 'ngegno, sì che con ragione                                                 55

oggi s'adovra seguendo suo stile;

e dopo lui Democrito e Solone.

Insieme con costoro in atto umile

si sedea Tolomeo, e speculava

i ciel con intelletto assai sottile,                                                          60

riguardando una spera che li stava

ferma davanti; e Tebìth con lui

ed Abracìs ancora in ciò mirava.

Averroìs e Fedron dopo lui

sedevan rimirando la bellezza                                                            65

di quella donna che onora altrui.

Nassagora ancor quella chiarezza

mirava fiso insieme con Timeo,

mostrando in atto di sentir dolcezza.

Diascoride ancor v'era ed Orfeo,                                                      70

Ambepece e Temistio, e poi un poco

Essiodo almo e Timoteo.

Oh quanto quivi in grazioso gioco

Pitagora onorato si vedea

e Diogene in sì beato loco!                                                                75

Vie dopo questi ancora mi parea

Seneca riguardando ragionare

con Tulio insieme, che con lui sedea.

Innanzi a loro un poco, ciò mi pare,

Parmenide sedea e Teofrasto,                                                           80

lieto ciascun della donna mirare.

Vestito d'umiltà, pudico e casto,

Boezio si sedeva ed Avicena,

ed altri molti, i qua' s'a dir m'adasto,

non fosse troppo rincrescevol pena                                                   85

dubbio a' lettor; però mi taccio omai

e dirò di color che seco mena

dalla man manca, ov'io mi rivoltai.

 

 

CANTO V

 

Io dico che dalla sinistra mano

di quella donna vidi un'altra gente,

l'abito della qual non guari strano

sembrava da color che primamente

contati abbiam, ben che la vista loro                                                    5

si stenda ver le donne più fervente.

Vergilio mantovano infra costoro

conobb'i' quivi più ch'altro esaltato,

sì come degno, per lo suo lavoro.

Ben mostrava nell'atto che a grato                                                     10

gli eran le sette donne per le quali

sì altamente avea già poetato:

il ruinar di Troia ed i suoi mali,

di Dido, di Cartagine e d'Enea,

lavorar terre e pascere animali                                                           15

trattar negli atti suoi ancor parea.

Omero e Orazio quivi dopo lui,

ciascun mirando quelle, si sedea.

A' quai Lucan seguitava, ne' cui

atti parea ch'ancora la battaglia                                                          20

di Cesare narrasse e di colui,

Magno Pompeo chiamato, che 'n Tesaglia

perdé il campo; e quasi lagrimando

mostra che di Pompeo ancor li caglia.

Eravi Ovidio, lo qual poetando                                                          25

iscrisse tanti versi per amore,

com' acquistar si potesse mostrando.

Non guari dopo lui fatt'era onore

a Giovenal, che ne' su' atti ardito

a' mondan falli ancor facea romore.                                                   30

Terenzio dopo lui aveva sito

non men crucciato, e Panfilo e Pindaro,

ciascun per sé sopra 'l prato fiorito.

E Stazio di Tolosa ancora caro

quivi pareva avesse l'aver detto                                                         35

del teban male e del suo pianto amaro.

Bell'uom tornato d'asino, soletto

si sedea Apolegio, cui seguiva

Varro e Cicilio lieti nell'aspetto.

Euripide mi par che poi veniva;                                                          40

Antifonte, Simonide ed Archita

parea dicesser ciò ch'ognun sentiva

lì di diletto e di gioconda vita,

insieme ragionando; e dopo questi

Sallustio, quasi in sembianza smarrita,                                                45

là parea che narrasse de' molesti

congiuramenti che fé Catellina

contra' Roman, ch'a lui cacciar fur presti.

Al qual Vegezio quivi s'avvicina,

Claudiano, Persio e Catone,                                                              50

e Marziale in vista non meschina.

L'antico e valoroso e buon Catone

quivi era nel sembiante assai pensoso,

tenendo con Antigono sermone.

E, vago ne' suoi atti di riposo,                                                            55

da una parte mi parve vedere

quel Livio che fu sì copioso,

guardando que' che 'nanzi a sé sedere

tanti vedea, nell'aspetto contento

d'avere scritte tante storie vere.                                                         60

Goloso di cotal contentamento

Valerio appresso parea che dicesse:

«Brieve mostrai il mio intendimento».

Ivi con lor mi parve ch'io vedesse

Paolo Orosio stare ed altri assai,                                                       65

de' qua' non v'era alcun ch'io conoscesse.

Allora gli occhi alla donna tornai

a cui le sette davanti e dintorno

stavano tutte in atti lieti e gai.

Dentro dal coro delle donne adorno,                                                 70

in mezzo di quel loco ove facieno

li savi antichi contento soggiorno,

riguardando, vid'io di gioia pieno

onorar festeggiando un gran poeta,

tanto che 'l dire alla vista vien meno.                                                  75

Aveali la gran donna mansueta

d'alloro una corona in su la testa

posta, e di ciò ciascun'altra era lieta.

E vedend'io così mirabil festa,

per lui raffigurar mi fé vicino,                                                             80

fra me dicendo: «Gran cosa fia questa».

Trattomi così innanzi un pocolino,

non conoscendol, la donna mi disse:

– Costui è Dante Alighier fiorentino,

il qual con eccellente stil vi scrisse                                                      85

il sommo ben, le pene e la gran morte:

gloria fu delle Muse mentre visse,

né qui rifiutan d'esser sue consorte –.

 

 

CANTO VI

 

Al suon di quella voce graziosa

che nominò il maestro dal qual io

tengo ogni ben, se nullo in me sen posa:

– Benedetto sia tu, etterno Iddio,

c'hai conceduto ch'io possa vedere

in onor degno ciò ch'avea in disio –,                                                    5

incominciai allora; né potere

aveva di partir gli occhi dal loco

dove parea il signor d'ogni savere,

tra me dicendo: «Deh, perché il foco

di Lachesis per Antropos si stuta                                                       10

in uomo sì eccellente e dura poco?

Viva la fama tua, e ben saputa,

gloria de' Fiorentin, da' quali ingrati

fu la tua vita assai mal conosciuta!

Molto si posson riputar beati                                                             15

color che già ti seppero e colei

che 'n te si 'ncinse, onde siamo avvisati».

I' 'l riguardava, e mai non mi sarei

saziato di mirarlo, se non fosse

che quella donna, che i passi miei                                                      20

là entro con que' due insieme mosse,

mi disse: – Che pur miri? forse credi

renderli col mirar le morte posse?

E' c'è altro a veder che tu non vedi!

Tu hai costì veduto, volgi omai                                                          25

gli occhi a que' del mondan romore eredi;

i quali quando riguardati avrai,

di quinci andrenci, ché lo star mi sgrata –.

A cui io dissi: – Donna, tu non sai

neente perché tal mirar m'aggrata                                                      30

costui cui miro, ché se tu il sapessi

non parleresti forse sì turbata –.

– Veramente se tu il mi dicessi

nol saprei me'–, rispose quella allora,

– ma perder tempo è pur mirare ad essi –.                                         35

Oltre passai, sanza più far dimora,

con gli occhi a riguardar, lasciando stare

quel ch'io disio di rivedere ancora,

là dove a colei piacque che voltare

io mi dovessi; e vidi in quella parte                                                     40

cosa ch'ancor mirabile mi pare.

Odi, ché mai Natura con sua arte

forma non diede a sì bella figura:

non Citarea, allor ch'ell'amò Marte.

né quando Adon le piacque, con sua cura                                          45

si fé sì bella, quanto infra gran gente

donna pareva lì leggiadra e pura.

Tutti li soprastava veramente,

di ricche pietre coronata e d'oro,

nell'aspetto magnanima e possente.                                                    50

Ardita sopra un carro tra costoro

grande e triunfal lieta sedea,

ornato tutto di frondi d'alloro.

Mirando questa gente in man tenea

una spada tagliente, con la quale                                                        55

che 'l mondo minacciasse mi parea.

Il suo vestire a guisa imperiale

era, e teneva nella man sinestra

un pomo d'oro, e 'n trono alla reale,

vidi, sedeva; e dalla sua man destra                                                   60

due cavalli eran che col petto forte

traeano il carro fra la gente alpestra.

Ed intra l'altre cose che iscorte

quivi furon da me intorno a questa

sovrana donna, nimica di morte                                                         65

nel magnanimo aspetto, fu ch'a sesta

un cerchio si movea grande e ritondo,

da' piè passando a lei sopra la testa.

Né credo che sia cosa in tutto 'l mondo,

villa, paese, dimestico o strano,                                                         70

che non paresse dentro da quel tondo.

Era sopra costei, e non invano,

scritto un verso che dicea leggendo:

«Io son la Gloria del popol mondano».

Così mirando questa e provedendo                                                   75

ciò che di sopra, dintorno e di sotto

le dimorava e chi la gia seguendo

o lei mirava, sanza parlar motto

per lungo spazio inver di lei sospeso

tanto stett'io, che d'altra cura rotto                                                     80

nella mente sentimmi: il viso steso

diedi a mirar il popolo che andava

dietro a costei, chi lieto e chi offeso,

sì come nel mio credere estimava.

E quivi più e più ne vidi, i quali                                                           85

conobbi, se 'l parer non m'ingannava;

onde al disio di mirar crebbe l'ali.

 

 

CANTO VII

 

Tra gli altri che io vidi presso a questa

fu Giano, ch'esser stato abitatore

dell'italici regni facea festa.

Turbato nell'aspetto e di furore

pien seguiva Saturno, cui il figlio                                                          5

mandò mendico per esser signore.

Il superbo Nembròt, che il gran fé impiglio

in Senaàr per voler gire a Dio,

stordito v'era sanza alcun consiglio.

Lunghesso Fauno e Pico lor vid'io                                                     10

seguire, ed il gran Belo dopo loro,

mirando ognun la donna con disio.

Elettra ed Atalante con costoro

givano insieme, e dopo lor seguire

Italo vidi sanza alcun dimoro.                                                            15

Robusto si mostrava e pien d'ardire

Dardano quivi con un freno in mano,

e nell'atto parea volesse dire:

«Io fui colui, nel mondo primerano,

il qual col freno in Tessaglia domai                                                     20

il caval primo, in uso ancora strano,

mirabilmente, e sì edificai

primo quella città, che poscia Troia

chiamaro i successor ch'io vi lasciai».

Appresso il qual, mostrando in atto gioia,                                          25

seguia Sicul, che l'isola del foco

prima abitò in pace e sanza noia.

Troiolo ancora in quel medesmo loco

coverto d'oro tutto risplendea,

faccendosi alla donna a poco a poco.                                                30

Rigido e fiero quivi si vedea

Nino, che prima il suo natural sito

per battaglia maggior fé, che parea

ancor che minacciasse insuperbito.

E dopo lui seguiva la sua sposa                                                         35

con sembiante non men che 'l suo ardito:

così rubesta e così furiosa

vi si mostrava, come quando a lui

succedette nel regno valorosa.

Tamiris poi seguitava, nel cui                                                             40

viso superbia saria figurata,

con gli occhi ardenti spaventando altrui.

Anfion poi con labbia consolata

vi conobb'io, al suon del cui liuto

fu Tebe pria di muri circumdata.                                                        45

Retro a lui Niobè, il cui arguto

parlar fu prima cagion del suo male

e del danno de' figli ricevuto.

Poi seguitava Danao, dal quale

l'antico popol greco veramente                                                          50

trasse il suo principio originale.

A cui di dietro quel Serse possente,

che fé sopra Ellesponto il lungo ponte,

venia, freno all'orgoglio della gente.

Riguardando la donna, con la fronte                                                  55

alzata venia Ciro poco appresso,

di cui l'opere furo altiere e conte.

Laumedon sen veniva dopo esso,

con molti successor dietro alle spalle,

de' qua' giva Priamo oltre con esso.                                                   60

Anchise seguitava nel lor calle;

appresso il qual colui venia correndo

che le dee vide nella scura valle.

Nello aspetto parea ch'ancor ridendo

andasse di ciò ch'elli aveva fatto,                                                       65

quando di Grecia si partì fuggendo.

Dopo costui Enea seguia con atto

pietoso molto, e non molto distante

Giulio Ascanio il seguitava ratto.

Oh quanto ardito e fiero nel sembiante                                               70

quivi parea Ettòr sopra un destriere

tra tutti i suoi, di molto oro micante!

Bello e gentil nell'aspetto a vedere

era, con una lancia in mano andando

ver quella donna lieto, al mio parere.                                                 75

Risplendea quivi ancora cavalcando

Alessandro, che 'l mondo assalì tutto

con forza lui a sé sotto recando;

il qual con fretta voleva al postutto

toccare il cerchio ove colei posava,                                                   80

cui questi disiavan per lor frutto.

E 'l re Filippo e Nettabòr, gli andava

ciascuno appresso rimirando quello,

e nello aspetto se ne gloriava.

Veniva in su un caval corrente e snello                                               85

Dario crucciato nello aspetto

e con sembiante dispettoso e fello,

e sanza aver di tale andar diletto.

 

 

CANTO VIII

 

Mirando avanti con ferma intenzione,

veder mi parve quel re eccellente

che fu sì savio, io dico Salamone.

Eravi ancora Sanson, che possente

di forza corporal più ch'altro mai                                                         5

fu che nascesse fra l'umana gente.

Nel riguardar più innanzi affigurai

il viso d'Ansalon, che più bellezza

ebbe che altro nel mondo giammai.

Tra questi pien d'orgoglio e di fierezza                                               10

seguendo cavalcava Campaneo,

che ne' suoi atti ancora Iddio sprezza.

Etiocle era quivi con Tideo,

Adastro re pensante e doloroso

del perder che dintorno a Tebe feo.                                                   15

Ancora si mostrava il valoroso

Pollinice; broccando il seguitava

el re Ligurgo e Giansone animoso.

Di rietro al quale Pelleo cavalcava,

con quella lancia in man che prima morte                                           20

poi medicina a sua ferita dava.

Veniva appresso vigoroso e forte

Achille col figliuol, che sì spietata

vendetta fé quando l'antiche porte

non serraron più Troia, che l'entrata                                                   25

aveva data al gran caval ripieno

della nimica gente tutta armata.

Questo crudel sanza mezzo seguieno

Diomede ed Ulisse, e ad agguati

andare ancor pensando mi parieno.                                                   30

Vigoroso di dietro a loro armati

Patrocolo veniva ed Antenore,

ciascun con gli occhi ver la donna alzati.

Ercule v'era, il cui sommo valore

lungo saria a voler recitare,                                                                35

per ch'ebbe già d'assai battaglie onore.

Anteo dopo lui vi vidi stare,

ch'ancor parea che 'n atto si dolesse

di ciò che già li fé Ercule provare.

Veniva poi Minòs, come se stesse                                                     40

ancor davanti Atene tutto armato,

né d'Androgeo parea più li dolesse.

Oh quanto d'ira pareva infiammato,

d'ira e di mal talento Menelao

seguendo Agamenòn dal destro lato!                                                 45

Il qual seguiva poi Protesselao,

bello e grazioso nello aspetto;

e dopo lui cavalcava Anfirao,

che' suoi lasciò ad oste nel conspetto

di Tebe, ruvinando a' dolorosi                                                           50

c'hanno perduto il ben dello 'ntelletto.

Venian dopo costui, molto animosi,

insieme con Teseo Demofonte,

di toccar quella donna disiosi.

I qua' seguia con dolorosa fronte                                                       55

Egeo, che per veder le vele nere

si gittò in mar dell'alta torre sponte.

Turno pareva quivi che di vere

lagrime avesse tutto molle il viso,

dogliendose del troian forestiere.                                                       60

Eurialo ancora v'era e Niso,

mostrandosi piagati come foro

ciascun di lor, l'un per l'altro conquiso.

Non molto spazio poi dietro a costoro

Latino sen veniva a piccol passo,                                                       65

Pallante e Creso poi, e dopo loro

Giarba veniva nello aspetto lasso,

andandosi di Dido ancor dolendo

perché ad altro om di lui fece trapasso.

Helena dopo lui portava ardendo                                                      70

di foco un gran tizzone, e pur costei

miravan molti se stessi offendendo.

Oreste niquitoso dopo lei

con un coltello in man seguiva fello,

nell'atto minacciando ancor colei                                                       75

del corpo a cui uscì; e poi dop'ello

venia broccando la Pantasilea,

lieta nel viso grazioso e bello.

Oh quanto ardita e fiera mi parea,

armata tutta, con un arco in mano,                                                     80

con più compagne ch'ella seco avea!

Non era lì alcun che del sovrano

ed altier portamento maraviglia

non si facesse, tenendolo strano.

Non molto dopo lei venia la figlia                                                       85

del re Latino lieta, e dopo Iole;

poi Deianira con bassate ciglia

ancora quivi d'Ercule si dole.

 

 

CANTO IX

 

Moveasi dopo queste quella Dido

cartaginese, che credendo avere

in braccio Giulio vi tenne Cupido.

Isconsolata giva, al mio parere,

chiamando in boci ancora: «Pio Enea,                                                  5

di me, ti priego, deggiati dolere».

Ancora, com'io vidi, in man tenea

tutta smarrita quella spada aguta

che 'l petto le passò, che mi facea,

essendole lontan, nella veduta                                                            10

ancor paura, non ch'a lei ch'ardita

fu dar di quella a sé mortal feruta.

Trista piangendo, in abito smarrita

e come can nella voce latrare,

Ecuba vidi con poca di vita.                                                              15

Con lei la mesta Pulisena stare

quivi parea, in aspetto ancor sì bella

che me ne fé in me maravigliare.

Hoeta poi seguitava dop'ella,

piangendo a' Greci aver piaciuto mai,                                                20

quand'elli andar per le dorate vella.

Vedevasi colei che sentì guai

Ercule partorendo, e dopo lei

Isifile dolente affigurai.

In abito crucciato con costei                                                              25

seguia Medea crudele e dispietata;

con voce ancor parea dicere: «Omei,

se io più savia alquanto fossi stata

né sì avessi tosto preso amore,

forse ancor non sarei suta ingannata».                                                30

Eravi ancor Camilla che 'l dolore

della morte sentì, per Turno fiera,

mostrando ne' sembianti il suo vigore.

Non molto dopo lei ancora v'era,

col capo basso ed umil nel sembiante,                                               35

Ilia vestale vestita di nera,

portando in ciascun braccio un piccol fante,

Romolo e Remolo amendue nomati,

traendo lor quanto potea avante.

Ratto tra gli altri di sopra contati                                                        40

si facea Foroneo, che prima diede

legge civile, acciò che ordinati

e suoi vivesser, sì come si crede;

e dopo lui venia Numa Pompilio

che lieta ne fé Roma, com si vede.                                                     45

Dop'esso cavalcava Tulio Ostilio

ed Anco Marco ed il Prisco Tarquino,

e dopo lui seguia Tulio Servilio.

Ivi Tarquin Superbo e Collatino

pareano, e 'l re Porsenna che andando                                              50

ferocemente seguia lor camino.

Seguivali Cornelio ancor mostrando

l'inarsicciata man ch'uccise altrui,

che 'l core non volea, nescio fallando.

Il valoroso Bruto, per lo cui                                                               55

ardir fu Roma da giogo reale

diliberata, seguiva; e con lui

Orazio Cocle v'era, per lo quale,

tagliato il ponte a lui dietro alle spalle,

libera Roma fu dal truscian male.                                                       60

Dietro veniva quel Curzio ch'a valle

armato si gittò per la fessura,

in forse di sua vita o di suo calle,

intendendo a voler render sicura

piuttosto Roma e i suoi abitatori,                                                       65

che di se stesso aver debita cura.

Seguia Fabrizio che gli eccelsi onori

più disiò che posseder ricchezza,

avendo que' per più cari e maggiori.

Eravi quel Metel ch'alla fierezza                                                         70

di Giulio Tarpea tanto difese,

mostrando non curar la sua grandezza.

Riguardando oltre mi si fé palese

Curio, che diede per consiglio

ch'al presto sempre lo 'ndugiare offese.                                              75

Vedevavisi Mario che lo 'mpiglio

con Lucio Silla fé nella cittate,

mettendo a' colpi il padre contro al figlio.

Iuba ed Amilcare e Mitridate,

Manastabil e Codro v'era ancora,                                                     80

e poi Giugurta voto di pietate.

Rigido nello aspetto vi dimora

Catellina, e pensando par che vada

allo essilio, che 'n vista ancor l'accora.

Evvi Cloelia appresso, che la strada                                                  85

fece a' Roman quand'ella si fuggio

per lo Tevero in parte u' non si guada,

lo cui tornar Roma rinvigorio.

 

 

CANTO X

 

Ahi quivi fiero ed orgoglioso quanto

vi vid'io Annibal sopra un destriere,

ch'alli Roman levò riposo tanto!

Rubesto lì parea ancor tenere

Cartagine sub sé, col viso alzato                                                          5

inver la donna andando a suo potere.

Asdrubal gli era dal sinistro lato

con non men di fierezza nello aspetto,

con una lancia cavalcando armato.

Coriolan, che lo 'nfiammato petto                                                      10

ebbe contra' Romani, e giustamente,

quando leal cacciar lui per sospetto,

come vedendo quella umilemente,

che 'l generò, piegando la sua ira

a' preghi suoi, era quivi presente.                                                       15

Oltre con gli altri andava ver la mira

bellezza della donna; dopo il quale,

come colui che tristo ancor sospira,

Massinissa seguiva, del suo male,

a freno abandonato cavalcando,                                                        20

se stesso avendo poco a capitale.

Allegro Cincinnato seguitando

l'andava, e Persio poi, come potea,

giocondo sé nel sembiante mostrando.

Nobile nello aspetto si vedea                                                             25

possente oltre venir intra costoro

Cesare, che in vista ancor ridea

d'avere a forza avuto da coloro

nome d'impero, che real dignitate

per istatuto avean cassa fra loro.                                                       30

Ornato di bell'arme e coronate

le tempie avea di quelle fronde care,

che fur da Febo già cotanto amate.

Mirabilmente bell'a campeggiare

in uno scudo lo divino uccello                                                            35

nero nell'or li vidi, ciò mi pare;

ancora in una lancia un pennoncello

che 'n man portava vidi, e simigliante

vi vidi quella ventilarsi in quello.

Di quanti a lui ve n'andasser davante                                                  40

nullo ne fu che tanto mi piacesse

né tanto valoroso nel sembiante.

Appresso poi parea che li corresse

volonteroso e sì forte Ottaviano,

che dentro al cerchio già parea ch'avesse                                           45

messa più che nessun la destra mano:

bello era e nello aspetto grazioso

quanto alcun altro fosse mai mondano.

A lui seguiva poi molto pensoso,

palido nello aspetto, il gran Pompeo,                                                 50

tal che di lui mi fé tornar pietoso,

mirando dietro a sé a Tolomeo

che il seguiva, cui fé re d'Egitto,

che poi uccider là vilmente il feo.

A loro Marco Antonio quiviritto                                                        55

seguiva e Cleopatra ancor con esso,

che, in Cicilia, fuggì sanza rispitto,

ridottando Ottavian, perché commesso

le parea forse aver sì fatta offesa,

che non sperava mai perdon da esso.                                                60

Ivi non potend'ella far difesa

al fuoco che l'ardeva forse il core

di libidine e d'ira, ond'era accesa,

a fuggir quello oltraggioso furore

con due serpenti in una sepoltura                                                       65

sofferse sostener mortal dolore;

ed ancor quivi nella sua figura

palida, si vedeano i due serpenti

alle sue zizze dar crudel morsura.

Prima che questi, credo più di venti,                                                  70

era 'l primo Africano Scipione,

ch'a Roma fé con sua forza ubbidenti

ritornar già, con degna punizione,

que' di Cartago che insuperbiti

eran per Annibal lor campione.                                                          75

Ivi Cornelia in sembianti smarriti

seguia dietro a color, cui dissi suso

ch'avanti a Scipion non erano iti.

E poi che dopo ad essa, gli occhi in giuso,

Traian vidi venir e dopo lui                                                                80

Marzia col viso di lagrime infuso,

Giulia veniva poi dietro; con cui,

in atti riposati e mansueta,

quasi alle spalle a Cesare, di cui

honesta sposa fu, Calpurnia lieta                                                        85

venia, sanza parer che disiasse

altro veder che lui, e in lui quieta

ogni altra voglia che la stimolasse.

 

 

CANTO XI

 

Venian dopo costor gente gioconda

ne' loro aspetti, tutti cavalieri

chiamati della Tavola ritonda.

Il re Artù quivi era de' primieri,

a tutti armato avanti cavalcando                                                           5

ardito e fiero sopra un gran destrieri.

Seguialo appresso Bordo spronando

e con lui Prezivalle e Galeotto

a picciol passo insieme ragionando.

E dietro ad essi venia Lancillotto,                                                      10

armato e nello aspetto grazioso,

con una lancia in man, sanza far motto,

ferendo spesso il caval poderoso

per appressarsi alla donna piacente,

di cui toccar pareva disioso.                                                              15

Oh quanto adorna quivi ed eccellente

allato a lui Ginevra seguitava,

in su un palafreno orrevolmente!

Stella mattutina somigliava

la luce del suo viso, ove biltate                                                          20

quanto fu mai tututta si mostrava.

Sorridendo negli atti, di pietate

piena e parlando a consiglio segreto

con tacite parole ed ordinate,

era con que' che già ne visse lieto                                                      25

lunga fiata, lei sanza misura

amando, ben che poi n'avesse fleto.

Non molto dietro ad esso con gran cura

seguiva Galeotto, il cui valore

più ch'altro de' compagni si figura.                                                     30

E lui seguiva Chedino ed Astore

di Mare insieme con messer Ivano,

disiosi ciascuno di più onore.

L'Amoroldo d'Irlanda ed Agravano,

Palamidès seguiva e Lionello,                                                            35

e Polinoro con messer Calvano.

Mordretto appresso e con lui Dodinello,

e 'l buon Tristan seguiva poi appresso

sopra un cavallo poderoso e isnello.

Isotta bionda allato allato ad esso                                                      40

venia, la man di lui con la sua presa

e rimirandol nella faccia spesso.

Oh quanto ella parea nel viso offesa

dalla forza d'amor, di che parea

ch'avesse l'alma dentro tutta accesa,                                                  45

di che negli atti fuor tutta lucea!

«Tu se' colui cui io sola disio»,

timida nello aspetto li dicea;

«in qua ti priego ch'alquanto, amor mio,

tu ti rivolghi, acciò ch'io vegga il viso                                                  50

per cui vedere in tal camin m'invio».

Retro a costor sopra un cavallo assiso

rubesto e fiero Brunoro venia,

ed altri molti, i qua' qui non diviso,

eran con lui; ma io, la vista mia                                                          55

dopo la lunga schiera discendendo,

conobbi più mirabil baronia.

Di porpore vestito, oltre correndo,

quel Carlo Magno sen veniva avante

ch'al mondo fu cotanto reverendo,                                                     60

in su un forte e gran destrier ferrante,

ancora de' triunfi coronato

ch'egli acquistò sopra le terre sante,

fiero ed ardito e tutto quanto armato,

co' gigli d'oro nel campo cilestro                                                        65

e 'l nero uccel davanti nel dorato.

Eravi Orlando dal lato sinestro

con una spada in man fiero ed ardito,

ed Ulivier lo seguiva dal destro.

Cavalcando tra questi oltre pulito,                                                     70

da Montalban Rinaldo giva avanti

intra due suoi fratelli reverito.

Tra loro era Dusnamo con sembianti

lieti, e molti altri ancor v'eran li quali

io non pote' conoscer tutti quanti.                                                      75

Oltre venia, che parea ch'avesse ali,

il duca Gottifré dopo costoro

per volere esser pur de' principali.

Appresso lui seguiva con coloro

umilemente Ruberto Guiscardo,                                                         80

che fu signor già in Terra di Lavoro.

Lui seguitava frontiero e gagliardo

Federigo secondo; e 'l Barbarossa

sopr'un forte roncion di pel leardo,

cavalleroso e di persona grossa,                                                        85

dritto sovra le strieve in atto altiero,

nel sembiante avitendo ogni altra possa,

via se ne giva per esser primiero.

 

 

CANTO XII

 

Non sanza molta ammirazion mirando

m'andava riguardando quella gente,

fra me di lor pensier nuovi recando.

Parevami, nel creder, veramente

che loro eccelsa fama gloriosi                                                              5

far li dovesse sempiternamente.

E fra gli altri che molto disiosi

negli atti si mostravan di venire

a quella donna per esser famosi,

robustamente in aspetto seguire,                                                        10

armato tutto sopra un gran destriere,

vid'io quivi un grandissimo sire ,

vestito di cilestro, al mio parere,

lucente tutto di be' gigli d'oro

ch'ogni altra luce facean trasparere.                                                   15

Ognun, qualunque fosse di coloro

che gian davanti, rimirava lui,

sì fiero andava fuggendo dimoro.

Se ben ricordo, e' mi parve costui

quel Carlo ardito ch'ebbe il maschio naso                                          20

insieme con virtù molta, da cui

tutto il pugliese regno fu invaso

e conquistato, e fanne coronato;

del qual signore il suo seme è rimaso.

Rimirandosi innanzi quasi irato,                                                          25

con una spada che in man tenea

da ogni parte si facea far lato.

Appresso a lui, al mio parer, vedea

il Saladin risplender tutto quanto

entro ad un drappo ad or che 'ndosso avea.                                      30

Costui seguiva dal sinistro canto

tututto armato Ruggier di Loria,

che in arme ebbe già valor cotanto.

Ontoso tutto appresso li venia

il re Manfredi e con dolente aspetto,                                                  35

e con lui Curradino in compagnia.

Rietro a costoro assai che io non metto

qui ne seguien, però che troppo avrei

a fare a dirti tutti ed il mio detto

tireria lungo più ch'io non vorrei,                                                        40

posto ch'alla man manca ed alla dritta,

ch'io non ne conto, più ne conoscei.

E la mia mente dal disio trafitta

di vedere oltre pur mi stimolava,

per che la vista non teneva fitta.                                                         45

Similemente quella con cui andava,

con le parole sue faccendo fretta,

sovente all'altre cose mi chiamava.

Il dir ch'io le faceva: – Un poco aspetta –

non mi valeva, per ch'io mi voltai                                                       50

verso la terza faccia a man diretta.

Aveavi certo da mirare assai

più ch'io dir non potrò, tal che 'n me stesso

assai fiate men maravigliai.

Con gli occhi alzati mi feci più presso                                                 55

al detto luogo, acciò ch'io conoscessi

chi e che cose vi stessero in esso.

Oro ed argento, un gran monte, e con essi

zaffiri ed ismeraldi con rubini

ed altre pietre assai credo vedessi.                                                    60

Riguardando più basso, con uncini,

chi con picconi e chi avea martello

e chi con pale e chi con gran bacini,

ronconi alcuni ed altri intorno ad ello

con l'unghie e chi coi dente, uno infinito                                              65

popol vi vidi per pigliar di quello.

E ciaschedun parea pronto ed ardito,

non onorando il piccolo il maggiore,

a suo poter fornia suo appetito.

Gente v'avea di molto gran valore                                                      70

in vista, avvegna che la lor viltate

pur si scopria, veggendo con romore

gli altri, che quivi per cupiditate

givan, cacciarli con duoli e con morte

per prendern'essi maggior quantitate,                                                 75

iniqua tirannia rubesta e forte

usando, chi con fatti e chi con detti,

prendendo più che la dovuta sorte.

Alcun v'avea che i loro mantelletti

se n'avean pieni, e per volerne ancora                                                80

abbandonavan tutti altri diletti.

Tra quella gente che quivi dimora

conobb'io molti, e vidivene alcuno

ch'aver preso di quello ora ne plora

e forse ne vorrebbe esser digiuno;                                                     85

ma, cosa fatta, penter non vi vale,

né puolla adietro ritornar nessuno:

adunque ogni uom si guardi di far male.

 

 

CANTO XIII

 

Mirand'io quella turba sì gulosa

di quel per che s'affanna la più gente,

per esserne nel mondo copiosa,

entrato infra 'l tesoro più fervente

vi vid'io Mida, in vista che sazia                                                           5

saria di tutto appena possedente,

non bastandoli avere avuta grazia

dall'iddii che ciò che e' toccasse

ritornasse oro ver sanza fallazia.

Di rietro a lui parea che ne tirasse                                                      10

giù Marco Crasso assai, avvegnadio

che della bocca ancor li traboccasse.

Allato a lui con isciolto disio

quell'Attila, che 'n terra fu flagello

s'affaticava forte, al parer mio,                                                           15

nelle sue man tenendo uno scarpello

con un martel, fierendo sopra 'l monte,

gran pezzi e grossi levando di quello.

Dall'altra parte con superba fronte

era Epasto, con un piccone in mano                                                  20

con punte agute bene ad entrar pronte.

Ognor che su vi dava non invano

tirava il colpo a sé, ma gran cantoni

giù ne faceva ruvinare al piano,

impiendo di quel sé e' suoi predoni                                                    25

ed ogni sciolta voglia adoperando,

dannando le giustizie e le ragioni.

Là vi vid'io ancora furiando

Nerone imperadore, ed avea tesa

sopra 'l monte una rete e già tirando                                                  30

molta gran quantità n'aveva presa

di quel tesoro, e qual gittava via

e qual mettea in disordinata spesa.

Ivi di dietro un poco a lui seguia

con una scure in man Polinestore,                                                      35

e quanto più potea quivi feria,

ora col colpo faccendo romore,

ora mettendo biette alla fessura

quando la scure sua tirava fore,

forse temendo che non l'apritura                                                        40

si richiudesse; e molto ne levava

continovando pur con la sua cura.

Appresso lui tutto 'l monte graffiava

Pignaleon con uno uncino aguto,

e molto giuso a sé ne ritirava.                                                            45

L'acerbo Dionisio conosciuto

v'ebbi mirando fra la gente folta,

ch'a tor dell'oro non voleva aiuto.

Là si ficcava tra la turba molta

con un roncone in man tagliando, e presto                                         50

di quello a piè si faceva raccolta,

impiendo con affanno il suo molesto

voler, cacciando misura e piatate

in modo sconcio assai e disonesto.

Rubesto appresso la sua crudeltate                                                    55

Fallarìs dimostrava, ricidendo

con una accetta una gran quantitate

e via di quindi di quel trasferendo;

poi, arrotata la 'ngrossata accetta,

ancora quivi tornava correndo.                                                          60

Con furiosa e minaccevol fretta

quivi si vedea Pirro accompagnato

con mal disposta e dispiacevol setta.

A molti lì per forza avean levato

a cui cesta di collo, a cui di seno                                                        65

avean rubato l'or ch'avean cavato.

Ridendo poi fra lor se ne facieno

beffe ed istrazio di que' cattivelli,

ch'a cavar quel fatica avuta avieno.

Ancora vid'io star presso di quelli                                                      70

il dispietato ed iniquo Tereo,

di quel tesoro prender nel quale elli

fatica non durò mai come feo

quelli a cui toglieva; e dopo lui

pien d'oro dimorava Tolomeo.                                                          75

Ivi era Fisistrato, per la cui

cura più scrigni ripieni e calcati

quivi ne vidi tirati da lui.

Avea in un lembo de' panni piegati

Siragusan Geronimo tesoro:                                                              80

egli e molti altri ne gian caricati.

Ma di Novara Azzolin con costoro

con molto se ne giva, per tornare

con maggior forza a sì fatto lavoro.

Molti altri ancora vi vidi cavare                                                          85

ed isforzarsi per volerne avere,

ma niente era il loro adoperare,

anzi oziosi stavano a vedere.

 

 

CANTO XIV

 

Più altra gente ancor v'avea, fra' quali

gran quantità di nuovi Farisei

ad aver del tesoro battean l'ali,

e sconfortando gli altri e come rei

erano a posseder nel lor parlare                                                          5

mostrando; e s'io nel rimirar potei

riguardar vero il loro adoperare,

per possederne maggior quantitate

li vi vedeva forte affaticare.

Correndo sen portavan caricate                                                        10

le some, e con iscrigni e piene ceste

si ritornavan quivi molte fiate.

Ver è che ben ch'avesser lunghe veste

non gli ingombrava però, ma parea

che più che gli altri avesser le man preste.                                          15

Infra lor riguardando, assai v'avea

di quelli cui altra volta avea veduti

e ch'io per nome ben riconoscea.

Li quali, però che son conosciuti,

non bisogna ch'io nomi, ben che pari                                                 20

potrebbono esser tututti tenuti.

Con questi avanti, al mio parer non guari,

quasi tra quei ch'erano più eccellenti

e che parean de' su detti vicari,

ornato di be' drappi e rilucenti                                                           25

il nipote vid'io di quel Nasuto,

che gloriarsi va co' precedenti,

recarsi in mano un forte biccicuto,

dando ta' colpi sopra 'l monte d'oro,

che di ciascun saria un mur caduto;                                                    30

e d'esso assai levava, e quel tesoro

in parte oscura tutto si serbava,

e quasi più n'avea ch'altro di loro.

Oltre grattando il monte dimorava

con aguta unghia un, ch'al mio parere                                                 35

in molte volte poco ne levava.

Con questo tanto forte quel tenere

in borsa li vedea, ch'a pena esso,

non ch'altro alcun, ne potea bene avere.

Al qual faccendom'io un poco appresso                                            40

per conoscer chi fosse apertamente,

vidi che era colui che me stesso

libero e lieto avea benignamente

nudrito come figlio, ed io chiamato

aveva lui e chiamo mio parente.                                                         45

Davanti e poi e d'uno e d'altro lato

tanti su per lo monte e giù scendieno

a prender del tesoro disiato:

ogni lingua verrebbe a dirlo meno,

però qui m'aggia lo lettore alquanto                                                   50

scusato s'io non gli ritraggo a pieno.

Quand'io ebbi costor mirati tanto

ch'a me stesso increscea, io mi voltai,

com'altri volle, verso il destro canto.

Ver è che disiato avrei assai                                                              55

d'essere stato della loro schiera,

se con onor potesse esser giammai.

E s'io vi fossi stato, come v'era

alcun ch'io vi conobbi, io avrei fatto

sì che veduta fora la mia cera                                                            60

credo più volentier da tal che matto

or mi riputa, però che i' ho poco,

e più caro m'avrebbe in ciascun atto.

Hai lasso, quanto nelli orecchi fioco

risuona altrui il senno del mendico!                                                    65

né par che luce o caldo abbia 'l suo foco,

e 'l più caro parente gli è nimico;

ciascun lo schifa, e se non ha moneta

alcun non è che 'l voglia per amico.

Unque s'ogni uomo pur di quello asseta,                                            70

mirabile non è, poiché virtute

sanza danari nel mondo si vieta;

il cui valor se fosse alla salute

di quel pensato che uom pensar dee,

non le ricchezze sarian sì volute.                                                        75

Ma io mi credo che parole ebree

parrebbono a ciascun chiaro intelletto

il dir che le ricchezze fosser ree,

avvegna che in me questo difetto

piuttosto che in altro caderia,                                                             80

tanto disio d'averne con effetto.

Né da tal disiderio mi trarria

alcun, tanto il pregar mi par noioso

che di danar sovvenuto mi sia.

Dopo molto pensar, disideroso                                                         85

di veder tutto, dirizzai il viso:

e vidi figurato poderoso

Amor, sì come qui sotto diviso.

 

 

CANTO XV

 

Quella parte dov'io or mi voltai

con gli occhi riguardando e con la mente,

di storie piena la vidi e d'assai.

Volendo adunque d'esse pienamente,

almen delle notabili, parlare,                                                                5

rallungar sì convien l'opra presente.

E però dico che, nel riguardare

ch'io feci, a guisa d'un giovane prato

tutta la parte vidi verdeggiare,

similemente fiorito e adornato                                                            10

d'alberi molti e di nuove maniere,

e l'esservi parea gioioso e grato.

Tra' quali, in mezzo d'esso, al mio parere,

un gran signor di mirabile aspetto

vid'io sopra due aquile sedere;                                                          15

al qual mentre io mirava con effetto,

sopra due lioncelli i piè tenea

ch'avean del verde prato fatto letto.

Una bella corona in capo avea

e li biondi cape' sparti sott'essa,                                                         20

che un fil d'oro ciaschedun parea.

Il viso suo come neve mo' messa

parea, nel qual mescolata rossezza

aveva convenevolmente ad essa.

Sanza comparazion la sua bellezza                                                     25

era, ed aveva due grandi ali d'oro

alle sue spalle, stese inver l'altezza.

In man tenea una saetta d'oro

ed un'altra di piombo, alla reale

vestito, al mio parer, d'un drappo ad oro.                                          30

Orrevolmente là il vedea cotale,

tenendo un arco nella man sinestra,

la cui virtù sentir già molti male.

Né però era sua sembianza alpestra

ma giovinetta e di mezzana etate,                                                       35

dimestica e piatosa e non silvestra.

E 'ntorno avea sanza fine adunate

genti, le qua' parea che ciascheduno

mirasse pure a sua benignitate.

Gai e giocondi ve ne vidi alcuno,                                                       40

tristi e dolenti sospirando gire

altri vi vidi, in isperanza ognuno.

Io che mirava il grazioso sire,

immaginando molto il suo valore

per molti ch' io vidi a lui servire,                                                         45

ornata come lui, con grande onore

li vidi allato una donna gentile,

la qual pareva sì com'elli Amore,

vaga nelli occhi, piatosa ed umile;

ver è ch'era d'alloro coronata,                                                           50

ed in tanto era ad Amor dissimile.

Angiola mi pareva nel ciel nata,

e in me più volte pensai ch'ella fosse

quella che in Cipri già fu adorata.

Non so quel che il cor mi si percosse                                                 55

mirando lei, se non che l'alma mia

pavida dentro tutta si riscosse,

né sanza a lei pensar fu poi né fia:

sì eccellente e tanto graziosa

quivi allato ad Amor vidi lucia.                                                           60

In fronte a lei, più ch'a altra valorosa,

due belli occhi lucean sì che fiammetta

parea ciascuno d'amor luminosa;

e la sua bocca bella e piccioletta

vermiglia rosa e fresca simigliava,                                                      65

e parea si movesse sanza fretta.

Dintorno a sé tutto il prato allegrava,

come se stata fosse primavera,

col raggio chiar che 'l suo bel viso dava.

Io non credo ch'al mondo mai pantera                                               70

col suo odor già anima' tirasse,

faccendoli venir dovunque s'era

blandi e quieti, ch'a lei simigliasse;

e sì parean mirabili i suoi atti,

ch'Amor pareva lì s'innamorasse.                                                       75

Oh come nello aspetto, in detti e 'n fatti,

savia parea, con alto intendimento,

pensando a' suo' sembianti ed a' suoi tratti!

Contemplando ad Amore il suo talento

parea fermasse en la sua chiara luce:                                                  80

com'aquila a' figliuo' nel nascimento

con amor mostra ond'ella li produce

a seguir sua natura, così questa

credo che faccia a chi la si fa duce.

A rimirar contento questa onesta                                                       85

donna mi stava, che in atti dicesse

parea parole assai piene di festa,

come lo 'mmaginar par che intendesse.

 

 

CANTO XVI

 

Costei pareva dir negli atti soi:

«Io son discesa della somma altezza

e son venuta per mostrarmi a voi.

Il viso mio, chi vuol somma bellezza

veder, riguardi, là dove si vede                                                            5

accompagnata lei e gentilezza.

Ò pietà per sorella e di merzede

fontana sono: Iddio mi v'ha mandata

per darvi parte del ben che possiede.

Donna più ch'altra sono innamorata                                                   10

e ma' isdegno in me non ebbe loco,

però Amor m'ha cotanto onorata.

Ancor risplende in me tanto il suo foco,

che molti credon talor ch'io sia ello,

avvegna che da lui a me sia poco.                                                      15

Cortese e lieta son di lui vasello,

né mai mi parran duri i suoi martiri

pensando al dolce fin che vien da quello.

E bene è cieco quei che' suoi disiri

si crede sanza affanno aver compiuti                                                  20

e sanza copia di dolci sospiri.

Riceva in pace dunque i dardi aguti,

ch'alcun piacer di belli occhi saetta

que' che attendon d'esser proveduti.

Tal, qual vedete, giovane angioletta                                                   25

qui accompagno Amor che mi disia:

poi tornerò al cielo a chi m'aspetta».

Ancor più intesi, ma la fantasia

nol mi ridice, sì gran parte presi

di gioia dentro nella mente mia                                                           30

lei rimirando e' suoi atti cortesi,

il chiaro aspetto e la mira biltate,

della qual mai a pien dir non porriesi.

Dallato Amor con tanta volontate

vidi mirarla, che nel bello aspetto                                                       35

tutto si dipingeva di pietate.

Ognora a sé con la sua mano il petto

tastando, quasi non si avesse offeso

perché a guardarla avea tanto diletto.

Io stetti molto a lei mirar sospeso                                                      40

per guardar s'io l'udissi nominare

o i' 'l vedessi scritto brieve o steso.

Lì nol vidi né 'l seppi immaginare,

avvegna che, com'io dirò appresso,

in altra parte poi la vidi stare                                                              45

dond'io il seppi, e lì il dico espresso:

però chi quello ha voglia di sapere

fantasiando giù cerchi per esso.

Omè, che lei mirando il mio volere

non avrei sazio mai! ma stretta cura                                                   50

di mirare altro mi mise in calere.

Levando adunque gli occhi inver l'altura

vidi quel Giove che 'n forma di toro

non già rubesto mutò sua figura,

che quivi avendo per umil dimoro                                                      55

Europa sottratta a cavalcarsi,

per me' compier l'avvisato lavoro,

e' parea quindi correndo levarsi

e gir su per lo mar, come cacciato

fosse, e poi pianamente posarsi                                                         60

in quel paese che poi fu nomato

da quella che da dosso si dispose,

ripigliando sua forma innamorato.

Nel loco poi con parole pietose

pareva a me che la riconfortasse                                                        65

narrando ancor le sue piaghe amorose;

ma con disio parea poi l'abracciasse,

e con diletto l'avuto disio

sanza contasto parea terminasse.

Alquanto appresso ancora questo iddio                                             70

com'una gotta d'oro risplendente

trasformato e cadendo, lui vid'io

gittarsi in una torre prestamente

ad una giovinetta ch'entro v'era,

per ben guardarla, chiusa strettamente;                                              75

il qual forse l'amava oltra maniera

dovuta, ed infra le bianche tette

e belle in piova gir lasciato s'era.

Né dello inganno già saper cevette

quella, ma lui ritenne nascoso                                                            80

e guadagnato forse aver credette.

Alla vera statura luminoso

quivi vedeasi tornato e costei

abracciando e basciando, disioso

riguardando essa, né giammai da lei                                                   85

partir sanza il disiato giugnimento;

di che parea ch'ella dicesse: «Omei,

ch'io son gabbata dal tuo argomento».

 

 

CANTO XVII

 

Hai! come bella seguiva una storia

della figliuola d'Inaco, mi pare,

se ben mi rappresenta la memoria.

Era lì Giove, e vedendo tornare

sola dal padre quella giovinetta,                                                           5

il suo disio le vedeva narrare.

Lungo un boschetto con essa soletta,

sotto piacevoli ombre con costei

star lo vedea sopra la verde erbetta.

Ma così dimorandosi con lei,                                                             10

Giuno vi sopravenne furiosa

temendo dello inganno fatto a lei.

Intanto la persona graziosa

Giove di quella in una vacca bella

mutò, e lei donò alla sua sposa.                                                         15

Or poi che Giuno aveali presa quella,

per tema forse di simile offesa,

Argo pien d'occhi guardian fece d'ella.

Colui appresso, che l'aveva presa

a guardia, in atto un pastor chiamava,                                                20

ch'una sampogna sonar gli avea intesa.

Hatlanciade, quel pastor, v'andava,

sotto alberi sonando dolcemente

con colui quivi riposando stava.

Onde sonando, vedea chetamente                                                     25

con tutti e cento gli occhi ch'Argo avea

addormentarsi e non sentir niente.

Rigido poi l'altro pastor vedea

trarsi di sotto un ritorto coltello,

col qual colui prestamente uccidea.                                                    30

Fu lì da Giuno mutato in suo uccello

la quale irata poi parea seguire

la vacca per cui era morto quello.

A lei davanti vedeasi fuggire

e già tenea il Nil, quando lo dio                                                         35

Giuno rattemperò e le sue ire.

Così tornò ogni bellezza ad Io,

ch'ell'ebbe mai, e lasciò la pigliata

forma bestial che Giove le diè pio.

E poi la vidi lì deificata,                                                                     40

e dalla gente lì divota assai

con molti incensi la vidi onorata.

Dopo essa alquanto avanti riguardai

e 'l detto iddio in forma feminile

in un fronzuto bosco affigurai;                                                            45

e riguardando lui, che nel gentile

aspetto e bello Diana mi pareva,

negli atti suoi mansueto ed umile,

là affannato forse si sedeva

ed un forte arco con molte saette                                                       50

dal suo sinistro lato posto aveva.

Lui mirando una delle giovinette

che per lo bosco con Diana gia,

che questi dessa fosse si credette;

a lui venendo in atto onesta e pia                                                       55

per lei basciar, ché forse consueto

era, sicura prese la sua via.

Ver lei si fece Giove, e tutto lieto

prendendola la trasse seco appresso

entro in un luogo del bosco segreto;                                                  60

ove basciando lei, essa con esso

si stava cheta, che semplice e pura

aveva rotto il boto già commesso.

Sola lì mi parea che con paura

gravida rimanesse di colui                                                                  65

che la 'ngannò sotto l'altrui figura.

Tacquesi un tempo la donna nel cui

ventre piacevol peso era nascoso,

ma pur convenne poi paresse altrui,

ricevend'ella allora dal grazioso                                                         70

coro di Diana l'esserne divisa:

di che poi Giove, essendone piatoso,

a lei diè forma d'Orsa e fella assisa

essere intorno al pol piena di stelle,

per guiderdon della colpa commisa.                                                   75

Bianco, al mio parer, di dietro a quelle

istorie il vidi in cigno figurato,

con bianche penne rilucenti e belle.

In dentro andando se l'avea pigliato

nelle sue braccia disiosa Leda,                                                          80

e 'n camera di lei l'avea portato.

Là come tosto la infinta preda

si vide inchiuso, lieto ritornossi

nella sua vera e consueta sceda.

Tutta negli atti Leda marvigliossi,                                                       85

ma concedendo sé alla sua voglia,

quivi mostrava come racchetossi

acciò che luogo avesse en l'alta soglia.

 

 

CANTO XVIII

 

Dopo costei si vedea seguitare

come di Semelè già gli arse il core,

e come l'ebbe ancora vi si pare.

Ornata come vecchia e di dolore

piena era quivi Giuno, invidiosa                                                           5

perché Giove portava a quella amore;

nascosa in forma tale, la graziosa

giovine domandava s'ella fosse

ben dell'amor di Giove copiosa.

Nel viso a riso a quel parlar si mosse                                                 10

non conoscendo lei, e le rispose:

«Altro che me non disian sue posse».

Allor si turbò Giuno, ma l'ascose

con falso aspetto, e disse: «Ora ti guarda

ch'e' non ti inganni con viste frodose.                                                 15

Più furon quelle già cui la bugiarda

vista ingannò, ed io ne so alcuno;

ma se tu vuo' saper se per te arda,

istea con teco dì come con Giuno.

Se elli il fa, ben ti dico ch'allora                                                          20

dirò che non ci sia 'nganno nessuno;

e fa che 'l facci». E sanza far dimora

da lei si dipartia; questa aspettando

rimase con disio la sua malora.

Tacita e sola così dimorando,                                                            25

parve che Giove nella casa entrasse,

a cui ella così dicea pregando:

«Or neghera'mi tu, s'io domandasse,

un caro dono?» a cui e' rispondea,

e rispondendo parea che giurasse                                                      30

sé a ciò non mancar ch'ella volea.

«Come con Giuno ti congiugni», disse,

«così con meco ti priego che stea».

Ahi come a Giove dolfe! ma non sdisse

quel che 'mpromise, ma invito quello                                                  35

fé, perché 'l saramento non perisse.

Rilucer lì d'un foco grande e bello

Semelè si vedeva e in cener trita

ritornar tosto giacendo con ello.

E così trista finì la sua vita                                                                  40

per lo disio che 'l consiglio dolente

le porse, e Giuno rimase gioita.

Conforme poi si vedea similmente

Asterien ad aquile seguire,

cui elli amava molto coralmente.                                                        45

Allato a lei ed or di sopra gire

per alti boschi quivi si vedeva,

e poi con l'ali lei presa covrire.

Molto dubbiosa lì quella pareva,

per che rivolta contra il grande iddio                                                  50

con fievol possa cacciar lo voleva.

Valeale poco, però che 'l disio

suo ne prendeva que', come che a lei

ne' suoi sembianti le paresse rio.

Nel luogo appresso si vedea colei                                                     55

che partorì i due occhi del cielo,

secondo che apparve agli occhi miei.

Assai timida, l'isola di Delo

la riteneva quasi fuggitiva,

umile e piana sotto bianco velo.                                                         60

Soletta appresso Antiopa seguiva,

con la qual quivi Giove in forma quale

un satiro, alla mia stimativa.

Ove allato sedeale e quanto male

amor per lei li facesse narrava,                                                          65

né come alcun rimedio ve li vale.

Assai negli atti suoi la lusingava,

tanto che 'nfine alla sua volontate

con impromesse e prieghi la recava.

Vedeasi appresso quivi la biltate,                                                       70

in una storia che venia, d'Almena

piena di grazia e di tutta onestate,

in suoi sembianti gioconda e serena;

a cui Giove, in forma del marito

che dallo studio tornava d'Atena,                                                       75

tutto il suo disio avea compito.

Vedevavisi Geta doloroso

perché un altro n'avea 'n casa sentito.

Appresso v'era Birria nighittoso

caricato di libri; al picciol passo                                                         80

parea venisse tutto dispettoso,

sanza alcun ben, dicendo: «Oimè lasso,

quando sarà ch'i' posi questo peso

che sì m'affolla, ponendolo abbasso?».

Inver lo ciel ne gia, poi ch'ebbe preso                                                85

Giove il diletto che di lei li piacque,

pregna lasciandola, al salire inteso:

di cui appresso il forte Ercule nacque.

 

 

CANTO XIX

 

Ivi più non seguia, perché finiva

quella facciata con gli antichi autori

che stanno innanzi a quella donna diva.

Laond'io torna'mi inver li predatori,

ricominciando a quel canto primiero                                                    5

a rimirar gli antichissimi amori.

Ed umile tornato v'era il fiero

Marte, prencipe d'arme fatto amante,

per la qual cosa più non era altiero.

Con tal disio il piacevol sembiante                                                     10

mirava della bella Citerea,

che non parea che più curasse avante.

Tra que' luoghi medesmi mi parea

con essa lui veder dentro ad un letto,

dintorno al quale, al mio parere, avea                                                15

ordinata di ferro tutto eletto

una rete sottil che gli avea presi,

come per coglier loro in quel diletto.

Sovra la sua vergogna i lacci tesi

avea Vulcano, il qual veder venia                                                       20

ridendosi d'averli sì offesi.

Aveva quivi ciascun dio e dia,

che nel ciel fosse, tututti chiamati

Vulcan, per mostrar lor cotal follia.

Commosso a' prieghi di Nettunno grati                                              25

fatti a Vulcan per Marte umilemente,

di quella fuor da lui eran cacciati.

Hai! come poi ciascuno apertamente

faceva il suo piacer, però che avieno

vergogna ricevuta interamente!                                                          30

E sì avviene a que' che non vorrieno

trovar le cose e vannole cercando,

che molto meglio cheti si starieno.

Molto consiglio ciaschedun, che quando

pur divenisse che cosa vedesse                                                         35

che li spiacesse, con gli occhi bassando

e' se ne passi, perché molto spesse

son quelle volte che tai vendicare

tal vuol, che saria me' che se ne stesse.

Tutto focoso vidi seguitare                                                                40

quivi Febo Pennea graziosa,

e lei con dolci voci lusingare.

Temendo fuggiva ella impetuosa

quivi da lui e di sopra le spalle

con li capelli sparti: più focosa                                                           45

entrava in Febo, che 'l dolente calle

seguiva, infin che stanca fé dimoro,

più non potendo, in una bella valle.

Là ritornata in grazioso alloro

sopr'essa il sol la sua luce fermava,                                                    50

faccendole col raggio chiaro coro.

Veder pareami, secondo mostrava,

che si dolesse di tal mutazione

e ne' sembianti sen ramaricava.

Ivi era appresso poi come Sitone,                                                     55

maschio da lui sanza fine amato,

mutava in feminil sua condizione.

Con esso lui si stava quivi allato,

e lei tenendo in braccio con amore

mostrava ch'altro non li fosse a grato.                                                60

Or, con costei finito il suo ardore,

rinchiuso vidi in una vecchia scura,

più là un poco, tutto il suo splendore.

Nell'aspetto pareva la figura

della madre di quella, per cui questo                                                  65

a far ciò il sospignea con tanta cura.

Mirabilmente là si vedea presto

chiuso tornare in sé, onde colei

dicea maravigliando: «Or che è questo?».

E poi il vedeva starsi con costei;                                                        70

ma morta quella, per la sua potenza

in albero d'incenso mutò lei.

Così appresso in forma; e l'accoglienza

che Issèn li fé quando con essa giacque,

tutto vi si vedea sanza fallenza.                                                          75

Habituato, v'era com lì piacque

a Climenès, del cui congiungimento

Feton che guidò il carro poi ne nacque.

Oltre tra questi poi, molto contento,

era Nettunno in forma d'Euristeo,                                                      80

Esimena abbracciando al suo talento.

Innanzi riguardando discerneo

la vista mia costui in braccio tenere

Cerere, cui amò quanto poteo.

Non sanza molti basci, al mio parere,                                                85

la stimolava; ma io mi voltai,

non potend'io più quivi vedere,

dond'io a riguardar pria cominciai.

 

 

CANTO XX

 

Ove io vidi in ordine dipinto

sì come Bacco. per forza d'amore,

in forma d'uva ad amar fu sospinto

la figlia di Ligurgo; il cui ardore

quivi con lei in braccio si vedea                                                           5

temperar, non in forma né in colore

che si sdicesse, e 'l simil mi parea

d'Erigonèn; e del suo gran disio

così sé quivi si sodisfacea.

Ivi seguiva poi, al parer mio,                                                              10

Pan che Siringa gia perseguitando,

ch'avanti li fuggia in atto pio;

e lei fuggente l'andava pregando,

ma 'l pregar non valeva, anzi tornata

in canna poi la vidi in forma stando.                                                   15

Poi di quella i bucciuoli spessa fiata

sonati fur, però che primamente

da esso fu la sampogna trovata.

Appresso lui vi vid'io il dolente

Saturno in forma di cavallo stare,                                                       20

a Fillara accostarsi dolcemente.

Così appresso vidi, ciò mi pare,

Pluto li tristi regni abbandonati

avere e quivi intendere ad amare.

Ed a lui presso con atti sfrenati                                                          25

prender vedea Proserpina e con essa

fuggirsi a' regni di luce privati,

pur con istudio e con noiosa pressa,

come se stato fosse seguitato

da Giove per volerlo privar d'essa.                                                    30

Oltre nel loco vidi figurato

Mercurio con Ersèn: molto stretto,

amando lei, dimorava abracciato,

insieme avendo piacevol diletto.

Dopo 'l quale io vedeva tutto bianco                                                  35

Borea quivi, con un freddo aspetto.

Questi, li regni abbandonati, stanco

in Etiopia giugneva a vedere

Ortigia, ch'a sé dal lato manco,

vedeva, quivi la facea sedere;                                                            40

ed abracciata lei tenendo stretta

a pena seco gliel pareva avere.

A lui seguiva poi la giovinetta

Tisbe, che fuor di Bambillonia uscia

e verso un bosco sen giva soletta.                                                      45

Né lì guari lontano, la sua via

fornita, un velo lasciava fuggendo

per una leona che a ber venia

della fontana, dov'ella attendendo

Piramo si posava nell'oscura                                                              50

notte; così se n'entrava correndo

ove già fu la vecchia sepultura

di Nino. E poi si vedeva venire

Piramo là con sollecita cura,

a sé intorno mirando se udire                                                             55

o veder vi potesse se venuta

vi fosse Tisbe, secondo il suo dire.

Lui ciò mirando, in terra ebbe veduta,

perché la luna risplendeva molto,

la vesta che a Tisbe era caduta,                                                         60

tutto stracciato e per terra rivolto

con un mantello il bel vel sanguinoso,

per che tututto si cambiò nel volto.

Ricogliendo essi parea che doglioso

dicesse: «Oimè, Tisbe, chi ti uccise?                                                  65

chi mi ti tolse, dolce mio riposo?».

Ontoso tutto lagrimando mise

la mano ad uno stocco ch'avea seco,

col qual dal corpo l'anima divise.

Parea dicesse piangendo: «Con teco,                                                70

Tisbe, morrò, acciò ch'all'ombre spesse

di Dite, lassa, ti ritruovi meco»;

e sbigottito parea che cadesse

quivi sopra 'l mantello, a piè d'un moro,

e del suo sangue i suoi frutti tignesse.                                                 75

Non dilettava a Tisbe il gran dimoro;

colà dond'era uscì, e disse: «Forse

quella bestia è pasciuta, e già non loro

suol uso a noi far male»: ed oltre corse

alla fontana, e non credea che fosse                                                   80

essa quando le more rosse scorse.

In ciò mirando, tutta si percosse

quando Piramo vide ancor tremante,

e dal suo petto il ferro aguto mosse

e 'n su quel si gittò, dicendo: «Amante,                                              85

io son la Tisbe tua! mirami un poco

anzi ch'io muoia», e più non disse avante:

rimirandola, cadde morta loco.

 

 

CANTO XXI

 

Or miri adunque il presente accidente

qualunque è que' che vuol legge ad amore

impor, forse per forza, strettamente.

Quivi credo vedrà che 'l suo furore

è da temprar con consiglio discreto,                                                    5

a chi ne vuole aver fine migliore.

Vivean di questi i padri, ciascun lieto

di bel figliuolo: e perché contro a voglia

gli strinser, n'ebbe doloroso fleto.

E così spesse volte altri si spoglia                                                      10

di ciò che e' si crede rivestire,

e poi convien che sanza pro si doglia.

Sì riguardando poi vidi seguire

Giansone in mezzo di tre giovinette,

le quai ciascuna fu al suo disire.                                                         15

Tutte e tre furon già a lui dilette

e nominate Isifile e Medea,

al mio parer, con Creusa sospette.

«O sanza fede alcuna», mi parea

che Isifile dicesse, «o dispietato,                                                        20

o più crudel ch'alcuna anima rea,

deh, or hai tu ancor dimenticato

a quanto onor tu fosti ricevuto

nel regno ond'ogni maschio era cacciato?

Io non credo che mai fosse veduto                                                    25

uom volentier in nulla parte strana

né cotal dono a lui mai conceduto,

simile a quel che io benigna e piana

a te concessi, portando fidanza

alla tua fede come 'l vento vana.                                                        30

Faccendo saramenti a me, speranza

nel tuo partir mi desti che giammai

non cambieresti me per altra amanza.

Andastitene e me, come tu sai,

pregna lasciasti di doppio figliuolo,                                                    35

ed a tornar ancor verso me hai.

Con sospiri e con pianti e con gran duolo

gran tempo stetti, dicendo: «Omai tosto

verrà Giansone qui col suo stuolo»,

ed appena credetti quel che sposto                                                    40

mi fu di te, ch'avevi nuova amica

presa in Colcòs e mutato proposto.

Più avanti non so ch'io mi ti dica,

se non ch'io ardo e tu in giuoco e festa

ora ti stai con la mia nimica.                                                               45

In tanto questa doglia mi molesta

che dir nol posso, ma tu stesso pensa

chente parriati averla tal qual questa.

Assai ti priego dunque, se offensa

non ho commessa, non mi abandonare,                                             50

ma con pietà al mio dolor dispensa».

Non rispondea Giansone; ma poi stare

vidi negli atti molto dispettosa

Medea, inverso lui così parlare:

«Giansone, in tutto 'l mondo non fu cosa                                            55

ch'io tanto amassi né per cui facessi

quanto feci per te, sì come sposa;

e non mi credo ancor che tu sconfessi

com'io ti diè mirabile argomento,

per cui sicur co' tori combattessi.                                                       60

Mostra'ti ancora, per farti contento,

come 'l drago ingannassi, acciò ch'appresso

fornito avessi tuo intendimento.

Insieme me ne venni teco stesso,

e sai che io il mio picciol fratello                                                        65

uccisi, acciò che 'l mio padre sopr'esso

dimorasse piangendo, e quindi snello

e sanza noia passasse il nostro legno

già cominciato a seguitar da ello.

E sai ancora ch'io col mio ingegno                                                     70

il tuo antico padre e vecchio Ensone

di giovinetta età il feci degno;

né riguardai ancora a riprensione

ch'io non facessi morire il tuo zio,

per signor farti della regione.                                                             75

Tu il ti conosci e sai per certo ch'io

ogni cosa avre' fatta per piacerti,

non credendo che mai il tuo disio

rivoltassi da me per più doverti

dare ad altrui. Deh, se altro diletto,                                                    80

se non di me, due be' figli vederti

ognor davanti non t'avesse stretto,

non dovei tu giammai donna nessuna

più abracciar nel mio debito letto,

lo qual tu ora possiedi con una:                                                          85

che s'io non fossi stata alla tua vita,

né lei né me avevi, né altra alcuna.

Adunque a me, per Dio, ti rimarita».

 

 

CANTO XXII

 

Non rispondeva a nulla di costoro

quivi Gianson, ma Creusa abracciando

con lei traeva ditettevol dimoro.

Io, che andava avanti riguardando,

vidi quivi Teseo nel Laberinto                                                              5

al Minutauro pauroso andando.

Ma poi che quel con ingegno ebbe vinto

che li diede Adriana, quindi uscire

lui vedev'io di gioia dipinto;

al quale appresso Adriana venire                                                       10

e con lei Fedra, e salir nel suo legno

e quindi forte a suo poter fuggire.

Nel quale, avendo già l'animo pregno

del piacer di Adriana, lei lasciare

vedea dormendo e girsene al suo regno.                                            15

Gridando desta la vedeva stare,

e lui chiamava piangendo e soletta

sopr'un diserto scoglio in mezzo mare:

«Omè», dicendo, «deh, perché s'affretta

sì di fuggir tua nave? Aggi pietate                                                       20

di me ingannata, lassa, giovinetta!»

Segando se ne gia l'onde salate

con Fedra quelli, e Fedra si tenea

per vera sposa, per la sua biltate.

Costei più innanzi un poco si vedea                                                   25

accesa tutta di focoso amore

d'Ippolito, cui per figliastro avea.

Ivi vedeasi lo sfacciato ardore

di Pasifè, che 'l toro seguitava

di sé chiamandol conforto e signore:                                                  30

ove con le man propie ella segava

le fresche erbette nel fogliuto prato

e con quelle medesme gliele dava.

Spesso li suo' cape' con ordinato

stile acconciava e, della sua bellezza                                                  35

prima l'occhio allo specchio consigliato,

adorna venia innanzi alla mattezza

bestiale, e quivi parea che dicesse:

«Agraditi la mia piacevolezza?

Certo se io solamente vedesse                                                          40

che più ch'un'altra vacca mi gradissi,

non so che più avanti mi volesse».

Era di dietro a lei con gli occhi fissi

sopra 'l suo padre, Mirra scellerata,

né da lui punto li teneva scissi.                                                           45

Riguardando io costei lunga fiata,

quivi la vidi poi di notte oscura

esser con lui in un letto colcata.

Correndo poi fuggir l'aspra figura

del padre la vedea, che conosciuta                                                    50

avea l'abominevole mistura.

Albero la vedeva divenuta

che 'l suo nome ritien, sempre piangendo

o 'l fallo o forse la gioia compiuta.

Narcisso vidi quivi ancor sedendo                                                     55

sopra la nitida acqua a riguardarsi,

di sé oltre 'l dovuto modo ardendo.

Deh, quanto quivi nel ramaricarsi

nel suo aspetto mi parea piatoso,                                                       60

e talor seco se stesso crucciarsi:

«Omè», dicendo, «tristo doloroso,

la molta copia, ch'i' ho di me stesso,

di me m'ha fatto, lasso, bisognoso».

Cefalo poi, alquanto dietro ad esso,                                                  65

vid'io posato aver l'arco e li strali

e riposarsi, per lo caldo fesso.

«O aura, deh, vien con le fresche ali,

entra nel petto nostro!» tutto steso

stava dicendo parole cotali.                                                               70

Ma questo avendo già Pocris inteso,

cui ascosa vedea tra l'erbe e' fiori

in quella valle, con l'udire inteso,

essendo in sospezion de' nuovi amori,

credendo forse che l'Aura venisse,                                                    75

volle, e nol fece, intanto farsi fori.

Tutta l'erba si mosse e Cefal fisse

gli occhi colà, credendo alcuna fiera,

e preso l'arco su lo stral vi misse,

rizzando quel fra l'erba u' Pocris era,                                                 80

e lei ferì nello amoroso petto.

Ella, sentendo il colpo, in voce vera:

«Omè», gridò, «perché ebb'io sospetto

di quel ch'i' non dovea?» così diria

chi la vedesse ch'ella avesse detto.                                                    85

Venuto Cefalo: «L'anima mia,

or che face' tu qui? oimè lasso»,

dicea, «dogliosa omai mia vita fia,

avendo te recato a mortal passo».

 

 

CANTO XXIII

 

Ristrinsemi pietà l'anima alquanto

ad aver compassion di quel dolente,

cui io vedeva far così gran pianto.

Poi rimirando ad altro ivi presente,

vidi colui che il dolente regno                                                               5

sonando visitò sì dolcemente:

Orfeo dico, che col suo ingegno

fece le misere ombre riposare

con la dolcezza del cavato legno.

Sonando ancora quivi il vidi stare                                                      10

con Erudice sua, e mi parea

che il vedessi sonando cantare,

sollazandosi, versi, e sì dicea:

«Amore, a questa gioia mi conduce

la fiamma tua che nel cor mi si crea.                                                   15

Amor, de' savi graziosa luce,

tu se' colui che 'ngentilisci i cori,

tu se' colui che 'n noi valore induce.

Per te si fugano angosce e dolori,

per te ogni allegrezza ed ogni festa                                                     20

surge e riposa dove tu dimori.

O spegnitor d'ogni cosa molesta,

o dolce luce mia, questa Erudice

lunga stagion con gioia la mi presta!

Sempre mi chiamerò per te felice,                                                      25

per te giocondo, per te amadore

starò come fa pianta per radice».

A veder quel mi s'allegrava il core,

e 'mmaginando quelle parolette

a me, non che a lui, crescea valore.                                                   30

E poi, appresso a queste cose dette,

Diomede ed Ulisse si vedeano

divenuti merciai vender gioiette

tra suore quivi, che queste voleano

in vista comperar, ma dall'un lato                                                       35

spade ed archi forti posti aveano,

saette ancor: de' quali avea pigliato

uno una suora ch'ivi stava presso,

e infino al ferro l'arco avea tirato.

Onde parea dicesser: «Questi è desso,                                              40

questi è Acchille, cui andian cercando»,

e gir se ne volean quindi con esso.

La qual cosa vedendo, sospirando

una sorella quivi contastava

a que' che lui andavan lusingando.                                                     45

Acchille gir con essi disiava,

e spogliandosi l'abito iveritta

come buon cavalier presto s'armava.

Vedendo ciò Deidamia, trafitta

da grieve doglia, tutta scolorita                                                          50

parea dicesse a lui allato ritta:

«Omè, anima mia, o dolce vita

del cor dolente che tu abandoni,

di cui fia tosto, credo, la finita,

in qua' parti vai tu? qua' regioni                                                          55

cerchi tu più graziose che la mia?

deh, credi tu a questi due ladroni?

deh, non t'incresce di Deidamia?

I' son colei che più che altra t'amo

e che più ch'altra cosa ti disia.                                                           60

In quant'io posso più mercé ti chiamo:

non mi ti torre, deh, non te ne gire,

non privar me di quel che io più bramo!

sola mia gioia, solo mio disire,

sola speranza mia, se tu ten vai,                                                         65

subitamente mi credo morire.

In continova doglia e tristi guai

istarò sempre: deh, aggi pietate

di me, se grazia merita' giammai!

Ahi lassa, or son così guiderdonate                                                    70

tutte le giovinette ch'aman voi,

che di subito sieno abandonate?

Ricordar certo credo che ti puoi

quanto onor abbi da me ricevuto,

e ancora puoi ricever, se tu vuoi.                                                       75

L'abito che t'ha fatto sconosciuto

sì lungo tempo per me 'l ricevesti,

per me segreto se' stato tenuto.

E quando prima vergine m'avesti,

di mai partirti né d'altra pigliarne                                                        80

sopra la fede tua mi promettesti.

Perché altrove vuogli adunque andarne?

Di me t'incresca e del comun figliuolo

ch'abbian, se non ti duol la propia carne.

Io so che tu vuogli ire al tristo stuolo                                                  85

ch'è 'ntorno a Troia, ov'io dubito forte

che morto non vi sia e per gran duolo

a me medesma non ne segua morte».

 

 

CANTO XXIV

 

Così pareva che costei dicesse

ed altro assai, a' prieghi della quale

non mi pareva ch'Acchille intendesse;

e seguitava quelli al troian male,

contento più che d'esser lì rimaso,                                                       5

dove quella era, a cui tanto ne cale.

E 'nnanzi a lui, incerto del suo caso,

Briscida era trista, inginocchiata,

col viso basso e di baldanza raso.

Tra l'altre cose quella sconsolata                                                       10

piangendo mi parea che li dicesse:

«Deh, perché m'hai, Acchille, abandonata?

Per te convenne ch'io mi dolesse

de' miei fratelli, i quali io più amava

che altra cosa ch'io nel mondo avesse;                                               15

e, per l'amore che io ti portava

e porto, quella morte che tu desti

a lor dolenti non mi ricordava.

Rapita me per forza ancor m'avesti,

come tu sai, e mia verginitate                                                             20

a forza e contro a voglia mi togliesti.

Omè, che allora la tua crudeltate

non conobb'io, ché l'animo sdegnoso

non t'avre' mai l'offese perdonate.

Veduta sempre in abito cruccioso                                                      25

m'avresti certamente, e così forse

non avrei dentro amor per te nascoso.

Omè, quanto soperchio ve ne corse

quando con atti falsi mi mostrasti

ch'io ti piacessi, e questo il cor mi morse.                                           30

Levastimi da te, poi mi mandasti

a Agamenòn come schiava puttana:

in quello il falso amor ben dimostrasti

Eimè lassa, misera profana,

Briseida cattiva, che farai                                                                  35

abandonata in parte sì lontana?

Non mi lasciar morire in tanti guai,

Acchille, aggi piatà di me dolente

che t'amo più che donna uom giammai!

Deh, guardami con l'occhio della mente,                                            40

e prendati pietà di me alquanto»,

dicea colei, ma non valea niente.

Ivi appresso costui vid'io che tanto

ardeva dell'amor di Pulisena,

ch'ogni miseria ed angoscioso pianto,                                                45

periglio, affanno, guai o grave pena

delle su dette vendicava amore,

il qual fervente gli era in ogni vena;

e per lei spesso mutava colore,

prieghi porgendo, e non erano intesi,                                                 50

onde lui costringea grieve dolore.

Rimirando ivi ancora vediesi

Sesto ed Abido, picciole isolette,

e 'l mar che le divide ancor pariesi.

Sovvennemi ivi quando vi cadette                                                      55

Ellès, andando di dietro al fratello

all'isola de' Colchi, ove ristette.

Era notando ignudo nato in quello

mare Leandro, andando ver colei

cui più amava, vigoroso e snello.                                                       60

Venuta là alla riva costei

vedea con panni e ricever costui,

tutto asciugando lui dal capo a' piei;

e poi vedeva quivi lei e lui

con tanta gioia standosi abracciati,                                                     65

che simil non si vide mai in altrui.

Ritornar poi il vedea per li usati

mari alla casa, e di far quel camino

suoi membri non parien mai affannati.

A questo mare alquanto era vicino                                                     70

Minòs, Alcatoè tenendo stretta

per forte assedio, volendo il destino

romper di quel capel che nella vetta

del capo a Niso stava, che per esso

l'oste di fuor non avea sospetta.                                                         75

E quivi quella torre, ove fu messo

già lo strumento d'Appollo sonante,

vi si vedea rilucere appresso.

Pareva in quella Silla fiammeggiante

dell'amor di Minòs, che a vedere                                                       80

stava l'oste a sua terra davante.

Venir la mi parea poscia vedere

avendo il porporin capel cavato

al padre, e a Minòs darlo, che 'l volere

robusto suo facea del disarmato                                                        85

Niso, privando lui della sua gloria:

Silla gittata poi nel mar salato,

n'andava lieto della sua vittoria.

 

 

CANTO XXV

 

Era più là Alfeo, con le sue onde

piegate intorno e dietro ad Aretusa,

con quelle terre che correndo infonde.

Là era Egisto ancor, che per iscusa

del sacerdozio non andò a Troia                                                          5

ma Clitemestra si tenea inchiusa,

lei imbracciata e prendendone gioia

a suo piacere, ben che poco appresso

le ne seguisse sconsolata noia.

Oh, come quivi, alquanto dop'esso,                                                   10

seguian Cannace e Macarco dolenti,

divisi per lo lor fallo commesso!

Non molto dopo lor così scontenti

Biblide vidi lì, che seguitava

il suo fratel con atti motto ardenti.                                                      15

Molto pietosamente a lui andava

dietro parlando, sì come parea

negli atti suoi che quivi dimostrava.

«Ahi dolce signor mio», ver lui dicea,

«deh, non fuggir, deh, prendati pietate                                               20

di me che per te vivo in vita rea!

Guarda con l'occhio alquanto mia biltate,

pensi l'animo tuo il mio valore,

lo qual perisce per tua crudeltate.

Io non t'ho per fratel ma per signore:                                                 25

vedi ch'io muoio per la tua bellezza,

per te piango, per te si strugge il core.

Non tener più ver me questa fierezza,

e 'l superfluo nome di fratello

lascialo andar, ch'a tenerlo è mattezza.                                               30

Aiutami, che puoi, e farai quello

che più aspetta quella che si sface

considerando il tuo aspetto bello.

Riso, conforto ed allegrezza e pace

render mi puoi, se vuoi: dunque che fai?                                             35

Deh, contentami alquanto, se ti piace!

Vedi ch'io mi consumo in tanti guai,

ch'altra neuna mai ne sentì tanti

per te, cui io disio, e tu tel sai.

Omè, fortuna trista delli amanti!                                                         40

come coloro che non sono amati

amando altrui, da tua rota son franti!

Se tu riguardi però che chiamati

sorella e frate sian, non è niente,

com dissi, e minor fieno i tuoi peccati                                                 45

togliendomi dolor, che se dolente

morir mi fai per non aconsentire

a quel che sol disia la mia mente.

Rivolgiti, per Dio, deh, non fuggire!

pensa ch'ogni animal tal legge tene                                                     50

quale a te chiede il mio forte disire.

A te molto più tosto si conviene

in questo atto fallir, che dispietato

farmi morir nelle noiose pene».

Biblide trista, quanto t'è in disgrato                                                    55

veder colui, che ti dovria atare

da chi noia ti desse in alcun lato,

il tuo dolore in te forte aggregare!

e non che voglia fare il tuo disio,

ma tue parole non vuole ascoltare.                                                     60

Là poi appresso, al mio parer, vid'io

Fillis allato star a Demofonte

e pianger sé di lui in atto pio.

Tutta turbata sue parole conte

li profferia, ricordandoli ancora                                                          65

quant'ella e le sue cose tutte pronte

al suo servigio furono, e com'ora,

a lei fallita la promessa fede,

per troppo amor dolor grieve l'acora.

Tra questi, oltre nel prato, vi si vede                                                  70

Meleagro e Atalanta che ciascuno

segue un cinghial con solecito piede,

e quanto ad esso sforzandosi ognuno

offende, accesi d'amoroso foco,

non lasciandoli affar danno nessuno.                                                  75

Costor preiva, più avanti un poco,

Aconzio in man con la palla dell'oro

ch'a Cidipe gittò nel santo loco,

e quella quivi ancor facea dimoro:

dicendo a lei Aconzio che sua era,                                                     80

ella negandol, parlavan fra loro;

riguardando l'un l'altro, in tal maniera

Cidipe a lui dicendo: «Se ingannata

fu' i' da te, la mia voglia non v'era;

ché, s'io mi fossi della palla addata,                                                   85

non l'avria mai rimirata né letta,

anzi l'avrei tosto indietro gittata:

onde mai non m'avrai e questo aspetta».

 

 

CANTO XXVI

 

Com'io mirando andava quel giardino,

vi vidi in una parte effigiato

Ercule grande a Cidipe vicino;

ove con lui sedeva dall'un lato

Iole piacente e bella nello aspetto,                                                       5

cui presa avea nel paese acquistato.

Non mirava Ercule altro che 'l conspetto

di lei, e quindi tanta gioia prendea

che duol li fora stato altro diletto.

Ramaricando dopo lui vedea                                                             10

istar tutta turbata Deianira,

perch'a sé ritornarlo non potea.

Il molle petto acceso in foco d'ira

mostrava ch'ell'avesse, ognor soffiando

forse per rabbia che in lei si gira.                                                       15

Ma, poco spazio, parea che parlando

dicesse a lui: «O signor valoroso,

volgiti a me, come tu suoli, amando,

e lascia cotestei, cui poderoso

guadagnasti per serva e 'l suo paese                                                  20

insieme, con vittoria glorioso.

Non senti tu ch'a ogni uomo è palese

quel che la fama ora in contrario sona,

di te, alle passate tue imprese?

Veramente di te ogni uom ragiona,                                                    25

ché tu col forte dito quella lana

fili che Iole pesando ti dona.

Ogni uomo ancora, ch'abbia mente sana,

crede che tu il canestro con le fusa

porti di dietro alla giovane strana.                                                      30

Vogliono ancora dire ch'ella t'usa

in ciascuno atto come servidore,

né ti giova donare alcuna scusa.

È così ismarrito il tuo valore

che tu non pensi alle cose passate,                                                     35

ogni virtute obliando ed onore?

forse t'ha ella le forze levate

con alcun suo ingegno falsamente,

come le donne fanno alle fiate?

Almen non dovria mai della tua mente                                                40

trar quel che tu in culla ancor facesti,

l'uno uccidendo e poi l'altro serpente.

Ricordar de' ti ancor che uccidesti

Busiri, ed in Libia il grande Anteo

della Terra figliuolo ancor vincesti.                                                     45

Vinto traesti quel Cerbero reo

ch'avea tre teste, e tu con tre catene

legasti lui poi ch'a te si rendeo.

Il drago ancora con sudanti pene,

ch'ognor sanza dormir i pomi d'oro                                                    50

guardando stava, fu morto da tene.

I forti corni al furioso toro

rompesti, ed i Centauri domasti

quando di pria combattesti con loro.

Or non fostù colui che consumasti                                                     55

l'Idra, che doppi capi in suo aiuto

rimettea quando gliele avevi guasti?

non fu da te il guastator feruto

d'Arcadia? sì fu, e fu colui                                                                 60

ch'avea di carne umana riempiuto

ogni suo armento, togliendo l'altrui,

da te ucciso; e quel Cacco rubesto

tu uccidesti, rubato da lui,

reggendo ancora dopo tutto questo                                                   65

il ciel gravante sopra le tue spalle,

ch'a ogni altr'uom saria stato molesto.

E s'io volessi andar per dritto calle

ogni vittoria a tua mente rendendo,

io avrei troppo a fare a racontalle.                                                     70

Queste so c'hai a mente: or dunque, essendo

sanza pazzia, talora fra te stesso

non ti vergogni tu Iole seguendo?

Volesse Iddio che tu giammai a Nesso

non m'avessi levata, che mi amava,                                                    75

e forse in gioia or mi sarei con esso!

E non per tanto io non imaginava

che mai per altra donna mi lasciassi,

poiché te per altrui io non lasciava.

Se quella con cui tu ora ti passi                                                          80

ismemorato in festa ed allegrezza,

tanta virtù in lei forse trovassi,

tanto piacere e tanto di bellezza

quanto in me, io non riputerei

l'aver lasciata me fosse mattezza.                                                       85

Ognora più di ciò ti loderei:

ma s'io ho ben la sua bellezza intesa,

certo io son molto più bella di lei.

Molto mi tengo in questa parte offesa;

ma torna a me e tutto ti perdono,                                                       90

e la tua forza in bene ovrar palesa:

io cheggo a te di grazia questo dono».

 

 

CANTO XXVII

 

Mostravasi ivi ancora effigiata

la valle d'Ida profonda ed oscura,

d'alberi molti e di frondi occupata,

ove io discernetti la figura

di quel Parìs, piacevole Troiano,                                                          5

per cui Troia sentì la sua arsura.

Sol si sedeva là nel loco strano,

davanti al qual Pallade, Giuno e Venere

eran con una palla d'oro in mano.

Sanza alcun vestimento ignude, tenere,                                              10

bianche e vermiglie quivi e dilicate

le mi pareva nel sembiante scernere;

e diceano a Parìs: «In cui biltate

di noi più vedi, questo pomo d'oro

donalo a lei, quando ci avrai avisate».                                                15

Dal capo al piè rimirava costoro

Parìs: ciascuna bella lì parea,

onde fra sé dicea: «Deh, quale onoro?».

Ognuna d'esse ad esso promettea

e chi senno e chi ricchezze e chi amore                                              20

di bella donna, pur ch'a lei la dea.

Non si sapea esaminar nel core

Parìs qual d'esse più biltate avesse,

né qual ben si pigliar per lo migliore.

Nel lungo esaminare infine elesse                                                       25

Venus per la più bella, e diella a lei,

sub condizion che ella gli attenesse

a farli avere in sua balia colei,

cui ella avea lodata per sì bella,

che nulla v'era simile di lei.                                                                 30

A cui pareva che rispondesse ella:

«Va tu per essa, ché col mio aiuto

io farò sì che tua si sarà quella».

Costui vid'io, poco appresso, saluto

sur una nave e dar le vele al vento                                                     35

e tosto in Ispartèn esser venuto;

ove disceso, sanza tardamento,

andando Menelao inverso Creti,

a fornir cominciò suo intendimento.

Ma dopo molte cose, quivi lieti                                                          40

egli ed Elena bella e graziosa

saliti in nave, pe' salati freti

poste le vele, sanza alcuna posa

tornava a Troia, e quivi si mostrava

la vita lor quanto fosse gioiosa.                                                          45

Ivi Oenone ancora lagrimava

il perduto marito e con pietose

parole a sé invano il richiamava.

Là si vedea Ifi e Iante amorose

far festa pria che maschio ritornasse                                                  50

que' che 'l suo sesso tanto tempo ascose.

Appresso mi parea che seguitasse

Laudomia bella sospirando,

come se del suo mal s'indovinasse.

Raviluppata tutta e non curando                                                        55

di sé, Protessilao di bella cera

s'aveva fatto, lui raffigurando;

e poi a quella innanzi posta s'era

in ginocchion, dicendo: «Signor mio,

se io ti sono amanza e donna vera,                                                    60

leal come dicesti, fa che io

ti veggia ritornar con quella gloria,

ch'io l'arme tue presenti al forte iddio.

A que' c'hanno mestier della vittoria,

lasciali pria combatter, e il periglio                                                     65

propio fuggi: ch'ognor ch'a memoria

viemmi quel ch'io già in alcun pispiglio

udii d'Ettòr, che tanti cavalieri

contasta combattendo, ogni consiglio

in me fugge di me, e volentieri                                                            70

nel tuo andare ti vorrei aver detto

ch'alla battaglia tu fossi il derrieri.

Sola mia gioia, solo mio diletto,

fa sì ch'io sia di tua tornata lieta,

ché sanza te mai gioia non aspetto».                                                  75

In tal maniera quivi mansueta

si stava Laudomia, tal volta

d'angosciosi sospir tutta repleta.

Or era ancora verso lei rivolta

Penelopè, che aspettando Ulisse                                                       80

giammai non fu dal suo amor disciolta.

Nella qual tenend'io le luci fisse,

fra me volvea quanto fosse il disire

di que' che mai non cre' ch'a lei reddisse,

e quanto volle del mondo sentire,                                                      85

ché per voler veder trapassò il segno

dal qual nessun poté mai in qua reddire,

io dico forza usando né suo ingegno.

 

 

CANTO XXVIII

 

Non so chi sì crudel si fosse stato

che, quel ch'io vidi appresso rimirando,

di pietà non avesse lagrimato.

Pareva quivi apertamente quando

Dido partissi in fuga dal fratello,                                                           5

e similmente come, edificando

a più poter, Cartagine nel bello

e util sito faceva avanzare,

e come a 'ngegno l'abitava quello.

Ricever quivi Enea ed onorare                                                           10

lui e' suoi ancor vi si vedea

liberamente; e sanza dimorare

oltre mirando, ancora mi parea

vederle in braccio molto stretto Amore,

ben che Ascanio aver vi si credea;                                                     15

lo qual basciando spesso, del suo ardore

prendea gran quantità occultamente,

tuttor tenendol nel segreto core.

Eravi poi come insiememente

costei con Enea ed altri assai                                                             20

a caval giva onorevolmente,

ripetend'ella in sé quel che giammai

più non pareva a lei aver sentito,

fuor per Sicceo, sì com'io avisai.

Il chiaro viso bello e colorito,                                                            25

mirando Enea con benigno aspetto,

tornava bianco spesso e scolorito.

Ma pervenuti quivi ad un boschetto,

lasciando i cani a' cerbi paurosi

di dietro, incominciaro il lor diletto.                                                    30

Altri cornavano ed altri animosi

correvan dietro, e gridando faceano

i can più per lo grido valorosi.

Tutto un gran monte già compreso aveano

i cacciatori, e 'n una valle oscura                                                        35

Dido ed Enea rimasi pareano.

E sì faccendo, fuor d'ogni misura

un vento quivi pareva levato,

che di nuvoli avea già la pianura

chiuso ed il monte ancora: onde tornato                                             40

pareva il sole indietro e divenuto

oscura notte il dì in ogni lato.

Horribili e gran tuon ciascun sentuto

aveva, e lampi venivano ardenti

con piover tal che mai non fu veduto.                                                 45

Enea e Dido là fuggian correnti

in una grotta, e la lor compagnia

perduta avean, di ciò forse contenti.

Ivi parea che Dido ad Enea pria

parlasse molte parole amorose,                                                         50

dopo le quali suo disio scopria:

ove Enea ascoltar quelle cose

vedeasi, lei, abracciata tenere,

e quel fornir che ella li propose.

Venuti poi al lor reale ostiere                                                             55

ed in tal gioia lungo tempo stati,

l'uno adempiendo dell'altro il piacere,

in quel luogo medesimo cambiati

vi si vedea dell'uno i sembianti

e dell'altro i voleri esser mutati.                                                          60

Molto affrettando li suoi navicanti

Enea vi si vedea per mar fuggire,

le vele date all'aure soffianti.

A cui Dido parea di dietro dire:

«Omè, Enea, or che t'aveva io fatto                                                   65

che fuggendo disii il mio morire?

Non è questo servar tra noi quel patto

che tu mi promettesti: or m'è palese

lo 'nganno c'hai coperto con falso atto.

Deh, non fuggir! Se l'essermi cortese                                                 70

forse non vuogli, vincati pietate

almen de' tuoi, che vedi quante offese

ognora ti minaccian le salate

onde del mar, per lo verno noioso

ch'ora 'ncomincia; e già hanno lasciate                                               75

qualunque leggi nel tempo amoroso

sogliono avere i venti, e ciascheduno

esce a sua posta e torna furioso.

Vedi ch'ad ora ad or ritorna bruno

l'acre e nebuloso e molti tuoni                                                            80

e lampi lui percuotono, e nessuno

impeto è che or non s'abandoni

e faccia danno; e tu col tuo figliuolo

ora cercate nuove regioni!

Posati adunque tu ed il tuo stuolo,                                                     85

lasciami almeno apparare a biasmarmi

immaginando il mio etterno duolo:

e poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi».

 

 

CANTO XXIX

 

Riversata piangendo quivi appresso

si stava Dido in sul misero letto,

dov'era già dormitasi con esso,

maladicendo sé e 'l tristo petto

pien d'aspre cure aspramente battendo,

ripetendo ivi il perduto diletto.                                                             5

In atto mi parea così dicendo:

«O doloroso luogo nel qual fui

già con Enea, tanta gioia sentendo,

omè, perché come ci avesti dui,

due non ci tieni? perché consentisti                                                    10

che te giammai vedessi sanza lui?

A' miei sconsolati membri e tristi

porgi con falsa immagine letizia,

quando per te li spando, ove copristi

molte fiate già quel che 'n tristizia                                                       15

ora mi fa sanza cagione stare

per lo suo inganno e coperta malizia».

Oh come trista lì ramaricare

la vi vedea con quella spada in mano

che fé poi la sua vita terminare!                                                         20

Rompendosi le nere veste, invano

chiamando il nome d'Enea che l'atasse,

si pose quella al suo petto non sano:

e poi sopr'essa parve si lasciasse

cader piangendo e sospirando forte,                                                  25

perché la spada di sopra passasse.

Forata quivi, dolorosa morte

l'occupò sopra 'l letto ove sedea

prima piangendo sua misera sorte.

Appresso questo, al mio parer,                                                         30

vedea tanto contenti Florio e Biancifiore,

quantunque più ciascuno esser potea:

tututto il lor trapassato dolore

v'era dipinto, degno di memoria.

pensando al lor perfettissimo amore.                                                  35

E dopo questa piacevole storia,

vi vidi Lancilotto effigiato

con quella che sì lunga fu sua gloria.

Lì dopo lui, dal suo destro lato,

era Tristano e quella di cui elli                                                            40

fu più che d'altra mai innamorato;

e più assai ancora dopo a quelli

n'avea ch'io non conobbi, o che la mente

non mi ridice bene i nomi d'elli.

Ond'io, che 'n maggior parte la presente                                            45

faccia compresa avea, ritornai 'l viso

a quella donna più ch'altra piacente.

Nol so, ma credol che di Paradiso

ella venisse, come io già dissi,

tant'ha biltà, valore e dolce riso.                                                        50

– Oh felice colui –, con gli occhi fissi

a lei allora a dire incominciai,

– cui tu del tuo piacer degno coprissi!

Ringraziato possa esser sempre mai

il tuo Fattore, sì com'elli è degno,                                                      55

veggendo le bellezze che tu hai.

Se un'altra volta il suo beato ingegno

ponesse a far sì bella creatura,

credo che lieto il doloroso regno

E' metterebbe in gioia fuor di misura,                                                 60

che' santi scenderieno alla tua luce

e que' d'abisso verrieno in altura –,

– Con quanta gioia, credo, si conduce

ciascun di questi ch'è pien della grazia

di quel –, ricominciai, – che qui è duce.                                             65

Oh quanto è glorioso chi si spazia

ne' suoi disii mediante questo,

se con vile atto tosto non si sazia!

Non è occulto ciò, poscia che presto

chi più ha pena più oltre s'invia                                                          70

a volerne sentir, ben che molesto,

dolendo sé, altrui dica che sia:

dunque se questo martire è soave,

la pace che ne segue chente fia?

Oh quanti e quali già il tenner grave                                                   75

ch'avrieno il collo a via maggior gravezza

posto, sappiendo il dolce che 'n sé have!

Invidiosi alcuni dicon mattezza

esser seguir con ragion quello stile

che dà questo signor di gentilezza,                                                     80

lo qual discaccia via ogni atto vile:

piacevole, cortese e valoroso

fa chi lui segue e più ch'altro gentile.

Superbia abatte, onde ciascun ritroso

o di vil condizione esser non puote                                                    85

di sua schiera, e quinci invidioso

va ischernendo que' cui e' percuote –.

 

 

CANTO XXX

 

Volendo porre fine al recitare,

ch'a tutto dir troppo lungo saria,

tanto più ch'io non dico ancor vi pare,

a quella donna graziosa e pia

che dentro alla gran porta principale                                                    5

col suo dolce parlar mi mise pria,

lei mirando, volta'mi: – Oh quanto vale –,

dicendo, – aver vedute queste cose

che diciavate ch'eran tanto male!

Or come si porria più valorose,                                                         10

che queste sien, giammai per nullo avere

o pensare o udir più maravigliose? –.

Rispose allor colei: Parte vedere

quel ben che tu cercavi qui dipinto,

ché son cose fallaci e fuor di vere?                                                    15

E' mi par pur che tal vista sospinto

t'abbia in falsa oppinion la mente,

ed ogni altro dovuto ne sia stinto.

Adunque torna in te debitamente:

ricorditi che morte col dubioso                                                          20

colpo già vinse tutta questa gente.

Ver è ch'alcun più ch'altro valoroso

meritò fama, ma se 'l mondo dura

e' perirà il suo nome glorioso.

È questa simigliante alla verdura                                                        25

che vi porge Ariete, che vegnendo

poi Libra appresso seccando l'oscura.

Nullo altro ben si dee andar caendo

che quello ove ci mena la via stretta,

dove entrar non volesti qua correndo.                                                30

Deh, quanto quello a' più savi diletta,

grazioso ed etterno! ed io il ti dissi

quando d'entrar pur qui avesti fretta.

Or dunque fa che più non stieno fissi

gli occhi a cotal piacer: ché se tu bene                                               35

quel ch'egli è con dritto occhio scoprissi,

aperto ti saria che 'n gravi pene

vive e dimora chiunque ha speranza

non saviamente, e a cotai cose tene.

Tu t'abagli te stesso in falsa erranza                                                   40

con falso immaginar, per le presenti

cose che son di famosa mostranza.

Ed io, acciò che' vani avedimenti

cacci da te, vo' che mi segui alquanto;

e mosterrotti contro a quel ch'or senti,                                               45

mostrandoti la gioia e 'l lieto canto

de' tristi, che 'n ta' cose ebber già fede,

mutarsi in brieve in doloroso pianto.

Potrai veder colei, in cui si crede

essere ogni poter ne' ben mondani,                                                    50

quanto arrogante a suo mestier provede,

or dando a questo, or ritornando vani

ciò che diede a quell'altro, molestando

in cotal guisa l'intelletti umani.

Per quel potrai veder vero, pensando                                                55

quanto sia van quel ben che' vostri petti

va sanza ragion nulla stimolando;

onde, seguendo que' beni imperfetti

con cieca mente, morendo perdete

il potere acquistare poi i perfetti.                                                        60

In tal disio mai non si sazia sete:

dunque a quel ben, che sempre altrui tien sazio

e per cui acquistar nati ci sete,

dovrebbe ognuno, mentre ch'egli ha spazio,

affannarsi ad avere. Omai andiamo,                                                   65

ché già il luminoso e gran topazio

in sulla seconda ora esser veggiamo

già sopra l'orizonte, ed il cammino

è lungo al poco spazio che abbiamo.

Ma io spero che 'l voler divino                                                          70

ne farà grazia, ed io così li cheggio,

ched e' non ci fallisca punto infino

entrati sarem là, ove quel seggio

del perfetto riposo è stabilito

per que' che non disian d'aver peggio –.                                            75

Poi ch'io ebbi sì parlare udito

a quella donna, io le rispuosi: – Andate,

nullo mio passo fia da voi partito.

In questo sol vi priego che m'atiate,

che là dove 'l disio mi trasportasse                                                     80

contra vostro piacer, mi correggiate –.

Ella mostrò negli atti ch'accettasse

la mia domanda, e mossesi e rivolta

mi disse allora ch'io la seguitasse.

Tutti e tre insieme, avvegna che con molta                                         85

fatica, la seguimmo, e la cagione

fu perché quistionammo alcuna volta

a non voler seguir sua mostrazione.

 

 

CANTO XXXI

 

Tosto finì il suo cammin costei,

che di quel loco per una portella

in altra sala ci menò con lei.

Ell'era grande, spaziosa e bella,

ornata tutta di belle pinture,                                                                 5

sì come l'altra ch'è davanti ad ella.

Oh quanto quivi in atto le figure

si mostravan tututte variate

dall'altre prime e non così sicure!

Color con festa e con gioconditate                                                    10

parevan tutte con be' vestimenti,

costor con doglia e con avversitate.

Hai, quanto quivi parevan dolenti

e spaventati, qualunque vi s'era,

con vili e poverissimi ornamenti!                                                        15

Ivi vid'io dipinta, in forma vera,

colei che muta ogni mondano stato,

tal volta lieta e tal con trista cera,

col viso tutto d'un panno fasciato,

e leggermente con le man volvea                                                       20

una gran rota verso il manco lato.

Horribile negli atti mi parea,

e quasi sorda a niun priego fatto

da nullo lo 'ntelletto vi porgea;

e legge non avea né fermo patto                                                        25

negli atti suoi volubili e incostanti,

ma come posto talor l'avea fratto:

volvendo sempre ora 'n dietro ora avanti

la rota sua sanza alcun riposo,

con essa dando gioia e talor pianti.                                                    30

«Ogni uom che vuol montarci su sia oso

di farlo, ma quand'io 'l gitto a basso

inverso me non torni allor cruccioso.

Io non negai mai ad alcuno il passo

né per alcun mia maniera mutai,                                                         35

né muterò, né 'l mio girar fia lasso,

venga chi vuol». Così immaginai

ch'ella dicesse, perché riguardando

dintorno ad essa vi vid'io assai,

i qua' su per la rota aderpicando                                                        40

s'andavan con le man con tutto ingegno,

fino alla sommità d'essa montando.

Saliti su parea dicesser: «Regno»;

altri cadendo en l'infima cornice

parea dicessero: «Io son sanza regno».                                              45

In cotal guisa un tristo, altro felice

facea costei, secondo che la mente,

la qual non erra, ancora mi ridice.

Allor rivolto alla donna piacente

dissi: – Costei, ch'io veggio qui voltare,                                              50

conosco io per nimica veramente.

Tra l'altre creature a cui mi pare

dover portar più odio, questa è dessa,

però ch'ogni sua forza ed operare

ell'ha contra di me opposta e messa:                                                  55

né prieghi, né saper, né forza alcuna

pacificar mi può giammai con essa.

Ognora nella faccia persa e bruna

mi si mostra crucciata e sempre a fondo

della sua rota mi trae dalla cuna,                                                        60

gravandomi di sì noioso pondo

che levar non mi posso a risalire,

onde giammai non posso esser giocondo –.

Ridendo allor mi cominciò a dire

la donna: – Allora e' tu se' di coloro                                                   65

ch'alle mondane cose hanno 'l disire?

ai quali se ella desse tutto l'oro

che è sotto la luna, pure aversa

riputerebber lei a' voler loro.

Torrotti adunque di cotal traversa                                                      70

oppinione, e mostrerotti come

più son beati que' che l'han perversa.

Il dir Fortuna è un semplice nome,

il posseder quel ch'ella dà è vano,

o sanza frutto affanno se ne prome.                                                   75

Odirai come: e se 'l mio dire estrano

è dalla verità, conceder puossi

che seguir vizio sia al salvar sano.

Solamente da te vo' che rimossi

sieno i pensier fallaci, se procede                                                       80

il mio parlar con ver, sì che tu possi

inter vedere come si concede

che quel che più al vostro intendimento

agrada, piú con gravezza vi lede –.

Allora rispos'io: – Io son contento,                                                    85

donna, d'udire, acciò che 'l mio errore

io riconosca, però che io sento

non aver nulla esser grave dolore –.

 

 

CANTO XXXII

 

Incominciò allor costei a dire:

– Voi, terreni animal, disiderate

i voler vostri tututti seguire

mediante costei, cui voi chiamate

Fortuna buona e rea, secondo ch'essa                                                 5

vi dà e to' mondana facultate.

In prima alcuni domandon ad essa

molta ricchezza, credendosi stare

sanza bisogno alcun possedendo essa.

Vaghi sono altri sol di poter fare                                                        10

sii che avuti sieno in reverenza

da tutti, e 'n ciò s'ingegnan d'avanzare.

In alcuni altri aver somma potenza

par sommo bene, e questo van cercando,

tanto gli abaglia la falsa credenza.                                                      15

Risplendere altri si vanno ingegnando

di nobil sangue ed il nome famoso

o per guerra o per pace van cercando.

Tai son che credon ch'esser copioso

di volontà carnal, ch'è van diletto,                                                      20

faccia chi ciò possiede glorioso.

Vogliono alcuni, acciò che il difetto

del non poter si rivolga in potere,

ricchezza, e per poter porre in effetto

ogni libidinoso lor piacere;                                                                 25

così figliuoli alcuni, altri altre cose,

e questo interamente hanno in calere.

Se forse una di queste hanno ritrose

al lor volere, qualunque s'è quello

ch'alcuna aver nell'animo propose,                                                     30

incontanente con animo fello

contra questa si turba ed essa dice

nimica, e forse fu difetto d'ello.

Intendi adunque e vedi che felice

costei non puote giammai fare alcuno,                                                35

posto che del mondan sia donatrice.

Non vedi tu che e' non è nessuno,

che abondi in ricchezze, che non sia

d'ogni riposo e diletto digiuno?

Continovo nell'animo li fia                                                                  40

pensiero e cura di poter guardarle,

temendo di nascosa tirannia.

Vedi dunque che bene ha d'ammassarle,

poiché insidie tutto tempo teme

ed in più quantità voler recarle.                                                          45

Il povero uom di tal cosa non geme,

né perde sonno, né lascia sentiero,

sol di sua vita trar pensiero il preme:

alla quale, a voler narrare il vero,

poco li basta, ma il ricco avaro                                                          50

di molto aver non ha suo disio intero.

Me' puote ancora il ricco dar riparo

alle fami ed a' freddi, ben che puro

le sente alcuna volta, o spesso o raro.

Or quinci segue al pover che sicuro                                                   55

vive di non cader, né spera mai

che caso fortunal li paia duro.

Ricchezza adunque, quand'ella è assai,

più fa indigente il suo posseditore,

con più pensier, con più cura e più guai.                                             60

Colui che vuol per dignitate onore,

veggian, se la Fortuna gliel concede,

s'egli avrà quel che e' disia nel core.

Or non agli occhi di qualunque vede

è manifesto che tornan viziosi                                                            65

tantosto che neuna ne possiede?

Ma se per quelle forse virtuosi

ne ritornassero, io consentirei

che tutti voi ne fosti disiosi.

E d'altra parte dignità i rei                                                                  70

fa manifesti, ed ogni lor mancanza

è conosciuta più ch'io non potrei

né parlar, né mostrar: dunque v'avanza

questa se vi si mostra allor turbata,

quando chiedendo state in tale erranza.                                              75

Beati alcun si diceria se data

fosse lor forse potenza reale,

non conoscendo il mal di ch'è vallata.

E questa podestà niente vale,

ch'ella non può fuggire il duro morso                                                  80

della sollecitudine, che male

a lei non faccia, né può dar soccorso

a quel noioso e rigido tormento

che di paura dà l'amaro sorso.

Togliendo questa cotal reggimento,                                                    85

pace vi dona dove guerra avreste,

e voi nol conoscete; onde, scontento

ogni uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste –.

 

 

CANTO XXXIII

 

La nobiltà del sangue altri a costei,

domanda, come se veracemente

sì fatto don procedesse da lei.

Oh quanto a domandare stoltamente

si muovon questi, se l'operazioni                                                          5

non seguono il disio della lor mente!

Colui che con perpetue ragioni

governa il mondo, come sol fattore

d'esse, crea nelle sue regioni

ogni anima che nasce, con amore                                                      10

iguale; e quella si muove da Lui

vegnendo lieta al generato core.

Considerando dunque che Costui

sia solo e falle egual, conosceremo

così gentil costui come colui,                                                             15

e però manifesto vederemo

che chi seguisse la diritta via

delle virtù, come da Lui avemo,

l'un come l'altro così gentil fia;

e chi da questa torce si può dire                                                        20

non che villano ma una bestia sia.

A questi puo' tu dir che in disire

vien d'esser forse tenuti gentili,

e cercan ciò per lor vizii coprire.

Tieni or ben mente e vedi quanto vili                                                  25

sien lor domande, ché, s'ella concede,

superbi tornan dov'erano umili:

onde da questo poi spesso procede

ched elli scoppian niente tornando,

per che, s'ella nol fa, vie men li lede.                                                  30

Tratti ciascun, con virtute operando,

d'aver ta' lode, ché questa giammai

non gliel torrà la sua rota voltando.

E chi la vuole in altro modo guai

va dimandando, e 'l come gli è coperto;                                             35

e se ben guardi tu te n'avedrai.

Né ciò è lungamente lor sofferto,

ché degno guiderdon dalla giustizia

etterna è lor di ciò in brieve offerto.

Ed alcuni altri son che gran letizia                                                       40

fanno, quando costei concede loro

lussuriando poter lor malizia

in operazion porre; e di costoro

è il numero grande, i qua' beati

tengonsi quanto più a tal lavoro                                                         45

lusingando ne recano i malnati;

e se questo costei forse lor niega,

incontanente ver lei son turbati.

Se ella forse copiosa spiega

tal grazia a' domandanti, in aspra pena,                                              50

non conoscendolo essi, i tristi lega.

Vorrieno alcuni aver la borsa piena

per poter comandare: oh quanto senno

poco costor per via malvagia mena!

Or credono e' che minaccevol cenno                                                 55

faccian le lor ricchezze: anzi il faranno

quelli a cui per guardarle subbietti enno.

Già puoi veder che gli uomin poco sanno,

ché per aver delle cose mondane

consuman sé con non utile affanno.                                                    60

In brieve adunque queste cose vane

si consumano e passano, e dovreste

in ciò tututti aver le menti sane,

ognor veggendo ciò ch'avien di queste,

come partendo e tornando tal volta                                                   65

le menti vostre fanno liete e meste.

Costei, di cui parliam, s'a voi rivolta

con tristo viso vi si mostra spesso,

(se ben hai tutta mia ragion raccolta,

ov'io ho quasi tutto quanto messo                                                      70

il suo poter) vi dovria rallegrare,

e non porger dolor negandovi esso.

Nostro verace ed util ragionare

troppo si stenderia volendo intero,

ciò che dir si porria, d'essa parlare.                                                   75

Di ciò ch'è detto basti, e con sincero

parere fa che il prendi, sì che forse

non tragghi error del mio lucido vero.

Ogni parer che 'l rimirar ti porse,

di là vedendo, caccia e quel disio                                                      80

massimamente che di lor ti morse:

fiso mirando quello per che io

qua entro ti menai, fa che col viso

segui com'io col mio parlar m'invio.

Ogni mondan valor vedrai conquiso                                                   85

in termine assai brieve: fa ch'ascolti

e che non sia dal tuo intender diviso

ciò ch'io dirò qui appresso di molti –.

 

 

CANTO XXXIV

 

– Horribilmente percuote costei –,

cominciò ella a dir, – chiunque sale

su la sua rota fidandosi a lei;

onde ciascun, ch'è qui, per cotal male

piangendo si ramarca, ed essa vedi                                                      5

che di tal pianto niente le cale.

Il suo officio fa, e vo' che credi

che rade volte aspetta il suo girare

che lo stato di uno a' terzi eredi

venga, ma con mirabile voltare                                                          10

dà a costui a quell'altro levando,

come vedi un salire, altro abassare.

Intento dunque quivi riguardando

puo' tu veder quella città caduta

che Cadmo fece, lo bue seguitando.                                                  15

Potente e grande, più ch'altra tenuta

ch'al mondo fosse, allora fu, ed ora

di pruni e d'erbe la vedi vestuta,

ruvinati gli ostier, né vi dimora

altro che bestie salvatiche e fiere,                                                       20

e quanto fosse grande parsi ancora.

Iocasta trista vi puo' tu vedere

ch'al figlio moglie misera divenne,

ben ch'avenisse sanza suo sapere;

e vedi que' che questa tutta tenne                                                      25

contra 'l voler del frate, per cui questo

distruggimento misero n'avenne.

Giace con lui in quel fuoco molesto,

che quivi vedi, il frate, che amendui

fu l'uno all'altro uccider così presto.                                                   30

Oltre un poco poi vedi colui

che sopra 'l mur da Giove fulminato

fu, dispregiando ancor negli atti lui.

Con questi vedi Adastro allato allato,

con gli altri regi che l'accompagnaro                                                  35

a quel distrugimento dispiatato.

Vedi Tideo, vedi il pianto amaro

che fer le triste che a compimento,

in ristoro del duol, la consumaro.

Non t'è occulto or quanto mutamento                                                40

dal bene al mal fosse quel di costoro,

e quasi fu in un picciol momento.

Pon mente poi un poco dietro a loro:

Troia vedrai e 'l superbo Ilione,

ch'a pena alcuna parte par di loro.                                                     45

Ora non v'ha né tetto né magione,

ma qual caduto e qual arso si mostra,

come tu vedi, e sai ben la cagione.

Così costei con cui le piace giostra,

sempre abattendo chi s'oppone ad essa;                                            50

ma perseguiamo alla materia nostra.

Or mira a piè della città depressa,

e vedi que' che già ne fu signore

quando da' Greci fu con forza aggressa:

Priamo dico, il cui sommo valore,                                                      55

la sua ricchezza, la fama e l'ardire,

i molti figli, il potere e l'onore

raccontar non porriasi mai né dire;

questa arsa e' figli morti innanzi ad esso

tututti vide avanti il suo morire.                                                          60

Ecuba trista puoi vedere appresso

per doglia andar latrando come cane,

morte chiamando, che l'uccida, spesso.

Similemente ancor delle troiane

genti vi vedi assai in sanguinoso                                                         65

lago star morte e d'ogni possa vane.

Tra gli altri puoi vedere il valoroso

Ettor giacer, e non li valse niente

contra costei il suo esser famoso.

Ivi Parìs ancora, insiememente                                                           70

Troiolo, Polidoro e Pulisena

veder puoi tu giacere assai vilmente.

Agamenòn insieme e la sua pena:

poi ch'ebbe Marte e Nettunno avanzato,

vedi ch'Egisto a lui l'ultima cena,                                                        75

togliendoli la vita, dà, ingannato

lui col vestir malizioso e fallace,

nel quale e' tristo s'è raviluppato.

E vedi ancor Senacherìb che giace

morto dentro a quel tempio, e vedi Enea                                            80

che Turno, il qual si credea stare in pace,

lui caccia via. – E appresso parea

Serse dolente e tristo nello aspetto,

del passare Ellesponto ancor piangea.

Oh quanto pien di furia e di sospetto                                                 85

Atamante teban, che uccise i figli,

quivi parea, nel sembiante dispetto,

nelle lor carni ancor con tristi artigli!

 

 

CANTO XXXV

 

– Tu puoi –, rincominciò la donna a dire,

veder qui Alessandro, ch'assalio

il mondo tutto, per velen morire;

e non esser però il suo disio

pien, ma più che giammai esser ardente,                                              5

e 'n tale ardor, come vedi, morio.

Lo qual fu quanto alcun altro possente,

né però averia questa lasciato,

che se fosse vivuto, che vilmente

lui non avesse in infimo voltato                                                           10

della sua rota; ma quel che costei

non fé, morte adempié nel nominato.

E poi appresso puoi veder colei

che pugnò con Pallade come stolta,

ch'ancor del fallo suo par dica omei.                                                  15

Come la vedi ancor quivi ravolta

ne' suo' istracci, in ragnol trasmutata

fu dalla dea e dal laccio disciolta.

Tu puoi appresso vedere effigiata

la sembianza di Dario, la quale                                                          20

di leto aspetto in tristo par mutata.

Oh come poco al presente li vale

essere stato grande! anzi gli è noia

or che si vede in disperato male.

Aver puoi già udito quanta gioia                                                        25

avesse Niobè de' suoi figliuoli,

e agual qui pare di dolor si muoia.

Guarda un poco innanzi, se tu vuoli:

superba lei potrai quivi vedere

ancora incerta de' suoi tristi duoli;                                                      30

lor poi appresso ad uno ad un cadere

morti dintorno a lei ancor vedrai,

per la superbia e suo poco sapere.

In trista angoscia ed in amari guai

la vedi quivi ritornata umile,                                                               35

sanza suo pro di sé piangendo assai.

Appresso vedi que' che con sottile

maestero del padre usci volando

del Laberinto, che tenendo vile

miseramente ciò ch'amaestrando                                                       40

il padre gli avea detto, per volare

troppo alto, in giù, le sue reni spennando,

ora si cala, e appresso affogare

più là il vedi ne' salati liti:

questo avien de' non savi seguitare.                                                   45

Riguarda poi più là: vedi smarriti

il fiero Ciro e Persio; ne' sembianti,

l'ardir perduto, paiono inviliti.

Or vedi ancora a mano a man da quanti

uccelli il corpo di Nabùch è roso,                                                      50

temendo il figlio che per tempo avanti,

surgendo del sepolcro, poderoso

non ritornasse e lui cacciasse fore

del regno, dove vivea glorioso.

Ivi ve' tu ancora il gran romore                                                          55

che fanno le figliuole di Piero

voltate in piche per greve dolore.

Veggon sanza lor pro ora quel vero

ch'a lor superbamente s'ocultava

nel lor parer fallace e non intero –.                                                     60

E quivi appresso costei mi mostrava

Cartagine in ruvina, tutta accesa

d'ardente fuoco che la divampava.

Riguardar quella con sembianza offesa

mi mostrò quella donna Scipione,                                                      65

al cui valor non potè far difesa.

Seguiva con non poca ammirazione

Anibale, turbato nello aspetto

o di quella o di sua distruzione.

In abito dolente e con sospetto                                                          70

quivi Asdrubale ancora si vedea,

col capo basso mirandosi il petto.

Là similmente veder mi parea

la struzione della antica cittate

di Fiesole, la qual tutta cadea.                                                           75

Ivi pareva la gran crudeltate

che 'l pistolese pian sostenne pieno

di Catellino, le cui opre spiatate

quasi narrando non verrian mai meno,

avvegna ch'a ragion posto li fosse                                                      80

nella sfrenata bocca cotal freno.

Vedevanvisi ancora le percosse

che Mario da Lucio sostenne,

quando la briga cittadina mosse.

A' quei così, come a colui n'avenne,                                                  85

possa avenir, che nelle città loro

a suscitar battaglia metton penne,

lasciando il comun ben per suo lavoro.

 

 

CANTO XXXVI

 

– Intento ora ti volgi a riguardare

la vendetta di Dio, che non oblia

mai fallo alcun che si debbia purgare.

Se 'n parer posto forse ad alcun sia

ch'ella si muova con un lento passo,                                                     5

non è così, ma que' troppo disia;

o se va forse adagio al tristo lasso

ch'aspetta quella per la fatta offesa,

non giova già, che più grave fracasso

segue per quello indugio: sì compesa                                                 10

al fatto fallo, sì che igualmente

da ogni parte la bilancia pesa.

Pon mente là: colui che sì vilmente

veste e si tien la mano alla mascella,

mostrando sé nel sembiante dolente –,                                               15

incominciò colei, – oh quanto fella

fu l'aspra signoria che 'n Siragusa

tenne, mentre per lui si guardò quella!

Nel tempo avanti che li fosse chiusa,

tiranneggiando fieramente in essa                                                       20

sanza ricevere o priego o iscusa,

tenea la gente sì vilmente oppressa,

ch'ognun piangeva e dicer non osava

la doglia sua, per tema d'altra ressa.

Oh come fiero li tiranneggiava!                                                          25

e Dionisio fero fu chiamato

per la fierezza la quale elli usava.

Così avenne che ne fu cacciato

con tanta noia e con tanto furore,

ch'a lui parve aver vinto esser campato.                                             30

Onde fuggendo ad Atena, il dolore

mitigato, pensò, per non morire

di fame, farsi in lettera dottore.

Nol vedi tu ched e' fa là aprire

i libri a' garzonetti e mostra loro                                                         35

com'una lettera altra dee seguire?

Poi guarda avanti nel dolente coro,

e vederai Tesaglia sanguinosa

del roman sangue mischiato e di ploro.

Or guarda quivi, e vedi sconcia cosa                                                 40

tanti grandi uomin, tanti valorosi

esser sommessi a rovina angosciosa.

Simile guarda quanto ponderosi

son gli alberi del sangue che portati

v'hanno li piè delli uccellon golosi,                                                      45

i qua' prima si son ben satollati

de' corpi morti, che sanza alcun foco

o sepoltura stan quivi gelati.

Fra folti boschi o tane o altro loco

leon né lupo né can par rimaso                                                          50

che non si pasca quivi o molto o poco.

Ondeggiar vedi del dolente caso

i tristi fiumi, ed ispumanti, rossi

del tristo sangue non isparto in vaso.

Riguarda là Pompeo con volti dossi                                                   55

che fuggendo abandona il campo tristo,

ed ancor ve' come a Lesbòs posossi.

Se là rimiri, con sembiante misto

di lagrime Cornelia accoglier lui

vedrai, poi che sconfitto l'ebbe visto;                                                 60

e vedi ancor come quindi con lui

si parte e vanne per mare in Egitto,

in sé immaginando che colui

dovesse lui ricevere, respitto

avendo al regno che avuto avea                                                         65

da lui: ma 'l suo pensier non venne dritto –.

Avanti mi mostrò, dov'io vedea

come scendea del suo legno Pompeo,

perché carico troppo li parea,

di quello entrando in un che Tolomeo                                                70

per Achillàs insieme con Futino,

sotto spezie d'onor, menar li feo.

In quel già assettato lui meschino,

i traditori, alquanto indi lontani,

pigliaron lui, quasi al suo mal divino,                                                  75

sì com parea: il capo l'aspre mani

a lui tagliaro, il tronco in mar gittaro,

e quello al sir portaron di lor cani.

Ivi pareasi ancora il duolo amaro

che Codro fece quando vide il busto                                                 80

del capo, ch'a' Roman fu tanto caro.

Onde dolente, povero e vetusto

prendea di notte quello, al mio parere,

e poi che 'n picciol fuoco lui combusto

sotterrato ebbe secondo il potere                                                      85

in piccioletta fossa, ricoprendo

lui del sabbione, con lagrime vere

il suo infortunio ripetea piangendo.

 

 

CANTO XXXVII

 

Vedevavisi appresso quanto e quale

già fosse stato Cesare, tenendo

in prima in Roma offizio imperiale.

Oh quanto poco questo possedendo

il vedea gloriar! che quivi allato                                                            5

tra' sanatori il vedeva morendo,

lui avendo essi tutto pertugiato

co' loro stili, e quegli era piggiore

cui elli aveva già più onorato.

E simile la rabbia e 'l gran furore                                                        10

di Neron si vedeva terminare

in brieve tempo con molto dolore.

Risplendevavi ancora, ciò mi pare,

ciò che fé Giuba mai, ed ivi appresso

dopo 'l salir il suo tristo calare.                                                          15

Tarquin, Porsenna e Lentulo dop'esso,

Ovidio, Tulio, Amulcar si vedieno

ed altri molti, i quali io con espresso

riguardo non mirai, perché già pieno

di tal materia aveva lo 'ntelletto,                                                         20

ed eran tanti che non venien meno.

–O beato –, diss'io, – que' che l'effetto

ad altre cose tira che a queste,

le quali istato mostrano imperfetto!

Più vili ch'altre sono e più moleste,                                                     25

piene d'inganno e d'affanno gravoso,

e la lor fine è sola mortal peste –.

Poi mi voltai al viso grazioso

di quella donna che m'avea condotto,

dicendo: – Il mio voler, che fu ritroso,                                                30

or è tornato dritto, e già non dotto

che questi ben terren son veramente

que' che a' vizi ciascun mettono sotto.

Nessun porria pensar che tanta gente,

così famosa e di tanta virtute,                                                            35

Fortuna avesse sfatti sì vilmente.

Fosse chi nol vedesse? o chi salute

ispererà omai, se non coloro

che le vere ed etterne han conosciute?

Il più far qui omai lungo dimoro,                                                        40

donna, mi spiace: però giamo omai

dove volete, e qui lascian costoro –.

Allor disse la donna: – Or t'è assai

aperto che costei esser turbata

vi dà salute ed iscemavi guai?                                                            45

Ma se tu fossi stato altra fiata

così disposto, come ora ti sento,

già meco fori in capo alla montata.

Ma poi che del seguirmi se' contento

ed hai veduto le mondane cose                                                          50

volubili e caduche più che vento,

appresso viemmi, ché le gloriose

ed etterne vedrai. Ma non torniamo

onde venimmo, per le 'mpetuose

tralciute vie, ma di qua teniamo,                                                         55

ché picciola rivolta alla portella

prima ci menerà, che noi vogliamo –

Ora si mosse questa ed io dop'ella,

di quelle cose molto ragionando

ch'eran dipinte nella sala bella.                                                           60

Ognor seguendo lei, così mirando

intorno a me per veder ciò che v'era

e nella mente ogni cosa recando.

sì vi vidi io, per una porta ch'era

alla sinistra mano, un bel giardino                                                       65

fiorito e bello com di primavera.

– Entrian –, diss'io, – in questo orto vicino,

donna, se piace a voi, ché poi alquanto

ricreati terrem nostro cammino –.

Là entro udiva io festa e gran canto,                                                  70

onde mi crebbe d'esservi il disio,

sì ch'altri mai non disiò cotanto.

Mirandomi allor dopo, mi vid'io

i due primier che dicean: – Che, non passi

dentro, poiché ardi di volere? – ed io                                                75

infra me gia dicendo: «Se tu lassi

costei per colà entro voler gire,

s'ella non vien, chi guiderà i tuoi passi?».

– Oh – cominciò costei allora a dire,

– che credi tu che colà entro sia?                                                       80

Troppo ti volge ogni cosa il disire.

Faccian, mentre avem tempo, nostra via,

ché, come tu costà pinto hai veduto,

così v'è dentro mondana vania.

Il ver che ora avanti conosciuto,                                                        85

secondo il tuo parlar, avevi tutto,

seguilo, e non voler con non dovuto

operar seguir danno e perder frutto –.

 

 

CANTO XXXVIII

 

Comincia' io allora: – A te che face

l'entrar là entro ed un poco vedere?

Io verrò poi là ovunque ti piace –.

– Or veggio ben che tu il tuo parere

vuo' pur seguire in ciascheduna cosa,                                                   5

e fai quel che tu vuo' a me volere –.

Così mi disse, e quasi dispettosa

soggiunse: – Andian, ched e' potrà seguire

che quando tu in più pericolosa

angoscia ti vedrai, vorrai reddire                                                        10

con meco adietro e non esser forse ito,

ed io ti lascerò in tal martire –.

Non fu il suo parlar da me udito

allor per poco, tanto avea la mente

pure al giardin verdeggiante e fiorito.                                                 15

Tutti e quatro v'entrammo insiememente:

tanta gioia vi vidi, che ciò ch'io

dinanzi vidi ivi m'usci di mente.

Ahi quanto egli era bello il luogo ov'io

era venuto, e quanto era contento                                                      20

dentro da me l'ardente mio disio!

Rimirando m'andava intorno attento

per lo gioioso loco, scalpitando

l'erbette e' fior col passo lento lento.

Sì con diletto per lo loco andando                                                     25

vidi in un verde e piccioletto prato

una fontana bella e grande; e quando

io m'appressai a quella, d'intagliato

e bianco marmo vidi assai figure,

ognuna in diverso atto ed in istato.                                                     30

Mirando quelle, vidi le scolture

di diversi color, com'io compresi,

qua' belle e qua' lucenti e quali oscure.

Vidi lì un bel marmo; e quel sedesi

sopra la verde erbetta, di colore

sanguigno tutto, e 'n su quella stendesi                                               35

in piano, e s'io già non presi errore

nell'avisare, una canna per verso,

quadro e basso e lucido di fore.

Sovr'ogni canto di quel marmo terso

di marmo una figura si sedea,                                                            40

ben che ciascuna avea atto diverso,

ch'umil, bella, soave mi parea

l'una di queste, e due spiritelli

con l'una mano a pie di sé tenea.

Habituati, parlando con quelli,                                                           45

gli aveva sì in un voler recati,

che ciascuno contento è di quel ch'elli

all'altro vedea 'n voglia; e colorati

eran li suoi vestir di tanti e tali

color, ch'io non li avrei mai avisati.                                                     50

Nell'altro canto, a man destra, ch'iguali

spazio occupava, una donna vi stava

ad ogni creatura disiguali.

Ella nel capo suo quivi mostrava

tre visi, ed è vestita, ciò mi pare,                                                        55

come di neve e così biancheggiava.

Là vid'io poi nel terzo angulo stare

una donna robusta tutta armata,

ad ogni affanno presta di portare.

Parea di ferro questa ivi formata                                                        60

tutta a veder; e dopo lei seguia

un'altra sopra 'l quarto angul fermata.

Rimirando colei ognun diria

che di fino smeraldo fatta fosse,

in abito piacente, umile e pia.                                                             65

Or quel che più a mirarle mi mosse

fu un vaso vermiglio grande e bello,

che tutte sostenien con le lor posse.

Fermato sopra loro, il bel vasello

più chè 'l sanguigno marmo si spandeva                                             70

sopra 'l fiorito e verde prato quello.

Egli era tondo, e 'n mezzo d'esso aveva

fermata una colonna piccioletta

che diamante in vista mi pareva,

ritonda e bella; e sopra quella eretta                                                  75

un capitel v'aveva di fino oro,

fatto con maestria, non miga in fretta;

e sopra quel tre figure dimoro

faceano ignude, e le spalle rivolte

erano l'una all'altra di costoro.                                                           80

Rideva l'una in atto, ben che molte

lagrime fuor per gli occhi ella gittasse,

che poi nel vaso parevan racolte.

Bruna era e nera; e poi che somigliasse

foco pareva l'altra e dalla poppa                                                        85

d'acqua gittava; e la terza sopr'a sé

rampollava ancor, bianca ma non troppa.

 

 

CANTO XXXIX

 

Oh quanto bella tal fonte pariemi

e quanto da lodar, tal che giammai

di mirarla saziato non sariemi!

Com'io a basso al vaso riguardai,

dove l'acqua cadea ch'era gittata                                                         5

da quelle tre, se bene immaginai

o vidi il vero, io vidi ch'adunata

era da parte quanta ne gittava

la bianca donna e là effigiata.

Onde uscia quella del vaso vi stava                                                    10

un capo d'un leone, e ver levante

d'un picciol fiume il bel giardin rigava.

Tolto di quivi e fattomi più avante,

ciò che la donna vermiglia spandea

nel vaso vidi fare il simigliante.                                                           15

Rimirando esso ancora vi vedea

una testa d'un toro, al mio parere,

del qual quell'acqua adunata scendea;

oltre ver mezzogiorno il suo sentiere

tenendo, mi parea che se ne andasse                                                 20

ancor rigando il piacente verziere.

Poi mi parve ch'alquanto mi tirasse

inver la terza donna tutta nera,

che ridendo parea che lagrimasse.

Parevami che, poi ch'adunato era                                                      25

suo lagrimar nel vaso, che scendesse

per una testa ancora che quivi era;

ove mirando, parve ch'io vedesse

che lupo fosse, e questa se ne gia

or qua or là, né parea che tenesse                                                     30

en l'andar suo nulla diritta via:

ad aquilon talora e ver ponente

scendendo, non so dove si finia.

Ciò che dal leon cade pianamente

dico che corre, e sopra li suoi liti                                                       35

d'erbe e di fior si vede ognor ridente.

Herba non v'ha, né frutti che smarriti

teman dell'autunno, ma tuttora

con frutti e frondi be' verdi e fioriti

ivi dimoran, né mai si scolora                                                             40

prato, ma bel di variati fiori

la state e 'l verno sempre vi dimora.

A que' 'l ruscel, che al toro di fori

cade di bocca, similmente è bello

d'erbe e di fior di diversi colori;                                                         45

rivestito di ciascuno albuscello

è 'l dolce lito, che porti verdura,

e similmente d'ogni gaio uccello.

Odesi alcuna volta en la pianura

le frondi risonar per dolce vento,                                                       50

il qual si move da quell'aere pura.

Ogni pratel di quel lito è contento

di mutar condizione a tempo e loco,

secondo c'ha 'l vigore acceso e spento.

Rallegrasi ogni animale e gioco                                                          55

vi fa, secondo che amor lo strigne

sotto la forza sua o molto o poco.

Ovunque la natura più dipigne

la terra di bellezza, è a rispetto

nulla di quello che quel fiume tigne.                                                    60

Così veduto quel, con lo 'ntelletto

io corsi a quel che fuor del lupo usciva:

ov'io non vidi un albero soletto

o altra pianta, la qual verde o viva

vi sia, ma secca la pianura trista,                                                        65

biancheggiar tutto con l'occhio scopriva.

Aveva ben del fiumicel la lista

tinta la terra d'un suo color perso,

che quasi lo schifava la mia vista.

Mossimi allora quindi, ed a traverso                                                  70

presi il sentiero per lo bel giardino,

per gire al fiume del bel toro emerso.

E quella donna con cui il cammino

impresi prima, disse: – Se ti piace,

andian per questa via, ché più vicino                                                  75

ne fia 'l sentier che ci merrà a pace.

Dove tu vai, come tu hai veduto,

è del bel transitorio e fallace;

del qual se tu ti se' bene aveduto,

come dicevi e come il tuo parlare                                                      80

mostrava che avessi conosciuto,

a quel non guarderesti, ma andare

il lasceresti come cosa vana

e 'ntenderesti a sol me seguitare.

Trai dalla mente tua quel che insana                                                   85

esser la fa, giovi quel ch'io ti dico,

e per quel falla che ritorni sana:

e non esser di te stesso nimico –.

 

 

CANTO XL

La donna mi parlava, ed io mirando

con l'occhio andava pure ove 'l disio

mi tenea fitto, non so che ascoltando.

Avevami davanti, al parer mio,

su quella riva assai donne vedute,                                                        5

di cui veder in tal voglia venn'io,

ch'io dissi: – Donna mia, a mia salute

non pensar più ch'i' voglia, a tempo e loco

farò d'adoperar la tua virtute;

ch'ora di novo m'è nel cor un foco                                                     10

venuto d'esser là: però o vienci,

o tu m'aspetta infin ch'i' torni un poco.

In qual parte vorrai poi insieme andrenci:

nostra stanza fia poca veramente,

che noi da veder quelle liberrenci –.                                                   15

Oltre n'andai, sanza dir più niente,

co' due che mi traevano, e costei

quasi scornata mi teneva mente

con intentivo sguardo, ed io a lei;

sanza dir nulla io la vi pur lasciai,                                                       20

o bene o mal non so qual io mi fei.

Hardito con costoro oltre passai,

e 'n sulla riva del bel fiumicello

io vidi donne ch'io conobbi assai;

e riguardando lor con occhio snello,                                                  25

qual gia cantando e qual cogliendo fiori,

chi sedea, chi danzava in un pratello.

Bello era il loco e di soavi odori

ripien per molte piante che 'l coprieno

dal sole e dalli suoi già caldi ardori;                                                    30

e' suoi cavalli, al mio parer, salieno

già sopra la quarta ora e mezzo il segno

del friseo monton co' piè tenieno.

Non credo ched e' sie sì alto ingegno

che 'nteramente potesse pensare                                                       35

le bellezze di quelle ch'io disegno.

Rimanga adunque qui questo lodare,

sol procedendo a' nomi di coloro

ch'io vi conobbi degne di nomare.

Infra quel bello e grazioso coro                                                         40

di tante donne, vidi una bellezza

ch'ancora stupefatto ne dimoro.

Pietoso Appollo, alquanto dell'altezza

del tuo ingegno presta, o tu ispira

ora per me con la tua sottigliezza!                                                      45

Omero, Maro, Naso, o chi più mira

discrizione o di donna o di dea

fé, saria poco a quella che si gira

sopra quel prato, ov'io vidi sedea

giovinetta leggiadra e tanto bella,                                                       50

ch'io la pensai per fermo Citarea.

Inginocchia' mi per volere ad ella

far reverenza, ma poscia m'avidi

ch'era mondana e somigliava stella.

Sallosi Amore che i piatosi gridi                                                         55

del cor sentì a sì mirabil vista,

ch'io nol so dir, ché non ho chi mi guidi,

e s'io pur conforto l'anima trista

poi che per li occhi senti' 'l dolce raggio

di tal bellezza, per obliqua lista.                                                         60

Istesi adunque inver di lei il visaggio,

e s'a sua posta l'alma, ch'altra guarda,

dar si potesse, io muterei coraggio.

Nel viso che d'amor sempre par ch'arda

afigurai, mirando con diletto,                                                             65

che costei era la bella lombarda.

Signore etterno, a cui nessuno effetto

mai si nascose, alla giusta preghiera

rispondi e dì: fu mai sì bello aspetto?

Essa sopra la verde primavera                                                           70

si riposava con altre dintorno,

delle quali il bel luogo ripien era,

faccendo con la luce dell'adorno

e bellissimo viso, riflettendo

con lume, troppo più il chiaro giorno;                                                 75

rimirando talor, fra sé ridendo

ver me di me, che arso m'accendeva

di nova fiamma ancora lei vedendo.

Udire appresso questa mi pareva

cantar tanto soave in voce lieta                                                          80

che me di me sovente mi toglieva.

Così al canto libera e quieta

tutta la mente avea disposta, allora

che con benigna voce e mansueta:                                                     85

– Troppa qui lunga dispendiam dimora –,

i due mi dissero; a' qua' rivoltato

risposi: – Andiam, sed e' vi pare, ancora –.

Oltre la via prendemmo per lo prato.

 

 

CANTO XLI

 

Oltre passando tra' fiori e l'erbette,

in loco pien di rose e d'albuscelli

venimmo, ove ciascun di noi ristette;

fra li qua' canti piacenti d'uccelli

s'udivan tai, che io mi saria stato                                                          5

quasi contento pure ad udir quelli.

Or mirando più là nel verde prato,

donne vi vidi una carola fare

ad uno strano suon, ch'una dallato

ritta a me mi parve udir sonare.                                                         10

Io non conobbi lei, posto ch'assai

bella paresse a me nel riguardare:

sì ch'io avanti all'altre riguardai,

ornata quale a sua somma grandezza

si conveniva, in atti lieti e gai,                                                             15

esser la mira e piacevol bellezza

di Perigota, nata genitrice

dell'onor di Durazzo e dell'altezza.

Ahi quanto allor mi reputai felice,

non risparmiando gli occhi a mirar quella                                            20

che per bellezza si può dir fenice!

La qual non donna, ma diana stella,

con passo rado la menava attenta,

non altrimenti che si voglia ad ella,

con gli occhi bassi, del mirar contenta                                                25

che io faceva in lei, che già sentia

come d'altrui per biltà si diventa.

Vaga e leggiadra molto la seguia

la ninfa fiorentina, al cui piacere

oppongon tai, che non san che si sia,                                                 30

nel viso lei parere un cavaliere,

onesta andando sì umilemente

ch'oltra dovere me ne fu in calere.

Dopo essa, attenta al suon similemente,

veniva quella Lia che trasse Ameto                                                    35

dal volgar uso dell'umana gente,

in abito soave e mansueto,

inghirlandata di novella fronda,

con lento passo e con aspetto lieto.

Lì dopo lei, bianca e rubiconda                                                         40

quanto conviensi a donna nel bel viso,

tutta gentile, graziosa e gioconda,

era colei di cui nel fiordaliso

il padre fu dall'astuzia volpina,

col zio e col fratel di lei, conquiso                                                      45

con molta della gente fiorentina:

li quai libraron lor poscia, per merto,

troppo più che 'l dover pace vicina.

Tra tanto ben, quanto a' mie' occhi offerto

era 'n quel loco, vid'io poi seguire,                                                     50

come 'l ramemorar me ne fa certo,

ognor più belle è più conte nel gire

donne altre assai, i nomi delle quali

io non saprei di tutte ben ridire.

Però le taccio, ma con disiguali                                                          55

passi e maniere si movea catuna,

sì come il suon ne porgeva segnali,

oltre, al parer mio; e ciascheduna

a tal bisogna conta, lieta e presta

mi pareva che fosse, perch'ognuna,                                                   60

ridendo in sé, prendeva gioia e festa,

sanza mostrar negli atti ch'altra cura

le fosse forse dentro al cor molesta.

Givansi adunque su per la verdura

e sopra i fior che novi produceva                                                       65

allato al rivo la bella pianura;

e talor quella che le conduceva

fino alla bella fonte se ne giva

e 'ntorno ad essa in giro si torceva,

sopra tornando per la chiara riva                                                       70

del fiumicello e poi nel pian tornando

che di diversi odor tututto oliva.

Sempre con l'occhio quelle seguitando

m'andava io, e dentro lo 'ntelletto

la lor bellezza giva immaginando;                                                       75

e di quella prendea tanto diletto

in sé, ch'alcuna volta fu che io,

a tal piacer, credetti far subbietto

alla mia voglia quiveritta il mio

libero albitrio: ma pur si ritenne                                                          80

con vigorosa forza il mio disio.

Voltatomi a que' due, allor mi venne,

ch'eran con meco, verso lor dicendo:

– Oh quanto a queste natura sovenne,

ogni bellezza in esse componendo!                                                    85

Beati que' che della grazia d'esse

son fatti degni, quella mantenendo,

la qual volesse Iddio che io l'avesse! –.

 

 

CANTO XLII

 

E mentre ch'io m'andava sì parlando

con questi due, ed ecco d'altra parte

molte donne gentili assai danzando.

Certo non credo che natura od arte

bellezze tante formasse giammai,                                                         5

quanto ne' visi a quelle vidi sparte.

Tra me medesmo men maravigliai,

ma volto il viso a lor, come venieno

così nella memoria le fermai.

Onde mi par che quella, cui seguieno                                                 10

danzando a nota d'una canzonetta

che due di quelle cantando dicieno,

raffigurando, era una giovinetta

dell'alto nome di Calavra ornata,

di Carlo figlia gaia e leggiadretta:                                                       15

reggendo quella alla nota cantata

con volte degne e passi, a cotal danza,

come mi parve, appresso seguitata

ivi dall'alta ed unica intendanza

del Melanese, che col Can lucchese                                                  20

abatté di Cardona l'arroganza.

Nelle man della qual poi la cortese

donna di quel cui seguita Ungheria,

bellissima si fece a me palese:

graziosa venendo, onesta e pia,                                                         25

con lieta fronte, in atto signorile,

fece maravigliar l'anima mia.

Riguardando oltre, con sembianza umile

venia colei che nacque di coloro,

che tal fiata con materia vile                                                               30

aguzzando lo 'ngegno a lor lavoro,

fer nobile colore ad uopo altrui,

multiplicando con famiglia in oro.

Tra l'altre nominat' è da colui

che con Cefàs abandonò le reti                                                         35

per seguitare il Maestro, per cui

i tristi duoli e gli angosciosi fleti

fur tolti a' padri antichi, e parimente

da Lui menati nelli regni leti.

Appresso questa assai vezzosamente                                                 40

se ne veniva la novella Dido,

di nome, non di fatto veramente,

tenendo acceso nel viso Cupido,

di tale sposa ch'assai mal contenta

credo la faccia nel marital nido.                                                         45

Ed il nome di lui di due s'imprenta,

d'un albero e d'un tino, e 'l poco fatto

dal suo diminutivo s'argomenta.

Costei seguiva con piacevol atto

donna che del sussidio d'Orione                                                        50

il nome tien, quando sonò per patto.

Oh quanto ella vorria, ed a ragione,

vedova rimaner partenopea

di tal c'ha nome da quel che menzione

l'agosto dà ad Ascesi! E poi vedea                                                    55

dopo essa molte, le qua' raccontare

per più brieve parlar meglio è mi stea.

E com'io dissi, ad un dolce cantare,

in voce fatto angelica e sovrana,

era guidata, qual di sotto pare.                                                          60

– In chiunque dimora alma sì vana

ch'esser non voglia suggetta ad Amore,

da nostra festa facciasi lontana.

Lo suo inestimabile valore,

che adduce virtute e gentilezza,                                                          65

a ciascuna di noi disposto ha il core

a sempre seguitar la sua grandezza,

e lui servendo staremo in disire,

tanto che sentiren quella dolcezza

ched e' concede altrui dopo 'l martire:                                                70

null'altra gioia al suo dono è iguale,

poiché per quel sembra dolce il morire.

Vita che sanza lui dura non vale

né più né meno che se ella fosse

cosa insensata o d'un bruto animale.                                                  75

In quel disio adunque in che ci mosse,

quando a noi fé sua signoria sentirsi,

a sostenere inforzi nostre posse:

benivol poi essendoci a largirsi,

sì che, deh, non ci paian le ferute                                                       80

di lui noiose né grave il soffrirsi,

in cui consiste la nostra salute;

quando parralli, la dobbiamo avere,

dandola tosto con la sua virtute –.

L'altre poi tutte appresso, al mio parere,                                            85

rispondendo diceano: – O signor nostro,

in te si ferma ogni nostro volere,

tutte disposte siamo al piacer vostro –.

 

 

CANTO XLIII

 

Aveami già quel canto e la bellezza

delle giovani donne l'alma presa

e riempiuta di nuova allegrezza,

tanto che ad altro la mente sospesa

con gli occhi non tenea, che non faceano                                             5

alli raggi di lor nulla difesa;

e com'io loro alzai, vidi sedeano

donne più là, quasi sé riposando,

che forse fatta festa innanzi aveano.

Queste, mentre io andava riguardando,                                              10

d'erbe e di frondi tutte coronate

vidi ed insieme d'amor ragionando.

Ver è ch'ell'eran di maturitate,

di costumi, di senno e di valore

e di bellezza molto e molto ornate.                                                     15

E volto verso là, il primo ardore

della bellezza dell'altre fu spento,

di tutte, fuor che d'una, nel mio core;

sì ch'io con passo mansueto e lento

a quelle m'appressai com'io potei,                                                     20

ed a mirarle mi disposi attento.

Tra l'altre che io prima conoscei,

fu una ninfa sicula per cui

già si maravigliaron gli occhi miei.

Oh quanto bella lì negli atti sui,                                                          25

biasimando le fiamme di Tifeo,

si sedea ragionando con altrui!

mostrando come per quelle perdeo

l'amato sposo in cieco marte preso,

allor che tutto vinto si rendeo                                                             30

in Lipari lo stuolo, ond'elli offeso

col bianco monte nel campo vermiglio

ne fu menato, ove ancora è difeso,

mudando in chiusa dell'aureo giglio;

donde doleasi, perch'a lui riavere                                                       35

non valean prieghi, danar, né consiglio.

Ove costei così, al mio parere,

quivi doleasi, attenta l'ascoltava

giovane donna di sommo piacere,

simile a cui nessuna ve ne stava,                                                        40

per quel ch'a me paresse, nel suo viso

che d'ogni biltà pien si dimostrava.

Sariasi detto che di paradiso

fosse discesa da chi 'ntentamente

l'avesse alquanto rimirata fiso.                                                           45

E com'io seppi, ell'era della gente

del Campagnin che lo Spagnuol seguio

nella cappa, nel dire e con la mente,

a sé faccendo sì benigno Iddio,

che d'ampio fiume di scienza degno                                                   50

si fece, come poi chiar si sentio,

faccendo aperte col suo sommo ingegno

le scritture nascose, e quinci appresso

da Carlo pinto gì nello dio regno;

faccendo sé da quella, in cui compresso                                            55

stette Colui che la nostra natura

nobilitò, nomar, che poi l'eccesso

absterse della prima creatura

con la sua pena; e quivi coronata

della fronda pennea, con somma cura                                                60

raggiugnea fior per farsi più ornata,

mostrando sé tal fiata piatosa

della noia dell'altra a lei narrata.

Con questa era colei ch'essere sposa

e figliuola perdé quasi in un anno,                                                      65

di brun vestita e nel viso amorosa:

oggi tornando dove i fabbri stanno

vulcanei e' miropoli e coloro

ch'ornan di freno e di sella, all'affanno

me' sostener l'animal, ch'al sonoro                                                     70

percuoter di Nettunno apparve fori

nel bel conspetto del celeste coro.

Ed il bel nome che' gemmier maggiori

danno alla perla è suo, il cui cognome

gli Asini legan, di que' guardatori.                                                      75

Splendida, chiara e bella era sì come

nel ciel si mostra qual più luce stella,

di vel coperte l'auree chiome.

Vaga più ch'altra, si sedea con ella

un'altra fiorentina in atto onesto,                                                        80

assai passante di bellezza quella.

Ben m'accors'io chi era e che dal sesto

Cesare nominato era il marito,

qual chi 'l conosce il pensa a lei molesto.

Guardando adunque nel piacente sito                                                85

costoro ed altre che v'erano assai,

sentiva ben da me mai non sentito,

in guisa tal ch'io men maravigliai.

 

 

CANTO XLIV

 

Era più là, di donne accompagnata,

la Cipriana, il cui figliuolo attende

d'aver la fronte di corona ornata,

con quello onore che ad essa si rende

dell'isola maggior de' Baleari,                                                              5

se caso fortunal non gliel contende.

Tra le quali era, in atto non dispari

della gran donna, un'altra tanto bella,

che mi fur gli atti suoi a mirar cari.

Ognuna quivi riguardava ad ella                                                         10

per la sua gran bellezza, ed io con loro

che già in me riconosceva quella.

Ell'è colei di cui il padre nell'oro

l'azzurro re de' quadrupedi tene

nel militare scudo, e di coloro                                                            15

passata stassi, come si convene,

isposa d'un che la fronzuta pera

d'oro nel ciel per arma ancor ritene.

E con queste a seder bellissim'era,

simile a riguardare ad una dea,                                                          20

la sposa di colui che la rivera

rosseggiar fé di Lipari, eolea

isola, poi togliendo in guidardone

l'amiraglia da chi dar la potea.

Con essa questa ancora ad un sermone                                             25

conobb'io quella che fu tratta al mondo,

onde fuggita s'era in religione,

honesta e gaia nel viso giocondo,

moglie di tal che me' saria non fosse:

ma chi più sia non mosterrò del fondo.                                               30

E l'altre oltre mirando, mi percosse

ma non so che, e tutto quasi smorto

subito altrove gli occhi e me rimosse.

Venend'io così men sanza conforto,

tremando tutto, mi ritorna' a mente                                                    35

ch'io vidi in una parte di quell'orto,

onesta e graziosa umilemente,

una donna sedere il cui aspetto

tutto dintorno a sé facea lucente.

In questo alquanto nel tremante petto                                                40

con forza ritornò l'alma smarruta,

rendendo forza al debile intelletto.

Così mi ricordò che io veduta

avea costei tra quelle donne prima,

e 'n altra parte ancora conosciuta.                                                     45

Onde se sua bellezza la mia rima

qui al presente perfetta non dice,

maraviglia non è; ma tanto estima

sentendo l'alma mia, che om felice

mirando quella dovria divenire,                                                          50

se la memoria mia ver mi ridice.

Tenendo mente lei, sommo disire

d'entrar mi venne dentro allo splendore

che delli suoi belli occhi vedea uscire;

e 'n ciò pensando subito nel core                                                       55

punger sentimmi, e quasi in un momento

mi ritrovai nel piacevol lustrore.

Ivi mirabile il dimoramento

pareami, e quasi in me di me facea

beffe di sì notabile ardimento.                                                            60

Ma lì essere stato mi parea

tanto che quattro via sei volte il sole

con l'orizonte il ciel congiunto avea.

E come nell'orecchia talor sole

subito dolce suon percuoter tale                                                        65

che quello udendo poi le piace e vole,

così orribil mi venne cotale

e spaventommi per lungo soggiorno,

né mi fé già, ben ch'io temessi, male:

– O tu – dicendo, – ch'e' nel chiaro giorno                                         70

del dolce lume della luce mia,

che a te vago si raggia dintorno,

non ischernir con gabbo mia balia,

né dubitar però per mia grandezza,

la quale umil, quanto vorrai, ti fia.                                                      75

Onora con amor la mia bellezza,

né d'alcun'altra più non ti curare,

se tu non vuo' provar mia rigidezza –.

Sentimmi poi il cor dentro legare

co' cari crini del suo capo, e adesso                                                  80

più volte intorno avolgere e girare.

Così mi parve, se bene in me stesso

ricordo, che costei dicesse: ond'io

risposi: – Donna, a te tutto sommesso

io sono e sarò sempre, e ciò disio –.                                                  85

 

 

CANTO XLV

 

A tal partito nel beato loco

istandomi, io mi senti' nel core

raccender più ardente questo foco,

tal ch'io pensai che 'l novello ardore

oltre al dovuto modo mi tirasse,                                                           5

tal nel principio suo mostrò furore.

E 'l cor, che ciò pareva che pigliasse

a sé, lo 'ncendio, quantunque potesse,

oltre a dovuta parte a sé ne trasse.                                                    10

E così stando parve ch'io vedesse

questa donna gentile a me venire

ed aprirmi nel petto, e poi scrivesse

là entro nel mio cor posto a soffrire,

il suo bel nome di lettere d'oro                                                           15

in modo che non ne potesse uscire.

La qual, non dopo molto gran dimoro,

nel mio dito minore uno anelletto

metteva tratto di suo gran tesoro;

al qual pareami, se 'l mio intelletto                                                      20

bene stimò, che una catenella

fosse legata, che infino al petto

si distendeva della donna bella,

passando dentro, e con artigli presa,

come ancora scoglio, tenea quella.                                                    25

Oh quanto da quell'ora in qua accesa

fu la mia mente del piacer di lei,

che mai non era più stata offesa!

Moveami questa ove pareva a lei

co' suoi belli occhi, e sol pensando andava                                        30

com'io potessi piacere a costei.

Infra quel circuito che ocupava

la luce sua, quasi come 'nretito,

a forza a rimirarla mi girava.

Gravoso mi parea l'esser fedito                                                         35

e più fiate lagrime ne sparsi,

non potend'io durar l'esser partito

là onde quella soleva mostrarsi

agli occhi miei gentile e graziosa,

e più nel cor sentia 'l foco allumarsi.                                                   40

Io non trovava nella mente posa,

sì mi stringea pur di lei vedere

la mente ardente di sì bella cosa.

Adunque seguitando il mio volere,

dovunque era costei, così tirato                                                         45

parea ch'io fossi dal suo bel piacere;

ma certo in ciò Amor m'era assai grato,

sol che 'l disio non fosse oltra misura

nell'amoroso cor troppo avanzato.

Ognora che la sua bella figura                                                            50

disiava vedere, Amor faceva

di ciò contenta la mia mente scura,

rendendo lei umil quand'io voleva.

E questo più m'accendeva, vedendo

che 'l mio disio adempier si poteva,                                                   55

né per lei rimaneva ma, sentendo

forse maggior periglio, consentia

che io avanti mi stessi piangendo,

e graziosa mostrandosi e pia

verso di me, con sua benignitate                                                        60

in conforto tenea la mente mia.

Lungamente seguendo sua pietate,

ora in avversi ed ora in graziosi

casi reggendo la mia volontate,

sollecito del tutto mi proposi                                                              65

di pur sentire l'ultima possanza

che in loro hanno i termini amorosi.

Ver è che molto prolissa speranza

mi tenne in questa via, non però tanto

che 'l mio proposto gisse in oblianza.                                                 70

Alla seconda con sospiri e pianto,

quando con festa, sempre seguitai

il mio proponimento, infino a tanto,

sottilmente guardando, m'avisai

che la donna pensava terminare                                                         75

con savio stile i disiosi guai.

Però alquanto lasciai 'l pensare,

dicendo: «Tosto credo proveduto

fia da costei il mio grave penare.

Ell'ha ben ora tanto conosciuto                                                          80

del mal ch'io sento e del mio disio,

ch'io credo che di me le sia incresciuto».

Così fra me gia ragionando io,

pure aspettando che la sua grandezza

si dichinasse alquanto al dolor mio                                                     85

torre potere con la sua bellezza:

la qual l'anima mia più ch'altra brama

e più che altra alcuna in sé l'apprezza,

onorandola sempre quanto l'ama.

 

 

CANTO XLVI

 

Tenendo me il valor di colei

dentro a sua luce in tal modo costretto,

sempre con lo 'ntelletto volto a lei,

avendo spesso dolore e diletto,

riposo e noia con isperanza assai,                                                        5

com'io qui poco di sopra ho detto,

non sappiendo a che termine mai

si dovesse finire, un poco appresso

inver di lei alquanto mi voltai

traendomi più là, e con sommesso                                                     10

parlar le chiesi che al mio dolore

fine ponesse, qual doveva, adesso,

ognor servando quel debito onore

che si convene a' suoi costumi adorni,

di gentilezza pieni e di valore.                                                            15

Cinque fiate tre via nove giorni

sotto la dolce signoria di questa

trovato m'era in diversi soggiorni,

allora ch'io senti' che la molesta

pena, che m'era nello cor durata,                                                       20

convertir si doveva in lieta festa.

Lasciando adunque la mia vesta usata

in parte più profonda del verziere,

mi parea ritrovar quella fiata

con gioia smisurata, al mio parere,                                                     25

e nelle braccia la donna piatosa

stupefatto mi parea tenere.

Vinceva tanto l'anima amorosa

la gioia, che la lingua stando muta

divenuta pareva dubitosa,                                                                  30

né diceva niente, ma l'aguta

voglia di star dov'esser mi parea

facea parermi falsa tal paruta.

Dond'io fra me spesse volte dicea:

«Sogni tu? o se' qui come ti pare?»                                                    35

«Anzi ci son», poi fra me rispondea.

In cotal guisa spesso a disgannare

me quella donna gentile abracciava

e con disio la mi parea basciare,

fra me dicendo ch'io pur non sognava,                                               40

posto che mi pareva grande tanto

la cosa, ch'io pur di sognar dubbiava.

E se per comprazion volessi quanto

fu la mia gioia porre, essemplo degno

nol crederia trovar; ma dopo alquanto,                                              45

con quella gioia che io qui disegno,

la quale immaginar non si porria

da alcuno mai per altezza d'ingegno,

tratto un sospiro, graziosa e pia

la donna inver di me disse: – Ora dimmi,                                            50

come venisti qui, anima mia? –.

Ond'io a lei: – Poi ch'Amore aprimmi

gli occhi a conoscer la vostra biltate

a cui io per mia voglia consentimmi,

nel cerchio della vostra potestate                                                       55

entrato con affanno e con sospiri,

sempre sperando en la vostra pietate,

ò lui pregato che a' miei martiri

dia fine grazioso, ed e' menato

m'ha qui per fine porre a' miei disiri.                                                   60

Nel giardin là ver è ch'i' ho lasciato

stare una donna, la qual lungamente

prima m'avea benigna accompagnato

venendo qui –; e non lasciai niente

a dire a lei e di que' due ancora                                                         65

con cui io venni qui similemente.

Alquanto stette quella donna allora

in abito sospesa, in sé pensando:

e poi, non dopo molto gran dimora:

– Andrai –, mi disse, la donna cercando,                                           70

e lei seguisci però ch'ella è quella

che 'n dritta via ripon chi va errando.

Ciò ch'ella vuoi, vo' facci, fuor che s'ella

me ti volesse far di mente uscire:

in ciò non vo' che ubidischi ad ella.                                                    75

Humiliati sempre al suo disire

e me porta nel cuor, né ti sia grave,

che ben te ne vedrai, credo, seguire.

Il portar te in me tanto soave

m'è, che per pace corro a tua figura                                                   80

quando gravezza alcuna il mio cor have.

Giammai non fu neuna creatura

che tanto mi piacesse: fatti lieto,

e di ciò tien l'anima tua sicura.

Io volli ora al presente far quieto                                                       85

il tuo disio con amorosa pace,

dandoti l'arra che finirà 'l fleto:

adunque va omai quando ti piace –.

 

 

CANTO XLVII

 

La donna tacque allora, ed io congedo

presi in un atto in me molto contento

e 'n altro più dolente che mai, credo,

ver quella parte ritornando lento

dov'io aveva la donna lasciata,                                                            5

che fu mia guida nel cominciamento.

Io mi giva pensando con bassata

testa a quel ben che io avuto avea,

e doleami di sì corta durata.

Di più disio ancora mi parea                                                              10

tutto arder dentro nel trafitto core

vie più che nel principio non facea;

e diceva fra me: «Deh, se l'ardore

ora non manca, non credo che mai

egli esca omai della mente di fore.                                                     15

Avuto ho quel che io più disiai:

deh, che cercherò io per mia salute?

chi stuterà cotal fuoco oramai?

La volontà che d'Amor le ferute

mi porsero, non è in me finita                                                             20

ma è cresciuta in me la sua virtute».

Tra' fiori e l'erba con vista smarrita

m'andava in me in tal guisa pensando,

dispregiando e lodando la mia vita.

Riguardandomi a' piedi, così andando,                                               25

mi trovai alla fonte non avendo

vedute quelle donne festeggiando;

e 'l viso alzai, me stesso riprendendo

del perduto diletto, e ver me vidi

quella donna venir cui io caendo                                                        30

fra quel giardino andava, – Ove ti fidi? –

ver me dicendo, e con le braccia aperte

mi prese, e: – Non cre' tu che io ti guidi

in qual parte vorrai? perché perverte

tua volontà il mio consiglio vero,                                                        35

per vanità lasciando cose certe? –

Allor risposi: – Madonna, sincero

m'è il tuo mostrar tornato di colei

grazia che m'ha disposto a tal sentiero.

Tu verrai, se ti piace, infino a lei,                                                        40

e quivi insieme ci dimoreremo

quanto piacer sarà tuo e di lei;

e poi insieme tutti e tre andremo

dove vorrai, ché io credo segnare

sotto 'l piacer di lei il dì estremo –.                                                     45

Ed allora: – Il tuo adimandare

è d'ordine di fuor, ché io so bene

quel che tu vo' che io vi venga a fare.

La donna meco assai più si convene,

che tu non fai: dove menar mi vuoi                                                     50

e ben conosco qual disio ti tene.

Vieni con meco ed a lei andrem poi –.

– Ma andian là – risposi, – prima ed essa

insieme meneren con esso noi.

Non c'è bisogno d'aver sì gran pressa:                                               55

ancora il sole al cerchio di merigge

non è, e 'l nostro andar però non cessa –.

Diss'ella allora: – Io so che ti trafigge

di lei il piacer e non ti puoi partire,

però pur qui tua volontà si figge.                                                        60

E però se in questo il tuo disire

io seguirò, tu giurerai di fare

quel ch'io vorrò ed altro non seguire –.

La mia risposta fu: – Non comandare

ch'io non ami costei, ogni altra cosa                                                   65

al tuo piacer mi fia lieve osservare.

La qual se io sol per libidinosa

voglia fornire amassi, in veritate

con dover ne saresti crucciosa;

anzi con quella intera caritate                                                             70

che prossima persona amar si dee,

amo, servo ed onoro sua bontate;

la qual, si come manifesto v'ee,

non trova pari in atti né 'n bellezza,

né in saper nel mondo simil ee –.                                                       75

– Tu hai –, mi disse quella con dolcezza,

sì presa me pur di voler vedere

costei, cui donna fai di gentilezza

real posseditrice, che potere

non ho sanza vederla d'ire altrove                                                      80

né di negare a te il tuo piacere.

Or dunque insieme ce n'andiam là dove

tu l'hai lasciata, e veggian manifesto

se quello è vero a che il tuo dir mi move –.

Subitamente ragionato questo                                                            85

insieme ci movemmo e nel conspetto

venimmo di colei, che 'n atto onesto

incontro venne a noi con lieto aspetto.

 

 

CANTO XLVIII

 

Graziosamente si feciono onore

quivi insieme le donne, ed in brieve

l'una dell'altra conobbe il valore.

– Ora mi fia –, la prima donna, – lieve –,

ver me rivolta disse, – farti quella                                                         5

grazia che per adietro m'era grieve.

Dolce, cara e benigna mia sorella

tengo costei, e s' tu m'avessi detto

di lei il nome, già saremmo ad ella,

è gran pezza, venuti nel conspetto.                                                     10

Costei sanza 'l fedel consiglio mio

non ferma fatto né compon suo detto:

dunque per tale essemplo il tuo disio

raffrena e serva il verace piacere,

il qual più volte t'ho già mostrat'io.                                                     15

Intero fa che servi il suo parere:

altro che ben non ten potrà seguire,

però ch'ell'ha ver te il mio volere –.

Lei prese poi per mano e così a dire

incominciò: – Figliuola di virtute,                                                        20

cui questi qui del tutto vuol servire

ognor con più disio, per sua salute

pensa, sì ch'egli, ch'ogn'altra ha lasciata

per servir te, con laude dovute

ringrazi te, cui elli ha essaltata                                                            25

nel mio conspetto tanto che giammai

nulla ne fu per tal modo lodata.

Ond'io udendo ciò immaginai

che fuor che tu altr'esser non potea,

e però a venir qui m'inviai –.                                                              30

Ove poi per la destra mi prendea

e davami a costei, così dicendo

ancora inver di lei, ciò mi parea:

– Non ebbe questi mai fren che tenendo

andasse in modo buon sua giovanezza,                                              35

se non ch'io ora di porgliele intendo,

dirizzando esso verso quella altezza

onde tu discendesti a dimostrare

alli mondan quaggiù la tua bellezza.

Imperciò ch'io il sento ancora a fare                                                  40

a te ogni servigio molto presto,

per la fé che mi dei ti vo' pregare,

ogni cagion rimossa, che in questo

e' sia in quanto può racomandato,

drizzando lui col tuo parlare onesto                                                    45

là ove sia onorevole stato

di lui e tuo e suo contentamento,

in modo che a me non sia disgrato.

Io il ti dono tutto, i' 'l ti presento:

sempre sia tuo, né giammai sia ardito                                                 50

di sé partir dal tuo comandamento –.

E poi rivolta a me mi disse: – Udito

hai ch'io t'ho dato a questa: fa che 'n guisa

la servi che 'l mio don sia gradito.

Tiella per donna tua, né mai divisa                                                     55

sia da lei l'alma tua fin che la vita

dal mortal colpo in te non è conquisa.

Or qui alquanto per questa fiorita

campagna dolcemente ti riposa,

sì che poi sie più forte alla salita                                                         60

dove menarti intendo, e la gioiosa

donna con noi, acciò che la via

del tutto paia a ciascun dilettosa –.

Io dissi allor: – Madonna, così sia!

se tal grazia mi fai, quando ti piace                                                     65

a tal camin con noi dietro t'invia.

Manifesto conosco altro che pace

io non potrei aver, poi questa vene

che per conforto sola nel cor giace,

ond'io sento alleggiare le mie pene.                                                    70

Dio voglia ch'ella ci stia lungamente,

con allegrezza aggiugnendoci bene! –.

Ridendo e festeggiando insiememente

su per l'erbette insieme n'andavamo

e d'amor ragionando lietamente.                                                        75

Ora innanzi ora 'ndietro tornavamo,

e talora cogliendo erbette e fiori

sopra li verdi prati abassavamo,

rinnovando con gli occhi più gli ardori

degli animi, e andando per la via                                                        80

soave al naso per diversi odori.

E con colei ch'a me più agradia

cercando ogni boschetto, noi soletti,

sanza la donna ch'adietro venia,

n'andavan tutti prendendo diletti;                                                       85

tanto che quella, entrati in chiuso loco,

più non vedemmo, onde: – Ciascun s'assetti –,

dicendo, – qui or aspettianla un poco –.

 

 

CANTO XLIX

 

Era quel loco, dove ci trovamo,

soletto tutto, né persona appresso

di nulla parte a noi non sentavamo.

Tutto dintorno ed ancora sopra esso

era di frondi verdi il loco pieno,                                                           5

e di quelle era ben follato e spesso.

Entrar non vi potea sol né sereno,

e di vermiglie rose in circuito

gran quantità ancor vi si vedieno.

Allor vedendo il dilettevol sito                                                           10

e me con quella dimorar soletti

e d'ogni altra compagna esser partito,

là fra me dissi: «Io non so ch'io m'aspetti:

perché, poi che qui sono, ora non prendo

di questa i tanti affannati diletti?                                                         15

Lo loco ov'ora dimorian sedendo

to' ogni sospetto, né qui mai trovarci

quella potria che ci venia seguendo,

ed altro non cred'io che impacciarci

potesse: costei vuole ed io 'l disio,                                                     20

dunque perché cercar più d'indugiarci?».

In cotal ragionar m'acosta' io

a quella, e presa lei che 'n sull'erbetta

sonniferava già, al parer mio,

lei nelle braccia mi reca' istretta:                                                         25

mille fiate credo la basciai

pria si svegliasse la bella angioletta.

Ma subito stordita a dir: – Che fai? –

cominciò isvegliata, – deh, non fare!

se quella donna vien, come farai? –.                                                  30

Ed io allora cominciai a parlare:

– Donna, io non so quando mi riavesse

quel che tu ora mi vuoi far lasciare.

Ragion sarebbe ch'io sempre piangesse,

se per preghiera che non dee valere                                                   35

quel ch'io ho mattamente perdesse –.

In cotal guisa stando, al mio parere,

già questa bella donna stava cheta,

consentendo umilmente, al mio piacere

tutta disposta, quando l'alma lieta                                                      40

di cotal bene tanta gioia prese

in sé, che ritener dentro a sua meta

allora non poté, ma 'l sonno offese

là dov'io dolce allor facea dimora,

per che si ruppe e più non si difese.                                                   45

Tutto stordito mi riscossi allora

e strinsi a me le braccia, e mi credea

intra esse madama avervi ancora.

Omè, quanto angosciosa e quanto rea

tal partita mi fu, e quanto caro                                                           50

mi fu il dormir mentre 'n braccio v'avea!

Ahi come ritornò in duolo amaro

quel diletto che 'l sonno m'avea porto,

ch'a ogni affanno avea posto riparo!

Lasso, angoscioso e sanza alcun conforto,                                         55

levato pur dintorno mi mirava

immaginando ancora star nell'orto.

La fantasia non so come m'errava,

e, mentre avea sognato, mi credeva

non sogno avesse e così estimava.                                                     60

Ora stordito sognar mi pareva,

e lungo spazio non seppi ov'io m'era

né vero sentimento in me aveva.

Ritornato ch'io fui poi nella vera

conoscenza di prima e lagrimato                                                        65

ebbi per certo spazio quivi ov'era:

«Omè», dicendo, «dove son io stato

con tanta gioia? Ora fosse piaciuto

a Dio ch'i' non mi fossi mai destato,

e 'n cotal gioia sempre sare' suto!                                                      70

Ancor mi fora leggiero il dormire

se più tal don mi fosse conceduto.

Pianto ed angoscia e noioso martire

di ciò mi crebbe, e multiplicò 'l foco

in me vie più d'amoroso disire,                                                          75

il quale io sento che a poco a poco

tutto mi sface; e già saria finita

la vita mia, se non che a quel loco

veracemente spero che reddita

ancor farò con essenza perfetta,                                                        80

allor prendendo quella gioia compita,

nella quale ora dormendo imperfetta

stetti. E questo l'amorosa mente

solo disia e fermamente aspetta,

ove Colui, che di tutto è potente,                                                       85

mi rechi e servi nella vostra grazia

quanto vi piace, madonna piacente,

nella qual sempre fia la mente sazia».

 

 

CANTO L

 

Dico che poi che 'l sonno fu partito

tutto di me, che stava lagrimando

ancora in me di tal bene smarrito,

in piè drizzato, intorno a me guardando

vidi la bella donna, la qual voi                                                              5

per lo giardin mi feste andar cercando.

– Che pensi? – disse a me, e poco poi

soggiunse: – Andiam, ch'egli è voler di quella

che nel tuo sonno mi ti diè ancoi –.

Ond'io risposi stupefatto ad ella:                                                        10

–E dove andremo? e torneren noi forse

dov'io era or con quella donna bella? –.

– Mai sì –, disse allora, – e ciò che porse

il tuo dormire alla tua fantasia

tututto avrai, se da me non ti smorse.                                                 15

Ancora più per me dato ti fia

di grazia, di veder ciò che perdesti

quando lasciasti la mia compagnia.

In quella parte là, dove or dicesti,

sanza consiglio molto esaminato                                                        20

ir non si vuol, ché tu ten penteresti.

Primieramente là dove m'è grato

seguita, ché sanza dubbio intenta

farò di farti a tempo consolato:

e quel disio, che or più ti tormenta,                                                    25

porrò in pace con quella bellezza

che l'alma al cor tuttora ti presenta –.

Ristette allora, ed io tanta dolcezza

presi della promessa, che nel viso

tututto sfavillava d'allegrezza.                                                             30

Con voce piana e tutto pien di riso

risposi a lei: – Donna gentile, io vegno,

né più da te voglio esser mai diviso.

Humile e pian, quant'io posso, m'assegno

a te: fa sì ch'al piacer di colei,                                                            35

di cui io sono, io non trapassi il segno –.

– Ell'ha del mio voler –, disse costei, –

– in mano il fren, sì ch'io non posso fare

se non sol quel ch'è in piacere a lei.

Di tanto sempre mi veggo onorare                                                     40

da essa, ch'io lei lascio, che giammai

oltre alla voglia mia non vuoi mutare –.

E questo detto disse: – Andiamo omai,

che 'l tempo è brieve a quel che voi fornire –;

per ch'io sanza più dir la seguitai.                                                       45

Così adunque vo per pervenire,

donna gentile, al loco dove sendo

voi ebbi tanta gioia nel mio dormire,

tuttor notando quel ch'andrò vedendo

dietro a costei per la portella stretta,                                                  50

e di scriverlo oltre ancora attendo.

Or vi voglio pregar, donna diletta,

che poi che la passata visione

tututta con diletto avrete letta,

mirando dove cade riprensione                                                          55

mi correggiate, e cara la teniate

pensando alla mia buona affezione.

Io non mi curo poi se dispregiate

fien forse le sue rime e sua sentenza,

sol che a voi sien dilettose e grate.                                                     60

Per vostro onore e somma reverenza

della fé ch'io vi deggio, come a donna

di virtuosa e somma intelligenza,

atando me la possa che s'indonna

in ciascun cuor gentil che da virtute                                                    65

per accidente alcun mai non si sdonna,

rispetto avendo ancora alla salute

che da vo' isperanza mi promette

a mitigar l'amorose ferute,

aggio composte queste parolette                                                       70

in rima, e fine faccio col piacere

di voi, in cui l'alma tutta si rimette,

vaga e contenta solo di potere

far cosa che v'agrada, e questo vole,

questo disia e questo l'è 'n calere,                                                      75

ed il contrario più ch'altro le dole.

Dunque, donna gentile e valorosa,

di biltà fonte, com di luce sole,

rimirate alla fiamma che nascosa

dimora nel mio petto, ed ispegnete                                                    80

quella con l'esser verso me piatosa.

Amor mi diede a voi, voi sola sete

il ben che mi promette la speranza,

sola mia vita in gioia tener potete.

Solo mio ben, sola mia disianza,                                                        85

solo conforto della vaga mente,

sola colei che mia virtute avanza

sete e sarete sempre al mio vivente;

né più disio né disiar più voglio

fuor che d'esser a tal biltà servente.                                                   90

Adunque quello ardor in cui m'invoglio

terminerete omai quando vi piace,

ch'io vi sono entro ognor più ch'i' non soglio:

io v'acomando al Sir di tutta pace.

 

 

 

TESTO B

 

CANTO I

 

Move nuovo disio l'audace mente,

donna leggiadra, per voler cantare

narrando quel ch'Amor mi fé presente,

in vision piacendol di mostrare

all'alma mia, da voi presa e ferita                                                         5

con quel piacer che ne' vostri occhi appare.

Recando adunque la mente, smarrita

per la vostra virtù, pensieri al cuore,

che già temeva di sua poca vita,

accese lui d'un sì fervente ardore,                                                      10

ch'uscita fuor di sé la fantasia

subito corse 'n non usato errore.

Ben ritenne però il pensier di pria

con fermo freno, ed oltra ciò ritenne

quel che più caro di nuovo sentia.                                                      15

In cui vegghiando, allor mi sopravenne

ne' membri un sonno sì dolce e soave,

ch'alcun di lor in sé non si sostenne.

Lì mi posai, e ciascun occhio grave

al dormir diedi, per li quai gli agguati                                                  20

conobbi chiusi sotto dolce chiave.

Così dormendo, sovra i lidi lati

errar mi vidi, non so che temendo,

pauroso e solo in quell'inabitati,

or qua or là, null'ordine tenendo;                                                       25

quando donna lucente in vista e bella

m'apparve, in voce umil così dicendo:

– Se questo luogo, sol per gire a quella

somma felicità, ch'uom mortal dire

non puote mai con intiera favella,                                                       30

abbandonar ti piace e me seguire,

ti poserai 'n così piacevol festa,

ch'avrai sicuro e pieno ogni disire –.

Fiso pareami di rimirar questa

ed ascoltare intento sue parole,                                                         35

quando alzai gli occhi alla sua bionda testa

ornata di corona e più che 'l sole

splendida e vaga, ed oltre mi parea

il bel vestir suo tinto di viole.

Ridente in vista, nella destra avea                                                      40

un real scettro ed un bel pomo d'oro

chiuso nella sinestra sostenea.

Sovra il piè, tal qual nel sidereo coro

Giunon, moveva i passi; a cui diss'io,

pensando di provare 'l suo aiutoro:                                                    45

– Ecco, donna celeste, il mio disio

è di cercar quel ben che tu prometti,

s'ai lenti passi tuoi dietro m'invio –.

– Lascia –, diss'ella, – adunque i van diletti

e seguitami verso quell'altura                                                             50

che posta vedi inanti a' nostri aspetti –.

Allor lasciar pareami ogni paura

e darmi tutto a seguitar costei,

abbandonando la strana pianura.

Poi che salito fui lassù con lei                                                             55

non già per molto spazio, il viso alzai

istato basso infin lì verso i piei:

rimirandomi avanti, i' mi trovai

venuto a pie d'un nobile castello,

sovra 'l sogliar del qual i' mi fermai.                                                    60

Egli era sovra ogni arte umana bello,

alto, spazioso, avenga che a me alquanto

tenebroso paresse entrando 'n quello.

– Siam noi ancora là dove cotanto

ben mi prometti, donna graziosa,                                                       65

di dovermi mostrar? –, le diss'io intanto.

Ed ella allora: – Più mirabil cosa

veder vuoi prima che giunghi lassuso,

dove l'anima tua fia gloriosa.

Noi cominciammo pur testé quaggiuso                                               70

ad entrare a quel ben: questa è la porta:

entra sicuro omai nel camin chiuso.

Tosto dimosterrotti la via corta,

per la qual girvi ti serà diletto

se non ti volta conscienza torta –.                                                      75

Ed io: – Adunque andiam, ché già m'affretto,

già mi cresce 'l disio, sì ch'i' non posso

tenerlo ascoso più dentro nel petto.

Vedi com'io mi son sicuro mosso,

vedi ch'io vegno e trascorro di voglia,                                                80

d'ogni altra cura nella mente scosso –.

– Ir si convien –, disse, di soglia in soglia

con voler temperato, ché chi corre

talor tornando convien che si doglia –.

Sì era tal dir ver, che nulla apporre                                                    85

né contro andarle arei giammai possuto,

né dal piacer di lei unqua distorre

in ciò il pensier, s'i' avessi ancor voluto.

 

 

CANTO II

 

«O somma e graziosa intelligenzia

che muovi il terzo cielo e ogni sua idea,

metti nel petto mio la tua potenzia:

non sofferir che fugga, o santa dea,

a me l'ingegno all'opera presente,                                                        5

ma più sottile e via più in me ne crea.

Venga il tuo buon valor nella mia mente,

tal che 'l mio dir d'Orfeo risembri il suono,

che placò il duca della morta gente.

Infiamma me più tanto ch'i' non sono,                                                10

che l'ardor tuo, di ch'io tutto m'invoglio,

faccia esser grato quel di ch'io ragiono.

Poi che condotto m'ha a quest'alto soglio

costei, che sol seguir lei mi si face,

menami tu colà dove io gir voglio,                                                      15

acciò che' passi miei, che van per pace

seguendo 'l chiaro raggio di tua stella,

venghino a quell'effetto che ti piace».

Ragionando con tacita favella

così m'andava nel nuovo sentiero                                                       20

seguendo i passi della donna bella.

Ruppemi tal parlar nuovo pensiero

ch'un muro antico nella mente mise,

apparitoci avanti tutto intiero.

Allor la bella donna umil sorrise,                                                        25

me stupefatto e d'ammirazion pieno

veggendo forse, e disse: – Tu divise

del camin nostro che qui venga meno:

o se più è, non vedi da qual loco

li passi nostri su salir porrieno.                                                           30

Oltre convien che venghi ancora un poco,

ed io mostrandola, vedrai la via

che ci merrà là al grazioso gioco –.

Non fummo guari andati che la pia

donna mi disse: – Vedi qui la porta                                                    35

che l'alma tua veder così disia –.

Nel suo parlar mi volsi e, poi che scorta

l'ebbi, la vidi piccioletta assai

e stretta ed alta, in nulla parte torta.

A man sinestra allora io mi voltai                                                       40

volendo dir: «Chi ci potrà salire

o passar dentro, che par che giammai

gente non ci salisse?» e nel mio dire

vidi una porta grande aperta stare,

e dentro festeggiar mi parve udire.                                                     45

E dissi allor: – Di qua fia meglio andare,

al mio parere, e credo trovaremo

quel che cercamo, ed udir già mel pare –.

– Non è così –, rispose, – ma n'andremo

su per la scala che tu vedi stretta                                                       50

e su la sommità ci poseremo.

Tu guardi là, ché forse ti diletta

il cantar che tu odi, il qual piuttosto

pianto si dovria dire 'n lingua retta.

Il corto termine alla vita posto                                                           55

non è da consumare 'n quelle cose

che 'l bene etterno vi fanno nascosto.

Levarsi ad alto, su alle gloriose,

util s'acquista ed immortal virtute,

che lascia le memorie poi famose.                                                      60

E s' tu non credi forse ch'a salute

questa via stretta meni, alza la testa,

e ve' che dicon le lettre scolpute –.

Alzai allora il viso, e vidi: «Questa

picciola porta mena a via di vita;                                                        65

posto che paia nel salir molesta,

riposo etterno dà cotal salita;

dunque salite su sanza esser lenti,

l'animo vinca la carne impigrita».

Io dissi: – Donna, molto mi contenti                                                   70

col ver parlar che tua bocca produce

e più m'accertan le cose apparenti,

guardando quelle; ma dimmi, che luce

è quella che là dentro i' veggio ad ora,

e per che 'n questa così non riluce? .                                                  75

Voi che nel mondo state, ivi dimora

sol fate in loco –, disse, – oscuro e vano:

e però gli occhi alla fulgente aurora

alzare non potete, a man a mano

che voi di quella uscite, a veder quanta                                              80

sia la chiarezza del Fattor sovrano.

Rompesi poi la nebbia che vi ammanta

quando ad entrar nel vero incominciate,

e conoscete poi la luce santa.

Dirizza i piedi alle scale levate;                                                           85

su non sarai che via maggior chiarezza

vedrai che là non è ben mille fiate:

adunque che fie 'n capo dell'altezza? –.

 

 

CANTO III

 

Ristata era la donna di parlare

e rimirava pur ch'i' entrasse dentro

di rietro a lei, che già volea montare.

– Sed e' vi piace, prima andiam là entro –,

dissi io a lei. E quella: – Tu disii                                                           5

di ruinar con doglia al tristo centro.

I' dico infino a qui: se là ti invii,

in cose vane l'anima disposta

a bene ovrar convien che si disvii.

Pon l'intelletto alla scritta ch'è posta                                                   10

sovra l'alto arco della porta, e vedi

come 'l suo dar val poco e molto costa –.

Ed io allora a riguardar mi diedi

la scritta in alto che pareva d'oro,

tenendo ancora in là voltati i piedi.                                                     15

«Regni ampii, dignitati e gran tesoro,

gloria mondana copiosamente

a color do, che passan nel mio coro.

Lieti li fo nel mondo, e simelmente

quella gioia gli do ch'Amor promette                                                  20

a quei che senton la sua face ardente».

– Or ha' vedute ed amendune lette

le scritte, e vedi chi maggior promessa

e utile più fa: che dunque aspette?

Non istiam più omai, ché 'l tempo cessa                                             25

e perder quel più spiace a' più saputi;

adunque omai saliam –, mi dicev'essa.

– Ver è, donna celeste, ch'i' ho veduti –,

risposi, – i scritti don, però vedere

vorrei provando quai son posseduti.                                                  30

Ogni cosa dei mondo all'uom sapere

non si disdice, ma l'iniquitate

si de lasciare e quel ch'è ben tenere.

Venite adunque qua, ché pria provate

denno essere le cose più leggieri                                                        35

ch'entrate in quelle c'han più gravitate.

Ora che siamo quasi ne' sentieri,

andiamo e vediam questi ben fallaci;

più caro fia po' l'affannar pe' veri –.

–Se tu sapessi quanto son tenaci                                                       40

e quanto traggon l'uom della via dritta,

non parleresti sì come tu faci.

Toglianci quinci –, disse, – che già fitta

veggio la mente tua, se più ci stai,

a quel che dice la seconda scritta.                                                      45

Il che lasciare, a chi lo prende, mai

impossibile par fin che si muore,

e per que' va poscia agli etterni guai –.

La donna giva già; quando ecco fuore

della gran porta duo giovini uscire,                                                     50

l'un rosso e l'altro bianco in suo colore,

ed ambi ver me cominciaro a dire:

– Dove cercando vai gravoso affanno?

Vien dietro a noi, se vuoli il tuo disire.

Solazzo e festa, come molti fanno,                                                     55

qua non ti falla, e poscia salir suso

ancor potrai nell'ultimo tuo anno.

Il luogo è chiaro e di tenebre schiuso:

vien, vedi almeno, e salira' ten poi

se ti parrà noioso esser quaggiuso –.                                                 60

Piacevami 'l dir loro, e già: «Con voi»,

dir voleva, «io verrò»; ma mi diceva

colei: – Lascia costor, andiam su noi –.

E per la destra man preso m'aveva,

seco tirando me suso; ma l'uno                                                          65

la mia sinestra e l'altro ancor teneva,

ridendosene insieme, e ciascheduno

tirandomi diceva: – Vienne, vienne,

sol con costei tu cerchi 'l camin bruno –.

Lì d'una parte e d'altra mi ritenne                                                       70

l'esser tirato; dond'io: – Ben sapete –,

volto alla donna allor, – ch'io non ho penne

a posser su volar, come credete,

né potrei sostener questi travagli

a' quai dispormi subito volete –.                                                        75

– Fermati –, allor mi disse, – tu ti abbagli

nel falso imaginar e credi a questi

ch'a dritta via son pessimi serragli.

A trarti fuor d'errori e de' molesti

disii discesi, e per voler mostrarti                                                       80

le vere cose che prima chiedesti;

né mai avrei lasciato d'aiutarti

col mio veder nelle battaglie avverse.

Ma poi che ad altri t'è piaciuto darti,

trova 'l camino dell'opere perse,                                                        85

ch'io non ti lasciarò, mentre che io

vedrò non darti tra quelle diverse

a voler seguitar terren disio –.

 

 

CANTO IV

 

Seguendo me la donna com'io lei

pria seguitava, co' duo giovinetti

a man sinestra volsi i passi miei.

Intra lor duo avean noi due ristretti;

e con più spesso passo allor n'andammo                                              5

a riguardare i men cari diletti.

Andando in tal maniera, noi entrammo

quella gran porta insieme con costoro,

indi 'n un'ampia sala ci trovammo.

Chiara era, bella e rifulgente d'oro,                                                    10

d'azzurro e altri color così dipinta

che vincea la materia il bel lavoro.

Humana man non credo che sospinta

mai fosse a tanto ingegno quanto in quella

mostrante ogni figura li distinta,                                                          15

eccetto se da Giotto, al qual la bella

Natura parte di sé somigliante

non occultò nell'arte in che suggella.

Noi ci traemmo nella sala avante,

quasi nel mezzo d'essa, e così stando                                                 20

vedevam le figure tutte quante.

Ell'era quadra: ond'io che riguardando

giva per tutto, dirizzai il viso

ver l'una delle facce, in piede stando.

Là vid'io pinta con sottil diviso                                                           25

una donna piacente nell'aspetto,

e d'umil sguardo e dolce soave riso.

La man sinestra tenea un libretto,

verga real la destra, e' vestimenti

porpora gli stimai nell'intelletto.                                                          30

A' pie di lei sedevan molte genti

sovra un erboso e ben fiorito prato,

alcuni più e alcun meno eccellenti.

Ma dal sinestro e dal suo destro lato

sette donne vid'io, dissomiglianti                                                        35

l'una dall'altra in atto e 'n apparato.

Elle eran liete e lor letizia in canti

pareami dimostrasser, ma il disio

con l'occhio alquanto più mi trasse avanti.

Nel verde prato a man destra vid'io                                                   40

di questa donna, in più notabil sito,

Aristotile star con atto pio:

tacito riguardando, in sé romito,

pensoso mi pareva; e poscia appresso

Socrate li sedea quasi smarrito.                                                         45

Eravi quivi il gran Platon con esso,

Melisso ed Alessandro v'era e Tale

e il buon Crisippo lei mirando spesso.

Rietro era Celso ed Ippocrate, il quale

in abito mostrava d'aver cura                                                             50

ancora di sanare il mondan male.

Ivi sedeva con sembianza pura

Galeno, e seco assiso era Zenone

e il gran geometra ch'a dritta misura

mosse l'ingegno, sì che con ragione                                                    55

oggi s'adovra seguendo suo stile;

e dopo lui Democrito e Solone.

Insieme con costoro in atto umile

si sedea Tolomeo che speculava

i ciel con intelletto assai sottile,                                                          60

riguardando una spera che li stava

ferma davante; e Tebìth con lui

e Ipparco acuto ancora in ciò mirava,

Averroìs e Fedro dopo lui

sedevan rimirando la bellezza                                                            65

della donna ch'onora tanto altrui.

Nassagora ancor quella gran chiarezza

mirava fisso insieme con Timeo,

mostrando 'n atto di sentir dolcezza.

Dioscoride ancor v'era ed anche Orfeo,                                            70

e l'armonico Arion e dopo un poco

Essiodo con Lino e Timoteo.

Oh quanto quivi in grazioso gioco

con Pitagora samio si vedea

Diogene congiunto in alto loco!                                                         75

Via dopo questi ancora mi parea

Seneca riguardando ragionare

con Tullio insieme, che con lui sedea.

Innanzi a lor un poco, ciò mi pare,

Parmenide vedeasi e Teofrasto                                                          80

l'atto ciascun della donna mirare.

Vestito d'umiltà, pudico e casto,

Boezio si vedeva ed Avicena,

ed altri molti, i quai s'a dir m'adasto,

non fosse troppo rincrescevol pena                                                   85

al lettor dubbio; però taccio omai

e dirò di color che seco mena

dalla man manca, ov'io mi rivoltai.

 

 

CANTO V

 

Io dico che dalla sinestra mano

di quella donna vidi un'altra gente,

l'abito della qual non guari istrano

sembrava da color che primamente

contati abbiam, ben che la vista loro                                                    5

si stenda ver le donne più fervente.

Vergilio mantovano intra costoro

conobb'i' quivi più ch'altro essaltato,

sì come degno, per lo suo lavoro.

Ben dimostrava 'n l'aspetto ch'a grato                                                10

gli eran le sette donne per le quali

sì altamente avea già poetato:

il ruinar di Troia ed i suoi mali,

di Dido, di Cartagine, di Enea,

lavorar terre e pascere animali                                                           15

trattar negli atti suoi ancor parea.

Omero e Orazio quivi dopo lui,

ciascun mirando quelle, si sedea.

A' quai Lucan seguitava, ne' cui

modi parea ch'ancora la battaglia                                                       20

di Cesare narrasse e di colui,

Magno che detto fu, ch'entro Tessaglia

il campo perse, e Cesar lagrimando

del vinto gener mostra ancor li caglia.

Eravi Ovidio, il qual già poetando                                                      25

scrisse cotanti versi e alfine amore

troppo alto 'l fé morir misero in bando.

Non guari dopo lui fatto era onore

a Giovenal, che nell'aspetto ardito

con mondan falli ancor facea romore.                                                30

Terenzio dopo lui avea, e 'l ferito

d'amor Panfilo ed anche 'l mio Pindaro,

ciascun per sé sovra 'l prato fiorito.

E Stazio di Tolosa ancora caro

quivi pareva avesse aver ben detto                                                    35

del teban mal, d'Achille 'l vigor raro.

Bell'uom tornato d'asino, soletto

sedevasi il buon Lucio, cui seguiva

quel greco da cui tolle il bel suggetto.

Euripide dopo esso, e poi veniva                                                       40

Licofrone, Simonide ed Archita:

parea dicesser ciò che ognun sentiva

lì di diletto e di gioconda vita,

insieme ragionando; e dopo questi

Sallustio, quasi in sembianza smarrita,                                                45

là parea che narrasse dell'infesti

congiuramenti che fé Catilina

contra' Roman, ch'a lui cacciar fur presti.

Al qual Vegezio quivi s'avicina,

Elian, Modesto Iulio, Frontone,                                                         50

e Polieno con marzial dottrina.

L'antico e valoroso buon Catone

quivi era nel sembiante pensieroso,

tenendo con Antigono sermone.

E, vago ne' suoi atti di riposo,                                                            55

lì d'una parte mi parve vedere

quel Tito Livio che fu sì copioso,

guardando que' che 'nnanzi a sé sedere

molti vedea, nell'aspetto contento

d'avere ei scritto tante istorie vere.                                                     60

Guloso di cotal contentamento

Valerio appresso parea che dicesse:

«Di gran subbietto fei brieve commento».

Ivi con lor mi parve ch'io vedesse

Tacito e Orosio stare ed altri assai,                                                    65

de' quai pochi eran ch'i' non conoscesse.

Allora gli occhi alla donna tornai

a cui le sette davanti e dintorno,

istavan tutte in atti lieti e gai.

Dentro del coro delle donne adorno,                                                 70

in mezzo di quel loco ove facieno

li savii antichi felice soggiorno,

rimirando, vid'io di gioia pieno

onorar festeggiando un gran poeta,

tanto che 'l dire alla vista vien meno.                                                  75

Aveali la gran donna mansueta

posta d'alloro una corona in testa,

e di ciò ciascun' altra parea lieta.

E vedend'io così mirabil festa,

per lui raffigurar mi fei vicino,                                                             80

fra me dicendo: «Gran cosa fia questa».

Trattomi così innanzi un pocolino,

non conoscendol, la donna mi disse:

– Costui è Dante Alighier fiorentino,

il qual con eccellente stil vi scrisse                                                      85

il sommo ben, le pene e le gran morti:

gloria fu delle Muse mentre visse,

né qui rifiutan d'esser sue consorti –.

 

 

CANTO VI

 

Al suon di quella voce graziosa

che nominò il maestro dal qual io

tengo ogni ben, se nullo in me sen posa:

– Benedetto sia tu, o etterno Iddio,

c'hai conceduto ch'io possa vedere                                                      5

in onor degno ciò ch'io avea in disio –,

incominciai allora; né potere

aveva di partir gli occhi dal loco

dove parea il signor d'ogni sapere,

tra me dicendo: «Ah perché 'l vital foco                                             10

per Lachesi o per Atropo si stuta

in uom così eccellente o dura poco?

Vivrà la fama tua, e ben saputa,

gloria de' Fiorentin, da' quali ingrati

fu la tua vita assai mal conosciuta!                                                     15

Molto si posson riputar beati

color che già ti seppero e colei

che 'n te si cinse, onde siamo avisati».

I' 'l riguardava, e mai non mi sarei

saziato di mirarlo, se non fosse                                                          20

che la donna, la quale i passi miei

là dentro con que' duo insieme mosse,

mi disse: – Che più miri? forse credi

renderli col mirar le morte posse?

E' ci è altro qui a veder che tu non vedi!                                            25

Tu hai costì veduto, volgi omai

gli occhi a quei del mondan romore eredi;

i quali quando riguardato arai,

di quinci andrenci, ché lo star mi sgrata –.

A cui le dissi: – Donna, tu non sai                                                      30

neente perché tal mirar m'aggrata

costui cui miro; se tu 'l ben sapessi

non parleresti forse sì turbata

– Veramente se tu lo mi dicessi

nol saprei me' –, rispose quella allora,                                                35

– ma perder tempo è pur mirare ad essi –.

Oltre passai, sanza più far dimora,

con gli occhi a riguardar, lasciando stare

quel ch'i' disio di rivedere ancora,

là dove a colei piacque che voltare                                                    40

io mi dovessi; e vidi in quella parte

cosa ch'ancor mirabile mi pare.

O Dio! ché mai Natura con sua arte

forma non diede a sì bella figura,

né Venere, allor quando amò sì Marte,                                              45

né, quando Adon le piacque, con sua cura

si fé sì bella, quanto infra gran gente

donna parea leggiadra oltre misura.

Tutt'altri sovrastava veramente,

di ricche gemme coronata e d'oro,                                                     50

nell'aspetto magnanima e possente.

Ardita e valorosa tra costoro

sovra triunfal carro si sedea,

ornato tutto di frondi d'alloro.

Mirando questa gente 'n man tenea                                                    55

una lucente spada, con la quale

che 'l mondo minacciasse mi parea.

Il suo vestire a guisa imperiale

era, e teneva nella man sinestra

un pomo d'or di splendor siderale.                                                     60

Vedeasi poi via più che neve alpestra

quattro bianchi destrier, che ciascun forte

in trar l'aureo carro arde e s'addestra.

Ed entro l'altre cose ch'ivi scorte

allora furon da me 'ntorno a questa                                                    65

eccelsa donna, nimica di morte

nel magnanimo petto, fu ch'a sesta

un cerchio si moveva alto e ritondo,

da' piè passando a lei sovra la testa.

Né credo che sia cosa in tutto 'l mondo,                                            70

villa, paese, dimestico o strano,

che non paresse dentro di quel tondo.

Era sovra costei, in aureo piano,

un verso scritto che dicea leggendo:

«Io son la Gloria del popol mondano».                                              75

Così mirando questa e ben vedendo

ciò che dintorno, di sovra e di sotto

le dimorava e chi lei gia seguendo,

ove stupendo, senz'altro far motto,

per lungo spazio inver di lei sospeso                                                  80

stett'io, fin che fui d'altra cura rotto.

Nel bel subbietto allora il viso isteso,

diedi a mirare 'l popolo ch'andava

dietro a costei: chi lieto era e chi offeso,

sì come nel mio credere istimava.                                                      85

Altri più quivi e più ne vidi, i quali

conobbi, s'al parer non m'ingannava;

onde al disio di mirar crebben l'ali.

 

 

CANTO VII

 

Tra gli altri ch'io vi vidi presso a questa

fu Giano, ch'esser stato abitatore

dell'italici regni facea festa.

Turbato nell'aspetto e di furore

pieno seguia Saturno, cui lo figlio                                                         5

mandò mendico per esser signore.

Il fier Nembrotto che fé 'l grande impiglio

in Senaàr per voler gire a Dio,

stordito v'era sanza alcun consiglio.

Lunghesso Fauno e Pico là vid'io                                                       10

seguire, ed il gran Belo dopo loro,

mirando ognun la donna con disio.

Elettra e 'l grande Atlante con costoro

givano insieme, e dopo lor seguire

Italo vidi senza alcun dimoro.                                                            15

Robusto si mostrava e pien d'ardire

Dardano quivi; con fren nuovo in mano

pareva in atto che volesse dire: .

«Io fui colui, nel mondo primerano,

il qual con freno 'n Tessaglia domai                                                    20

il caval, prima in uso ancora istrano,

mirabilmente, ed anco edificai

primo quella città, che poscia Troia

chiamaro i successor ch'io vi lasciai».

Appresso 'l qual, mostrando 'n atto gioia,                                          25

Sicul seguia, che l'isola del foco

abitò prima in pace e sanza noia.

Troilo ancora 'n quel medesmo loco

coverto d'oro tutto risplendea,                                                           30

faccendosi alla donna a poco a poco.

Rigido e fiero quivi si vedea

Nino, che primo il suo natural sito

per battaglia maggior fé, che parea

ancor con maschil cuore in sé riunito.                                                 35

Seguiva dopo lui sua bella sposa,

con sembiante di quel non meno ardito:

così rubesta e così furiosa

vi si mostrava, come quando a lui

succedette nel regno valorosa.                                                           40

Tamira poi seguitava, nel cui

viso superbia sariasi annotata,

con gli occhi ardenti spaventando altrui.

Anfion lì con labbia consolata

conobbi, al suon del cui dolce liuto                                                    45

Tebe fu pria de' muri circondata.

Rietro Niobe a lui, di cui l'arguto

parlar fu sol cagion del suo gran male

e del danno de' figli ricevuto.

Poi seguitava Danao, dal quale                                                          50

l'antico popol greco veramente

ritrasse il suo principio originale.

A cui di dietro quel Serse possente

venia, ch'all'Ellesponto il lungo ponte

fece e frenò l'orgoglio della gente.                                                      55

Riguardando la donna, con la fronte

alzata venia Ciro poco appresso,

di cui l'opere furo altiere e conte.

Laomedon poscia seguia dopo esso,

con molti successor dietro alle spalle,                                                60

de' quai giva Priamo oltre con esso.

Anchise a mano a man tenea lor calle;

appresso 'l qual colui venia seguendo

che giudicò le dee in la frigia valle.

Nell'aspetto parea ch'ancor ridendo                                                  65

andasse di ciò ch'elli aveva fatto,

quando di Grecia ritornò fuggendo.

Dopo costui seguia Enea con atto

pietoso molto, e non molto distante

Giulio Ascanio 'l seguitava ratto.                                                        70

Oh quanto ardito e fiero nel sembiante

quivi pareva Ettòr sovra un destriere

tra la sua gente, tutto corruscante!

Bello e gentil nell'aspetto a vedere

era, con una lancia in mano andando                                                 75

ver quella donna d'umili maniere.

Risplendea quivi ancora cavalcando

Alessandro, che 'l mondo assalì tutto

con forza al scettro suo quel soggiugando;

il qual con fretta voleva al postutto                                                     80

toccare 'l cerchio ove colei posava

con altri disianti anch'ei tal frutto.

E il re Filippo e Nettabòr, gli andava

ciascuno appresso rimirando quello,

e nell'aspetto se ne gloriava.                                                              85

Venia sopra un caval leggiadro e isnello

Dario tutto cruccioso nell'aspetto

e con sembiante dispietato e fello,

e sanza aver di tal andar diletto.

 

 

CANTO VIII

 

Mirando avante con ferma intenzione,

veder mi parve il prisco re eccellente

che fu sì savio, io dico Salamone.

Eravi ancora Sanson, che possente

di forza corporal più ch'altro mai                                                         5

fu che nascesse fra l'umana gente.

Nel riguardar più innanzi affigurai

il viso d'Assalon, che più bellezza

sol ebbe che altro nel mondo giammai.

Tra questi pien d'orgoglio e di fierezza                                               10

seguendo cavalcava Capaneo,

ch'Iddio negli atti suoi ancor disprezza.

Etiocle era quivi con Tideo,

e Adrasto re pensante e doloroso

del perder che dintorno a Tebe feo.                                                   15

Ancora si mostrava il valoroso

Pollinice, ed accorto il seguitava

il re Ligurgo e Giansone animoso.

Di rietro al qua' 'l Pelide cavalcava,

con quella lancia in man che prima morte                                           20

poi medicina a sua ferita dava.

Veniva appresso vigoroso e forte

il suo figliuolo, il qual poi la spietata

vendetta fé quando l'antiche porte

non serraron più Troia, che l'entrata                                                   25

aveva dato al gran caval ripieno

della nemica gente tutta armata.

Questo crudel sanza mezzo seguieno

Diomede e il saggio Ulisse: con agguati

andar ancor pensando mi parieno.                                                     30

Vigoroso di dietro a loro armati,

ma infame alquanto, ne venia Antenore,

per la combusta patria e' muri eguati.

Ercole v'era, il cui sommo valore

lungo sarebbe a voler recitare,                                                           35

per ch'ebbe già d'assai battaglie onore.

Anteo poi dopo lui vi vid'io stare,

ch'ancor parea che 'n atto si dolesse

di ciò che già li fece Ercol provare.

Venia Minòs poi, come se stesse                                                       40

ancor davanti a Atene tutto armato,

né d'Androgeo parea più gli incalesse.

Oh quanto ivi mostravasi infiammato

d'ira e di mal talento Menelao

tenendo Agamennòne al destro lato!                                                  45

Il qual con Laodamia Protesilao,

vittima prima, seguiva, ond'è detto;

e dopo lui l'infelice Anfiarao,

ch'adempì il crudel fato nel conspetto

di Tebe, ruinando a' dolorosi                                                             50

c'hanno perduto il ben dell'intelletto.

Venien dopo costui, molto animosi,

insieme con Teseo Demofoonte,

di toccar quella donna disiosi.

I quai seguia con dolorosa fronte                                                       55

Egeo, che per veder le vele nere

si gittò in mar dall'alta torre sponte.

Turno pareva che quivi di vere

lagrime avesse tutto molle il viso,

dolendosi del troian forastiere;                                                           60

ed Eurialo ivi era e seco Niso,

mostrandosi piagati come foro

ciascun di lor, l'un per l'altro conquiso.

Non molto spazio poi dietro a costoro

seguia Pallante e il padre Evandro lasso                                             65

e il vecchio re Latin; poi, dopo loro,

Giarba veniva mesto a lento passo,

andandosi di Elisa ancor dolendo

che sé di vita e di lei fé lui casso.

Helena dopo lui portava ardendo                                                      70

di fuoco una gran face, e pur costei

miravan molti se stessi offendendo.

Oreste iniquitoso dopo lei

con coltel nudo in man seguia rubello,

negli atti minacciando ancor colei                                                       75

del corpo a cui uscio; e poi dopo ello

vedeasi la gentil Pantasilea,

lieta nel viso grazioso e bello.

Oh quanto ardita e fiera mi parea,

armata tutta, con un strale in mano,                                                    80

con più compagne ch'ella seco avea!

Non era alcun lì che del bel sovrano

ed altier portamento meraviglia

non si facesse, tenendolo istrano.

Non molto dopo lei venia la figlia                                                       85

del re Latino lieta, e dopo Iole;

poi Deianira con bassate ciglia

ancora quivi d'Ercole si dole.

 

 

CANTO IX

 

Moveasi dopo queste quella Dido

cartaginese, che credendo avere

Ascanio in braccio vi tenea Cupido.

Isconsolata giva, al mio parere,

chiamando in voci meste: «Pio Enea,                                                   5

di me, ti priego, deggiati dolere».

Ancora, com'io vidi, in man tenea

tutta smarrita quella spada aguta

che 'l petto, le passò, che mi facea,

essendole lontan, nella veduta                                                            10

ancor paura, non ch'a lei ch'ardita

fu dar di quella a sé mortal feruta.

Trista piangendo, in abito smarrita,

e quasi cari nella voce latrare,

Eccuba vidi con poco di vita.                                                            15

Con lei la bella Polisena stare

quivi parea, in aspetto ancor sì bella

che me ne fece in me meravigliare.

Hoeta poi seguitava dop'ella,

piangendo ai Greci aver piaciuto mai,                                                20

quand'elli andar per le dorate vella.

Vedevasi colei che sentì guai

Ercole partorendo, e dopo lei

Isifile dolente affigurai.

In abito crucciato con costei                                                              25

seguia Medea crudele e dispietata;

con voce ancor parea dicere: «Omei,

se io più saggia alquanto fossi stata

né vinta fossi sì presto da amore,

non sarei forse ancor suta ingannata».                                                30

Eravi ancor Camilla che dolore

per la morte sentì, di Turno fiera,

mostrando ne' sembianti il suo vigore.

Non molto dopo lei ancora vi era,

col capo basso ed umil nel sembiante,                                               35

Ilia vestal, di Marte puerpera,

portando in ciascun braccio un picciol fante,

Romulo e Remo amendui nominati,

traendo lor quanto poteva avante.

Ratto tra gli altri di sopra contati                                                        40

si facea Foroneo, che prima diede

leggi civili, acciò che moderati

e suoi vivesser, sì come si crede;

e dopo lui venia Numa Pompilio

che di religion fé Roma erede.                                                           45

Dop'esso ivi era il buon re Tullio Ostilio

ed Anco Marzio ed il Prisco Tarquinio,

e dopo lui seguia Tullio Servilio.

Ivi Tarquin Superbo e Collatino

pareano, e il re Porsena che andando                                                50

ferocemente seguia lor camino;

Scevola appresso lui, ancor mostrando

l'inarsicciata man ch'uccise altrui,

che 'l core non volea, nescio fallando.

Il valoroso Bruto, per lo cui                                                               55

valor fu Roma da giogo reale

già liberata, seguiva; e con lui

Orazio Cocle v'era, per lo quale,

tagliato il ponte dietro alle sue spalle,

sanata Roma fu dal toscan male.                                                        60

Dietro veniva quel Curzio ch'a valle

armato si gittò per la fessura,

in forse di sua vita o di suo calle,

intendendo piuttosto far sicura

la patria con suoi abitatori,                                                                65

che di se stesso aver debita cura.

Seguia Fabricio che lì eccelsi onori

più disiò che posseder ricchezza,

avendo quei per più cari e maggiori.

Eravi quel Metel ch'alla fierezza                                                         70

di Giulio Tarpea tanto difese,

mostrando non curar la sua grandezza.

Riguardando oltra mi si fé palese

quel Curio, che diede per consiglio

ch'al presto sempre l'indugiare offese.                                                75

Vedevavisi Mario che l'impiglio

con Lucio Silla fé nella cittate,

mettendo a' colpi il padre contra 'l figlio.

Ivi Giuba e Amilcare e Mitridate

ed il pietoso Codro v'era ancora,                                                      80

poi 'l fier Giugurta voto di pietate.

Rigido nell'aspetto vi dimora

Catilina, e pensando par che vada

all'essilio, che 'n vista ancor l'accora.

Evvi Clelia appresso, che la strada                                                    85

fece ai Roman quand'ella si fuggio

per lo Tevere in parte u' non si guada,

lo cui tornar Roma rinvigorio.

 

 

CANTO X

 

Ah quanto fiero ed orgoglioso quanto

vid'io quivi Anibàl sovra un destriere,

ch'alli Roman levò riposo tanto!

Rubesto lì pareva ancor tenere

Cartagine sub sé, col viso alzato                                                          5

inver la donna andando a suo potere.

Asdrubal gli era dal sinestro lato

con non men di fierezza nell'aspetto,

superbo cavalcando tutto armato.

Coriolan, che l'infiammato petto                                                        10

ebbe contra' Romani, e giustamente,

quando cacciar lui buon per reo suspetto,

come vedendo quella umilemente,

che 'l generò, piegando la giusta ira

alli suoi preghi, quivi era presente.                                                     15

Oltra con gli altri andava ver la mira

bellezza della donna; dopo 'l quale,

come colui che tristo ancor sospira,

Massinissa, crucciato del suo male,

a freno abbandonato cavalcando,                                                      20

se stesso avendo poco a capitale.

Allegro Cincinnato seguitando

l'andava, e Persio poi, come potea,

giocondo nel sembiante sé mostrando.

Nobile nell'aspetto si vedea                                                               25

possente oltre venire intra costoro

Cesar, che 'n vista quasi ancor ridea

d'aver a forza avuto da coloro

nome d'imperio, che real dignitate

per istatuto avean cassa tra loro.                                                       30

Ornato di belle arme e coronate

le tempie avea di quelle frondi care,

che fur da Febo già cotanto amate.

Mirabilmente bello a campeggiare

in ampio scudo il giovial uccello                                                         35

li vidi in oro e insuperbito stare;

ancor sovra una lancia un pennoncello

che 'n man portava vidi, e somigliante

quella nell'aria ventilarsi in quello.

Di quanti a lui ve n'andasser davante                                                  40

nullo vi fu che tanto mi piacesse

né tanto valoroso nel sembiante.

Appresso poi parea che li venesse

volonteroso e sì pronto Ottaviano,

che dentro al cerchio già parea ch'avesse                                           45

messa più ch'altro la sua audace mano:

bello era e nell'aspetto grazioso

quanto alcun ma' fu del gener umano.

A lui seguiva poi molto pensoso,

pallido nell'aspetto, il gran Pompeo,                                                   50

tal che di lui mi fé venir pietoso,

mirandoli poi dietro Tolomeo

che fu da quel già fatto re d'Egitto,

e poscia uccider là vilmente il feo.

A loro Marco Antonio quiviritto                                                        55

seguiva e Cleopatra ancor con esso,

che, in Sicilia, fuggì senza rispitto,

ridottando Ottavian, perché commesso

le parea forse aver sì fatta offesa

che non sperava mai perdon da esso.                                                60

Ivi non potendo ella far difesa

al fuoco che le ardeva forse 'l core

di libidine e d'ira, ond'era accesa,

a fuggir quello oltraggioso furore

con due serpenti in mesta sepultura                                                    65

sofferse sostener mortal dolore;

ed ancor quivi nella sua figura

pallida, si vedeano i duo serpenti

alle sue zizze dar crudel morsura.

Prima che questi, credo più di venti,                                                  70

era lì il primo Affrican Scipione,

ch'a Roma fé con sua forza ubbidienti

ritornar già, con degna punizione,

Cartaginesi infidi e insuperbiti

ch'eran per Anibal lor campione.                                                       75

Ivi Cornelia in sembianti smarriti

seguia dietro a color, cui dissi suso

ch'avanti a Scipion non eran giti.

E poscia dopo lei con gli occhi in giuso

Traian vidi venir, Roma per cui                                                          80

mesta anco ha il viso di lagrime infuso.

Giulia seguiva poi dietro, con cui

in atti riposati e mansueta,

quasi alle spalle a Cesare, di cui

honesta sposa fu, Calfurnia lieta                                                         85

seguia, senza parer che disiasse

altro veder che lui, e in lui quieta

ogni altra voglia che la stimolasse.

 

 

CANTO XI

 

Venia dopo costor gente gioconda

ne' lor sembianti, tutti cavalieri

chiamati della Tavola ritonda.

Il re Artù quivi era de' primeri,

a tutti armato avanti cavalcando                                                           5

ardito con pensier sublimi e altieri.

Seguielo appresso il splendido e onorando

Pricivalle ed il saggio Galeotto

a picciol passo 'nsieme ragionando.

E dietro ad essi vidi Lancellotto,                                                        10

con vago sguardo ed aspetto grazioso,

a passo celer, via più che di trotto,

ferendo il caval fiero e valoroso

per appressarsi alla donna piacente

cui di toccar tutto era disioso. ,                                                          15

Oh quanto adorna quivi e risplendente

allato lui Ginevra seguitava,

sovra un bianco corsier orrevolmente!

Stella micante al tutto somigliava

la luce del suo viso e aver biltate                                                        20

quanta fu mai; e tutta si mostrava

sorridendo negli atti, di pietate

piena, parlando in atto assai discreto

con silenti parole e grazie ornate.

Era con quel che già ne visse lieto                                                      25

per lunga fiata, lei senza misura

amando, ben che poi seguisse fleto.

Non molto dietro ad esso con gran cura

era il fier Galeotto, il cui valore

più ch'altri suoi compagni s'affigura;                                                   30

ed appo lui 'l vittorioso Astore

veniva insieme con messer Ivano,

disioso ciascun d'etterno onore.

L'Amoroldo d'Irlanda ed Aravano,

Pallamide seguiva e Lionello,                                                             35

e Polinor col strenuo Calvano.

Mordretto poscia e con lui Dodinello,

e il valido Tristan seguiva appresso

sopra arduo corsier feroce e isnello.

Isotta bella venia allato ad esso,                                                        40

la man di lui con la sua giunta e presa

e rimirandol nella faccia spesso.

Oh quanto si mostrava in viso offesa

dalla forza d'amor, di che parea

ch'avesse l'alma dentro tutta accesa!                                                  45

di che negli atti quasi dir volea:

«Tu sei colui cui solo sol disio»,

con soavi sguardi; e poscia soggiognea:

«In qua, ti priego, volgi il volto pio,

acciò fruisca il mio bel paradiso                                                         50

per cui sicura in tal camin m'invio».

Rietro a costor, sovra un corsiero assiso,

rubesto e ardito 'l fier Brunor venia

con altri molti, i quai qui non diviso.

E quinci altronde poi la vista mia,                                                       55

stanco di mirar quelli, rivolgendo,

conobbi più mirabil baronia.

Di porpora vestito, oltre venendo,

il Magno Carlo vidi corruscante,

ch'al mondo fu cotanto reverendo,                                                     60

in guisa di piropo fiammeggiante,

di verde alloro e de' triunfi ornato

ch'egli acquistò sopra le terre sante;

feroce sovra un gran corsiero, armato,

con gigli d'oro nel campo celestro                                                      65

e il nero uccel davanti nel dorato.

Eragli ancora dal lato sinestro

quel che sovra ogni altro uom fu tanto ardito,

che in sogno parve e pur fu in l'arme destro.

Cavalcando fra questi olire era unito                                                  70

un drappel d'altri ancora di gran vanti,

per van romor dal vulgo reverito.

Tra' quali era chi i gesti lor cotanti

scrisse, e molti altri ancor v'eran, li quali

conoscere non puoti ne' sembianti.                                                    75

Oltre seguia, che parea avesse l'ali,

il duca Gottifré dopo costoro

per volere esser pur de' principali.

Appresso lui vedeasi in altro coro

umilemente Ruberto Guiscardo,                                                         80

che fu signor già in Terra di Lavoro.

Lui seguitava frontiero e gagliardo

Federigo secondo; e il Barbarossa,

eccidio del bel Milan lombardo,

cavalieroso e di persona grossa,                                                        85

dritto sovra le strieve in atto altiero,

nel sembiante avilendo ogni altra possa,

via se ne giva per esser primero.

 

 

CANTO XII

 

Non sanza molta ammirazion mirando

andava quella valorosa gente,

fra me nuovi pensier di lei recando.

Parevami, nel creder, veramente

che loro eccelsa fama gloriosi                                                              5

far li dovesse sempiternamente.

E fra gli altri che molto disiosi

negli atti si mostravan di venire

a quella donna per esser famosi,

robustamente in aspetto seguire,                                                        10

armato tutto sovra un gran destriere,

vidi un possente e generoso sire

vestito di celestro, al mio parere,

lucente tutto di bei gigli d'oro

ch'ogn'altra luce facean disparere.                                                     15

Ognun, qualunque fosse di coloro

che gian davanti, rimirava lui,

sì fiero andava fuggendo dimoro.

Se ben ricordo, e' mi parve colui

quel Carlo ardito ch'ebbe il maschil naso                                           20

insieme con virtù molta, da cui

tutto il pugliese regno già fu invaso

e conquistato, e funne coronato;

del qual signore il suo seme è rimaso.

Rimirandosi innanzi quasi irato,                                                          25

con spada ignuda che 'n la destra avea

da ogni parte si facea far lato.

Appresso lui rivolto poi vedea

il gentil Saladin in aureo ammanto

risplender come 'n vita già solea.                                                       30

Con lui seguiva, dal sinestro canto,

tututto armato Ruggier di Loria,

ch'ebbe nell'arme già valor cotanto.

Orgoglioso appo lui ancor venia

il re Manfredo, e con dolente aspetto                                                35

il fiero Curradino in compagnia.

Rietro a costoro assai ched or non metto

seguien, perché da dir troppo averei

e contrario al voler seria l'effetto,

trarmi dal vulgo ancor perch' i' vorrei                                                 40

delli romanzi e di lor fola scritta,

ch'ombra di istoria sol la conoscei.

E la mia mente da disio trafitta

di vedere oltre pur mi stimolava,

per che la vista non teneva fitta.                                                         45

Similemente quella con cui andava,

con le parole sue faccendo fretta,

sovente all'altre cose mi chiamava.

Il dir ch'io vi faceva: – Un poco aspetta –,

non mi valeva, per ch'io mi voltai                                                       50

verso la terza faccia a man diretta.

Aveavi certo da mirare assai

più ch'io dir non potrò, perché era in questa

cosa stupenda che ivi lì notai.

Con aurea gonna e aurea corona in testa                                           55

donna vi vidi in aureo tron locata,

cinta d'aurei trofei, in gioiosa festa:

onde esser lei Ricchezza ai mortai grata

e al ciel conobbi ed alli regni diri,

quando fuor di ragion non sia usurpata.                                              60

Ritratto dentro al loco de' disiri

vidi d'argento e d'oro un monte in quello,

con molta gente intorno in molti giri.

Rompea chi con accetta o con martello,

chi con piccone o uncino; e un infinito                                                65

popol vi vidi graffiante d'ello.

E ciaschedun parea pronto ed ardito,

non rispettando 'l picciolo il maggiore,

chi più potea più empieva suo appetito.

Gente era lì di molto gran valore                                                        70

in vista, avenga che la lor viltate

pur si scopria per il bestial romore.

Givano alcuni per cupiditate

cacciando or questo or quel con duol a morte,

per prenderne essi maggior quantitate;                                               75

iniqua tirannia rubesta e forte

usavan altri con fatti e con detti,

pigliandon più che la dovuta sorte.

Alcuni v'eran che i lor mantelletti

se n'avean pieni, e per volerne ancora                                                80

abbandonavan tutti altri diletti.

Tra quella gente che quivi dimora

conobbi molti, e vidivine alcuno

ch'aver preso di quello ora ne plora

e forse ne vorrebbe esser digiuno;                                                     85

ma, cosa fatta, all'uom pentir non vale,

e puolla a rietro ritornar nessuno:

altro è pensare avanti, altro è poi 'l male.

 

 

CANTO XIII

 

Mirando i' quella turba sì gulosa

di quel per che s'affanna la più gente,

per esserne nel mondo copiosa,

entrato fra 'l tesoro più eccellente

vi vidi Mida, in tal vista che sazia                                                         5

saria appena di tutto possedente,

non bastandoli aver avuto grazia

dall'iddii che ciò ch'ello toccasse

doventasse oro: e chi d'oro si sazia?

Di rietro a lui parea che ne tirasse                                                      10

giù Marco Crasso assai, avenga dio

che dalla bocca ancor li traboccasse.

Allato lui con isciolto disio

quell'Attila che 'n terra fu flagello

s'affaticava, ben che pagò 'l fio:                                                         15

nelle sue man tenendo un gran scalpello

feriva sovra il mezzo all'aureo monte,

e gran masse levava via di quello.

Dall'altra parte con superba fronte

Narsete v'era, con un'azza in mano                                                    20

di punte agute al penetrar ben pronte.

Ognor che su vi dava non invano

tirava il colpo a sé, ma gran cantoni

giù ne faceva ruinare al piano,

impiendo di quel sé con suoi predoni                                                 25

ed ogni sciolta voglia adoperando,

dannava le giustizie e le ragioni.

Là vidi ancora al monte fariando

Neron spietato con l'anima accesa,

di quello a terra gran parte tirando;                                                    30

ma di cotal rapina ed ampia presa

del bel tesoro, or qual gittava via,

or qual mettea in disordinata spesa.

Ivi di dietro un poco a lui seguia

con una scura in man Polinestore,                                                      35

e quanto più potea quivi feria,

ora col colpo faccendo romore,

ora mettendo biette alla fessura

quando la scura ritirava fuore,

forte temendo che l'alta apritura                                                         40

si richiudesse; e quanto più en spezzava,

tanto cresceva più l'ardente cura.

Appresso lui tutto 'l monte graffiava

Pimmaleon con uncin forte e aguto,

col qual gran massa a' piedi sen tirava.                                               45

L'acerbo Dionisio conosciuto

v'ebbi mirando fra la gente folta,

ch'a tor dell'oro non voleva aiuto.

Là si ficcava tra la turba molta

con grave ronca in man tagliando, e presto                                        50

di quel feva in gran cumol gran ricolta:

impiendo l'insaziabil suo funesto

voler, sprezzava e misura e pietate,

che fu cagion del suo ensegnar molesto.

Rabbido appresso con sua crudeltate                                                55

Falarìs si vedeva recidendo

del monte non mediocre quantitate,

e via di quindi di quel trasferendo;

poi, arrotata l'ingrossata azzetta,

apprestato tornava qui correndo.                                                       60

Con furiosa e minaccevol fretta

quivi vedeasi Pirro accompagnato

da mal disposta ed ispiacevol setta.

A molti lì per forza avean levato

a cui cesta di collo, a cui di seno                                                        65

rubavan l'oro lor ch'avean rubato.

Ridendo po' fra lor se ne facieno

beffe ed ischerni di quei cattivelli,

ch'a cavar quel fatica avuto avieno.

Ancora vidi i' star presso di quelli                                                      70

il dispietato ed iniquo Tereo,

di quel tesoro prender nel qual elli

fatica non durò mai come feo

quegli a cui lo rapiva; e dopo lui

pien d'oro dimorava Tolomeo.                                                          75

Ivi era Fisistrato, per la cui

cura più scrigni ripieni e calcati

tirati vidi qual carri da bui.

Avea 'n un lembo di panni piegati

Gieron Siracusano gran tesoro,                                                         80

col qual ne gia, e seco altri carcati.

Ma di Navarra Azzolin po' costoro

gir si affrettava per tosto tornare

con maggior forza a sì fatto lavoro.

Molti altri poscia ne vidi cavare,                                                        85

altri isforzarsi per volerne avere,

ma niente era il loro adoperare,

anzi oziosi stavano a vedere.

 

 

CANTO XIV

 

Più gente ancor vi vidi, fra li quali

gran quantità di nuovi Farisei

che per aver tesor battevan l'ali,

e sconfortando li altri como rei,

di povertà mostravan predicare                                                           5

col collo torto e gli occhi volti ai piei.

Riguardando poi loro adoperare,

per possederne maggior quantitate

in altra parte vidi affaticare

correndo, e via portarne caricate                                                       10

con gli asini orecchiuti pien le ceste,

dai quai lor stirpi sono originate.

Ver è che ben ch'avesser lunghe veste

e cucullato il capo, pur parea

che più che gli altri avesser le man preste.                                          15

Infra lor riguardando, assai vedea

di quei cui altra fiata avea veduti

e cui per nome ben riconoscea.

Li quai, però che son or conosciuti,

non bisogna ch' i' annomi, ben che pari                                              20

potrebbono esser tutti omai tenuti.

Con questi avanti, al mio parer non guari,

quasi tra quei ch'erano più eccellenti

e che parean de' su detti vicari,

ornato di bei drappi e rilucenti                                                           25

il nipote vid'io di quel Nasuto,

che gloriar si va co' precedenti,

recarsi in mano un forte bicciacuto,

dando tai colpi sovra il monte d'oro,

che spaventar fea nell'inferno Pluto:                                                   30

e radunato assai di quel tesoro,

in parte oscura tutto lo serbava

avendon quasi più ch'altro di loro.

Oltre grattando il monte dimorava

con unghie adunche uno, ch'al mio parere                                          35

in molte volte poco ne graffiava.

Con ansietà quel poco poi tenere

in borsa li vedea, ch'a pena esso,

non ch'altro alcuno, ne poteva avere.

Al qual faccendomi io più alquanto appresso                                     40

per conoscer chi fosse apertamente,

vidi, ch'era colui che me istesso

libero e lieto avea benignamente

nodrito come figlio, ed io chiamato

aveva lui e chiamo mio parente.                                                         45

Davanti e poi e d'uno e d'altro lato

tanti su per lo monte e giù scendieno

a prender del tesoro disiato:

ogni lingua verrebbe a dirlo meno,

però qui m'aggia il pio lettore alquanto                                               50

scusato s'io non li riconto a pieno.

Quando mirato ebbi costoro tanto

ch'a me stesso incresceva, i' mi voltai,

com'altri volle, verso il destro canto.

Ver è disiai, e ancor disio assai,                                                         55

esser di quelli di sì fatta schiera,

se con onor potesse esser giammai.

E s'io vi fosse stato, come v'era

alcun ch'io vi conobbi, io avrei fatto

sì che veduta fora la mia cera                                                            60

credo più voluntier da tal che matto

or mi riputa, perché ora aggio poco,

e più caro m'avrebbe in ciascun atto.

Hai lasso, quanto nell'orecchi fioco

risuona altrui il senno del mendico!                                                    65

né par che luce o caldo abbia 'l suo fuoco,

e il più caro parente gli è nimico;

ciascun lo schifa, se non ha moneta,

né per compagno il vuol né per amico.

Unque s'ogni uomo pur di quella asseta,                                            70

mirabile non è, poiché virtute

senz'oro è infausta, misera e inquieta,

il cui valor se fosse alla salute

pensato di quel ch'uomo pensar dee,

non le ricchezze sarien sì volute.                                                        75

Ma io mi credo che parole ebree

parrebbono a ciascun chiaro intelletto

il dir che le ricchezze fosser ree,

avegna che 'n me questo tal difetto

via più tosto che 'n altro caderia,                                                       80

così bramo d'averne con effetto.

Né da tal disiderio mi trarria

alcun, tanto 'l pregar mi par noioso

altrui che di denar soccorso sia.

Dopo molto pensare, assai bramoso                                                  85

di veder tutto, dirizzai il viso:

e vidi figurato il poderoso

Amor, sì come qui sotto diviso.

 

 

CANTO XV

 

Quella parte dove ora mi voltai

con gli occhi riguardando e con la mente,

pien la vidi d'istorie degne e assai.

Volendo adunque d'esse, pienamente,

almen delle notabili, parlare,                                                                5

rallungar si convien l'opra presente.

E però dico che, nel riguardare

ch'io feci, in guisa d'un giovine prato

tutta la parte vidi verdeggiare,

similmente fiorito ed adornato                                                            10

d'alberi molti e di nuove maniere,

ove 'l starvi parea gioioso e grato.

Tra' quali, in mezzo d' esso, al mio parere,

un gran signor di mirabile aspetto

vid' io sopra due aquile sedere;                                                         15

al qual mentr'io guardava con effetto,

sovra duo leoncelli i piè tenea

ch'avean del verde prato fatto letto.

Un'aurea corona in capo avea

con capei biondi sparti sotto d'essa,                                                  20

che 'n guisa di fil d'or ciascun splendea.

Il viso suo, qual neve ad ora messa

in porpora, cotal mista rossezza

nell'angelico viso aveva impressa.

Senz'altro paragon la sua bellezza                                                      25

era, ed aveva due grandi ale d'oro

sovra gli umeri stese in ver l'altezza.

In man teneva una saetta d'oro,

di piombo un'altra, ed era il vestir tale,

di vermiglio velame intesto d'oro.                                                       30

Orrevolmente là il vedea cotale,

tenendo un arco nella man sinestra

cui colpo ogni uomo teme e ogni immortale.

Né però sua sembianza parea alpestra,

ma giovinetta e di fiorita etate,                                                           35

pietosa, mansueta e non silvestra.

E intorno avea senza fine adunate

genti, de' quai parea che ciascheduno

mirasse pure a sua benignitate.

Gaio e giocondo vi ne vidi alcuno,                                                     40

altri dolenti sospirando gire,

l'un timido vedea, l'altro importuno.

Io che mirava il grazioso sire

di lui considerando il gran valore

per molti ch'ivi vidi a lui servire,                                                         45

ornata come lui, con grande onore

li scorsi allato una donna gentile,

la qual pareva sì com'elli Amore,

vaga negli occhi e altieramente umile;

ver è ch'era di rose coronata,                                                            50

per cui era ad Amore dissimile.

Angela mi pareva nel ciel nata,

ma poi più volte pensai ch'ella fosse

quella che 'n Cipri già fu sì adorata.

Non so quel che 'l cuor mio così percosse                                         55

mirando lei, se non che l'alma mia

pavida dentro tutta si riscosse,

né sanz'a lei pensar fu poi né fia,

poi sì leggiadra e tanto graziosa

dall'altro lato a Amor vidi lucia.                                                         60

In fronte a cui serena e spaziosa

due begli occhi lucean, sì che fiammetta

parea ciascuno d'amor luminosa,

e la sua bocca bella e piccioletta

rose vermiglie e perle dimostrava                                                       65

movendosi, tanto era in sé perfetta.

Dintorno a sé tutto 'l prato adornava,

come se stata fosse primavera,

col raggio chiar che 'l suo bel viso dava.

Io non credo che al mondo mai pantera                                             70

con l'odor suo tanti animai tirasse,

sì com'ella pareva, dovunque era

blandi e soavi, ch'a lei somigliasse;

sì 'l bel modo era con sue grazie e atti,

ch'Amor parea di lei s'inamorasse.                                                     75

Oh quanto nell'aspetto, in detti e fatti,

mostrava in saggio ed alto intendimento

vecchi pensier da giovinil cuor tratti!

Contemplando ivi a Amore il suo talento

parea fermasse en la sua chiara luce:                                                  80

com'aquila a' figliuol nel nascimento

con amor mostra ond'ella li perduce

a seguir sua natura, così questa

credo che facci a chi la si fa duce.

A rimirar tal donna eccelsa e onesta                                                  85

contento stava, che 'n atto dicesse

parea parole dolci e pien di festa,

come l'immaginar par che 'ntendesse.

 

 

CANTO XVI

 

Costei pareva dir negli atti suoi:

«Io son discesa dalla somma altezza

e son venuta per mostrare a voi

il viso mio: chi vuol vera bellezza

veder, riguardi lui dove si vede                                                            5

accompagnata grazia e gentilezza.

Ò pietà per sorella e di mercede

son dolce fonte: Iddio mi v'ha mandata

per darvi parte del ben che possede.

Donna più ch'altra sono innamorata                                                   10

e in me isdegno mai non ebbe loco,

però da Amore i' son tanto onorata.

Ancor risplende in me tanto il suo fuoco,

che talor molti credon ch'io sia ello,

avenga che da lui a me sia poco.                                                       15

Cortese e lieta son vaso di quello,

né mai mi parran duri i suoi martiri,

di lui 'l ristor pensando ed il fin bello.

E cieco è ben colui che' suoi disiri

si crede sanza affanno aver compiuti                                                  20

e sanza copia di soavi sospiri.

Riceva adunque 'n pace i strali aguti,

ch' ei da' bei occhi in gli occhi al cuor saetta

a quei ch'attendon d'esser proveduti.

Tal qual or mi vedete giovinetta                                                         25

quivi accompagno Amor che mi disia:

al ciel ritornarò po' che m'aspetta».

Ancor più intesi, ma la fantasia

nol mi ridice, sì gran parte presi

di gioia dentro nella mente mia                                                           30

lei rimirando e' suoi modi cortesi,

il dolce sguardo e la mira biltate,

della qual mai a pien dir non porriesi.

Dallato a lei Amor con voglie innate

vidi miralla, che nel bello aspetto                                                       35

tutto si dipingeva di pietate.

Ognora a sé toccava l'egro petto,

quasi temendo aver se stesso offeso

perché guardarla avea tanto diletto.

Io stetti molto a lei mirar sospeso                                                      40

per sentir s'io la udisse nominare

o la vedesse scritto brievi o isteso.

Lì non l'udi' né 'l seppi immaginare,

avenga che, com'i' dicerò appresso,

in altra parte poi la vidi stare,                                                             45

donde chiaro 'l seppi io: lì il dico espresso,

però chi quello ha voglia di sapere

fantasiando giù cerchi per esso.

Oltre mirando lei mio gran volere

non avrei sazio mai; ma nuova cura                                                    50

di mirare altro mi mise 'n calere.

Levando adunque gli occhi ver l'altura

vidi il gran Giove che 'n forma di toro

non già rubesto cangiò sua figura,

che, non curando del superno coro,                                                   55

ad Europa concesse cavalcarsi

per compier meglio il bramato lavoro.

E' parea quindi correndo levarsi

sopra l'ondoso mar col disiato

suo dolce ben, e pian da poi posarsi                                                  60

in quel paese che fu poi nomato

da quella che da dosso si dipose.

In la sua prima forma ritorbato,

narrandole le sue piaghe amorose,

lieto parea che la riconfortasse                                                          65

con parole dolcissime e pietose;

ma con disio parea poi l'abbracciasse,

e con diletto l'avuto disio

parea con dolce effetto terminasse.

Appresso ancor pur il medesmo iddio,                                              70

in nuvoletto d'oro rifulgente

trasformato, discendere vid'io

giù in alta e ferrea torre audacemente

in grembo a verginella ch'entro v'era

richiusa e custodita strettamente;                                                       75

il qual, perché l'amava oltre maniera

dovuta, infra sue bianche mammellette

in aurea pioggia giù lasciato sera.

Né quella ciò pensando, lieta stette

ed il prezioso inganno tenne ascoso,                                                  80

ch'oro essere in l'avar suo cuor credette.

All'esser primo suo Giove amoroso

vedeasi poi tornato e di costei

basciar la bella bocca disioso.

Ritrarsi non poter poscia da lei                                                          85

vidi sanza il soave compimento,

di che parea ch'ella dicesse: «Omei,

ch'i' son gabbata dal falso argomento».

 

 

CANTO XVII

 

Hor oltre avante più, seguia l'istoria

della figliuola d'Inaco, mi pare,

se ben mi rappresenta la memoria.

Era ivi Giove, e vedendo tornare

Io dal padre sola e giovinetta,                                                              5

il suo disio tentavale narrare.

Lungo indi 'n un boschetto poi ricetta,

sotto piacevoli ombre con costei

vedealo isteso star sovra l'erbetta.

Ma in piacer dimorando ed ella ed ei,                                                10

sopraveneali Giuno furiosa

temendo dell'inganno fatto a lei.

Intanto la fanciulla graziosa

Giove mutò in giovenca bianca e bella,

e in don la diede a sua celeste sposa.                                                 15

Or poi che Giuno avea accettata quella,

per tema forse di seconda offesa,

Argo pien d'occhi fé custode d'ella.

Cauto pascendo lei in sua guardia presa,

ella anche ivi era ed in atto ascoltava                                                 20

il suon d'una sampogna alla distesa.

Hermete era il pastor che la suonava

sotto alberi fronzuti dolcemente,

con gran piacer di chi ascoltar la stava.

Onde sonando, vedea chetamente                                                     25

Argo, con li cento occhi ch'egli avea,

adormentarsi e non sentir niente.

Rigido poi quel fier pastor scorgea

trarsi di sotto un ritorto coltello,

col quale l'addormito Argo uccidea.                                                  30

Faceva lì esso poi in occhiuto uccello

Giuno cangiar; parea po' perseguire

la vacca per cui era morto quello.

A lei davante si vedeva fuggire

al Nilo già, quando l'amante iddio                                                      35

rattemperò Giunone e sue accese ire.

Con doppio onor ogni sua beltade Io

riprese poi, da Giove riformata

per renderle del mal spiacer bon fio;

e così fatta dea, lì celebrata                                                               40

da quella gente fu, e con voti assai

e molti incensi la vedea onorata.

Dopo essa alquanto avanti riguardai

e il detto iddio in forma feminile

in un fronzuto bosco affigurai;                                                            45

e riguardando lui, che nel gentile

e mansueto aspetto mi parea

Diana e non ad altra dea simile,

lì d'amor tutto acceso si sedea

con la faretra piena di saette,                                                             50

e un arco teso in la sinestra avea.

Lui mirando una delle giovinette

ninfe e credendo ch'ei Diana sia,

lo saluta con dolci parolette;

appresso poi con voglia onesta e pia                                                 55

per lui basciar, ché forse consueto

era, sicura a quello se ne gia.

Ver lei si facea Giove, e tutto lieto,

basciandola soave, seco appresso

la tirava in un bosco lì secreto;                                                           60

ov'ei stringendo lei ed ella anch'esso,

si stava cheta, semplicetta e pura,

rompendo il voto col piacer commesso.

Sola poi mi parea che con paura

gravida rimanesse di colui                                                                  65

che la 'ngannò sotto l'altrui figura.

Taceasi un tempo la donna nel cui

ventre piacevoi peso era nascoso,

ma pur convenne poi paresse altrui.

Ripulsa ebbe dal coro grazioso                                                          70

allora e al tutto fu da quel divisa:

di che poi Giove, essendone pietoso,

a lei diè forma d'Orsa e stella assisa

la fece al freddo poi pien d'altre stelle,

per guiderdon della colpa commisa.                                                   75

Bianco e gioioso poscia dietro a quelle

istorie il vidi in cigno trasformato,

con piume inargentate, vaghe e belle.

In braccia stretto se l'avea pigliato

la bella disiosa amanza Leda                                                             80

e in camera soletta via portato.

Là come tosto, disiata preda,

si vide inchiuso, lieto ritornossi

Giove in sua vera e consueta sceda.

Tutta ella allor di ciò meravigliossi,                                                     85

pur concedendo sé del dio alla voglia:

quivi mostrava come racchetossi

acciò che loco avesse 'n l'alta soglia.

 

 

CANTO XVIII

 

Dopo costei si vedea seguitare

Semelè bella che già gli arse il core,

né altra allor che lei poteva amare.

Ornata come vecchia e di dolore

piena era quivi Giuno invidiosa,                                                           5

Giove portando a quella immenso amore;

nascosa in cotal guisa, alla formosa

Semelè domandava s'ella fosse

ben dell'amor di Giove copiosa.

Nel viso sorridendole si mosse                                                          10

non conoscendo lei; poi le rispose:

«Ama sol me, sol braman me sue posse».

Allor si turbò Giuno, ma l'ascose

con falso aspetto, e disse: «Ora ti guarda

ch'ei non ti inganni con viste frodose.                                                 15

Più n'ha ingannato sua cera bugiarda,

e di suoi inganni i' ne so ben più d'uno:

ma se tu vuo' saper se per te arda,

istea con teco di come con Giuno.

S'egli il farà, ben ti dico ch'allora                                                        20

saprai che teco non ha inganno alcuno;

e fa che 'l facci». E poi sanza dimora

da lei si dipartì: questa aspettando

bramava ciò provare a tempo e ad ora.

Tacita e sola così disiando,                                                                25

parve che Giove quella visitasse,

a cui ella diceva allor pregando:

«Or negaraimi tu, s'io dimandasse,

un caro dono?» a cui e' rispondea,

e rispondendo parea che giurasse                                                      30

sé a ciò non mancar mai ch'ella volea.

«Come con Giuno ti congiugni», disse,

«così con meco ti prego ch'istea».

Ahi come a Giove dolse! ma non sdisse

quel che 'mpromise; pur invito quello                                                 35

fé, perché 'l sagramento non perisse.

Rilucere d'un fuoco, ma non bello,

Semelè si vedeva e in cener trita

solversi tutta giacendo con ello.

E così tutta finì la sua vita                                                                  40

per il disio che 'l consiglio fallente

le porse, e Giuno così fu gioita.

Conforme ancor si vedea similmente

aquila fatto Asterie seguire,

cui egli amava molto coralmente.                                                       45

Allato a lei ed or di sopra gire

per folti boschi quivi si vedeva,

e poi con l'ali lei presa covrire.

Molto dubbiosa lì quella pareva,

per che rivolta contra il grande iddio                                                  50

con fievol forza cacciar lo voleva.

Valeale poco, però che 'l disio

suo ne prendeva quel, come ch'a lei

ne' suoi sembianti ne paresse rio.

Nel luogo appresso si vedea colei                                                     55

che partorì i due bei occhi del cielo,

secondo che compreson gli occhi miei.

Assai timida, l'isola di Delo

la riteneva quasi fuggitiva,

umile e cheta sotto bianco velo.                                                         60

Soletta appresso Antiopa seguiva,

con la qual Giove in forma satirale

parlava, ed ella lui pietosa udiva.

Ove allato sedeale e quanto male

amor per lei li facesse narrava,                                                          65

che moria quasi, ben ch'era immortale.

Assai negli atti suoi la lusingava,

tanto che 'n fine alla sua volontate

con preghi e con promesse la recava.

Vedeasi appresso quivi la biltate,                                                       70

in altra istoria che venia, d'Algmena

di grazie ornata e piena d'onestate.

In suoi sembianti gioconda e serena,

con Giove trasformato nel marito

tre notti in una in dolce gaudio mena.                                                 75

Tutto vedeasi poscia sbigottito

anche il suo servo Geta, e doloroso

ch'un altro Geta in casa avea sentito.

Appresso v'era Birria nighittoso

caricato di libri, a picciol passo,                                                         80

con viso ribbuffato e dispettoso,

senza alcun ben, dicendo: «Oimè lasso,

quando serà ch'io posi questo peso

che sì m'affolla, e pur porrollo abbasso?».

Inver il ciel veggio, poi ch'ebbe preso                                                85

Giove il diletto che di lei li piacque,

pregna lasciarla, su al salir inteso:

del cui piacer il forte Ercol ne nacque.

 

 

CANTO XIX

 

Ivi più noti seguia, perché finiva

quella facciata con gli antichi autori

che stanno innanzi a quella donna diva.

Laond'io tornai inver li predatori,

ricominciando a quel canto primero                                                     5

a rimirar gli antichissimi amori.

Eravi, ritornato umil di fiero,

Marte signor dell'arme fatto amante,

per la qual cosa più non era altiero.

Con tal disire 'l piacevol sembiante                                                    10

mirava della bella Citarea,

che non parea che più curasse avante.

Tra quei luoghi medesmi mi parea

con essa lui veder dentro d'un letto,

dintorno al qual Volcan con froda avea                                              15

ordita di fil ferreo sottiletto

una ingegnosa rete, e gli avea presi

ambi ignudi abracciati in quel diletto.

Sanza consiglio, ah cieco! i lacci tesi

a sua vergogna aveva, e invan credia                                                 20

aver li amanti arditi allora offesi,

avendo quivi ciascun dio e dia

cittadini del ciel tutti adunati,

per lor mostrar, non lor, ma sua follia.

Con gran disire anzi li dei chiamati                                                     25

Vener miravan nuda intentamente

e le dee Marte con gulosi agguati.

Hai! come poi ciascuno apertamente

liber pigliava ogni piacer ameno,

timor già morto e le vergogne spente!                                                30

E così aviene a quei che non vorrieno

trovar vergogne e vannole cercando,

che molto meglio cheti si starieno.

Ma ben consiglio ciaschedun, che quando

per sorte simil cosa gli accadesse,                                                     35

con gli occhi chiusi, sol sé vergognando,

ei se ne passi, perché molto spesse

le volte son che tal vuol vendicare,

che 'l suo miglior saria che se ne stesse.

Tutto focoso poscia seguitare                                                            40

qui Febo vidi Dafne graziosa

e lei con dolci voci lusingare.

Timida fuggiva ella e curiosa

di sua virginità, sovra le spalle

co' capei sparti, tal che più formosa                                                   45

entrava in Febo, che lei 'n picciol calle

seguiva, infin che faceva dimoro,

più non potendo, in una chiusa valle.

Là vedea lei 'n Tessaglia in verde alloro

cangiare, di cui tanto si ragiona,                                                         50

e Febo abbracciar lui per più ristoro;

u' poi per premio etterno quel gli dona,

che a' cesari, a' poeti e con ragione

a' trionfanti ancor fosse corona.

Ivi era appresso poi come Sitone                                                      55

giovin da lui già senza fine amato,

mutava in feminil sua condizione.

Con essa lieto stava quivi allato,

e lei tenendo in braccio con amore

mostrava ch'altro non li fosse a grato.                                                60

Oltre il vid'io, finito quell'ardore,

richiuso in una vecchia rozza e scura,

diposto il lampeggiante suo splendore.

Nell'aspetto pareva la figura

della madre di quella, per cui questo                                                  65

a far il sospingeva tanta cura.

Mirabilmente là si vedea presto

or una ed ora un altro; onde colei

dicea maravigliando: «Or che fia d'esto?».

E poi 'l vedeva star con mesti omei,                                                   70

defunta quella, cui per sua potenza

mutò d'incenso in ramoscelli bei.

Climenè, appresso lei, con accoglienza

cedeva a quello il suo congiugnimento,

Fetonte nacque onde di tal semenza.                                                 75

Oltre tra questi poi, molto contento,

era Nettuno in forma di Aristeo,

Esimena abbracciando al suo talento.

Innanzi ancor mirando discerneo

mia vista questo in le braccia tenere                                                   80

Cerere, cui amò sovra ogni deo.

Non sanza molti basci, al mio parere,

la stimolava; ma allor mi voltai,

non volendo oltre quelli più vedere,

donde mirare altrove incominciai.                                                      85

 

 

CANTO XX

 

Ove io lì vidi, in ordine dipinto,

sì come Bacco, per forza d'amore,

in forma d'uva a blandir fu sospinto

la figlia di Ligurgo, il cui ardore

per temperare, in le sue man tenea,                                                      5

presa da sua dolcezza e bel colore;

con il qual poscia giunta mi parea

ella, lui ritornato d'uva iddio,

e l'uno all'altro qui sodisfacea.

Ivi vedeva poi con volto pio                                                              10

Pan che dietro a Siringa corre e plora,

dicendo: «Ah perché fuggi il viso mio?»

ed ella fuggente il padre implora,

dal qual poi si vedeva trasformata

in tremol canna flebile e sonora.                                                         15

Pan da po' mesto quella ebbe formata

in buccioli sonanti, parimente

da esso la sampogna poi trovata.

Appresso lui mirai anco il dolente

Saturno di caval forma pigliare,                                                         20

e a Fillira accostarsi dolcemente.

Con cera fosca ancor vedea lasciare

Plutone i ciechi regni abbandonati

per troppo ardentemente donna amare;

e poi con atti acerbi ed isfrenati                                                         25

prender vedea 'l Proserpina e con essa

fuggirsi ai regni di luce privati,

pur con tal studio e sì frettosa pressa,

che parea fosse dietro seguitato

da Giove per volerlo privar d'essa.                                                    30

Oltre quel loco vidi figurato

Mercurio dio con Erse molto stretto,

di lei 'n amor dolcissimo allacciato.

Innanzi alquanto si vedea, al diretto,

soffiante con barba aspra e capil bianco                                            35

Borea, nivoso e frigido in aspetto.

Questi, anelando col lassato fianco

d'amor per l'alte piaghe crude e fiere,

parea dicesse: «Ahimè! ch'io vengo manco

vedendo le mansuete tue maniere,                                                     40

dolce Orizia»; ma alla fin lei stretta

via ne portava e seco avea a godere.

A lui seguiva poi la giovinetta

Tisbe, che fuor di Babilonia uscia

andando verso un gran bosco soletta.                                                45

Né lì guari lontano, fuor di via,

un suo bel velo lasciava fuggendo

per una leena ch'ivi a ber venia

della fontana, dov'era attendendo

Piramo: il qual, venuta già la scura                                                     50

notte, ne viene a Tisbe sua correndo

ove già fu la vecchia sepoltura

di Nino, per dar fine al fier martire

e ad ogni lunga sua amorosa cura.

Aggiunto intorno guatava se udire                                                      55

o veder vi potesse se venuta

fosse colei che vi dovea venire.

Lui po' mirando, in terra ebbe veduta,

perché la luna risplendeva molto,

una vesta, ch'a Tisbe era caduta,                                                       60

tutta straziata e per terra ravvolto

il leggiadretto velo sanguinoso,

per cui smarrito si cambiò nel volto.

Ricogliendo essi parea che doglioso

dicesse: «Ah! cara Tisbe, chi ti uccise?                                              65

chi mi ti tolse, dolce mio riposo?».

Ontoso poscia lagrimando mise

mano all'aguta spada ch'avea seco,

con cui dal corpo l'anima divise,

parendo che dicesse: «Con te cieco,                                                  70

Tisbe, ne moro, acciò che all'ombre spesse

di Dite per compagno io venga teco»;

e sbigottito parea che cadesse

qui sovra quella vesta, a piè d'un moro,

e del suo sangue i frutti suoi tignesse.                                                 75

Non dilettando a Tisbe il gran dimoro

colà dov'era, uscio e disse: «Forse

quella bestia è pasciuta, né già loro

suol uso a noi far male»: ed oltre corse

alla fontana, e non credea che fosse                                                   80

dessa quando le more rosse scorse.

Indi mirando, poscia si percosse

quando Piramo vide ancor tremante,

dal cui bel petto il ferro aguto iscosse

e 'n su quel si gittò, dicendo: «Amante,                                              85

io son la Tisbe tua! mirami un poco

anzi ch'i' muoia», e più non disse avante,

restando sovra lui morta in quel loco.

 

 

CANTO XXI

 

Or miri adunque questo empio accidente

qualunque è quel che vuol legge ad amore

impor per forza, trabocchevolmente.

Quivi credo vedrà che 'l suo furore

è da temprar per consiglio discreto,                                                     5

a chi ne vuole aver fine migliore.

Vivean di questo i padri ciascun lieto

in l'aurea età, temprando la lor voglia,

né amor col gaudio lor mischiava fleto.

Egli sovente avien ch'altri si spoglia                                                    10

di ciò ch'ello si crede rivestire,

ma ingannato convien che se ne doglia.

Sì riguardando, poi vidi seguire

Gianson in mezzo di tre giovinette,

di cui ciascuna fé di lui 'l disire.                                                          15

Tutte tre furon già da lui dilette

e nominate Isifile e Medea,

l'altra Creusa con le due sospette.

«O sanza fede», udire mi parea

che Isifile dicesse, «o dispietato,                                                        20

o più crudel di tigre e di leea,

deh ancor hai, dimmi, tu dimenticato

con quanto onor tu fosti ricevuto

nel regno onde ogni maschio era cacciato?

Io non credo che mai fosse veduto                                                    25

uom volontieri in nulla parte strana

né cotal modo a lui mai conceduto,

simile a quello ch'io benigna e umana

a te concessi, portando fidanza

alla tua fede come 'l vento vana.                                                        30

Faccendo sacramenti a me, speranza

nel tuo partir mi desti che giammai

non cambieresti me per altra amanza.

Andastitene e me, come tu sai,

pregna lasciasti di doppio figliolo,                                                      35

e ciò sprezzando assente te ne stai.

Con lagrime e sospiri e con gran duolo

gran tempo stetti, dicendo: «Omai tosto

ritornerà Gianson col suo bel stuolo»;

ed appena credetti quel che isposto                                                   40

mi fu di te, ch'avevi nuova amica

in Colco presa e mutato proposto.

Più avanti ora non so ch'io mi ti dica,

se non ch'io ardo e tu ti godi in festa

con nuova amanza, mia crudel nimica.                                               45

In tal guisa tal doglia mi molesta

che dir noi posso, ma tu stesso pensa

quant'aver tal parriati, quale è questa.

Alfin ti prego, se unqua da me offensa

non hai patito, non mi abbandonare,                                                  50

ma con pietate il mio dolor compensa».

Non rispondea Giansone; ma poi stare

vidi negli atti molto dispettosa

Medea ancor, verso lui così parlare:

«Giansone, in tutto il mondo non fu cosa                                            55

ch'io tanto amassi né per cui facessi

quanto feci per te, sì come sposa;

e non mi credo ancor che tu sconfessi

com'io ti die' mirabil documento,

per cui sicur co' tori combattessi.                                                       60

Mostraiti ancora, per farti contento,

come 'l drago ingannassi, acciò ch'appresso

tutto 'l disir tuo avesse compimento.

Insieme me ne venni teco istesso,

e sai ch'io 'l picciolino mio fratello                                                      65

uccisi, acciò che 'l mio padre sovra esso

dimorasse piagnendo, intanto isnello

passasse sanza noia il nostro legno

già cominciato a seguitar da ello.

Ed ancor sai che col mio saggio ingegno                                            70

il decrepito già tuo padre Esone

di giovinetta etate feci degno;

né guardai poscia a giusta riprensione

ch'io non facessi morire 'l tuo zio,

per signor farti d'essa regione.                                                           75

Tu 'l ti conosci e sai per certo ch'io

avrei fatta ogni cosa per piacerti,

non pensando che mai tuo fier disio

rivoltassi da me per più doverti

dare ad altrui. Deh Dio! s'altro diletto                                                80

non hai di me, bei figli almen vederti

ognor davanti ti dovevan stretto

tenerti di seguir donna nessuna

né maculare il mio debito letto,

lo quale ad ora possedi con una:                                                        85

che s'io non aiutava la tua vita,

né lei né me averesti, né altra alcuna.

Adunque a me, giusto è, ti rimarita».

 

 

CANTO XXII

 

Non rispondeva a nulla di costoro

quivi Gianson, ma Creusa abbracciando

piglia con lei dilettevol dimoro.

Io, che andava avanti riguardando,

vidi quivi Teseo nel Laberinto                                                              5

al Minotauro orribile e nefando.

Ma poi che quel con ingegno ebbe vinto

che gli diede Adriana, quindi uscire

lui vedev'io di gioia tutto pinto;

al qual appresso Adriana seguire                                                       10

e con lei Fedra, ed ambe nel suo legno

salite seco liete ancor fuggire.

Nel quale, avendo già l'animo pregno

del piacer d'Adriana, lei lasciare

vedea dormendo e girsene al suo regno.                                            15

Gridando desta poi lei vedea stare

e chiamar lu' piagnendo lì soletta

in Nasso, sovra un scoglio in mezzo il mare.

«Oimè», dicendo, «deh, perché s'affretta

sì di fuggir tua nave? Aggi pietate                                                       20

di me, femina, amante e giovinetta!».

Solcando se ne gia l'onde salate

con Fedra quegli, e Fedra si tenea

per vera sposa, per la sua biltate.

Costei più innanzi un poco si vedea                                                   25

accesa tutta di focoso ardore

di Ippolito, cui per figliastro avea.

Ivi vedeasi lo sfacciato amore

di Pasifè, che 'l toro seguitava

di sé chiamandol sol dolce signore:                                                    30

ove con le man proprie ella segava

le fresche erbette nel fogliuto prato

e con quelle medesme glile dava.

Spesso i suo' bei capei con ordinato

stile acconciava e, della sua bellezza                                                  35

al specchio prima l'occhio consigliato,

adorna venia innanzi alla fierezza

bestiale, e quivi parea che dicesse:

«Aggradati la mia piacevolezza?

Certo s'io solamente comprendesse                                                   40

che più ch'ogni altra vacca mi seguissi,

io non so che più avanti mi volesse».

Era di dietro a lei, con gli occhi fissi

sopra 'l suo padre, Mirra scelerata,

né da lui punto li tenea dimissi.                                                           45

Rimirando costei per lunga fiata,

quivi la vidi poi di notte scura

esser con lui in un letto colcata.

Correndo poi fuggir l'aspra figura

del padre la vedea, che conosciuta                                                    50

avea l'abominevole mistura.

Albero la vedea poi divenuta

che 'l suo nome ritien, sempre piagnendo

il fallo forse per la gioia avuta.

Narcisso vid'io quivi ancor sedendo                                                  55

sovra la nitida acqua rimirarsi,

fuora di modo di se stesso ardendo.

Deh, quanto quivi nel rammaricarsi

nel bel suo aspetto mi parea pietoso,

e talor seco se stesso crucciarsi:                                                        60

«Oimè», dicendo, «oimè, avrò mai riposo

se la gran copia, ch'io ho di me stesso,

di me stesso m'ha fatto bisognoso?».

Cefalo poi, alquanto dietro ad esso,

vidi posati aver con l'arco i strali                                                        65

e riposarsi, per il caldo fesso.

«O aura soave vien con le fresche ali,

entra nel petto mio!» all'ombra steso

stava dicendo parole cotali.

Ma questo avendo la sua Procri inteso,                                             70

cui ascosa vedea tra l'erbe e' fiori

in quella valle, con l'udire inteso,

essendo in gelosia di nuovi amori,

crese che l'Aura forse allor venisse:

volle, e nol fece, intanto farsi fuori.                                                     75

Tutta l'erba si mosse e Cefal fisse

gli occhi colà, credendo fosse fiera;

e l'arco prese e suso il stral vi misse,

rizzandolo fra l'erba u' Procris era,

e lei ferì nell'amoroso petto.                                                               80

Ella, sentendo il colpo, in voce vera:

«Oimè», gridò, «perché ebbi i' tal sospetto

di quel ch'io non dovea?», così diria

chi la vedesse ch'ella avesse detto.

Vista che Cefal l'ebbe: «Anima mia»,                                                 85

disse, «che facei quivi? ahimè lasso,

dogliosa sempre la mia vita fia,

avendo te recata a mortal passo».

 

 

CANTO XXIII

 

Ristrinsemi pietà l'anima alquanto

a compassion aver di quel dolente,

cui vedea far così funesto pianto.

Poi rimirando ad altro ivi presente,

vidi colui che 'l tenebroso regno                                                           5

entrò, sonando così dolcemente:

Orfeo dico io, che col suo chiaro ingegno

fece le misere ombre riposare

per la dolcezza del cavato legno.

Sonando ancora quivi il vidi stare                                                      10

con Euridice sua, e mi parea

che sonando 'l vedesse lì cantare

soavi e dolci versi, e si dicea:

«Amore, a questa gioia mi conduce

la fiamma tua che nel mio cor si crea.                                                 15

Amor, dell'alme sagge chiara luce,

tu sei colui che 'ngentilisci i cuori

e a cose eccelse li sei guida e duce.

Per te si fuggon gli agri e fier dolori,

per te allegrezza, gioia ed ogni festa                                                   20

nasce e dimora dove tu dimori.

O spegnitor d'ogni cosa molesta!

luce degli occhi miei, dolce Euridice,

lunga stagion con gioia la mi presta!

Sempre mi chiamerò per te felice,                                                      25

per te giocondo, e per te, sacro Amore,

starò come fa pianta per radice».

Al veder quel mi s'allegrava il cuore,

e immaginando quelle parolette

a me, non ch'a lui, pur crescea il valore.                                             30

E poscia, appresso queste cose dette,

Diomede e seco Ulisse si vedeano

merciai venuti vendere gioiette,

tra cui quivi eran chi quelle voleano

in vista comperar, ma dall'un lato                                                       35

spade e forti archi insieme posti aveano,

saette ancor: de' quali avea pigliato

uno una suora ch'ivi stava appresso,

e infino al ferro l'arco avea tirato.

Onde parea dicesser: «Questi è desso,                                              40

Achille è questo cui andiam cercando»,

e gir se ne volean quindi con esso.

La qual cosa vedendo, sospirando

una fanciulla quivi contrastava

a quei che lui tiravan lusingando.                                                        45

Achille gir con essi disiava,

e allor, spogliatasi la vesta fitta,

come forte guerrier presto s'armava.

Vedendo ciò Deidamia, trafitta

da fiera doglia e tutta scolorita                                                           50

parea dicesse a lui allato ritta:

«O di mia amara vita dolce vita,

cuor del mio morto cuor, che tu abbandoni,

di cui fia tosto, credo, la finita,

in qual parte vuoi gir? qual regioni                                                      55

cerchi tu più graziose che la mia?

Deh Dio, non credre a questi duo predoni!

Deh non ti incresce di Deidamia?

Deidamia, che più chogni altra t'amo

e cui 'l cuor mio più ch'altro sol disia!                                                 60

In quanto posso più mercé ti chiamo:

non mi ti torre, deh, non te ne gire,

deh, non privarmi di quel ch'io più bramo!

sola mia gioia, solo mio disire,

sola speranza mia, se tu ten vai                                                          65

da me 'l cuor partirà nel tuo partire.

In continova doglia e tristi guai

mal viva viverò: deh, aggi pietate

di me, se grazia meritai giammai!

Ahi lassa, or son così guiderdonate                                                    70

tutte le mischinelle ch'aman voi

che di subito sieno abbandonate?

Ricordar certo credo che ti puoi

quanto onor abbi da me ricevuto,

e più ne puoi ricever, se tu vuoi.                                                        75

L'abito che t'ha fatto sconosciuto

sì lungo tempo per me 'l ricevesti,

per me secreto sei stato tenuto.

E quando prima vergine m'avesti,

di mai partirti né d'altra pigliarne                                                        80

sovra la fede tua mi promettesti.

Perché altrove t'appresti dunque andarne?

Di me t'incresca e del comun figliuolo

ch'abbian, se non ti duol la propia carne.

Io so che tu vuoi gire al tristo stuolo                                                   85

ch'è intorno a Troia, ov'io dubito forte

che morto non vi sii: ché per gran duolo

a me morte darei per la tua morte».

 

 

CANTO XXIV

 

Così pareva che costei dicesse

ed altro assai, li prieghi della quale

non mi pareva ch'Achille intendesse;

e seguitava quelli al troian male,

contento più che d'esser lì rimaso,                                                       5

dove quella era, a cui tanto ne cale.

E innanzi a lui, incerto del suo caso,

Briseida era trista, inginocchiata,

col viso basso da gran doglia invaso.

Tra l'altre cose quella isconsolata                                                       10

piagnendo mi parea che li dicesse:

«Deh, perché m'hai, Achille, abbandonata?

Per te convenne ch'io mi dolesse

de' miei fratelli, i quali io più amava

d'ogni altra cosa che nel mondo avesse;                                             15

e, per l'amor ch'immenso ti portava

e porto, quella morte che tu desti

alli meschini non mi ricordava.

Rapita me per forza ancor avesti,

come tu sai, e mia verginitate                                                             20

a forza, invita me, tu mi togliesti.

Oimè, che allora la tua crudeltate

non conobb'io, ché l'animo sdegnoso

non t'avria mai l'offese perdonate.

Veduto sempre il viso mio cruccioso                                                 25

avresti certamente, e così forse

non avrei dentro amor per te nascoso.

Oimè, quanto soverchio vi ne corse

quando con atti falsi mi mostrasti

ch'io ti piacessi, e questo 'l cuor mi morse.                                         30

Levastimi da te, poi mi mandasti

a Agamenonne come schiava istrana,

per che tuo falso amor ben dimostrasti.

Eimè lassa, misera ed insana,

Briseida sconsolata, che farai                                                            35

abbandonata in parte sì lontana?

Non mi lasciar morir fra tanti guai,

Achille, aggi pietà di me dolente

che t'amo più che donna uomo giammai!

Deh, guarda che mie luci quasi spente                                                40

per piagner sono, aggi mercede alquanto»;

ma tal mesto parlar valea niente.

Ivi appresso costui vid'io che tanto

ardeva dell'amor di Polissena,

ch'ogni strazio ed angoscioso pianto,                                                 45

periglio, affanno, guai, tormenti e pena,

ch'è di su detto, vendicava amore,

il qual fervente ardevali ogni vena;

e per lei spesso mutava colore,

preghi porgendo, e non eran intesi,                                                    50

onde ello si struggeva di dolore.

Rietro a costui ancor ivi vedesi

Sesto ed Abbido, picciole isolette,

e il mar che le divide ivi compresi.

Sovennemi ivi quando lì cadette                                                         55

dall'aurato monton Helle e 'l fratello,

la quale al stretto mare il nome dette.

Eravi, ignudo e nodante per quello,

Leandro, caminando inver colei

cui tanto amava per il viso bello.                                                        60

Venuta po' alla riva in atti bei

Hero vedeva ricever costui,

asciugandol da' capo infino a' piei;

e quivi poscia vedea lei e lui

con tanta gioia standosi abbracciati,                                                   65

che simil non si vide mai 'n altrui.

Ritornar poi 'l vedeva per gli usati

mari a sua casa, e di far quel camino

suoi membri non parean mai fadigati.

A questo mar alquanto era vicino                                                      70

Minòs, Alcatoè tenendo stretta

per forte assedio, volendo 'l destino

romper di quel capel che nella vetta

del capo a Niso stava, che per esso

l'oste di fuora non avea sospetta.                                                       75

E quivi quella torre, ove fu messo

già lo stromento d'Apollo sonante,

vi si vedeva rilucere appresso.

Pareva in quella Scilla fiammeggiante

dell'amor di Minòs, che a vedere                                                       80

istava l'oste a sua terra davante.

Venir lei mi parea poscia vedere,

del padre il porporin capel cavato,

darlo a Minòs, per più lui piacere.

Rigido poi Minòs avea privato                                                           85

Niso del regno, e Scilla fuor di gloria

scelesta la gittava nel mar lato

non curando di lei per tal vittoria.

 

 

CANTO XXV

 

Era Alfeo là, con le sue nitide onde

piegate in giro e dietro ad Aretusa,

con quelle terre che correndo infonde.

Là era Egisto ancor, che per iscusa

del sacerdozio negò andare a Troia,                                                    5

ma Clitennestra in cor tenendo inchiusa

lei nelle braccia sue strignea con gioia

a suo piacer, quantunque poco appresso

le ne seguisse sconsolata noia.

Oltre qui poscia, non molto dop'esso,                                                10

seguian Canace e Maccareo dolenti,

divisi per lo lor fallo commesso.

Non molto dopo ancor, ivi scontenti,

Bibli focosa vidi seguitava

il suo fratello con sospiri ardenti.                                                        15

Molto pietosamente a lui ne andava

dietro parlando, sì come parea

negli atti suo' e così dicer mostrava:

«Ahi dolce signor mio, come leea

perché mi fuggi? prendati pietate                                                       20

di me che per te vivo in vita rea!

Guarda pietoso alquanto mia biltate,

pensi l'animo tuo 'l mio primo fiore,

il qual perisce per tua crudeltate.

Io non t'ho per fratel ma per signore:                                                 25

vedi ch'io muoio per tua gran bellezza,

per te piagno, per te si strugge 'l core.

Non tener più ver me questa fierezza,

questo soverchio nome di fratello

lascialo andar, che serà più saviezza.                                                 30

Aiutami, ché puoi, e farai quello

che più desidra quella che si sface,

considerando il tuo conspetto bello.

Riso, conforto, piacer, gaudio e pace

render mi puoi, se vuoi: dunque che fai?                                             35

Deh, contentami alquanto, se ti piace!

Vedi ch'io mi consumo in tanti guai,

ch'altra nessuna mai ne sentì tanti

per te, cui sol disio, e tu tel sai.

Oimè, fortuna avversa degli amanti                                                    40

e più di quei che non son ridamati

amando altrui, che sol vivon di pianti!

Se forse resti perché siam chiamati

sorella e frate, tal dir è niente,

anzi menor seranno i tuoi peccati                                                       45

togliendomi il dolor, che se dolente

morir mi fai per non acconsentire

a quel che sol desidra la mia mente.

Rivolgiti, per Dio, deh, non fuggire!

pensa ch'ogni animal tal legge tiene                                                    50

quale a te chiede 'l mio giusto disire.

A te molto più tosto si conviene

in questo atto fallir, che dispietato

farmi perir nell'amorose pene».

Bibli infelice, quanto t'è 'n disgrato                                                     55

veder colui, che ti dovrebbe aitare

da chi noia ti desse in alcun lato,

il tuo dolor in te forte aggregare!

e non ch'ei nieghe fare 'l tuo disio,

ma el non volere i tuoi preghi ascoltare.                                             60

Là poscia appresso, al mio parer, vid'io

Fillida allato stare a Demofonte,

e piagnere per lui con atto pio.

Tutta turbata sue parole conte

gittavali, ricordandoli ancora                                                              65

quant'ella e le sue cose tutte pronte

al suo servigio furono, e com'ora,

a lei fallita la promessa fede,

per troppo amor troppo dolor l'accora.

Tra questi, oltre nel prato, vi si vede                                                  70

Meleagro e Atalanta che ciascuno

segue un cinghiar con sollecito piede,

e lui feroce con gran sforzi ognuno

offende, accesi d'amoroso foco,

non lasciandoli affar danno nessuno.                                                  75

Costor preiva, più davanti un poco,

Aconzio in mano con la palla d'oro

ch'a Cidippe gittò nel santo loco,

e quella quivi ancor facea dimoro;

Aconzio a cui diceva che sua era,                                                      80

ella il negava, e lite era fra loro.

Riguardando l'un l'altro, in tal maniera

Cidippe a lui diceva:«Se ingannata

fui già da te, la mia voglia non vi era;

ché, s'io mi fossi della palla addata,                                                   85

non l'avrei mai rimirata né letta,

anzi l'averei indietro a te gittata:

onde mai non m'avrai, sol questo aspetta».

 

 

CANTO XXVI

 

Com'io mirando andava quel giardino,

vi vidi in una parte effigiato

Ercol sublime a Cidippe vicino;

ove con lui sedeva allato allato

Iole piacente e bella nell'aspetto,                                                         5

cui presa aveva nel regno acquistato.

Non mirava Ercol altro che 'l conspetto

di lei, e quindi tal gioia prendea

che duol li fora suto ogni diletto.

Rammaricando dopo lui vedea                                                          10

istar tutta turbata Deianira,

perché a sé rivocarlo non potea.

Il gentil petto acceso in foco d'ira

mostrava aver, che gelosia soffiando

accender suol nel cuor quando s'adira.                                              15

Ma, poco guari parea lagrimando

dicesse a lui: «O signor valoroso,

rivolgi a me il tuo aspetto venerando

e costei lascia, cui tuo poderoso

valor prese per serva e il suo paese                                                   20

superò con trionfo glorioso.

Non senti tu ch'a ogni uomo è già palese

quel che la fama ora al contrario sona,

di te, all'eccelse tue passate imprese?

Unde, biasmando, ciaschedun ragiona                                               25

che invece di colei tu fili lana

ed ella rappresenta tua persona.

Ognun per ciò, che sia di mente sana,

giudica tua virtute esser delusa

da quella vile feminella istrana.                                                           30

Vogliono ancora dir più, ch'ella t'usa

in ciascun atto come servitore,

né ti giova trovare alcuna scusa.

E dimmi s'è smarrito il tuo vigore

che tu non pensi alle cose passate,                                                     35

obliando virtù, fama ed onore?

forse ch'ella le forze t'ha levate

con qualche ingegno suo fallacemente,

com'altre, a lei simil, fan spesse fiate?

Almen non dovria mai della tua mente                                                40

trar quel che 'n culla fanciullin facesti,

l'uno uccidendo e poi l'altro serpente.

Ricordar de'ti ancor ch'uccidesti

il fier Busiri, e in Libbia 'l forte Anteo

figliuolo della Terra poi vincesti.                                                         45

Vinto traesti il mostro cerbereo

di tre gran teste, e tu con tre catene

legasti lui, né valse 'l latrar reo.

Il drago ancora con sudanti pene,

ch'ognor sanza dormire i pomi d'oro                                                  50

guardando stava, fu morto da tene.

I forti corni al furioso toro

rompesti, e i fier Centauri ancor domasti

quando già combattesti pria con loro.

Or non fosti colui che consumasti                                                      55

l'Idra, che doppi capi per su' aiuto

rimettea quando glile avevi guasti?

non fu d'Arcadia il guastator feruto

da te già? certo sì fu, e fu colui

ch'avea di carne umana riempiuto                                                      60

ogni suo armento, togliendo l'altrui;

e con tua mazza quel Caco rubesto

poscia uccidesti, rubato da lui,

Ritenesti anco tutto, dopo questo,

il ciel gravante sopra le tue spalle,                                                      65

ch'ogni altro uomo averia premuto e pesto.

E s'io volesse andar per dritto calle

ogni vittoria a tua mente rendendo,

avrei qui troppo a fare a ricontalle.

Queste so c'hai a mente: or dunque, essendo                                     70

appresso te, talora fra te stesso

non ti vergogni lei strana seguendo?

Volesse Iddio che mai al meschin Nesso

non m'avessi levata, che m'amava,

e forse 'n gioia or mi sarei con esso!                                                  75

Ed io pertanto non imaginava

che mai per altra donna mi lasciassi,

i' poi che per altrui te non lasciava.

Se in quella, con cui lieto ora ti passi

dismemorato in festa ed allegrezza,                                                    80

tanta grazia e virtù forse trovassi,

tanto piacere e tanto di bellezza

quanto si trova in me, non stimerei

che aver lasciata me fosse sciocchezza.

Ognora più di ciò ti loderei:                                                               85

ma s'io ho ben la sua bellezza intesa,

certo io son molto più bella di lei,

molto per cui esser mi tengo offesa.

Ma torna a me, ché tutto ti perdono,

e la tua forza in bene ovrar palesa:                                                     90

io chieggio a te di grazia questo dono».

 

 

CANTO XXVII

 

Mostravasi ivi ancora effigiata

la valle d'Ida profonda ed oscura,

d'alberi molti e di frondi occupata,

ov'io discernei l'inclita figura

di quel piacevol bel pastor troiano,                                                      5

per cui Troia sentì l'estrema arsura.

Sol si sedeva là nel loco strano,

davanti, al qual Pallade, Giuno e Venere

erano con bell'aurea palla in mano,

sanza alcun vestimento, ignude, tenere,                                              10

bianche, vermiglie, vaghe e dilicate,

che a sol vederle ardendo venia in cenere.

E a Paride diceano: «In cui biltate

di noi più vedi, questo pomo d'oro

donalo a lei, quando ci avrà' notate».                                                 15

Dal capo al piede mirava costoro

Parìs e bella ciascuna tenea,

ma qual più fosse non sapea di loro.

Ognuna d'esse a lui ben promettea,

chi senno, chi ricchezza e chi amore                                                   20

di bella donna, pur ch'a lei lo dea.

Non ben sapeva essaminar nel cuore

ello qual d'esse più biltate avesse,

né qual ben si pigliar per lo migliore.

Nel lungo essaminare infine elesse                                                     25

Vener più bella e diede il pomo a lei,

con condizione ch'ella gli attenesse

a farli avere in le sue mani lei,

cui ella avea lodata per sì bella,

che nulla vi era simile di lei.                                                                30

A cui pareva che rispondesse ella:

«Elena trova intanto: col mio aiuto

i' farò si che tua si sarà quella».

Costui vid'io non lungi indi ascenduto

sovra gran nave e dar le vele al vento                                                35

ed esser tosto in Sparte pervenuto;

ove disceso, nel suo cuor contento,

partito Menelao per gir in Creta,

incominciò a fornir suo intendimento.

Ma dopo molte cose, quivi lieta                                                         40

con esso Elena bella e graziosa,

saliti in nave, per li undosi freta

poste le vele, sanza alcuna posa

tornava a Troia, e quivi si mostrava

quanto la vita lor fosse gioiosa.                                                          45

Ivi Enone ancor mesta lagrimava

il perduto marito e con pietose

parole invano a sé lo richiamava.

Là Ifi e Iante con feste amorose

vedeansi pria che maschio ritornasse                                                 50

que' che 'l suo sesso tanto tempo ascose.

Appresso mi parea che seguitasse

la bella Laodomia sospirando,

come se del suo mal s'indovinasse,

raviluppata né di sé curando,                                                             55

Protesilao di naturale cera

fattosi pigner, lui raffigurando.

E poscia a quello innanzi posta s'era

in ginocchion, dicendo: «Signor mio,

s'io ti sono amanza e donna vera,                                                      60

leal come dicesti, deh, fa ch'io

ti veggia ritornar con quella gloria,

ch'io l'arme tue presenti al forte iddio.

A quei ch'anno mestier della vittoria,

lasciali pria combatter, che 'l periglio                                                  65

sì fuggirai: ch'ognora ch'a memoria

viemmi quel che già 'n alcun fier pispiglio

udi' d'Ettòr, ch'a tanti cavalieri

contrasta combattendo, ogni consiglio

in me via da me fugge, e volontieri                                                     70

nel tuo partire ti vorrei aver detto:

«Fuggi d'Ettòr li fatal colpi fieri».

Sola mia gioia, solo mio difetto,

fa sì ch'io sia del tuo ritorno lieta,

che sanza te ben mai più non aspetto».                                              75

In tal maniera quivi mansueta

si stava Laodomia, alcuna volta

di sospir e di lagrime ripleta.

Ov'era ancora verso lei rivolta

Penelopè aspettante il caro Ulisse,                                                     80

che dal fidel suo amor mai non fu sciolta.

Nella qual io le luci avendo fisse,

fra me pensava quanto fu il disire

di que' che mai non cre' ch'a lei redisse.

Elio, volendo del mondo esperire                                                      85

varie genti e cittati, passò il segno

dal qual nessun mai potè in qua redire,

invano usando forze, invan l'ingegno.

 

 

CANTO XXVIII

 

Non so chi sì crudel si fosse stato,

vedendo quel ch'io qui vidi mirando,

per pietà non avesse lagrimato.

Pareva quivi apertamente quando

si partì Dido in fuga dal fratello                                                            5

verso Africa, tollendo da lui bando;

aggiunta dove poi, con saper bello

Cartagine faceva edificare

con maschile e non feminil cervello.

Ricever poscia quivi ed onorare                                                        10

Enea con la sua armata si vedea,

con accoglienza e pietà singulare.

Oltre mirando, a lei po' mi parea

vederle 'n braccio il lampeggiante Amore,

come già dissi, e Ascanio esser credea;                                             15

lo qual basciando spesso, del suo ardore

gran quantità prendeva occultamente,

tuttor tenendol nel segreto core.

Eravi poi sì come insiememente

costei col bello Enea e con altri assai                                                 20

a caccia giva solazzevolmente,

rinnovando ella in sé quel che giammai

più non pareva a lei aver sentito

dopo Siccheo, sì come ivi notai.

Il chiaro viso co' bei modi unito                                                         25

Enea mirando con benigno aspetto,

vedeasi or bianco, or rosso, or colorito.

Ma pervenuti ad un folto boschetto,

lasciando i cani a' cervi paurosi,

incominciaro piacevol diletto.                                                            30

Altri cornavano ed altri animosi

correan ai passi, e gridando faceano

i cani con lor gridi valorosi.

Tutto un salvaggio monte circueano

i cacciatori, e 'n una valle oscura                                                        35

rietro Didone e Enea lasciati aveano.

Ed ecco un vento allor fuor di misura

incominciò a soffiar tanto rabbiato,

ch'al ciel di nuvoi fece covertura.

Così chiuso anche 'l monte in ciascun lato                                          40

di tenebre parea, e con luce rietro

il sole all'oriente ritornato;

hor tuono orrendo, or fulmine e fulgetro

con lampi in aria si vedeano ardenti

con tal pioggia qual non fu unquanco adietro.                                     45

Enea e Didon fuggian quindi correnti

in scura grotta, e la lor compagnia

perduta avean, di ciò forse contenti.

Ivi parea che Dido ad Enea pria

dicesse molte parole amorose,                                                          50

dopo le quali il suo disio scovria:

ove po' Enea con risposte pietose

a lei vedeasi, e lei 'n braccio tenere

e fornir quello ch'ella gli propose.

Venuti poi al lor real ostiere                                                               55

ed in tal gioia lungo tempo stati,

l'uno adempiendo dell'altro il piacere,

in quel luogo medesimo cambiati

vedeanosi dell'uno i bei sembianti

e dell'altro i voleri esser mutati.                                                          60

Molto affrettando Enea su' naviganti

vi si vedeva, e poi per mar fuggire

le vele date all'aure soffianti.

A cui Dido parea di dietro dire

«Ah dolce Enea, dimmi, che t'ho fatto                                                65

che fuggendo disii il mio morire?

Non è questo il servar tra noi quel patto

che tu mi promettesti: or m'è palese

lo 'nganno chai coperto con falso atto.

Deh, non fuggir! Se l'essermi cortese                                                 70

forse non vuoi, deh, vincati pietate

almen de' tuoi, ché vedi quante offese

ognora ti minaccian le gonfiate

onde del mar, per lo 'nverno noioso

ch'ora comincia con nevi gelate.                                                        75

Qualunque leggi che 'n tranquil riposo

hanno li venti cessano, e ciascuno

esce a sua posta e torna furioso.

Vedi ch'ad or ad or ritorna bruno

l'aere nebuloso e molti tuoni                                                              80

e lampi lo percuotono, e nessuno

impeto surge ch'or non s'abbandoni

e faccia danno; e tu col tuo figliuolo

ora cercate nuove regioni!

Posati adunque tu con il tuo stuolo,                                                    85

lasciami almeno apparare a biasmarmi

immaginando 'l mio perpetuo duolo:

e poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi».

 

 

CANTO XXIX

 

Rimirava da poi Didone appresso

piagnendo star sovra il funesto letto,

dov'era già dormitasi con esso.

Maladicendo sé, l'afflitto petto

pien di spinose cure si battea,                                                              5

per rimembrarsi 'l perduto diletto.

In atto ancor così dir mi parea:

«O funereo letto nel qual fui

già con Enea, u' tanta gioia avea,

oh perché come qui ci avesti dui,                                                       10

due non ci tieni? perché consentisti

che te giammai vedessi sanza lui?

Almeno a questi membri lassi e tristi

porgi con falsa immagine letizia

in te quando gli colco, ove copristi                                                     15

me con colui insieme, che 'n tristizia

ora mi fa senza cagion penare

per lo suo inganno, per la sua malizia».

Oh come trista poi rammaricare

là la vedea con quella spada in mano                                                 20

che fé poi la sua vita terminare!

Rompendosi le nere vesti invano

e chiamando il suo Enea che l'aitasse,

si pose quella al petto afflitto e insano:

e poi sovra essa parve si lasciasse                                                     25

cader piagnendo e sospirando forte,

fin che la spada il bel petto passasse.

Forata allora, dolorosa morte

l'occupò sovra 'l letto ove sedea:

ah troppo a bel principio invida sorte!                                                30

Appresso questa dipinti vedea

tanto contenti Florio e Biancifiore,

quantunque mai ciascuno esser potea:

tutto il passato lor agro dolore

vi era dipinto, degno di memoria,                                                       35

pensando a tanto suo perfetto amore.

E dopo questa piacevole istoria

vi vidi Lancelotto effigiato

con quella che sì lunga fu sua gloria.

Lì dopo lui, dal destro suo lato,                                                         40

era Tristano e quella di cui elli

fu più che d'altra mai inamorato;

e molti assai ancora dopo quelli

n'avea ch' i' non conobbi, ché la mente

non mi ridice bene i nomi d'elli.                                                          45

Ond'io, che 'n maggior parte la presente

faccia compresa avea, ritornai 'l viso

a quella donna più ch'altra piacente.

Nol so, ma credol che di Paradiso

ella venisse, come sovra dissi,                                                           50

tanta ha biltate, grazia e dolce riso.

–O felice colui –, con gli occhi fissi

a lei allor a dire incominciai,

– cui tu del tuo piacer degno coprissi!

Ringraziato sia per sempre mai                                                          55

il tuo Fattore, sì com'Elli è degno,

per le bellezze rare che tu hai.

Se un'altra volta il suo beato ingegno

ponesse a far sì bella alma figura,

in dubbio poneria il celeste regno,                                                      60

e da cui idea pigliasse la misura

e così bel disegno e chiara luce

saprial dir mal, vinto da dubbia cura –.

– Con quanta gioia, credo, si conduce

ciascun, di questi ch'è pien della grazia                                               65

di quel – ricominciai, – che quivi è duce.

Oh quanto è glorioso chi si spazia

ne' suoi disiri mediante questo,

se con vile atto tosto non si sazia!

Non è già occulto ciò, poscia che presto                                           70

chi più pena ha più oltre quel s'invia

a volerne sentir, ben che molesto

dolendosi altrui dica ch'ello sia:

dunque se questo martire è soave,

la pace che ne segue quanta fia?                                                        75

Oh quanti e quali già il tennero grave

ch'avriano a collo via maggior gravezza

posto, sappiendo il dolce che 'n sé have!

Invidiosi alcun dicon stoltezza

esser seguire con ragion quel stile                                                      80

che dà questo signor di gentilezza,

lo qual discaccia via ogni atto vile:

piacevole, cortese e valoroso

fa chi lo segue e più ch'altro gentile.

Superbia esclude, onde ciascun ritroso                                              85

nel suo triunfo intervenir non puote:

indi ogni dio gentile e ogni uom grazioso

vidi seguir le sue triunfal ruote –.

 

 

CANTO XXX

 

Volend'io poner fine al raccontare,

che troppo lungo il tutto dir saria,

indi ritrassi gli occhi dal mirare;

a quella donna allor mia guida pia,

che dentro alla gran porta principale                                                    5

mi mise già, voltai la vista mia.

Lei mirando, le dissi: – Oh quanto vale

aver vedute queste varie cose

che dicevate piene di gran male!

Or come si porria più valorose,                                                         10

che sieno queste, mai per nullo avere

o pensare o udir più meravigliose? –

Rispose allor colei: – Parti vedere

quel ben che tu cercavi qui dipinto,

che son cose fallaci e fuor di vere?                                                    15

E' mi par pur che tal vista sospinto

in falsa oppenion t'abbia la mente,

ed ogni altro dovuto ne sia istinto.

Adunque torna in te debitamente:

ricorditi che morte col dubbioso                                                        20

colpo già vinse tutta questa gente.

Ver è ch'alcun più ch'altro valoroso

meritò fama, ma se 'l mondo dura

e' perirà suo nome glorioso.                                                              25

E questa è simigliante alla verdura

che vi porge Ariete, che vegnendo

poi Libra appresso seccala ed oscura.

Null'altro ben si deve andar caendo

che quello ove ci mena la via stretta,                                                  30

dove entrar non volesti qua correndo.

Deh, quanto quello a' più savi diletta

grazioso ed etterno! ed io il ti dissi

quando d'entrar pur quivi avesti fretta.

Or dunque fa che più non istien fissi                                                   35

gli occhi a cotal piacer: ché se tu bene

quel, qual si sia, con dritto occhio scoprissi,

aperto ti saria che in gravi pene

vive e dimora chiunche sua speranza

non saviamente a cotal cose tene.                                                      40

Tu t'abbagli te stesso in tanta erranza

con falso immaginar, per le presenti

cose che son di famosa mostranza.

Ed io, acciò che' vani avvedimenti

cacci da te, vuo' che mi segui alquanto;                                              45

e mosterrotti contra a quel ch'or senti,

mostrandoti la gioia e 'l lieto canto

de' tristi, che 'n tal cose ebben già fede,

cangiarsi in brieve in doloroso pianto.

Potrai veder colei, in cui si crede                                                       50

essere ogni poter di ben mondani,

quanto arrogante a suo mestier provede,

or dando a questo, or ritornando vani

ciò che diede a quell'altro, molestando

in cotal guisa gl'intelletti umani.                                                           55

Per quel potrai veder vero, pensando

quanto sia van quel ben che' vostri petti

empie, fuor di ragion, di mal nefando;

onde, seguendo que' beni imperfetti

con cieca mente, morendo perdete                                                    60

il poter acquistar poi li perfetti.

In tal disio mai non si sazia sete:

dunque a quel ben, che sempre altrui tien sazio

e per cui acquistar nati ci sete,

dovrebbe ogni uomo, mentre ch'egli ha spazio,                                  65

affannarsi di gire. Ma oltre andiamo,

perché già 'l luminoso e gran topazio

in sulla seconda ora esser veggiamo

di sopra l'orizonte, ed il camino

è lungo al tempo brieve che noi abbiamo.                                          70

Ma bene i' spero che 'l voler divino

ne farà grazia, ed io così li chieggio,

ched e' non ci fallisca punto, infino

entrarci là lasciando, ove quel seggio

del perfetto riposo è stabilito                                                             75

e per cui si conosce il mondan peggio –.

Poscia ch'io ebbi sì parlar udito

a quella donna, le risposi: – Andate,

nullo mio passo fia da voi partito.

In questo sol vi prego che m'aitate,                                                    80

che là dove 'l disio mi trasportasse

contra vostro voler, mi correggiate –.

Ella mostrò negli atti ch'accettasse

la mia dimanda, e mossesi e rivolta

mi disse allora ch'io la seguitasse.                                                      85

Tutti e tre insieme, avenga che con molta

fatica, la seguimmo, e la cagione

fu che quistionavamo alcuna volta

a non voler seguir sua mostrazione.

 

 

CANTO XXXI

 

Tosto finio il suo camin costei,

che di quel loco per una portella

in altra sala ci menò con lei.

Ell'era e spaziosa e d'arte bella,

piena di vive e moventi pinture,                                                            5

come l'altre che sono avanti ad ella.

Oh quanto quivi le belle figure

in atti si mostravan variate

dall'altre prime e non così sicure!

Color, cui dissi, con gioconditate                                                       10

pinti erano e con ricchi vestimenti,

costor con doglia e con avversitate.

Hai, quanto quivi parevan dolenti

e spaventati, qualunque vi s'era,

con vili e poverissimi ornamenti!                                                        15

Ivi vid'io dipinta, in forma vera,

colei che muta ogni mondano stato,

tal volta lieta, tal con trista cera,

che, sovra trionfal carro tirato

da due fiere, ch'ogni color parea                                                        20

d'altrui pigliar il lor color macchiato,

horribile in la fronte sol avea

li capei volti, e a nessun priego fatto

e sorda e cieca mai si rivolgea.

E legge non avea né fermo patto                                                        25

negli atti suoi volubili e incostanti,

ma come posto talor l'avea fratto:

volgendo sempre ora indietro ora avanti

una gran ruota sanza alcun riposo,

con la qual dava or gioia e talora pianti.                                             30

«Ogni uom che vuol montarci su sia oso

ascender lì, ma quando io 'l gitto al basso

inverso me non torni poi cruccioso.

Io non negai ad alcun mai quivi il passo,

né mia maniera per alcun mutai,                                                         35

né muterò, né 'l mio girar fia lasso:

venga chi vuole». Cosi immaginai

ch'ella dicesse, perché riguardando

le vidi intorno molti de' mortai,

i quai su per la ruota aderpicando                                                      40

s'andavan con le man non sanza ingegno,

fino alla sommità d'essa montando.

Saliti su parea dicesser: «Regno»;

altri cadendo eri l'infima cornice

parea dicessero: «Io son senza regno».                                              45

Indi l'un tristo e l'altro ella felice

facea, come la mia tenace mente,

la qual non erra, ancora mi ridice.

Allor rivolto alla donna piacente

dissi: – Costei, ch'io veggio qui voltare,                                              50

conosco i' per nemica veramente.

Tra l'altre creature a cui mi pare

dover più portar odio, questa è dessa,

però ch'ogni sua forza ed operare

ell'ha contro di me e opposta e messa:                                               55

né prieghi, né saper, né forza alcuna

pacificar mi può giammai con essa.

Ognor nella sua faccia persa e bruna

mi si mostra crucciata e sempre al fondo

di sua ruota mi trasse fin da cuna,                                                      60

gravandomi di sì noioso pondo

che levar non mi posso a risalire,

né per ciò mi ritrovo mai giocondo –.

Ridendo allora mi cominciò a dire

la donna saggia: – E' tu se' di coloro                                                  65

ch'alle mondane cose hanno 'l disire?

a quai s'ella donasse tutto l'oro

di Pattolo e di Gange, pur avversa

riputarebber lei al voler loro.

Torrotti adunque di cotal traversa                                                      70

oppenione, e mosterrotti come

più son beati quei che l'han perversa.

Il dir Fortuna è vano, sempio nome,

il posseder quel ch'ella dona è vano,

e sanza frutto affanno se ne prome.                                                    75

Odirai come: se 'l mio dire istrano

è dalla verità, conceder puossi

che 'l seguir vizio sia al salvarvi sano.

Solamente da te voglio rimossi

sieno i pensier fallaci, se procede                                                       80

il mio parlar con ver, sì che tu possi

intier vedere come si concede

che quel che più al vostro intendimento

aggrada, più con gravezza vi lede –.

Allora risposi io: – E son contento,                                                    85

donna, d'udir, acciò ch'ogni mio errore

io riconosca, però ch'io chiar sento

nulla tenere esser grave dolore –.

 

 

CANTO XXXII

 

Incominciò costei allora a dire:

– Voi, terrestri animali, disiate

i voler vostri tututti seguire

mediante questa, la qual voi chiamate

Fortuna bona e rea, secondo ch'essa                                                   5

vi dà e tol mondana facultate.

In prima alcuni domandano ad essa

molta ricchezza, credendosi stare

sanza bisogno alcun possedendo essa.

Vaghi son altri sol di poter fare                                                          10

ch'avuti sieno in molta riverenza,

e tutti in ciò s'ingegnano avanzare.

In alcuni altri aver somma potenza

par sommo bene, e questo van cercando,

tanto gli abbaglia la vana credenza.                                                    15

Risplender altri si vanno ingegnando

di nobil sangue ed il nome famoso

o in crudel guerra o 'n pace pia cercando.

Tal è che crede l'esser copioso

di venereo piacer, ch'è van diletto,                                                     20

faccia essere felice e glorioso.

Vogliono alcuni, acciò che 'l lor difetto

del non poter si rivolga in potere,

ricchezza, e per poter porre in effetto

ogni libidinoso lor piacere;                                                                 25

alcun disia figliuoli, altri altre cose,

e questo intieramente hanno in calere.

Se forse una di queste hanno ritrose

al lor volere, qualunque s'è quello

ch'alcuna aver nell'animo propose,                                                     30

incontanente con il cor ribello

contra questa si turba ed essa dice

nemica, e forse fu defetto d'ello.

Intendi adunque e vedi che felice

costei non puote giammai fare alcuno,                                                35

posto che del mondan sia donatrice.

Non vedi non è, fu o serà nessuno

che di ricchezza abondi, che non sia

d'ogni riposo e diletto digiuno?

Continovo nel cuore vi si cria                                                            40

pensiero e cura di poter guardarle,

macchiato di nascosa tirannia.

Vedi dunque ora che bene è a adunarle,

poi che le insidie tutto 'l tempo teme

ed in più quantità voler recarle.                                                          45

Il povero uom di tal cosa non geme

né sonno perde di timor leggiero,

e sol del viver suo 'l pensiero 'l preme:

alla quale, a voler narrare 'l vero,

poco li basta, ma quel ricco avaro                                                     50

di molto aver non ha il disir intiero.

Me' puote ancora il ricco dar riparo

a gran fami e a gran freddi, ben che puro

le sente alcuna volta, o spesso o raro.

Or quinci segue al pover che sicuro                                                   55

vive di non cader, né spera mai

che caso fortunal li paia duro.

Ricchezza adunque, quando avien ch'è assai,

più fa indigente il suo posseditore,

con più pensier, con più pena e più guai.                                            60

Colui che vuol per dignitate onore,

vediam, se la Fortuna gliel concede,

s'egli avrà quello che disia nel core.

Or non agli occhi di ciascun che vede

è manifesto che si fan viziosi                                                              65

sì tosto come alcuna ne possiede?

Ma se per quelle forse virtuosi

ne ritornassero, i' consentirei

che tutti voi ne fosti disiosi.

E d'altra parte dignitate i rei                                                               70

fa manifesti, ed ogni lor mancanza

è conosciuta più ch'io non potrei

né parlar, né mostrar: dunque v'avanza

questa se vi si mostra allor turbata,

quando chiedendo state in tale erranza.                                              75

Beato alcun si diceria se data

fosse lor forse potenza reale,

non conoscendo 'l mal di ch'è vallata.

E questa podestà niente vale,

ch'ella non può fuggir il duro morso                                                   80

della sollecitudine, che male

a lei non faccia, né può dar soccorso

a quel noioso e rigido tormento

che di paura dà l'amaro sorso.

Togliendo questa cotal reggimento,                                                    85

pace vi dona dove guerra avreste,

e voi noi conoscete; onde, scontento

ogni uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste –.

 

 

CANTO XXXIII

 

– La nobiltà del sangue altri a costei

domanda, come se veracemente

procedesse sì fatto don da lei.

Oh quanto a domandare stoltamente

si muovon questi, se l'operazioni                                                          5

non seguono il disir della lor mente!

Colui che con perpetue ragioni

governa il mondo come sol fattore,

esse sol crea nelle sue regioni.

Ogni anima che nasce con amore                                                      10

è iguale, ché ella si muove da Lui

vegnendo lieta al generato cuore.

Considerando dunque che Costui

sia solo e falle egual, però vedemo

questo così gentil come colui,                                                            15

e perciò manifesto troveremo

che chi seguisse la diritta via

delle virtù, come da Lui avemo,

l'un come l'altro così gentil fia;

e chi da questa torce si può dire                                                        20

non uomo rozzo, ma che fiera sia.

A questi puo' tu dir che 'n gran disire

vien d'esser forse tenuti gentili,

e cercan ciò per lor vizi coprire.

Tieni ora mente e vedi quanto vili                                                       25

sien lor dimande, ché, s'ella concede,

superbi tornan dov'erano umili:

onde da questo poi spesso procede

ched elli scoppian niente tornando,

per che, s'ella nol fa, via men gli lede.                                                30

Tratto n'è alcun che con virtù operando

segue tal lode, ché di questa mai

torglile non potrà rota girando.

E chi la vuole in altro modo guai

va dimandando, e il modo gli è coperto;                                            35

e se ben guardi tu te n'avedrai.

Né ciò già lungamente è lor sofferto,

ché degno guiderdon dalla giustizia

etterna a lor in brieve è di ciò offerto.

Ed alcun altri son che gran letizia                                                       40

fanno, quando costei concede loro

lussuriando porre sua malizia

in operazione; e di costoro

il numero è infinito, i quai beati

si tengon più quanto più a tal lavoro                                                   45

libidine gli reca, i mal creati;

e se questo costei forse lor nega,

incontanente ver lei son turbati.

S'ella per caso copiosa spiega

tal grazia a' domandanti, in aspra pena,                                              50

non conoscendol essi, i tristi lega.

Vorriano alcuni aver la borsa piena

per poter comandar: oh quanto senno

poco costor per via malvagia mena!

Or credono che minaccevol cenno                                                    55

faccian le lor ricchezze: anzi 'l faranno

quegli a cui per guardarle suggetti enno.

Già veder puoi che i mortai poco sanno,

se per aver delle cose mondane

consumansi con non fruttuoso affanno.                                               60

In brieve adunque queste cose vane

dispareno qual vento, e dovereste

per ciò tener le vostre menti sane,

ognor veggendo quel ch'avien di queste,

come partendo e tornando tal volta                                                   65

l'anime or vi fan liete, or vi fan meste.

Costei, di cui parliam, s'a voi rivolta

con tristo viso vi si mostra spesso,

veder faravvi vostra speme stolta

(onde 'n tal mia ragion tutto aggio messo                                            70

quasi il poter su'), e vi dovria allegrare

e non porger dolor negandovi esso.

Nostro verace ed util ragionare

troppo si stenderia volendo intiero,

ciò che dir si porria, d'essa parlare.                                                   75

Di quanto ho detto basti, e con sincero

giudicio fa che 'l prendi, sì che forse

non traggi error del mio lucido vero.

Ogni parer che 'l rimirar ti porse,

di là vedendo, caccia e quel disio                                                      80

massimamente che di lor ti morse:

fisso mirando quello per che io

qua dentro ti menai, fa che col viso

segui ed il mio parlar col qual m'invio.

Ogni mondan valor vedrai conquiso                                                   85

in termine assai brieve: fa ch'ascolti

e che non sia dal tuo intender diviso

ciò ch'io qui appresso ti dirò di molti –.

 

 

CANTO XXXIV

 

Horribilmente percuote costei –,

cominciò ella a dire, – chiunque sale

su la sua ruota fidandosi a lei;

onde ciascun, ch'è qui, per cotal male

piagnendo si rammarca, ed essa vedi                                                   5

che di tal pianto neente le cale.

Il suo tenor pur segue, e vuo' che credi

che rade volte aspetta 'l suo girare

quello ch'è stato d'uno a' terzi eredi

venga, ma con mirabile voltare                                                          10

dona a costui a quell'altro levando,

come vedi un salir, l'altro abassare.

Intento dunque quivi riguardando

tu veder puoi quella città caduta

che Cadmo fece, il bue via seguitando.                                              15

Potente e grande, più ch'altra tenuta

era ch'al mondo fosse, e tutta ad ora

di pruni e d'erbe la vedi fronzuta,

ruvinati gli ostier, né vi dimora

altro che bestie salvatiche e fiere,                                                       20

e quanto fosse grande parsi ancora.

locasta trista tu vi puoi vedere

ch'al figlio moglie misera divenne,

ben ch'avenisse senza il suo sapere;

e vedi que' che questa tutta tenne                                                      25

contra 'l voler del fratre, per cui questo

eccidio miserabile n'avenne.

Giace con lui in quel rogo funesto,

che quivi vedi, il fratel, ch'ambidui

fu l'uno all'altro uccider così presto.                                                   30

Oltre un poco più là vedi colui

che sovra 'l mur da Giove fulminato

fu, dispregiando ancor negli atti lui.

Con questi vedi Adrasto allato allato,

con gli altri regi che l'accompagnaro                                                  35

a quel distruggimento dispietato.

Vedi Tideo là, vedi il pianto amaro

che fer le meste ch'a più compimento,

in ristoro del duol, si consumaro.

Non t'è celato or quanto mutamento                                                  40

dal ben al mal fosse quel di costoro,

e quasi fu 'n un piccolo momento.

Pon mente poscia un poco dietro a loro:

Troia vedrai ed il superbo Ilione,

ch'a pena alcuna parte appar di loro.                                                 45

Ora non v'ha né tetto né magione,

ma qual caduto e qual arso si mostra,

come tu vedi, e sai ben la cagione.

Così costei con cui le piace giostra,

sempre abbattendo chi s'oppone ad essa;                                          50

ma perseguiamo alla materia nostra.

Or mira a piè della città depressa,

e vedi quel che già ne fu signore

quando da' Greci fu per forza oppressa:

Priamo dico, il cui sommo valore,                                                      55

la gran ricchezza, la fama e l'ardire

di molti figli e l'essaltato onore

raccontar non porriesi mai né dire;

questa arsa e' figli morti innanzi ad esso

tutti gli vide avanti 'l suo morire.                                                         60

Eccuba trista puoi vedere appresso

per doglia gir latrando come cane,

morte chiamando, che l'uccida, spesso.

Similmente anco di genti troiane

assai vi vedi in lago sanguinoso                                                          65

morte giacer, d'ogni possanza vane.

Tra gli altri puoi vedere 'l valoroso

ed il forte Ettor; né li valse niente

contro costei 'l suo vigor famoso.

Ivi Parìs ancor vedi, igualmente                                                         70

Troilo, Polidoro e Polissena

cruentosi giacere assai vilmente.

Agamennone insieme e la sua pena:

poi ch'è da Marte e Nettuno scampato,

vedi che Egisto li dà strema cena                                                       75

togliendoli la vita, lui ingannato

dal vestir fatto con froda fallace,

feminea, ove fu dentro avviluppato.

E vedi ancora il forte Achil che giace

morto nel tempio; e poscia vedi Enea                                                80

che Turno, il qual si credea stare in pace,

là indi 'l scaccia –. E appresso parea

Serse dolente e tristo nell'aspetto,

del passare Ellesponto ancor piagnea.

Oh quanto pien di furia e di sospetto                                                 85

Atamante teban, ch'uccise i figli,

quivi parea, bagnando con dispetto

nelle lor carni ancor i tristi artigli!

 

 

CANTO XXXV

 

– Tu puoi –, ricominciò la donna a dire,

– veder quivi Alessandro, ch'assalio

il mondo tutto, per velen morire;

e non esser però pien suo disio,

ma via più che mai fosse essere ardente,                                              5

e in tal ardor, come vedi, morio.

Lo qual fu quanto alcuno altro possente,

né però mai l'avria costei lasciato,

s'ello vivuto fosse, che vilmente

lui non avesse in infimo voltato                                                           10

della sua ruota; ma quel che costei

non fé, morte privollo d'ogni stato.

E poscia appresso puoi veder colei

che con Minerva combatteo qual stolta,

ch'ancor del fallo suo par dica omei.                                                  15

Come la vedi qui tutta raccolta

ne' suo' istracci, in ragnuol trasmutata

fu dalla dea per la superbia molta.

Trista appo lei rimira effigiata

la sembianza di Dario, la quale                                                          20

di lieto aspetto in tristo par mutata.

Oh come poco al presente li vale

essere stato grande! anzi gli è noia

or che si vede in disperato male.

Ài poscia udito quanta immensa gioia                                                25

avesse Niobè delli suoi figliuoli,

e agual qui pare di dolor si muoia.

Guarda più 'nanzi alquanto, se tu vuoli

altiera e insuperbita lei vedere,

ancora incerta di suoi tristi duoli;                                                        30

lor appo lei ad uno ad un cadere

morti dintorno ancora vederai,

per alterezza e suo poco sapere.

In trista angoscia ed in amari guai

lei vedi quivi ritornata umile,                                                              35

senza suo pro di sé piagnendo assai.

Appresso vedi quel che con sottile

maesterio dei padre uscì volando

del Laberinto; ma tenendo a vile,

molto superbo, ciò che maestrando                                                   40

il padre gli avea detto, per volare

troppo alto, cadde, l'ali sue spennando.

Ora sommerso misero ondeggiare

tu il vedi là nelli salati liti:

questo avien sol per consiglio sprezzare.                                            45

Riguarda poi più là: vedi smarriti

il fiero Cirro e Persio; ne' sembianti,

l'ardir perduto, paiono inviliti.

Or mira ancora a mano a man da quanti

uccelli il corpo di Nabùch è roso,                                                      50

temendo 'l figlio che per tempo avanti,

sorgendo del sepolcro, furioso

non ritornasse e lui cacciasse fuore

del regno, ove viveva glorioso.

Ivi non vedi, ancora il gran romore                                                    55

che fanno le figliole di Piero

voltate in piche per greve dolore?

Veggon sanza lor pro chiar or quel vero

ch'a lor superbamente s'occultava

nel lor parer fallace e non intiero –.                                                    60

E quivi appresso costei mi mostrava

Cartagine in ruina, tutta accesa

d'ardente fuoco che la consumava.

Riguardar quella con sembianza offesa

mi dimostrò la donna Scipione,                                                          65

al cui valor non poté far difesa.

Seguiva con non poca ammirazione

Annibale, turbato nell'aspetto

o di quella o di sua distruzione.

In abito dolente e con sospetto                                                          70

quivi Asdrubale ancora si vedea,

con capo basso mirandosi 'l petto.

Là similmente veder mi parea

la distruzion dell'antica cittate

di Fiesole, la qual tutta cadea.                                                           75

Ivi pareva la gran crudeltate

che 'l pistoiese pian sostenne pieno

per Catilina, l'opre cui spietate

quasi narrando non verrien mai meno,

avenga ch'a ragion posto li fosse                                                        80

nella sfrenata bocca propio freno.

Vedevanvisi ancora le percosse

che Mario da Lucio già sostenne,

quando la briga cittadina mosse.

A quei così, come a colui n'avenne,                                                   85

possa avenir, che nelle città loro

a suscitar battaglia metton penne,

lasciando il comun ben per suo lavoro.

 

 

CANTO XXXVI

 

– Intento ora ti volgi a riguardare

la vendetta di Dio, che non oblia

mai fallo alcun che si debbia purgare.

Se 'n parer posto forse ad alcun fia

ch'ella proceda sol con lento passo,                                                     5

non è così, ma quel troppo disia;

o se va forse adagio al reo che lasso

aspetta quella per la fatta offesa,

non giova già, ché più greve fracasso

segue per quell'indugio: sì compesa                                                    10

al fatto fallo, sì che igualemente

da ogni parte la bilancia pesa.

Pon mente là a colui che sì vilmente

veste e si tien la mano alla mascella,

mostrando nel sembiante esser dolente –,                                          15

incominciò colei, – oh quanto fella

fu l'aspra signoria che 'n Siracusa

tenne, mentre per lui si guardò quella!

Nel tempo avanti che li fosse chiusa,

tiranneggiando fieramente in essa                                                       20

senza ricever mai priego né iscusa,

tenea la gente sotto 'l piè sì oppressa,

ch'ognun piagneva e dicer non osava

sua voglia, per timor di piggior ressa.

Oh come orribil li tiranneggiava!                                                        25

e 'l fiero Dionisio fu chiamato

per tal fierezza la qual egli usava.

Così gli avenne che ne fu cacciato

con tanta noia e con tanto furore,

ch'a lui parve aver vinto esser campato.                                             30

Onde fuggendo ad Atene, il dolore

mitigato, pensò, per non morire

di fame, farsi in lettere dottore.

Nol vedi tu che là fa libri aprire

a' fanciulli e col dito mostra loro                                                        35

come una lettra l'altra de seguire?

Poi guarda avanti nel dolente coro,

e vederai Tessaglia cruentosa

del roman sangue e piena di gran ploro.

Or fisso mira, e vedi isconcia cosa                                                     40

tanti uomini eccellenti e gloriosi

esser sommessi a ruina angosciosa.

Simile guarda come son macchiosi

gli alberi là del sangue che portati

v'hanno li piè delli uccelli gulosi,                                                         45

i quai prima si son ben satollati

de' corpi morti, che senz'alcun fuoco

o sepultura stanno ivi prostrati.

Fra folti boschi o tane o altro loco

leon né lupo né can par rimaso                                                          50

che non si pasca quivi o molto o poco.

Ondeggiar vedi per il campo invaso

gonfiati i fiumi, ed ispurnanti e rossi

di sangue umano. ah doloroso caso!

Riguarda là Pompeo co' volti dossi                                                    55

che fuggendo abbandona il campo tristo,

e vedi ancor come a Lesbo posossi.

Se poi rimiri, con sembiante misto

di lagrime Cornelia accoglier lui

vedrai, poi che sconfitto l'ebbe visto;                                                 60

e vedi ancor come quindi con lui

si parte e vanne per mar in Egitto,

fra sé pensando almanco che 'l re lui

dovesse ivi ricever, per respitto

del regno ch'ottenuto per lui avea:                                                      65

voleal ragion, ma 'l pensier non fu dritto –.

Avanti mi mostrò, dov'io vedea

come scendea di suo legno Pompeo,

perché carico troppo li parea,

di quello entrando 'n un che Tolomeo                                                70

per il nefario Achilla con Fotino,

sotto spezie d'onor, menar li feo.

In quello già posato, ah fier distino!

i traditori, alquanto indi lontani,

presero lui, quasi al suo mal divino:                                                    75

subito il degno capo l'empie mani

tagliaroli ed il tronco in mar gittaro,

e quel al re portaron li profani.

Ivi pareva ancora il duolo amaro

che Codro fea vedendo privo il busto                                                80

del capo, ch'ai Roman fu tanto caro.

Onde dolente, povero e vetusto,

pigliato quel con pietose maniere

di notte e in picciol rogo poi combusto,

sotterralo secondo il suo possere                                                       85

nel marin lito, ah troppo indegno scelo!

di vil sabbion, ché piramidi altiere

il suo sepolcro esser doveano al cielo.

 

 

CANTO XXXVII

 

Vedevavisi appresso quanto e quale

già fosse stato Cesare, tenendo

primo in la patria ufficio imperiale.

Oh quanto poco questo possedendo

si vedea gloriar! ché poi prostrato                                                       5

tra' senatori si giacea morendo.

lui avendo essi già tutto impiagato

con loro stili, e quello era il piggiore

cui elli avea tra l'altri più onorato.

E simile la rabbia e il gran furore                                                        10

di Neron si vedeva terminare

in poco tempo con assai dolore.

Risplendea ancora ciò di singolare

che Giuba fece mai, ed ivi appresso

dopo il salir il suo presto calare.                                                        15

Tarquin, Porsenna e Lentulo dop'esso,

Tullio, Gallo ed Ovidio si vedieno

ed altri molti, i quali con ispresso

riguardo non mirai, perché già pieno

di tal materia aveva l'intelletto:                                                           20

tanti cran ch'a ridirli i' verrei meno!

–O beato –, diss'io, – quel che l'affetto

ad altre cose pone e non a queste,

le quali loro stato hanno imperfetto!

Più vili ch'altre sono e più moleste,                                                     25

piene d'inganno e di pensier gravoso,

e la lor fine è mortifera peste –.

Poi mi voltai al viso grazioso

di quella donna che m'avea condotto,

dicendo: – Il mio voler, che fu ritroso,                                                30

ora è tornato fermo, e già non dotto

che questi ben terren son veramente

quei ch'a' vizi ciascun mettono sotto.

Nessun porria pensar che tanta gente,

così famosa e di tanta virtute,                                                            35

Fortuna avesse oppressa sì vilmente.

Fosse chi nol vedesse? o chi salute

omai qui spererà, se non coloro

che le vere ed etterne han conosciute?

Il più far quivi sì lungo dimoro,                                                           40

donna, mi spiace: però giamo omai

dove volete, e qui lasciam costoro.

Allor ella rispose: – Ora t'è assai

aperto che costei esser turbata

vi dà salute e lagrimosi guai?                                                              45

Ma se tu fossi stato già altra fiata

così disposto, come ora ti sento,

ambi saremmo in capo alla montata.

Ma poi che di seguirmi sei contento,

veduto avendo le mondane cose                                                        50

volubili e via più vane che vento,

appresso viemmi, ché le gloriose

ed etterne vedrai. Ma non torniamo

onde venimmo, per le 'mpetuose

tralciute vie, ma di qua teniamo,                                                         55

ché picciola rivolta alla portella

prima ci menarà, che noi vogliamo –.

Ora si mosse questa ed io dop'ella,

di quelle cose molto ragionando

ch'eran dipinte nella sala bella.                                                           60

Ognor seguendo lei, così mirando

intorno a me per veder ciò che vi era

e nella mente ogni cosa recando,

sì vi vid'io, per una porta ch'era

alla sinistra mano, un bel giardino                                                       65

fiorito e verde qual di primavera.

– Entriam –, diss'io, – là in quell'orto vicino,

se piace a voi, ché ricreati alquanto

ripigliaremo poi nostro camino –.

Là dentro udiva feste con bel canto,                                                  70

ond'esser lì bramava tanto anch'io,

che mai alcuno altri non bramò cotanto.

Mirandomi allor dopo, vi vid'io

i duo primier che dicean: – Che, non passi

dentro, poiché ardi di vedere? – ed io                                               75

infra me gia dicendo: «Se tu lassi

costei per colà entro voler gire,

s'ella non vien, chi guiderà tuoi passi?».

– Oh –, cominciò costei allora a dire,

– che credi tu che colà dentro sia?                                                     80

troppo ti volge ogni cosa al disire.

Facciam, mentre avem tempo, nostra via,

ché, come tu costà pinto hai veduto,

così vi è dentro mondana vania.

Il ver ch'ora davanti conosciuto,                                                        85

secondo 'l tuo parlar, avevi tutto,

seguilo, e non voler con non dovuto

operar seguir danno e perder frutto –.

 

 

CANTO XXXVIII

 

Cominciai io allora: – A te che face

l'entrar là dentro ed un poco vedere?

Io verrò poscia là ovunque ti piace –.

– Or veggio ben che tu ogni tuo parere

vuo' pur seguir in ciascheduna cosa                                                     5

e fai quel che tu vuoli a me volere –.

Così mi disse, e quasi dispettosa

soggiunse: – Andiam, ché potrà sì seguire

che quando forse tu in più perigliosa

angoscia ti vedrai, vorrai redire                                                          10

con meco adietro e non esser forse ito,

ed io ti lascerò col tuo disire –.

Non fu il parlar suo allora da me udito

per poco, tanto perché avea la mente

pur al giardin verdeggiante e fiorito.                                                   15

Tutti quattro vi entrammo parimente:

tanta gioia vi vidi, che ciò ch'io

mirai dinnanzi via m'uscì di mente.

Ahi quanto 'gli era bello, al parer mio,

quel loco, per cui quanto era contento                                               20

dentro da me l'ardente mio disio!

Rimirando n'andava intorno attento

per lo gioioso loco, scalpitando

l'erbette e' fiori col mio passo lento.

Sì con diletto per il loco andando                                                      25

vidi in un verde e piccioletto prato

una fonte di magister mirando.

Io m'appressai a quella, e d'intagliato

candido marmo vidi assai figure,

ognuna in diversa aria ed atto e stato.                                                30

Mirando quelle, vidi le scolture

di diversi color, come compresi,

qual belle e qual lucenti e quali oscure.

Vedeasi ivi un bel marmo; e quel sedesi

sovra la verde erbetta, di colore                                                        35

porpureo tutto, e 'n su quella stendesi

in piano e non di architettura fuore;

era in misura una canna per verso,

quadro ma basso e di vago splendore.

Sovra ogni angol di quel nitido e terso                                               40

di marmo una figura si sedea,

e ciascheduna aveva atto diverso,

che più meravigliosa opra facea.

L'una di queste lì duo spiritelli

con la sinestra a piè di sé tenea:                                                         45

habituati, parlando con quelli,

gli aveva 'n un voler così recati,

ch'è ciaschedun contento di quel ch'elli

all'altro vedea 'n voglia; e colorati

eran gli suoi vestir di vario e tale                                                        50

color, che non gli arei unqua avisati.

Nell'altro canto, a man destra, ch'eguale

spazio occupava, una donna vi stava

ad ogni creatura disiguale.

Ella nel capo suo quivi mostrava                                                        55

tre visi, e vestia vesti bianche e chiare:

come di neve pura biancheggiava.

Là vid'io poi nel terzo angolo stare

una donna robusta tutta armata,

ogni agro affanno presta diportare.                                                    60

Parea di ferro questa ivi formata

ed era pur marmorea; e poi seguia

un'altra sovra il quarto angol fermata.

Rimirando colei ognun diria

che d'oriental smeraldo fatta fosse,                                                    65

in vista dolce, mansueta e pia.

Or quel che più al mirarle sì mi mosse

fu un vaso porporino, grande e bello

cui tutte sostenean con le lor posse.

Fermato sovra loro, il bel vasello                                                       70

più del sanguigno marmo si splendeva

sopra del verde e florido pratello.

Egli era tondo, e 'n mezzo di sé aveva

fermata una colonna piccioletta

che di diamante in vista mi pareva.                                                     75

Ritorto in foglie, sopra quella eretta,

un capitel vedeasi di fin oro,

fatto di corinziaca arte perfetta;

e sovra quel tre statue dimoro

faceano ignude, e le spalle rivolte                                                       80

erano l'una all'altra di costoro.

Rideva l'una in atto, ben che molte

lagrime fuor per gli occhi ella gittasse,

che poi nel vaso si vedean raccolte.

Bruna era e nera; e poi che somigliasse                                              85

foco pareva l'altra e d'una poppa

acqua gittava; e la terza sopr'a sé

rampollava anche, e bianca era non troppa.

 

 

CANTO XXXIX

 

Oh quanto bella tal fonte pariami

e quanto da lodar, tal che giammai

di mirarla saziato non sariami,

com'io giù al basso al vaso riguardai,

dove l'acqua cadea ch'era gittata                                                         5

da quelle tre, ch'istreme vi notai;

ove conobbi aperto ch'adunata

era da parte quanta ne gittava

la biancheggiante donna effigiata.

Onde uscia quella del vaso vi stava                                                    10

un capo d'un leon, che inver levante

con picciol fiume il bel giardin rigava.

Tolto di quivi e fattomi più avante,

ciò che la donna vermiglia spandea

nel vaso vidi fare il somigliante.                                                          15

Rimirando esso ancora vi vedea

di tauro un capo figurato al vero,

dal qual l'acqua adunata fuor scendea;

oltre ver mezzogiorno il suo sentiero

tenendo, mi parea che se n'andasse                                                   20

anch'ei rigando il piacente verziero.

Poi parve che 'l disire mi tirasse

inver la terza donna tutta nera

che ridendo parea che lagrimasse.

Parevami che come adunato era                                                        25

suo lagrimar nel vaso discendesse

di lupo fuor per testa al veder fiera;

ove girando l'occhio par vedesse

che l'acqua rampollante se ne gia

or qua e or là, né parea che tenesse                                                   30

en l'andar suo nulla diritta via:

ad aquilon talor e ver ponente

scendendo, non so dove si finia.

Ciò che dal leon cade soavemente

dico che corre, e sovra li suoi liti                                                        35

d'erbe e di fior fa 'l prato suo ridente.

Herba non v'ha, né frutti che smarriti

temano dell'autonno, ma tuttora

con frutti, fronde e ramoscei fioriti

ivi odorante prato vi dimora,                                                             40

stellato e pinto di variati fiori,

né mai d'estate o verno si scolora.

A que' 'l ruscello, che dal tauro fuori

cade di bocca, similmente è bello

d'erbe fiorite in mille bei colori,                                                          45

ripieno il lito suo d'ogni arbuscello

che produr possa amabile verdura,

simil di canti d'ogni soave uccello.

Odesi alcuna volta en la pianura

le tremol frondi risonar per vento                                                       50

dolce spirando da quell'aer pura.

Ogni pratel di quel lito è contento

di mutar condizione a tempo e loco,

secondo c'ha vigore acceso o spento.

Rallegravisi ogni animal in gioco                                                         55

vago scherzando, perché amore 'l stringe

sotto sua forza sempre o molto o poco.

Ovunque la natura più dipinge

la terra di bellezza, ella a rispetto

di questa è nulla che quel fiume tinge.                                                 60

Così veduto quel, con l'intelletto

al terzo andai che fuor del lupo usciva:

ov'io non vidi un albero soletto

o altra pianta, la qual verde o viva

vi sia, ma secca la pianura trista                                                         65

biancheggiar tutta all'occhio si scopriva.

Aveva ben del fiumicel la lista

tinta la terra d'un suo color perso,

che quasi lo schifava la mia vista.

Mossemi allora quindi, ed a traverso                                                 70

presi il sentiero per il bel giardino,

per gir del tauro al fiumicello emerso.

E quella donna con cui il camino

io presi prima, disse: – S'el ti piace,

andiam per questa via, ché più vicino                                                 75

ne fia 'l sentier che su ci merrà a pace.

Dove tu vai, come tu hai veduto,

è del ben transitorio e fallace;

del qual se tu ti sei bene aveduto,

come dicevi e come 'l tuo parlare                                                      80

mostrava che l'avessi entro veduto,

a quel non guardaresti, ma anzi andare

il lasciaresti come cosa vana

e intenderesti al sol me seguitare.

Trae di mente tua quello che insana                                                   85

esser la fa, gioviti quel ch'io dico,

e per quel falla che ritorni sana:

e non esser di te stesso nemico –.

 

 

CANTO XL

 

La donna mi parlava, ed io mirando

con l'occhio andava pur ove 'l disio

mi tenea fitto, non so che ascoltando.

Avea davanti al mormorio d'un rio

su verde riva assai donne vedute,                                                        5

cui rivedere in tal voglia venni io,

ch'io dissi: – Donna mia, da mia salute

non pensar più mi stoglia, a tempo e a loco

cercarò d'operar la tua virtute;

ch'ora di nuovo m'è nel cor un foco                                                   10

venuto d'esser là: però o tu vienci,

o tu m'aspetta infin ch'io torni un poco.

In qual parte vorrai poi insieme andrenci:

nostra stanza fia poca veramente,

che noi da veder quelle liberrenci –.                                                   15

Oltre m'andai, senza dir più niente,

co' duo che mi traevano, e costei

quasi sdegnata mi teneva mente

con intentivo sguardo, ed io a lei;

sanza dir nulla la vi pur lasciai,                                                           20

o bene o mal non so qual io mi fei.

Hor oltre con costor tosto passai

in su la riva del bel fiumicello

ov'eran donne ch'io conobbi assai;

e riguardando lor con occhio isnello,                                                  25

qual gia cantando e qual cogliendo fiori,

chi sedea, chi danzava in bel pratello.

Bell'era il loco e di soavi odori

ripien per molte piante che 'l copriano

dal sole e dalli suoi già caldi ardori,                                                    30

e cavalli di cui forti saliano

già sovra la quarta ora, e 'n mezzo 'l segno

del frisseo monton co' pie teniano.

Non credo sia così sublime ingegno

che intieramente potesse pensare                                                       35

le bellezze di quelle ch'io disegno.

Rimanga dunque qui questo lodare,

sol procedendo a' nomi di coloro

ch'io vi conobbi degne di nomare.

Infra quel bello e grazioso coro                                                         40

di tante donne, vidi una bellezza

ch'ancora stupefatto ne dimoro.

Pietoso Apollo, alquanto dell'altezza

del tuo favor mi presta, o ver m'ispira

l'avida mente con tua sottigliezza.                                                       45

Omero e Maro, e chi di lor più mira

descrizione o di donna o di dea

mai fece, è poca a quella che si gira

sovra quel prato, ov'io vidi sedea

giovine leggiadretta e tanto bella                                                        50

ch'io la pensai per fermo Citarea.

Inginocchiaimi per volere ad ella

far riverenza, ma poscia m'avidi

ch'era mortale e somigliava stella.

Sallosi Amor che i sospirosi gridi                                                       55

del cor sentì a così mirabil vista,

ch'io nol so dir, ché non ho chi mi guidi,

e s'io conforto pur l'anima trista

poi che per gli occhi senti' il dolce raggio

di tal bellezza, per oblica lista                                                            60

in lei mirando, sotto un verde faggio;

se liber fosse 'l cor mio ch'altra guarda,

a lei darial, né sarei men saggio.

Nel viso che d'amor sempre par ch'arda

affigurai, guardando con diletto,                                                         65

che costei era la bella lombarda.

Signor etterno, ch'ogni nostro affetto

conosci con tua intelligenzia vera,

di lei formasti mai più bell'aspetto?

Essa sopra la verde primavera                                                           70

si riposava con altre dintorno,

delle quali il bel luogo ripien era,

faccendo con la luce del suo adorno

e bellissimo viso, riflettendo,

lì più che non è altrove chiaro il giorno.                                              75

Rimirava talor, fra sé ridendo

ver me di me, ch'arso mi raccendeva

di nuova fiamma ancora lei vedendo.

Udire appresso questa mi pareva

cantar tanto soave in voce lieta,                                                         80

che me di me sovente mi toglieva.

Così a quel canto libera e quieta

tutta la mente avea disposta,

allora che con voce benigna e mansueta:

– Troppa qui lunga dispendian dimora –,                                           85

i duo mi disser; a' quai rivoltato

risposi: – Andiam, se così vi pare, ora –.

Oltre la via prendemmo per il prato.

 

 

CANTO XLI

 

Oltre passando tra' fiori e l'erbette,

di rose, gelsomini e d'albuscelli

in loco pien venimmo per vie rette;

fra li quai canti d'amorosi uccelli

s'udivan tali, ch'io mi saria stato                                                           5

quasi contento pur all'udir quelli.

Or mirando più là nel verde prato,

donne vi vidi una carola fare

a un strano suono, ch'ivi una dallato

ritta con atto bel scorsi formare;                                                        10

io non conobbi lei, posto ch'assai

bella paresse a me nel rimirare.

Subito innanzi all'altre riguardai,

ornata quale a sua somma grandezza

si convenia, pien d'amorosi rai,                                                          15

esser la rara e piacevol bellezza

di Perigota, nata genitrice

dell'onor di Durazzo e di sua altezza.

Ahi quanto allor mi riputai felice,

non tirando a mirar gli occhi da quella                                                20

che per bellezza si può dir fenice!

La qual non donna, ma Diana bella,

con passo rado la menava attenta,

non altrimente che si voleva ella.

Con gli occhi bassi esser parea contenta                                            25

del mio mirare in lei, che già sentia

come d'altrui biltate si diventa.

Vaga e leggiadra molto la seguia

la ninfa fiorentina, al cui piacere

oppongon quei, che non san che si sia,                                              30

nel viso suo le grazie esser altiere,

onesta andando e sì mansuetamente

ch'oltra ragione entrai di lei 'n calere.

Dopo essa, attenta al suono, umilmente

venia la bella Lia che trasse Ameto                                                    35

dal volgar uso dell'umana gente,

in cui vedeasi il cuor tutto quieto,

inghirlandata di novella fronda,

con vista dolce e sguardo soave e lieto.

Lì dopo Lia, e bianca e rubiconda                                                     40

quanto conviensi a donna nel bel viso,

gentil, onesta, leggiadra e gioconda,

era colei di cui nel fiordaliso

il padre dall'astuzia volpina

col zio e col fratel di le' fu ucciso                                                       45

con molti della gente fiorentina,

li quai rubaron lor; poscia, per merto,

ebben più che 'l dover pace vicina.

Tra tanto ben, quanto a' miei occhi offerto

era 'n quel loco, vidi poi seguire,                                                        50

come 'l rammemorar me ne fa certo,

ognor più belle e più conte nel gire

donne altre assai, li nomi delle quali

io non saprei di tutte ben ridire;

però le taccio, ma con disiguali                                                          55

passi e maniere si movea ciascuna,

sì come 'l suon ne porgeva segnali.

Onde, mirando, certo ciascheduna

atta a cotal bisogna lieta e presta

giudicai fosse al tutto; e poscia ognuna,                                              60

ridendo in sé, prendeva gioia e festa,

senza mostrar negli atti ch'altra cura

le fosse forse dentro al cor molesta.

Givansi adunque su per la verdura

e sovra i fior che nuovi produceva                                                     65

ognor per più onorarle la pianura;

e talor quella che le conduceva

fino alla bella fonte se ne giva

e intorno ad essa in giro si volgeva,

sopra tornando della chiara riva                                                         70

del fiumicello e poi nel pian girando

che di diversi odori soave oliva.

Sempre con l'occhio quelle seguitando

lento io n'andava, e dentro l'intelletto

lor gran bellezza giva immaginando;                                                   75

e di quelle prendea tanto diletto

in me, ch'alcuna volta dottai ch'io

a tal piacer non facessi subbietto,

a mal mio grado, il vacillante mio

libero arbitrio: ma pur si ritenne                                                         80

con ragion vinto il fragile disio.

Voltatomi a que' due, allor mi venne,

ch'eran con meco, dicendo ver loro:

– Oh quanto a queste natura sovenne,

ogni bellezza componendo in loro!                                                     85

Beati quei che son di grazia degni

fatti appo quelle: io più d'ogni tesoro

l'estimarei e via più de' persi regni! –.

 

 

CANTO XLII

 

E mentre ch'io n'andava sì parlando

con questi due, ecco poi in l'altra parte

molte donne gentili assai danzando.

Certo non credo che natura ed arte

bellezze tante formasser giammai,                                                        5

quante io ne' visi a quelle vidi sparte.

Tra me medesmo men meravigliai,

ma volto il viso a lor, come venieno

così nella memoria le fermai.

Onde mi par che quella, cui seguieno                                                 10

danzando a nota d'una canzonetta

che due di quelle cantando dicieno,

raffigurando, era una giovinetta

dell'alto nome di Calavra ornata,

di Carlo figlia vaga e leggiadretta,                                                      15

reggendo quelle alla nota cantata

con volte degne e passi, a cotal danza,

come mi parse, appresso seguitata

ivi dall'alta ed unica intendanza

del Melanense, che col Can lucchese                                                 20

abbatte di Cardona l'arroganza.

Nella man della qual poi la cortese

donna di quel cui seguita Ungheria,

bellissima si fece a me palese:

graziosa venendo, onesta e pia,                                                         25

con lieta fronte, in atto signorile,

fece meravigliar l'anima mia.

Riguardando oltre, con sembianza umile

venia colei che nacque di coloro

li qual, tal fiata con materia vile                                                          30

aguzzando l'ingegno al lor lavoro,

fer nobile colore ad uopo altrui,

moltiplicando con famiglia in oro.

Tra l'altr'è nominata da colui

che con Cefàs abbandonò le reti                                                       35

per seguitar il gran Mastro, per cui

i tristi duoli e gli angosciosi fleti

fur tolti a' padri antichi, e parimente

da Lui menati su ne' regni lieti.

Appresso questa assai vezzosamente                                                 40

se ne veniva la novella Dido,

di nome, non di fatto veramente,

tenendo acceso nel viso Cupido,

sposa di tale che assai mal contenta

credo la faccia nel marital nido.                                                         45

Ed il nome di lui di due s'imprenta,

d'un albero e d'un tino, e il poco fatto

dal suo diminutivo s'argomenta.

Costei seguiva con piacevol atto

donna che dei sussidio d'Arione                                                        50

il nome tien, quando suonò per patto.

Oh quanto ella vorria, ed a ragione,

vedova rimaner partenopea

di tal c'ha nome da quel che menzione

l'agosto dà ad Ascesi! E poi vedea                                                    55

dopo essa molte, le quai raccontare

per più brieve parlar meglio è mi stea.

E com'io dissi, ad un dolce cantare,

composto in voce angelica e sovrana,

era guidata, qual di sotto pare.                                                          60

– In chiunque dimora anima sì vana

che suggetta non voglia essere a Amore,

da nostra festa facciasi lontana.

L'immenso e glorioso suo valore,

che genera virtute e gentilezza,                                                           65

a ciascuna di noi disposto ha il core

a sempre seguitar la sua grandezza,

e lui servendo staremo in disire,

tanto che sentirem quella dolcezza

ch'altrui concede dopo 'l fier martire:                                                 70

null'altra doglia al suo bel dono è iguale,

poiché per quello par dolce 'l morire.

Vita ch'è senza amore nulla vale,

non altrimente che se quella fosse

priva di senso o di bruto animale.                                                      75

In quel disio adunque in che ci mosse,

quando a noi fè sua signoria sentire,

a sostener inforzi nostre posse.

Benigno poscia facciaci fruire

suo ben, che non ci paian le ferute                                                     80

di lui noiose e grave il sofferire,

in cui consiste ogni dolce salute:

quando paralli la dobbiamo avere,

diacila tosto con la sua virtute –.

L'altre poi tutte appresso, al mio parere,                                            85

rispondendo diceano: – O signor nostro,

in te si ferma ogni nostro volere,

tutte disposte siamo al piacer vostro –.

 

 

CANTO XLIII

 

Aveami già quel canto e la bellezza

delle giovani donne l'alma presa

e tutta piena di nuova allegrezza,

tanto ch'ad altro la mente sospesa

con gli occhi non tenea, che non faceano                                             5

alli raggi di lor nulla difesa ;

e com'io loro alzai, vidi sedeano

donne più là, sé quasi riposando,

che forse fatta festa innanzi aveano.

Queste, mentre io andava riguardando,                                              10

d'erbe e di frondi tutte coronate

vidi ed insieme d'amor ragionando.

Ver è ch'ell'eran di maturitate,

di costumi, di senno e di valore

e di bellezza sommamente ornate.                                                      15

E volto verso là, quel primo ardore

della bellezza dell'altre fu spento,

di tutte, fuor che d'una, nel mio core;

sì ch'io con passo mansueto e lento

a quelle m'appressai come potei,                                                       20

ed a mirarle mi disposi attento.

Tra l'altre ch'io prima conoscei,

fu quella ninfa sicula per cui

già si maravigliaron gli occhi miei.

Oh quanto bella lì negli atti sui,                                                          25

biasmando assai le fiamme di Tifeo,

si sedea ragionando con altrui!

mostrando quelle per cui già perdeo

l'amato sposo, in cieco marte preso,

allor che tutto vinto si rendeo                                                             30

in Lipari lo stuolo, ond'elli offeso

col bianco monte nel campo vermiglio

ne fu menato, ond'ancora è difeso,

mutando in chiusa dell'aureo giglio,

donde doleasi, perché a lui riavere                                                     35

non valean preghi, denar, né consiglio.

Ove costei così qui, al mio parere,

doleasi, molto attenta l'ascoltava

giovine donna con belle maniere,

simile a cui nessuna vi ne stava,                                                         40

per quel ch'a me paresse, nel suo viso

che di grazie e biltà pien si mostrava.

Sariesi detto che di paradiso

fosse discesa da chi intentamente

l'avesse alquanto rimirata fiso.                                                           45

E come seppi, ella era della gente

del Campagner che lo Spagnuol seguio

con la cappa, col dire e con la mente,

a sé faccendo sì benigno Iddio,

che d'ampio fiume di sappienzia degno                                              50

si fece, come chiar poi si sentio,

faccendo aperte coi suo chiaro ingegno

le scritture nascoste, e quinci appresso

da Carlo pinto gì nel divin regno;

faccendo sé da quella, in cui già empresso                                         55

stette Colui che la nostra natura

nobilitò, nomar, che poi l'eccesso

absterse della prima creatura

con la sua pena; e quivi coronata

della fronda penea, con somma cura                                                  60

raggiungea fiori per farsi più ornata;

mostrandosi tal volta assai pietosa

della noia dell'altra a lei narrata.

Con lei era colei ch'essere sposa

e figliuola perdé quasi 'n un anno,                                                      65

di brun vestita, nel viso amorosa:

oggi tornando dove i fabbri stanno

volcanei e' miropoli e coloro

ch'ornan di freno e di sella, all'affanno

me' sostener l'animal, ch'al sonoro                                                     70

percuoter di Nettuno apparve fuori

nel bel conspetto del celeste coro.

Ed il bel nome che i gemmier maggiori

danno alla perla è suo, il cui cognome

gli Asini legan, di que' i guardatori.                                                     75

Splendida, chiara e bella era sì come

nel ciel si mostra qual più luce stella,

di vel sottil coperte l'auree chiome.

Valga più ch'altra, si sedea con ella

un'altra fiorentina in atto onesto,                                                        80

di biltà assai superiore a quella.

Ben m'accorsi io chi era e che da' sesto

Cesare nominato era il marito,

qual chi 'l conosce il pensa a lei molesto.

Guardando adunque nel piacente lito                                                 85

costoro ed altre che v'erano assai,

sentiva ben da me mai non sentito,

in guisa tal ch'io men maravigliai.

 

 

CANTO XLIV

 

Era più là, di donne accompagnata,

la Cipriana, il cui figliuolo attende

d'aver la fronte di corona ornata,

con quell'onor ch'ad essa ancor si rende

dell'isola maggior de' Baleari,                                                              5

se caso fortunal nol gliel contende.

Tra le quali era, in atti non dispari

della gran donna, un'altra tanto bella,

che mi fur gli atti suoi più ch'altro cari.

Ognuna quivi riguardava ad ella                                                         10

per la sua gran bellezza, ed io con loro

perché già 'n me riconosceva quella.

Ella è colei di cui 'l padre nell'oro

l'azzurro re de' quadrupedi tiene

nel militare scudo, e tra coloro                                                           15

posata stassi, come si conviene,

isposa d'un che la fronzuta pera

d'oro nel ciel per arme ancor ritiene.

E con queste a seder bellissim'era,

simil nel viso a una celeste dea,                                                          20

la sposa di colui che la rivera

rosseggiar fé di Lipari, eolea

isola, poi togliendo in guiderdone

l'amiraglia da chi dar la potea.

Con esse queste ancora ad un sermone                                             25

conobb'io quella che fu tratta al mondo,

onde fuggita si era in religione,

honesta e vaga nel viso giocondo,

moglie di tal che me' saria non fosse:

ma chi sia più non mosterrò del fondo.                                               30

E l'altre oltre mirando, mi percosse

un non so che, che tutto quasi smorto

subito altrove gli occhi e me rimosse.

Venendo così men senza conforto,

tremando tutto, mi ritorna' a mente                                                    35

ch'io vidi 'n una parte di quell'orto,

onesta, bella, altiera umilemente,

una donna sedere il cui aspetto

tutto dintorno a sé facea lucente.

In questo alquanto nel tremante petto                                                40

con forza ritornò l'alma smarruta,

vigor rendendo al debite intelletto.

Così mi ricordai che già veduta

avea costei fra quelle donne prima

e 'n altra parte ancora conosciuta.                                                     45

Onde se sua bellezza la mia rima

al presente perfetta qui non dice,

è sol perché troppo alta esser l'estima;

sentendo l'alma mia ch'uomo felice

mirando quella dovria divenire,                                                          50

altro che 'l lei mirar mi contradice.

Tenendo mente lei, sommo disire

d'entrar mi venne dentro a quel splendore

che detti suoi bei occhi vedea uscire;

e 'n ciò pensando subito nel core                                                       55

punger sentimmi, e quasi in un momento

mi ritrovai nel splendido folgore.

Ivi pareami al tutto esser contento,

e quasi tra me stesso non credea

che mio fosse sì nobile ardimento.                                                     60

Ma l'esser ivi stato mi parea

tanto che quattro via sei volte il sole

con l'orizonte il ciel congiunto avea.

E come nell'orecchia talor suole

subito dolce suon percuoter tale                                                        65

che quello udendo poi le piace e vuole,

così mi venne un suono aspro, cotale

che spaventommi con piacente scorno,

né mi fé già, ben ch'io temesse, male:

–O tu –, dicendo, – che nel chiaro giorno                                          70

godi del lume della luce mia,

ch'a te vago si raggia intorno intorno,

non ischernir con gabbo mia balia,

né dubitar però per mia grandezza,

la qual umil, quando vorrai, ti fia.                                                       75

Onora con amor la mia bellezza,

né d'alcuna altra mai più ti curare,

se tu non vuoi provar mia rigidezza –.

Sentimmi poi del petto il cor sottrare

e con gli aurei suoi crini ligar esso,                                                     80

e poi ligato in me quel ritornare.

Così mi parve, se bene in me stesso

ricordo, che costei dicesse: ond'io

risposi: – Donna, a te tutto sommesso

io sono e sarò sempre, e ciò disio –.                                                  85

 

 

CANTO XLV

 

A tal partito nel beato loco

standomi allora, mi senti' nel core

raccendere più ardente questo foco,

tal ch'io pensai ch'esto novello ardore

oltre il dovuto modo mi tirasse,                                                            5

tal nel principio suo mostrò furore.

E 'l cor, che ciò pareva che pigliasse

a sé, l'incendio, quantunque ristesse,

fuor di ragion dentro di sé ne trasse,

E così stando parve che paresse                                                        10

questa donna gentile a me venire

e aprirmi il petto, e dentro poi scrivesse

là in mezzo 'l core, posto a sofferire,

il suo bel nome di littere d'oro

in modo ch'indi non potesse uscire.                                                    15

La qual, non molto dopo gran dimoro,

nel mio dito minore un anelletto

poneva tratto del suo bel tesoro;

al qual pareami, se ben l'intelletto

comprender poté, ch'una catenella                                                     20

fosse legata, che perfino il petto

si discendeva della donna bella

passando dentro, e con artigli presa,

com'ancora dur scoglio, tenea quella.

Oh quanto da quell'ora sin qui accesa                                                25

fu la mia mente del piacer di lei,

che mai sinor non era stata offesa!

Moveami questa ove pareva a lei

co' suoi begli occhi, e sol pensando andava

com'io potessi piacere a costei.                                                         30

Infra quel circuito che occupava

la luce sua, quasi come inretito,

a forza a rimirarla m'ingegnava.

Gravoso mi parea l'esser ferito

e molte fiate lagrime ne sparsi,                                                           35

non potendo patir l'esser partito

là onde quella soleva mostrarsi

agli occhi miei gentile e graziosa,

e più nel cuor sentia 'l foco avamparsi.

Io non trovava nella mente posa,                                                       40

sì mi strigneva pur di lei vedere

la mente ardendo di sì bella cosa.

Adunque seguitando 'l mio volere,

dovunque gia costei, così tirato

parea ch'io fossi dal suo bel piacere;                                                  45

ma certo Amor in ciò m'era assai grato,

sol che 'l disio non fosse oltre misura

nell'amoroso cor troppo avampato.

Ognora che la sua bella figura

vedere i' disiava, Amor facea                                                            50

di ciò contenta la mia mente scura,

rendendo lei umil quando volea.

E questo più m'accendeva, vedendo

che 'l mio disir adempier si potea,

né per lei rimaneva ma, sentendo                                                       55

forse maggior periglio, consentia

ch'io davanti le stessi piagnendo,

e graziosa mostrandosi e pia

verso di me, con sua benignitate

in conforto tenea la mente mia.                                                          60

Lungamente seguendo sua pietate,

ora in avversi ed ora in graziosi

casi chieggendo la mia voluntate,

sollicito del tutto mi proposi

di pur sentire l'ultima possanza                                                           65

c'hanno in lor chiusa i termini amorosi.

Ver è che molto prolissa speranza

mi tenne in questa via, non però tanto

che 'l mio proposto gisse 'n oblianza.

Alla seconda con sospiri e pianto,                                                     70

quando con festa, sempre seguitai

il mio proponimento, insino a tanto,

sottilmente guardando, m'avisai

che la donna pensava terminare

con savio stile i disiosi guai.                                                               75

Però alquanto lasciai quel mio pensare

dicendo: «Tosto credo proveduto

fia da costei al mio fier gran penare.

Ella ha ben ora tanto conosciuto

del mal mio e dell'ardente mi' disio,                                                    80

ch'io penso che di me li sia incresciuto».

Così fra me mi gia ragionando io,

pur aspettando che la sua grandezza

alquanto s'inclinasse 'l dolor mio

torre a volere con la sua dolcezza:                                                     85

la qual l'anima mia più ch'altra brama

e 'n sé più ch'altra alcuna onora e apprezza;

onorandola ognor quanto più l'ama.

 

 

CANTO XLVI

 

Tenendo me il valore di colei

dentro sua luce in tal modo constretto,

sempre con l'intelletto volto a lei,

avendo spesso dolore e diletto,

riposo e noia con speranza assai,                                                         5

or tema or gelosia senza sospetto,

non sappiendo a che meta i dubbi guai

dovesser pervenire, un poco appresso

inver suo bel conspetto mi voltai.

Tratto un caldo sospiro e con sommesso                                           10

parlar le chiesi ch'al mio fier dolore

fine porgesse, qual doveva, adesso,

ognor servando quel debito onore

che si conviene a' suoi costumi adorni,

di gentilezza pieni e di valore.                                                            15

Cinque fiate tre via nove giorni

sotto la dolce signoria di questa

trovato m'era in diversi soggiorni,

allora ch'io senti' che la molesta

pena, che m'era in mezzo il cor durata                                               20

convertir si doveva in lieta festa.

La vesta mia, per ciò da me levata,

in parte più profonda del verziere

lasciando tra le folti erbe appiattata,

con gioia mi pareva di vedere                                                            25

tra le mie braccia la donna pietosa,

e con soavi basci possedere.

Vinceva poi sì la gioia amorosa

l'anima, che la lingua stando muta

del cor non palesava alcuna cosa,                                                      30

né mover si poteva, ma l'aguta

voglia di star dov'esser mi parea

facea parermi falsa tal paruta.

Dond'io fra me sovente allor dicea:

«Sogni tu o ver sei qui, come ti pare?».                                              35

«Anzi ci son», fra me poi rispondea.

In cotal guisa spesso a disgannare

me quella donna gentile abbracciava

e con disio la mi parea basciare,

fra me dicendo ch'io pur non sognava                                                40

posto che mi pareva grande tanto

la cosa, ch'io pur di sognar dubbiava.

E se per parangon volessi quanto

fu la mia gioia porre, essempio degno

non crederei trovar; ma dopo alquanto,                                             45

con quel piacere 'l qual quivi disegno,

che dir né immaginar mai si porria

da alcun per forza di mortale ingegno,

tratto un sospiro, graziosa e pia

la donna verso me disse: – Ora dimmi,                                              50

come sei qui venuto, anima mia? –.

Ond'io a lei: – Poscia che Amore aprimmi

gli occhi a conoscer la vostra biltate

a cui io per mia voglia consentimmi,

nel regno della vostra potestate                                                         55

entrato con affanni e con sospiri,

sempre sperando en la vostra pietate,

ò lui pregato che alli miei martiri

dia fine grazioso, ed ei menato

m'ha per fin porre a' miei lunghi disiri.                                                60

Nel giardin là ver è ch'io ho lasciato

stare una donna, la qual lungamente

prima m'avea benigna accompagnato

venendo quivi –: e non lasciai niente

a dir a lei e di quelli duo ancora                                                         65

con cui io venni quivi similmente.

Alquanto stette quella donna allora

sospesa in atto, né so che pensando:

e poi, non dopo molta gran dimora:

– Andrai –, mi disse, – la donna cercando,                                        70

e lei seguisci però ch'ella è quella

che 'n dritta via ripone chi va errando.

Ciò ch'ella vuol, vuo' facci, fuor che s'ella

mi ti volesse far di mente uscire:

in ciò tal voler suo dal tuo si svella.                                                    75

Humiliati poi 'n tutto al suo disire

e portar me nel cor non ti sia grave,

che ben te ne vedrai, credo, seguire.

Io te ancor porto in me, e così soave

m'è, che per pace corro a tua figura                                                   80

quando gravezza alcuna il mio cor have.

Giammai non fu né serà creatura

che tanto mi piacesse: e vivi lieto

di ciò tenendo l'anima sicura.

Io t'ho fatto al presente assai quieto                                                   85

il gran disio con amorosa pace,

dandoti l'arra che finisce il fleto:

adunque oramai va quando ti piace –.

 

 

CANTO XLVII

 

La donna tacque allor, ed io congedo

presi in un atto in me molto contento

e in altro più dolente che mai, credo,

ver quella parte ritornando lento

dov'io aveva la donna lasciata,                                                            5

che fu mia guida nel cominciamento.

I' gia pensando con fronte bassata

a quel felice ben ch'avuto avea,

e doleami di sì corta durata.

Di più disir ancora mi parea                                                               10

tutto arder dentro nel trafitto cuore

via più che nel principio non facea;

e diceva fra me: «Deh, se l'ardore

ora non manca, non credo che mai

egli più m'esca della mente fuore.                                                       15

Avuto ho quel che già più disiai:

deh, che cercherò io per mia salute?

chi stuterà cotal fuoco oramai?

La volontà che d'Amor le ferute

mi porsero, non che sia in me finita                                                    20

ma più cresciuta è sua viva virtute».

Tra' fior e l'erba con vista smarrita

n'andava in me in cotal guisa pensando,

e sprezzando e lodando la mia vita.

Riguardandomi a' piedi, così andando,                                               25

mi trovai alla fonte non avendo

veduto quelle donne festeggiando;

e 'l viso alzai, me stesso riprendendo

del perduto diletto, e ver me vidi

quella donna venir cui io caendo                                                        30

fra quel giardino andava. – Ove ti fidi? –

ver me diss'ella, e con le braccia aperte

mi prese, e: – Non cre' tu che io ti guidi

in qual parte vorrai? perché perverte

tua volontate il mio consiglio vero,                                                     35

per vanità lasciando cose certe? –.

Allor risposi: – Madonna, sincero

m'è il tuo mostrar tornato di colei

grazia che m'ha disposto a tal sentiero.

Tu verrai, se ti piace, infino a lei,                                                        40

e quivi tanto insieme addimorremo

quanto piacer serà di te e di lei;

e poscia insieme tutti e tre n'andremo

dove vorrai, ch'io credo di segnare

sotto 'l piacer di lei il giorno istremo –.                                               45

Ed ella allora: – Il tuo addimandare

è d'ogni ordine fuora, ché io so bene

quel che tu vuoi che io vi venga a fare.

La donna meco assai più si convene

che tu non fai: dove menar mi vuoi                                                     50

e ben conosco qual disio ti tene.

Vieni con meco e a lei andremo poi –.

–Ma andiam là –, risposi io, in prima, ed essa

insieme menerem con essi noi.

Non ci è bisogno d'aver sì gran pressa:                                              55

ancora 'l sole al cerchio di merigge

non è, ed il nostro andar però non cessa –

Disse ella allor: – Io so che ti trafigge

di lei il piacere e non ti puoi partire,

però pur qui tua volontà si figge.                                                        60

Ed io, se in questo è così il tuo disire,

seguir ti vuo': tu giurerai di fare

il mio volere ed altro non seguire –.

La mia risposta fu: – Non comandare

ch'io non ami costei, ogni altra cosa                                                   65

al tuo piacer mi fia lieve osservare.

La qual s'io per terrestre e furiosa

voglia fruire amassi, in veritate

con dover ne saresti crucciosa;

anzi con quella vera integritate                                                           70

ch'ogni razionale amar si dee,

amo ed onoro la sua gran biltate;

la qual, sì come manifesto v'ee,

non trova par né 'n senno né 'n bellezza,

per cui ergo la mente all'alte idee –.                                                   75

– Tu hai –, mi disse quella con dolcezza,

–sì presa me pur di voler vedere

costei, cui donna fai di gentilezza

real posseditrice, che potere

non ho sanza vederla d'ire altrove                                                      80

né di negarti il giusto tuo piacere.

Or dunque insieme ce n'andiam là dove

tu l'hai lasciata, e veggiam manifesto

se quello è vero a cui 'l tuo dir mi muove –.

Subitamente ragionato questo                                                            85

insieme ci movemmo e nel conspetto

venimmo di colei, che 'n atto onesto

incontro venne a noi con lieto aspetto.

 

 

CANTO XLVIII

 

Graziosamente si fecero onore

quivi insieme le donne, ed in brieve

l'una dell'altra conobbe 'l valore.

– Ora mi fia –, la prima donna, – lieve –,

ver me rivolta disse, – farti quella                                                         5

grazia che per addietro m'era grieve.

Dolce, cara e benigna mia sorella

tengo costei, e s'tu m'avessi detto

di quella il nome, già saremmo ad ella,

egli è gran pezza, venuti al conspetto.                                                10

Costei sanza fidel consiglio mio

non ferma fatto né compon suo detto:

dunque per tal essempio il tuo disio

raffrena e segui il verace piacere,

il qual più volte tho già mostrat' io.                                                     15

Intiero fa che servi suo parere,

ché onor, non util, men porrà seguire,

però ch'ella non passa il mio volere –.

Lei prese poi per mano e così a dire

incominciò: Figliuola di virtute,                                                           20

cui questo qui del tutto vuol servire

ognor con più disio per sua salute

(e che sia vero ogni altra ha abbandonata

per sol servirti con lode dovute)

ringrazi ello ancor cui ha essaltata                                                      25

nel mio conspetto, tanto che giammai

nulla è, né fu, né fia mai sì lodata.

Ond'io ciò udendo allor, m'immaginai

che fuor che tu altra esser non potea,

e però seco quivi m'inviai –.                                                              30

Ove poi per la destra mi prendea

e davami a costei, poscia dicendo,

che la sua e la mia mano in man tenea:

– Non ebbe questi mai fren che tenendo

andasse in modo buon sua giovinezza,                                               35

se non quel ch'io di porgergli ora intendo,

drizzando lui ver quella somma altezza

onde tu discendesti a dimostrare

alli mortai l'angelica bellezza.

Indi, per ciò ch'ogni servigio a fare                                                    40

io tel conosco fido e molto presto,

per la fé che mi de' ti vuo' pregare,

ogni cagion rimossa via da questo,

ti sia quanto più può raccomandato,

reggendo lui col tuo parlar onesto                                                      45

là però dove sia onorevol stato

di lui e tuo e suo contentamento,

in guisa che non siemi unqua disgrato.

Io 'l ti dono tutto, io 'l ti presento:

sempre sia tuo, né ello giammai sia ardito                                           50

di sé partir dal tuo comandamento –.

E poi rivolta a me mi disse: – Udito

hai ch'io t'ho dato a questa: fa che 'n guisa

la servi che 'l mio don le sia gradito.

Tiella per donna, né giammai divisa                                                    55

sia da lei l'alma tua sin che partita

non sia, dal velo terrestre dicisa.

Or quivi alquanto per questa fiorita

campagna dolcemente sì ti posa,

che sii poscia più forte alla salita                                                        60

dove menarti intendo, e la gioiosa

donna con noi, acciò che tal la via

per lei ci paia a ciascun dilettosa –.

I' dissi allor: – Madonna, così sia!

se tal grazia mi fai, quanto ti piace                                                      65

a tal camin con essi noi t'invia.

Manifesto conosco altro che pace

io non potrei aver, po' ch'esta vene

che nel mio cor per sol conforto giace,

ond'io già sento alleggiar le mie pene.                                                70

Dio faccia ch'ella ci stia lungamente,

con allegrezza del superno bene! –.

Ridendo e festeggiando insiememente

sovra l'erbette lieti n'andavamo

e d'amor ragionando dolcemente.                                                      75

Ora innanzi or adietro tornavamo,

e talora cogliendo erbette e fiori

in bel soggiorno il tempo passavamo,

rinovando con gli occhi più li ardori

degli animi, e per la soave riva                                                           80

di varie violette pien d'odori.

Essa letizia via più m'aggradiva,

ché cercavamo ogni bosco soletti

senza la donna ch'adietro veniva.

N'andavan tali prendendo diletti,                                                       85

tanto che quella, entrati in chiuso loco,

più non vedemmo; ove: Ciascun s'assetti –,

dicemmo, – quivi: ora aspetti ella un poco –.

 

 

CANTO XLIX

 

Era quel loco, ove ci trovavamo,

soletto tutto, né persona appresso

da nulla parte a noi ci sentivamo.

Tutto dintorno ed ancora sopra esso

era di frondi verdi il loco pieno,                                                           5

per cui tutt'era d'ombra soave spesso.

Entrar non vi potea sol né sereno

di gelsomini e rose circuito,

e d'odorifer cedri e aranci ameno.

Allor vedendo il dilettevol sito                                                           10

e me con quella dimorar soletti

e d'ogni altra compagna esser partito,

là, fra me dissi: «I' non so ch'io m'aspetti:

perché, poi che qui sono, ora non prendo

di questa i tanto affannati diletti?                                                        15

Lo loco ov'ora dimoriam sedendo

è di, sospetto fuor, né mai trovarci

quella potria che ci venia seguendo,

ed altro già non credo che impacciarci

potesse: costei vuole ed io il disio,                                                     20

dunque perché cercar più d'indugiarci?».

In cotal ragionar m'accostai io

a quella, che distesa sull'erbetta

addormita era al mormorar d'un rio:

lei nelle braccia allor mi reca' istretta,                                                 25

e mille fiate credo la basciai

pria si svegliasse la bella angioletta.

Ma sbigottita alquanto a dir: – Che fai? –

incominciò svegliata, – deh, non fare!

se quella donna vien, come farai? –.                                                  30

Ed io allora cominciai a parlare:

Donna, non so quando unqua i' mi riavessi

quel che mi vuoi far ora tu lasciare.

Ragion sarebbe ch'io sempre piagnessi,

se per pregar che non si può ottenere                                                35

quel chor possedo vilmente perdessi –.

Indi ivi per cotal dolci maniere

già questa bella donna stava cheta,

consentendo umilmente, al mio piacere

tutta disposta, quando l'alma lieta                                                      40

di cotal bene tanta gioia prese

in sé, che ritener dentro a sua meta

allor non poté, ma il bel sonno offese

là dove io facea sì dolce dimora,

per che si ruppe e più là non s'istese.                                                 45

Tutto stordito mi riscossi allora

e strinsi a me le braccia, e mi credea

madonna in mezzo d'esse avervi ancora.

Oimè, quanto angosciosa e quanto rea

mi fu cotal partita, e quanto caro                                                       50

mi fu 'l dormir mentre 'n braccio v'avea!

Ahi come ritornommi in duolo amaro

quel diletto che 'l sonno m'avea porto,

ch'agli agri affanni dato avea riparo!

Lasso, angoscioso e senza alcun conforto,                                         55

levato su dintorno mi mirava

pensando stare ancor nel florido orto.

La fantasia non so come m'errava,

ché, mentre avea sognato, mi credeva

sogno non fosse e ver esser stimava.                                                 60

Or fuor di me ben sognar mi pareva,

che lungo spazio non seppi ove i' m'era

né vero sentimento in me riaveva.

Ritornato ch'io fui poi nella vera

conoscenza di prima e lagrimato                                                        65

io ebbi alquanto in la parte primera:

«Oimè», dicendo, «dove or son io stato

con tanta gioia? Or fosse a Amor piaciuto

che da quel sonno mai fossi destato,

e 'n cotal gloria sempre sarei suto!                                                     70

Pur mi fora ancor leggieri 'l dormire

se più tal don mi fosse conceduto.

Pianto ed angoscia e noioso martire

di ciò mi crebbe, e moltiplicò 'l foco

in me via più d'amoroso disire,                                                          75

il quale io sento ad or ch'a poco a poco

tutto mi sface; e già saria finita

la vita mia, se non che ad esso loco

veracemente spero che reddita

ancor farò con essenzia perfetta,                                                       80

prendendo quella gioia ben compita

nella qual stetti mo', che fu imperfetta

dormendo. E questo l'amorosa mente

solo disia e fermamente aspetta,

ov'esso Amor, che di tutto è potente,                                                85

mi rechi e servi nella vostra grazia,

dolce, soave, leggiadra e piacente,

nella qual mai fia cosa che mi sazia».

 

 

CANTO L

 

Dico che poi che 'l sonno fu partito,

mi stava quasi fuor di me pensando

al fuggitivo ben, tutto smarrito.

In piè drizzato e intorno me guardando

vidi la bella donna la qual voi                                                               5

per il giardin mi feste ir cercando .

– Che pensi? –, disse a me, e poco di poi

soggiunse: – Andiam, ch'egli è voler di quella

che nel tuo sonno mi ti diede ancoi –.

Ond'io risposi stupefatto ad ella:                                                        10

–E dove andremo? tornerem noi forse

dove ora i' fui con la mia donna bella? –.

– Mai sì –, dissemi allora, – e ciò che porse

il tuo dormire alla tua fantasia

tutto averai, se da me non ti smorse.                                                  15

Ancora più per me dato ti fia:

la grazia di veder ciò che perdesti

quando lasciasti, la mia compagnia.

In quella parte là, dove or dicesti,

sanza consiglio molto essaminato                                                       20

gir non si vuol, ché tu ten penteresti.

Primeramente là dove m'è grato

seguita me, ché sanza dubbio intenta

farò di farti a tempo consolato:

e quel disire, ch'or più ti tormenta,                                                     25

io porrò in pace con quella bellezza

che l'alma al cor tuttora ti presenta –.

Ristette poscia, ed io tanta dolcezza

presi di tal promessa, che nel viso

mi si scorgeva il cor pien d'allegrezza.                                                30

Con voce lieta e con onesto riso

risposi a lei: – Donna gentile, i' vegno

né più da te voglio esser mai diviso.

Humile e pian, quanto io posso, m'assegno

a te: fa sì ch'al piacer di colei,                                                            35

di cui son tutto, i' non trapassi 'l segno –.

– Ell'ha del mio voler –, disse costei,

– in mano 'l fren, sì ch'io non posso fare

se non sol quello ch'è 'n piacere a lei.

Di tanto sempre mi veggio onorare                                                    40

da essa, ch'io le lascio, che giammai

oltre la voglia mia non vuol mutare –.

E questo detto disse: – Andiamo ormai,

ché 'l tempo è brieve e lungo è 'l tuo disire –;

per ch'io sanza più dir la seguitai.                                                       45

Così adunque men vo per pervenire,

donna gentile, al loco ove gioiendo

con voi ileto fui tanto nel dormire,

tuttor notando quel ch'andrò vedendo

dietro a costei per la portella stretta,                                                  50

ove 'l fin del disir vedere attendo.

Or vi voglio pregar, donna diletta,

che poi che la passata visione

a parte a parte avrete tutta letta,

mirando dove cade riprensione                                                          55

la correggiate e cara la teniate,

ch'aver ben dir voluto ha iscusazione.

Io non curo se poi da alcun spregiate

fien forse le sue rime o sua sentenza,

sol ch'a voi sieno dilettose e grate.                                                     60

Per voi son fatte e non per eccellenza

di gloria riportar, ma a sol voi, donna,

per aggradir con chiara intelligenza:

atando me la possa che s'indonna

in ciascun cor gentil, che dà virtute                                                     65

che mai per alcun caso non si sdonna,

rispetto avendo ancora alla salute

che da voi la speranza mi promette

per più alleggiar le piaghe antevedute.

aggio legate queste parolette                                                             70

natie, candide, pure e non altiere,

in rime dolci non sforzate o elette,

vago e contento solo di possere

far cosa che v'aggradi, e questo vuole

l'alma che voi, altro non può volere.                                                   75

E però voi me da nebbiose fole

d'invidi difendete luminosa,

come da nebbia il giorno suole il sole.

Rimirate alla fiamma poi, che ascosa

dimora nel mio petto, ed ispegnete                                                    80

quella con l'esser verso me pietosa.

Amor mi diede a voi, voi sola sete

il ben che mi promette la speranza

e sola render me lieto possete.

Solo mio ben, sola mia disianza,                                                        85

solo conforto della vaga mente,

sola colei che mia virtute avanza

sete e sarete sempre a me vivente;

né più disio né disiar più voglio

fuor ch'essere di tal biltà servente.                                                     90

Adunque quell'ardore in cui m'invoglio

terminate oramai quando vi piace,

che 'n voi son sempre, e come ancora in scoglio

immobil, fissa, sarò ognor tenace.