Giovanni Boccaccio
L'Amorosa visione
Edizione
di riferimento: Giovanni Boccaccio: Amorosa visione, a cura di Vittore
Branca, in Tutte le opere, a cura di V. Branca, vol. III, Mondadori,
Milano 1974
Nelli
tre infrascritti sonetti si contengono per ordine tutte le lettere principali
de' rittimi della infrascritta Amorosa Visione. E però che in quelli il
nome dell'autore si contiene, altrimenti non si cura di porlo. I sonetti sono
questi.
Mirabil cosa forse la presente
vision
vi parrà, donna gentile,
a
riguardar, sì per lo nuovo stile,
sì
per la fantasia ch'è nella mente.
Rimirandovi un dì, subitamente, 5
bella,
leggiadra et in abit'umile,
in
volontà mi venne con sottile
rima
tractar parlando brievemente.
Adunque a voi, cui tengho donna mia
et
chui senpre disio di servire, 10
la
raccomando, madama Maria;
e prieghovi, se fosse nel mio dire
difecto
alcun, per vostra cortesia
correggiate
amendando il mio fallire.
Cara Fiamma, per cui 'l core ò caldo, 15
que'
che vi manda questa Visione
Giovanni
è di Boccaccio da Certaldo.
Il dolce inmaginar che 'l mio chor face
della
vostra biltà, donna pietosa,
recam'una
soavità sì dilectosa
che
mette lui con mecho in dolcie pace.
Poi quando altro pensiero questo disface, 5
piangemi
dentro l'anima 'ngosciosa,
cercando
come trovar possa posa,
et
sola voi disiar le piace.
Et però volend'i' perseverare
pur
nello 'nmaginar vostra biltate, 10
cerco
con rime nuove farvi i' onore.
Questo mi mosse, donna, a compilare
la
Visione in parole rimate,
che
io vi mando qui per mio amore.
Fatele onor secondo il su' valore, 15
avendo
a tempo poi di me pietate.
O
chi che voi vi siate, o gratiosi
animi
virtuosi,
in
cui amor come 'n beato loco
celato
tene il suo giocondo focho,
i'
vi priego c'un poco 5
prestiate
lo 'ntellecto agli amorosi
versi,
li quali sospinto conposi
forse
da disiosi
voler
troppo 'nfiammato; o se 'l mio fioco
cantar
s'imvischa nel proferer broco, 10
o
troppo è chiaro o roco,
amendatel
acciò che ben riposi.
Se
in sé fructo o forse alcun dilecto
porgesse
a vo' lector, ringratiate
colei
la cui biltate 15
questo
mi mosse a ffar come subgiecto.
E
perché voi costei me' conosciate,
ella
somigli' Amor nel su' aspecto,
tanto
c'alcun difecto
non
v'à a chi già 'l vide altre fiate; 20
e
l'un dell'altro si gode di loro,
ond'io
lieto dimoro.
Rendete
a llei 'l meritato alloro!
E
più non dico 'mai,
perché
decto mi par aver assai. 25
TESTO A
CANTO
I
Move
nuovo disio la nostra mente,
donna
gentile, a volervi narrare
quel
che Cupido graziosamente
in
vision li piacque di mostrare
all'alma
mia, per voi, bella, ferita 5
con
quel piacer che ne' vostri occhi appare.
Recando
adunque la mente, smarrita
per
la vostra virtù, pensieri al core,
che
già temea della sua poca vita,
accese
lui di sì fervente ardore, 10
che
uscita di sé la fantasia
subito
entrò in non usato errore.
Ben
ritenne però il pensier di pria
con
fermo freno, ed oltre a ciò ritenne
quel
che più caro di nuovo sentia. 15
In
ciò vegghiando, in le membra mi venne
non
usato sopor tanto soave,
ch'alcun
di loro in sé non si sostenne.
Lì
mi posai, e ciascun occhio grave
al
sonno diedi, per lo qual gli agguati 20
conobbi
chiusi sotto dolce chiave.
Così
dormendo, in su liti salati
mi
vidi correr, non so che temendo,
pavido
e solo in quelli abbandonati
or
qua or là, null'ordine tenendo; 25
quando
donna gentil, piacente e bella,
m'apparve,
umil pianamente dicendo:
–
Se questo luogo solo a gire a quella
somma
felicità, che alcun dire
non
poté mai con intera favella, 30
abbandonar
ti piace, il me seguire
ti
poserà in sì piacente festa,
ch'avrai
sicuro e pieno ogni disire –.
Fiso
pareva a me rimirar questa
ed
ascoltare intento sue parole, 35
quando
s'alzò alla sua bionda testa,
ornata
di corona più che 'l sole
fulgida,
l'occhio mio, e mi parea
il
suo vestire in color di viole.
Ridente
era in aspetto e 'n man tenea 40
reale
scettro, ed un bel pomo d'oro
la
sua sinistra vidi sostenea.
Sopra
'l piè grave, non sanza dimoro,
moveva
i passi; e lei tacendo ed io
pensato
di volere suo aiutoro: 45
–
Ecco – risposi, – donna, il mio disio
è
di cercar quel ben che tu prometti,
se
a' tuoi passi di dietro m'invio.
–
Lascia –, diss'ella, – adunque i van diletti
e
seguitami verso quell'altura 50
ch'opposta
vedi qui a' nostri petti.
Allor
lasciar pareami ogni paura
e
darmi tutto a seguitar costei,
abbandonando
la strana pianura.
Poi
che salito fui dietro a costei 55
non
già per molto spazio, il viso alzai
istato
basso infin lì verso i piei:
rimirandomi
avanti, i' mi trovai
venuto
a piè d'un nobile castello,
sopra
al sogliar del quale io mi fermai. 60
Egli
era grande ed altissimo e bello
e
spazioso, avvegna che alquanto
tenebroso
paresse entrando in quello.
–
Siam noi ancora là dove cotanto
ben
mi prometti, donna graziosa, 65
di
dovermi mostrar? –, diss'io intanto.
Ed
ella allora: – Più mirabil cosa
veder
vuoi prima che giunghi lassuso,
dove
l'anima tua fia gloriosa.
Noi
cominciammo pur testé quaggiuso 70
ad
entrar a quel ben: quest'è la porta:
entra
sicuro omai nel cammin chiuso.
Tosto
ti mostrerò la via scorta,
per
la qual fia ad andarvi diletto
se
non ti volta coscienza torta. 75
Ed
io: – Adunque andiam, ché già m'affretto,
già
mi cresce il disio, sì ch'io non posso
tenerlo
ascoso più dentro nel petto.
Vedi
com'io mi son sicuro mosso,
vedi
ch'io vegno e trascorro di voglia, 80
d'ogni
altra cura nella mente scosso.
–
Ir si conviene qui di soglia in soglia
con
voler temperato, ché chi corre
talor
tornando convien che si doglia –.
Sì
era il suo dir vero, che apporre 85
né
contro andarvi io non arei potuto,
né
dal piacer di lei potuto torre
in
ciò, ancor ch'io avessi saputo.
CANTO
II
«O
somma e graziosa intelligenzia
che
muovi il terzo cielo, o santa dea,
metti
nel petto mio la tua potenzia:
non
sofferir che fugga, o Citerea,
a
me lo 'ngegno all'opera presente,
ma
più sottile e più in me ne crea. 5
Venga
il tuo valor nella mia mente,
tal
che 'l mio dir d'Orfeo risembri il suono,
che
mosse a racquistar la sua parente.
Infiamma
me tanto più ch'io non sono,
che
'l tuo ardor, di ch'io tutto m'invoglio, 10
faccia
piacere quel di ch'io ragiono.
Poi
che condotto m'ha a questo soglio
costei,
che cara seguir mi si face,
menami
tu colà ov'io ir voglio,
acciò
che' passi miei, che van per pace 15
seguendo
il raggio della tua stella,
vengano
a quello effetto che ti piace».
Ragionando
con tacita favella
così
m'andava nel nuovo sentiero
seguendo
i passi della donna bella. 20
Ruppemi
tal parlar nuovo pensiero
ch'un
muro antico nella mente mise,
apparitoci
avanti tutto intero.
Allor
la bella donna un poco rise,
me
stupefatto e d'ammirazion pieno 25
veggendo,
e disse: – Forse tu divise
del
camin nostro che qui venga meno:
o
se più è, non vedi da qual loco
li
passi nostri su salir porrieno.
Oltre
convien che venghi ancora un poco, 30
ed
io mostrandol, vederai la via
che
ci merrà al grazioso gioco –.
Non
fummo guari andati che la pia
donna
mi disse: – Vedi qui la porta
che
la tua alma cotanto disia –. 35
Nel
suo parlar mi volsi, e poi che scorta
l'ebbi,
la vidi piccioletta assai,
istretta
ed alta, in nulla parte torta.
A
man sinistra allora mi voltai
volendo
dir: «Chi ci potrà salire 40
o
passar dentro, ché par che giammai
gente
non ci salisse?» e nel mio dire
vidi
una porta grande aperta stare,
e
festa dentro mi vi parve udire.
E
dissi allor: – Di qua fia meglio andare, 45
al
mio parere, e credo troveremo
quel
che cerchiam, ché già udir mel pare –.
Non
è così rispuose, – ma andremo
su
per la scala che tu vedi stretta
e
'n su la sommità ci poseremo. 50
Tu
guardi là, e forse ti diletta
il
cantar che tu odi, il qual piuttosto
pianto
si dovria dire in lingua retta.
Il
corto termine alla vita posto
non
è da consumare in quelle cose 55
che
'l bene etterno vi fanno nascosto.
Levarsi
ad alto, alle gloriose,
utilemente
s'acquista virtute,
che
lascia le memorie poi famose.
E
s' tu non credi forse che a salute 60
questa
via stretta meni, alza la testa:
ve'
che dicon le lettere scolpute
Alzai
allora il viso, e vidi: «Questa
piccola
porta mena a via di vita;
posto
che paia nel salir molesta, 65
riposo
etterno dà cotal salita;
dunque
salite su sanza esser lenti,
l'animo
vinca la carne impigrita».
Io
dissi: – Donna, molto mi contenti
col
ver parlar che tua bocca produce, 70
e
più m'accertan le cose parventi,
guardando
quelle; ma dimmi, che luce
è
quella ch'io veggio là entr'ora?
perché
in questa così non riluce? –
–
Voi che nel mondo state, vostra mora 75
fate
in loco tenebroso e vano:
e
però gli occhi alla dolce aurora
alzare
non potete, a mano a mano
che
voi di quella uscite, a veder quanta
sia
la chiarezza del Fattor sovrano. 80
Rompesi
poi la nebbia che v'ammanta
quando
ad entrar nel vero incominciate,
e
conoscete poi la luce santa.
Dirizza
i piedi alle scale levate;
su
non sarai che vie maggior chiarezza 85
vedrai
che là non è mille fiate:
adunque
che fia in capo dell'altezza? –.
CANTO
III
Ristata
era la donna di parlare
e
rimirava ch'io entrassi dentro
di
rietro a lei, che già volea montare.
–
Sed e' vi piace, prima andiam là entro –,
diss'io
a lei. E quella: – Tu disii 5
di
rovinar con doglia al tristo centro.
Io
dico insino a qui: se là t'invii,
in
cose vane l'anima disposta
a
bene oprar convien che si disvii.
Pon
l'intelletto alla scritta ch'è posta 10
sopra
l'alto arco della porta, e vedi
come
'l suo dar val poco e motto costa –.
Ed
io allora a riguardar mi diedi
la
scritta in alto che pareva d'oro,
tenendo
ancora in là voltati i piedi. 15
«Ricchezze,
dignità, ogni tesoro,
gloria
mondana copiosamente
do
a color che passan nel mio coro.
Lieti
li fo nel mondo, e similmente
do
quella gioia che Amor promette 20
a'
cor che senton suo dardo pugnente».
–
Or hai vedute ed amendune lette
le
scritte, e vedi chi maggior promessa
e
più utile fa: dunque che aspette?
Non
istian più omai, ché 'l tempo cessa 25
e
'l perder quello spiace a' più saputi;
adunque
omai saliam –, mi dicev'essa.
–
Ver è, donna gentil, ch'i' ho veduti –,
risposi,
– scritti i don, però vedere
vorrei
provando qua' son posseduti. 30
Ogni
cosa del mondo a sapere
non
è peccato, ma la iniquitate
si
dee lasciare e quel ch'è ben tenere.
Venite
adunque qua, ché pria provate
deono
esser le cose leggieri 35
ch'entrare
in quelle c'han più gravitate.
Ora
che siamo quasi nel sentieri,
andiam,
vediamo questi ben fallaci:
più
caro fia poi l'affannar pe' veri –.
–
Se tu sapessi quanto e' son tenaci 40
e
quanto traggon l'uom di via diritta,
non
parleresti sì come tu faci.
Toglianci
quinci –, disse, – ché già fitta
veggo
la mente tua, se più ci stai,
a
quel che dice la seconda scritta. 45
Il
che lasciar, a chi il prende, mai
impossibile
par fin che si more,
e
per que' va poi agli etterni guai –.
La
donna giva già. Ed ecco fore
della
gran porta due giovini uscire; 50
l'uno
era corto e bianco in suo colore
e
l'altro rosso; e incominciaro a dire:
–
Dove cercando vai gravoso affanno?
Vien
dietro a noi, se vuoi il tuo disire.
Sollazzo
e festa, come molti fanno, 55
qua
non ti falla, e poi il salir suso
potrai
ancor nell'ultimo tuo anno.
Il
luogo è chiaro e di tenebre schiuso:
vien,
vedi almeno, e satira' ten poi,
se
ti parrà noioso esser quaggiuso –. 60
Piacevami
il dir loro, e già: «Con voi»,
dir
voleva, «io verrò»; ma mi diceva
colei:
– Lascia costoro, andian su noi –.
E
per la destra man preso m'aveva
seco
tirando me in su; e l'uno 65
la
mia sinistra e l'altro ancor teneva,
ridendosene
insieme, e ciascheduno
tirandomi
diceva: – Vienne, vienne,
cerchi
sola costei il cammin bruno –.
Lì
d'una parte e d'altra mi ritenne 70
l'esser
tirato; dond'io: – Ben sapete –,
volto
alla donna, – che io non ho penne
a
poter su volar, come credete,
né
potrei sostener questi travagli
a'
quai dispormi subito volete –. 75
Fermata
allor mi disse: – Tu t'abbagli
nel
falso immaginar, e credi a questi
ch'a
dritta via son pessimi serragli.
A
trarti fuor d'errore e di molesti
disii
discesi, e per voler mostrarti 80
le
vere cose che prima chiedesti;
né
mai avrei lasciato d'aiutarti
col
mio veder nelle battaglie avverse.
Ma
poi che ad altro t'è piaciuto darti,
truova
il cammino dell'opere perse, 85
ch'io
non ti lascerò, mentre che io
vedrò
non darti tra quelle diverse
a
voler seguitar bestial disio –.
CANTO
IV
Seguendomi
la donna, com'io lei
pria
seguitava, co' due giovinetti
a
man sinistra volsi i passi miei.
Intra
lor due avean noi due ristretti,
e
con più spesso passo n'andavamo 5
a
riguardare i men cari diletti.
Andando
in tal maniera, noi entramo
per
la gran porta insieme con costoro,
ed
in una gran sala ci trovamo.
Chiara
era e bella e risplendente d'oro, 10
d'azzurro
e di color tutta dipinta
maestrevolmente
in suo lavoro.
Humana
man non credo che sospinta
mai
fosse a tanto ingegno quanto in quella
mostrava
ogni figura lì distinta, 15
eccetto
se da Giotto, al qual la bella
Natura
parte di sé somigliante
non
occultò nell'atto in che suggella.
Noi
ci traemmo nella sala avante,
quasi
nel mezzo d'essa, e quivi stando 20
vedevam
le figure tutte quante.
Ell'era
quadra: ond'io che riguardando
giva
per tutto, dirizzai il viso
ver
l'una delle facce, in piede stando.
Là
vid'io pinta con sottil diviso 25
una
donna piacente nell'aspetto,
soave
sguardo avea e dolce riso.
La
man sinistra teneva un libretto,
verga
real la destra, e' vestimenti
porpora
gli estimai nell'intelletto. 30
A
piè di lei sedevan molte genti
sopra
un fiorito e pien d'erbette prato,
alcuni
più e alcun meno eccellenti.
Ma
dal sinistro e dal suo destro lato
sette
donne vid'io, dissimiglianti 35
l'una
dall'altra in atto ed in parato.
Elle
eran liete e lor letizia in canti
pareami
dimostrassero, ma io
con
l'occhio alquanto più mi trassi avanti,
Nel
verde prato a man destra vid'io 40
di
questa donna, in più notabil sito,
Aristotile
star con atto pio:
tacito
riguardando, in sé unito,
pensoso
mi pareva; e poi appresso
Socrate
sedea quasi smarrito. 45
Eravi
quivi ancor Platon con esso,
Melisso,
Alessandro v'era e Tale,
Speseusippo
lei mirando spesso;
Raclito
ancora e Ipocràs, il quale
in
abito mostrava d'aver cura 50
ancora
di sanare il mondan male.
Ivi
sedeva con sembianza pura
Galieno,
e con lui era Zenone
e
'l geometra ch'a dritta misura
mosse
lo 'ngegno, sì che con ragione 55
oggi
s'adovra seguendo suo stile;
e
dopo lui Democrito e Solone.
Insieme
con costoro in atto umile
si
sedea Tolomeo, e speculava
i
ciel con intelletto assai sottile, 60
riguardando
una spera che li stava
ferma
davanti; e Tebìth con lui
ed
Abracìs ancora in ciò mirava.
Averroìs
e Fedron dopo lui
sedevan
rimirando la bellezza 65
di
quella donna che onora altrui.
Nassagora
ancor quella chiarezza
mirava
fiso insieme con Timeo,
mostrando
in atto di sentir dolcezza.
Diascoride
ancor v'era ed Orfeo, 70
Ambepece
e Temistio, e poi un poco
Essiodo
almo e Timoteo.
Oh
quanto quivi in grazioso gioco
Pitagora
onorato si vedea
e
Diogene in sì beato loco! 75
Vie
dopo questi ancora mi parea
Seneca
riguardando ragionare
con
Tulio insieme, che con lui sedea.
Innanzi
a loro un poco, ciò mi pare,
Parmenide
sedea e Teofrasto, 80
lieto
ciascun della donna mirare.
Vestito
d'umiltà, pudico e casto,
Boezio
si sedeva ed Avicena,
ed
altri molti, i qua' s'a dir m'adasto,
non
fosse troppo rincrescevol pena 85
dubbio
a' lettor; però mi taccio omai
e
dirò di color che seco mena
dalla
man manca, ov'io mi rivoltai.
CANTO
V
Io
dico che dalla sinistra mano
di
quella donna vidi un'altra gente,
l'abito
della qual non guari strano
sembrava
da color che primamente
contati
abbiam, ben che la vista loro 5
si
stenda ver le donne più fervente.
Vergilio
mantovano infra costoro
conobb'i'
quivi più ch'altro esaltato,
sì
come degno, per lo suo lavoro.
Ben
mostrava nell'atto che a grato 10
gli
eran le sette donne per le quali
sì
altamente avea già poetato:
il
ruinar di Troia ed i suoi mali,
di
Dido, di Cartagine e d'Enea,
lavorar
terre e pascere animali 15
trattar
negli atti suoi ancor parea.
Omero
e Orazio quivi dopo lui,
ciascun
mirando quelle, si sedea.
A'
quai Lucan seguitava, ne' cui
atti
parea ch'ancora la battaglia 20
di
Cesare narrasse e di colui,
Magno
Pompeo chiamato, che 'n Tesaglia
perdé
il campo; e quasi lagrimando
mostra
che di Pompeo ancor li caglia.
Eravi
Ovidio, lo qual poetando 25
iscrisse
tanti versi per amore,
com'
acquistar si potesse mostrando.
Non
guari dopo lui fatt'era onore
a
Giovenal, che ne' su' atti ardito
a'
mondan falli ancor facea romore. 30
Terenzio
dopo lui aveva sito
non
men crucciato, e Panfilo e Pindaro,
ciascun
per sé sopra 'l prato fiorito.
E
Stazio di Tolosa ancora caro
quivi
pareva avesse l'aver detto 35
del
teban male e del suo pianto amaro.
Bell'uom
tornato d'asino, soletto
si
sedea Apolegio, cui seguiva
Varro
e Cicilio lieti nell'aspetto.
Euripide
mi par che poi veniva; 40
Antifonte,
Simonide ed Archita
parea
dicesser ciò ch'ognun sentiva
lì
di diletto e di gioconda vita,
insieme
ragionando; e dopo questi
Sallustio,
quasi in sembianza smarrita, 45
là
parea che narrasse de' molesti
congiuramenti
che fé Catellina
contra'
Roman, ch'a lui cacciar fur presti.
Al
qual Vegezio quivi s'avvicina,
Claudiano,
Persio e Catone, 50
e
Marziale in vista non meschina.
L'antico
e valoroso e buon Catone
quivi
era nel sembiante assai pensoso,
tenendo
con Antigono sermone.
E,
vago ne' suoi atti di riposo, 55
da
una parte mi parve vedere
quel
Livio che fu sì copioso,
guardando
que' che 'nanzi a sé sedere
tanti
vedea, nell'aspetto contento
d'avere
scritte tante storie vere. 60
Goloso
di cotal contentamento
Valerio
appresso parea che dicesse:
«Brieve
mostrai il mio intendimento».
Ivi
con lor mi parve ch'io vedesse
Paolo
Orosio stare ed altri assai, 65
de'
qua' non v'era alcun ch'io conoscesse.
Allora
gli occhi alla donna tornai
a
cui le sette davanti e dintorno
stavano
tutte in atti lieti e gai.
Dentro
dal coro delle donne adorno, 70
in
mezzo di quel loco ove facieno
li
savi antichi contento soggiorno,
riguardando,
vid'io di gioia pieno
onorar
festeggiando un gran poeta,
tanto
che 'l dire alla vista vien meno. 75
Aveali
la gran donna mansueta
d'alloro
una corona in su la testa
posta,
e di ciò ciascun'altra era lieta.
E
vedend'io così mirabil festa,
per
lui raffigurar mi fé vicino, 80
fra
me dicendo: «Gran cosa fia questa».
Trattomi
così innanzi un pocolino,
non
conoscendol, la donna mi disse:
–
Costui è Dante Alighier fiorentino,
il
qual con eccellente stil vi scrisse 85
il
sommo ben, le pene e la gran morte:
gloria
fu delle Muse mentre visse,
né
qui rifiutan d'esser sue consorte –.
CANTO
VI
Al
suon di quella voce graziosa
che
nominò il maestro dal qual io
tengo
ogni ben, se nullo in me sen posa:
–
Benedetto sia tu, etterno Iddio,
c'hai
conceduto ch'io possa vedere
in
onor degno ciò ch'avea in disio –, 5
incominciai
allora; né potere
aveva
di partir gli occhi dal loco
dove
parea il signor d'ogni savere,
tra
me dicendo: «Deh, perché il foco
di
Lachesis per Antropos si stuta 10
in
uomo sì eccellente e dura poco?
Viva
la fama tua, e ben saputa,
gloria
de' Fiorentin, da' quali ingrati
fu
la tua vita assai mal conosciuta!
Molto
si posson riputar beati 15
color
che già ti seppero e colei
che
'n te si 'ncinse, onde siamo avvisati».
I'
'l riguardava, e mai non mi sarei
saziato
di mirarlo, se non fosse
che
quella donna, che i passi miei 20
là
entro con que' due insieme mosse,
mi
disse: – Che pur miri? forse credi
renderli
col mirar le morte posse?
E'
c'è altro a veder che tu non vedi!
Tu
hai costì veduto, volgi omai 25
gli
occhi a que' del mondan romore eredi;
i
quali quando riguardati avrai,
di
quinci andrenci, ché lo star mi sgrata –.
A
cui io dissi: – Donna, tu non sai
neente
perché tal mirar m'aggrata 30
costui
cui miro, ché se tu il sapessi
non
parleresti forse sì turbata –.
–
Veramente se tu il mi dicessi
nol
saprei me'–, rispose quella allora,
–
ma perder tempo è pur mirare ad essi –. 35
Oltre
passai, sanza più far dimora,
con
gli occhi a riguardar, lasciando stare
quel
ch'io disio di rivedere ancora,
là
dove a colei piacque che voltare
io
mi dovessi; e vidi in quella parte 40
cosa
ch'ancor mirabile mi pare.
Odi,
ché mai Natura con sua arte
forma
non diede a sì bella figura:
non
Citarea, allor ch'ell'amò Marte.
né
quando Adon le piacque, con sua cura 45
si
fé sì bella, quanto infra gran gente
donna
pareva lì leggiadra e pura.
Tutti
li soprastava veramente,
di
ricche pietre coronata e d'oro,
nell'aspetto
magnanima e possente. 50
Ardita
sopra un carro tra costoro
grande
e triunfal lieta sedea,
ornato
tutto di frondi d'alloro.
Mirando
questa gente in man tenea
una
spada tagliente, con la quale 55
che
'l mondo minacciasse mi parea.
Il
suo vestire a guisa imperiale
era,
e teneva nella man sinestra
un
pomo d'oro, e 'n trono alla reale,
vidi,
sedeva; e dalla sua man destra 60
due
cavalli eran che col petto forte
traeano
il carro fra la gente alpestra.
Ed
intra l'altre cose che iscorte
quivi
furon da me intorno a questa
sovrana
donna, nimica di morte 65
nel
magnanimo aspetto, fu ch'a sesta
un
cerchio si movea grande e ritondo,
da'
piè passando a lei sopra la testa.
Né
credo che sia cosa in tutto 'l mondo,
villa,
paese, dimestico o strano, 70
che
non paresse dentro da quel tondo.
Era
sopra costei, e non invano,
scritto
un verso che dicea leggendo:
«Io
son la Gloria del popol mondano».
Così
mirando questa e provedendo 75
ciò
che di sopra, dintorno e di sotto
le
dimorava e chi la gia seguendo
o
lei mirava, sanza parlar motto
per
lungo spazio inver di lei sospeso
tanto
stett'io, che d'altra cura rotto 80
nella
mente sentimmi: il viso steso
diedi
a mirar il popolo che andava
dietro
a costei, chi lieto e chi offeso,
sì
come nel mio credere estimava.
E
quivi più e più ne vidi, i quali 85
conobbi,
se 'l parer non m'ingannava;
onde
al disio di mirar crebbe l'ali.
CANTO
VII
Tra
gli altri che io vidi presso a questa
fu
Giano, ch'esser stato abitatore
dell'italici
regni facea festa.
Turbato
nell'aspetto e di furore
pien
seguiva Saturno, cui il figlio 5
mandò
mendico per esser signore.
Il
superbo Nembròt, che il gran fé impiglio
in
Senaàr per voler gire a Dio,
stordito
v'era sanza alcun consiglio.
Lunghesso
Fauno e Pico lor vid'io 10
seguire,
ed il gran Belo dopo loro,
mirando
ognun la donna con disio.
Elettra
ed Atalante con costoro
givano
insieme, e dopo lor seguire
Italo
vidi sanza alcun dimoro. 15
Robusto
si mostrava e pien d'ardire
Dardano
quivi con un freno in mano,
e
nell'atto parea volesse dire:
«Io
fui colui, nel mondo primerano,
il
qual col freno in Tessaglia domai 20
il
caval primo, in uso ancora strano,
mirabilmente,
e sì edificai
primo
quella città, che poscia Troia
chiamaro
i successor ch'io vi lasciai».
Appresso
il qual, mostrando in atto gioia, 25
seguia
Sicul, che l'isola del foco
prima
abitò in pace e sanza noia.
Troiolo
ancora in quel medesmo loco
coverto
d'oro tutto risplendea,
faccendosi
alla donna a poco a poco. 30
Rigido
e fiero quivi si vedea
Nino,
che prima il suo natural sito
per
battaglia maggior fé, che parea
ancor
che minacciasse insuperbito.
E
dopo lui seguiva la sua sposa 35
con
sembiante non men che 'l suo ardito:
così
rubesta e così furiosa
vi
si mostrava, come quando a lui
succedette
nel regno valorosa.
Tamiris
poi seguitava, nel cui 40
viso
superbia saria figurata,
con
gli occhi ardenti spaventando altrui.
Anfion
poi con labbia consolata
vi
conobb'io, al suon del cui liuto
fu
Tebe pria di muri circumdata. 45
Retro
a lui Niobè, il cui arguto
parlar
fu prima cagion del suo male
e
del danno de' figli ricevuto.
Poi
seguitava Danao, dal quale
l'antico
popol greco veramente 50
trasse
il suo principio originale.
A
cui di dietro quel Serse possente,
che
fé sopra Ellesponto il lungo ponte,
venia,
freno all'orgoglio della gente.
Riguardando
la donna, con la fronte 55
alzata
venia Ciro poco appresso,
di
cui l'opere furo altiere e conte.
Laumedon
sen veniva dopo esso,
con
molti successor dietro alle spalle,
de'
qua' giva Priamo oltre con esso. 60
Anchise
seguitava nel lor calle;
appresso
il qual colui venia correndo
che
le dee vide nella scura valle.
Nello
aspetto parea ch'ancor ridendo
andasse
di ciò ch'elli aveva fatto, 65
quando
di Grecia si partì fuggendo.
Dopo
costui Enea seguia con atto
pietoso
molto, e non molto distante
Giulio
Ascanio il seguitava ratto.
Oh
quanto ardito e fiero nel sembiante 70
quivi
parea Ettòr sopra un destriere
tra
tutti i suoi, di molto oro micante!
Bello
e gentil nell'aspetto a vedere
era,
con una lancia in mano andando
ver
quella donna lieto, al mio parere. 75
Risplendea
quivi ancora cavalcando
Alessandro,
che 'l mondo assalì tutto
con
forza lui a sé sotto recando;
il
qual con fretta voleva al postutto
toccare
il cerchio ove colei posava, 80
cui
questi disiavan per lor frutto.
E
'l re Filippo e Nettabòr, gli andava
ciascuno
appresso rimirando quello,
e
nello aspetto se ne gloriava.
Veniva
in su un caval corrente e snello 85
Dario
crucciato nello aspetto
e
con sembiante dispettoso e fello,
e
sanza aver di tale andar diletto.
CANTO
VIII
Mirando
avanti con ferma intenzione,
veder
mi parve quel re eccellente
che
fu sì savio, io dico Salamone.
Eravi
ancora Sanson, che possente
di
forza corporal più ch'altro mai 5
fu
che nascesse fra l'umana gente.
Nel
riguardar più innanzi affigurai
il
viso d'Ansalon, che più bellezza
ebbe
che altro nel mondo giammai.
Tra
questi pien d'orgoglio e di fierezza 10
seguendo
cavalcava Campaneo,
che
ne' suoi atti ancora Iddio sprezza.
Etiocle
era quivi con Tideo,
Adastro
re pensante e doloroso
del
perder che dintorno a Tebe feo. 15
Ancora
si mostrava il valoroso
Pollinice;
broccando il seguitava
el
re Ligurgo e Giansone animoso.
Di
rietro al quale Pelleo cavalcava,
con
quella lancia in man che prima morte 20
poi
medicina a sua ferita dava.
Veniva
appresso vigoroso e forte
Achille
col figliuol, che sì spietata
vendetta
fé quando l'antiche porte
non
serraron più Troia, che l'entrata 25
aveva
data al gran caval ripieno
della
nimica gente tutta armata.
Questo
crudel sanza mezzo seguieno
Diomede
ed Ulisse, e ad agguati
andare
ancor pensando mi parieno. 30
Vigoroso
di dietro a loro armati
Patrocolo
veniva ed Antenore,
ciascun
con gli occhi ver la donna alzati.
Ercule
v'era, il cui sommo valore
lungo
saria a voler recitare, 35
per
ch'ebbe già d'assai battaglie onore.
Anteo
dopo lui vi vidi stare,
ch'ancor
parea che 'n atto si dolesse
di
ciò che già li fé Ercule provare.
Veniva
poi Minòs, come se stesse 40
ancor
davanti Atene tutto armato,
né
d'Androgeo parea più li dolesse.
Oh
quanto d'ira pareva infiammato,
d'ira
e di mal talento Menelao
seguendo
Agamenòn dal destro lato! 45
Il
qual seguiva poi Protesselao,
bello
e grazioso nello aspetto;
e
dopo lui cavalcava Anfirao,
che'
suoi lasciò ad oste nel conspetto
di
Tebe, ruvinando a' dolorosi 50
c'hanno
perduto il ben dello 'ntelletto.
Venian
dopo costui, molto animosi,
insieme
con Teseo Demofonte,
di
toccar quella donna disiosi.
I
qua' seguia con dolorosa fronte 55
Egeo,
che per veder le vele nere
si
gittò in mar dell'alta torre sponte.
Turno
pareva quivi che di vere
lagrime
avesse tutto molle il viso,
dogliendose
del troian forestiere. 60
Eurialo
ancora v'era e Niso,
mostrandosi
piagati come foro
ciascun
di lor, l'un per l'altro conquiso.
Non
molto spazio poi dietro a costoro
Latino
sen veniva a piccol passo, 65
Pallante
e Creso poi, e dopo loro
Giarba
veniva nello aspetto lasso,
andandosi
di Dido ancor dolendo
perché
ad altro om di lui fece trapasso.
Helena
dopo lui portava ardendo 70
di
foco un gran tizzone, e pur costei
miravan
molti se stessi offendendo.
Oreste
niquitoso dopo lei
con
un coltello in man seguiva fello,
nell'atto
minacciando ancor colei 75
del
corpo a cui uscì; e poi dop'ello
venia
broccando la Pantasilea,
lieta
nel viso grazioso e bello.
Oh
quanto ardita e fiera mi parea,
armata
tutta, con un arco in mano, 80
con
più compagne ch'ella seco avea!
Non
era lì alcun che del sovrano
ed
altier portamento maraviglia
non
si facesse, tenendolo strano.
Non
molto dopo lei venia la figlia 85
del
re Latino lieta, e dopo Iole;
poi
Deianira con bassate ciglia
ancora
quivi d'Ercule si dole.
CANTO
IX
Moveasi
dopo queste quella Dido
cartaginese,
che credendo avere
in
braccio Giulio vi tenne Cupido.
Isconsolata
giva, al mio parere,
chiamando
in boci ancora: «Pio Enea, 5
di
me, ti priego, deggiati dolere».
Ancora,
com'io vidi, in man tenea
tutta
smarrita quella spada aguta
che
'l petto le passò, che mi facea,
essendole
lontan, nella veduta 10
ancor
paura, non ch'a lei ch'ardita
fu
dar di quella a sé mortal feruta.
Trista
piangendo, in abito smarrita
e
come can nella voce latrare,
Ecuba
vidi con poca di vita. 15
Con
lei la mesta Pulisena stare
quivi
parea, in aspetto ancor sì bella
che
me ne fé in me maravigliare.
Hoeta
poi seguitava dop'ella,
piangendo
a' Greci aver piaciuto mai, 20
quand'elli
andar per le dorate vella.
Vedevasi
colei che sentì guai
Ercule
partorendo, e dopo lei
Isifile
dolente affigurai.
In
abito crucciato con costei 25
seguia
Medea crudele e dispietata;
con
voce ancor parea dicere: «Omei,
se
io più savia alquanto fossi stata
né
sì avessi tosto preso amore,
forse
ancor non sarei suta ingannata». 30
Eravi
ancor Camilla che 'l dolore
della
morte sentì, per Turno fiera,
mostrando
ne' sembianti il suo vigore.
Non
molto dopo lei ancora v'era,
col
capo basso ed umil nel sembiante, 35
Ilia
vestale vestita di nera,
portando
in ciascun braccio un piccol fante,
Romolo
e Remolo amendue nomati,
traendo
lor quanto potea avante.
Ratto
tra gli altri di sopra contati 40
si
facea Foroneo, che prima diede
legge
civile, acciò che ordinati
e
suoi vivesser, sì come si crede;
e
dopo lui venia Numa Pompilio
che
lieta ne fé Roma, com si vede. 45
Dop'esso
cavalcava Tulio Ostilio
ed
Anco Marco ed il Prisco Tarquino,
e
dopo lui seguia Tulio Servilio.
Ivi
Tarquin Superbo e Collatino
pareano,
e 'l re Porsenna che andando 50
ferocemente
seguia lor camino.
Seguivali
Cornelio ancor mostrando
l'inarsicciata
man ch'uccise altrui,
che
'l core non volea, nescio fallando.
Il
valoroso Bruto, per lo cui 55
ardir
fu Roma da giogo reale
diliberata,
seguiva; e con lui
Orazio
Cocle v'era, per lo quale,
tagliato
il ponte a lui dietro alle spalle,
libera
Roma fu dal truscian male. 60
Dietro
veniva quel Curzio ch'a valle
armato
si gittò per la fessura,
in
forse di sua vita o di suo calle,
intendendo
a voler render sicura
piuttosto
Roma e i suoi abitatori, 65
che
di se stesso aver debita cura.
Seguia
Fabrizio che gli eccelsi onori
più
disiò che posseder ricchezza,
avendo
que' per più cari e maggiori.
Eravi
quel Metel ch'alla fierezza 70
di
Giulio Tarpea tanto difese,
mostrando
non curar la sua grandezza.
Riguardando
oltre mi si fé palese
Curio,
che diede per consiglio
ch'al
presto sempre lo 'ndugiare offese. 75
Vedevavisi
Mario che lo 'mpiglio
con
Lucio Silla fé nella cittate,
mettendo
a' colpi il padre contro al figlio.
Iuba
ed Amilcare e Mitridate,
Manastabil
e Codro v'era ancora, 80
e
poi Giugurta voto di pietate.
Rigido
nello aspetto vi dimora
Catellina,
e pensando par che vada
allo
essilio, che 'n vista ancor l'accora.
Evvi
Cloelia appresso, che la strada 85
fece
a' Roman quand'ella si fuggio
per
lo Tevero in parte u' non si guada,
lo
cui tornar Roma rinvigorio.
CANTO
X
Ahi
quivi fiero ed orgoglioso quanto
vi
vid'io Annibal sopra un destriere,
ch'alli
Roman levò riposo tanto!
Rubesto
lì parea ancor tenere
Cartagine
sub sé, col viso alzato 5
inver
la donna andando a suo potere.
Asdrubal
gli era dal sinistro lato
con
non men di fierezza nello aspetto,
con
una lancia cavalcando armato.
Coriolan,
che lo 'nfiammato petto 10
ebbe
contra' Romani, e giustamente,
quando
leal cacciar lui per sospetto,
come
vedendo quella umilemente,
che
'l generò, piegando la sua ira
a'
preghi suoi, era quivi presente. 15
Oltre
con gli altri andava ver la mira
bellezza
della donna; dopo il quale,
come
colui che tristo ancor sospira,
Massinissa
seguiva, del suo male,
a
freno abandonato cavalcando, 20
se
stesso avendo poco a capitale.
Allegro
Cincinnato seguitando
l'andava,
e Persio poi, come potea,
giocondo
sé nel sembiante mostrando.
Nobile
nello aspetto si vedea 25
possente
oltre venir intra costoro
Cesare,
che in vista ancor ridea
d'avere
a forza avuto da coloro
nome
d'impero, che real dignitate
per
istatuto avean cassa fra loro. 30
Ornato
di bell'arme e coronate
le
tempie avea di quelle fronde care,
che
fur da Febo già cotanto amate.
Mirabilmente
bell'a campeggiare
in
uno scudo lo divino uccello 35
nero
nell'or li vidi, ciò mi pare;
ancora
in una lancia un pennoncello
che
'n man portava vidi, e simigliante
vi
vidi quella ventilarsi in quello.
Di
quanti a lui ve n'andasser davante 40
nullo
ne fu che tanto mi piacesse
né
tanto valoroso nel sembiante.
Appresso
poi parea che li corresse
volonteroso
e sì forte Ottaviano,
che
dentro al cerchio già parea ch'avesse 45
messa
più che nessun la destra mano:
bello
era e nello aspetto grazioso
quanto
alcun altro fosse mai mondano.
A
lui seguiva poi molto pensoso,
palido
nello aspetto, il gran Pompeo, 50
tal
che di lui mi fé tornar pietoso,
mirando
dietro a sé a Tolomeo
che
il seguiva, cui fé re d'Egitto,
che
poi uccider là vilmente il feo.
A
loro Marco Antonio quiviritto 55
seguiva
e Cleopatra ancor con esso,
che,
in Cicilia, fuggì sanza rispitto,
ridottando
Ottavian, perché commesso
le
parea forse aver sì fatta offesa,
che
non sperava mai perdon da esso. 60
Ivi
non potend'ella far difesa
al
fuoco che l'ardeva forse il core
di
libidine e d'ira, ond'era accesa,
a
fuggir quello oltraggioso furore
con
due serpenti in una sepoltura 65
sofferse
sostener mortal dolore;
ed
ancor quivi nella sua figura
palida,
si vedeano i due serpenti
alle
sue zizze dar crudel morsura.
Prima
che questi, credo più di venti, 70
era
'l primo Africano Scipione,
ch'a
Roma fé con sua forza ubbidenti
ritornar
già, con degna punizione,
que'
di Cartago che insuperbiti
eran
per Annibal lor campione. 75
Ivi
Cornelia in sembianti smarriti
seguia
dietro a color, cui dissi suso
ch'avanti
a Scipion non erano iti.
E
poi che dopo ad essa, gli occhi in giuso,
Traian
vidi venir e dopo lui 80
Marzia
col viso di lagrime infuso,
Giulia
veniva poi dietro; con cui,
in
atti riposati e mansueta,
quasi
alle spalle a Cesare, di cui
honesta
sposa fu, Calpurnia lieta 85
venia,
sanza parer che disiasse
altro
veder che lui, e in lui quieta
ogni
altra voglia che la stimolasse.
CANTO
XI
Venian
dopo costor gente gioconda
ne'
loro aspetti, tutti cavalieri
chiamati
della Tavola ritonda.
Il
re Artù quivi era de' primieri,
a
tutti armato avanti cavalcando 5
ardito
e fiero sopra un gran destrieri.
Seguialo
appresso Bordo spronando
e
con lui Prezivalle e Galeotto
a
picciol passo insieme ragionando.
E
dietro ad essi venia Lancillotto, 10
armato
e nello aspetto grazioso,
con
una lancia in man, sanza far motto,
ferendo
spesso il caval poderoso
per
appressarsi alla donna piacente,
di
cui toccar pareva disioso. 15
Oh
quanto adorna quivi ed eccellente
allato
a lui Ginevra seguitava,
in
su un palafreno orrevolmente!
Stella
mattutina somigliava
la
luce del suo viso, ove biltate 20
quanto
fu mai tututta si mostrava.
Sorridendo
negli atti, di pietate
piena
e parlando a consiglio segreto
con
tacite parole ed ordinate,
era
con que' che già ne visse lieto 25
lunga
fiata, lei sanza misura
amando,
ben che poi n'avesse fleto.
Non
molto dietro ad esso con gran cura
seguiva
Galeotto, il cui valore
più
ch'altro de' compagni si figura. 30
E
lui seguiva Chedino ed Astore
di
Mare insieme con messer Ivano,
disiosi
ciascuno di più onore.
L'Amoroldo
d'Irlanda ed Agravano,
Palamidès
seguiva e Lionello, 35
e
Polinoro con messer Calvano.
Mordretto
appresso e con lui Dodinello,
e
'l buon Tristan seguiva poi appresso
sopra
un cavallo poderoso e isnello.
Isotta
bionda allato allato ad esso 40
venia,
la man di lui con la sua presa
e
rimirandol nella faccia spesso.
Oh
quanto ella parea nel viso offesa
dalla
forza d'amor, di che parea
ch'avesse
l'alma dentro tutta accesa, 45
di
che negli atti fuor tutta lucea!
«Tu
se' colui cui io sola disio»,
timida
nello aspetto li dicea;
«in
qua ti priego ch'alquanto, amor mio,
tu
ti rivolghi, acciò ch'io vegga il viso 50
per
cui vedere in tal camin m'invio».
Retro
a costor sopra un cavallo assiso
rubesto
e fiero Brunoro venia,
ed
altri molti, i qua' qui non diviso,
eran
con lui; ma io, la vista mia 55
dopo
la lunga schiera discendendo,
conobbi
più mirabil baronia.
Di
porpore vestito, oltre correndo,
quel
Carlo Magno sen veniva avante
ch'al
mondo fu cotanto reverendo, 60
in
su un forte e gran destrier ferrante,
ancora
de' triunfi coronato
ch'egli
acquistò sopra le terre sante,
fiero
ed ardito e tutto quanto armato,
co'
gigli d'oro nel campo cilestro 65
e
'l nero uccel davanti nel dorato.
Eravi
Orlando dal lato sinestro
con
una spada in man fiero ed ardito,
ed
Ulivier lo seguiva dal destro.
Cavalcando
tra questi oltre pulito, 70
da
Montalban Rinaldo giva avanti
intra
due suoi fratelli reverito.
Tra
loro era Dusnamo con sembianti
lieti,
e molti altri ancor v'eran li quali
io
non pote' conoscer tutti quanti. 75
Oltre
venia, che parea ch'avesse ali,
il
duca Gottifré dopo costoro
per
volere esser pur de' principali.
Appresso
lui seguiva con coloro
umilemente
Ruberto Guiscardo, 80
che
fu signor già in Terra di Lavoro.
Lui
seguitava frontiero e gagliardo
Federigo
secondo; e 'l Barbarossa
sopr'un
forte roncion di pel leardo,
cavalleroso
e di persona grossa, 85
dritto
sovra le strieve in atto altiero,
nel
sembiante avitendo ogni altra possa,
via
se ne giva per esser primiero.
CANTO
XII
Non
sanza molta ammirazion mirando
m'andava
riguardando quella gente,
fra
me di lor pensier nuovi recando.
Parevami,
nel creder, veramente
che
loro eccelsa fama gloriosi 5
far
li dovesse sempiternamente.
E
fra gli altri che molto disiosi
negli
atti si mostravan di venire
a
quella donna per esser famosi,
robustamente
in aspetto seguire, 10
armato
tutto sopra un gran destriere,
vid'io
quivi un grandissimo sire ,
vestito
di cilestro, al mio parere,
lucente
tutto di be' gigli d'oro
ch'ogni
altra luce facean trasparere. 15
Ognun,
qualunque fosse di coloro
che
gian davanti, rimirava lui,
sì
fiero andava fuggendo dimoro.
Se
ben ricordo, e' mi parve costui
quel
Carlo ardito ch'ebbe il maschio naso 20
insieme
con virtù molta, da cui
tutto
il pugliese regno fu invaso
e
conquistato, e fanne coronato;
del
qual signore il suo seme è rimaso.
Rimirandosi
innanzi quasi irato, 25
con
una spada che in man tenea
da
ogni parte si facea far lato.
Appresso
a lui, al mio parer, vedea
il
Saladin risplender tutto quanto
entro
ad un drappo ad or che 'ndosso avea. 30
Costui
seguiva dal sinistro canto
tututto
armato Ruggier di Loria,
che
in arme ebbe già valor cotanto.
Ontoso
tutto appresso li venia
il
re Manfredi e con dolente aspetto, 35
e
con lui Curradino in compagnia.
Rietro
a costoro assai che io non metto
qui
ne seguien, però che troppo avrei
a
fare a dirti tutti ed il mio detto
tireria
lungo più ch'io non vorrei, 40
posto
ch'alla man manca ed alla dritta,
ch'io
non ne conto, più ne conoscei.
E
la mia mente dal disio trafitta
di
vedere oltre pur mi stimolava,
per
che la vista non teneva fitta. 45
Similemente
quella con cui andava,
con
le parole sue faccendo fretta,
sovente
all'altre cose mi chiamava.
Il
dir ch'io le faceva: – Un poco aspetta –
non
mi valeva, per ch'io mi voltai 50
verso
la terza faccia a man diretta.
Aveavi
certo da mirare assai
più
ch'io dir non potrò, tal che 'n me stesso
assai
fiate men maravigliai.
Con
gli occhi alzati mi feci più presso 55
al
detto luogo, acciò ch'io conoscessi
chi
e che cose vi stessero in esso.
Oro
ed argento, un gran monte, e con essi
zaffiri
ed ismeraldi con rubini
ed
altre pietre assai credo vedessi. 60
Riguardando
più basso, con uncini,
chi
con picconi e chi avea martello
e
chi con pale e chi con gran bacini,
ronconi
alcuni ed altri intorno ad ello
con
l'unghie e chi coi dente, uno infinito 65
popol
vi vidi per pigliar di quello.
E
ciaschedun parea pronto ed ardito,
non
onorando il piccolo il maggiore,
a
suo poter fornia suo appetito.
Gente
v'avea di molto gran valore 70
in
vista, avvegna che la lor viltate
pur
si scopria, veggendo con romore
gli
altri, che quivi per cupiditate
givan,
cacciarli con duoli e con morte
per
prendern'essi maggior quantitate, 75
iniqua
tirannia rubesta e forte
usando,
chi con fatti e chi con detti,
prendendo
più che la dovuta sorte.
Alcun
v'avea che i loro mantelletti
se
n'avean pieni, e per volerne ancora 80
abbandonavan
tutti altri diletti.
Tra
quella gente che quivi dimora
conobb'io
molti, e vidivene alcuno
ch'aver
preso di quello ora ne plora
e
forse ne vorrebbe esser digiuno; 85
ma,
cosa fatta, penter non vi vale,
né
puolla adietro ritornar nessuno:
adunque
ogni uom si guardi di far male.
CANTO
XIII
Mirand'io
quella turba sì gulosa
di
quel per che s'affanna la più gente,
per
esserne nel mondo copiosa,
entrato
infra 'l tesoro più fervente
vi
vid'io Mida, in vista che sazia 5
saria
di tutto appena possedente,
non
bastandoli avere avuta grazia
dall'iddii
che ciò che e' toccasse
ritornasse
oro ver sanza fallazia.
Di
rietro a lui parea che ne tirasse 10
giù
Marco Crasso assai, avvegnadio
che
della bocca ancor li traboccasse.
Allato
a lui con isciolto disio
quell'Attila,
che 'n terra fu flagello
s'affaticava
forte, al parer mio, 15
nelle
sue man tenendo uno scarpello
con
un martel, fierendo sopra 'l monte,
gran
pezzi e grossi levando di quello.
Dall'altra
parte con superba fronte
era
Epasto, con un piccone in mano 20
con
punte agute bene ad entrar pronte.
Ognor
che su vi dava non invano
tirava
il colpo a sé, ma gran cantoni
giù
ne faceva ruvinare al piano,
impiendo
di quel sé e' suoi predoni 25
ed
ogni sciolta voglia adoperando,
dannando
le giustizie e le ragioni.
Là
vi vid'io ancora furiando
Nerone
imperadore, ed avea tesa
sopra
'l monte una rete e già tirando 30
molta
gran quantità n'aveva presa
di
quel tesoro, e qual gittava via
e
qual mettea in disordinata spesa.
Ivi
di dietro un poco a lui seguia
con
una scure in man Polinestore, 35
e
quanto più potea quivi feria,
ora
col colpo faccendo romore,
ora
mettendo biette alla fessura
quando
la scure sua tirava fore,
forse
temendo che non l'apritura 40
si
richiudesse; e molto ne levava
continovando
pur con la sua cura.
Appresso
lui tutto 'l monte graffiava
Pignaleon
con uno uncino aguto,
e
molto giuso a sé ne ritirava. 45
L'acerbo
Dionisio conosciuto
v'ebbi
mirando fra la gente folta,
ch'a
tor dell'oro non voleva aiuto.
Là
si ficcava tra la turba molta
con
un roncone in man tagliando, e presto 50
di
quello a piè si faceva raccolta,
impiendo
con affanno il suo molesto
voler,
cacciando misura e piatate
in
modo sconcio assai e disonesto.
Rubesto
appresso la sua crudeltate 55
Fallarìs
dimostrava, ricidendo
con
una accetta una gran quantitate
e
via di quindi di quel trasferendo;
poi,
arrotata la 'ngrossata accetta,
ancora
quivi tornava correndo. 60
Con
furiosa e minaccevol fretta
quivi
si vedea Pirro accompagnato
con
mal disposta e dispiacevol setta.
A
molti lì per forza avean levato
a
cui cesta di collo, a cui di seno 65
avean
rubato l'or ch'avean cavato.
Ridendo
poi fra lor se ne facieno
beffe
ed istrazio di que' cattivelli,
ch'a
cavar quel fatica avuta avieno.
Ancora
vid'io star presso di quelli 70
il
dispietato ed iniquo Tereo,
di
quel tesoro prender nel quale elli
fatica
non durò mai come feo
quelli
a cui toglieva; e dopo lui
pien
d'oro dimorava Tolomeo. 75
Ivi
era Fisistrato, per la cui
cura
più scrigni ripieni e calcati
quivi
ne vidi tirati da lui.
Avea
in un lembo de' panni piegati
Siragusan
Geronimo tesoro: 80
egli
e molti altri ne gian caricati.
Ma
di Novara Azzolin con costoro
con
molto se ne giva, per tornare
con
maggior forza a sì fatto lavoro.
Molti
altri ancora vi vidi cavare 85
ed
isforzarsi per volerne avere,
ma
niente era il loro adoperare,
anzi
oziosi stavano a vedere.
CANTO
XIV
Più
altra gente ancor v'avea, fra' quali
gran
quantità di nuovi Farisei
ad
aver del tesoro battean l'ali,
e
sconfortando gli altri e come rei
erano
a posseder nel lor parlare 5
mostrando;
e s'io nel rimirar potei
riguardar
vero il loro adoperare,
per
possederne maggior quantitate
li
vi vedeva forte affaticare.
Correndo
sen portavan caricate 10
le
some, e con iscrigni e piene ceste
si
ritornavan quivi molte fiate.
Ver
è che ben ch'avesser lunghe veste
non
gli ingombrava però, ma parea
che
più che gli altri avesser le man preste. 15
Infra
lor riguardando, assai v'avea
di
quelli cui altra volta avea veduti
e
ch'io per nome ben riconoscea.
Li
quali, però che son conosciuti,
non
bisogna ch'io nomi, ben che pari 20
potrebbono
esser tututti tenuti.
Con
questi avanti, al mio parer non guari,
quasi
tra quei ch'erano più eccellenti
e
che parean de' su detti vicari,
ornato
di be' drappi e rilucenti 25
il
nipote vid'io di quel Nasuto,
che
gloriarsi va co' precedenti,
recarsi
in mano un forte biccicuto,
dando
ta' colpi sopra 'l monte d'oro,
che
di ciascun saria un mur caduto; 30
e
d'esso assai levava, e quel tesoro
in
parte oscura tutto si serbava,
e
quasi più n'avea ch'altro di loro.
Oltre
grattando il monte dimorava
con
aguta unghia un, ch'al mio parere 35
in
molte volte poco ne levava.
Con
questo tanto forte quel tenere
in
borsa li vedea, ch'a pena esso,
non
ch'altro alcun, ne potea bene avere.
Al
qual faccendom'io un poco appresso 40
per
conoscer chi fosse apertamente,
vidi
che era colui che me stesso
libero
e lieto avea benignamente
nudrito
come figlio, ed io chiamato
aveva
lui e chiamo mio parente. 45
Davanti
e poi e d'uno e d'altro lato
tanti
su per lo monte e giù scendieno
a
prender del tesoro disiato:
ogni
lingua verrebbe a dirlo meno,
però
qui m'aggia lo lettore alquanto 50
scusato
s'io non gli ritraggo a pieno.
Quand'io
ebbi costor mirati tanto
ch'a
me stesso increscea, io mi voltai,
com'altri
volle, verso il destro canto.
Ver
è che disiato avrei assai 55
d'essere
stato della loro schiera,
se
con onor potesse esser giammai.
E
s'io vi fossi stato, come v'era
alcun
ch'io vi conobbi, io avrei fatto
sì
che veduta fora la mia cera 60
credo
più volentier da tal che matto
or
mi riputa, però che i' ho poco,
e
più caro m'avrebbe in ciascun atto.
Hai
lasso, quanto nelli orecchi fioco
risuona
altrui il senno del mendico! 65
né
par che luce o caldo abbia 'l suo foco,
e
'l più caro parente gli è nimico;
ciascun
lo schifa, e se non ha moneta
alcun
non è che 'l voglia per amico.
Unque
s'ogni uomo pur di quello asseta, 70
mirabile
non è, poiché virtute
sanza
danari nel mondo si vieta;
il
cui valor se fosse alla salute
di
quel pensato che uom pensar dee,
non
le ricchezze sarian sì volute. 75
Ma
io mi credo che parole ebree
parrebbono
a ciascun chiaro intelletto
il
dir che le ricchezze fosser ree,
avvegna
che in me questo difetto
piuttosto
che in altro caderia, 80
tanto
disio d'averne con effetto.
Né
da tal disiderio mi trarria
alcun,
tanto il pregar mi par noioso
che
di danar sovvenuto mi sia.
Dopo
molto pensar, disideroso 85
di
veder tutto, dirizzai il viso:
e
vidi figurato poderoso
Amor,
sì come qui sotto diviso.
CANTO
XV
Quella
parte dov'io or mi voltai
con
gli occhi riguardando e con la mente,
di
storie piena la vidi e d'assai.
Volendo
adunque d'esse pienamente,
almen
delle notabili, parlare, 5
rallungar
sì convien l'opra presente.
E
però dico che, nel riguardare
ch'io
feci, a guisa d'un giovane prato
tutta
la parte vidi verdeggiare,
similemente
fiorito e adornato 10
d'alberi
molti e di nuove maniere,
e
l'esservi parea gioioso e grato.
Tra'
quali, in mezzo d'esso, al mio parere,
un
gran signor di mirabile aspetto
vid'io
sopra due aquile sedere; 15
al
qual mentre io mirava con effetto,
sopra
due lioncelli i piè tenea
ch'avean
del verde prato fatto letto.
Una
bella corona in capo avea
e
li biondi cape' sparti sott'essa, 20
che
un fil d'oro ciaschedun parea.
Il
viso suo come neve mo' messa
parea,
nel qual mescolata rossezza
aveva
convenevolmente ad essa.
Sanza
comparazion la sua bellezza 25
era,
ed aveva due grandi ali d'oro
alle
sue spalle, stese inver l'altezza.
In
man tenea una saetta d'oro
ed
un'altra di piombo, alla reale
vestito,
al mio parer, d'un drappo ad oro. 30
Orrevolmente
là il vedea cotale,
tenendo
un arco nella man sinestra,
la
cui virtù sentir già molti male.
Né
però era sua sembianza alpestra
ma
giovinetta e di mezzana etate, 35
dimestica
e piatosa e non silvestra.
E
'ntorno avea sanza fine adunate
genti,
le qua' parea che ciascheduno
mirasse
pure a sua benignitate.
Gai
e giocondi ve ne vidi alcuno, 40
tristi
e dolenti sospirando gire
altri
vi vidi, in isperanza ognuno.
Io
che mirava il grazioso sire,
immaginando
molto il suo valore
per
molti ch' io vidi a lui servire, 45
ornata
come lui, con grande onore
li
vidi allato una donna gentile,
la
qual pareva sì com'elli Amore,
vaga
nelli occhi, piatosa ed umile;
ver
è ch'era d'alloro coronata, 50
ed
in tanto era ad Amor dissimile.
Angiola
mi pareva nel ciel nata,
e
in me più volte pensai ch'ella fosse
quella
che in Cipri già fu adorata.
Non
so quel che il cor mi si percosse 55
mirando
lei, se non che l'alma mia
pavida
dentro tutta si riscosse,
né
sanza a lei pensar fu poi né fia:
sì
eccellente e tanto graziosa
quivi
allato ad Amor vidi lucia. 60
In
fronte a lei, più ch'a altra valorosa,
due
belli occhi lucean sì che fiammetta
parea
ciascuno d'amor luminosa;
e
la sua bocca bella e piccioletta
vermiglia
rosa e fresca simigliava, 65
e
parea si movesse sanza fretta.
Dintorno
a sé tutto il prato allegrava,
come
se stata fosse primavera,
col
raggio chiar che 'l suo bel viso dava.
Io
non credo ch'al mondo mai pantera 70
col
suo odor già anima' tirasse,
faccendoli
venir dovunque s'era
blandi
e quieti, ch'a lei simigliasse;
e
sì parean mirabili i suoi atti,
ch'Amor
pareva lì s'innamorasse. 75
Oh
come nello aspetto, in detti e 'n fatti,
savia
parea, con alto intendimento,
pensando
a' suo' sembianti ed a' suoi tratti!
Contemplando
ad Amore il suo talento
parea
fermasse en la sua chiara luce: 80
com'aquila
a' figliuo' nel nascimento
con
amor mostra ond'ella li produce
a
seguir sua natura, così questa
credo
che faccia a chi la si fa duce.
A
rimirar contento questa onesta 85
donna
mi stava, che in atti dicesse
parea
parole assai piene di festa,
come
lo 'mmaginar par che intendesse.
CANTO
XVI
Costei
pareva dir negli atti soi:
«Io
son discesa della somma altezza
e
son venuta per mostrarmi a voi.
Il
viso mio, chi vuol somma bellezza
veder,
riguardi, là dove si vede 5
accompagnata
lei e gentilezza.
Ò
pietà per sorella e di merzede
fontana
sono: Iddio mi v'ha mandata
per
darvi parte del ben che possiede.
Donna
più ch'altra sono innamorata 10
e
ma' isdegno in me non ebbe loco,
però
Amor m'ha cotanto onorata.
Ancor
risplende in me tanto il suo foco,
che
molti credon talor ch'io sia ello,
avvegna
che da lui a me sia poco. 15
Cortese
e lieta son di lui vasello,
né
mai mi parran duri i suoi martiri
pensando
al dolce fin che vien da quello.
E
bene è cieco quei che' suoi disiri
si
crede sanza affanno aver compiuti 20
e
sanza copia di dolci sospiri.
Riceva
in pace dunque i dardi aguti,
ch'alcun
piacer di belli occhi saetta
que'
che attendon d'esser proveduti.
Tal,
qual vedete, giovane angioletta 25
qui
accompagno Amor che mi disia:
poi
tornerò al cielo a chi m'aspetta».
Ancor
più intesi, ma la fantasia
nol
mi ridice, sì gran parte presi
di
gioia dentro nella mente mia 30
lei
rimirando e' suoi atti cortesi,
il
chiaro aspetto e la mira biltate,
della
qual mai a pien dir non porriesi.
Dallato
Amor con tanta volontate
vidi
mirarla, che nel bello aspetto 35
tutto
si dipingeva di pietate.
Ognora
a sé con la sua mano il petto
tastando,
quasi non si avesse offeso
perché
a guardarla avea tanto diletto.
Io
stetti molto a lei mirar sospeso 40
per
guardar s'io l'udissi nominare
o
i' 'l vedessi scritto brieve o steso.
Lì
nol vidi né 'l seppi immaginare,
avvegna
che, com'io dirò appresso,
in
altra parte poi la vidi stare 45
dond'io
il seppi, e lì il dico espresso:
però
chi quello ha voglia di sapere
fantasiando
giù cerchi per esso.
Omè,
che lei mirando il mio volere
non
avrei sazio mai! ma stretta cura 50
di
mirare altro mi mise in calere.
Levando
adunque gli occhi inver l'altura
vidi
quel Giove che 'n forma di toro
non
già rubesto mutò sua figura,
che
quivi avendo per umil dimoro 55
Europa
sottratta a cavalcarsi,
per
me' compier l'avvisato lavoro,
e'
parea quindi correndo levarsi
e
gir su per lo mar, come cacciato
fosse,
e poi pianamente posarsi 60
in
quel paese che poi fu nomato
da
quella che da dosso si dispose,
ripigliando
sua forma innamorato.
Nel
loco poi con parole pietose
pareva
a me che la riconfortasse 65
narrando
ancor le sue piaghe amorose;
ma
con disio parea poi l'abracciasse,
e
con diletto l'avuto disio
sanza
contasto parea terminasse.
Alquanto
appresso ancora questo iddio 70
com'una
gotta d'oro risplendente
trasformato
e cadendo, lui vid'io
gittarsi
in una torre prestamente
ad
una giovinetta ch'entro v'era,
per
ben guardarla, chiusa strettamente; 75
il
qual forse l'amava oltra maniera
dovuta,
ed infra le bianche tette
e
belle in piova gir lasciato s'era.
Né
dello inganno già saper cevette
quella,
ma lui ritenne nascoso 80
e
guadagnato forse aver credette.
Alla
vera statura luminoso
quivi
vedeasi tornato e costei
abracciando
e basciando, disioso
riguardando
essa, né giammai da lei 85
partir
sanza il disiato giugnimento;
di
che parea ch'ella dicesse: «Omei,
ch'io
son gabbata dal tuo argomento».
CANTO
XVII
Hai!
come bella seguiva una storia
della
figliuola d'Inaco, mi pare,
se
ben mi rappresenta la memoria.
Era
lì Giove, e vedendo tornare
sola
dal padre quella giovinetta, 5
il
suo disio le vedeva narrare.
Lungo
un boschetto con essa soletta,
sotto
piacevoli ombre con costei
star
lo vedea sopra la verde erbetta.
Ma
così dimorandosi con lei, 10
Giuno
vi sopravenne furiosa
temendo
dello inganno fatto a lei.
Intanto
la persona graziosa
Giove
di quella in una vacca bella
mutò,
e lei donò alla sua sposa. 15
Or
poi che Giuno aveali presa quella,
per
tema forse di simile offesa,
Argo
pien d'occhi guardian fece d'ella.
Colui
appresso, che l'aveva presa
a
guardia, in atto un pastor chiamava, 20
ch'una
sampogna sonar gli avea intesa.
Hatlanciade,
quel pastor, v'andava,
sotto
alberi sonando dolcemente
con
colui quivi riposando stava.
Onde
sonando, vedea chetamente 25
con
tutti e cento gli occhi ch'Argo avea
addormentarsi
e non sentir niente.
Rigido
poi l'altro pastor vedea
trarsi
di sotto un ritorto coltello,
col
qual colui prestamente uccidea. 30
Fu
lì da Giuno mutato in suo uccello
la
quale irata poi parea seguire
la
vacca per cui era morto quello.
A
lei davanti vedeasi fuggire
e
già tenea il Nil, quando lo dio 35
Giuno
rattemperò e le sue ire.
Così
tornò ogni bellezza ad Io,
ch'ell'ebbe
mai, e lasciò la pigliata
forma
bestial che Giove le diè pio.
E
poi la vidi lì deificata, 40
e
dalla gente lì divota assai
con
molti incensi la vidi onorata.
Dopo
essa alquanto avanti riguardai
e
'l detto iddio in forma feminile
in
un fronzuto bosco affigurai; 45
e
riguardando lui, che nel gentile
aspetto
e bello Diana mi pareva,
negli
atti suoi mansueto ed umile,
là
affannato forse si sedeva
ed
un forte arco con molte saette 50
dal
suo sinistro lato posto aveva.
Lui
mirando una delle giovinette
che
per lo bosco con Diana gia,
che
questi dessa fosse si credette;
a
lui venendo in atto onesta e pia 55
per
lei basciar, ché forse consueto
era,
sicura prese la sua via.
Ver
lei si fece Giove, e tutto lieto
prendendola
la trasse seco appresso
entro
in un luogo del bosco segreto; 60
ove
basciando lei, essa con esso
si
stava cheta, che semplice e pura
aveva
rotto il boto già commesso.
Sola
lì mi parea che con paura
gravida
rimanesse di colui 65
che
la 'ngannò sotto l'altrui figura.
Tacquesi
un tempo la donna nel cui
ventre
piacevol peso era nascoso,
ma
pur convenne poi paresse altrui,
ricevend'ella
allora dal grazioso 70
coro
di Diana l'esserne divisa:
di
che poi Giove, essendone piatoso,
a
lei diè forma d'Orsa e fella assisa
essere
intorno al pol piena di stelle,
per
guiderdon della colpa commisa. 75
Bianco,
al mio parer, di dietro a quelle
istorie
il vidi in cigno figurato,
con
bianche penne rilucenti e belle.
In
dentro andando se l'avea pigliato
nelle
sue braccia disiosa Leda, 80
e
'n camera di lei l'avea portato.
Là
come tosto la infinta preda
si
vide inchiuso, lieto ritornossi
nella
sua vera e consueta sceda.
Tutta
negli atti Leda marvigliossi, 85
ma
concedendo sé alla sua voglia,
quivi
mostrava come racchetossi
acciò
che luogo avesse en l'alta soglia.
CANTO
XVIII
Dopo
costei si vedea seguitare
come
di Semelè già gli arse il core,
e
come l'ebbe ancora vi si pare.
Ornata
come vecchia e di dolore
piena
era quivi Giuno, invidiosa 5
perché
Giove portava a quella amore;
nascosa
in forma tale, la graziosa
giovine
domandava s'ella fosse
ben
dell'amor di Giove copiosa.
Nel
viso a riso a quel parlar si mosse 10
non
conoscendo lei, e le rispose:
«Altro
che me non disian sue posse».
Allor
si turbò Giuno, ma l'ascose
con
falso aspetto, e disse: «Ora ti guarda
ch'e'
non ti inganni con viste frodose. 15
Più
furon quelle già cui la bugiarda
vista
ingannò, ed io ne so alcuno;
ma
se tu vuo' saper se per te arda,
istea
con teco dì come con Giuno.
Se
elli il fa, ben ti dico ch'allora 20
dirò
che non ci sia 'nganno nessuno;
e
fa che 'l facci». E sanza far dimora
da
lei si dipartia; questa aspettando
rimase
con disio la sua malora.
Tacita
e sola così dimorando, 25
parve
che Giove nella casa entrasse,
a
cui ella così dicea pregando:
«Or
neghera'mi tu, s'io domandasse,
un
caro dono?» a cui e' rispondea,
e
rispondendo parea che giurasse 30
sé
a ciò non mancar ch'ella volea.
«Come
con Giuno ti congiugni», disse,
«così
con meco ti priego che stea».
Ahi
come a Giove dolfe! ma non sdisse
quel
che 'mpromise, ma invito quello 35
fé,
perché 'l saramento non perisse.
Rilucer
lì d'un foco grande e bello
Semelè
si vedeva e in cener trita
ritornar
tosto giacendo con ello.
E
così trista finì la sua vita 40
per
lo disio che 'l consiglio dolente
le
porse, e Giuno rimase gioita.
Conforme
poi si vedea similmente
Asterien
ad aquile seguire,
cui
elli amava molto coralmente. 45
Allato
a lei ed or di sopra gire
per
alti boschi quivi si vedeva,
e
poi con l'ali lei presa covrire.
Molto
dubbiosa lì quella pareva,
per
che rivolta contra il grande iddio 50
con
fievol possa cacciar lo voleva.
Valeale
poco, però che 'l disio
suo
ne prendeva que', come che a lei
ne'
suoi sembianti le paresse rio.
Nel
luogo appresso si vedea colei 55
che
partorì i due occhi del cielo,
secondo
che apparve agli occhi miei.
Assai
timida, l'isola di Delo
la
riteneva quasi fuggitiva,
umile
e piana sotto bianco velo. 60
Soletta
appresso Antiopa seguiva,
con
la qual quivi Giove in forma quale
un
satiro, alla mia stimativa.
Ove
allato sedeale e quanto male
amor
per lei li facesse narrava, 65
né
come alcun rimedio ve li vale.
Assai
negli atti suoi la lusingava,
tanto
che 'nfine alla sua volontate
con
impromesse e prieghi la recava.
Vedeasi
appresso quivi la biltate, 70
in
una storia che venia, d'Almena
piena
di grazia e di tutta onestate,
in
suoi sembianti gioconda e serena;
a
cui Giove, in forma del marito
che
dallo studio tornava d'Atena, 75
tutto
il suo disio avea compito.
Vedevavisi
Geta doloroso
perché
un altro n'avea 'n casa sentito.
Appresso
v'era Birria nighittoso
caricato
di libri; al picciol passo 80
parea
venisse tutto dispettoso,
sanza
alcun ben, dicendo: «Oimè lasso,
quando
sarà ch'i' posi questo peso
che
sì m'affolla, ponendolo abbasso?».
Inver
lo ciel ne gia, poi ch'ebbe preso 85
Giove
il diletto che di lei li piacque,
pregna
lasciandola, al salire inteso:
di
cui appresso il forte Ercule nacque.
CANTO
XIX
Ivi
più non seguia, perché finiva
quella
facciata con gli antichi autori
che
stanno innanzi a quella donna diva.
Laond'io
torna'mi inver li predatori,
ricominciando
a quel canto primiero 5
a
rimirar gli antichissimi amori.
Ed
umile tornato v'era il fiero
Marte,
prencipe d'arme fatto amante,
per
la qual cosa più non era altiero.
Con
tal disio il piacevol sembiante 10
mirava
della bella Citerea,
che
non parea che più curasse avante.
Tra
que' luoghi medesmi mi parea
con
essa lui veder dentro ad un letto,
dintorno
al quale, al mio parere, avea 15
ordinata
di ferro tutto eletto
una
rete sottil che gli avea presi,
come
per coglier loro in quel diletto.
Sovra
la sua vergogna i lacci tesi
avea
Vulcano, il qual veder venia 20
ridendosi
d'averli sì offesi.
Aveva
quivi ciascun dio e dia,
che
nel ciel fosse, tututti chiamati
Vulcan,
per mostrar lor cotal follia.
Commosso
a' prieghi di Nettunno grati 25
fatti
a Vulcan per Marte umilemente,
di
quella fuor da lui eran cacciati.
Hai!
come poi ciascuno apertamente
faceva
il suo piacer, però che avieno
vergogna
ricevuta interamente! 30
E
sì avviene a que' che non vorrieno
trovar
le cose e vannole cercando,
che
molto meglio cheti si starieno.
Molto
consiglio ciaschedun, che quando
pur
divenisse che cosa vedesse 35
che
li spiacesse, con gli occhi bassando
e'
se ne passi, perché molto spesse
son
quelle volte che tai vendicare
tal
vuol, che saria me' che se ne stesse.
Tutto
focoso vidi seguitare 40
quivi
Febo Pennea graziosa,
e
lei con dolci voci lusingare.
Temendo
fuggiva ella impetuosa
quivi
da lui e di sopra le spalle
con
li capelli sparti: più focosa 45
entrava
in Febo, che 'l dolente calle
seguiva,
infin che stanca fé dimoro,
più
non potendo, in una bella valle.
Là
ritornata in grazioso alloro
sopr'essa
il sol la sua luce fermava, 50
faccendole
col raggio chiaro coro.
Veder
pareami, secondo mostrava,
che
si dolesse di tal mutazione
e
ne' sembianti sen ramaricava.
Ivi
era appresso poi come Sitone, 55
maschio
da lui sanza fine amato,
mutava
in feminil sua condizione.
Con
esso lui si stava quivi allato,
e
lei tenendo in braccio con amore
mostrava
ch'altro non li fosse a grato. 60
Or,
con costei finito il suo ardore,
rinchiuso
vidi in una vecchia scura,
più
là un poco, tutto il suo splendore.
Nell'aspetto
pareva la figura
della
madre di quella, per cui questo 65
a
far ciò il sospignea con tanta cura.
Mirabilmente
là si vedea presto
chiuso
tornare in sé, onde colei
dicea
maravigliando: «Or che è questo?».
E
poi il vedeva starsi con costei; 70
ma
morta quella, per la sua potenza
in
albero d'incenso mutò lei.
Così
appresso in forma; e l'accoglienza
che
Issèn li fé quando con essa giacque,
tutto
vi si vedea sanza fallenza. 75
Habituato,
v'era com lì piacque
a
Climenès, del cui congiungimento
Feton
che guidò il carro poi ne nacque.
Oltre
tra questi poi, molto contento,
era
Nettunno in forma d'Euristeo, 80
Esimena
abbracciando al suo talento.
Innanzi
riguardando discerneo
la
vista mia costui in braccio tenere
Cerere,
cui amò quanto poteo.
Non
sanza molti basci, al mio parere, 85
la
stimolava; ma io mi voltai,
non
potend'io più quivi vedere,
dond'io
a riguardar pria cominciai.
CANTO
XX
Ove
io vidi in ordine dipinto
sì
come Bacco. per forza d'amore,
in
forma d'uva ad amar fu sospinto
la
figlia di Ligurgo; il cui ardore
quivi
con lei in braccio si vedea 5
temperar,
non in forma né in colore
che
si sdicesse, e 'l simil mi parea
d'Erigonèn;
e del suo gran disio
così
sé quivi si sodisfacea.
Ivi
seguiva poi, al parer mio, 10
Pan
che Siringa gia perseguitando,
ch'avanti
li fuggia in atto pio;
e
lei fuggente l'andava pregando,
ma
'l pregar non valeva, anzi tornata
in
canna poi la vidi in forma stando. 15
Poi
di quella i bucciuoli spessa fiata
sonati
fur, però che primamente
da
esso fu la sampogna trovata.
Appresso
lui vi vid'io il dolente
Saturno
in forma di cavallo stare, 20
a
Fillara accostarsi dolcemente.
Così
appresso vidi, ciò mi pare,
Pluto
li tristi regni abbandonati
avere
e quivi intendere ad amare.
Ed
a lui presso con atti sfrenati 25
prender
vedea Proserpina e con essa
fuggirsi
a' regni di luce privati,
pur
con istudio e con noiosa pressa,
come
se stato fosse seguitato
da
Giove per volerlo privar d'essa. 30
Oltre
nel loco vidi figurato
Mercurio
con Ersèn: molto stretto,
amando
lei, dimorava abracciato,
insieme
avendo piacevol diletto.
Dopo
'l quale io vedeva tutto bianco 35
Borea
quivi, con un freddo aspetto.
Questi,
li regni abbandonati, stanco
in
Etiopia giugneva a vedere
Ortigia,
ch'a sé dal lato manco,
vedeva,
quivi la facea sedere; 40
ed
abracciata lei tenendo stretta
a
pena seco gliel pareva avere.
A
lui seguiva poi la giovinetta
Tisbe,
che fuor di Bambillonia uscia
e
verso un bosco sen giva soletta. 45
Né
lì guari lontano, la sua via
fornita,
un velo lasciava fuggendo
per
una leona che a ber venia
della
fontana, dov'ella attendendo
Piramo
si posava nell'oscura 50
notte;
così se n'entrava correndo
ove
già fu la vecchia sepultura
di
Nino. E poi si vedeva venire
Piramo
là con sollecita cura,
a
sé intorno mirando se udire 55
o
veder vi potesse se venuta
vi
fosse Tisbe, secondo il suo dire.
Lui
ciò mirando, in terra ebbe veduta,
perché
la luna risplendeva molto,
la
vesta che a Tisbe era caduta, 60
tutto
stracciato e per terra rivolto
con
un mantello il bel vel sanguinoso,
per
che tututto si cambiò nel volto.
Ricogliendo
essi parea che doglioso
dicesse:
«Oimè, Tisbe, chi ti uccise? 65
chi
mi ti tolse, dolce mio riposo?».
Ontoso
tutto lagrimando mise
la
mano ad uno stocco ch'avea seco,
col
qual dal corpo l'anima divise.
Parea
dicesse piangendo: «Con teco, 70
Tisbe,
morrò, acciò ch'all'ombre spesse
di
Dite, lassa, ti ritruovi meco»;
e
sbigottito parea che cadesse
quivi
sopra 'l mantello, a piè d'un moro,
e
del suo sangue i suoi frutti tignesse. 75
Non
dilettava a Tisbe il gran dimoro;
colà
dond'era uscì, e disse: «Forse
quella
bestia è pasciuta, e già non loro
suol
uso a noi far male»: ed oltre corse
alla
fontana, e non credea che fosse 80
essa
quando le more rosse scorse.
In
ciò mirando, tutta si percosse
quando
Piramo vide ancor tremante,
e
dal suo petto il ferro aguto mosse
e
'n su quel si gittò, dicendo: «Amante, 85
io
son la Tisbe tua! mirami un poco
anzi
ch'io muoia», e più non disse avante:
rimirandola,
cadde morta loco.
CANTO
XXI
Or
miri adunque il presente accidente
qualunque
è que' che vuol legge ad amore
impor,
forse per forza, strettamente.
Quivi
credo vedrà che 'l suo furore
è
da temprar con consiglio discreto, 5
a
chi ne vuole aver fine migliore.
Vivean
di questi i padri, ciascun lieto
di
bel figliuolo: e perché contro a voglia
gli
strinser, n'ebbe doloroso fleto.
E
così spesse volte altri si spoglia 10
di
ciò che e' si crede rivestire,
e
poi convien che sanza pro si doglia.
Sì
riguardando poi vidi seguire
Giansone
in mezzo di tre giovinette,
le
quai ciascuna fu al suo disire. 15
Tutte
e tre furon già a lui dilette
e
nominate Isifile e Medea,
al
mio parer, con Creusa sospette.
«O
sanza fede alcuna», mi parea
che
Isifile dicesse, «o dispietato, 20
o
più crudel ch'alcuna anima rea,
deh,
or hai tu ancor dimenticato
a
quanto onor tu fosti ricevuto
nel
regno ond'ogni maschio era cacciato?
Io
non credo che mai fosse veduto 25
uom
volentier in nulla parte strana
né
cotal dono a lui mai conceduto,
simile
a quel che io benigna e piana
a
te concessi, portando fidanza
alla
tua fede come 'l vento vana. 30
Faccendo
saramenti a me, speranza
nel
tuo partir mi desti che giammai
non
cambieresti me per altra amanza.
Andastitene
e me, come tu sai,
pregna
lasciasti di doppio figliuolo, 35
ed
a tornar ancor verso me hai.
Con
sospiri e con pianti e con gran duolo
gran
tempo stetti, dicendo: «Omai tosto
verrà
Giansone qui col suo stuolo»,
ed
appena credetti quel che sposto 40
mi
fu di te, ch'avevi nuova amica
presa
in Colcòs e mutato proposto.
Più
avanti non so ch'io mi ti dica,
se
non ch'io ardo e tu in giuoco e festa
ora
ti stai con la mia nimica. 45
In
tanto questa doglia mi molesta
che
dir nol posso, ma tu stesso pensa
chente
parriati averla tal qual questa.
Assai
ti priego dunque, se offensa
non
ho commessa, non mi abandonare, 50
ma
con pietà al mio dolor dispensa».
Non
rispondea Giansone; ma poi stare
vidi
negli atti molto dispettosa
Medea,
inverso lui così parlare:
«Giansone,
in tutto 'l mondo non fu cosa 55
ch'io
tanto amassi né per cui facessi
quanto
feci per te, sì come sposa;
e
non mi credo ancor che tu sconfessi
com'io
ti diè mirabile argomento,
per
cui sicur co' tori combattessi. 60
Mostra'ti
ancora, per farti contento,
come
'l drago ingannassi, acciò ch'appresso
fornito
avessi tuo intendimento.
Insieme
me ne venni teco stesso,
e
sai che io il mio picciol fratello 65
uccisi,
acciò che 'l mio padre sopr'esso
dimorasse
piangendo, e quindi snello
e
sanza noia passasse il nostro legno
già
cominciato a seguitar da ello.
E
sai ancora ch'io col mio ingegno 70
il
tuo antico padre e vecchio Ensone
di
giovinetta età il feci degno;
né
riguardai ancora a riprensione
ch'io
non facessi morire il tuo zio,
per
signor farti della regione. 75
Tu
il ti conosci e sai per certo ch'io
ogni
cosa avre' fatta per piacerti,
non
credendo che mai il tuo disio
rivoltassi
da me per più doverti
dare
ad altrui. Deh, se altro diletto, 80
se
non di me, due be' figli vederti
ognor
davanti non t'avesse stretto,
non
dovei tu giammai donna nessuna
più
abracciar nel mio debito letto,
lo
qual tu ora possiedi con una: 85
che
s'io non fossi stata alla tua vita,
né
lei né me avevi, né altra alcuna.
Adunque
a me, per Dio, ti rimarita».
CANTO
XXII
Non
rispondeva a nulla di costoro
quivi
Gianson, ma Creusa abracciando
con
lei traeva ditettevol dimoro.
Io,
che andava avanti riguardando,
vidi
quivi Teseo nel Laberinto 5
al
Minutauro pauroso andando.
Ma
poi che quel con ingegno ebbe vinto
che
li diede Adriana, quindi uscire
lui
vedev'io di gioia dipinto;
al
quale appresso Adriana venire 10
e
con lei Fedra, e salir nel suo legno
e
quindi forte a suo poter fuggire.
Nel
quale, avendo già l'animo pregno
del
piacer di Adriana, lei lasciare
vedea
dormendo e girsene al suo regno. 15
Gridando
desta la vedeva stare,
e
lui chiamava piangendo e soletta
sopr'un
diserto scoglio in mezzo mare:
«Omè»,
dicendo, «deh, perché s'affretta
sì
di fuggir tua nave? Aggi pietate 20
di
me ingannata, lassa, giovinetta!»
Segando
se ne gia l'onde salate
con
Fedra quelli, e Fedra si tenea
per
vera sposa, per la sua biltate.
Costei
più innanzi un poco si vedea 25
accesa
tutta di focoso amore
d'Ippolito,
cui per figliastro avea.
Ivi
vedeasi lo sfacciato ardore
di
Pasifè, che 'l toro seguitava
di
sé chiamandol conforto e signore: 30
ove
con le man propie ella segava
le
fresche erbette nel fogliuto prato
e
con quelle medesme gliele dava.
Spesso
li suo' cape' con ordinato
stile
acconciava e, della sua bellezza 35
prima
l'occhio allo specchio consigliato,
adorna
venia innanzi alla mattezza
bestiale,
e quivi parea che dicesse:
«Agraditi
la mia piacevolezza?
Certo
se io solamente vedesse 40
che
più ch'un'altra vacca mi gradissi,
non
so che più avanti mi volesse».
Era
di dietro a lei con gli occhi fissi
sopra
'l suo padre, Mirra scellerata,
né
da lui punto li teneva scissi. 45
Riguardando
io costei lunga fiata,
quivi
la vidi poi di notte oscura
esser
con lui in un letto colcata.
Correndo
poi fuggir l'aspra figura
del
padre la vedea, che conosciuta 50
avea
l'abominevole mistura.
Albero
la vedeva divenuta
che
'l suo nome ritien, sempre piangendo
o
'l fallo o forse la gioia compiuta.
Narcisso
vidi quivi ancor sedendo 55
sopra
la nitida acqua a riguardarsi,
di
sé oltre 'l dovuto modo ardendo.
Deh,
quanto quivi nel ramaricarsi
nel
suo aspetto mi parea piatoso, 60
e
talor seco se stesso crucciarsi:
«Omè»,
dicendo, «tristo doloroso,
la
molta copia, ch'i' ho di me stesso,
di
me m'ha fatto, lasso, bisognoso».
Cefalo
poi, alquanto dietro ad esso, 65
vid'io
posato aver l'arco e li strali
e
riposarsi, per lo caldo fesso.
«O
aura, deh, vien con le fresche ali,
entra
nel petto nostro!» tutto steso
stava
dicendo parole cotali. 70
Ma
questo avendo già Pocris inteso,
cui
ascosa vedea tra l'erbe e' fiori
in
quella valle, con l'udire inteso,
essendo
in sospezion de' nuovi amori,
credendo
forse che l'Aura venisse, 75
volle,
e nol fece, intanto farsi fori.
Tutta
l'erba si mosse e Cefal fisse
gli
occhi colà, credendo alcuna fiera,
e
preso l'arco su lo stral vi misse,
rizzando
quel fra l'erba u' Pocris era, 80
e
lei ferì nello amoroso petto.
Ella,
sentendo il colpo, in voce vera:
«Omè»,
gridò, «perché ebb'io sospetto
di
quel ch'i' non dovea?» così diria
chi
la vedesse ch'ella avesse detto. 85
Venuto
Cefalo: «L'anima mia,
or
che face' tu qui? oimè lasso»,
dicea,
«dogliosa omai mia vita fia,
avendo
te recato a mortal passo».
CANTO
XXIII
Ristrinsemi
pietà l'anima alquanto
ad
aver compassion di quel dolente,
cui
io vedeva far così gran pianto.
Poi
rimirando ad altro ivi presente,
vidi
colui che il dolente regno 5
sonando
visitò sì dolcemente:
Orfeo
dico, che col suo ingegno
fece
le misere ombre riposare
con
la dolcezza del cavato legno.
Sonando
ancora quivi il vidi stare 10
con
Erudice sua, e mi parea
che
il vedessi sonando cantare,
sollazandosi,
versi, e sì dicea:
«Amore,
a questa gioia mi conduce
la
fiamma tua che nel cor mi si crea. 15
Amor,
de' savi graziosa luce,
tu
se' colui che 'ngentilisci i cori,
tu
se' colui che 'n noi valore induce.
Per
te si fugano angosce e dolori,
per
te ogni allegrezza ed ogni festa 20
surge
e riposa dove tu dimori.
O
spegnitor d'ogni cosa molesta,
o
dolce luce mia, questa Erudice
lunga
stagion con gioia la mi presta!
Sempre
mi chiamerò per te felice, 25
per
te giocondo, per te amadore
starò
come fa pianta per radice».
A
veder quel mi s'allegrava il core,
e
'mmaginando quelle parolette
a
me, non che a lui, crescea valore. 30
E
poi, appresso a queste cose dette,
Diomede
ed Ulisse si vedeano
divenuti
merciai vender gioiette
tra
suore quivi, che queste voleano
in
vista comperar, ma dall'un lato 35
spade
ed archi forti posti aveano,
saette
ancor: de' quali avea pigliato
uno
una suora ch'ivi stava presso,
e
infino al ferro l'arco avea tirato.
Onde
parea dicesser: «Questi è desso, 40
questi
è Acchille, cui andian cercando»,
e
gir se ne volean quindi con esso.
La
qual cosa vedendo, sospirando
una
sorella quivi contastava
a
que' che lui andavan lusingando. 45
Acchille
gir con essi disiava,
e
spogliandosi l'abito iveritta
come
buon cavalier presto s'armava.
Vedendo
ciò Deidamia, trafitta
da
grieve doglia, tutta scolorita 50
parea
dicesse a lui allato ritta:
«Omè,
anima mia, o dolce vita
del
cor dolente che tu abandoni,
di
cui fia tosto, credo, la finita,
in
qua' parti vai tu? qua' regioni 55
cerchi
tu più graziose che la mia?
deh,
credi tu a questi due ladroni?
deh,
non t'incresce di Deidamia?
I'
son colei che più che altra t'amo
e
che più ch'altra cosa ti disia. 60
In
quant'io posso più mercé ti chiamo:
non
mi ti torre, deh, non te ne gire,
non
privar me di quel che io più bramo!
sola
mia gioia, solo mio disire,
sola
speranza mia, se tu ten vai, 65
subitamente
mi credo morire.
In
continova doglia e tristi guai
istarò
sempre: deh, aggi pietate
di
me, se grazia merita' giammai!
Ahi
lassa, or son così guiderdonate 70
tutte
le giovinette ch'aman voi,
che
di subito sieno abandonate?
Ricordar
certo credo che ti puoi
quanto
onor abbi da me ricevuto,
e
ancora puoi ricever, se tu vuoi. 75
L'abito
che t'ha fatto sconosciuto
sì
lungo tempo per me 'l ricevesti,
per
me segreto se' stato tenuto.
E
quando prima vergine m'avesti,
di
mai partirti né d'altra pigliarne 80
sopra
la fede tua mi promettesti.
Perché
altrove vuogli adunque andarne?
Di
me t'incresca e del comun figliuolo
ch'abbian,
se non ti duol la propia carne.
Io
so che tu vuogli ire al tristo stuolo 85
ch'è
'ntorno a Troia, ov'io dubito forte
che
morto non vi sia e per gran duolo
a
me medesma non ne segua morte».
CANTO
XXIV
Così
pareva che costei dicesse
ed
altro assai, a' prieghi della quale
non
mi pareva ch'Acchille intendesse;
e
seguitava quelli al troian male,
contento
più che d'esser lì rimaso, 5
dove
quella era, a cui tanto ne cale.
E
'nnanzi a lui, incerto del suo caso,
Briscida
era trista, inginocchiata,
col
viso basso e di baldanza raso.
Tra
l'altre cose quella sconsolata 10
piangendo
mi parea che li dicesse:
«Deh,
perché m'hai, Acchille, abandonata?
Per
te convenne ch'io mi dolesse
de'
miei fratelli, i quali io più amava
che
altra cosa ch'io nel mondo avesse; 15
e,
per l'amore che io ti portava
e
porto, quella morte che tu desti
a
lor dolenti non mi ricordava.
Rapita
me per forza ancor m'avesti,
come
tu sai, e mia verginitate 20
a
forza e contro a voglia mi togliesti.
Omè,
che allora la tua crudeltate
non
conobb'io, ché l'animo sdegnoso
non
t'avre' mai l'offese perdonate.
Veduta
sempre in abito cruccioso 25
m'avresti
certamente, e così forse
non
avrei dentro amor per te nascoso.
Omè,
quanto soperchio ve ne corse
quando
con atti falsi mi mostrasti
ch'io
ti piacessi, e questo il cor mi morse. 30
Levastimi
da te, poi mi mandasti
a
Agamenòn come schiava puttana:
in
quello il falso amor ben dimostrasti
Eimè
lassa, misera profana,
Briseida
cattiva, che farai 35
abandonata
in parte sì lontana?
Non
mi lasciar morire in tanti guai,
Acchille,
aggi piatà di me dolente
che
t'amo più che donna uom giammai!
Deh,
guardami con l'occhio della mente, 40
e
prendati pietà di me alquanto»,
dicea
colei, ma non valea niente.
Ivi
appresso costui vid'io che tanto
ardeva
dell'amor di Pulisena,
ch'ogni
miseria ed angoscioso pianto, 45
periglio,
affanno, guai o grave pena
delle
su dette vendicava amore,
il
qual fervente gli era in ogni vena;
e
per lei spesso mutava colore,
prieghi
porgendo, e non erano intesi, 50
onde
lui costringea grieve dolore.
Rimirando
ivi ancora vediesi
Sesto
ed Abido, picciole isolette,
e
'l mar che le divide ancor pariesi.
Sovvennemi
ivi quando vi cadette 55
Ellès,
andando di dietro al fratello
all'isola
de' Colchi, ove ristette.
Era
notando ignudo nato in quello
mare
Leandro, andando ver colei
cui
più amava, vigoroso e snello. 60
Venuta
là alla riva costei
vedea
con panni e ricever costui,
tutto
asciugando lui dal capo a' piei;
e
poi vedeva quivi lei e lui
con
tanta gioia standosi abracciati, 65
che
simil non si vide mai in altrui.
Ritornar
poi il vedea per li usati
mari
alla casa, e di far quel camino
suoi
membri non parien mai affannati.
A
questo mare alquanto era vicino 70
Minòs,
Alcatoè tenendo stretta
per
forte assedio, volendo il destino
romper
di quel capel che nella vetta
del
capo a Niso stava, che per esso
l'oste
di fuor non avea sospetta. 75
E
quivi quella torre, ove fu messo
già
lo strumento d'Appollo sonante,
vi
si vedea rilucere appresso.
Pareva
in quella Silla fiammeggiante
dell'amor
di Minòs, che a vedere 80
stava
l'oste a sua terra davante.
Venir
la mi parea poscia vedere
avendo
il porporin capel cavato
al
padre, e a Minòs darlo, che 'l volere
robusto
suo facea del disarmato 85
Niso,
privando lui della sua gloria:
Silla
gittata poi nel mar salato,
n'andava
lieto della sua vittoria.
CANTO
XXV
Era
più là Alfeo, con le sue onde
piegate
intorno e dietro ad Aretusa,
con
quelle terre che correndo infonde.
Là
era Egisto ancor, che per iscusa
del
sacerdozio non andò a Troia 5
ma
Clitemestra si tenea inchiusa,
lei
imbracciata e prendendone gioia
a
suo piacere, ben che poco appresso
le
ne seguisse sconsolata noia.
Oh,
come quivi, alquanto dop'esso, 10
seguian
Cannace e Macarco dolenti,
divisi
per lo lor fallo commesso!
Non
molto dopo lor così scontenti
Biblide
vidi lì, che seguitava
il
suo fratel con atti motto ardenti. 15
Molto
pietosamente a lui andava
dietro
parlando, sì come parea
negli
atti suoi che quivi dimostrava.
«Ahi
dolce signor mio», ver lui dicea,
«deh,
non fuggir, deh, prendati pietate 20
di
me che per te vivo in vita rea!
Guarda
con l'occhio alquanto mia biltate,
pensi
l'animo tuo il mio valore,
lo
qual perisce per tua crudeltate.
Io
non t'ho per fratel ma per signore: 25
vedi
ch'io muoio per la tua bellezza,
per
te piango, per te si strugge il core.
Non
tener più ver me questa fierezza,
e
'l superfluo nome di fratello
lascialo
andar, ch'a tenerlo è mattezza. 30
Aiutami,
che puoi, e farai quello
che
più aspetta quella che si sface
considerando
il tuo aspetto bello.
Riso,
conforto ed allegrezza e pace
render
mi puoi, se vuoi: dunque che fai? 35
Deh,
contentami alquanto, se ti piace!
Vedi
ch'io mi consumo in tanti guai,
ch'altra
neuna mai ne sentì tanti
per
te, cui io disio, e tu tel sai.
Omè,
fortuna trista delli amanti! 40
come
coloro che non sono amati
amando
altrui, da tua rota son franti!
Se
tu riguardi però che chiamati
sorella
e frate sian, non è niente,
com
dissi, e minor fieno i tuoi peccati 45
togliendomi
dolor, che se dolente
morir
mi fai per non aconsentire
a
quel che sol disia la mia mente.
Rivolgiti,
per Dio, deh, non fuggire!
pensa
ch'ogni animal tal legge tene 50
quale
a te chiede il mio forte disire.
A
te molto più tosto si conviene
in
questo atto fallir, che dispietato
farmi
morir nelle noiose pene».
Biblide
trista, quanto t'è in disgrato 55
veder
colui, che ti dovria atare
da
chi noia ti desse in alcun lato,
il
tuo dolore in te forte aggregare!
e
non che voglia fare il tuo disio,
ma
tue parole non vuole ascoltare. 60
Là
poi appresso, al mio parer, vid'io
Fillis
allato star a Demofonte
e
pianger sé di lui in atto pio.
Tutta
turbata sue parole conte
li
profferia, ricordandoli ancora 65
quant'ella
e le sue cose tutte pronte
al
suo servigio furono, e com'ora,
a
lei fallita la promessa fede,
per
troppo amor dolor grieve l'acora.
Tra
questi, oltre nel prato, vi si vede 70
Meleagro
e Atalanta che ciascuno
segue
un cinghial con solecito piede,
e
quanto ad esso sforzandosi ognuno
offende,
accesi d'amoroso foco,
non
lasciandoli affar danno nessuno. 75
Costor
preiva, più avanti un poco,
Aconzio
in man con la palla dell'oro
ch'a
Cidipe gittò nel santo loco,
e
quella quivi ancor facea dimoro:
dicendo
a lei Aconzio che sua era, 80
ella
negandol, parlavan fra loro;
riguardando
l'un l'altro, in tal maniera
Cidipe
a lui dicendo: «Se ingannata
fu'
i' da te, la mia voglia non v'era;
ché,
s'io mi fossi della palla addata, 85
non
l'avria mai rimirata né letta,
anzi
l'avrei tosto indietro gittata:
onde
mai non m'avrai e questo aspetta».
CANTO
XXVI
Com'io
mirando andava quel giardino,
vi
vidi in una parte effigiato
Ercule
grande a Cidipe vicino;
ove
con lui sedeva dall'un lato
Iole
piacente e bella nello aspetto, 5
cui
presa avea nel paese acquistato.
Non
mirava Ercule altro che 'l conspetto
di
lei, e quindi tanta gioia prendea
che
duol li fora stato altro diletto.
Ramaricando
dopo lui vedea 10
istar
tutta turbata Deianira,
perch'a
sé ritornarlo non potea.
Il
molle petto acceso in foco d'ira
mostrava
ch'ell'avesse, ognor soffiando
forse
per rabbia che in lei si gira. 15
Ma,
poco spazio, parea che parlando
dicesse
a lui: «O signor valoroso,
volgiti
a me, come tu suoli, amando,
e
lascia cotestei, cui poderoso
guadagnasti
per serva e 'l suo paese 20
insieme,
con vittoria glorioso.
Non
senti tu ch'a ogni uomo è palese
quel
che la fama ora in contrario sona,
di
te, alle passate tue imprese?
Veramente
di te ogni uom ragiona, 25
ché
tu col forte dito quella lana
fili
che Iole pesando ti dona.
Ogni
uomo ancora, ch'abbia mente sana,
crede
che tu il canestro con le fusa
porti
di dietro alla giovane strana. 30
Vogliono
ancora dire ch'ella t'usa
in
ciascuno atto come servidore,
né
ti giova donare alcuna scusa.
È
così ismarrito il tuo valore
che
tu non pensi alle cose passate, 35
ogni
virtute obliando ed onore?
forse
t'ha ella le forze levate
con
alcun suo ingegno falsamente,
come
le donne fanno alle fiate?
Almen
non dovria mai della tua mente 40
trar
quel che tu in culla ancor facesti,
l'uno
uccidendo e poi l'altro serpente.
Ricordar
de' ti ancor che uccidesti
Busiri,
ed in Libia il grande Anteo
della
Terra figliuolo ancor vincesti. 45
Vinto
traesti quel Cerbero reo
ch'avea
tre teste, e tu con tre catene
legasti
lui poi ch'a te si rendeo.
Il
drago ancora con sudanti pene,
ch'ognor
sanza dormir i pomi d'oro 50
guardando
stava, fu morto da tene.
I
forti corni al furioso toro
rompesti,
ed i Centauri domasti
quando
di pria combattesti con loro.
Or
non fostù colui che consumasti 55
l'Idra,
che doppi capi in suo aiuto
rimettea
quando gliele avevi guasti?
non
fu da te il guastator feruto
d'Arcadia?
sì fu, e fu colui 60
ch'avea
di carne umana riempiuto
ogni
suo armento, togliendo l'altrui,
da
te ucciso; e quel Cacco rubesto
tu
uccidesti, rubato da lui,
reggendo
ancora dopo tutto questo 65
il
ciel gravante sopra le tue spalle,
ch'a
ogni altr'uom saria stato molesto.
E
s'io volessi andar per dritto calle
ogni
vittoria a tua mente rendendo,
io
avrei troppo a fare a racontalle. 70
Queste
so c'hai a mente: or dunque, essendo
sanza
pazzia, talora fra te stesso
non
ti vergogni tu Iole seguendo?
Volesse
Iddio che tu giammai a Nesso
non
m'avessi levata, che mi amava, 75
e
forse in gioia or mi sarei con esso!
E
non per tanto io non imaginava
che
mai per altra donna mi lasciassi,
poiché
te per altrui io non lasciava.
Se
quella con cui tu ora ti passi 80
ismemorato
in festa ed allegrezza,
tanta
virtù in lei forse trovassi,
tanto
piacere e tanto di bellezza
quanto
in me, io non riputerei
l'aver
lasciata me fosse mattezza. 85
Ognora
più di ciò ti loderei:
ma
s'io ho ben la sua bellezza intesa,
certo
io son molto più bella di lei.
Molto
mi tengo in questa parte offesa;
ma
torna a me e tutto ti perdono, 90
e
la tua forza in bene ovrar palesa:
io
cheggo a te di grazia questo dono».
CANTO
XXVII
Mostravasi
ivi ancora effigiata
la
valle d'Ida profonda ed oscura,
d'alberi
molti e di frondi occupata,
ove
io discernetti la figura
di
quel Parìs, piacevole Troiano, 5
per
cui Troia sentì la sua arsura.
Sol
si sedeva là nel loco strano,
davanti
al qual Pallade, Giuno e Venere
eran
con una palla d'oro in mano.
Sanza
alcun vestimento ignude, tenere, 10
bianche
e vermiglie quivi e dilicate
le
mi pareva nel sembiante scernere;
e
diceano a Parìs: «In cui biltate
di
noi più vedi, questo pomo d'oro
donalo
a lei, quando ci avrai avisate». 15
Dal
capo al piè rimirava costoro
Parìs:
ciascuna bella lì parea,
onde
fra sé dicea: «Deh, quale onoro?».
Ognuna
d'esse ad esso promettea
e
chi senno e chi ricchezze e chi amore 20
di
bella donna, pur ch'a lei la dea.
Non
si sapea esaminar nel core
Parìs
qual d'esse più biltate avesse,
né
qual ben si pigliar per lo migliore.
Nel
lungo esaminare infine elesse 25
Venus
per la più bella, e diella a lei,
sub
condizion che ella gli attenesse
a
farli avere in sua balia colei,
cui
ella avea lodata per sì bella,
che
nulla v'era simile di lei. 30
A
cui pareva che rispondesse ella:
«Va
tu per essa, ché col mio aiuto
io
farò sì che tua si sarà quella».
Costui
vid'io, poco appresso, saluto
sur
una nave e dar le vele al vento 35
e
tosto in Ispartèn esser venuto;
ove
disceso, sanza tardamento,
andando
Menelao inverso Creti,
a
fornir cominciò suo intendimento.
Ma
dopo molte cose, quivi lieti 40
egli
ed Elena bella e graziosa
saliti
in nave, pe' salati freti
poste
le vele, sanza alcuna posa
tornava
a Troia, e quivi si mostrava
la
vita lor quanto fosse gioiosa. 45
Ivi
Oenone ancora lagrimava
il
perduto marito e con pietose
parole
a sé invano il richiamava.
Là
si vedea Ifi e Iante amorose
far
festa pria che maschio ritornasse 50
que'
che 'l suo sesso tanto tempo ascose.
Appresso
mi parea che seguitasse
Laudomia
bella sospirando,
come
se del suo mal s'indovinasse.
Raviluppata
tutta e non curando 55
di
sé, Protessilao di bella cera
s'aveva
fatto, lui raffigurando;
e
poi a quella innanzi posta s'era
in
ginocchion, dicendo: «Signor mio,
se
io ti sono amanza e donna vera, 60
leal
come dicesti, fa che io
ti
veggia ritornar con quella gloria,
ch'io
l'arme tue presenti al forte iddio.
A
que' c'hanno mestier della vittoria,
lasciali
pria combatter, e il periglio 65
propio
fuggi: ch'ognor ch'a memoria
viemmi
quel ch'io già in alcun pispiglio
udii
d'Ettòr, che tanti cavalieri
contasta
combattendo, ogni consiglio
in
me fugge di me, e volentieri 70
nel
tuo andare ti vorrei aver detto
ch'alla
battaglia tu fossi il derrieri.
Sola
mia gioia, solo mio diletto,
fa
sì ch'io sia di tua tornata lieta,
ché
sanza te mai gioia non aspetto». 75
In
tal maniera quivi mansueta
si
stava Laudomia, tal volta
d'angosciosi
sospir tutta repleta.
Or
era ancora verso lei rivolta
Penelopè,
che aspettando Ulisse 80
giammai
non fu dal suo amor disciolta.
Nella
qual tenend'io le luci fisse,
fra
me volvea quanto fosse il disire
di
que' che mai non cre' ch'a lei reddisse,
e
quanto volle del mondo sentire, 85
ché
per voler veder trapassò il segno
dal
qual nessun poté mai in qua reddire,
io
dico forza usando né suo ingegno.
CANTO
XXVIII
Non
so chi sì crudel si fosse stato
che,
quel ch'io vidi appresso rimirando,
di
pietà non avesse lagrimato.
Pareva
quivi apertamente quando
Dido
partissi in fuga dal fratello, 5
e
similmente come, edificando
a
più poter, Cartagine nel bello
e
util sito faceva avanzare,
e
come a 'ngegno l'abitava quello.
Ricever
quivi Enea ed onorare 10
lui
e' suoi ancor vi si vedea
liberamente;
e sanza dimorare
oltre
mirando, ancora mi parea
vederle
in braccio molto stretto Amore,
ben
che Ascanio aver vi si credea; 15
lo
qual basciando spesso, del suo ardore
prendea
gran quantità occultamente,
tuttor
tenendol nel segreto core.
Eravi
poi come insiememente
costei
con Enea ed altri assai 20
a
caval giva onorevolmente,
ripetend'ella
in sé quel che giammai
più
non pareva a lei aver sentito,
fuor
per Sicceo, sì com'io avisai.
Il
chiaro viso bello e colorito, 25
mirando
Enea con benigno aspetto,
tornava
bianco spesso e scolorito.
Ma
pervenuti quivi ad un boschetto,
lasciando
i cani a' cerbi paurosi
di
dietro, incominciaro il lor diletto. 30
Altri
cornavano ed altri animosi
correvan
dietro, e gridando faceano
i
can più per lo grido valorosi.
Tutto
un gran monte già compreso aveano
i
cacciatori, e 'n una valle oscura 35
Dido
ed Enea rimasi pareano.
E
sì faccendo, fuor d'ogni misura
un
vento quivi pareva levato,
che
di nuvoli avea già la pianura
chiuso
ed il monte ancora: onde tornato 40
pareva
il sole indietro e divenuto
oscura
notte il dì in ogni lato.
Horribili
e gran tuon ciascun sentuto
aveva,
e lampi venivano ardenti
con
piover tal che mai non fu veduto. 45
Enea
e Dido là fuggian correnti
in
una grotta, e la lor compagnia
perduta
avean, di ciò forse contenti.
Ivi
parea che Dido ad Enea pria
parlasse
molte parole amorose, 50
dopo
le quali suo disio scopria:
ove
Enea ascoltar quelle cose
vedeasi,
lei, abracciata tenere,
e
quel fornir che ella li propose.
Venuti
poi al lor reale ostiere 55
ed
in tal gioia lungo tempo stati,
l'uno
adempiendo dell'altro il piacere,
in
quel luogo medesimo cambiati
vi
si vedea dell'uno i sembianti
e
dell'altro i voleri esser mutati. 60
Molto
affrettando li suoi navicanti
Enea
vi si vedea per mar fuggire,
le
vele date all'aure soffianti.
A
cui Dido parea di dietro dire:
«Omè,
Enea, or che t'aveva io fatto 65
che
fuggendo disii il mio morire?
Non
è questo servar tra noi quel patto
che
tu mi promettesti: or m'è palese
lo
'nganno c'hai coperto con falso atto.
Deh,
non fuggir! Se l'essermi cortese 70
forse
non vuogli, vincati pietate
almen
de' tuoi, che vedi quante offese
ognora
ti minaccian le salate
onde
del mar, per lo verno noioso
ch'ora
'ncomincia; e già hanno lasciate 75
qualunque
leggi nel tempo amoroso
sogliono
avere i venti, e ciascheduno
esce
a sua posta e torna furioso.
Vedi
ch'ad ora ad or ritorna bruno
l'acre
e nebuloso e molti tuoni 80
e
lampi lui percuotono, e nessuno
impeto
è che or non s'abandoni
e
faccia danno; e tu col tuo figliuolo
ora
cercate nuove regioni!
Posati
adunque tu ed il tuo stuolo, 85
lasciami
almeno apparare a biasmarmi
immaginando
il mio etterno duolo:
e
poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi».
CANTO
XXIX
Riversata
piangendo quivi appresso
si
stava Dido in sul misero letto,
dov'era
già dormitasi con esso,
maladicendo
sé e 'l tristo petto
pien
d'aspre cure aspramente battendo,
ripetendo
ivi il perduto diletto. 5
In
atto mi parea così dicendo:
«O
doloroso luogo nel qual fui
già
con Enea, tanta gioia sentendo,
omè,
perché come ci avesti dui,
due
non ci tieni? perché consentisti 10
che
te giammai vedessi sanza lui?
A'
miei sconsolati membri e tristi
porgi
con falsa immagine letizia,
quando
per te li spando, ove copristi
molte
fiate già quel che 'n tristizia 15
ora
mi fa sanza cagione stare
per
lo suo inganno e coperta malizia».
Oh
come trista lì ramaricare
la
vi vedea con quella spada in mano
che
fé poi la sua vita terminare! 20
Rompendosi
le nere veste, invano
chiamando
il nome d'Enea che l'atasse,
si
pose quella al suo petto non sano:
e
poi sopr'essa parve si lasciasse
cader
piangendo e sospirando forte, 25
perché
la spada di sopra passasse.
Forata
quivi, dolorosa morte
l'occupò
sopra 'l letto ove sedea
prima
piangendo sua misera sorte.
Appresso
questo, al mio parer, 30
vedea
tanto contenti Florio e Biancifiore,
quantunque
più ciascuno esser potea:
tututto
il lor trapassato dolore
v'era
dipinto, degno di memoria.
pensando
al lor perfettissimo amore. 35
E
dopo questa piacevole storia,
vi
vidi Lancilotto effigiato
con
quella che sì lunga fu sua gloria.
Lì
dopo lui, dal suo destro lato,
era
Tristano e quella di cui elli 40
fu
più che d'altra mai innamorato;
e
più assai ancora dopo a quelli
n'avea
ch'io non conobbi, o che la mente
non
mi ridice bene i nomi d'elli.
Ond'io,
che 'n maggior parte la presente 45
faccia
compresa avea, ritornai 'l viso
a
quella donna più ch'altra piacente.
Nol
so, ma credol che di Paradiso
ella
venisse, come io già dissi,
tant'ha
biltà, valore e dolce riso. 50
–
Oh felice colui –, con gli occhi fissi
a
lei allora a dire incominciai,
–
cui tu del tuo piacer degno coprissi!
Ringraziato
possa esser sempre mai
il
tuo Fattore, sì com'elli è degno, 55
veggendo
le bellezze che tu hai.
Se
un'altra volta il suo beato ingegno
ponesse
a far sì bella creatura,
credo
che lieto il doloroso regno
E'
metterebbe in gioia fuor di misura, 60
che'
santi scenderieno alla tua luce
e
que' d'abisso verrieno in altura –,
–
Con quanta gioia, credo, si conduce
ciascun
di questi ch'è pien della grazia
di
quel –, ricominciai, – che qui è duce. 65
Oh
quanto è glorioso chi si spazia
ne'
suoi disii mediante questo,
se
con vile atto tosto non si sazia!
Non
è occulto ciò, poscia che presto
chi
più ha pena più oltre s'invia 70
a
volerne sentir, ben che molesto,
dolendo
sé, altrui dica che sia:
dunque
se questo martire è soave,
la
pace che ne segue chente fia?
Oh
quanti e quali già il tenner grave 75
ch'avrieno
il collo a via maggior gravezza
posto,
sappiendo il dolce che 'n sé have!
Invidiosi
alcuni dicon mattezza
esser
seguir con ragion quello stile
che
dà questo signor di gentilezza, 80
lo
qual discaccia via ogni atto vile:
piacevole,
cortese e valoroso
fa
chi lui segue e più ch'altro gentile.
Superbia
abatte, onde ciascun ritroso
o
di vil condizione esser non puote 85
di
sua schiera, e quinci invidioso
va
ischernendo que' cui e' percuote –.
CANTO
XXX
Volendo
porre fine al recitare,
ch'a
tutto dir troppo lungo saria,
tanto
più ch'io non dico ancor vi pare,
a
quella donna graziosa e pia
che
dentro alla gran porta principale 5
col
suo dolce parlar mi mise pria,
lei
mirando, volta'mi: – Oh quanto vale –,
dicendo,
– aver vedute queste cose
che
diciavate ch'eran tanto male!
Or
come si porria più valorose, 10
che
queste sien, giammai per nullo avere
o
pensare o udir più maravigliose? –.
Rispose
allor colei: Parte vedere
quel
ben che tu cercavi qui dipinto,
ché
son cose fallaci e fuor di vere? 15
E'
mi par pur che tal vista sospinto
t'abbia
in falsa oppinion la mente,
ed
ogni altro dovuto ne sia stinto.
Adunque
torna in te debitamente:
ricorditi
che morte col dubioso 20
colpo
già vinse tutta questa gente.
Ver
è ch'alcun più ch'altro valoroso
meritò
fama, ma se 'l mondo dura
e'
perirà il suo nome glorioso.
È
questa simigliante alla verdura 25
che
vi porge Ariete, che vegnendo
poi
Libra appresso seccando l'oscura.
Nullo
altro ben si dee andar caendo
che
quello ove ci mena la via stretta,
dove
entrar non volesti qua correndo. 30
Deh,
quanto quello a' più savi diletta,
grazioso
ed etterno! ed io il ti dissi
quando
d'entrar pur qui avesti fretta.
Or
dunque fa che più non stieno fissi
gli
occhi a cotal piacer: ché se tu bene 35
quel
ch'egli è con dritto occhio scoprissi,
aperto
ti saria che 'n gravi pene
vive
e dimora chiunque ha speranza
non
saviamente, e a cotai cose tene.
Tu
t'abagli te stesso in falsa erranza 40
con
falso immaginar, per le presenti
cose
che son di famosa mostranza.
Ed
io, acciò che' vani avedimenti
cacci
da te, vo' che mi segui alquanto;
e
mosterrotti contro a quel ch'or senti, 45
mostrandoti
la gioia e 'l lieto canto
de'
tristi, che 'n ta' cose ebber già fede,
mutarsi
in brieve in doloroso pianto.
Potrai
veder colei, in cui si crede
essere
ogni poter ne' ben mondani, 50
quanto
arrogante a suo mestier provede,
or
dando a questo, or ritornando vani
ciò
che diede a quell'altro, molestando
in
cotal guisa l'intelletti umani.
Per
quel potrai veder vero, pensando 55
quanto
sia van quel ben che' vostri petti
va
sanza ragion nulla stimolando;
onde,
seguendo que' beni imperfetti
con
cieca mente, morendo perdete
il
potere acquistare poi i perfetti. 60
In
tal disio mai non si sazia sete:
dunque
a quel ben, che sempre altrui tien sazio
e
per cui acquistar nati ci sete,
dovrebbe
ognuno, mentre ch'egli ha spazio,
affannarsi
ad avere. Omai andiamo, 65
ché
già il luminoso e gran topazio
in
sulla seconda ora esser veggiamo
già
sopra l'orizonte, ed il cammino
è
lungo al poco spazio che abbiamo.
Ma
io spero che 'l voler divino 70
ne
farà grazia, ed io così li cheggio,
ched
e' non ci fallisca punto infino
entrati
sarem là, ove quel seggio
del
perfetto riposo è stabilito
per
que' che non disian d'aver peggio –. 75
Poi
ch'io ebbi sì parlare udito
a
quella donna, io le rispuosi: – Andate,
nullo
mio passo fia da voi partito.
In
questo sol vi priego che m'atiate,
che
là dove 'l disio mi trasportasse 80
contra
vostro piacer, mi correggiate –.
Ella
mostrò negli atti ch'accettasse
la
mia domanda, e mossesi e rivolta
mi
disse allora ch'io la seguitasse.
Tutti
e tre insieme, avvegna che con molta 85
fatica,
la seguimmo, e la cagione
fu
perché quistionammo alcuna volta
a
non voler seguir sua mostrazione.
CANTO
XXXI
Tosto
finì il suo cammin costei,
che
di quel loco per una portella
in
altra sala ci menò con lei.
Ell'era
grande, spaziosa e bella,
ornata
tutta di belle pinture, 5
sì
come l'altra ch'è davanti ad ella.
Oh
quanto quivi in atto le figure
si
mostravan tututte variate
dall'altre
prime e non così sicure!
Color
con festa e con gioconditate 10
parevan
tutte con be' vestimenti,
costor
con doglia e con avversitate.
Hai,
quanto quivi parevan dolenti
e
spaventati, qualunque vi s'era,
con
vili e poverissimi ornamenti! 15
Ivi
vid'io dipinta, in forma vera,
colei
che muta ogni mondano stato,
tal
volta lieta e tal con trista cera,
col
viso tutto d'un panno fasciato,
e
leggermente con le man volvea 20
una
gran rota verso il manco lato.
Horribile
negli atti mi parea,
e
quasi sorda a niun priego fatto
da
nullo lo 'ntelletto vi porgea;
e
legge non avea né fermo patto 25
negli
atti suoi volubili e incostanti,
ma
come posto talor l'avea fratto:
volvendo
sempre ora 'n dietro ora avanti
la
rota sua sanza alcun riposo,
con
essa dando gioia e talor pianti. 30
«Ogni
uom che vuol montarci su sia oso
di
farlo, ma quand'io 'l gitto a basso
inverso
me non torni allor cruccioso.
Io
non negai mai ad alcuno il passo
né
per alcun mia maniera mutai, 35
né
muterò, né 'l mio girar fia lasso,
venga
chi vuol». Così immaginai
ch'ella
dicesse, perché riguardando
dintorno
ad essa vi vid'io assai,
i
qua' su per la rota aderpicando 40
s'andavan
con le man con tutto ingegno,
fino
alla sommità d'essa montando.
Saliti
su parea dicesser: «Regno»;
altri
cadendo en l'infima cornice
parea
dicessero: «Io son sanza regno». 45
In
cotal guisa un tristo, altro felice
facea
costei, secondo che la mente,
la
qual non erra, ancora mi ridice.
Allor
rivolto alla donna piacente
dissi:
– Costei, ch'io veggio qui voltare, 50
conosco
io per nimica veramente.
Tra
l'altre creature a cui mi pare
dover
portar più odio, questa è dessa,
però
ch'ogni sua forza ed operare
ell'ha
contra di me opposta e messa: 55
né
prieghi, né saper, né forza alcuna
pacificar
mi può giammai con essa.
Ognora
nella faccia persa e bruna
mi
si mostra crucciata e sempre a fondo
della
sua rota mi trae dalla cuna, 60
gravandomi
di sì noioso pondo
che
levar non mi posso a risalire,
onde
giammai non posso esser giocondo –.
Ridendo
allor mi cominciò a dire
la
donna: – Allora e' tu se' di coloro 65
ch'alle
mondane cose hanno 'l disire?
ai
quali se ella desse tutto l'oro
che
è sotto la luna, pure aversa
riputerebber
lei a' voler loro.
Torrotti
adunque di cotal traversa 70
oppinione,
e mostrerotti come
più
son beati que' che l'han perversa.
Il
dir Fortuna è un semplice nome,
il
posseder quel ch'ella dà è vano,
o
sanza frutto affanno se ne prome. 75
Odirai
come: e se 'l mio dire estrano
è
dalla verità, conceder puossi
che
seguir vizio sia al salvar sano.
Solamente
da te vo' che rimossi
sieno
i pensier fallaci, se procede 80
il
mio parlar con ver, sì che tu possi
inter
vedere come si concede
che
quel che più al vostro intendimento
agrada,
piú con gravezza vi lede –.
Allora
rispos'io: – Io son contento, 85
donna,
d'udire, acciò che 'l mio errore
io
riconosca, però che io sento
non
aver nulla esser grave dolore –.
CANTO
XXXII
Incominciò
allor costei a dire:
–
Voi, terreni animal, disiderate
i
voler vostri tututti seguire
mediante
costei, cui voi chiamate
Fortuna
buona e rea, secondo ch'essa 5
vi
dà e to' mondana facultate.
In
prima alcuni domandon ad essa
molta
ricchezza, credendosi stare
sanza
bisogno alcun possedendo essa.
Vaghi
sono altri sol di poter fare 10
sii
che avuti sieno in reverenza
da
tutti, e 'n ciò s'ingegnan d'avanzare.
In
alcuni altri aver somma potenza
par
sommo bene, e questo van cercando,
tanto
gli abaglia la falsa credenza. 15
Risplendere
altri si vanno ingegnando
di
nobil sangue ed il nome famoso
o
per guerra o per pace van cercando.
Tai
son che credon ch'esser copioso
di
volontà carnal, ch'è van diletto, 20
faccia
chi ciò possiede glorioso.
Vogliono
alcuni, acciò che il difetto
del
non poter si rivolga in potere,
ricchezza,
e per poter porre in effetto
ogni
libidinoso lor piacere; 25
così
figliuoli alcuni, altri altre cose,
e
questo interamente hanno in calere.
Se
forse una di queste hanno ritrose
al
lor volere, qualunque s'è quello
ch'alcuna
aver nell'animo propose, 30
incontanente
con animo fello
contra
questa si turba ed essa dice
nimica,
e forse fu difetto d'ello.
Intendi
adunque e vedi che felice
costei
non puote giammai fare alcuno, 35
posto
che del mondan sia donatrice.
Non
vedi tu che e' non è nessuno,
che
abondi in ricchezze, che non sia
d'ogni
riposo e diletto digiuno?
Continovo
nell'animo li fia 40
pensiero
e cura di poter guardarle,
temendo
di nascosa tirannia.
Vedi
dunque che bene ha d'ammassarle,
poiché
insidie tutto tempo teme
ed
in più quantità voler recarle. 45
Il
povero uom di tal cosa non geme,
né
perde sonno, né lascia sentiero,
sol
di sua vita trar pensiero il preme:
alla
quale, a voler narrare il vero,
poco
li basta, ma il ricco avaro 50
di
molto aver non ha suo disio intero.
Me'
puote ancora il ricco dar riparo
alle
fami ed a' freddi, ben che puro
le
sente alcuna volta, o spesso o raro.
Or
quinci segue al pover che sicuro 55
vive
di non cader, né spera mai
che
caso fortunal li paia duro.
Ricchezza
adunque, quand'ella è assai,
più
fa indigente il suo posseditore,
con
più pensier, con più cura e più guai. 60
Colui
che vuol per dignitate onore,
veggian,
se la Fortuna gliel concede,
s'egli
avrà quel che e' disia nel core.
Or
non agli occhi di qualunque vede
è
manifesto che tornan viziosi 65
tantosto
che neuna ne possiede?
Ma
se per quelle forse virtuosi
ne
ritornassero, io consentirei
che
tutti voi ne fosti disiosi.
E
d'altra parte dignità i rei 70
fa
manifesti, ed ogni lor mancanza
è
conosciuta più ch'io non potrei
né
parlar, né mostrar: dunque v'avanza
questa
se vi si mostra allor turbata,
quando
chiedendo state in tale erranza. 75
Beati
alcun si diceria se data
fosse
lor forse potenza reale,
non
conoscendo il mal di ch'è vallata.
E
questa podestà niente vale,
ch'ella
non può fuggire il duro morso 80
della
sollecitudine, che male
a
lei non faccia, né può dar soccorso
a
quel noioso e rigido tormento
che
di paura dà l'amaro sorso.
Togliendo
questa cotal reggimento, 85
pace
vi dona dove guerra avreste,
e
voi nol conoscete; onde, scontento
ogni
uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste –.
CANTO
XXXIII
La
nobiltà del sangue altri a costei,
domanda,
come se veracemente
sì
fatto don procedesse da lei.
Oh
quanto a domandare stoltamente
si
muovon questi, se l'operazioni 5
non
seguono il disio della lor mente!
Colui
che con perpetue ragioni
governa
il mondo, come sol fattore
d'esse,
crea nelle sue regioni
ogni
anima che nasce, con amore 10
iguale;
e quella si muove da Lui
vegnendo
lieta al generato core.
Considerando
dunque che Costui
sia
solo e falle egual, conosceremo
così
gentil costui come colui, 15
e
però manifesto vederemo
che
chi seguisse la diritta via
delle
virtù, come da Lui avemo,
l'un
come l'altro così gentil fia;
e
chi da questa torce si può dire 20
non
che villano ma una bestia sia.
A
questi puo' tu dir che in disire
vien
d'esser forse tenuti gentili,
e
cercan ciò per lor vizii coprire.
Tieni
or ben mente e vedi quanto vili 25
sien
lor domande, ché, s'ella concede,
superbi
tornan dov'erano umili:
onde
da questo poi spesso procede
ched
elli scoppian niente tornando,
per
che, s'ella nol fa, vie men li lede. 30
Tratti
ciascun, con virtute operando,
d'aver
ta' lode, ché questa giammai
non
gliel torrà la sua rota voltando.
E
chi la vuole in altro modo guai
va
dimandando, e 'l come gli è coperto; 35
e
se ben guardi tu te n'avedrai.
Né
ciò è lungamente lor sofferto,
ché
degno guiderdon dalla giustizia
etterna
è lor di ciò in brieve offerto.
Ed
alcuni altri son che gran letizia 40
fanno,
quando costei concede loro
lussuriando
poter lor malizia
in
operazion porre; e di costoro
è
il numero grande, i qua' beati
tengonsi
quanto più a tal lavoro 45
lusingando
ne recano i malnati;
e
se questo costei forse lor niega,
incontanente
ver lei son turbati.
Se
ella forse copiosa spiega
tal
grazia a' domandanti, in aspra pena, 50
non
conoscendolo essi, i tristi lega.
Vorrieno
alcuni aver la borsa piena
per
poter comandare: oh quanto senno
poco
costor per via malvagia mena!
Or
credono e' che minaccevol cenno 55
faccian
le lor ricchezze: anzi il faranno
quelli
a cui per guardarle subbietti enno.
Già
puoi veder che gli uomin poco sanno,
ché
per aver delle cose mondane
consuman
sé con non utile affanno. 60
In
brieve adunque queste cose vane
si
consumano e passano, e dovreste
in
ciò tututti aver le menti sane,
ognor
veggendo ciò ch'avien di queste,
come
partendo e tornando tal volta 65
le
menti vostre fanno liete e meste.
Costei,
di cui parliam, s'a voi rivolta
con
tristo viso vi si mostra spesso,
(se
ben hai tutta mia ragion raccolta,
ov'io
ho quasi tutto quanto messo 70
il
suo poter) vi dovria rallegrare,
e
non porger dolor negandovi esso.
Nostro
verace ed util ragionare
troppo
si stenderia volendo intero,
ciò
che dir si porria, d'essa parlare. 75
Di
ciò ch'è detto basti, e con sincero
parere
fa che il prendi, sì che forse
non
tragghi error del mio lucido vero.
Ogni
parer che 'l rimirar ti porse,
di
là vedendo, caccia e quel disio 80
massimamente
che di lor ti morse:
fiso
mirando quello per che io
qua
entro ti menai, fa che col viso
segui
com'io col mio parlar m'invio.
Ogni
mondan valor vedrai conquiso 85
in
termine assai brieve: fa ch'ascolti
e
che non sia dal tuo intender diviso
ciò
ch'io dirò qui appresso di molti –.
CANTO
XXXIV
–
Horribilmente percuote costei –,
cominciò
ella a dir, – chiunque sale
su
la sua rota fidandosi a lei;
onde
ciascun, ch'è qui, per cotal male
piangendo
si ramarca, ed essa vedi 5
che
di tal pianto niente le cale.
Il
suo officio fa, e vo' che credi
che
rade volte aspetta il suo girare
che
lo stato di uno a' terzi eredi
venga,
ma con mirabile voltare 10
dà
a costui a quell'altro levando,
come
vedi un salire, altro abassare.
Intento
dunque quivi riguardando
puo'
tu veder quella città caduta
che
Cadmo fece, lo bue seguitando. 15
Potente
e grande, più ch'altra tenuta
ch'al
mondo fosse, allora fu, ed ora
di
pruni e d'erbe la vedi vestuta,
ruvinati
gli ostier, né vi dimora
altro
che bestie salvatiche e fiere, 20
e
quanto fosse grande parsi ancora.
Iocasta
trista vi puo' tu vedere
ch'al
figlio moglie misera divenne,
ben
ch'avenisse sanza suo sapere;
e
vedi que' che questa tutta tenne 25
contra
'l voler del frate, per cui questo
distruggimento
misero n'avenne.
Giace
con lui in quel fuoco molesto,
che
quivi vedi, il frate, che amendui
fu
l'uno all'altro uccider così presto. 30
Oltre
un poco poi vedi colui
che
sopra 'l mur da Giove fulminato
fu,
dispregiando ancor negli atti lui.
Con
questi vedi Adastro allato allato,
con
gli altri regi che l'accompagnaro 35
a
quel distrugimento dispiatato.
Vedi
Tideo, vedi il pianto amaro
che
fer le triste che a compimento,
in
ristoro del duol, la consumaro.
Non
t'è occulto or quanto mutamento 40
dal
bene al mal fosse quel di costoro,
e
quasi fu in un picciol momento.
Pon
mente poi un poco dietro a loro:
Troia
vedrai e 'l superbo Ilione,
ch'a
pena alcuna parte par di loro. 45
Ora
non v'ha né tetto né magione,
ma
qual caduto e qual arso si mostra,
come
tu vedi, e sai ben la cagione.
Così
costei con cui le piace giostra,
sempre
abattendo chi s'oppone ad essa; 50
ma
perseguiamo alla materia nostra.
Or
mira a piè della città depressa,
e
vedi que' che già ne fu signore
quando
da' Greci fu con forza aggressa:
Priamo
dico, il cui sommo valore, 55
la
sua ricchezza, la fama e l'ardire,
i
molti figli, il potere e l'onore
raccontar
non porriasi mai né dire;
questa
arsa e' figli morti innanzi ad esso
tututti
vide avanti il suo morire. 60
Ecuba
trista puoi vedere appresso
per
doglia andar latrando come cane,
morte
chiamando, che l'uccida, spesso.
Similemente
ancor delle troiane
genti
vi vedi assai in sanguinoso 65
lago
star morte e d'ogni possa vane.
Tra
gli altri puoi vedere il valoroso
Ettor
giacer, e non li valse niente
contra
costei il suo esser famoso.
Ivi
Parìs ancora, insiememente 70
Troiolo,
Polidoro e Pulisena
veder
puoi tu giacere assai vilmente.
Agamenòn
insieme e la sua pena:
poi
ch'ebbe Marte e Nettunno avanzato,
vedi
ch'Egisto a lui l'ultima cena, 75
togliendoli
la vita, dà, ingannato
lui
col vestir malizioso e fallace,
nel
quale e' tristo s'è raviluppato.
E
vedi ancor Senacherìb che giace
morto
dentro a quel tempio, e vedi Enea 80
che
Turno, il qual si credea stare in pace,
lui
caccia via. – E appresso parea
Serse
dolente e tristo nello aspetto,
del
passare Ellesponto ancor piangea.
Oh
quanto pien di furia e di sospetto 85
Atamante
teban, che uccise i figli,
quivi
parea, nel sembiante dispetto,
nelle
lor carni ancor con tristi artigli!
CANTO
XXXV
–
Tu puoi –, rincominciò la donna a dire,
veder
qui Alessandro, ch'assalio
il
mondo tutto, per velen morire;
e
non esser però il suo disio
pien,
ma più che giammai esser ardente, 5
e
'n tale ardor, come vedi, morio.
Lo
qual fu quanto alcun altro possente,
né
però averia questa lasciato,
che
se fosse vivuto, che vilmente
lui
non avesse in infimo voltato 10
della
sua rota; ma quel che costei
non
fé, morte adempié nel nominato.
E
poi appresso puoi veder colei
che
pugnò con Pallade come stolta,
ch'ancor
del fallo suo par dica omei. 15
Come
la vedi ancor quivi ravolta
ne'
suo' istracci, in ragnol trasmutata
fu
dalla dea e dal laccio disciolta.
Tu
puoi appresso vedere effigiata
la
sembianza di Dario, la quale 20
di
leto aspetto in tristo par mutata.
Oh
come poco al presente li vale
essere
stato grande! anzi gli è noia
or
che si vede in disperato male.
Aver
puoi già udito quanta gioia 25
avesse
Niobè de' suoi figliuoli,
e
agual qui pare di dolor si muoia.
Guarda
un poco innanzi, se tu vuoli:
superba
lei potrai quivi vedere
ancora
incerta de' suoi tristi duoli; 30
lor
poi appresso ad uno ad un cadere
morti
dintorno a lei ancor vedrai,
per
la superbia e suo poco sapere.
In
trista angoscia ed in amari guai
la
vedi quivi ritornata umile, 35
sanza
suo pro di sé piangendo assai.
Appresso
vedi que' che con sottile
maestero
del padre usci volando
del
Laberinto, che tenendo vile
miseramente
ciò ch'amaestrando 40
il
padre gli avea detto, per volare
troppo
alto, in giù, le sue reni spennando,
ora
si cala, e appresso affogare
più
là il vedi ne' salati liti:
questo
avien de' non savi seguitare. 45
Riguarda
poi più là: vedi smarriti
il
fiero Ciro e Persio; ne' sembianti,
l'ardir
perduto, paiono inviliti.
Or
vedi ancora a mano a man da quanti
uccelli
il corpo di Nabùch è roso, 50
temendo
il figlio che per tempo avanti,
surgendo
del sepolcro, poderoso
non
ritornasse e lui cacciasse fore
del
regno, dove vivea glorioso.
Ivi
ve' tu ancora il gran romore 55
che
fanno le figliuole di Piero
voltate
in piche per greve dolore.
Veggon
sanza lor pro ora quel vero
ch'a
lor superbamente s'ocultava
nel
lor parer fallace e non intero –. 60
E
quivi appresso costei mi mostrava
Cartagine
in ruvina, tutta accesa
d'ardente
fuoco che la divampava.
Riguardar
quella con sembianza offesa
mi
mostrò quella donna Scipione, 65
al
cui valor non potè far difesa.
Seguiva
con non poca ammirazione
Anibale,
turbato nello aspetto
o
di quella o di sua distruzione.
In
abito dolente e con sospetto 70
quivi
Asdrubale ancora si vedea,
col
capo basso mirandosi il petto.
Là
similmente veder mi parea
la
struzione della antica cittate
di
Fiesole, la qual tutta cadea. 75
Ivi
pareva la gran crudeltate
che
'l pistolese pian sostenne pieno
di
Catellino, le cui opre spiatate
quasi
narrando non verrian mai meno,
avvegna
ch'a ragion posto li fosse 80
nella
sfrenata bocca cotal freno.
Vedevanvisi
ancora le percosse
che
Mario da Lucio sostenne,
quando
la briga cittadina mosse.
A'
quei così, come a colui n'avenne, 85
possa
avenir, che nelle città loro
a
suscitar battaglia metton penne,
lasciando
il comun ben per suo lavoro.
CANTO
XXXVI
–
Intento ora ti volgi a riguardare
la
vendetta di Dio, che non oblia
mai
fallo alcun che si debbia purgare.
Se
'n parer posto forse ad alcun sia
ch'ella
si muova con un lento passo, 5
non
è così, ma que' troppo disia;
o
se va forse adagio al tristo lasso
ch'aspetta
quella per la fatta offesa,
non
giova già, che più grave fracasso
segue
per quello indugio: sì compesa 10
al
fatto fallo, sì che igualmente
da
ogni parte la bilancia pesa.
Pon
mente là: colui che sì vilmente
veste
e si tien la mano alla mascella,
mostrando
sé nel sembiante dolente –, 15
incominciò
colei, – oh quanto fella
fu
l'aspra signoria che 'n Siragusa
tenne,
mentre per lui si guardò quella!
Nel
tempo avanti che li fosse chiusa,
tiranneggiando
fieramente in essa 20
sanza
ricevere o priego o iscusa,
tenea
la gente sì vilmente oppressa,
ch'ognun
piangeva e dicer non osava
la
doglia sua, per tema d'altra ressa.
Oh
come fiero li tiranneggiava! 25
e
Dionisio fero fu chiamato
per
la fierezza la quale elli usava.
Così
avenne che ne fu cacciato
con
tanta noia e con tanto furore,
ch'a
lui parve aver vinto esser campato. 30
Onde
fuggendo ad Atena, il dolore
mitigato,
pensò, per non morire
di
fame, farsi in lettera dottore.
Nol
vedi tu ched e' fa là aprire
i
libri a' garzonetti e mostra loro 35
com'una
lettera altra dee seguire?
Poi
guarda avanti nel dolente coro,
e
vederai Tesaglia sanguinosa
del
roman sangue mischiato e di ploro.
Or
guarda quivi, e vedi sconcia cosa 40
tanti
grandi uomin, tanti valorosi
esser
sommessi a rovina angosciosa.
Simile
guarda quanto ponderosi
son
gli alberi del sangue che portati
v'hanno
li piè delli uccellon golosi, 45
i
qua' prima si son ben satollati
de'
corpi morti, che sanza alcun foco
o
sepoltura stan quivi gelati.
Fra
folti boschi o tane o altro loco
leon
né lupo né can par rimaso 50
che
non si pasca quivi o molto o poco.
Ondeggiar
vedi del dolente caso
i
tristi fiumi, ed ispumanti, rossi
del
tristo sangue non isparto in vaso.
Riguarda
là Pompeo con volti dossi 55
che
fuggendo abandona il campo tristo,
ed
ancor ve' come a Lesbòs posossi.
Se
là rimiri, con sembiante misto
di
lagrime Cornelia accoglier lui
vedrai,
poi che sconfitto l'ebbe visto; 60
e
vedi ancor come quindi con lui
si
parte e vanne per mare in Egitto,
in
sé immaginando che colui
dovesse
lui ricevere, respitto
avendo
al regno che avuto avea 65
da
lui: ma 'l suo pensier non venne dritto –.
Avanti
mi mostrò, dov'io vedea
come
scendea del suo legno Pompeo,
perché
carico troppo li parea,
di
quello entrando in un che Tolomeo 70
per
Achillàs insieme con Futino,
sotto
spezie d'onor, menar li feo.
In
quel già assettato lui meschino,
i
traditori, alquanto indi lontani,
pigliaron
lui, quasi al suo mal divino, 75
sì
com parea: il capo l'aspre mani
a
lui tagliaro, il tronco in mar gittaro,
e
quello al sir portaron di lor cani.
Ivi
pareasi ancora il duolo amaro
che
Codro fece quando vide il busto 80
del
capo, ch'a' Roman fu tanto caro.
Onde
dolente, povero e vetusto
prendea
di notte quello, al mio parere,
e
poi che 'n picciol fuoco lui combusto
sotterrato
ebbe secondo il potere 85
in
piccioletta fossa, ricoprendo
lui
del sabbione, con lagrime vere
il
suo infortunio ripetea piangendo.
CANTO
XXXVII
Vedevavisi
appresso quanto e quale
già
fosse stato Cesare, tenendo
in
prima in Roma offizio imperiale.
Oh
quanto poco questo possedendo
il
vedea gloriar! che quivi allato 5
tra'
sanatori il vedeva morendo,
lui
avendo essi tutto pertugiato
co'
loro stili, e quegli era piggiore
cui
elli aveva già più onorato.
E
simile la rabbia e 'l gran furore 10
di
Neron si vedeva terminare
in
brieve tempo con molto dolore.
Risplendevavi
ancora, ciò mi pare,
ciò
che fé Giuba mai, ed ivi appresso
dopo
'l salir il suo tristo calare. 15
Tarquin,
Porsenna e Lentulo dop'esso,
Ovidio,
Tulio, Amulcar si vedieno
ed
altri molti, i quali io con espresso
riguardo
non mirai, perché già pieno
di
tal materia aveva lo 'ntelletto, 20
ed
eran tanti che non venien meno.
–O
beato –, diss'io, – que' che l'effetto
ad
altre cose tira che a queste,
le
quali istato mostrano imperfetto!
Più
vili ch'altre sono e più moleste, 25
piene
d'inganno e d'affanno gravoso,
e
la lor fine è sola mortal peste –.
Poi
mi voltai al viso grazioso
di
quella donna che m'avea condotto,
dicendo:
– Il mio voler, che fu ritroso, 30
or
è tornato dritto, e già non dotto
che
questi ben terren son veramente
que'
che a' vizi ciascun mettono sotto.
Nessun
porria pensar che tanta gente,
così
famosa e di tanta virtute, 35
Fortuna
avesse sfatti sì vilmente.
Fosse
chi nol vedesse? o chi salute
ispererà
omai, se non coloro
che
le vere ed etterne han conosciute?
Il
più far qui omai lungo dimoro, 40
donna,
mi spiace: però giamo omai
dove
volete, e qui lascian costoro –.
Allor
disse la donna: – Or t'è assai
aperto
che costei esser turbata
vi
dà salute ed iscemavi guai? 45
Ma
se tu fossi stato altra fiata
così
disposto, come ora ti sento,
già
meco fori in capo alla montata.
Ma
poi che del seguirmi se' contento
ed
hai veduto le mondane cose 50
volubili
e caduche più che vento,
appresso
viemmi, ché le gloriose
ed
etterne vedrai. Ma non torniamo
onde
venimmo, per le 'mpetuose
tralciute
vie, ma di qua teniamo, 55
ché
picciola rivolta alla portella
prima
ci menerà, che noi vogliamo –
Ora
si mosse questa ed io dop'ella,
di
quelle cose molto ragionando
ch'eran
dipinte nella sala bella. 60
Ognor
seguendo lei, così mirando
intorno
a me per veder ciò che v'era
e
nella mente ogni cosa recando.
sì
vi vidi io, per una porta ch'era
alla
sinistra mano, un bel giardino 65
fiorito
e bello com di primavera.
–
Entrian –, diss'io, – in questo orto vicino,
donna,
se piace a voi, ché poi alquanto
ricreati
terrem nostro cammino –.
Là
entro udiva io festa e gran canto, 70
onde
mi crebbe d'esservi il disio,
sì
ch'altri mai non disiò cotanto.
Mirandomi
allor dopo, mi vid'io
i
due primier che dicean: – Che, non passi
dentro,
poiché ardi di volere? – ed io 75
infra
me gia dicendo: «Se tu lassi
costei
per colà entro voler gire,
s'ella
non vien, chi guiderà i tuoi passi?».
–
Oh – cominciò costei allora a dire,
–
che credi tu che colà entro sia? 80
Troppo
ti volge ogni cosa il disire.
Faccian,
mentre avem tempo, nostra via,
ché,
come tu costà pinto hai veduto,
così
v'è dentro mondana vania.
Il
ver che ora avanti conosciuto, 85
secondo
il tuo parlar, avevi tutto,
seguilo,
e non voler con non dovuto
operar
seguir danno e perder frutto –.
CANTO
XXXVIII
Comincia'
io allora: – A te che face
l'entrar
là entro ed un poco vedere?
Io
verrò poi là ovunque ti piace –.
–
Or veggio ben che tu il tuo parere
vuo'
pur seguire in ciascheduna cosa, 5
e
fai quel che tu vuo' a me volere –.
Così
mi disse, e quasi dispettosa
soggiunse:
– Andian, ched e' potrà seguire
che
quando tu in più pericolosa
angoscia
ti vedrai, vorrai reddire 10
con
meco adietro e non esser forse ito,
ed
io ti lascerò in tal martire –.
Non
fu il suo parlar da me udito
allor
per poco, tanto avea la mente
pure
al giardin verdeggiante e fiorito. 15
Tutti
e quatro v'entrammo insiememente:
tanta
gioia vi vidi, che ciò ch'io
dinanzi
vidi ivi m'usci di mente.
Ahi
quanto egli era bello il luogo ov'io
era
venuto, e quanto era contento 20
dentro
da me l'ardente mio disio!
Rimirando
m'andava intorno attento
per
lo gioioso loco, scalpitando
l'erbette
e' fior col passo lento lento.
Sì
con diletto per lo loco andando 25
vidi
in un verde e piccioletto prato
una
fontana bella e grande; e quando
io
m'appressai a quella, d'intagliato
e
bianco marmo vidi assai figure,
ognuna
in diverso atto ed in istato. 30
Mirando
quelle, vidi le scolture
di
diversi color, com'io compresi,
qua'
belle e qua' lucenti e quali oscure.
Vidi
lì un bel marmo; e quel sedesi
sopra
la verde erbetta, di colore
sanguigno
tutto, e 'n su quella stendesi 35
in
piano, e s'io già non presi errore
nell'avisare,
una canna per verso,
quadro
e basso e lucido di fore.
Sovr'ogni
canto di quel marmo terso
di
marmo una figura si sedea, 40
ben
che ciascuna avea atto diverso,
ch'umil,
bella, soave mi parea
l'una
di queste, e due spiritelli
con
l'una mano a pie di sé tenea.
Habituati,
parlando con quelli, 45
gli
aveva sì in un voler recati,
che
ciascuno contento è di quel ch'elli
all'altro
vedea 'n voglia; e colorati
eran
li suoi vestir di tanti e tali
color,
ch'io non li avrei mai avisati. 50
Nell'altro
canto, a man destra, ch'iguali
spazio
occupava, una donna vi stava
ad
ogni creatura disiguali.
Ella
nel capo suo quivi mostrava
tre
visi, ed è vestita, ciò mi pare, 55
come
di neve e così biancheggiava.
Là
vid'io poi nel terzo angulo stare
una
donna robusta tutta armata,
ad
ogni affanno presta di portare.
Parea
di ferro questa ivi formata 60
tutta
a veder; e dopo lei seguia
un'altra
sopra 'l quarto angul fermata.
Rimirando
colei ognun diria
che
di fino smeraldo fatta fosse,
in
abito piacente, umile e pia. 65
Or
quel che più a mirarle mi mosse
fu
un vaso vermiglio grande e bello,
che
tutte sostenien con le lor posse.
Fermato
sopra loro, il bel vasello
più
chè 'l sanguigno marmo si spandeva 70
sopra
'l fiorito e verde prato quello.
Egli
era tondo, e 'n mezzo d'esso aveva
fermata
una colonna piccioletta
che
diamante in vista mi pareva,
ritonda
e bella; e sopra quella eretta 75
un
capitel v'aveva di fino oro,
fatto
con maestria, non miga in fretta;
e
sopra quel tre figure dimoro
faceano
ignude, e le spalle rivolte
erano
l'una all'altra di costoro. 80
Rideva
l'una in atto, ben che molte
lagrime
fuor per gli occhi ella gittasse,
che
poi nel vaso parevan racolte.
Bruna
era e nera; e poi che somigliasse
foco
pareva l'altra e dalla poppa 85
d'acqua
gittava; e la terza sopr'a sé
rampollava
ancor, bianca ma non troppa.
CANTO
XXXIX
Oh
quanto bella tal fonte pariemi
e
quanto da lodar, tal che giammai
di
mirarla saziato non sariemi!
Com'io
a basso al vaso riguardai,
dove
l'acqua cadea ch'era gittata 5
da
quelle tre, se bene immaginai
o
vidi il vero, io vidi ch'adunata
era
da parte quanta ne gittava
la
bianca donna e là effigiata.
Onde
uscia quella del vaso vi stava 10
un
capo d'un leone, e ver levante
d'un
picciol fiume il bel giardin rigava.
Tolto
di quivi e fattomi più avante,
ciò
che la donna vermiglia spandea
nel
vaso vidi fare il simigliante. 15
Rimirando
esso ancora vi vedea
una
testa d'un toro, al mio parere,
del
qual quell'acqua adunata scendea;
oltre
ver mezzogiorno il suo sentiere
tenendo,
mi parea che se ne andasse 20
ancor
rigando il piacente verziere.
Poi
mi parve ch'alquanto mi tirasse
inver
la terza donna tutta nera,
che
ridendo parea che lagrimasse.
Parevami
che, poi ch'adunato era 25
suo
lagrimar nel vaso, che scendesse
per
una testa ancora che quivi era;
ove
mirando, parve ch'io vedesse
che
lupo fosse, e questa se ne gia
or
qua or là, né parea che tenesse 30
en
l'andar suo nulla diritta via:
ad
aquilon talora e ver ponente
scendendo,
non so dove si finia.
Ciò
che dal leon cade pianamente
dico
che corre, e sopra li suoi liti 35
d'erbe
e di fior si vede ognor ridente.
Herba
non v'ha, né frutti che smarriti
teman
dell'autunno, ma tuttora
con
frutti e frondi be' verdi e fioriti
ivi
dimoran, né mai si scolora 40
prato,
ma bel di variati fiori
la
state e 'l verno sempre vi dimora.
A
que' 'l ruscel, che al toro di fori
cade
di bocca, similmente è bello
d'erbe
e di fior di diversi colori; 45
rivestito
di ciascuno albuscello
è
'l dolce lito, che porti verdura,
e
similmente d'ogni gaio uccello.
Odesi
alcuna volta en la pianura
le
frondi risonar per dolce vento, 50
il
qual si move da quell'aere pura.
Ogni
pratel di quel lito è contento
di
mutar condizione a tempo e loco,
secondo
c'ha 'l vigore acceso e spento.
Rallegrasi
ogni animale e gioco 55
vi
fa, secondo che amor lo strigne
sotto
la forza sua o molto o poco.
Ovunque
la natura più dipigne
la
terra di bellezza, è a rispetto
nulla
di quello che quel fiume tigne. 60
Così
veduto quel, con lo 'ntelletto
io
corsi a quel che fuor del lupo usciva:
ov'io
non vidi un albero soletto
o
altra pianta, la qual verde o viva
vi
sia, ma secca la pianura trista, 65
biancheggiar
tutto con l'occhio scopriva.
Aveva
ben del fiumicel la lista
tinta
la terra d'un suo color perso,
che
quasi lo schifava la mia vista.
Mossimi
allora quindi, ed a traverso 70
presi
il sentiero per lo bel giardino,
per
gire al fiume del bel toro emerso.
E
quella donna con cui il cammino
impresi
prima, disse: – Se ti piace,
andian
per questa via, ché più vicino 75
ne
fia 'l sentier che ci merrà a pace.
Dove
tu vai, come tu hai veduto,
è
del bel transitorio e fallace;
del
qual se tu ti se' bene aveduto,
come
dicevi e come il tuo parlare 80
mostrava
che avessi conosciuto,
a
quel non guarderesti, ma andare
il
lasceresti come cosa vana
e
'ntenderesti a sol me seguitare.
Trai
dalla mente tua quel che insana 85
esser
la fa, giovi quel ch'io ti dico,
e
per quel falla che ritorni sana:
e
non esser di te stesso nimico –.
CANTO
XL
La
donna mi parlava, ed io mirando
con
l'occhio andava pure ove 'l disio
mi
tenea fitto, non so che ascoltando.
Avevami
davanti, al parer mio,
su
quella riva assai donne vedute, 5
di
cui veder in tal voglia venn'io,
ch'io
dissi: – Donna mia, a mia salute
non
pensar più ch'i' voglia, a tempo e loco
farò
d'adoperar la tua virtute;
ch'ora
di novo m'è nel cor un foco 10
venuto
d'esser là: però o vienci,
o
tu m'aspetta infin ch'i' torni un poco.
In
qual parte vorrai poi insieme andrenci:
nostra
stanza fia poca veramente,
che
noi da veder quelle liberrenci –. 15
Oltre
n'andai, sanza dir più niente,
co'
due che mi traevano, e costei
quasi
scornata mi teneva mente
con
intentivo sguardo, ed io a lei;
sanza
dir nulla io la vi pur lasciai, 20
o
bene o mal non so qual io mi fei.
Hardito
con costoro oltre passai,
e
'n sulla riva del bel fiumicello
io
vidi donne ch'io conobbi assai;
e
riguardando lor con occhio snello, 25
qual
gia cantando e qual cogliendo fiori,
chi
sedea, chi danzava in un pratello.
Bello
era il loco e di soavi odori
ripien
per molte piante che 'l coprieno
dal
sole e dalli suoi già caldi ardori; 30
e'
suoi cavalli, al mio parer, salieno
già
sopra la quarta ora e mezzo il segno
del
friseo monton co' piè tenieno.
Non
credo ched e' sie sì alto ingegno
che
'nteramente potesse pensare 35
le
bellezze di quelle ch'io disegno.
Rimanga
adunque qui questo lodare,
sol
procedendo a' nomi di coloro
ch'io
vi conobbi degne di nomare.
Infra
quel bello e grazioso coro 40
di
tante donne, vidi una bellezza
ch'ancora
stupefatto ne dimoro.
Pietoso
Appollo, alquanto dell'altezza
del
tuo ingegno presta, o tu ispira
ora
per me con la tua sottigliezza! 45
Omero,
Maro, Naso, o chi più mira
discrizione
o di donna o di dea
fé,
saria poco a quella che si gira
sopra
quel prato, ov'io vidi sedea
giovinetta
leggiadra e tanto bella, 50
ch'io
la pensai per fermo Citarea.
Inginocchia'
mi per volere ad ella
far
reverenza, ma poscia m'avidi
ch'era
mondana e somigliava stella.
Sallosi
Amore che i piatosi gridi 55
del
cor sentì a sì mirabil vista,
ch'io
nol so dir, ché non ho chi mi guidi,
e
s'io pur conforto l'anima trista
poi
che per li occhi senti' 'l dolce raggio
di
tal bellezza, per obliqua lista. 60
Istesi
adunque inver di lei il visaggio,
e
s'a sua posta l'alma, ch'altra guarda,
dar
si potesse, io muterei coraggio.
Nel
viso che d'amor sempre par ch'arda
afigurai,
mirando con diletto, 65
che
costei era la bella lombarda.
Signore
etterno, a cui nessuno effetto
mai
si nascose, alla giusta preghiera
rispondi
e dì: fu mai sì bello aspetto?
Essa
sopra la verde primavera 70
si
riposava con altre dintorno,
delle
quali il bel luogo ripien era,
faccendo
con la luce dell'adorno
e
bellissimo viso, riflettendo
con
lume, troppo più il chiaro giorno; 75
rimirando
talor, fra sé ridendo
ver
me di me, che arso m'accendeva
di
nova fiamma ancora lei vedendo.
Udire
appresso questa mi pareva
cantar
tanto soave in voce lieta 80
che
me di me sovente mi toglieva.
Così
al canto libera e quieta
tutta
la mente avea disposta, allora
che
con benigna voce e mansueta: 85
–
Troppa qui lunga dispendiam dimora –,
i
due mi dissero; a' qua' rivoltato
risposi:
– Andiam, sed e' vi pare, ancora –.
Oltre
la via prendemmo per lo prato.
CANTO
XLI
Oltre
passando tra' fiori e l'erbette,
in
loco pien di rose e d'albuscelli
venimmo,
ove ciascun di noi ristette;
fra
li qua' canti piacenti d'uccelli
s'udivan
tai, che io mi saria stato 5
quasi
contento pure ad udir quelli.
Or
mirando più là nel verde prato,
donne
vi vidi una carola fare
ad
uno strano suon, ch'una dallato
ritta
a me mi parve udir sonare. 10
Io
non conobbi lei, posto ch'assai
bella
paresse a me nel riguardare:
sì
ch'io avanti all'altre riguardai,
ornata
quale a sua somma grandezza
si
conveniva, in atti lieti e gai, 15
esser
la mira e piacevol bellezza
di
Perigota, nata genitrice
dell'onor
di Durazzo e dell'altezza.
Ahi
quanto allor mi reputai felice,
non
risparmiando gli occhi a mirar quella 20
che
per bellezza si può dir fenice!
La
qual non donna, ma diana stella,
con
passo rado la menava attenta,
non
altrimenti che si voglia ad ella,
con
gli occhi bassi, del mirar contenta 25
che
io faceva in lei, che già sentia
come
d'altrui per biltà si diventa.
Vaga
e leggiadra molto la seguia
la
ninfa fiorentina, al cui piacere
oppongon
tai, che non san che si sia, 30
nel
viso lei parere un cavaliere,
onesta
andando sì umilemente
ch'oltra
dovere me ne fu in calere.
Dopo
essa, attenta al suon similemente,
veniva
quella Lia che trasse Ameto 35
dal
volgar uso dell'umana gente,
in
abito soave e mansueto,
inghirlandata
di novella fronda,
con
lento passo e con aspetto lieto.
Lì
dopo lei, bianca e rubiconda 40
quanto
conviensi a donna nel bel viso,
tutta
gentile, graziosa e gioconda,
era
colei di cui nel fiordaliso
il
padre fu dall'astuzia volpina,
col
zio e col fratel di lei, conquiso 45
con
molta della gente fiorentina:
li
quai libraron lor poscia, per merto,
troppo
più che 'l dover pace vicina.
Tra
tanto ben, quanto a' mie' occhi offerto
era
'n quel loco, vid'io poi seguire, 50
come
'l ramemorar me ne fa certo,
ognor
più belle è più conte nel gire
donne
altre assai, i nomi delle quali
io
non saprei di tutte ben ridire.
Però
le taccio, ma con disiguali 55
passi
e maniere si movea catuna,
sì
come il suon ne porgeva segnali,
oltre,
al parer mio; e ciascheduna
a
tal bisogna conta, lieta e presta
mi
pareva che fosse, perch'ognuna, 60
ridendo
in sé, prendeva gioia e festa,
sanza
mostrar negli atti ch'altra cura
le
fosse forse dentro al cor molesta.
Givansi
adunque su per la verdura
e
sopra i fior che novi produceva 65
allato
al rivo la bella pianura;
e
talor quella che le conduceva
fino
alla bella fonte se ne giva
e
'ntorno ad essa in giro si torceva,
sopra
tornando per la chiara riva 70
del
fiumicello e poi nel pian tornando
che
di diversi odor tututto oliva.
Sempre
con l'occhio quelle seguitando
m'andava
io, e dentro lo 'ntelletto
la
lor bellezza giva immaginando; 75
e
di quella prendea tanto diletto
in
sé, ch'alcuna volta fu che io,
a
tal piacer, credetti far subbietto
alla
mia voglia quiveritta il mio
libero
albitrio: ma pur si ritenne 80
con
vigorosa forza il mio disio.
Voltatomi
a que' due, allor mi venne,
ch'eran
con meco, verso lor dicendo:
–
Oh quanto a queste natura sovenne,
ogni
bellezza in esse componendo! 85
Beati
que' che della grazia d'esse
son
fatti degni, quella mantenendo,
la
qual volesse Iddio che io l'avesse! –.
CANTO
XLII
E
mentre ch'io m'andava sì parlando
con
questi due, ed ecco d'altra parte
molte
donne gentili assai danzando.
Certo
non credo che natura od arte
bellezze
tante formasse giammai, 5
quanto
ne' visi a quelle vidi sparte.
Tra
me medesmo men maravigliai,
ma
volto il viso a lor, come venieno
così
nella memoria le fermai.
Onde
mi par che quella, cui seguieno 10
danzando
a nota d'una canzonetta
che
due di quelle cantando dicieno,
raffigurando,
era una giovinetta
dell'alto
nome di Calavra ornata,
di
Carlo figlia gaia e leggiadretta: 15
reggendo
quella alla nota cantata
con
volte degne e passi, a cotal danza,
come
mi parve, appresso seguitata
ivi
dall'alta ed unica intendanza
del
Melanese, che col Can lucchese 20
abatté
di Cardona l'arroganza.
Nelle
man della qual poi la cortese
donna
di quel cui seguita Ungheria,
bellissima
si fece a me palese:
graziosa
venendo, onesta e pia, 25
con
lieta fronte, in atto signorile,
fece
maravigliar l'anima mia.
Riguardando
oltre, con sembianza umile
venia
colei che nacque di coloro,
che
tal fiata con materia vile 30
aguzzando
lo 'ngegno a lor lavoro,
fer
nobile colore ad uopo altrui,
multiplicando
con famiglia in oro.
Tra
l'altre nominat' è da colui
che
con Cefàs abandonò le reti 35
per
seguitare il Maestro, per cui
i
tristi duoli e gli angosciosi fleti
fur
tolti a' padri antichi, e parimente
da
Lui menati nelli regni leti.
Appresso
questa assai vezzosamente 40
se
ne veniva la novella Dido,
di
nome, non di fatto veramente,
tenendo
acceso nel viso Cupido,
di
tale sposa ch'assai mal contenta
credo
la faccia nel marital nido. 45
Ed
il nome di lui di due s'imprenta,
d'un
albero e d'un tino, e 'l poco fatto
dal
suo diminutivo s'argomenta.
Costei
seguiva con piacevol atto
donna
che del sussidio d'Orione 50
il
nome tien, quando sonò per patto.
Oh
quanto ella vorria, ed a ragione,
vedova
rimaner partenopea
di
tal c'ha nome da quel che menzione
l'agosto
dà ad Ascesi! E poi vedea 55
dopo
essa molte, le qua' raccontare
per
più brieve parlar meglio è mi stea.
E
com'io dissi, ad un dolce cantare,
in
voce fatto angelica e sovrana,
era
guidata, qual di sotto pare. 60
–
In chiunque dimora alma sì vana
ch'esser
non voglia suggetta ad Amore,
da
nostra festa facciasi lontana.
Lo
suo inestimabile valore,
che
adduce virtute e gentilezza, 65
a
ciascuna di noi disposto ha il core
a
sempre seguitar la sua grandezza,
e
lui servendo staremo in disire,
tanto
che sentiren quella dolcezza
ched
e' concede altrui dopo 'l martire: 70
null'altra
gioia al suo dono è iguale,
poiché
per quel sembra dolce il morire.
Vita
che sanza lui dura non vale
né
più né meno che se ella fosse
cosa
insensata o d'un bruto animale. 75
In
quel disio adunque in che ci mosse,
quando
a noi fé sua signoria sentirsi,
a
sostenere inforzi nostre posse:
benivol
poi essendoci a largirsi,
sì
che, deh, non ci paian le ferute 80
di
lui noiose né grave il soffrirsi,
in
cui consiste la nostra salute;
quando
parralli, la dobbiamo avere,
dandola
tosto con la sua virtute –.
L'altre
poi tutte appresso, al mio parere, 85
rispondendo
diceano: – O signor nostro,
in
te si ferma ogni nostro volere,
tutte
disposte siamo al piacer vostro –.
CANTO
XLIII
Aveami
già quel canto e la bellezza
delle
giovani donne l'alma presa
e
riempiuta di nuova allegrezza,
tanto
che ad altro la mente sospesa
con
gli occhi non tenea, che non faceano 5
alli
raggi di lor nulla difesa;
e
com'io loro alzai, vidi sedeano
donne
più là, quasi sé riposando,
che
forse fatta festa innanzi aveano.
Queste,
mentre io andava riguardando, 10
d'erbe
e di frondi tutte coronate
vidi
ed insieme d'amor ragionando.
Ver
è ch'ell'eran di maturitate,
di
costumi, di senno e di valore
e
di bellezza molto e molto ornate. 15
E
volto verso là, il primo ardore
della
bellezza dell'altre fu spento,
di
tutte, fuor che d'una, nel mio core;
sì
ch'io con passo mansueto e lento
a
quelle m'appressai com'io potei, 20
ed
a mirarle mi disposi attento.
Tra
l'altre che io prima conoscei,
fu
una ninfa sicula per cui
già
si maravigliaron gli occhi miei.
Oh
quanto bella lì negli atti sui, 25
biasimando
le fiamme di Tifeo,
si
sedea ragionando con altrui!
mostrando
come per quelle perdeo
l'amato
sposo in cieco marte preso,
allor
che tutto vinto si rendeo 30
in
Lipari lo stuolo, ond'elli offeso
col
bianco monte nel campo vermiglio
ne
fu menato, ove ancora è difeso,
mudando
in chiusa dell'aureo giglio;
donde
doleasi, perch'a lui riavere 35
non
valean prieghi, danar, né consiglio.
Ove
costei così, al mio parere,
quivi
doleasi, attenta l'ascoltava
giovane
donna di sommo piacere,
simile
a cui nessuna ve ne stava, 40
per
quel ch'a me paresse, nel suo viso
che
d'ogni biltà pien si dimostrava.
Sariasi
detto che di paradiso
fosse
discesa da chi 'ntentamente
l'avesse
alquanto rimirata fiso. 45
E
com'io seppi, ell'era della gente
del
Campagnin che lo Spagnuol seguio
nella
cappa, nel dire e con la mente,
a
sé faccendo sì benigno Iddio,
che
d'ampio fiume di scienza degno 50
si
fece, come poi chiar si sentio,
faccendo
aperte col suo sommo ingegno
le
scritture nascose, e quinci appresso
da
Carlo pinto gì nello dio regno;
faccendo
sé da quella, in cui compresso 55
stette
Colui che la nostra natura
nobilitò,
nomar, che poi l'eccesso
absterse
della prima creatura
con
la sua pena; e quivi coronata
della
fronda pennea, con somma cura 60
raggiugnea
fior per farsi più ornata,
mostrando
sé tal fiata piatosa
della
noia dell'altra a lei narrata.
Con
questa era colei ch'essere sposa
e
figliuola perdé quasi in un anno, 65
di
brun vestita e nel viso amorosa:
oggi
tornando dove i fabbri stanno
vulcanei
e' miropoli e coloro
ch'ornan
di freno e di sella, all'affanno
me'
sostener l'animal, ch'al sonoro 70
percuoter
di Nettunno apparve fori
nel
bel conspetto del celeste coro.
Ed
il bel nome che' gemmier maggiori
danno
alla perla è suo, il cui cognome
gli
Asini legan, di que' guardatori. 75
Splendida,
chiara e bella era sì come
nel
ciel si mostra qual più luce stella,
di
vel coperte l'auree chiome.
Vaga
più ch'altra, si sedea con ella
un'altra
fiorentina in atto onesto, 80
assai
passante di bellezza quella.
Ben
m'accors'io chi era e che dal sesto
Cesare
nominato era il marito,
qual
chi 'l conosce il pensa a lei molesto.
Guardando
adunque nel piacente sito 85
costoro
ed altre che v'erano assai,
sentiva
ben da me mai non sentito,
in
guisa tal ch'io men maravigliai.
CANTO
XLIV
Era
più là, di donne accompagnata,
la
Cipriana, il cui figliuolo attende
d'aver
la fronte di corona ornata,
con
quello onore che ad essa si rende
dell'isola
maggior de' Baleari, 5
se
caso fortunal non gliel contende.
Tra
le quali era, in atto non dispari
della
gran donna, un'altra tanto bella,
che
mi fur gli atti suoi a mirar cari.
Ognuna
quivi riguardava ad ella 10
per
la sua gran bellezza, ed io con loro
che
già in me riconosceva quella.
Ell'è
colei di cui il padre nell'oro
l'azzurro
re de' quadrupedi tene
nel
militare scudo, e di coloro 15
passata
stassi, come si convene,
isposa
d'un che la fronzuta pera
d'oro
nel ciel per arma ancor ritene.
E
con queste a seder bellissim'era,
simile
a riguardare ad una dea, 20
la
sposa di colui che la rivera
rosseggiar
fé di Lipari, eolea
isola,
poi togliendo in guidardone
l'amiraglia
da chi dar la potea.
Con
essa questa ancora ad un sermone 25
conobb'io
quella che fu tratta al mondo,
onde
fuggita s'era in religione,
honesta
e gaia nel viso giocondo,
moglie
di tal che me' saria non fosse:
ma
chi più sia non mosterrò del fondo. 30
E
l'altre oltre mirando, mi percosse
ma
non so che, e tutto quasi smorto
subito
altrove gli occhi e me rimosse.
Venend'io
così men sanza conforto,
tremando
tutto, mi ritorna' a mente 35
ch'io
vidi in una parte di quell'orto,
onesta
e graziosa umilemente,
una
donna sedere il cui aspetto
tutto
dintorno a sé facea lucente.
In
questo alquanto nel tremante petto 40
con
forza ritornò l'alma smarruta,
rendendo
forza al debile intelletto.
Così
mi ricordò che io veduta
avea
costei tra quelle donne prima,
e
'n altra parte ancora conosciuta. 45
Onde
se sua bellezza la mia rima
qui
al presente perfetta non dice,
maraviglia
non è; ma tanto estima
sentendo
l'alma mia, che om felice
mirando
quella dovria divenire, 50
se
la memoria mia ver mi ridice.
Tenendo
mente lei, sommo disire
d'entrar
mi venne dentro allo splendore
che
delli suoi belli occhi vedea uscire;
e
'n ciò pensando subito nel core 55
punger
sentimmi, e quasi in un momento
mi
ritrovai nel piacevol lustrore.
Ivi
mirabile il dimoramento
pareami,
e quasi in me di me facea
beffe
di sì notabile ardimento. 60
Ma
lì essere stato mi parea
tanto
che quattro via sei volte il sole
con
l'orizonte il ciel congiunto avea.
E
come nell'orecchia talor sole
subito
dolce suon percuoter tale 65
che
quello udendo poi le piace e vole,
così
orribil mi venne cotale
e
spaventommi per lungo soggiorno,
né
mi fé già, ben ch'io temessi, male:
–
O tu – dicendo, – ch'e' nel chiaro giorno 70
del
dolce lume della luce mia,
che
a te vago si raggia dintorno,
non
ischernir con gabbo mia balia,
né
dubitar però per mia grandezza,
la
quale umil, quanto vorrai, ti fia. 75
Onora
con amor la mia bellezza,
né
d'alcun'altra più non ti curare,
se
tu non vuo' provar mia rigidezza –.
Sentimmi
poi il cor dentro legare
co'
cari crini del suo capo, e adesso 80
più
volte intorno avolgere e girare.
Così
mi parve, se bene in me stesso
ricordo,
che costei dicesse: ond'io
risposi:
– Donna, a te tutto sommesso
io
sono e sarò sempre, e ciò disio –. 85
CANTO
XLV
A
tal partito nel beato loco
istandomi,
io mi senti' nel core
raccender
più ardente questo foco,
tal
ch'io pensai che 'l novello ardore
oltre
al dovuto modo mi tirasse, 5
tal
nel principio suo mostrò furore.
E
'l cor, che ciò pareva che pigliasse
a
sé, lo 'ncendio, quantunque potesse,
oltre
a dovuta parte a sé ne trasse. 10
E
così stando parve ch'io vedesse
questa
donna gentile a me venire
ed
aprirmi nel petto, e poi scrivesse
là
entro nel mio cor posto a soffrire,
il
suo bel nome di lettere d'oro 15
in
modo che non ne potesse uscire.
La
qual, non dopo molto gran dimoro,
nel
mio dito minore uno anelletto
metteva
tratto di suo gran tesoro;
al
qual pareami, se 'l mio intelletto 20
bene
stimò, che una catenella
fosse
legata, che infino al petto
si
distendeva della donna bella,
passando
dentro, e con artigli presa,
come
ancora scoglio, tenea quella. 25
Oh
quanto da quell'ora in qua accesa
fu
la mia mente del piacer di lei,
che
mai non era più stata offesa!
Moveami
questa ove pareva a lei
co'
suoi belli occhi, e sol pensando andava 30
com'io
potessi piacere a costei.
Infra
quel circuito che ocupava
la
luce sua, quasi come 'nretito,
a
forza a rimirarla mi girava.
Gravoso
mi parea l'esser fedito 35
e
più fiate lagrime ne sparsi,
non
potend'io durar l'esser partito
là
onde quella soleva mostrarsi
agli
occhi miei gentile e graziosa,
e
più nel cor sentia 'l foco allumarsi. 40
Io
non trovava nella mente posa,
sì
mi stringea pur di lei vedere
la
mente ardente di sì bella cosa.
Adunque
seguitando il mio volere,
dovunque
era costei, così tirato 45
parea
ch'io fossi dal suo bel piacere;
ma
certo in ciò Amor m'era assai grato,
sol
che 'l disio non fosse oltra misura
nell'amoroso
cor troppo avanzato.
Ognora
che la sua bella figura 50
disiava
vedere, Amor faceva
di
ciò contenta la mia mente scura,
rendendo
lei umil quand'io voleva.
E
questo più m'accendeva, vedendo
che
'l mio disio adempier si poteva, 55
né
per lei rimaneva ma, sentendo
forse
maggior periglio, consentia
che
io avanti mi stessi piangendo,
e
graziosa mostrandosi e pia
verso
di me, con sua benignitate 60
in
conforto tenea la mente mia.
Lungamente
seguendo sua pietate,
ora
in avversi ed ora in graziosi
casi
reggendo la mia volontate,
sollecito
del tutto mi proposi 65
di
pur sentire l'ultima possanza
che
in loro hanno i termini amorosi.
Ver
è che molto prolissa speranza
mi
tenne in questa via, non però tanto
che
'l mio proposto gisse in oblianza. 70
Alla
seconda con sospiri e pianto,
quando
con festa, sempre seguitai
il
mio proponimento, infino a tanto,
sottilmente
guardando, m'avisai
che
la donna pensava terminare 75
con
savio stile i disiosi guai.
Però
alquanto lasciai 'l pensare,
dicendo:
«Tosto credo proveduto
fia
da costei il mio grave penare.
Ell'ha
ben ora tanto conosciuto 80
del
mal ch'io sento e del mio disio,
ch'io
credo che di me le sia incresciuto».
Così
fra me gia ragionando io,
pure
aspettando che la sua grandezza
si
dichinasse alquanto al dolor mio 85
torre
potere con la sua bellezza:
la
qual l'anima mia più ch'altra brama
e
più che altra alcuna in sé l'apprezza,
onorandola
sempre quanto l'ama.
CANTO
XLVI
Tenendo
me il valor di colei
dentro
a sua luce in tal modo costretto,
sempre
con lo 'ntelletto volto a lei,
avendo
spesso dolore e diletto,
riposo
e noia con isperanza assai, 5
com'io
qui poco di sopra ho detto,
non
sappiendo a che termine mai
si
dovesse finire, un poco appresso
inver
di lei alquanto mi voltai
traendomi
più là, e con sommesso 10
parlar
le chiesi che al mio dolore
fine
ponesse, qual doveva, adesso,
ognor
servando quel debito onore
che
si convene a' suoi costumi adorni,
di
gentilezza pieni e di valore. 15
Cinque
fiate tre via nove giorni
sotto
la dolce signoria di questa
trovato
m'era in diversi soggiorni,
allora
ch'io senti' che la molesta
pena,
che m'era nello cor durata, 20
convertir
si doveva in lieta festa.
Lasciando
adunque la mia vesta usata
in
parte più profonda del verziere,
mi
parea ritrovar quella fiata
con
gioia smisurata, al mio parere, 25
e
nelle braccia la donna piatosa
stupefatto
mi parea tenere.
Vinceva
tanto l'anima amorosa
la
gioia, che la lingua stando muta
divenuta
pareva dubitosa, 30
né
diceva niente, ma l'aguta
voglia
di star dov'esser mi parea
facea
parermi falsa tal paruta.
Dond'io
fra me spesse volte dicea:
«Sogni
tu? o se' qui come ti pare?» 35
«Anzi
ci son», poi fra me rispondea.
In
cotal guisa spesso a disgannare
me
quella donna gentile abracciava
e
con disio la mi parea basciare,
fra
me dicendo ch'io pur non sognava, 40
posto
che mi pareva grande tanto
la
cosa, ch'io pur di sognar dubbiava.
E
se per comprazion volessi quanto
fu
la mia gioia porre, essemplo degno
nol
crederia trovar; ma dopo alquanto, 45
con
quella gioia che io qui disegno,
la
quale immaginar non si porria
da
alcuno mai per altezza d'ingegno,
tratto
un sospiro, graziosa e pia
la
donna inver di me disse: – Ora dimmi, 50
come
venisti qui, anima mia? –.
Ond'io
a lei: – Poi ch'Amore aprimmi
gli
occhi a conoscer la vostra biltate
a
cui io per mia voglia consentimmi,
nel
cerchio della vostra potestate 55
entrato
con affanno e con sospiri,
sempre
sperando en la vostra pietate,
ò
lui pregato che a' miei martiri
dia
fine grazioso, ed e' menato
m'ha
qui per fine porre a' miei disiri. 60
Nel
giardin là ver è ch'i' ho lasciato
stare
una donna, la qual lungamente
prima
m'avea benigna accompagnato
venendo
qui –; e non lasciai niente
a
dire a lei e di que' due ancora 65
con
cui io venni qui similemente.
Alquanto
stette quella donna allora
in
abito sospesa, in sé pensando:
e
poi, non dopo molto gran dimora:
–
Andrai –, mi disse, la donna cercando, 70
e
lei seguisci però ch'ella è quella
che
'n dritta via ripon chi va errando.
Ciò
ch'ella vuoi, vo' facci, fuor che s'ella
me
ti volesse far di mente uscire:
in
ciò non vo' che ubidischi ad ella. 75
Humiliati
sempre al suo disire
e
me porta nel cuor, né ti sia grave,
che
ben te ne vedrai, credo, seguire.
Il
portar te in me tanto soave
m'è,
che per pace corro a tua figura 80
quando
gravezza alcuna il mio cor have.
Giammai
non fu neuna creatura
che
tanto mi piacesse: fatti lieto,
e
di ciò tien l'anima tua sicura.
Io
volli ora al presente far quieto 85
il
tuo disio con amorosa pace,
dandoti
l'arra che finirà 'l fleto:
adunque
va omai quando ti piace –.
CANTO
XLVII
La
donna tacque allora, ed io congedo
presi
in un atto in me molto contento
e
'n altro più dolente che mai, credo,
ver
quella parte ritornando lento
dov'io
aveva la donna lasciata, 5
che
fu mia guida nel cominciamento.
Io
mi giva pensando con bassata
testa
a quel ben che io avuto avea,
e
doleami di sì corta durata.
Di
più disio ancora mi parea 10
tutto
arder dentro nel trafitto core
vie
più che nel principio non facea;
e
diceva fra me: «Deh, se l'ardore
ora
non manca, non credo che mai
egli
esca omai della mente di fore. 15
Avuto
ho quel che io più disiai:
deh,
che cercherò io per mia salute?
chi
stuterà cotal fuoco oramai?
La
volontà che d'Amor le ferute
mi
porsero, non è in me finita 20
ma
è cresciuta in me la sua virtute».
Tra'
fiori e l'erba con vista smarrita
m'andava
in me in tal guisa pensando,
dispregiando
e lodando la mia vita.
Riguardandomi
a' piedi, così andando, 25
mi
trovai alla fonte non avendo
vedute
quelle donne festeggiando;
e
'l viso alzai, me stesso riprendendo
del
perduto diletto, e ver me vidi
quella
donna venir cui io caendo 30
fra
quel giardino andava, – Ove ti fidi? –
ver
me dicendo, e con le braccia aperte
mi
prese, e: – Non cre' tu che io ti guidi
in
qual parte vorrai? perché perverte
tua
volontà il mio consiglio vero, 35
per
vanità lasciando cose certe? –
Allor
risposi: – Madonna, sincero
m'è
il tuo mostrar tornato di colei
grazia
che m'ha disposto a tal sentiero.
Tu
verrai, se ti piace, infino a lei, 40
e
quivi insieme ci dimoreremo
quanto
piacer sarà tuo e di lei;
e
poi insieme tutti e tre andremo
dove
vorrai, ché io credo segnare
sotto
'l piacer di lei il dì estremo –. 45
Ed
allora: – Il tuo adimandare
è
d'ordine di fuor, ché io so bene
quel
che tu vo' che io vi venga a fare.
La
donna meco assai più si convene,
che
tu non fai: dove menar mi vuoi 50
e
ben conosco qual disio ti tene.
Vieni
con meco ed a lei andrem poi –.
–
Ma andian là – risposi, – prima ed essa
insieme
meneren con esso noi.
Non
c'è bisogno d'aver sì gran pressa: 55
ancora
il sole al cerchio di merigge
non
è, e 'l nostro andar però non cessa –.
Diss'ella
allora: – Io so che ti trafigge
di
lei il piacer e non ti puoi partire,
però
pur qui tua volontà si figge. 60
E
però se in questo il tuo disire
io
seguirò, tu giurerai di fare
quel
ch'io vorrò ed altro non seguire –.
La
mia risposta fu: – Non comandare
ch'io
non ami costei, ogni altra cosa 65
al
tuo piacer mi fia lieve osservare.
La
qual se io sol per libidinosa
voglia
fornire amassi, in veritate
con
dover ne saresti crucciosa;
anzi
con quella intera caritate 70
che
prossima persona amar si dee,
amo,
servo ed onoro sua bontate;
la
qual, si come manifesto v'ee,
non
trova pari in atti né 'n bellezza,
né
in saper nel mondo simil ee –. 75
–
Tu hai –, mi disse quella con dolcezza,
sì
presa me pur di voler vedere
costei,
cui donna fai di gentilezza
real
posseditrice, che potere
non
ho sanza vederla d'ire altrove 80
né
di negare a te il tuo piacere.
Or
dunque insieme ce n'andiam là dove
tu
l'hai lasciata, e veggian manifesto
se
quello è vero a che il tuo dir mi move –.
Subitamente
ragionato questo 85
insieme
ci movemmo e nel conspetto
venimmo
di colei, che 'n atto onesto
incontro
venne a noi con lieto aspetto.
CANTO
XLVIII
Graziosamente
si feciono onore
quivi
insieme le donne, ed in brieve
l'una
dell'altra conobbe il valore.
–
Ora mi fia –, la prima donna, – lieve –,
ver
me rivolta disse, – farti quella 5
grazia
che per adietro m'era grieve.
Dolce,
cara e benigna mia sorella
tengo
costei, e s' tu m'avessi detto
di
lei il nome, già saremmo ad ella,
è
gran pezza, venuti nel conspetto. 10
Costei
sanza 'l fedel consiglio mio
non
ferma fatto né compon suo detto:
dunque
per tale essemplo il tuo disio
raffrena
e serva il verace piacere,
il
qual più volte t'ho già mostrat'io. 15
Intero
fa che servi il suo parere:
altro
che ben non ten potrà seguire,
però
ch'ell'ha ver te il mio volere –.
Lei
prese poi per mano e così a dire
incominciò:
– Figliuola di virtute, 20
cui
questi qui del tutto vuol servire
ognor
con più disio, per sua salute
pensa,
sì ch'egli, ch'ogn'altra ha lasciata
per
servir te, con laude dovute
ringrazi
te, cui elli ha essaltata 25
nel
mio conspetto tanto che giammai
nulla
ne fu per tal modo lodata.
Ond'io
udendo ciò immaginai
che
fuor che tu altr'esser non potea,
e
però a venir qui m'inviai –. 30
Ove
poi per la destra mi prendea
e
davami a costei, così dicendo
ancora
inver di lei, ciò mi parea:
–
Non ebbe questi mai fren che tenendo
andasse
in modo buon sua giovanezza, 35
se
non ch'io ora di porgliele intendo,
dirizzando
esso verso quella altezza
onde
tu discendesti a dimostrare
alli
mondan quaggiù la tua bellezza.
Imperciò
ch'io il sento ancora a fare 40
a
te ogni servigio molto presto,
per
la fé che mi dei ti vo' pregare,
ogni
cagion rimossa, che in questo
e'
sia in quanto può racomandato,
drizzando
lui col tuo parlare onesto 45
là
ove sia onorevole stato
di
lui e tuo e suo contentamento,
in
modo che a me non sia disgrato.
Io
il ti dono tutto, i' 'l ti presento:
sempre
sia tuo, né giammai sia ardito 50
di
sé partir dal tuo comandamento –.
E
poi rivolta a me mi disse: – Udito
hai
ch'io t'ho dato a questa: fa che 'n guisa
la
servi che 'l mio don sia gradito.
Tiella
per donna tua, né mai divisa 55
sia
da lei l'alma tua fin che la vita
dal
mortal colpo in te non è conquisa.
Or
qui alquanto per questa fiorita
campagna
dolcemente ti riposa,
sì
che poi sie più forte alla salita 60
dove
menarti intendo, e la gioiosa
donna
con noi, acciò che la via
del
tutto paia a ciascun dilettosa –.
Io
dissi allor: – Madonna, così sia!
se
tal grazia mi fai, quando ti piace 65
a
tal camin con noi dietro t'invia.
Manifesto
conosco altro che pace
io
non potrei aver, poi questa vene
che
per conforto sola nel cor giace,
ond'io
sento alleggiare le mie pene. 70
Dio
voglia ch'ella ci stia lungamente,
con
allegrezza aggiugnendoci bene! –.
Ridendo
e festeggiando insiememente
su
per l'erbette insieme n'andavamo
e
d'amor ragionando lietamente. 75
Ora
innanzi ora 'ndietro tornavamo,
e
talora cogliendo erbette e fiori
sopra
li verdi prati abassavamo,
rinnovando
con gli occhi più gli ardori
degli
animi, e andando per la via 80
soave
al naso per diversi odori.
E
con colei ch'a me più agradia
cercando
ogni boschetto, noi soletti,
sanza
la donna ch'adietro venia,
n'andavan
tutti prendendo diletti; 85
tanto
che quella, entrati in chiuso loco,
più
non vedemmo, onde: – Ciascun s'assetti –,
dicendo,
– qui or aspettianla un poco –.
CANTO
XLIX
Era
quel loco, dove ci trovamo,
soletto
tutto, né persona appresso
di
nulla parte a noi non sentavamo.
Tutto
dintorno ed ancora sopra esso
era
di frondi verdi il loco pieno, 5
e
di quelle era ben follato e spesso.
Entrar
non vi potea sol né sereno,
e
di vermiglie rose in circuito
gran
quantità ancor vi si vedieno.
Allor
vedendo il dilettevol sito 10
e
me con quella dimorar soletti
e
d'ogni altra compagna esser partito,
là
fra me dissi: «Io non so ch'io m'aspetti:
perché,
poi che qui sono, ora non prendo
di
questa i tanti affannati diletti? 15
Lo
loco ov'ora dimorian sedendo
to'
ogni sospetto, né qui mai trovarci
quella
potria che ci venia seguendo,
ed
altro non cred'io che impacciarci
potesse:
costei vuole ed io 'l disio, 20
dunque
perché cercar più d'indugiarci?».
In
cotal ragionar m'acosta' io
a
quella, e presa lei che 'n sull'erbetta
sonniferava
già, al parer mio,
lei
nelle braccia mi reca' istretta: 25
mille
fiate credo la basciai
pria
si svegliasse la bella angioletta.
Ma
subito stordita a dir: – Che fai? –
cominciò
isvegliata, – deh, non fare!
se
quella donna vien, come farai? –. 30
Ed
io allora cominciai a parlare:
–
Donna, io non so quando mi riavesse
quel
che tu ora mi vuoi far lasciare.
Ragion
sarebbe ch'io sempre piangesse,
se
per preghiera che non dee valere 35
quel
ch'io ho mattamente perdesse –.
In
cotal guisa stando, al mio parere,
già
questa bella donna stava cheta,
consentendo
umilmente, al mio piacere
tutta
disposta, quando l'alma lieta 40
di
cotal bene tanta gioia prese
in
sé, che ritener dentro a sua meta
allora
non poté, ma 'l sonno offese
là
dov'io dolce allor facea dimora,
per
che si ruppe e più non si difese. 45
Tutto
stordito mi riscossi allora
e
strinsi a me le braccia, e mi credea
intra
esse madama avervi ancora.
Omè,
quanto angosciosa e quanto rea
tal
partita mi fu, e quanto caro 50
mi
fu il dormir mentre 'n braccio v'avea!
Ahi
come ritornò in duolo amaro
quel
diletto che 'l sonno m'avea porto,
ch'a
ogni affanno avea posto riparo!
Lasso,
angoscioso e sanza alcun conforto, 55
levato
pur dintorno mi mirava
immaginando
ancora star nell'orto.
La
fantasia non so come m'errava,
e,
mentre avea sognato, mi credeva
non
sogno avesse e così estimava. 60
Ora
stordito sognar mi pareva,
e
lungo spazio non seppi ov'io m'era
né
vero sentimento in me aveva.
Ritornato
ch'io fui poi nella vera
conoscenza
di prima e lagrimato 65
ebbi
per certo spazio quivi ov'era:
«Omè»,
dicendo, «dove son io stato
con
tanta gioia? Ora fosse piaciuto
a
Dio ch'i' non mi fossi mai destato,
e
'n cotal gioia sempre sare' suto! 70
Ancor
mi fora leggiero il dormire
se
più tal don mi fosse conceduto.
Pianto
ed angoscia e noioso martire
di
ciò mi crebbe, e multiplicò 'l foco
in
me vie più d'amoroso disire, 75
il
quale io sento che a poco a poco
tutto
mi sface; e già saria finita
la
vita mia, se non che a quel loco
veracemente
spero che reddita
ancor
farò con essenza perfetta, 80
allor
prendendo quella gioia compita,
nella
quale ora dormendo imperfetta
stetti.
E questo l'amorosa mente
solo
disia e fermamente aspetta,
ove
Colui, che di tutto è potente, 85
mi
rechi e servi nella vostra grazia
quanto
vi piace, madonna piacente,
nella
qual sempre fia la mente sazia».
CANTO
L
Dico
che poi che 'l sonno fu partito
tutto
di me, che stava lagrimando
ancora
in me di tal bene smarrito,
in
piè drizzato, intorno a me guardando
vidi
la bella donna, la qual voi 5
per
lo giardin mi feste andar cercando.
–
Che pensi? – disse a me, e poco poi
soggiunse:
– Andiam, ch'egli è voler di quella
che
nel tuo sonno mi ti diè ancoi –.
Ond'io
risposi stupefatto ad ella: 10
–E
dove andremo? e torneren noi forse
dov'io
era or con quella donna bella? –.
–
Mai sì –, disse allora, – e ciò che porse
il
tuo dormire alla tua fantasia
tututto
avrai, se da me non ti smorse. 15
Ancora
più per me dato ti fia
di
grazia, di veder ciò che perdesti
quando
lasciasti la mia compagnia.
In
quella parte là, dove or dicesti,
sanza
consiglio molto esaminato 20
ir
non si vuol, ché tu ten penteresti.
Primieramente
là dove m'è grato
seguita,
ché sanza dubbio intenta
farò
di farti a tempo consolato:
e
quel disio, che or più ti tormenta, 25
porrò
in pace con quella bellezza
che
l'alma al cor tuttora ti presenta –.
Ristette
allora, ed io tanta dolcezza
presi
della promessa, che nel viso
tututto
sfavillava d'allegrezza. 30
Con
voce piana e tutto pien di riso
risposi
a lei: – Donna gentile, io vegno,
né
più da te voglio esser mai diviso.
Humile
e pian, quant'io posso, m'assegno
a
te: fa sì ch'al piacer di colei, 35
di
cui io sono, io non trapassi il segno –.
–
Ell'ha del mio voler –, disse costei, –
–
in mano il fren, sì ch'io non posso fare
se
non sol quel ch'è in piacere a lei.
Di
tanto sempre mi veggo onorare 40
da
essa, ch'io lei lascio, che giammai
oltre
alla voglia mia non vuoi mutare –.
E
questo detto disse: – Andiamo omai,
che
'l tempo è brieve a quel che voi fornire –;
per
ch'io sanza più dir la seguitai. 45
Così
adunque vo per pervenire,
donna
gentile, al loco dove sendo
voi
ebbi tanta gioia nel mio dormire,
tuttor
notando quel ch'andrò vedendo
dietro
a costei per la portella stretta, 50
e
di scriverlo oltre ancora attendo.
Or
vi voglio pregar, donna diletta,
che
poi che la passata visione
tututta
con diletto avrete letta,
mirando
dove cade riprensione 55
mi
correggiate, e cara la teniate
pensando
alla mia buona affezione.
Io
non mi curo poi se dispregiate
fien
forse le sue rime e sua sentenza,
sol
che a voi sien dilettose e grate. 60
Per
vostro onore e somma reverenza
della
fé ch'io vi deggio, come a donna
di
virtuosa e somma intelligenza,
atando
me la possa che s'indonna
in
ciascun cuor gentil che da virtute 65
per
accidente alcun mai non si sdonna,
rispetto
avendo ancora alla salute
che
da vo' isperanza mi promette
a
mitigar l'amorose ferute,
aggio
composte queste parolette 70
in
rima, e fine faccio col piacere
di
voi, in cui l'alma tutta si rimette,
vaga
e contenta solo di potere
far
cosa che v'agrada, e questo vole,
questo
disia e questo l'è 'n calere, 75
ed
il contrario più ch'altro le dole.
Dunque,
donna gentile e valorosa,
di
biltà fonte, com di luce sole,
rimirate
alla fiamma che nascosa
dimora
nel mio petto, ed ispegnete 80
quella
con l'esser verso me piatosa.
Amor
mi diede a voi, voi sola sete
il
ben che mi promette la speranza,
sola
mia vita in gioia tener potete.
Solo
mio ben, sola mia disianza, 85
solo
conforto della vaga mente,
sola
colei che mia virtute avanza
sete
e sarete sempre al mio vivente;
né
più disio né disiar più voglio
fuor
che d'esser a tal biltà servente. 90
Adunque
quello ardor in cui m'invoglio
terminerete
omai quando vi piace,
ch'io
vi sono entro ognor più ch'i' non soglio:
io
v'acomando al Sir di tutta pace.
TESTO B
CANTO
I
Move
nuovo disio l'audace mente,
donna
leggiadra, per voler cantare
narrando
quel ch'Amor mi fé presente,
in
vision piacendol di mostrare
all'alma
mia, da voi presa e ferita 5
con
quel piacer che ne' vostri occhi appare.
Recando
adunque la mente, smarrita
per
la vostra virtù, pensieri al cuore,
che
già temeva di sua poca vita,
accese
lui d'un sì fervente ardore, 10
ch'uscita
fuor di sé la fantasia
subito
corse 'n non usato errore.
Ben
ritenne però il pensier di pria
con
fermo freno, ed oltra ciò ritenne
quel
che più caro di nuovo sentia. 15
In
cui vegghiando, allor mi sopravenne
ne'
membri un sonno sì dolce e soave,
ch'alcun
di lor in sé non si sostenne.
Lì
mi posai, e ciascun occhio grave
al
dormir diedi, per li quai gli agguati 20
conobbi
chiusi sotto dolce chiave.
Così
dormendo, sovra i lidi lati
errar
mi vidi, non so che temendo,
pauroso
e solo in quell'inabitati,
or
qua or là, null'ordine tenendo; 25
quando
donna lucente in vista e bella
m'apparve,
in voce umil così dicendo:
–
Se questo luogo, sol per gire a quella
somma
felicità, ch'uom mortal dire
non
puote mai con intiera favella, 30
abbandonar
ti piace e me seguire,
ti
poserai 'n così piacevol festa,
ch'avrai
sicuro e pieno ogni disire –.
Fiso
pareami di rimirar questa
ed
ascoltare intento sue parole, 35
quando
alzai gli occhi alla sua bionda testa
ornata
di corona e più che 'l sole
splendida
e vaga, ed oltre mi parea
il
bel vestir suo tinto di viole.
Ridente
in vista, nella destra avea 40
un
real scettro ed un bel pomo d'oro
chiuso
nella sinestra sostenea.
Sovra
il piè, tal qual nel sidereo coro
Giunon,
moveva i passi; a cui diss'io,
pensando
di provare 'l suo aiutoro: 45
–
Ecco, donna celeste, il mio disio
è
di cercar quel ben che tu prometti,
s'ai
lenti passi tuoi dietro m'invio –.
–
Lascia –, diss'ella, – adunque i van diletti
e
seguitami verso quell'altura 50
che
posta vedi inanti a' nostri aspetti –.
Allor
lasciar pareami ogni paura
e
darmi tutto a seguitar costei,
abbandonando
la strana pianura.
Poi
che salito fui lassù con lei 55
non
già per molto spazio, il viso alzai
istato
basso infin lì verso i piei:
rimirandomi
avanti, i' mi trovai
venuto
a pie d'un nobile castello,
sovra
'l sogliar del qual i' mi fermai. 60
Egli
era sovra ogni arte umana bello,
alto,
spazioso, avenga che a me alquanto
tenebroso
paresse entrando 'n quello.
–
Siam noi ancora là dove cotanto
ben
mi prometti, donna graziosa, 65
di
dovermi mostrar? –, le diss'io intanto.
Ed
ella allora: – Più mirabil cosa
veder
vuoi prima che giunghi lassuso,
dove
l'anima tua fia gloriosa.
Noi
cominciammo pur testé quaggiuso 70
ad
entrare a quel ben: questa è la porta:
entra
sicuro omai nel camin chiuso.
Tosto
dimosterrotti la via corta,
per
la qual girvi ti serà diletto
se
non ti volta conscienza torta –. 75
Ed
io: – Adunque andiam, ché già m'affretto,
già
mi cresce 'l disio, sì ch'i' non posso
tenerlo
ascoso più dentro nel petto.
Vedi
com'io mi son sicuro mosso,
vedi
ch'io vegno e trascorro di voglia, 80
d'ogni
altra cura nella mente scosso –.
–
Ir si convien –, disse, di soglia in soglia
con
voler temperato, ché chi corre
talor
tornando convien che si doglia –.
Sì
era tal dir ver, che nulla apporre 85
né
contro andarle arei giammai possuto,
né
dal piacer di lei unqua distorre
in
ciò il pensier, s'i' avessi ancor voluto.
CANTO
II
«O
somma e graziosa intelligenzia
che
muovi il terzo cielo e ogni sua idea,
metti
nel petto mio la tua potenzia:
non
sofferir che fugga, o santa dea,
a
me l'ingegno all'opera presente, 5
ma
più sottile e via più in me ne crea.
Venga
il tuo buon valor nella mia mente,
tal
che 'l mio dir d'Orfeo risembri il suono,
che
placò il duca della morta gente.
Infiamma
me più tanto ch'i' non sono, 10
che
l'ardor tuo, di ch'io tutto m'invoglio,
faccia
esser grato quel di ch'io ragiono.
Poi
che condotto m'ha a quest'alto soglio
costei,
che sol seguir lei mi si face,
menami
tu colà dove io gir voglio, 15
acciò
che' passi miei, che van per pace
seguendo
'l chiaro raggio di tua stella,
venghino
a quell'effetto che ti piace».
Ragionando
con tacita favella
così
m'andava nel nuovo sentiero 20
seguendo
i passi della donna bella.
Ruppemi
tal parlar nuovo pensiero
ch'un
muro antico nella mente mise,
apparitoci
avanti tutto intiero.
Allor
la bella donna umil sorrise, 25
me
stupefatto e d'ammirazion pieno
veggendo
forse, e disse: – Tu divise
del
camin nostro che qui venga meno:
o
se più è, non vedi da qual loco
li
passi nostri su salir porrieno. 30
Oltre
convien che venghi ancora un poco,
ed
io mostrandola, vedrai la via
che
ci merrà là al grazioso gioco –.
Non
fummo guari andati che la pia
donna
mi disse: – Vedi qui la porta 35
che
l'alma tua veder così disia –.
Nel
suo parlar mi volsi e, poi che scorta
l'ebbi,
la vidi piccioletta assai
e
stretta ed alta, in nulla parte torta.
A
man sinestra allora io mi voltai 40
volendo
dir: «Chi ci potrà salire
o
passar dentro, che par che giammai
gente
non ci salisse?» e nel mio dire
vidi
una porta grande aperta stare,
e
dentro festeggiar mi parve udire. 45
E
dissi allor: – Di qua fia meglio andare,
al
mio parere, e credo trovaremo
quel
che cercamo, ed udir già mel pare –.
–
Non è così –, rispose, – ma n'andremo
su
per la scala che tu vedi stretta 50
e
su la sommità ci poseremo.
Tu
guardi là, ché forse ti diletta
il
cantar che tu odi, il qual piuttosto
pianto
si dovria dire 'n lingua retta.
Il
corto termine alla vita posto 55
non
è da consumare 'n quelle cose
che
'l bene etterno vi fanno nascosto.
Levarsi
ad alto, su alle gloriose,
util
s'acquista ed immortal virtute,
che
lascia le memorie poi famose. 60
E
s' tu non credi forse ch'a salute
questa
via stretta meni, alza la testa,
e
ve' che dicon le lettre scolpute –.
Alzai
allora il viso, e vidi: «Questa
picciola
porta mena a via di vita; 65
posto
che paia nel salir molesta,
riposo
etterno dà cotal salita;
dunque
salite su sanza esser lenti,
l'animo
vinca la carne impigrita».
Io
dissi: – Donna, molto mi contenti 70
col
ver parlar che tua bocca produce
e
più m'accertan le cose apparenti,
guardando
quelle; ma dimmi, che luce
è
quella che là dentro i' veggio ad ora,
e
per che 'n questa così non riluce? . 75
Voi
che nel mondo state, ivi dimora
sol
fate in loco –, disse, – oscuro e vano:
e
però gli occhi alla fulgente aurora
alzare
non potete, a man a mano
che
voi di quella uscite, a veder quanta 80
sia
la chiarezza del Fattor sovrano.
Rompesi
poi la nebbia che vi ammanta
quando
ad entrar nel vero incominciate,
e
conoscete poi la luce santa.
Dirizza
i piedi alle scale levate; 85
su
non sarai che via maggior chiarezza
vedrai
che là non è ben mille fiate:
adunque
che fie 'n capo dell'altezza? –.
CANTO
III
Ristata
era la donna di parlare
e
rimirava pur ch'i' entrasse dentro
di
rietro a lei, che già volea montare.
–
Sed e' vi piace, prima andiam là entro –,
dissi
io a lei. E quella: – Tu disii 5
di
ruinar con doglia al tristo centro.
I'
dico infino a qui: se là ti invii,
in
cose vane l'anima disposta
a
bene ovrar convien che si disvii.
Pon
l'intelletto alla scritta ch'è posta 10
sovra
l'alto arco della porta, e vedi
come
'l suo dar val poco e molto costa –.
Ed
io allora a riguardar mi diedi
la
scritta in alto che pareva d'oro,
tenendo
ancora in là voltati i piedi. 15
«Regni
ampii, dignitati e gran tesoro,
gloria
mondana copiosamente
a
color do, che passan nel mio coro.
Lieti
li fo nel mondo, e simelmente
quella
gioia gli do ch'Amor promette 20
a
quei che senton la sua face ardente».
–
Or ha' vedute ed amendune lette
le
scritte, e vedi chi maggior promessa
e
utile più fa: che dunque aspette?
Non
istiam più omai, ché 'l tempo cessa 25
e
perder quel più spiace a' più saputi;
adunque
omai saliam –, mi dicev'essa.
–
Ver è, donna celeste, ch'i' ho veduti –,
risposi,
– i scritti don, però vedere
vorrei
provando quai son posseduti. 30
Ogni
cosa dei mondo all'uom sapere
non
si disdice, ma l'iniquitate
si
de lasciare e quel ch'è ben tenere.
Venite
adunque qua, ché pria provate
denno
essere le cose più leggieri 35
ch'entrate
in quelle c'han più gravitate.
Ora
che siamo quasi ne' sentieri,
andiamo
e vediam questi ben fallaci;
più
caro fia po' l'affannar pe' veri –.
–Se
tu sapessi quanto son tenaci 40
e
quanto traggon l'uom della via dritta,
non
parleresti sì come tu faci.
Toglianci
quinci –, disse, – che già fitta
veggio
la mente tua, se più ci stai,
a
quel che dice la seconda scritta. 45
Il
che lasciare, a chi lo prende, mai
impossibile
par fin che si muore,
e
per que' va poscia agli etterni guai –.
La
donna giva già; quando ecco fuore
della
gran porta duo giovini uscire, 50
l'un
rosso e l'altro bianco in suo colore,
ed
ambi ver me cominciaro a dire:
–
Dove cercando vai gravoso affanno?
Vien
dietro a noi, se vuoli il tuo disire.
Solazzo
e festa, come molti fanno, 55
qua
non ti falla, e poscia salir suso
ancor
potrai nell'ultimo tuo anno.
Il
luogo è chiaro e di tenebre schiuso:
vien,
vedi almeno, e salira' ten poi
se
ti parrà noioso esser quaggiuso –. 60
Piacevami
'l dir loro, e già: «Con voi»,
dir
voleva, «io verrò»; ma mi diceva
colei:
– Lascia costor, andiam su noi –.
E
per la destra man preso m'aveva,
seco
tirando me suso; ma l'uno 65
la
mia sinestra e l'altro ancor teneva,
ridendosene
insieme, e ciascheduno
tirandomi
diceva: – Vienne, vienne,
sol
con costei tu cerchi 'l camin bruno –.
Lì
d'una parte e d'altra mi ritenne 70
l'esser
tirato; dond'io: – Ben sapete –,
volto
alla donna allor, – ch'io non ho penne
a
posser su volar, come credete,
né
potrei sostener questi travagli
a'
quai dispormi subito volete –. 75
–
Fermati –, allor mi disse, – tu ti abbagli
nel
falso imaginar e credi a questi
ch'a
dritta via son pessimi serragli.
A
trarti fuor d'errori e de' molesti
disii
discesi, e per voler mostrarti 80
le
vere cose che prima chiedesti;
né
mai avrei lasciato d'aiutarti
col
mio veder nelle battaglie avverse.
Ma
poi che ad altri t'è piaciuto darti,
trova
'l camino dell'opere perse, 85
ch'io
non ti lasciarò, mentre che io
vedrò
non darti tra quelle diverse
a
voler seguitar terren disio –.
CANTO
IV
Seguendo
me la donna com'io lei
pria
seguitava, co' duo giovinetti
a
man sinestra volsi i passi miei.
Intra
lor duo avean noi due ristretti;
e
con più spesso passo allor n'andammo 5
a
riguardare i men cari diletti.
Andando
in tal maniera, noi entrammo
quella
gran porta insieme con costoro,
indi
'n un'ampia sala ci trovammo.
Chiara
era, bella e rifulgente d'oro, 10
d'azzurro
e altri color così dipinta
che
vincea la materia il bel lavoro.
Humana
man non credo che sospinta
mai
fosse a tanto ingegno quanto in quella
mostrante
ogni figura li distinta, 15
eccetto
se da Giotto, al qual la bella
Natura
parte di sé somigliante
non
occultò nell'arte in che suggella.
Noi
ci traemmo nella sala avante,
quasi
nel mezzo d'essa, e così stando 20
vedevam
le figure tutte quante.
Ell'era
quadra: ond'io che riguardando
giva
per tutto, dirizzai il viso
ver
l'una delle facce, in piede stando.
Là
vid'io pinta con sottil diviso 25
una
donna piacente nell'aspetto,
e
d'umil sguardo e dolce soave riso.
La
man sinestra tenea un libretto,
verga
real la destra, e' vestimenti
porpora
gli stimai nell'intelletto. 30
A'
pie di lei sedevan molte genti
sovra
un erboso e ben fiorito prato,
alcuni
più e alcun meno eccellenti.
Ma
dal sinestro e dal suo destro lato
sette
donne vid'io, dissomiglianti 35
l'una
dall'altra in atto e 'n apparato.
Elle
eran liete e lor letizia in canti
pareami
dimostrasser, ma il disio
con
l'occhio alquanto più mi trasse avanti.
Nel
verde prato a man destra vid'io 40
di
questa donna, in più notabil sito,
Aristotile
star con atto pio:
tacito
riguardando, in sé romito,
pensoso
mi pareva; e poscia appresso
Socrate
li sedea quasi smarrito. 45
Eravi
quivi il gran Platon con esso,
Melisso
ed Alessandro v'era e Tale
e
il buon Crisippo lei mirando spesso.
Rietro
era Celso ed Ippocrate, il quale
in
abito mostrava d'aver cura 50
ancora
di sanare il mondan male.
Ivi
sedeva con sembianza pura
Galeno,
e seco assiso era Zenone
e
il gran geometra ch'a dritta misura
mosse
l'ingegno, sì che con ragione 55
oggi
s'adovra seguendo suo stile;
e
dopo lui Democrito e Solone.
Insieme
con costoro in atto umile
si
sedea Tolomeo che speculava
i
ciel con intelletto assai sottile, 60
riguardando
una spera che li stava
ferma
davante; e Tebìth con lui
e
Ipparco acuto ancora in ciò mirava,
Averroìs
e Fedro dopo lui
sedevan
rimirando la bellezza 65
della
donna ch'onora tanto altrui.
Nassagora
ancor quella gran chiarezza
mirava
fisso insieme con Timeo,
mostrando
'n atto di sentir dolcezza.
Dioscoride
ancor v'era ed anche Orfeo, 70
e
l'armonico Arion e dopo un poco
Essiodo
con Lino e Timoteo.
Oh
quanto quivi in grazioso gioco
con
Pitagora samio si vedea
Diogene
congiunto in alto loco! 75
Via
dopo questi ancora mi parea
Seneca
riguardando ragionare
con
Tullio insieme, che con lui sedea.
Innanzi
a lor un poco, ciò mi pare,
Parmenide
vedeasi e Teofrasto 80
l'atto
ciascun della donna mirare.
Vestito
d'umiltà, pudico e casto,
Boezio
si vedeva ed Avicena,
ed
altri molti, i quai s'a dir m'adasto,
non
fosse troppo rincrescevol pena 85
al
lettor dubbio; però taccio omai
e
dirò di color che seco mena
dalla
man manca, ov'io mi rivoltai.
CANTO
V
Io
dico che dalla sinestra mano
di
quella donna vidi un'altra gente,
l'abito
della qual non guari istrano
sembrava
da color che primamente
contati
abbiam, ben che la vista loro 5
si
stenda ver le donne più fervente.
Vergilio
mantovano intra costoro
conobb'i'
quivi più ch'altro essaltato,
sì
come degno, per lo suo lavoro.
Ben
dimostrava 'n l'aspetto ch'a grato 10
gli
eran le sette donne per le quali
sì
altamente avea già poetato:
il
ruinar di Troia ed i suoi mali,
di
Dido, di Cartagine, di Enea,
lavorar
terre e pascere animali 15
trattar
negli atti suoi ancor parea.
Omero
e Orazio quivi dopo lui,
ciascun
mirando quelle, si sedea.
A'
quai Lucan seguitava, ne' cui
modi
parea ch'ancora la battaglia 20
di
Cesare narrasse e di colui,
Magno
che detto fu, ch'entro Tessaglia
il
campo perse, e Cesar lagrimando
del
vinto gener mostra ancor li caglia.
Eravi
Ovidio, il qual già poetando 25
scrisse
cotanti versi e alfine amore
troppo
alto 'l fé morir misero in bando.
Non
guari dopo lui fatto era onore
a
Giovenal, che nell'aspetto ardito
con
mondan falli ancor facea romore. 30
Terenzio
dopo lui avea, e 'l ferito
d'amor
Panfilo ed anche 'l mio Pindaro,
ciascun
per sé sovra 'l prato fiorito.
E
Stazio di Tolosa ancora caro
quivi
pareva avesse aver ben detto 35
del
teban mal, d'Achille 'l vigor raro.
Bell'uom
tornato d'asino, soletto
sedevasi
il buon Lucio, cui seguiva
quel
greco da cui tolle il bel suggetto.
Euripide
dopo esso, e poi veniva 40
Licofrone,
Simonide ed Archita:
parea
dicesser ciò che ognun sentiva
lì
di diletto e di gioconda vita,
insieme
ragionando; e dopo questi
Sallustio,
quasi in sembianza smarrita, 45
là
parea che narrasse dell'infesti
congiuramenti
che fé Catilina
contra'
Roman, ch'a lui cacciar fur presti.
Al
qual Vegezio quivi s'avicina,
Elian,
Modesto Iulio, Frontone, 50
e
Polieno con marzial dottrina.
L'antico
e valoroso buon Catone
quivi
era nel sembiante pensieroso,
tenendo
con Antigono sermone.
E,
vago ne' suoi atti di riposo, 55
lì
d'una parte mi parve vedere
quel
Tito Livio che fu sì copioso,
guardando
que' che 'nnanzi a sé sedere
molti
vedea, nell'aspetto contento
d'avere
ei scritto tante istorie vere. 60
Guloso
di cotal contentamento
Valerio
appresso parea che dicesse:
«Di
gran subbietto fei brieve commento».
Ivi
con lor mi parve ch'io vedesse
Tacito
e Orosio stare ed altri assai, 65
de'
quai pochi eran ch'i' non conoscesse.
Allora
gli occhi alla donna tornai
a
cui le sette davanti e dintorno,
istavan
tutte in atti lieti e gai.
Dentro
del coro delle donne adorno, 70
in
mezzo di quel loco ove facieno
li
savii antichi felice soggiorno,
rimirando,
vid'io di gioia pieno
onorar
festeggiando un gran poeta,
tanto
che 'l dire alla vista vien meno. 75
Aveali
la gran donna mansueta
posta
d'alloro una corona in testa,
e
di ciò ciascun' altra parea lieta.
E
vedend'io così mirabil festa,
per
lui raffigurar mi fei vicino, 80
fra
me dicendo: «Gran cosa fia questa».
Trattomi
così innanzi un pocolino,
non
conoscendol, la donna mi disse:
–
Costui è Dante Alighier fiorentino,
il
qual con eccellente stil vi scrisse 85
il
sommo ben, le pene e le gran morti:
gloria
fu delle Muse mentre visse,
né
qui rifiutan d'esser sue consorti –.
CANTO
VI
Al
suon di quella voce graziosa
che
nominò il maestro dal qual io
tengo
ogni ben, se nullo in me sen posa:
–
Benedetto sia tu, o etterno Iddio,
c'hai
conceduto ch'io possa vedere 5
in
onor degno ciò ch'io avea in disio –,
incominciai
allora; né potere
aveva
di partir gli occhi dal loco
dove
parea il signor d'ogni sapere,
tra
me dicendo: «Ah perché 'l vital foco 10
per
Lachesi o per Atropo si stuta
in
uom così eccellente o dura poco?
Vivrà
la fama tua, e ben saputa,
gloria
de' Fiorentin, da' quali ingrati
fu
la tua vita assai mal conosciuta! 15
Molto
si posson riputar beati
color
che già ti seppero e colei
che
'n te si cinse, onde siamo avisati».
I'
'l riguardava, e mai non mi sarei
saziato
di mirarlo, se non fosse 20
che
la donna, la quale i passi miei
là
dentro con que' duo insieme mosse,
mi
disse: – Che più miri? forse credi
renderli
col mirar le morte posse?
E'
ci è altro qui a veder che tu non vedi! 25
Tu
hai costì veduto, volgi omai
gli
occhi a quei del mondan romore eredi;
i
quali quando riguardato arai,
di
quinci andrenci, ché lo star mi sgrata –.
A
cui le dissi: – Donna, tu non sai 30
neente
perché tal mirar m'aggrata
costui
cui miro; se tu 'l ben sapessi
non
parleresti forse sì turbata
–
Veramente se tu lo mi dicessi
nol
saprei me' –, rispose quella allora, 35
–
ma perder tempo è pur mirare ad essi –.
Oltre
passai, sanza più far dimora,
con
gli occhi a riguardar, lasciando stare
quel
ch'i' disio di rivedere ancora,
là
dove a colei piacque che voltare 40
io
mi dovessi; e vidi in quella parte
cosa
ch'ancor mirabile mi pare.
O
Dio! ché mai Natura con sua arte
forma
non diede a sì bella figura,
né
Venere, allor quando amò sì Marte, 45
né,
quando Adon le piacque, con sua cura
si
fé sì bella, quanto infra gran gente
donna
parea leggiadra oltre misura.
Tutt'altri
sovrastava veramente,
di
ricche gemme coronata e d'oro, 50
nell'aspetto
magnanima e possente.
Ardita
e valorosa tra costoro
sovra
triunfal carro si sedea,
ornato
tutto di frondi d'alloro.
Mirando
questa gente 'n man tenea 55
una
lucente spada, con la quale
che
'l mondo minacciasse mi parea.
Il
suo vestire a guisa imperiale
era,
e teneva nella man sinestra
un
pomo d'or di splendor siderale. 60
Vedeasi
poi via più che neve alpestra
quattro
bianchi destrier, che ciascun forte
in
trar l'aureo carro arde e s'addestra.
Ed
entro l'altre cose ch'ivi scorte
allora
furon da me 'ntorno a questa 65
eccelsa
donna, nimica di morte
nel
magnanimo petto, fu ch'a sesta
un
cerchio si moveva alto e ritondo,
da'
piè passando a lei sovra la testa.
Né
credo che sia cosa in tutto 'l mondo, 70
villa,
paese, dimestico o strano,
che
non paresse dentro di quel tondo.
Era
sovra costei, in aureo piano,
un
verso scritto che dicea leggendo:
«Io
son la Gloria del popol mondano». 75
Così
mirando questa e ben vedendo
ciò
che dintorno, di sovra e di sotto
le
dimorava e chi lei gia seguendo,
ove
stupendo, senz'altro far motto,
per
lungo spazio inver di lei sospeso 80
stett'io,
fin che fui d'altra cura rotto.
Nel
bel subbietto allora il viso isteso,
diedi
a mirare 'l popolo ch'andava
dietro
a costei: chi lieto era e chi offeso,
sì
come nel mio credere istimava. 85
Altri
più quivi e più ne vidi, i quali
conobbi,
s'al parer non m'ingannava;
onde
al disio di mirar crebben l'ali.
CANTO
VII
Tra
gli altri ch'io vi vidi presso a questa
fu
Giano, ch'esser stato abitatore
dell'italici
regni facea festa.
Turbato
nell'aspetto e di furore
pieno
seguia Saturno, cui lo figlio 5
mandò
mendico per esser signore.
Il
fier Nembrotto che fé 'l grande impiglio
in
Senaàr per voler gire a Dio,
stordito
v'era sanza alcun consiglio.
Lunghesso
Fauno e Pico là vid'io 10
seguire,
ed il gran Belo dopo loro,
mirando
ognun la donna con disio.
Elettra
e 'l grande Atlante con costoro
givano
insieme, e dopo lor seguire
Italo
vidi senza alcun dimoro. 15
Robusto
si mostrava e pien d'ardire
Dardano
quivi; con fren nuovo in mano
pareva
in atto che volesse dire: .
«Io
fui colui, nel mondo primerano,
il
qual con freno 'n Tessaglia domai 20
il
caval, prima in uso ancora istrano,
mirabilmente,
ed anco edificai
primo
quella città, che poscia Troia
chiamaro
i successor ch'io vi lasciai».
Appresso
'l qual, mostrando 'n atto gioia, 25
Sicul
seguia, che l'isola del foco
abitò
prima in pace e sanza noia.
Troilo
ancora 'n quel medesmo loco
coverto
d'oro tutto risplendea, 30
faccendosi
alla donna a poco a poco.
Rigido
e fiero quivi si vedea
Nino,
che primo il suo natural sito
per
battaglia maggior fé, che parea
ancor
con maschil cuore in sé riunito. 35
Seguiva
dopo lui sua bella sposa,
con
sembiante di quel non meno ardito:
così
rubesta e così furiosa
vi
si mostrava, come quando a lui
succedette
nel regno valorosa. 40
Tamira
poi seguitava, nel cui
viso
superbia sariasi annotata,
con
gli occhi ardenti spaventando altrui.
Anfion
lì con labbia consolata
conobbi,
al suon del cui dolce liuto 45
Tebe
fu pria de' muri circondata.
Rietro
Niobe a lui, di cui l'arguto
parlar
fu sol cagion del suo gran male
e
del danno de' figli ricevuto.
Poi
seguitava Danao, dal quale 50
l'antico
popol greco veramente
ritrasse
il suo principio originale.
A
cui di dietro quel Serse possente
venia,
ch'all'Ellesponto il lungo ponte
fece
e frenò l'orgoglio della gente. 55
Riguardando
la donna, con la fronte
alzata
venia Ciro poco appresso,
di
cui l'opere furo altiere e conte.
Laomedon
poscia seguia dopo esso,
con
molti successor dietro alle spalle, 60
de'
quai giva Priamo oltre con esso.
Anchise
a mano a man tenea lor calle;
appresso
'l qual colui venia seguendo
che
giudicò le dee in la frigia valle.
Nell'aspetto
parea ch'ancor ridendo 65
andasse
di ciò ch'elli aveva fatto,
quando
di Grecia ritornò fuggendo.
Dopo
costui seguia Enea con atto
pietoso
molto, e non molto distante
Giulio
Ascanio 'l seguitava ratto. 70
Oh
quanto ardito e fiero nel sembiante
quivi
pareva Ettòr sovra un destriere
tra
la sua gente, tutto corruscante!
Bello
e gentil nell'aspetto a vedere
era,
con una lancia in mano andando 75
ver
quella donna d'umili maniere.
Risplendea
quivi ancora cavalcando
Alessandro,
che 'l mondo assalì tutto
con
forza al scettro suo quel soggiugando;
il
qual con fretta voleva al postutto 80
toccare
'l cerchio ove colei posava
con
altri disianti anch'ei tal frutto.
E
il re Filippo e Nettabòr, gli andava
ciascuno
appresso rimirando quello,
e
nell'aspetto se ne gloriava. 85
Venia
sopra un caval leggiadro e isnello
Dario
tutto cruccioso nell'aspetto
e
con sembiante dispietato e fello,
e
sanza aver di tal andar diletto.
CANTO
VIII
Mirando
avante con ferma intenzione,
veder
mi parve il prisco re eccellente
che
fu sì savio, io dico Salamone.
Eravi
ancora Sanson, che possente
di
forza corporal più ch'altro mai 5
fu
che nascesse fra l'umana gente.
Nel
riguardar più innanzi affigurai
il
viso d'Assalon, che più bellezza
sol
ebbe che altro nel mondo giammai.
Tra
questi pien d'orgoglio e di fierezza 10
seguendo
cavalcava Capaneo,
ch'Iddio
negli atti suoi ancor disprezza.
Etiocle
era quivi con Tideo,
e
Adrasto re pensante e doloroso
del
perder che dintorno a Tebe feo. 15
Ancora
si mostrava il valoroso
Pollinice,
ed accorto il seguitava
il
re Ligurgo e Giansone animoso.
Di
rietro al qua' 'l Pelide cavalcava,
con
quella lancia in man che prima morte 20
poi
medicina a sua ferita dava.
Veniva
appresso vigoroso e forte
il
suo figliuolo, il qual poi la spietata
vendetta
fé quando l'antiche porte
non
serraron più Troia, che l'entrata 25
aveva
dato al gran caval ripieno
della
nemica gente tutta armata.
Questo
crudel sanza mezzo seguieno
Diomede
e il saggio Ulisse: con agguati
andar
ancor pensando mi parieno. 30
Vigoroso
di dietro a loro armati,
ma
infame alquanto, ne venia Antenore,
per
la combusta patria e' muri eguati.
Ercole
v'era, il cui sommo valore
lungo
sarebbe a voler recitare, 35
per
ch'ebbe già d'assai battaglie onore.
Anteo
poi dopo lui vi vid'io stare,
ch'ancor
parea che 'n atto si dolesse
di
ciò che già li fece Ercol provare.
Venia
Minòs poi, come se stesse 40
ancor
davanti a Atene tutto armato,
né
d'Androgeo parea più gli incalesse.
Oh
quanto ivi mostravasi infiammato
d'ira
e di mal talento Menelao
tenendo
Agamennòne al destro lato! 45
Il
qual con Laodamia Protesilao,
vittima
prima, seguiva, ond'è detto;
e
dopo lui l'infelice Anfiarao,
ch'adempì
il crudel fato nel conspetto
di
Tebe, ruinando a' dolorosi 50
c'hanno
perduto il ben dell'intelletto.
Venien
dopo costui, molto animosi,
insieme
con Teseo Demofoonte,
di
toccar quella donna disiosi.
I
quai seguia con dolorosa fronte 55
Egeo,
che per veder le vele nere
si
gittò in mar dall'alta torre sponte.
Turno
pareva che quivi di vere
lagrime
avesse tutto molle il viso,
dolendosi
del troian forastiere; 60
ed
Eurialo ivi era e seco Niso,
mostrandosi
piagati come foro
ciascun
di lor, l'un per l'altro conquiso.
Non
molto spazio poi dietro a costoro
seguia
Pallante e il padre Evandro lasso 65
e
il vecchio re Latin; poi, dopo loro,
Giarba
veniva mesto a lento passo,
andandosi
di Elisa ancor dolendo
che
sé di vita e di lei fé lui casso.
Helena
dopo lui portava ardendo 70
di
fuoco una gran face, e pur costei
miravan
molti se stessi offendendo.
Oreste
iniquitoso dopo lei
con
coltel nudo in man seguia rubello,
negli
atti minacciando ancor colei 75
del
corpo a cui uscio; e poi dopo ello
vedeasi
la gentil Pantasilea,
lieta
nel viso grazioso e bello.
Oh
quanto ardita e fiera mi parea,
armata
tutta, con un strale in mano, 80
con
più compagne ch'ella seco avea!
Non
era alcun lì che del bel sovrano
ed
altier portamento meraviglia
non
si facesse, tenendolo istrano.
Non
molto dopo lei venia la figlia 85
del
re Latino lieta, e dopo Iole;
poi
Deianira con bassate ciglia
ancora
quivi d'Ercole si dole.
CANTO
IX
Moveasi
dopo queste quella Dido
cartaginese,
che credendo avere
Ascanio
in braccio vi tenea Cupido.
Isconsolata
giva, al mio parere,
chiamando
in voci meste: «Pio Enea, 5
di
me, ti priego, deggiati dolere».
Ancora,
com'io vidi, in man tenea
tutta
smarrita quella spada aguta
che
'l petto, le passò, che mi facea,
essendole
lontan, nella veduta 10
ancor
paura, non ch'a lei ch'ardita
fu
dar di quella a sé mortal feruta.
Trista
piangendo, in abito smarrita,
e
quasi cari nella voce latrare,
Eccuba
vidi con poco di vita. 15
Con
lei la bella Polisena stare
quivi
parea, in aspetto ancor sì bella
che
me ne fece in me meravigliare.
Hoeta
poi seguitava dop'ella,
piangendo
ai Greci aver piaciuto mai, 20
quand'elli
andar per le dorate vella.
Vedevasi
colei che sentì guai
Ercole
partorendo, e dopo lei
Isifile
dolente affigurai.
In
abito crucciato con costei 25
seguia
Medea crudele e dispietata;
con
voce ancor parea dicere: «Omei,
se
io più saggia alquanto fossi stata
né
vinta fossi sì presto da amore,
non
sarei forse ancor suta ingannata». 30
Eravi
ancor Camilla che dolore
per
la morte sentì, di Turno fiera,
mostrando
ne' sembianti il suo vigore.
Non
molto dopo lei ancora vi era,
col
capo basso ed umil nel sembiante, 35
Ilia
vestal, di Marte puerpera,
portando
in ciascun braccio un picciol fante,
Romulo
e Remo amendui nominati,
traendo
lor quanto poteva avante.
Ratto
tra gli altri di sopra contati 40
si
facea Foroneo, che prima diede
leggi
civili, acciò che moderati
e
suoi vivesser, sì come si crede;
e
dopo lui venia Numa Pompilio
che
di religion fé Roma erede. 45
Dop'esso
ivi era il buon re Tullio Ostilio
ed
Anco Marzio ed il Prisco Tarquinio,
e
dopo lui seguia Tullio Servilio.
Ivi
Tarquin Superbo e Collatino
pareano,
e il re Porsena che andando 50
ferocemente
seguia lor camino;
Scevola
appresso lui, ancor mostrando
l'inarsicciata
man ch'uccise altrui,
che
'l core non volea, nescio fallando.
Il
valoroso Bruto, per lo cui 55
valor
fu Roma da giogo reale
già
liberata, seguiva; e con lui
Orazio
Cocle v'era, per lo quale,
tagliato
il ponte dietro alle sue spalle,
sanata
Roma fu dal toscan male. 60
Dietro
veniva quel Curzio ch'a valle
armato
si gittò per la fessura,
in
forse di sua vita o di suo calle,
intendendo
piuttosto far sicura
la
patria con suoi abitatori, 65
che
di se stesso aver debita cura.
Seguia
Fabricio che lì eccelsi onori
più
disiò che posseder ricchezza,
avendo
quei per più cari e maggiori.
Eravi
quel Metel ch'alla fierezza 70
di
Giulio Tarpea tanto difese,
mostrando
non curar la sua grandezza.
Riguardando
oltra mi si fé palese
quel
Curio, che diede per consiglio
ch'al
presto sempre l'indugiare offese. 75
Vedevavisi
Mario che l'impiglio
con
Lucio Silla fé nella cittate,
mettendo
a' colpi il padre contra 'l figlio.
Ivi
Giuba e Amilcare e Mitridate
ed
il pietoso Codro v'era ancora, 80
poi
'l fier Giugurta voto di pietate.
Rigido
nell'aspetto vi dimora
Catilina,
e pensando par che vada
all'essilio,
che 'n vista ancor l'accora.
Evvi
Clelia appresso, che la strada 85
fece
ai Roman quand'ella si fuggio
per
lo Tevere in parte u' non si guada,
lo
cui tornar Roma rinvigorio.
CANTO
X
Ah
quanto fiero ed orgoglioso quanto
vid'io
quivi Anibàl sovra un destriere,
ch'alli
Roman levò riposo tanto!
Rubesto
lì pareva ancor tenere
Cartagine
sub sé, col viso alzato 5
inver
la donna andando a suo potere.
Asdrubal
gli era dal sinestro lato
con
non men di fierezza nell'aspetto,
superbo
cavalcando tutto armato.
Coriolan,
che l'infiammato petto 10
ebbe
contra' Romani, e giustamente,
quando
cacciar lui buon per reo suspetto,
come
vedendo quella umilemente,
che
'l generò, piegando la giusta ira
alli
suoi preghi, quivi era presente. 15
Oltra
con gli altri andava ver la mira
bellezza
della donna; dopo 'l quale,
come
colui che tristo ancor sospira,
Massinissa,
crucciato del suo male,
a
freno abbandonato cavalcando, 20
se
stesso avendo poco a capitale.
Allegro
Cincinnato seguitando
l'andava,
e Persio poi, come potea,
giocondo
nel sembiante sé mostrando.
Nobile
nell'aspetto si vedea 25
possente
oltre venire intra costoro
Cesar,
che 'n vista quasi ancor ridea
d'aver
a forza avuto da coloro
nome
d'imperio, che real dignitate
per
istatuto avean cassa tra loro. 30
Ornato
di belle arme e coronate
le
tempie avea di quelle frondi care,
che
fur da Febo già cotanto amate.
Mirabilmente
bello a campeggiare
in
ampio scudo il giovial uccello 35
li
vidi in oro e insuperbito stare;
ancor
sovra una lancia un pennoncello
che
'n man portava vidi, e somigliante
quella
nell'aria ventilarsi in quello.
Di
quanti a lui ve n'andasser davante 40
nullo
vi fu che tanto mi piacesse
né
tanto valoroso nel sembiante.
Appresso
poi parea che li venesse
volonteroso
e sì pronto Ottaviano,
che
dentro al cerchio già parea ch'avesse 45
messa
più ch'altro la sua audace mano:
bello
era e nell'aspetto grazioso
quanto
alcun ma' fu del gener umano.
A
lui seguiva poi molto pensoso,
pallido
nell'aspetto, il gran Pompeo, 50
tal
che di lui mi fé venir pietoso,
mirandoli
poi dietro Tolomeo
che
fu da quel già fatto re d'Egitto,
e
poscia uccider là vilmente il feo.
A
loro Marco Antonio quiviritto 55
seguiva
e Cleopatra ancor con esso,
che,
in Sicilia, fuggì senza rispitto,
ridottando
Ottavian, perché commesso
le
parea forse aver sì fatta offesa
che
non sperava mai perdon da esso. 60
Ivi
non potendo ella far difesa
al
fuoco che le ardeva forse 'l core
di
libidine e d'ira, ond'era accesa,
a
fuggir quello oltraggioso furore
con
due serpenti in mesta sepultura 65
sofferse
sostener mortal dolore;
ed
ancor quivi nella sua figura
pallida,
si vedeano i duo serpenti
alle
sue zizze dar crudel morsura.
Prima
che questi, credo più di venti, 70
era
lì il primo Affrican Scipione,
ch'a
Roma fé con sua forza ubbidienti
ritornar
già, con degna punizione,
Cartaginesi
infidi e insuperbiti
ch'eran
per Anibal lor campione. 75
Ivi
Cornelia in sembianti smarriti
seguia
dietro a color, cui dissi suso
ch'avanti
a Scipion non eran giti.
E
poscia dopo lei con gli occhi in giuso
Traian
vidi venir, Roma per cui 80
mesta
anco ha il viso di lagrime infuso.
Giulia
seguiva poi dietro, con cui
in
atti riposati e mansueta,
quasi
alle spalle a Cesare, di cui
honesta
sposa fu, Calfurnia lieta 85
seguia,
senza parer che disiasse
altro
veder che lui, e in lui quieta
ogni
altra voglia che la stimolasse.
CANTO
XI
Venia
dopo costor gente gioconda
ne'
lor sembianti, tutti cavalieri
chiamati
della Tavola ritonda.
Il
re Artù quivi era de' primeri,
a
tutti armato avanti cavalcando 5
ardito
con pensier sublimi e altieri.
Seguielo
appresso il splendido e onorando
Pricivalle
ed il saggio Galeotto
a
picciol passo 'nsieme ragionando.
E
dietro ad essi vidi Lancellotto, 10
con
vago sguardo ed aspetto grazioso,
a
passo celer, via più che di trotto,
ferendo
il caval fiero e valoroso
per
appressarsi alla donna piacente
cui
di toccar tutto era disioso. , 15
Oh
quanto adorna quivi e risplendente
allato
lui Ginevra seguitava,
sovra
un bianco corsier orrevolmente!
Stella
micante al tutto somigliava
la
luce del suo viso e aver biltate 20
quanta
fu mai; e tutta si mostrava
sorridendo
negli atti, di pietate
piena,
parlando in atto assai discreto
con
silenti parole e grazie ornate.
Era
con quel che già ne visse lieto 25
per
lunga fiata, lei senza misura
amando,
ben che poi seguisse fleto.
Non
molto dietro ad esso con gran cura
era
il fier Galeotto, il cui valore
più
ch'altri suoi compagni s'affigura; 30
ed
appo lui 'l vittorioso Astore
veniva
insieme con messer Ivano,
disioso
ciascun d'etterno onore.
L'Amoroldo
d'Irlanda ed Aravano,
Pallamide
seguiva e Lionello, 35
e
Polinor col strenuo Calvano.
Mordretto
poscia e con lui Dodinello,
e
il valido Tristan seguiva appresso
sopra
arduo corsier feroce e isnello.
Isotta
bella venia allato ad esso, 40
la
man di lui con la sua giunta e presa
e
rimirandol nella faccia spesso.
Oh
quanto si mostrava in viso offesa
dalla
forza d'amor, di che parea
ch'avesse
l'alma dentro tutta accesa! 45
di
che negli atti quasi dir volea:
«Tu
sei colui cui solo sol disio»,
con
soavi sguardi; e poscia soggiognea:
«In
qua, ti priego, volgi il volto pio,
acciò
fruisca il mio bel paradiso 50
per
cui sicura in tal camin m'invio».
Rietro
a costor, sovra un corsiero assiso,
rubesto
e ardito 'l fier Brunor venia
con
altri molti, i quai qui non diviso.
E
quinci altronde poi la vista mia, 55
stanco
di mirar quelli, rivolgendo,
conobbi
più mirabil baronia.
Di
porpora vestito, oltre venendo,
il
Magno Carlo vidi corruscante,
ch'al
mondo fu cotanto reverendo, 60
in
guisa di piropo fiammeggiante,
di
verde alloro e de' triunfi ornato
ch'egli
acquistò sopra le terre sante;
feroce
sovra un gran corsiero, armato,
con
gigli d'oro nel campo celestro 65
e
il nero uccel davanti nel dorato.
Eragli
ancora dal lato sinestro
quel
che sovra ogni altro uom fu tanto ardito,
che
in sogno parve e pur fu in l'arme destro.
Cavalcando
fra questi olire era unito 70
un
drappel d'altri ancora di gran vanti,
per
van romor dal vulgo reverito.
Tra'
quali era chi i gesti lor cotanti
scrisse,
e molti altri ancor v'eran, li quali
conoscere
non puoti ne' sembianti. 75
Oltre
seguia, che parea avesse l'ali,
il
duca Gottifré dopo costoro
per
volere esser pur de' principali.
Appresso
lui vedeasi in altro coro
umilemente
Ruberto Guiscardo, 80
che
fu signor già in Terra di Lavoro.
Lui
seguitava frontiero e gagliardo
Federigo
secondo; e il Barbarossa,
eccidio
del bel Milan lombardo,
cavalieroso
e di persona grossa, 85
dritto
sovra le strieve in atto altiero,
nel
sembiante avilendo ogni altra possa,
via
se ne giva per esser primero.
CANTO
XII
Non
sanza molta ammirazion mirando
andava
quella valorosa gente,
fra
me nuovi pensier di lei recando.
Parevami,
nel creder, veramente
che
loro eccelsa fama gloriosi 5
far
li dovesse sempiternamente.
E
fra gli altri che molto disiosi
negli
atti si mostravan di venire
a
quella donna per esser famosi,
robustamente
in aspetto seguire, 10
armato
tutto sovra un gran destriere,
vidi
un possente e generoso sire
vestito
di celestro, al mio parere,
lucente
tutto di bei gigli d'oro
ch'ogn'altra
luce facean disparere. 15
Ognun,
qualunque fosse di coloro
che
gian davanti, rimirava lui,
sì
fiero andava fuggendo dimoro.
Se
ben ricordo, e' mi parve colui
quel
Carlo ardito ch'ebbe il maschil naso 20
insieme
con virtù molta, da cui
tutto
il pugliese regno già fu invaso
e
conquistato, e funne coronato;
del
qual signore il suo seme è rimaso.
Rimirandosi
innanzi quasi irato, 25
con
spada ignuda che 'n la destra avea
da
ogni parte si facea far lato.
Appresso
lui rivolto poi vedea
il
gentil Saladin in aureo ammanto
risplender
come 'n vita già solea. 30
Con
lui seguiva, dal sinestro canto,
tututto
armato Ruggier di Loria,
ch'ebbe
nell'arme già valor cotanto.
Orgoglioso
appo lui ancor venia
il
re Manfredo, e con dolente aspetto 35
il
fiero Curradino in compagnia.
Rietro
a costoro assai ched or non metto
seguien,
perché da dir troppo averei
e
contrario al voler seria l'effetto,
trarmi
dal vulgo ancor perch' i' vorrei 40
delli
romanzi e di lor fola scritta,
ch'ombra
di istoria sol la conoscei.
E
la mia mente da disio trafitta
di
vedere oltre pur mi stimolava,
per
che la vista non teneva fitta. 45
Similemente
quella con cui andava,
con
le parole sue faccendo fretta,
sovente
all'altre cose mi chiamava.
Il
dir ch'io vi faceva: – Un poco aspetta –,
non
mi valeva, per ch'io mi voltai 50
verso
la terza faccia a man diretta.
Aveavi
certo da mirare assai
più
ch'io dir non potrò, perché era in questa
cosa
stupenda che ivi lì notai.
Con
aurea gonna e aurea corona in testa 55
donna
vi vidi in aureo tron locata,
cinta
d'aurei trofei, in gioiosa festa:
onde
esser lei Ricchezza ai mortai grata
e
al ciel conobbi ed alli regni diri,
quando
fuor di ragion non sia usurpata. 60
Ritratto
dentro al loco de' disiri
vidi
d'argento e d'oro un monte in quello,
con
molta gente intorno in molti giri.
Rompea
chi con accetta o con martello,
chi
con piccone o uncino; e un infinito 65
popol
vi vidi graffiante d'ello.
E
ciaschedun parea pronto ed ardito,
non
rispettando 'l picciolo il maggiore,
chi
più potea più empieva suo appetito.
Gente
era lì di molto gran valore 70
in
vista, avenga che la lor viltate
pur
si scopria per il bestial romore.
Givano
alcuni per cupiditate
cacciando
or questo or quel con duol a morte,
per
prenderne essi maggior quantitate; 75
iniqua
tirannia rubesta e forte
usavan
altri con fatti e con detti,
pigliandon
più che la dovuta sorte.
Alcuni
v'eran che i lor mantelletti
se
n'avean pieni, e per volerne ancora 80
abbandonavan
tutti altri diletti.
Tra
quella gente che quivi dimora
conobbi
molti, e vidivine alcuno
ch'aver
preso di quello ora ne plora
e
forse ne vorrebbe esser digiuno; 85
ma,
cosa fatta, all'uom pentir non vale,
e
puolla a rietro ritornar nessuno:
altro
è pensare avanti, altro è poi 'l male.
CANTO
XIII
Mirando
i' quella turba sì gulosa
di
quel per che s'affanna la più gente,
per
esserne nel mondo copiosa,
entrato
fra 'l tesoro più eccellente
vi
vidi Mida, in tal vista che sazia 5
saria
appena di tutto possedente,
non
bastandoli aver avuto grazia
dall'iddii
che ciò ch'ello toccasse
doventasse
oro: e chi d'oro si sazia?
Di
rietro a lui parea che ne tirasse 10
giù
Marco Crasso assai, avenga dio
che
dalla bocca ancor li traboccasse.
Allato
lui con isciolto disio
quell'Attila
che 'n terra fu flagello
s'affaticava,
ben che pagò 'l fio: 15
nelle
sue man tenendo un gran scalpello
feriva
sovra il mezzo all'aureo monte,
e
gran masse levava via di quello.
Dall'altra
parte con superba fronte
Narsete
v'era, con un'azza in mano 20
di
punte agute al penetrar ben pronte.
Ognor
che su vi dava non invano
tirava
il colpo a sé, ma gran cantoni
giù
ne faceva ruinare al piano,
impiendo
di quel sé con suoi predoni 25
ed
ogni sciolta voglia adoperando,
dannava
le giustizie e le ragioni.
Là
vidi ancora al monte fariando
Neron
spietato con l'anima accesa,
di
quello a terra gran parte tirando; 30
ma
di cotal rapina ed ampia presa
del
bel tesoro, or qual gittava via,
or
qual mettea in disordinata spesa.
Ivi
di dietro un poco a lui seguia
con
una scura in man Polinestore, 35
e
quanto più potea quivi feria,
ora
col colpo faccendo romore,
ora
mettendo biette alla fessura
quando
la scura ritirava fuore,
forte
temendo che l'alta apritura 40
si
richiudesse; e quanto più en spezzava,
tanto
cresceva più l'ardente cura.
Appresso
lui tutto 'l monte graffiava
Pimmaleon
con uncin forte e aguto,
col
qual gran massa a' piedi sen tirava. 45
L'acerbo
Dionisio conosciuto
v'ebbi
mirando fra la gente folta,
ch'a
tor dell'oro non voleva aiuto.
Là
si ficcava tra la turba molta
con
grave ronca in man tagliando, e presto 50
di
quel feva in gran cumol gran ricolta:
impiendo
l'insaziabil suo funesto
voler,
sprezzava e misura e pietate,
che
fu cagion del suo ensegnar molesto.
Rabbido
appresso con sua crudeltate 55
Falarìs
si vedeva recidendo
del
monte non mediocre quantitate,
e
via di quindi di quel trasferendo;
poi,
arrotata l'ingrossata azzetta,
apprestato
tornava qui correndo. 60
Con
furiosa e minaccevol fretta
quivi
vedeasi Pirro accompagnato
da
mal disposta ed ispiacevol setta.
A
molti lì per forza avean levato
a
cui cesta di collo, a cui di seno 65
rubavan
l'oro lor ch'avean rubato.
Ridendo
po' fra lor se ne facieno
beffe
ed ischerni di quei cattivelli,
ch'a
cavar quel fatica avuto avieno.
Ancora
vidi i' star presso di quelli 70
il
dispietato ed iniquo Tereo,
di
quel tesoro prender nel qual elli
fatica
non durò mai come feo
quegli
a cui lo rapiva; e dopo lui
pien
d'oro dimorava Tolomeo. 75
Ivi
era Fisistrato, per la cui
cura
più scrigni ripieni e calcati
tirati
vidi qual carri da bui.
Avea
'n un lembo di panni piegati
Gieron
Siracusano gran tesoro, 80
col
qual ne gia, e seco altri carcati.
Ma
di Navarra Azzolin po' costoro
gir
si affrettava per tosto tornare
con
maggior forza a sì fatto lavoro.
Molti
altri poscia ne vidi cavare, 85
altri
isforzarsi per volerne avere,
ma
niente era il loro adoperare,
anzi
oziosi stavano a vedere.
CANTO
XIV
Più
gente ancor vi vidi, fra li quali
gran
quantità di nuovi Farisei
che
per aver tesor battevan l'ali,
e
sconfortando li altri como rei,
di
povertà mostravan predicare 5
col
collo torto e gli occhi volti ai piei.
Riguardando
poi loro adoperare,
per
possederne maggior quantitate
in
altra parte vidi affaticare
correndo,
e via portarne caricate 10
con
gli asini orecchiuti pien le ceste,
dai
quai lor stirpi sono originate.
Ver
è che ben ch'avesser lunghe veste
e
cucullato il capo, pur parea
che
più che gli altri avesser le man preste. 15
Infra
lor riguardando, assai vedea
di
quei cui altra fiata avea veduti
e
cui per nome ben riconoscea.
Li
quai, però che son or conosciuti,
non
bisogna ch' i' annomi, ben che pari 20
potrebbono
esser tutti omai tenuti.
Con
questi avanti, al mio parer non guari,
quasi
tra quei ch'erano più eccellenti
e
che parean de' su detti vicari,
ornato
di bei drappi e rilucenti 25
il
nipote vid'io di quel Nasuto,
che
gloriar si va co' precedenti,
recarsi
in mano un forte bicciacuto,
dando
tai colpi sovra il monte d'oro,
che
spaventar fea nell'inferno Pluto: 30
e
radunato assai di quel tesoro,
in
parte oscura tutto lo serbava
avendon
quasi più ch'altro di loro.
Oltre
grattando il monte dimorava
con
unghie adunche uno, ch'al mio parere 35
in
molte volte poco ne graffiava.
Con
ansietà quel poco poi tenere
in
borsa li vedea, ch'a pena esso,
non
ch'altro alcuno, ne poteva avere.
Al
qual faccendomi io più alquanto appresso 40
per
conoscer chi fosse apertamente,
vidi,
ch'era colui che me istesso
libero
e lieto avea benignamente
nodrito
come figlio, ed io chiamato
aveva
lui e chiamo mio parente. 45
Davanti
e poi e d'uno e d'altro lato
tanti
su per lo monte e giù scendieno
a
prender del tesoro disiato:
ogni
lingua verrebbe a dirlo meno,
però
qui m'aggia il pio lettore alquanto 50
scusato
s'io non li riconto a pieno.
Quando
mirato ebbi costoro tanto
ch'a
me stesso incresceva, i' mi voltai,
com'altri
volle, verso il destro canto.
Ver
è disiai, e ancor disio assai, 55
esser
di quelli di sì fatta schiera,
se
con onor potesse esser giammai.
E
s'io vi fosse stato, come v'era
alcun
ch'io vi conobbi, io avrei fatto
sì
che veduta fora la mia cera 60
credo
più voluntier da tal che matto
or
mi riputa, perché ora aggio poco,
e
più caro m'avrebbe in ciascun atto.
Hai
lasso, quanto nell'orecchi fioco
risuona
altrui il senno del mendico! 65
né
par che luce o caldo abbia 'l suo fuoco,
e
il più caro parente gli è nimico;
ciascun
lo schifa, se non ha moneta,
né
per compagno il vuol né per amico.
Unque
s'ogni uomo pur di quella asseta, 70
mirabile
non è, poiché virtute
senz'oro
è infausta, misera e inquieta,
il
cui valor se fosse alla salute
pensato
di quel ch'uomo pensar dee,
non
le ricchezze sarien sì volute. 75
Ma
io mi credo che parole ebree
parrebbono
a ciascun chiaro intelletto
il
dir che le ricchezze fosser ree,
avegna
che 'n me questo tal difetto
via
più tosto che 'n altro caderia, 80
così
bramo d'averne con effetto.
Né
da tal disiderio mi trarria
alcun,
tanto 'l pregar mi par noioso
altrui
che di denar soccorso sia.
Dopo
molto pensare, assai bramoso 85
di
veder tutto, dirizzai il viso:
e
vidi figurato il poderoso
Amor,
sì come qui sotto diviso.
CANTO
XV
Quella
parte dove ora mi voltai
con
gli occhi riguardando e con la mente,
pien
la vidi d'istorie degne e assai.
Volendo
adunque d'esse, pienamente,
almen
delle notabili, parlare, 5
rallungar
si convien l'opra presente.
E
però dico che, nel riguardare
ch'io
feci, in guisa d'un giovine prato
tutta
la parte vidi verdeggiare,
similmente
fiorito ed adornato 10
d'alberi
molti e di nuove maniere,
ove
'l starvi parea gioioso e grato.
Tra'
quali, in mezzo d' esso, al mio parere,
un
gran signor di mirabile aspetto
vid'
io sopra due aquile sedere; 15
al
qual mentr'io guardava con effetto,
sovra
duo leoncelli i piè tenea
ch'avean
del verde prato fatto letto.
Un'aurea
corona in capo avea
con
capei biondi sparti sotto d'essa, 20
che
'n guisa di fil d'or ciascun splendea.
Il
viso suo, qual neve ad ora messa
in
porpora, cotal mista rossezza
nell'angelico
viso aveva impressa.
Senz'altro
paragon la sua bellezza 25
era,
ed aveva due grandi ale d'oro
sovra
gli umeri stese in ver l'altezza.
In
man teneva una saetta d'oro,
di
piombo un'altra, ed era il vestir tale,
di
vermiglio velame intesto d'oro. 30
Orrevolmente
là il vedea cotale,
tenendo
un arco nella man sinestra
cui
colpo ogni uomo teme e ogni immortale.
Né
però sua sembianza parea alpestra,
ma
giovinetta e di fiorita etate, 35
pietosa,
mansueta e non silvestra.
E
intorno avea senza fine adunate
genti,
de' quai parea che ciascheduno
mirasse
pure a sua benignitate.
Gaio
e giocondo vi ne vidi alcuno, 40
altri
dolenti sospirando gire,
l'un
timido vedea, l'altro importuno.
Io
che mirava il grazioso sire
di
lui considerando il gran valore
per
molti ch'ivi vidi a lui servire, 45
ornata
come lui, con grande onore
li
scorsi allato una donna gentile,
la
qual pareva sì com'elli Amore,
vaga
negli occhi e altieramente umile;
ver
è ch'era di rose coronata, 50
per
cui era ad Amore dissimile.
Angela
mi pareva nel ciel nata,
ma
poi più volte pensai ch'ella fosse
quella
che 'n Cipri già fu sì adorata.
Non
so quel che 'l cuor mio così percosse 55
mirando
lei, se non che l'alma mia
pavida
dentro tutta si riscosse,
né
sanz'a lei pensar fu poi né fia,
poi
sì leggiadra e tanto graziosa
dall'altro
lato a Amor vidi lucia. 60
In
fronte a cui serena e spaziosa
due
begli occhi lucean, sì che fiammetta
parea
ciascuno d'amor luminosa,
e
la sua bocca bella e piccioletta
rose
vermiglie e perle dimostrava 65
movendosi,
tanto era in sé perfetta.
Dintorno
a sé tutto 'l prato adornava,
come
se stata fosse primavera,
col
raggio chiar che 'l suo bel viso dava.
Io
non credo che al mondo mai pantera 70
con
l'odor suo tanti animai tirasse,
sì
com'ella pareva, dovunque era
blandi
e soavi, ch'a lei somigliasse;
sì
'l bel modo era con sue grazie e atti,
ch'Amor
parea di lei s'inamorasse. 75
Oh
quanto nell'aspetto, in detti e fatti,
mostrava
in saggio ed alto intendimento
vecchi
pensier da giovinil cuor tratti!
Contemplando
ivi a Amore il suo talento
parea
fermasse en la sua chiara luce: 80
com'aquila
a' figliuol nel nascimento
con
amor mostra ond'ella li perduce
a
seguir sua natura, così questa
credo
che facci a chi la si fa duce.
A
rimirar tal donna eccelsa e onesta 85
contento
stava, che 'n atto dicesse
parea
parole dolci e pien di festa,
come
l'immaginar par che 'ntendesse.
CANTO
XVI
Costei
pareva dir negli atti suoi:
«Io
son discesa dalla somma altezza
e
son venuta per mostrare a voi
il
viso mio: chi vuol vera bellezza
veder,
riguardi lui dove si vede 5
accompagnata
grazia e gentilezza.
Ò
pietà per sorella e di mercede
son
dolce fonte: Iddio mi v'ha mandata
per
darvi parte del ben che possede.
Donna
più ch'altra sono innamorata 10
e
in me isdegno mai non ebbe loco,
però
da Amore i' son tanto onorata.
Ancor
risplende in me tanto il suo fuoco,
che
talor molti credon ch'io sia ello,
avenga
che da lui a me sia poco. 15
Cortese
e lieta son vaso di quello,
né
mai mi parran duri i suoi martiri,
di
lui 'l ristor pensando ed il fin bello.
E
cieco è ben colui che' suoi disiri
si
crede sanza affanno aver compiuti 20
e
sanza copia di soavi sospiri.
Riceva
adunque 'n pace i strali aguti,
ch'
ei da' bei occhi in gli occhi al cuor saetta
a
quei ch'attendon d'esser proveduti.
Tal
qual or mi vedete giovinetta 25
quivi
accompagno Amor che mi disia:
al
ciel ritornarò po' che m'aspetta».
Ancor
più intesi, ma la fantasia
nol
mi ridice, sì gran parte presi
di
gioia dentro nella mente mia 30
lei
rimirando e' suoi modi cortesi,
il
dolce sguardo e la mira biltate,
della
qual mai a pien dir non porriesi.
Dallato
a lei Amor con voglie innate
vidi
miralla, che nel bello aspetto 35
tutto
si dipingeva di pietate.
Ognora
a sé toccava l'egro petto,
quasi
temendo aver se stesso offeso
perché
guardarla avea tanto diletto.
Io
stetti molto a lei mirar sospeso 40
per
sentir s'io la udisse nominare
o
la vedesse scritto brievi o isteso.
Lì
non l'udi' né 'l seppi immaginare,
avenga
che, com'i' dicerò appresso,
in
altra parte poi la vidi stare, 45
donde
chiaro 'l seppi io: lì il dico espresso,
però
chi quello ha voglia di sapere
fantasiando
giù cerchi per esso.
Oltre
mirando lei mio gran volere
non
avrei sazio mai; ma nuova cura 50
di
mirare altro mi mise 'n calere.
Levando
adunque gli occhi ver l'altura
vidi
il gran Giove che 'n forma di toro
non
già rubesto cangiò sua figura,
che,
non curando del superno coro, 55
ad
Europa concesse cavalcarsi
per
compier meglio il bramato lavoro.
E'
parea quindi correndo levarsi
sopra
l'ondoso mar col disiato
suo
dolce ben, e pian da poi posarsi 60
in
quel paese che fu poi nomato
da
quella che da dosso si dipose.
In
la sua prima forma ritorbato,
narrandole
le sue piaghe amorose,
lieto
parea che la riconfortasse 65
con
parole dolcissime e pietose;
ma
con disio parea poi l'abbracciasse,
e
con diletto l'avuto disio
parea
con dolce effetto terminasse.
Appresso
ancor pur il medesmo iddio, 70
in
nuvoletto d'oro rifulgente
trasformato,
discendere vid'io
giù
in alta e ferrea torre audacemente
in
grembo a verginella ch'entro v'era
richiusa
e custodita strettamente; 75
il
qual, perché l'amava oltre maniera
dovuta,
infra sue bianche mammellette
in
aurea pioggia giù lasciato sera.
Né
quella ciò pensando, lieta stette
ed
il prezioso inganno tenne ascoso, 80
ch'oro
essere in l'avar suo cuor credette.
All'esser
primo suo Giove amoroso
vedeasi
poi tornato e di costei
basciar
la bella bocca disioso.
Ritrarsi
non poter poscia da lei 85
vidi
sanza il soave compimento,
di
che parea ch'ella dicesse: «Omei,
ch'i'
son gabbata dal falso argomento».
CANTO
XVII
Hor
oltre avante più, seguia l'istoria
della
figliuola d'Inaco, mi pare,
se
ben mi rappresenta la memoria.
Era
ivi Giove, e vedendo tornare
Io
dal padre sola e giovinetta, 5
il
suo disio tentavale narrare.
Lungo
indi 'n un boschetto poi ricetta,
sotto
piacevoli ombre con costei
vedealo
isteso star sovra l'erbetta.
Ma
in piacer dimorando ed ella ed ei, 10
sopraveneali
Giuno furiosa
temendo
dell'inganno fatto a lei.
Intanto
la fanciulla graziosa
Giove
mutò in giovenca bianca e bella,
e
in don la diede a sua celeste sposa. 15
Or
poi che Giuno avea accettata quella,
per
tema forse di seconda offesa,
Argo
pien d'occhi fé custode d'ella.
Cauto
pascendo lei in sua guardia presa,
ella
anche ivi era ed in atto ascoltava 20
il
suon d'una sampogna alla distesa.
Hermete
era il pastor che la suonava
sotto
alberi fronzuti dolcemente,
con
gran piacer di chi ascoltar la stava.
Onde
sonando, vedea chetamente 25
Argo,
con li cento occhi ch'egli avea,
adormentarsi
e non sentir niente.
Rigido
poi quel fier pastor scorgea
trarsi
di sotto un ritorto coltello,
col
quale l'addormito Argo uccidea. 30
Faceva
lì esso poi in occhiuto uccello
Giuno
cangiar; parea po' perseguire
la
vacca per cui era morto quello.
A
lei davante si vedeva fuggire
al
Nilo già, quando l'amante iddio 35
rattemperò
Giunone e sue accese ire.
Con
doppio onor ogni sua beltade Io
riprese
poi, da Giove riformata
per
renderle del mal spiacer bon fio;
e
così fatta dea, lì celebrata 40
da
quella gente fu, e con voti assai
e
molti incensi la vedea onorata.
Dopo
essa alquanto avanti riguardai
e
il detto iddio in forma feminile
in
un fronzuto bosco affigurai; 45
e
riguardando lui, che nel gentile
e
mansueto aspetto mi parea
Diana
e non ad altra dea simile,
lì
d'amor tutto acceso si sedea
con
la faretra piena di saette, 50
e
un arco teso in la sinestra avea.
Lui
mirando una delle giovinette
ninfe
e credendo ch'ei Diana sia,
lo
saluta con dolci parolette;
appresso
poi con voglia onesta e pia 55
per
lui basciar, ché forse consueto
era,
sicura a quello se ne gia.
Ver
lei si facea Giove, e tutto lieto,
basciandola
soave, seco appresso
la
tirava in un bosco lì secreto; 60
ov'ei
stringendo lei ed ella anch'esso,
si
stava cheta, semplicetta e pura,
rompendo
il voto col piacer commesso.
Sola
poi mi parea che con paura
gravida
rimanesse di colui 65
che
la 'ngannò sotto l'altrui figura.
Taceasi
un tempo la donna nel cui
ventre
piacevoi peso era nascoso,
ma
pur convenne poi paresse altrui.
Ripulsa
ebbe dal coro grazioso 70
allora
e al tutto fu da quel divisa:
di
che poi Giove, essendone pietoso,
a
lei diè forma d'Orsa e stella assisa
la
fece al freddo poi pien d'altre stelle,
per
guiderdon della colpa commisa. 75
Bianco
e gioioso poscia dietro a quelle
istorie
il vidi in cigno trasformato,
con
piume inargentate, vaghe e belle.
In
braccia stretto se l'avea pigliato
la
bella disiosa amanza Leda 80
e
in camera soletta via portato.
Là
come tosto, disiata preda,
si
vide inchiuso, lieto ritornossi
Giove
in sua vera e consueta sceda.
Tutta
ella allor di ciò meravigliossi, 85
pur
concedendo sé del dio alla voglia:
quivi
mostrava come racchetossi
acciò
che loco avesse 'n l'alta soglia.
CANTO
XVIII
Dopo
costei si vedea seguitare
Semelè
bella che già gli arse il core,
né
altra allor che lei poteva amare.
Ornata
come vecchia e di dolore
piena
era quivi Giuno invidiosa, 5
Giove
portando a quella immenso amore;
nascosa
in cotal guisa, alla formosa
Semelè
domandava s'ella fosse
ben
dell'amor di Giove copiosa.
Nel
viso sorridendole si mosse 10
non
conoscendo lei; poi le rispose:
«Ama
sol me, sol braman me sue posse».
Allor
si turbò Giuno, ma l'ascose
con
falso aspetto, e disse: «Ora ti guarda
ch'ei
non ti inganni con viste frodose. 15
Più
n'ha ingannato sua cera bugiarda,
e
di suoi inganni i' ne so ben più d'uno:
ma
se tu vuo' saper se per te arda,
istea
con teco di come con Giuno.
S'egli
il farà, ben ti dico ch'allora 20
saprai
che teco non ha inganno alcuno;
e
fa che 'l facci». E poi sanza dimora
da
lei si dipartì: questa aspettando
bramava
ciò provare a tempo e ad ora.
Tacita
e sola così disiando, 25
parve
che Giove quella visitasse,
a
cui ella diceva allor pregando:
«Or
negaraimi tu, s'io dimandasse,
un
caro dono?» a cui e' rispondea,
e
rispondendo parea che giurasse 30
sé
a ciò non mancar mai ch'ella volea.
«Come
con Giuno ti congiugni», disse,
«così
con meco ti prego ch'istea».
Ahi
come a Giove dolse! ma non sdisse
quel
che 'mpromise; pur invito quello 35
fé,
perché 'l sagramento non perisse.
Rilucere
d'un fuoco, ma non bello,
Semelè
si vedeva e in cener trita
solversi
tutta giacendo con ello.
E
così tutta finì la sua vita 40
per
il disio che 'l consiglio fallente
le
porse, e Giuno così fu gioita.
Conforme
ancor si vedea similmente
aquila
fatto Asterie seguire,
cui
egli amava molto coralmente. 45
Allato
a lei ed or di sopra gire
per
folti boschi quivi si vedeva,
e
poi con l'ali lei presa covrire.
Molto
dubbiosa lì quella pareva,
per
che rivolta contra il grande iddio 50
con
fievol forza cacciar lo voleva.
Valeale
poco, però che 'l disio
suo
ne prendeva quel, come ch'a lei
ne'
suoi sembianti ne paresse rio.
Nel
luogo appresso si vedea colei 55
che
partorì i due bei occhi del cielo,
secondo
che compreson gli occhi miei.
Assai
timida, l'isola di Delo
la
riteneva quasi fuggitiva,
umile
e cheta sotto bianco velo. 60
Soletta
appresso Antiopa seguiva,
con
la qual Giove in forma satirale
parlava,
ed ella lui pietosa udiva.
Ove
allato sedeale e quanto male
amor
per lei li facesse narrava, 65
che
moria quasi, ben ch'era immortale.
Assai
negli atti suoi la lusingava,
tanto
che 'n fine alla sua volontate
con
preghi e con promesse la recava.
Vedeasi
appresso quivi la biltate, 70
in
altra istoria che venia, d'Algmena
di
grazie ornata e piena d'onestate.
In
suoi sembianti gioconda e serena,
con
Giove trasformato nel marito
tre
notti in una in dolce gaudio mena. 75
Tutto
vedeasi poscia sbigottito
anche
il suo servo Geta, e doloroso
ch'un
altro Geta in casa avea sentito.
Appresso
v'era Birria nighittoso
caricato
di libri, a picciol passo, 80
con
viso ribbuffato e dispettoso,
senza
alcun ben, dicendo: «Oimè lasso,
quando
serà ch'io posi questo peso
che
sì m'affolla, e pur porrollo abbasso?».
Inver
il ciel veggio, poi ch'ebbe preso 85
Giove
il diletto che di lei li piacque,
pregna
lasciarla, su al salir inteso:
del
cui piacer il forte Ercol ne nacque.
CANTO
XIX
Ivi
più noti seguia, perché finiva
quella
facciata con gli antichi autori
che
stanno innanzi a quella donna diva.
Laond'io
tornai inver li predatori,
ricominciando
a quel canto primero 5
a
rimirar gli antichissimi amori.
Eravi,
ritornato umil di fiero,
Marte
signor dell'arme fatto amante,
per
la qual cosa più non era altiero.
Con
tal disire 'l piacevol sembiante 10
mirava
della bella Citarea,
che
non parea che più curasse avante.
Tra
quei luoghi medesmi mi parea
con
essa lui veder dentro d'un letto,
dintorno
al qual Volcan con froda avea 15
ordita
di fil ferreo sottiletto
una
ingegnosa rete, e gli avea presi
ambi
ignudi abracciati in quel diletto.
Sanza
consiglio, ah cieco! i lacci tesi
a
sua vergogna aveva, e invan credia 20
aver
li amanti arditi allora offesi,
avendo
quivi ciascun dio e dia
cittadini
del ciel tutti adunati,
per
lor mostrar, non lor, ma sua follia.
Con
gran disire anzi li dei chiamati 25
Vener
miravan nuda intentamente
e
le dee Marte con gulosi agguati.
Hai!
come poi ciascuno apertamente
liber
pigliava ogni piacer ameno,
timor
già morto e le vergogne spente! 30
E
così aviene a quei che non vorrieno
trovar
vergogne e vannole cercando,
che
molto meglio cheti si starieno.
Ma
ben consiglio ciaschedun, che quando
per
sorte simil cosa gli accadesse, 35
con
gli occhi chiusi, sol sé vergognando,
ei
se ne passi, perché molto spesse
le
volte son che tal vuol vendicare,
che
'l suo miglior saria che se ne stesse.
Tutto
focoso poscia seguitare 40
qui
Febo vidi Dafne graziosa
e
lei con dolci voci lusingare.
Timida
fuggiva ella e curiosa
di
sua virginità, sovra le spalle
co'
capei sparti, tal che più formosa 45
entrava
in Febo, che lei 'n picciol calle
seguiva,
infin che faceva dimoro,
più
non potendo, in una chiusa valle.
Là
vedea lei 'n Tessaglia in verde alloro
cangiare,
di cui tanto si ragiona, 50
e
Febo abbracciar lui per più ristoro;
u'
poi per premio etterno quel gli dona,
che
a' cesari, a' poeti e con ragione
a'
trionfanti ancor fosse corona.
Ivi
era appresso poi come Sitone 55
giovin
da lui già senza fine amato,
mutava
in feminil sua condizione.
Con
essa lieto stava quivi allato,
e
lei tenendo in braccio con amore
mostrava
ch'altro non li fosse a grato. 60
Oltre
il vid'io, finito quell'ardore,
richiuso
in una vecchia rozza e scura,
diposto
il lampeggiante suo splendore.
Nell'aspetto
pareva la figura
della
madre di quella, per cui questo 65
a
far il sospingeva tanta cura.
Mirabilmente
là si vedea presto
or
una ed ora un altro; onde colei
dicea
maravigliando: «Or che fia d'esto?».
E
poi 'l vedeva star con mesti omei, 70
defunta
quella, cui per sua potenza
mutò
d'incenso in ramoscelli bei.
Climenè,
appresso lei, con accoglienza
cedeva
a quello il suo congiugnimento,
Fetonte
nacque onde di tal semenza. 75
Oltre
tra questi poi, molto contento,
era
Nettuno in forma di Aristeo,
Esimena
abbracciando al suo talento.
Innanzi
ancor mirando discerneo
mia
vista questo in le braccia tenere 80
Cerere,
cui amò sovra ogni deo.
Non
sanza molti basci, al mio parere,
la
stimolava; ma allor mi voltai,
non
volendo oltre quelli più vedere,
donde
mirare altrove incominciai. 85
CANTO
XX
Ove
io lì vidi, in ordine dipinto,
sì
come Bacco, per forza d'amore,
in
forma d'uva a blandir fu sospinto
la
figlia di Ligurgo, il cui ardore
per
temperare, in le sue man tenea, 5
presa
da sua dolcezza e bel colore;
con
il qual poscia giunta mi parea
ella,
lui ritornato d'uva iddio,
e
l'uno all'altro qui sodisfacea.
Ivi
vedeva poi con volto pio 10
Pan
che dietro a Siringa corre e plora,
dicendo:
«Ah perché fuggi il viso mio?»
ed
ella fuggente il padre implora,
dal
qual poi si vedeva trasformata
in
tremol canna flebile e sonora. 15
Pan
da po' mesto quella ebbe formata
in
buccioli sonanti, parimente
da
esso la sampogna poi trovata.
Appresso
lui mirai anco il dolente
Saturno
di caval forma pigliare, 20
e
a Fillira accostarsi dolcemente.
Con
cera fosca ancor vedea lasciare
Plutone
i ciechi regni abbandonati
per
troppo ardentemente donna amare;
e
poi con atti acerbi ed isfrenati 25
prender
vedea 'l Proserpina e con essa
fuggirsi
ai regni di luce privati,
pur
con tal studio e sì frettosa pressa,
che
parea fosse dietro seguitato
da
Giove per volerlo privar d'essa. 30
Oltre
quel loco vidi figurato
Mercurio
dio con Erse molto stretto,
di
lei 'n amor dolcissimo allacciato.
Innanzi
alquanto si vedea, al diretto,
soffiante
con barba aspra e capil bianco 35
Borea,
nivoso e frigido in aspetto.
Questi,
anelando col lassato fianco
d'amor
per l'alte piaghe crude e fiere,
parea
dicesse: «Ahimè! ch'io vengo manco
vedendo
le mansuete tue maniere, 40
dolce
Orizia»; ma alla fin lei stretta
via
ne portava e seco avea a godere.
A
lui seguiva poi la giovinetta
Tisbe,
che fuor di Babilonia uscia
andando
verso un gran bosco soletta. 45
Né
lì guari lontano, fuor di via,
un
suo bel velo lasciava fuggendo
per
una leena ch'ivi a ber venia
della
fontana, dov'era attendendo
Piramo:
il qual, venuta già la scura 50
notte,
ne viene a Tisbe sua correndo
ove
già fu la vecchia sepoltura
di
Nino, per dar fine al fier martire
e
ad ogni lunga sua amorosa cura.
Aggiunto
intorno guatava se udire 55
o
veder vi potesse se venuta
fosse
colei che vi dovea venire.
Lui
po' mirando, in terra ebbe veduta,
perché
la luna risplendeva molto,
una
vesta, ch'a Tisbe era caduta, 60
tutta
straziata e per terra ravvolto
il
leggiadretto velo sanguinoso,
per
cui smarrito si cambiò nel volto.
Ricogliendo
essi parea che doglioso
dicesse:
«Ah! cara Tisbe, chi ti uccise? 65
chi
mi ti tolse, dolce mio riposo?».
Ontoso
poscia lagrimando mise
mano
all'aguta spada ch'avea seco,
con
cui dal corpo l'anima divise,
parendo
che dicesse: «Con te cieco, 70
Tisbe,
ne moro, acciò che all'ombre spesse
di
Dite per compagno io venga teco»;
e
sbigottito parea che cadesse
qui
sovra quella vesta, a piè d'un moro,
e
del suo sangue i frutti suoi tignesse. 75
Non
dilettando a Tisbe il gran dimoro
colà
dov'era, uscio e disse: «Forse
quella
bestia è pasciuta, né già loro
suol
uso a noi far male»: ed oltre corse
alla
fontana, e non credea che fosse 80
dessa
quando le more rosse scorse.
Indi
mirando, poscia si percosse
quando
Piramo vide ancor tremante,
dal
cui bel petto il ferro aguto iscosse
e
'n su quel si gittò, dicendo: «Amante, 85
io
son la Tisbe tua! mirami un poco
anzi
ch'i' muoia», e più non disse avante,
restando
sovra lui morta in quel loco.
CANTO
XXI
Or
miri adunque questo empio accidente
qualunque
è quel che vuol legge ad amore
impor
per forza, trabocchevolmente.
Quivi
credo vedrà che 'l suo furore
è
da temprar per consiglio discreto, 5
a
chi ne vuole aver fine migliore.
Vivean
di questo i padri ciascun lieto
in
l'aurea età, temprando la lor voglia,
né
amor col gaudio lor mischiava fleto.
Egli
sovente avien ch'altri si spoglia 10
di
ciò ch'ello si crede rivestire,
ma
ingannato convien che se ne doglia.
Sì
riguardando, poi vidi seguire
Gianson
in mezzo di tre giovinette,
di
cui ciascuna fé di lui 'l disire. 15
Tutte
tre furon già da lui dilette
e
nominate Isifile e Medea,
l'altra
Creusa con le due sospette.
«O
sanza fede», udire mi parea
che
Isifile dicesse, «o dispietato, 20
o
più crudel di tigre e di leea,
deh
ancor hai, dimmi, tu dimenticato
con
quanto onor tu fosti ricevuto
nel
regno onde ogni maschio era cacciato?
Io
non credo che mai fosse veduto 25
uom
volontieri in nulla parte strana
né
cotal modo a lui mai conceduto,
simile
a quello ch'io benigna e umana
a
te concessi, portando fidanza
alla
tua fede come 'l vento vana. 30
Faccendo
sacramenti a me, speranza
nel
tuo partir mi desti che giammai
non
cambieresti me per altra amanza.
Andastitene
e me, come tu sai,
pregna
lasciasti di doppio figliolo, 35
e
ciò sprezzando assente te ne stai.
Con
lagrime e sospiri e con gran duolo
gran
tempo stetti, dicendo: «Omai tosto
ritornerà
Gianson col suo bel stuolo»;
ed
appena credetti quel che isposto 40
mi
fu di te, ch'avevi nuova amica
in
Colco presa e mutato proposto.
Più
avanti ora non so ch'io mi ti dica,
se
non ch'io ardo e tu ti godi in festa
con
nuova amanza, mia crudel nimica. 45
In
tal guisa tal doglia mi molesta
che
dir noi posso, ma tu stesso pensa
quant'aver
tal parriati, quale è questa.
Alfin
ti prego, se unqua da me offensa
non
hai patito, non mi abbandonare, 50
ma
con pietate il mio dolor compensa».
Non
rispondea Giansone; ma poi stare
vidi
negli atti molto dispettosa
Medea
ancor, verso lui così parlare:
«Giansone,
in tutto il mondo non fu cosa 55
ch'io
tanto amassi né per cui facessi
quanto
feci per te, sì come sposa;
e
non mi credo ancor che tu sconfessi
com'io
ti die' mirabil documento,
per
cui sicur co' tori combattessi. 60
Mostraiti
ancora, per farti contento,
come
'l drago ingannassi, acciò ch'appresso
tutto
'l disir tuo avesse compimento.
Insieme
me ne venni teco istesso,
e
sai ch'io 'l picciolino mio fratello 65
uccisi,
acciò che 'l mio padre sovra esso
dimorasse
piagnendo, intanto isnello
passasse
sanza noia il nostro legno
già
cominciato a seguitar da ello.
Ed
ancor sai che col mio saggio ingegno 70
il
decrepito già tuo padre Esone
di
giovinetta etate feci degno;
né
guardai poscia a giusta riprensione
ch'io
non facessi morire 'l tuo zio,
per
signor farti d'essa regione. 75
Tu
'l ti conosci e sai per certo ch'io
avrei
fatta ogni cosa per piacerti,
non
pensando che mai tuo fier disio
rivoltassi
da me per più doverti
dare
ad altrui. Deh Dio! s'altro diletto 80
non
hai di me, bei figli almen vederti
ognor
davanti ti dovevan stretto
tenerti
di seguir donna nessuna
né
maculare il mio debito letto,
lo
quale ad ora possedi con una: 85
che
s'io non aiutava la tua vita,
né
lei né me averesti, né altra alcuna.
Adunque
a me, giusto è, ti rimarita».
CANTO
XXII
Non
rispondeva a nulla di costoro
quivi
Gianson, ma Creusa abbracciando
piglia
con lei dilettevol dimoro.
Io,
che andava avanti riguardando,
vidi
quivi Teseo nel Laberinto 5
al
Minotauro orribile e nefando.
Ma
poi che quel con ingegno ebbe vinto
che
gli diede Adriana, quindi uscire
lui
vedev'io di gioia tutto pinto;
al
qual appresso Adriana seguire 10
e
con lei Fedra, ed ambe nel suo legno
salite
seco liete ancor fuggire.
Nel
quale, avendo già l'animo pregno
del
piacer d'Adriana, lei lasciare
vedea
dormendo e girsene al suo regno. 15
Gridando
desta poi lei vedea stare
e
chiamar lu' piagnendo lì soletta
in
Nasso, sovra un scoglio in mezzo il mare.
«Oimè»,
dicendo, «deh, perché s'affretta
sì
di fuggir tua nave? Aggi pietate 20
di
me, femina, amante e giovinetta!».
Solcando
se ne gia l'onde salate
con
Fedra quegli, e Fedra si tenea
per
vera sposa, per la sua biltate.
Costei
più innanzi un poco si vedea 25
accesa
tutta di focoso ardore
di
Ippolito, cui per figliastro avea.
Ivi
vedeasi lo sfacciato amore
di
Pasifè, che 'l toro seguitava
di
sé chiamandol sol dolce signore: 30
ove
con le man proprie ella segava
le
fresche erbette nel fogliuto prato
e
con quelle medesme glile dava.
Spesso
i suo' bei capei con ordinato
stile
acconciava e, della sua bellezza 35
al
specchio prima l'occhio consigliato,
adorna
venia innanzi alla fierezza
bestiale,
e quivi parea che dicesse:
«Aggradati
la mia piacevolezza?
Certo
s'io solamente comprendesse 40
che
più ch'ogni altra vacca mi seguissi,
io
non so che più avanti mi volesse».
Era
di dietro a lei, con gli occhi fissi
sopra
'l suo padre, Mirra scelerata,
né
da lui punto li tenea dimissi. 45
Rimirando
costei per lunga fiata,
quivi
la vidi poi di notte scura
esser
con lui in un letto colcata.
Correndo
poi fuggir l'aspra figura
del
padre la vedea, che conosciuta 50
avea
l'abominevole mistura.
Albero
la vedea poi divenuta
che
'l suo nome ritien, sempre piagnendo
il
fallo forse per la gioia avuta.
Narcisso
vid'io quivi ancor sedendo 55
sovra
la nitida acqua rimirarsi,
fuora
di modo di se stesso ardendo.
Deh,
quanto quivi nel rammaricarsi
nel
bel suo aspetto mi parea pietoso,
e
talor seco se stesso crucciarsi: 60
«Oimè»,
dicendo, «oimè, avrò mai riposo
se
la gran copia, ch'io ho di me stesso,
di
me stesso m'ha fatto bisognoso?».
Cefalo
poi, alquanto dietro ad esso,
vidi
posati aver con l'arco i strali 65
e
riposarsi, per il caldo fesso.
«O
aura soave vien con le fresche ali,
entra
nel petto mio!» all'ombra steso
stava
dicendo parole cotali.
Ma
questo avendo la sua Procri inteso, 70
cui
ascosa vedea tra l'erbe e' fiori
in
quella valle, con l'udire inteso,
essendo
in gelosia di nuovi amori,
crese
che l'Aura forse allor venisse:
volle,
e nol fece, intanto farsi fuori. 75
Tutta
l'erba si mosse e Cefal fisse
gli
occhi colà, credendo fosse fiera;
e
l'arco prese e suso il stral vi misse,
rizzandolo
fra l'erba u' Procris era,
e
lei ferì nell'amoroso petto. 80
Ella,
sentendo il colpo, in voce vera:
«Oimè»,
gridò, «perché ebbi i' tal sospetto
di
quel ch'io non dovea?», così diria
chi
la vedesse ch'ella avesse detto.
Vista
che Cefal l'ebbe: «Anima mia», 85
disse,
«che facei quivi? ahimè lasso,
dogliosa
sempre la mia vita fia,
avendo
te recata a mortal passo».
CANTO
XXIII
Ristrinsemi
pietà l'anima alquanto
a
compassion aver di quel dolente,
cui
vedea far così funesto pianto.
Poi
rimirando ad altro ivi presente,
vidi
colui che 'l tenebroso regno 5
entrò,
sonando così dolcemente:
Orfeo
dico io, che col suo chiaro ingegno
fece
le misere ombre riposare
per
la dolcezza del cavato legno.
Sonando
ancora quivi il vidi stare 10
con
Euridice sua, e mi parea
che
sonando 'l vedesse lì cantare
soavi
e dolci versi, e si dicea:
«Amore,
a questa gioia mi conduce
la
fiamma tua che nel mio cor si crea. 15
Amor,
dell'alme sagge chiara luce,
tu
sei colui che 'ngentilisci i cuori
e
a cose eccelse li sei guida e duce.
Per
te si fuggon gli agri e fier dolori,
per
te allegrezza, gioia ed ogni festa 20
nasce
e dimora dove tu dimori.
O
spegnitor d'ogni cosa molesta!
luce
degli occhi miei, dolce Euridice,
lunga
stagion con gioia la mi presta!
Sempre
mi chiamerò per te felice, 25
per
te giocondo, e per te, sacro Amore,
starò
come fa pianta per radice».
Al
veder quel mi s'allegrava il cuore,
e
immaginando quelle parolette
a
me, non ch'a lui, pur crescea il valore. 30
E
poscia, appresso queste cose dette,
Diomede
e seco Ulisse si vedeano
merciai
venuti vendere gioiette,
tra
cui quivi eran chi quelle voleano
in
vista comperar, ma dall'un lato 35
spade
e forti archi insieme posti aveano,
saette
ancor: de' quali avea pigliato
uno
una suora ch'ivi stava appresso,
e
infino al ferro l'arco avea tirato.
Onde
parea dicesser: «Questi è desso, 40
Achille
è questo cui andiam cercando»,
e
gir se ne volean quindi con esso.
La
qual cosa vedendo, sospirando
una
fanciulla quivi contrastava
a
quei che lui tiravan lusingando. 45
Achille
gir con essi disiava,
e
allor, spogliatasi la vesta fitta,
come
forte guerrier presto s'armava.
Vedendo
ciò Deidamia, trafitta
da
fiera doglia e tutta scolorita 50
parea
dicesse a lui allato ritta:
«O
di mia amara vita dolce vita,
cuor
del mio morto cuor, che tu abbandoni,
di
cui fia tosto, credo, la finita,
in
qual parte vuoi gir? qual regioni 55
cerchi
tu più graziose che la mia?
Deh
Dio, non credre a questi duo predoni!
Deh
non ti incresce di Deidamia?
Deidamia,
che più chogni altra t'amo
e
cui 'l cuor mio più ch'altro sol disia! 60
In
quanto posso più mercé ti chiamo:
non
mi ti torre, deh, non te ne gire,
deh,
non privarmi di quel ch'io più bramo!
sola
mia gioia, solo mio disire,
sola
speranza mia, se tu ten vai 65
da
me 'l cuor partirà nel tuo partire.
In
continova doglia e tristi guai
mal
viva viverò: deh, aggi pietate
di
me, se grazia meritai giammai!
Ahi
lassa, or son così guiderdonate 70
tutte
le mischinelle ch'aman voi
che
di subito sieno abbandonate?
Ricordar
certo credo che ti puoi
quanto
onor abbi da me ricevuto,
e
più ne puoi ricever, se tu vuoi. 75
L'abito
che t'ha fatto sconosciuto
sì
lungo tempo per me 'l ricevesti,
per
me secreto sei stato tenuto.
E
quando prima vergine m'avesti,
di
mai partirti né d'altra pigliarne 80
sovra
la fede tua mi promettesti.
Perché
altrove t'appresti dunque andarne?
Di
me t'incresca e del comun figliuolo
ch'abbian,
se non ti duol la propia carne.
Io
so che tu vuoi gire al tristo stuolo 85
ch'è
intorno a Troia, ov'io dubito forte
che
morto non vi sii: ché per gran duolo
a
me morte darei per la tua morte».
CANTO
XXIV
Così
pareva che costei dicesse
ed
altro assai, li prieghi della quale
non
mi pareva ch'Achille intendesse;
e
seguitava quelli al troian male,
contento
più che d'esser lì rimaso, 5
dove
quella era, a cui tanto ne cale.
E
innanzi a lui, incerto del suo caso,
Briseida
era trista, inginocchiata,
col
viso basso da gran doglia invaso.
Tra
l'altre cose quella isconsolata 10
piagnendo
mi parea che li dicesse:
«Deh,
perché m'hai, Achille, abbandonata?
Per
te convenne ch'io mi dolesse
de'
miei fratelli, i quali io più amava
d'ogni
altra cosa che nel mondo avesse; 15
e,
per l'amor ch'immenso ti portava
e
porto, quella morte che tu desti
alli
meschini non mi ricordava.
Rapita
me per forza ancor avesti,
come
tu sai, e mia verginitate 20
a
forza, invita me, tu mi togliesti.
Oimè,
che allora la tua crudeltate
non
conobb'io, ché l'animo sdegnoso
non
t'avria mai l'offese perdonate.
Veduto
sempre il viso mio cruccioso 25
avresti
certamente, e così forse
non
avrei dentro amor per te nascoso.
Oimè,
quanto soverchio vi ne corse
quando
con atti falsi mi mostrasti
ch'io
ti piacessi, e questo 'l cuor mi morse. 30
Levastimi
da te, poi mi mandasti
a
Agamenonne come schiava istrana,
per
che tuo falso amor ben dimostrasti.
Eimè
lassa, misera ed insana,
Briseida
sconsolata, che farai 35
abbandonata
in parte sì lontana?
Non
mi lasciar morir fra tanti guai,
Achille,
aggi pietà di me dolente
che
t'amo più che donna uomo giammai!
Deh,
guarda che mie luci quasi spente 40
per
piagner sono, aggi mercede alquanto»;
ma
tal mesto parlar valea niente.
Ivi
appresso costui vid'io che tanto
ardeva
dell'amor di Polissena,
ch'ogni
strazio ed angoscioso pianto, 45
periglio,
affanno, guai, tormenti e pena,
ch'è
di su detto, vendicava amore,
il
qual fervente ardevali ogni vena;
e
per lei spesso mutava colore,
preghi
porgendo, e non eran intesi, 50
onde
ello si struggeva di dolore.
Rietro
a costui ancor ivi vedesi
Sesto
ed Abbido, picciole isolette,
e
il mar che le divide ivi compresi.
Sovennemi
ivi quando lì cadette 55
dall'aurato
monton Helle e 'l fratello,
la
quale al stretto mare il nome dette.
Eravi,
ignudo e nodante per quello,
Leandro,
caminando inver colei
cui
tanto amava per il viso bello. 60
Venuta
po' alla riva in atti bei
Hero
vedeva ricever costui,
asciugandol
da' capo infino a' piei;
e
quivi poscia vedea lei e lui
con
tanta gioia standosi abbracciati, 65
che
simil non si vide mai 'n altrui.
Ritornar
poi 'l vedeva per gli usati
mari
a sua casa, e di far quel camino
suoi
membri non parean mai fadigati.
A
questo mar alquanto era vicino 70
Minòs,
Alcatoè tenendo stretta
per
forte assedio, volendo 'l destino
romper
di quel capel che nella vetta
del
capo a Niso stava, che per esso
l'oste
di fuora non avea sospetta. 75
E
quivi quella torre, ove fu messo
già
lo stromento d'Apollo sonante,
vi
si vedeva rilucere appresso.
Pareva
in quella Scilla fiammeggiante
dell'amor
di Minòs, che a vedere 80
istava
l'oste a sua terra davante.
Venir
lei mi parea poscia vedere,
del
padre il porporin capel cavato,
darlo
a Minòs, per più lui piacere.
Rigido
poi Minòs avea privato 85
Niso
del regno, e Scilla fuor di gloria
scelesta
la gittava nel mar lato
non
curando di lei per tal vittoria.
CANTO
XXV
Era
Alfeo là, con le sue nitide onde
piegate
in giro e dietro ad Aretusa,
con
quelle terre che correndo infonde.
Là
era Egisto ancor, che per iscusa
del
sacerdozio negò andare a Troia, 5
ma
Clitennestra in cor tenendo inchiusa
lei
nelle braccia sue strignea con gioia
a
suo piacer, quantunque poco appresso
le
ne seguisse sconsolata noia.
Oltre
qui poscia, non molto dop'esso, 10
seguian
Canace e Maccareo dolenti,
divisi
per lo lor fallo commesso.
Non
molto dopo ancor, ivi scontenti,
Bibli
focosa vidi seguitava
il
suo fratello con sospiri ardenti. 15
Molto
pietosamente a lui ne andava
dietro
parlando, sì come parea
negli
atti suo' e così dicer mostrava:
«Ahi
dolce signor mio, come leea
perché
mi fuggi? prendati pietate 20
di
me che per te vivo in vita rea!
Guarda
pietoso alquanto mia biltate,
pensi
l'animo tuo 'l mio primo fiore,
il
qual perisce per tua crudeltate.
Io
non t'ho per fratel ma per signore: 25
vedi
ch'io muoio per tua gran bellezza,
per
te piagno, per te si strugge 'l core.
Non
tener più ver me questa fierezza,
questo
soverchio nome di fratello
lascialo
andar, che serà più saviezza. 30
Aiutami,
ché puoi, e farai quello
che
più desidra quella che si sface,
considerando
il tuo conspetto bello.
Riso,
conforto, piacer, gaudio e pace
render
mi puoi, se vuoi: dunque che fai? 35
Deh,
contentami alquanto, se ti piace!
Vedi
ch'io mi consumo in tanti guai,
ch'altra
nessuna mai ne sentì tanti
per
te, cui sol disio, e tu tel sai.
Oimè,
fortuna avversa degli amanti 40
e
più di quei che non son ridamati
amando
altrui, che sol vivon di pianti!
Se
forse resti perché siam chiamati
sorella
e frate, tal dir è niente,
anzi
menor seranno i tuoi peccati 45
togliendomi
il dolor, che se dolente
morir
mi fai per non acconsentire
a
quel che sol desidra la mia mente.
Rivolgiti,
per Dio, deh, non fuggire!
pensa
ch'ogni animal tal legge tiene 50
quale
a te chiede 'l mio giusto disire.
A
te molto più tosto si conviene
in
questo atto fallir, che dispietato
farmi
perir nell'amorose pene».
Bibli
infelice, quanto t'è 'n disgrato 55
veder
colui, che ti dovrebbe aitare
da
chi noia ti desse in alcun lato,
il
tuo dolor in te forte aggregare!
e
non ch'ei nieghe fare 'l tuo disio,
ma
el non volere i tuoi preghi ascoltare. 60
Là
poscia appresso, al mio parer, vid'io
Fillida
allato stare a Demofonte,
e
piagnere per lui con atto pio.
Tutta
turbata sue parole conte
gittavali,
ricordandoli ancora 65
quant'ella
e le sue cose tutte pronte
al
suo servigio furono, e com'ora,
a
lei fallita la promessa fede,
per
troppo amor troppo dolor l'accora.
Tra
questi, oltre nel prato, vi si vede 70
Meleagro
e Atalanta che ciascuno
segue
un cinghiar con sollecito piede,
e
lui feroce con gran sforzi ognuno
offende,
accesi d'amoroso foco,
non
lasciandoli affar danno nessuno. 75
Costor
preiva, più davanti un poco,
Aconzio
in mano con la palla d'oro
ch'a
Cidippe gittò nel santo loco,
e
quella quivi ancor facea dimoro;
Aconzio
a cui diceva che sua era, 80
ella
il negava, e lite era fra loro.
Riguardando
l'un l'altro, in tal maniera
Cidippe
a lui diceva:«Se ingannata
fui
già da te, la mia voglia non vi era;
ché,
s'io mi fossi della palla addata, 85
non
l'avrei mai rimirata né letta,
anzi
l'averei indietro a te gittata:
onde
mai non m'avrai, sol questo aspetta».
CANTO
XXVI
Com'io
mirando andava quel giardino,
vi
vidi in una parte effigiato
Ercol
sublime a Cidippe vicino;
ove
con lui sedeva allato allato
Iole
piacente e bella nell'aspetto, 5
cui
presa aveva nel regno acquistato.
Non
mirava Ercol altro che 'l conspetto
di
lei, e quindi tal gioia prendea
che
duol li fora suto ogni diletto.
Rammaricando
dopo lui vedea 10
istar
tutta turbata Deianira,
perché
a sé rivocarlo non potea.
Il
gentil petto acceso in foco d'ira
mostrava
aver, che gelosia soffiando
accender
suol nel cuor quando s'adira. 15
Ma,
poco guari parea lagrimando
dicesse
a lui: «O signor valoroso,
rivolgi
a me il tuo aspetto venerando
e
costei lascia, cui tuo poderoso
valor
prese per serva e il suo paese 20
superò
con trionfo glorioso.
Non
senti tu ch'a ogni uomo è già palese
quel
che la fama ora al contrario sona,
di
te, all'eccelse tue passate imprese?
Unde,
biasmando, ciaschedun ragiona 25
che
invece di colei tu fili lana
ed
ella rappresenta tua persona.
Ognun
per ciò, che sia di mente sana,
giudica
tua virtute esser delusa
da
quella vile feminella istrana. 30
Vogliono
ancora dir più, ch'ella t'usa
in
ciascun atto come servitore,
né
ti giova trovare alcuna scusa.
E
dimmi s'è smarrito il tuo vigore
che
tu non pensi alle cose passate, 35
obliando
virtù, fama ed onore?
forse
ch'ella le forze t'ha levate
con
qualche ingegno suo fallacemente,
com'altre,
a lei simil, fan spesse fiate?
Almen
non dovria mai della tua mente 40
trar
quel che 'n culla fanciullin facesti,
l'uno
uccidendo e poi l'altro serpente.
Ricordar
de'ti ancor ch'uccidesti
il
fier Busiri, e in Libbia 'l forte Anteo
figliuolo
della Terra poi vincesti. 45
Vinto
traesti il mostro cerbereo
di
tre gran teste, e tu con tre catene
legasti
lui, né valse 'l latrar reo.
Il
drago ancora con sudanti pene,
ch'ognor
sanza dormire i pomi d'oro 50
guardando
stava, fu morto da tene.
I
forti corni al furioso toro
rompesti,
e i fier Centauri ancor domasti
quando
già combattesti pria con loro.
Or
non fosti colui che consumasti 55
l'Idra,
che doppi capi per su' aiuto
rimettea
quando glile avevi guasti?
non
fu d'Arcadia il guastator feruto
da
te già? certo sì fu, e fu colui
ch'avea
di carne umana riempiuto 60
ogni
suo armento, togliendo l'altrui;
e
con tua mazza quel Caco rubesto
poscia
uccidesti, rubato da lui,
Ritenesti
anco tutto, dopo questo,
il
ciel gravante sopra le tue spalle, 65
ch'ogni
altro uomo averia premuto e pesto.
E
s'io volesse andar per dritto calle
ogni
vittoria a tua mente rendendo,
avrei
qui troppo a fare a ricontalle.
Queste
so c'hai a mente: or dunque, essendo 70
appresso
te, talora fra te stesso
non
ti vergogni lei strana seguendo?
Volesse
Iddio che mai al meschin Nesso
non
m'avessi levata, che m'amava,
e
forse 'n gioia or mi sarei con esso! 75
Ed
io pertanto non imaginava
che
mai per altra donna mi lasciassi,
i'
poi che per altrui te non lasciava.
Se
in quella, con cui lieto ora ti passi
dismemorato
in festa ed allegrezza, 80
tanta
grazia e virtù forse trovassi,
tanto
piacere e tanto di bellezza
quanto
si trova in me, non stimerei
che
aver lasciata me fosse sciocchezza.
Ognora
più di ciò ti loderei: 85
ma
s'io ho ben la sua bellezza intesa,
certo
io son molto più bella di lei,
molto
per cui esser mi tengo offesa.
Ma
torna a me, ché tutto ti perdono,
e
la tua forza in bene ovrar palesa: 90
io
chieggio a te di grazia questo dono».
CANTO
XXVII
Mostravasi
ivi ancora effigiata
la
valle d'Ida profonda ed oscura,
d'alberi
molti e di frondi occupata,
ov'io
discernei l'inclita figura
di
quel piacevol bel pastor troiano, 5
per
cui Troia sentì l'estrema arsura.
Sol
si sedeva là nel loco strano,
davanti,
al qual Pallade, Giuno e Venere
erano
con bell'aurea palla in mano,
sanza
alcun vestimento, ignude, tenere, 10
bianche,
vermiglie, vaghe e dilicate,
che
a sol vederle ardendo venia in cenere.
E
a Paride diceano: «In cui biltate
di
noi più vedi, questo pomo d'oro
donalo
a lei, quando ci avrà' notate». 15
Dal
capo al piede mirava costoro
Parìs
e bella ciascuna tenea,
ma
qual più fosse non sapea di loro.
Ognuna
d'esse a lui ben promettea,
chi
senno, chi ricchezza e chi amore 20
di
bella donna, pur ch'a lei lo dea.
Non
ben sapeva essaminar nel cuore
ello
qual d'esse più biltate avesse,
né
qual ben si pigliar per lo migliore.
Nel
lungo essaminare infine elesse 25
Vener
più bella e diede il pomo a lei,
con
condizione ch'ella gli attenesse
a
farli avere in le sue mani lei,
cui
ella avea lodata per sì bella,
che
nulla vi era simile di lei. 30
A
cui pareva che rispondesse ella:
«Elena
trova intanto: col mio aiuto
i'
farò si che tua si sarà quella».
Costui
vid'io non lungi indi ascenduto
sovra
gran nave e dar le vele al vento 35
ed
esser tosto in Sparte pervenuto;
ove
disceso, nel suo cuor contento,
partito
Menelao per gir in Creta,
incominciò
a fornir suo intendimento.
Ma
dopo molte cose, quivi lieta 40
con
esso Elena bella e graziosa,
saliti
in nave, per li undosi freta
poste
le vele, sanza alcuna posa
tornava
a Troia, e quivi si mostrava
quanto
la vita lor fosse gioiosa. 45
Ivi
Enone ancor mesta lagrimava
il
perduto marito e con pietose
parole
invano a sé lo richiamava.
Là
Ifi e Iante con feste amorose
vedeansi
pria che maschio ritornasse 50
que'
che 'l suo sesso tanto tempo ascose.
Appresso
mi parea che seguitasse
la
bella Laodomia sospirando,
come
se del suo mal s'indovinasse,
raviluppata
né di sé curando, 55
Protesilao
di naturale cera
fattosi
pigner, lui raffigurando.
E
poscia a quello innanzi posta s'era
in
ginocchion, dicendo: «Signor mio,
s'io
ti sono amanza e donna vera, 60
leal
come dicesti, deh, fa ch'io
ti
veggia ritornar con quella gloria,
ch'io
l'arme tue presenti al forte iddio.
A
quei ch'anno mestier della vittoria,
lasciali
pria combatter, che 'l periglio 65
sì
fuggirai: ch'ognora ch'a memoria
viemmi
quel che già 'n alcun fier pispiglio
udi'
d'Ettòr, ch'a tanti cavalieri
contrasta
combattendo, ogni consiglio
in
me via da me fugge, e volontieri 70
nel
tuo partire ti vorrei aver detto:
«Fuggi
d'Ettòr li fatal colpi fieri».
Sola
mia gioia, solo mio difetto,
fa
sì ch'io sia del tuo ritorno lieta,
che
sanza te ben mai più non aspetto». 75
In
tal maniera quivi mansueta
si
stava Laodomia, alcuna volta
di
sospir e di lagrime ripleta.
Ov'era
ancora verso lei rivolta
Penelopè
aspettante il caro Ulisse, 80
che
dal fidel suo amor mai non fu sciolta.
Nella
qual io le luci avendo fisse,
fra
me pensava quanto fu il disire
di
que' che mai non cre' ch'a lei redisse.
Elio,
volendo del mondo esperire 85
varie
genti e cittati, passò il segno
dal
qual nessun mai potè in qua redire,
invano
usando forze, invan l'ingegno.
CANTO
XXVIII
Non
so chi sì crudel si fosse stato,
vedendo
quel ch'io qui vidi mirando,
per
pietà non avesse lagrimato.
Pareva
quivi apertamente quando
si
partì Dido in fuga dal fratello 5
verso
Africa, tollendo da lui bando;
aggiunta
dove poi, con saper bello
Cartagine
faceva edificare
con
maschile e non feminil cervello.
Ricever
poscia quivi ed onorare 10
Enea
con la sua armata si vedea,
con
accoglienza e pietà singulare.
Oltre
mirando, a lei po' mi parea
vederle
'n braccio il lampeggiante Amore,
come
già dissi, e Ascanio esser credea; 15
lo
qual basciando spesso, del suo ardore
gran
quantità prendeva occultamente,
tuttor
tenendol nel segreto core.
Eravi
poi sì come insiememente
costei
col bello Enea e con altri assai 20
a
caccia giva solazzevolmente,
rinnovando
ella in sé quel che giammai
più
non pareva a lei aver sentito
dopo
Siccheo, sì come ivi notai.
Il
chiaro viso co' bei modi unito 25
Enea
mirando con benigno aspetto,
vedeasi
or bianco, or rosso, or colorito.
Ma
pervenuti ad un folto boschetto,
lasciando
i cani a' cervi paurosi,
incominciaro
piacevol diletto. 30
Altri
cornavano ed altri animosi
correan
ai passi, e gridando faceano
i
cani con lor gridi valorosi.
Tutto
un salvaggio monte circueano
i
cacciatori, e 'n una valle oscura 35
rietro
Didone e Enea lasciati aveano.
Ed
ecco un vento allor fuor di misura
incominciò
a soffiar tanto rabbiato,
ch'al
ciel di nuvoi fece covertura.
Così
chiuso anche 'l monte in ciascun lato 40
di
tenebre parea, e con luce rietro
il
sole all'oriente ritornato;
hor
tuono orrendo, or fulmine e fulgetro
con
lampi in aria si vedeano ardenti
con
tal pioggia qual non fu unquanco adietro. 45
Enea
e Didon fuggian quindi correnti
in
scura grotta, e la lor compagnia
perduta
avean, di ciò forse contenti.
Ivi
parea che Dido ad Enea pria
dicesse
molte parole amorose, 50
dopo
le quali il suo disio scovria:
ove
po' Enea con risposte pietose
a
lei vedeasi, e lei 'n braccio tenere
e
fornir quello ch'ella gli propose.
Venuti
poi al lor real ostiere 55
ed
in tal gioia lungo tempo stati,
l'uno
adempiendo dell'altro il piacere,
in
quel luogo medesimo cambiati
vedeanosi
dell'uno i bei sembianti
e
dell'altro i voleri esser mutati. 60
Molto
affrettando Enea su' naviganti
vi
si vedeva, e poi per mar fuggire
le
vele date all'aure soffianti.
A
cui Dido parea di dietro dire
«Ah
dolce Enea, dimmi, che t'ho fatto 65
che
fuggendo disii il mio morire?
Non
è questo il servar tra noi quel patto
che
tu mi promettesti: or m'è palese
lo
'nganno chai coperto con falso atto.
Deh,
non fuggir! Se l'essermi cortese 70
forse
non vuoi, deh, vincati pietate
almen
de' tuoi, ché vedi quante offese
ognora
ti minaccian le gonfiate
onde
del mar, per lo 'nverno noioso
ch'ora
comincia con nevi gelate. 75
Qualunque
leggi che 'n tranquil riposo
hanno
li venti cessano, e ciascuno
esce
a sua posta e torna furioso.
Vedi
ch'ad or ad or ritorna bruno
l'aere
nebuloso e molti tuoni 80
e
lampi lo percuotono, e nessuno
impeto
surge ch'or non s'abbandoni
e
faccia danno; e tu col tuo figliuolo
ora
cercate nuove regioni!
Posati
adunque tu con il tuo stuolo, 85
lasciami
almeno apparare a biasmarmi
immaginando
'l mio perpetuo duolo:
e
poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi».
CANTO
XXIX
Rimirava
da poi Didone appresso
piagnendo
star sovra il funesto letto,
dov'era
già dormitasi con esso.
Maladicendo
sé, l'afflitto petto
pien
di spinose cure si battea, 5
per
rimembrarsi 'l perduto diletto.
In
atto ancor così dir mi parea:
«O
funereo letto nel qual fui
già
con Enea, u' tanta gioia avea,
oh
perché come qui ci avesti dui, 10
due
non ci tieni? perché consentisti
che
te giammai vedessi sanza lui?
Almeno
a questi membri lassi e tristi
porgi
con falsa immagine letizia
in
te quando gli colco, ove copristi 15
me
con colui insieme, che 'n tristizia
ora
mi fa senza cagion penare
per
lo suo inganno, per la sua malizia».
Oh
come trista poi rammaricare
là
la vedea con quella spada in mano 20
che
fé poi la sua vita terminare!
Rompendosi
le nere vesti invano
e
chiamando il suo Enea che l'aitasse,
si
pose quella al petto afflitto e insano:
e
poi sovra essa parve si lasciasse 25
cader
piagnendo e sospirando forte,
fin
che la spada il bel petto passasse.
Forata
allora, dolorosa morte
l'occupò
sovra 'l letto ove sedea:
ah
troppo a bel principio invida sorte! 30
Appresso
questa dipinti vedea
tanto
contenti Florio e Biancifiore,
quantunque
mai ciascuno esser potea:
tutto
il passato lor agro dolore
vi
era dipinto, degno di memoria, 35
pensando
a tanto suo perfetto amore.
E
dopo questa piacevole istoria
vi
vidi Lancelotto effigiato
con
quella che sì lunga fu sua gloria.
Lì
dopo lui, dal destro suo lato, 40
era
Tristano e quella di cui elli
fu
più che d'altra mai inamorato;
e
molti assai ancora dopo quelli
n'avea
ch' i' non conobbi, ché la mente
non
mi ridice bene i nomi d'elli. 45
Ond'io,
che 'n maggior parte la presente
faccia
compresa avea, ritornai 'l viso
a
quella donna più ch'altra piacente.
Nol
so, ma credol che di Paradiso
ella
venisse, come sovra dissi, 50
tanta
ha biltate, grazia e dolce riso.
–O
felice colui –, con gli occhi fissi
a
lei allor a dire incominciai,
–
cui tu del tuo piacer degno coprissi!
Ringraziato
sia per sempre mai 55
il
tuo Fattore, sì com'Elli è degno,
per
le bellezze rare che tu hai.
Se
un'altra volta il suo beato ingegno
ponesse
a far sì bella alma figura,
in
dubbio poneria il celeste regno, 60
e
da cui idea pigliasse la misura
e
così bel disegno e chiara luce
saprial
dir mal, vinto da dubbia cura –.
–
Con quanta gioia, credo, si conduce
ciascun,
di questi ch'è pien della grazia 65
di
quel – ricominciai, – che quivi è duce.
Oh
quanto è glorioso chi si spazia
ne'
suoi disiri mediante questo,
se
con vile atto tosto non si sazia!
Non
è già occulto ciò, poscia che presto 70
chi
più pena ha più oltre quel s'invia
a
volerne sentir, ben che molesto
dolendosi
altrui dica ch'ello sia:
dunque
se questo martire è soave,
la
pace che ne segue quanta fia? 75
Oh
quanti e quali già il tennero grave
ch'avriano
a collo via maggior gravezza
posto,
sappiendo il dolce che 'n sé have!
Invidiosi
alcun dicon stoltezza
esser
seguire con ragion quel stile 80
che
dà questo signor di gentilezza,
lo
qual discaccia via ogni atto vile:
piacevole,
cortese e valoroso
fa
chi lo segue e più ch'altro gentile.
Superbia
esclude, onde ciascun ritroso 85
nel
suo triunfo intervenir non puote:
indi
ogni dio gentile e ogni uom grazioso
vidi
seguir le sue triunfal ruote –.
CANTO
XXX
Volend'io
poner fine al raccontare,
che
troppo lungo il tutto dir saria,
indi
ritrassi gli occhi dal mirare;
a
quella donna allor mia guida pia,
che
dentro alla gran porta principale 5
mi
mise già, voltai la vista mia.
Lei
mirando, le dissi: – Oh quanto vale
aver
vedute queste varie cose
che
dicevate piene di gran male!
Or
come si porria più valorose, 10
che
sieno queste, mai per nullo avere
o
pensare o udir più meravigliose? –
Rispose
allor colei: – Parti vedere
quel
ben che tu cercavi qui dipinto,
che
son cose fallaci e fuor di vere? 15
E'
mi par pur che tal vista sospinto
in
falsa oppenion t'abbia la mente,
ed
ogni altro dovuto ne sia istinto.
Adunque
torna in te debitamente:
ricorditi
che morte col dubbioso 20
colpo
già vinse tutta questa gente.
Ver
è ch'alcun più ch'altro valoroso
meritò
fama, ma se 'l mondo dura
e'
perirà suo nome glorioso. 25
E
questa è simigliante alla verdura
che
vi porge Ariete, che vegnendo
poi
Libra appresso seccala ed oscura.
Null'altro
ben si deve andar caendo
che
quello ove ci mena la via stretta, 30
dove
entrar non volesti qua correndo.
Deh,
quanto quello a' più savi diletta
grazioso
ed etterno! ed io il ti dissi
quando
d'entrar pur quivi avesti fretta.
Or
dunque fa che più non istien fissi 35
gli
occhi a cotal piacer: ché se tu bene
quel,
qual si sia, con dritto occhio scoprissi,
aperto
ti saria che in gravi pene
vive
e dimora chiunche sua speranza
non
saviamente a cotal cose tene. 40
Tu
t'abbagli te stesso in tanta erranza
con
falso immaginar, per le presenti
cose
che son di famosa mostranza.
Ed
io, acciò che' vani avvedimenti
cacci
da te, vuo' che mi segui alquanto; 45
e
mosterrotti contra a quel ch'or senti,
mostrandoti
la gioia e 'l lieto canto
de'
tristi, che 'n tal cose ebben già fede,
cangiarsi
in brieve in doloroso pianto.
Potrai
veder colei, in cui si crede 50
essere
ogni poter di ben mondani,
quanto
arrogante a suo mestier provede,
or
dando a questo, or ritornando vani
ciò
che diede a quell'altro, molestando
in
cotal guisa gl'intelletti umani. 55
Per
quel potrai veder vero, pensando
quanto
sia van quel ben che' vostri petti
empie,
fuor di ragion, di mal nefando;
onde,
seguendo que' beni imperfetti
con
cieca mente, morendo perdete 60
il
poter acquistar poi li perfetti.
In
tal disio mai non si sazia sete:
dunque
a quel ben, che sempre altrui tien sazio
e
per cui acquistar nati ci sete,
dovrebbe
ogni uomo, mentre ch'egli ha spazio, 65
affannarsi
di gire. Ma oltre andiamo,
perché
già 'l luminoso e gran topazio
in
sulla seconda ora esser veggiamo
di
sopra l'orizonte, ed il camino
è
lungo al tempo brieve che noi abbiamo. 70
Ma
bene i' spero che 'l voler divino
ne
farà grazia, ed io così li chieggio,
ched
e' non ci fallisca punto, infino
entrarci
là lasciando, ove quel seggio
del
perfetto riposo è stabilito 75
e
per cui si conosce il mondan peggio –.
Poscia
ch'io ebbi sì parlar udito
a
quella donna, le risposi: – Andate,
nullo
mio passo fia da voi partito.
In
questo sol vi prego che m'aitate, 80
che
là dove 'l disio mi trasportasse
contra
vostro voler, mi correggiate –.
Ella
mostrò negli atti ch'accettasse
la
mia dimanda, e mossesi e rivolta
mi
disse allora ch'io la seguitasse. 85
Tutti
e tre insieme, avenga che con molta
fatica,
la seguimmo, e la cagione
fu
che quistionavamo alcuna volta
a
non voler seguir sua mostrazione.
CANTO
XXXI
Tosto
finio il suo camin costei,
che
di quel loco per una portella
in
altra sala ci menò con lei.
Ell'era
e spaziosa e d'arte bella,
piena
di vive e moventi pinture, 5
come
l'altre che sono avanti ad ella.
Oh
quanto quivi le belle figure
in
atti si mostravan variate
dall'altre
prime e non così sicure!
Color,
cui dissi, con gioconditate 10
pinti
erano e con ricchi vestimenti,
costor
con doglia e con avversitate.
Hai,
quanto quivi parevan dolenti
e
spaventati, qualunque vi s'era,
con
vili e poverissimi ornamenti! 15
Ivi
vid'io dipinta, in forma vera,
colei
che muta ogni mondano stato,
tal
volta lieta, tal con trista cera,
che,
sovra trionfal carro tirato
da
due fiere, ch'ogni color parea 20
d'altrui
pigliar il lor color macchiato,
horribile
in la fronte sol avea
li
capei volti, e a nessun priego fatto
e
sorda e cieca mai si rivolgea.
E
legge non avea né fermo patto 25
negli
atti suoi volubili e incostanti,
ma
come posto talor l'avea fratto:
volgendo
sempre ora indietro ora avanti
una
gran ruota sanza alcun riposo,
con
la qual dava or gioia e talora pianti. 30
«Ogni
uom che vuol montarci su sia oso
ascender
lì, ma quando io 'l gitto al basso
inverso
me non torni poi cruccioso.
Io
non negai ad alcun mai quivi il passo,
né
mia maniera per alcun mutai, 35
né
muterò, né 'l mio girar fia lasso:
venga
chi vuole». Cosi immaginai
ch'ella
dicesse, perché riguardando
le
vidi intorno molti de' mortai,
i
quai su per la ruota aderpicando 40
s'andavan
con le man non sanza ingegno,
fino
alla sommità d'essa montando.
Saliti
su parea dicesser: «Regno»;
altri
cadendo eri l'infima cornice
parea
dicessero: «Io son senza regno». 45
Indi
l'un tristo e l'altro ella felice
facea,
come la mia tenace mente,
la
qual non erra, ancora mi ridice.
Allor
rivolto alla donna piacente
dissi:
– Costei, ch'io veggio qui voltare, 50
conosco
i' per nemica veramente.
Tra
l'altre creature a cui mi pare
dover
più portar odio, questa è dessa,
però
ch'ogni sua forza ed operare
ell'ha
contro di me e opposta e messa: 55
né
prieghi, né saper, né forza alcuna
pacificar
mi può giammai con essa.
Ognor
nella sua faccia persa e bruna
mi
si mostra crucciata e sempre al fondo
di
sua ruota mi trasse fin da cuna, 60
gravandomi
di sì noioso pondo
che
levar non mi posso a risalire,
né
per ciò mi ritrovo mai giocondo –.
Ridendo
allora mi cominciò a dire
la
donna saggia: – E' tu se' di coloro 65
ch'alle
mondane cose hanno 'l disire?
a
quai s'ella donasse tutto l'oro
di
Pattolo e di Gange, pur avversa
riputarebber
lei al voler loro.
Torrotti
adunque di cotal traversa 70
oppenione,
e mosterrotti come
più
son beati quei che l'han perversa.
Il
dir Fortuna è vano, sempio nome,
il
posseder quel ch'ella dona è vano,
e
sanza frutto affanno se ne prome. 75
Odirai
come: se 'l mio dire istrano
è
dalla verità, conceder puossi
che
'l seguir vizio sia al salvarvi sano.
Solamente
da te voglio rimossi
sieno
i pensier fallaci, se procede 80
il
mio parlar con ver, sì che tu possi
intier
vedere come si concede
che
quel che più al vostro intendimento
aggrada,
più con gravezza vi lede –.
Allora
risposi io: – E son contento, 85
donna,
d'udir, acciò ch'ogni mio errore
io
riconosca, però ch'io chiar sento
nulla
tenere esser grave dolore –.
CANTO
XXXII
Incominciò
costei allora a dire:
–
Voi, terrestri animali, disiate
i
voler vostri tututti seguire
mediante
questa, la qual voi chiamate
Fortuna
bona e rea, secondo ch'essa 5
vi
dà e tol mondana facultate.
In
prima alcuni domandano ad essa
molta
ricchezza, credendosi stare
sanza
bisogno alcun possedendo essa.
Vaghi
son altri sol di poter fare 10
ch'avuti
sieno in molta riverenza,
e
tutti in ciò s'ingegnano avanzare.
In
alcuni altri aver somma potenza
par
sommo bene, e questo van cercando,
tanto
gli abbaglia la vana credenza. 15
Risplender
altri si vanno ingegnando
di
nobil sangue ed il nome famoso
o
in crudel guerra o 'n pace pia cercando.
Tal
è che crede l'esser copioso
di
venereo piacer, ch'è van diletto, 20
faccia
essere felice e glorioso.
Vogliono
alcuni, acciò che 'l lor difetto
del
non poter si rivolga in potere,
ricchezza,
e per poter porre in effetto
ogni
libidinoso lor piacere; 25
alcun
disia figliuoli, altri altre cose,
e
questo intieramente hanno in calere.
Se
forse una di queste hanno ritrose
al
lor volere, qualunque s'è quello
ch'alcuna
aver nell'animo propose, 30
incontanente
con il cor ribello
contra
questa si turba ed essa dice
nemica,
e forse fu defetto d'ello.
Intendi
adunque e vedi che felice
costei
non puote giammai fare alcuno, 35
posto
che del mondan sia donatrice.
Non
vedi non è, fu o serà nessuno
che
di ricchezza abondi, che non sia
d'ogni
riposo e diletto digiuno?
Continovo
nel cuore vi si cria 40
pensiero
e cura di poter guardarle,
macchiato
di nascosa tirannia.
Vedi
dunque ora che bene è a adunarle,
poi
che le insidie tutto 'l tempo teme
ed
in più quantità voler recarle. 45
Il
povero uom di tal cosa non geme
né
sonno perde di timor leggiero,
e
sol del viver suo 'l pensiero 'l preme:
alla
quale, a voler narrare 'l vero,
poco
li basta, ma quel ricco avaro 50
di
molto aver non ha il disir intiero.
Me'
puote ancora il ricco dar riparo
a
gran fami e a gran freddi, ben che puro
le
sente alcuna volta, o spesso o raro.
Or
quinci segue al pover che sicuro 55
vive
di non cader, né spera mai
che
caso fortunal li paia duro.
Ricchezza
adunque, quando avien ch'è assai,
più
fa indigente il suo posseditore,
con
più pensier, con più pena e più guai. 60
Colui
che vuol per dignitate onore,
vediam,
se la Fortuna gliel concede,
s'egli
avrà quello che disia nel core.
Or
non agli occhi di ciascun che vede
è
manifesto che si fan viziosi 65
sì
tosto come alcuna ne possiede?
Ma
se per quelle forse virtuosi
ne
ritornassero, i' consentirei
che
tutti voi ne fosti disiosi.
E
d'altra parte dignitate i rei 70
fa
manifesti, ed ogni lor mancanza
è
conosciuta più ch'io non potrei
né
parlar, né mostrar: dunque v'avanza
questa
se vi si mostra allor turbata,
quando
chiedendo state in tale erranza. 75
Beato
alcun si diceria se data
fosse
lor forse potenza reale,
non
conoscendo 'l mal di ch'è vallata.
E
questa podestà niente vale,
ch'ella
non può fuggir il duro morso 80
della
sollecitudine, che male
a
lei non faccia, né può dar soccorso
a
quel noioso e rigido tormento
che
di paura dà l'amaro sorso.
Togliendo
questa cotal reggimento, 85
pace
vi dona dove guerra avreste,
e
voi noi conoscete; onde, scontento
ogni
uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste –.
CANTO
XXXIII
–
La nobiltà del sangue altri a costei
domanda,
come se veracemente
procedesse
sì fatto don da lei.
Oh
quanto a domandare stoltamente
si
muovon questi, se l'operazioni 5
non
seguono il disir della lor mente!
Colui
che con perpetue ragioni
governa
il mondo come sol fattore,
esse
sol crea nelle sue regioni.
Ogni
anima che nasce con amore 10
è
iguale, ché ella si muove da Lui
vegnendo
lieta al generato cuore.
Considerando
dunque che Costui
sia
solo e falle egual, però vedemo
questo
così gentil come colui, 15
e
perciò manifesto troveremo
che
chi seguisse la diritta via
delle
virtù, come da Lui avemo,
l'un
come l'altro così gentil fia;
e
chi da questa torce si può dire 20
non
uomo rozzo, ma che fiera sia.
A
questi puo' tu dir che 'n gran disire
vien
d'esser forse tenuti gentili,
e
cercan ciò per lor vizi coprire.
Tieni
ora mente e vedi quanto vili 25
sien
lor dimande, ché, s'ella concede,
superbi
tornan dov'erano umili:
onde
da questo poi spesso procede
ched
elli scoppian niente tornando,
per
che, s'ella nol fa, via men gli lede. 30
Tratto
n'è alcun che con virtù operando
segue
tal lode, ché di questa mai
torglile
non potrà rota girando.
E
chi la vuole in altro modo guai
va
dimandando, e il modo gli è coperto; 35
e
se ben guardi tu te n'avedrai.
Né
ciò già lungamente è lor sofferto,
ché
degno guiderdon dalla giustizia
etterna
a lor in brieve è di ciò offerto.
Ed
alcun altri son che gran letizia 40
fanno,
quando costei concede loro
lussuriando
porre sua malizia
in
operazione; e di costoro
il
numero è infinito, i quai beati
si
tengon più quanto più a tal lavoro 45
libidine
gli reca, i mal creati;
e
se questo costei forse lor nega,
incontanente
ver lei son turbati.
S'ella
per caso copiosa spiega
tal
grazia a' domandanti, in aspra pena, 50
non
conoscendol essi, i tristi lega.
Vorriano
alcuni aver la borsa piena
per
poter comandar: oh quanto senno
poco
costor per via malvagia mena!
Or
credono che minaccevol cenno 55
faccian
le lor ricchezze: anzi 'l faranno
quegli
a cui per guardarle suggetti enno.
Già
veder puoi che i mortai poco sanno,
se
per aver delle cose mondane
consumansi
con non fruttuoso affanno. 60
In
brieve adunque queste cose vane
dispareno
qual vento, e dovereste
per
ciò tener le vostre menti sane,
ognor
veggendo quel ch'avien di queste,
come
partendo e tornando tal volta 65
l'anime
or vi fan liete, or vi fan meste.
Costei,
di cui parliam, s'a voi rivolta
con
tristo viso vi si mostra spesso,
veder
faravvi vostra speme stolta
(onde
'n tal mia ragion tutto aggio messo 70
quasi
il poter su'), e vi dovria allegrare
e
non porger dolor negandovi esso.
Nostro
verace ed util ragionare
troppo
si stenderia volendo intiero,
ciò
che dir si porria, d'essa parlare. 75
Di
quanto ho detto basti, e con sincero
giudicio
fa che 'l prendi, sì che forse
non
traggi error del mio lucido vero.
Ogni
parer che 'l rimirar ti porse,
di
là vedendo, caccia e quel disio 80
massimamente
che di lor ti morse:
fisso
mirando quello per che io
qua
dentro ti menai, fa che col viso
segui
ed il mio parlar col qual m'invio.
Ogni
mondan valor vedrai conquiso 85
in
termine assai brieve: fa ch'ascolti
e
che non sia dal tuo intender diviso
ciò
ch'io qui appresso ti dirò di molti –.
CANTO
XXXIV
Horribilmente
percuote costei –,
cominciò
ella a dire, – chiunque sale
su
la sua ruota fidandosi a lei;
onde
ciascun, ch'è qui, per cotal male
piagnendo
si rammarca, ed essa vedi 5
che
di tal pianto neente le cale.
Il
suo tenor pur segue, e vuo' che credi
che
rade volte aspetta 'l suo girare
quello
ch'è stato d'uno a' terzi eredi
venga,
ma con mirabile voltare 10
dona
a costui a quell'altro levando,
come
vedi un salir, l'altro abassare.
Intento
dunque quivi riguardando
tu
veder puoi quella città caduta
che
Cadmo fece, il bue via seguitando. 15
Potente
e grande, più ch'altra tenuta
era
ch'al mondo fosse, e tutta ad ora
di
pruni e d'erbe la vedi fronzuta,
ruvinati
gli ostier, né vi dimora
altro
che bestie salvatiche e fiere, 20
e
quanto fosse grande parsi ancora.
locasta
trista tu vi puoi vedere
ch'al
figlio moglie misera divenne,
ben
ch'avenisse senza il suo sapere;
e
vedi que' che questa tutta tenne 25
contra
'l voler del fratre, per cui questo
eccidio
miserabile n'avenne.
Giace
con lui in quel rogo funesto,
che
quivi vedi, il fratel, ch'ambidui
fu
l'uno all'altro uccider così presto. 30
Oltre
un poco più là vedi colui
che
sovra 'l mur da Giove fulminato
fu,
dispregiando ancor negli atti lui.
Con
questi vedi Adrasto allato allato,
con
gli altri regi che l'accompagnaro 35
a
quel distruggimento dispietato.
Vedi
Tideo là, vedi il pianto amaro
che
fer le meste ch'a più compimento,
in
ristoro del duol, si consumaro.
Non
t'è celato or quanto mutamento 40
dal
ben al mal fosse quel di costoro,
e
quasi fu 'n un piccolo momento.
Pon
mente poscia un poco dietro a loro:
Troia
vedrai ed il superbo Ilione,
ch'a
pena alcuna parte appar di loro. 45
Ora
non v'ha né tetto né magione,
ma
qual caduto e qual arso si mostra,
come
tu vedi, e sai ben la cagione.
Così
costei con cui le piace giostra,
sempre
abbattendo chi s'oppone ad essa; 50
ma
perseguiamo alla materia nostra.
Or
mira a piè della città depressa,
e
vedi quel che già ne fu signore
quando
da' Greci fu per forza oppressa:
Priamo
dico, il cui sommo valore, 55
la
gran ricchezza, la fama e l'ardire
di
molti figli e l'essaltato onore
raccontar
non porriesi mai né dire;
questa
arsa e' figli morti innanzi ad esso
tutti
gli vide avanti 'l suo morire. 60
Eccuba
trista puoi vedere appresso
per
doglia gir latrando come cane,
morte
chiamando, che l'uccida, spesso.
Similmente
anco di genti troiane
assai
vi vedi in lago sanguinoso 65
morte
giacer, d'ogni possanza vane.
Tra
gli altri puoi vedere 'l valoroso
ed
il forte Ettor; né li valse niente
contro
costei 'l suo vigor famoso.
Ivi
Parìs ancor vedi, igualmente 70
Troilo,
Polidoro e Polissena
cruentosi
giacere assai vilmente.
Agamennone
insieme e la sua pena:
poi
ch'è da Marte e Nettuno scampato,
vedi
che Egisto li dà strema cena 75
togliendoli
la vita, lui ingannato
dal
vestir fatto con froda fallace,
feminea,
ove fu dentro avviluppato.
E
vedi ancora il forte Achil che giace
morto
nel tempio; e poscia vedi Enea 80
che
Turno, il qual si credea stare in pace,
là
indi 'l scaccia –. E appresso parea
Serse
dolente e tristo nell'aspetto,
del
passare Ellesponto ancor piagnea.
Oh
quanto pien di furia e di sospetto 85
Atamante
teban, ch'uccise i figli,
quivi
parea, bagnando con dispetto
nelle
lor carni ancor i tristi artigli!
CANTO
XXXV
–
Tu puoi –, ricominciò la donna a dire,
–
veder quivi Alessandro, ch'assalio
il
mondo tutto, per velen morire;
e
non esser però pien suo disio,
ma
via più che mai fosse essere ardente, 5
e
in tal ardor, come vedi, morio.
Lo
qual fu quanto alcuno altro possente,
né
però mai l'avria costei lasciato,
s'ello
vivuto fosse, che vilmente
lui
non avesse in infimo voltato 10
della
sua ruota; ma quel che costei
non
fé, morte privollo d'ogni stato.
E
poscia appresso puoi veder colei
che
con Minerva combatteo qual stolta,
ch'ancor
del fallo suo par dica omei. 15
Come
la vedi qui tutta raccolta
ne'
suo' istracci, in ragnuol trasmutata
fu
dalla dea per la superbia molta.
Trista
appo lei rimira effigiata
la
sembianza di Dario, la quale 20
di
lieto aspetto in tristo par mutata.
Oh
come poco al presente li vale
essere
stato grande! anzi gli è noia
or
che si vede in disperato male.
Ài
poscia udito quanta immensa gioia 25
avesse
Niobè delli suoi figliuoli,
e
agual qui pare di dolor si muoia.
Guarda
più 'nanzi alquanto, se tu vuoli
altiera
e insuperbita lei vedere,
ancora
incerta di suoi tristi duoli; 30
lor
appo lei ad uno ad un cadere
morti
dintorno ancora vederai,
per
alterezza e suo poco sapere.
In
trista angoscia ed in amari guai
lei
vedi quivi ritornata umile, 35
senza
suo pro di sé piagnendo assai.
Appresso
vedi quel che con sottile
maesterio
dei padre uscì volando
del
Laberinto; ma tenendo a vile,
molto
superbo, ciò che maestrando 40
il
padre gli avea detto, per volare
troppo
alto, cadde, l'ali sue spennando.
Ora
sommerso misero ondeggiare
tu
il vedi là nelli salati liti:
questo
avien sol per consiglio sprezzare. 45
Riguarda
poi più là: vedi smarriti
il
fiero Cirro e Persio; ne' sembianti,
l'ardir
perduto, paiono inviliti.
Or
mira ancora a mano a man da quanti
uccelli
il corpo di Nabùch è roso, 50
temendo
'l figlio che per tempo avanti,
sorgendo
del sepolcro, furioso
non
ritornasse e lui cacciasse fuore
del
regno, ove viveva glorioso.
Ivi
non vedi, ancora il gran romore 55
che
fanno le figliole di Piero
voltate
in piche per greve dolore?
Veggon
sanza lor pro chiar or quel vero
ch'a
lor superbamente s'occultava
nel
lor parer fallace e non intiero –. 60
E
quivi appresso costei mi mostrava
Cartagine
in ruina, tutta accesa
d'ardente
fuoco che la consumava.
Riguardar
quella con sembianza offesa
mi
dimostrò la donna Scipione, 65
al
cui valor non poté far difesa.
Seguiva
con non poca ammirazione
Annibale,
turbato nell'aspetto
o
di quella o di sua distruzione.
In
abito dolente e con sospetto 70
quivi
Asdrubale ancora si vedea,
con
capo basso mirandosi 'l petto.
Là
similmente veder mi parea
la
distruzion dell'antica cittate
di
Fiesole, la qual tutta cadea. 75
Ivi
pareva la gran crudeltate
che
'l pistoiese pian sostenne pieno
per
Catilina, l'opre cui spietate
quasi
narrando non verrien mai meno,
avenga
ch'a ragion posto li fosse 80
nella
sfrenata bocca propio freno.
Vedevanvisi
ancora le percosse
che
Mario da Lucio già sostenne,
quando
la briga cittadina mosse.
A
quei così, come a colui n'avenne, 85
possa
avenir, che nelle città loro
a
suscitar battaglia metton penne,
lasciando
il comun ben per suo lavoro.
CANTO
XXXVI
–
Intento ora ti volgi a riguardare
la
vendetta di Dio, che non oblia
mai
fallo alcun che si debbia purgare.
Se
'n parer posto forse ad alcun fia
ch'ella
proceda sol con lento passo, 5
non
è così, ma quel troppo disia;
o
se va forse adagio al reo che lasso
aspetta
quella per la fatta offesa,
non
giova già, ché più greve fracasso
segue
per quell'indugio: sì compesa 10
al
fatto fallo, sì che igualemente
da
ogni parte la bilancia pesa.
Pon
mente là a colui che sì vilmente
veste
e si tien la mano alla mascella,
mostrando
nel sembiante esser dolente –, 15
incominciò
colei, – oh quanto fella
fu
l'aspra signoria che 'n Siracusa
tenne,
mentre per lui si guardò quella!
Nel
tempo avanti che li fosse chiusa,
tiranneggiando
fieramente in essa 20
senza
ricever mai priego né iscusa,
tenea
la gente sotto 'l piè sì oppressa,
ch'ognun
piagneva e dicer non osava
sua
voglia, per timor di piggior ressa.
Oh
come orribil li tiranneggiava! 25
e
'l fiero Dionisio fu chiamato
per
tal fierezza la qual egli usava.
Così
gli avenne che ne fu cacciato
con
tanta noia e con tanto furore,
ch'a
lui parve aver vinto esser campato. 30
Onde
fuggendo ad Atene, il dolore
mitigato,
pensò, per non morire
di
fame, farsi in lettere dottore.
Nol
vedi tu che là fa libri aprire
a'
fanciulli e col dito mostra loro 35
come
una lettra l'altra de seguire?
Poi
guarda avanti nel dolente coro,
e
vederai Tessaglia cruentosa
del
roman sangue e piena di gran ploro.
Or
fisso mira, e vedi isconcia cosa 40
tanti
uomini eccellenti e gloriosi
esser
sommessi a ruina angosciosa.
Simile
guarda come son macchiosi
gli
alberi là del sangue che portati
v'hanno
li piè delli uccelli gulosi, 45
i
quai prima si son ben satollati
de'
corpi morti, che senz'alcun fuoco
o
sepultura stanno ivi prostrati.
Fra
folti boschi o tane o altro loco
leon
né lupo né can par rimaso 50
che
non si pasca quivi o molto o poco.
Ondeggiar
vedi per il campo invaso
gonfiati
i fiumi, ed ispurnanti e rossi
di
sangue umano. ah doloroso caso!
Riguarda
là Pompeo co' volti dossi 55
che
fuggendo abbandona il campo tristo,
e
vedi ancor come a Lesbo posossi.
Se
poi rimiri, con sembiante misto
di
lagrime Cornelia accoglier lui
vedrai,
poi che sconfitto l'ebbe visto; 60
e
vedi ancor come quindi con lui
si
parte e vanne per mar in Egitto,
fra
sé pensando almanco che 'l re lui
dovesse
ivi ricever, per respitto
del
regno ch'ottenuto per lui avea: 65
voleal
ragion, ma 'l pensier non fu dritto –.
Avanti
mi mostrò, dov'io vedea
come
scendea di suo legno Pompeo,
perché
carico troppo li parea,
di
quello entrando 'n un che Tolomeo 70
per
il nefario Achilla con Fotino,
sotto
spezie d'onor, menar li feo.
In
quello già posato, ah fier distino!
i
traditori, alquanto indi lontani,
presero
lui, quasi al suo mal divino: 75
subito
il degno capo l'empie mani
tagliaroli
ed il tronco in mar gittaro,
e
quel al re portaron li profani.
Ivi
pareva ancora il duolo amaro
che
Codro fea vedendo privo il busto 80
del
capo, ch'ai Roman fu tanto caro.
Onde
dolente, povero e vetusto,
pigliato
quel con pietose maniere
di
notte e in picciol rogo poi combusto,
sotterralo
secondo il suo possere 85
nel
marin lito, ah troppo indegno scelo!
di
vil sabbion, ché piramidi altiere
il
suo sepolcro esser doveano al cielo.
CANTO
XXXVII
Vedevavisi
appresso quanto e quale
già
fosse stato Cesare, tenendo
primo
in la patria ufficio imperiale.
Oh
quanto poco questo possedendo
si
vedea gloriar! ché poi prostrato 5
tra'
senatori si giacea morendo.
lui
avendo essi già tutto impiagato
con
loro stili, e quello era il piggiore
cui
elli avea tra l'altri più onorato.
E
simile la rabbia e il gran furore 10
di
Neron si vedeva terminare
in
poco tempo con assai dolore.
Risplendea
ancora ciò di singolare
che
Giuba fece mai, ed ivi appresso
dopo
il salir il suo presto calare. 15
Tarquin,
Porsenna e Lentulo dop'esso,
Tullio,
Gallo ed Ovidio si vedieno
ed
altri molti, i quali con ispresso
riguardo
non mirai, perché già pieno
di
tal materia aveva l'intelletto: 20
tanti
cran ch'a ridirli i' verrei meno!
–O
beato –, diss'io, – quel che l'affetto
ad
altre cose pone e non a queste,
le
quali loro stato hanno imperfetto!
Più
vili ch'altre sono e più moleste, 25
piene
d'inganno e di pensier gravoso,
e
la lor fine è mortifera peste –.
Poi
mi voltai al viso grazioso
di
quella donna che m'avea condotto,
dicendo:
– Il mio voler, che fu ritroso, 30
ora
è tornato fermo, e già non dotto
che
questi ben terren son veramente
quei
ch'a' vizi ciascun mettono sotto.
Nessun
porria pensar che tanta gente,
così
famosa e di tanta virtute, 35
Fortuna
avesse oppressa sì vilmente.
Fosse
chi nol vedesse? o chi salute
omai
qui spererà, se non coloro
che
le vere ed etterne han conosciute?
Il
più far quivi sì lungo dimoro, 40
donna,
mi spiace: però giamo omai
dove
volete, e qui lasciam costoro.
Allor
ella rispose: – Ora t'è assai
aperto
che costei esser turbata
vi
dà salute e lagrimosi guai? 45
Ma
se tu fossi stato già altra fiata
così
disposto, come ora ti sento,
ambi
saremmo in capo alla montata.
Ma
poi che di seguirmi sei contento,
veduto
avendo le mondane cose 50
volubili
e via più vane che vento,
appresso
viemmi, ché le gloriose
ed
etterne vedrai. Ma non torniamo
onde
venimmo, per le 'mpetuose
tralciute
vie, ma di qua teniamo, 55
ché
picciola rivolta alla portella
prima
ci menarà, che noi vogliamo –.
Ora
si mosse questa ed io dop'ella,
di
quelle cose molto ragionando
ch'eran
dipinte nella sala bella. 60
Ognor
seguendo lei, così mirando
intorno
a me per veder ciò che vi era
e
nella mente ogni cosa recando,
sì
vi vid'io, per una porta ch'era
alla
sinistra mano, un bel giardino 65
fiorito
e verde qual di primavera.
–
Entriam –, diss'io, – là in quell'orto vicino,
se
piace a voi, ché ricreati alquanto
ripigliaremo
poi nostro camino –.
Là
dentro udiva feste con bel canto, 70
ond'esser
lì bramava tanto anch'io,
che
mai alcuno altri non bramò cotanto.
Mirandomi
allor dopo, vi vid'io
i
duo primier che dicean: – Che, non passi
dentro,
poiché ardi di vedere? – ed io 75
infra
me gia dicendo: «Se tu lassi
costei
per colà entro voler gire,
s'ella
non vien, chi guiderà tuoi passi?».
–
Oh –, cominciò costei allora a dire,
–
che credi tu che colà dentro sia? 80
troppo
ti volge ogni cosa al disire.
Facciam,
mentre avem tempo, nostra via,
ché,
come tu costà pinto hai veduto,
così
vi è dentro mondana vania.
Il
ver ch'ora davanti conosciuto, 85
secondo
'l tuo parlar, avevi tutto,
seguilo,
e non voler con non dovuto
operar
seguir danno e perder frutto –.
CANTO
XXXVIII
Cominciai
io allora: – A te che face
l'entrar
là dentro ed un poco vedere?
Io
verrò poscia là ovunque ti piace –.
–
Or veggio ben che tu ogni tuo parere
vuo'
pur seguir in ciascheduna cosa 5
e
fai quel che tu vuoli a me volere –.
Così
mi disse, e quasi dispettosa
soggiunse:
– Andiam, ché potrà sì seguire
che
quando forse tu in più perigliosa
angoscia
ti vedrai, vorrai redire 10
con
meco adietro e non esser forse ito,
ed
io ti lascerò col tuo disire –.
Non
fu il parlar suo allora da me udito
per
poco, tanto perché avea la mente
pur
al giardin verdeggiante e fiorito. 15
Tutti
quattro vi entrammo parimente:
tanta
gioia vi vidi, che ciò ch'io
mirai
dinnanzi via m'uscì di mente.
Ahi
quanto 'gli era bello, al parer mio,
quel
loco, per cui quanto era contento 20
dentro
da me l'ardente mio disio!
Rimirando
n'andava intorno attento
per
lo gioioso loco, scalpitando
l'erbette
e' fiori col mio passo lento.
Sì
con diletto per il loco andando 25
vidi
in un verde e piccioletto prato
una
fonte di magister mirando.
Io
m'appressai a quella, e d'intagliato
candido
marmo vidi assai figure,
ognuna
in diversa aria ed atto e stato. 30
Mirando
quelle, vidi le scolture
di
diversi color, come compresi,
qual
belle e qual lucenti e quali oscure.
Vedeasi
ivi un bel marmo; e quel sedesi
sovra
la verde erbetta, di colore 35
porpureo
tutto, e 'n su quella stendesi
in
piano e non di architettura fuore;
era
in misura una canna per verso,
quadro
ma basso e di vago splendore.
Sovra
ogni angol di quel nitido e terso 40
di
marmo una figura si sedea,
e
ciascheduna aveva atto diverso,
che
più meravigliosa opra facea.
L'una
di queste lì duo spiritelli
con
la sinestra a piè di sé tenea: 45
habituati,
parlando con quelli,
gli
aveva 'n un voler così recati,
ch'è
ciaschedun contento di quel ch'elli
all'altro
vedea 'n voglia; e colorati
eran
gli suoi vestir di vario e tale 50
color,
che non gli arei unqua avisati.
Nell'altro
canto, a man destra, ch'eguale
spazio
occupava, una donna vi stava
ad
ogni creatura disiguale.
Ella
nel capo suo quivi mostrava 55
tre
visi, e vestia vesti bianche e chiare:
come
di neve pura biancheggiava.
Là
vid'io poi nel terzo angolo stare
una
donna robusta tutta armata,
ogni
agro affanno presta diportare. 60
Parea
di ferro questa ivi formata
ed
era pur marmorea; e poi seguia
un'altra
sovra il quarto angol fermata.
Rimirando
colei ognun diria
che
d'oriental smeraldo fatta fosse, 65
in
vista dolce, mansueta e pia.
Or
quel che più al mirarle sì mi mosse
fu
un vaso porporino, grande e bello
cui
tutte sostenean con le lor posse.
Fermato
sovra loro, il bel vasello 70
più
del sanguigno marmo si splendeva
sopra
del verde e florido pratello.
Egli
era tondo, e 'n mezzo di sé aveva
fermata
una colonna piccioletta
che
di diamante in vista mi pareva. 75
Ritorto
in foglie, sopra quella eretta,
un
capitel vedeasi di fin oro,
fatto
di corinziaca arte perfetta;
e
sovra quel tre statue dimoro
faceano
ignude, e le spalle rivolte 80
erano
l'una all'altra di costoro.
Rideva
l'una in atto, ben che molte
lagrime
fuor per gli occhi ella gittasse,
che
poi nel vaso si vedean raccolte.
Bruna
era e nera; e poi che somigliasse 85
foco
pareva l'altra e d'una poppa
acqua
gittava; e la terza sopr'a sé
rampollava
anche, e bianca era non troppa.
CANTO
XXXIX
Oh
quanto bella tal fonte pariami
e
quanto da lodar, tal che giammai
di
mirarla saziato non sariami,
com'io
giù al basso al vaso riguardai,
dove
l'acqua cadea ch'era gittata 5
da
quelle tre, ch'istreme vi notai;
ove
conobbi aperto ch'adunata
era
da parte quanta ne gittava
la
biancheggiante donna effigiata.
Onde
uscia quella del vaso vi stava 10
un
capo d'un leon, che inver levante
con
picciol fiume il bel giardin rigava.
Tolto
di quivi e fattomi più avante,
ciò
che la donna vermiglia spandea
nel
vaso vidi fare il somigliante. 15
Rimirando
esso ancora vi vedea
di
tauro un capo figurato al vero,
dal
qual l'acqua adunata fuor scendea;
oltre
ver mezzogiorno il suo sentiero
tenendo,
mi parea che se n'andasse 20
anch'ei
rigando il piacente verziero.
Poi
parve che 'l disire mi tirasse
inver
la terza donna tutta nera
che
ridendo parea che lagrimasse.
Parevami
che come adunato era 25
suo
lagrimar nel vaso discendesse
di
lupo fuor per testa al veder fiera;
ove
girando l'occhio par vedesse
che
l'acqua rampollante se ne gia
or
qua e or là, né parea che tenesse 30
en
l'andar suo nulla diritta via:
ad
aquilon talor e ver ponente
scendendo,
non so dove si finia.
Ciò
che dal leon cade soavemente
dico
che corre, e sovra li suoi liti 35
d'erbe
e di fior fa 'l prato suo ridente.
Herba
non v'ha, né frutti che smarriti
temano
dell'autonno, ma tuttora
con
frutti, fronde e ramoscei fioriti
ivi
odorante prato vi dimora, 40
stellato
e pinto di variati fiori,
né
mai d'estate o verno si scolora.
A
que' 'l ruscello, che dal tauro fuori
cade
di bocca, similmente è bello
d'erbe
fiorite in mille bei colori, 45
ripieno
il lito suo d'ogni arbuscello
che
produr possa amabile verdura,
simil
di canti d'ogni soave uccello.
Odesi
alcuna volta en la pianura
le
tremol frondi risonar per vento 50
dolce
spirando da quell'aer pura.
Ogni
pratel di quel lito è contento
di
mutar condizione a tempo e loco,
secondo
c'ha vigore acceso o spento.
Rallegravisi
ogni animal in gioco 55
vago
scherzando, perché amore 'l stringe
sotto
sua forza sempre o molto o poco.
Ovunque
la natura più dipinge
la
terra di bellezza, ella a rispetto
di
questa è nulla che quel fiume tinge. 60
Così
veduto quel, con l'intelletto
al
terzo andai che fuor del lupo usciva:
ov'io
non vidi un albero soletto
o
altra pianta, la qual verde o viva
vi
sia, ma secca la pianura trista 65
biancheggiar
tutta all'occhio si scopriva.
Aveva
ben del fiumicel la lista
tinta
la terra d'un suo color perso,
che
quasi lo schifava la mia vista.
Mossemi
allora quindi, ed a traverso 70
presi
il sentiero per il bel giardino,
per
gir del tauro al fiumicello emerso.
E
quella donna con cui il camino
io
presi prima, disse: – S'el ti piace,
andiam
per questa via, ché più vicino 75
ne
fia 'l sentier che su ci merrà a pace.
Dove
tu vai, come tu hai veduto,
è
del ben transitorio e fallace;
del
qual se tu ti sei bene aveduto,
come
dicevi e come 'l tuo parlare 80
mostrava
che l'avessi entro veduto,
a
quel non guardaresti, ma anzi andare
il
lasciaresti come cosa vana
e
intenderesti al sol me seguitare.
Trae
di mente tua quello che insana 85
esser
la fa, gioviti quel ch'io dico,
e
per quel falla che ritorni sana:
e
non esser di te stesso nemico –.
CANTO
XL
La
donna mi parlava, ed io mirando
con
l'occhio andava pur ove 'l disio
mi
tenea fitto, non so che ascoltando.
Avea
davanti al mormorio d'un rio
su
verde riva assai donne vedute, 5
cui
rivedere in tal voglia venni io,
ch'io
dissi: – Donna mia, da mia salute
non
pensar più mi stoglia, a tempo e a loco
cercarò
d'operar la tua virtute;
ch'ora
di nuovo m'è nel cor un foco 10
venuto
d'esser là: però o tu vienci,
o
tu m'aspetta infin ch'io torni un poco.
In
qual parte vorrai poi insieme andrenci:
nostra
stanza fia poca veramente,
che
noi da veder quelle liberrenci –. 15
Oltre
m'andai, senza dir più niente,
co'
duo che mi traevano, e costei
quasi
sdegnata mi teneva mente
con
intentivo sguardo, ed io a lei;
sanza
dir nulla la vi pur lasciai, 20
o
bene o mal non so qual io mi fei.
Hor
oltre con costor tosto passai
in
su la riva del bel fiumicello
ov'eran
donne ch'io conobbi assai;
e
riguardando lor con occhio isnello, 25
qual
gia cantando e qual cogliendo fiori,
chi
sedea, chi danzava in bel pratello.
Bell'era
il loco e di soavi odori
ripien
per molte piante che 'l copriano
dal
sole e dalli suoi già caldi ardori, 30
e
cavalli di cui forti saliano
già
sovra la quarta ora, e 'n mezzo 'l segno
del
frisseo monton co' pie teniano.
Non
credo sia così sublime ingegno
che
intieramente potesse pensare 35
le
bellezze di quelle ch'io disegno.
Rimanga
dunque qui questo lodare,
sol
procedendo a' nomi di coloro
ch'io
vi conobbi degne di nomare.
Infra
quel bello e grazioso coro 40
di
tante donne, vidi una bellezza
ch'ancora
stupefatto ne dimoro.
Pietoso
Apollo, alquanto dell'altezza
del
tuo favor mi presta, o ver m'ispira
l'avida
mente con tua sottigliezza. 45
Omero
e Maro, e chi di lor più mira
descrizione
o di donna o di dea
mai
fece, è poca a quella che si gira
sovra
quel prato, ov'io vidi sedea
giovine
leggiadretta e tanto bella 50
ch'io
la pensai per fermo Citarea.
Inginocchiaimi
per volere ad ella
far
riverenza, ma poscia m'avidi
ch'era
mortale e somigliava stella.
Sallosi
Amor che i sospirosi gridi 55
del
cor sentì a così mirabil vista,
ch'io
nol so dir, ché non ho chi mi guidi,
e
s'io conforto pur l'anima trista
poi
che per gli occhi senti' il dolce raggio
di
tal bellezza, per oblica lista 60
in
lei mirando, sotto un verde faggio;
se
liber fosse 'l cor mio ch'altra guarda,
a
lei darial, né sarei men saggio.
Nel
viso che d'amor sempre par ch'arda
affigurai,
guardando con diletto, 65
che
costei era la bella lombarda.
Signor
etterno, ch'ogni nostro affetto
conosci
con tua intelligenzia vera,
di
lei formasti mai più bell'aspetto?
Essa
sopra la verde primavera 70
si
riposava con altre dintorno,
delle
quali il bel luogo ripien era,
faccendo
con la luce del suo adorno
e
bellissimo viso, riflettendo,
lì
più che non è altrove chiaro il giorno. 75
Rimirava
talor, fra sé ridendo
ver
me di me, ch'arso mi raccendeva
di
nuova fiamma ancora lei vedendo.
Udire
appresso questa mi pareva
cantar
tanto soave in voce lieta, 80
che
me di me sovente mi toglieva.
Così
a quel canto libera e quieta
tutta
la mente avea disposta,
allora
che con voce benigna e mansueta:
–
Troppa qui lunga dispendian dimora –, 85
i
duo mi disser; a' quai rivoltato
risposi:
– Andiam, se così vi pare, ora –.
Oltre
la via prendemmo per il prato.
CANTO
XLI
Oltre
passando tra' fiori e l'erbette,
di
rose, gelsomini e d'albuscelli
in
loco pien venimmo per vie rette;
fra
li quai canti d'amorosi uccelli
s'udivan
tali, ch'io mi saria stato 5
quasi
contento pur all'udir quelli.
Or
mirando più là nel verde prato,
donne
vi vidi una carola fare
a
un strano suono, ch'ivi una dallato
ritta
con atto bel scorsi formare; 10
io
non conobbi lei, posto ch'assai
bella
paresse a me nel rimirare.
Subito
innanzi all'altre riguardai,
ornata
quale a sua somma grandezza
si
convenia, pien d'amorosi rai, 15
esser
la rara e piacevol bellezza
di
Perigota, nata genitrice
dell'onor
di Durazzo e di sua altezza.
Ahi
quanto allor mi riputai felice,
non
tirando a mirar gli occhi da quella 20
che
per bellezza si può dir fenice!
La
qual non donna, ma Diana bella,
con
passo rado la menava attenta,
non
altrimente che si voleva ella.
Con
gli occhi bassi esser parea contenta 25
del
mio mirare in lei, che già sentia
come
d'altrui biltate si diventa.
Vaga
e leggiadra molto la seguia
la
ninfa fiorentina, al cui piacere
oppongon
quei, che non san che si sia, 30
nel
viso suo le grazie esser altiere,
onesta
andando e sì mansuetamente
ch'oltra
ragione entrai di lei 'n calere.
Dopo
essa, attenta al suono, umilmente
venia
la bella Lia che trasse Ameto 35
dal
volgar uso dell'umana gente,
in
cui vedeasi il cuor tutto quieto,
inghirlandata
di novella fronda,
con
vista dolce e sguardo soave e lieto.
Lì
dopo Lia, e bianca e rubiconda 40
quanto
conviensi a donna nel bel viso,
gentil,
onesta, leggiadra e gioconda,
era
colei di cui nel fiordaliso
il
padre dall'astuzia volpina
col
zio e col fratel di le' fu ucciso 45
con
molti della gente fiorentina,
li
quai rubaron lor; poscia, per merto,
ebben
più che 'l dover pace vicina.
Tra
tanto ben, quanto a' miei occhi offerto
era
'n quel loco, vidi poi seguire, 50
come
'l rammemorar me ne fa certo,
ognor
più belle e più conte nel gire
donne
altre assai, li nomi delle quali
io
non saprei di tutte ben ridire;
però
le taccio, ma con disiguali 55
passi
e maniere si movea ciascuna,
sì
come 'l suon ne porgeva segnali.
Onde,
mirando, certo ciascheduna
atta
a cotal bisogna lieta e presta
giudicai
fosse al tutto; e poscia ognuna, 60
ridendo
in sé, prendeva gioia e festa,
senza
mostrar negli atti ch'altra cura
le
fosse forse dentro al cor molesta.
Givansi
adunque su per la verdura
e
sovra i fior che nuovi produceva 65
ognor
per più onorarle la pianura;
e
talor quella che le conduceva
fino
alla bella fonte se ne giva
e
intorno ad essa in giro si volgeva,
sopra
tornando della chiara riva 70
del
fiumicello e poi nel pian girando
che
di diversi odori soave oliva.
Sempre
con l'occhio quelle seguitando
lento
io n'andava, e dentro l'intelletto
lor
gran bellezza giva immaginando; 75
e
di quelle prendea tanto diletto
in
me, ch'alcuna volta dottai ch'io
a
tal piacer non facessi subbietto,
a
mal mio grado, il vacillante mio
libero
arbitrio: ma pur si ritenne 80
con
ragion vinto il fragile disio.
Voltatomi
a que' due, allor mi venne,
ch'eran
con meco, dicendo ver loro:
–
Oh quanto a queste natura sovenne,
ogni
bellezza componendo in loro! 85
Beati
quei che son di grazia degni
fatti
appo quelle: io più d'ogni tesoro
l'estimarei
e via più de' persi regni! –.
CANTO
XLII
E
mentre ch'io n'andava sì parlando
con
questi due, ecco poi in l'altra parte
molte
donne gentili assai danzando.
Certo
non credo che natura ed arte
bellezze
tante formasser giammai, 5
quante
io ne' visi a quelle vidi sparte.
Tra
me medesmo men meravigliai,
ma
volto il viso a lor, come venieno
così
nella memoria le fermai.
Onde
mi par che quella, cui seguieno 10
danzando
a nota d'una canzonetta
che
due di quelle cantando dicieno,
raffigurando,
era una giovinetta
dell'alto
nome di Calavra ornata,
di
Carlo figlia vaga e leggiadretta, 15
reggendo
quelle alla nota cantata
con
volte degne e passi, a cotal danza,
come
mi parse, appresso seguitata
ivi
dall'alta ed unica intendanza
del
Melanense, che col Can lucchese 20
abbatte
di Cardona l'arroganza.
Nella
man della qual poi la cortese
donna
di quel cui seguita Ungheria,
bellissima
si fece a me palese:
graziosa
venendo, onesta e pia, 25
con
lieta fronte, in atto signorile,
fece
meravigliar l'anima mia.
Riguardando
oltre, con sembianza umile
venia
colei che nacque di coloro
li
qual, tal fiata con materia vile 30
aguzzando
l'ingegno al lor lavoro,
fer
nobile colore ad uopo altrui,
moltiplicando
con famiglia in oro.
Tra
l'altr'è nominata da colui
che
con Cefàs abbandonò le reti 35
per
seguitar il gran Mastro, per cui
i
tristi duoli e gli angosciosi fleti
fur
tolti a' padri antichi, e parimente
da
Lui menati su ne' regni lieti.
Appresso
questa assai vezzosamente 40
se
ne veniva la novella Dido,
di
nome, non di fatto veramente,
tenendo
acceso nel viso Cupido,
sposa
di tale che assai mal contenta
credo
la faccia nel marital nido. 45
Ed
il nome di lui di due s'imprenta,
d'un
albero e d'un tino, e il poco fatto
dal
suo diminutivo s'argomenta.
Costei
seguiva con piacevol atto
donna
che dei sussidio d'Arione 50
il
nome tien, quando suonò per patto.
Oh
quanto ella vorria, ed a ragione,
vedova
rimaner partenopea
di
tal c'ha nome da quel che menzione
l'agosto
dà ad Ascesi! E poi vedea 55
dopo
essa molte, le quai raccontare
per
più brieve parlar meglio è mi stea.
E
com'io dissi, ad un dolce cantare,
composto
in voce angelica e sovrana,
era
guidata, qual di sotto pare. 60
–
In chiunque dimora anima sì vana
che
suggetta non voglia essere a Amore,
da
nostra festa facciasi lontana.
L'immenso
e glorioso suo valore,
che
genera virtute e gentilezza, 65
a
ciascuna di noi disposto ha il core
a
sempre seguitar la sua grandezza,
e
lui servendo staremo in disire,
tanto
che sentirem quella dolcezza
ch'altrui
concede dopo 'l fier martire: 70
null'altra
doglia al suo bel dono è iguale,
poiché
per quello par dolce 'l morire.
Vita
ch'è senza amore nulla vale,
non
altrimente che se quella fosse
priva
di senso o di bruto animale. 75
In
quel disio adunque in che ci mosse,
quando
a noi fè sua signoria sentire,
a
sostener inforzi nostre posse.
Benigno
poscia facciaci fruire
suo
ben, che non ci paian le ferute 80
di
lui noiose e grave il sofferire,
in
cui consiste ogni dolce salute:
quando
paralli la dobbiamo avere,
diacila
tosto con la sua virtute –.
L'altre
poi tutte appresso, al mio parere, 85
rispondendo
diceano: – O signor nostro,
in
te si ferma ogni nostro volere,
tutte
disposte siamo al piacer vostro –.
CANTO
XLIII
Aveami
già quel canto e la bellezza
delle
giovani donne l'alma presa
e
tutta piena di nuova allegrezza,
tanto
ch'ad altro la mente sospesa
con
gli occhi non tenea, che non faceano 5
alli
raggi di lor nulla difesa ;
e
com'io loro alzai, vidi sedeano
donne
più là, sé quasi riposando,
che
forse fatta festa innanzi aveano.
Queste,
mentre io andava riguardando, 10
d'erbe
e di frondi tutte coronate
vidi
ed insieme d'amor ragionando.
Ver
è ch'ell'eran di maturitate,
di
costumi, di senno e di valore
e
di bellezza sommamente ornate. 15
E
volto verso là, quel primo ardore
della
bellezza dell'altre fu spento,
di
tutte, fuor che d'una, nel mio core;
sì
ch'io con passo mansueto e lento
a
quelle m'appressai come potei, 20
ed
a mirarle mi disposi attento.
Tra
l'altre ch'io prima conoscei,
fu
quella ninfa sicula per cui
già
si maravigliaron gli occhi miei.
Oh
quanto bella lì negli atti sui, 25
biasmando
assai le fiamme di Tifeo,
si
sedea ragionando con altrui!
mostrando
quelle per cui già perdeo
l'amato
sposo, in cieco marte preso,
allor
che tutto vinto si rendeo 30
in
Lipari lo stuolo, ond'elli offeso
col
bianco monte nel campo vermiglio
ne
fu menato, ond'ancora è difeso,
mutando
in chiusa dell'aureo giglio,
donde
doleasi, perché a lui riavere 35
non
valean preghi, denar, né consiglio.
Ove
costei così qui, al mio parere,
doleasi,
molto attenta l'ascoltava
giovine
donna con belle maniere,
simile
a cui nessuna vi ne stava, 40
per
quel ch'a me paresse, nel suo viso
che
di grazie e biltà pien si mostrava.
Sariesi
detto che di paradiso
fosse
discesa da chi intentamente
l'avesse
alquanto rimirata fiso. 45
E
come seppi, ella era della gente
del
Campagner che lo Spagnuol seguio
con
la cappa, col dire e con la mente,
a
sé faccendo sì benigno Iddio,
che
d'ampio fiume di sappienzia degno 50
si
fece, come chiar poi si sentio,
faccendo
aperte coi suo chiaro ingegno
le
scritture nascoste, e quinci appresso
da
Carlo pinto gì nel divin regno;
faccendo
sé da quella, in cui già empresso 55
stette
Colui che la nostra natura
nobilitò,
nomar, che poi l'eccesso
absterse
della prima creatura
con
la sua pena; e quivi coronata
della
fronda penea, con somma cura 60
raggiungea
fiori per farsi più ornata;
mostrandosi
tal volta assai pietosa
della
noia dell'altra a lei narrata.
Con
lei era colei ch'essere sposa
e
figliuola perdé quasi 'n un anno, 65
di
brun vestita, nel viso amorosa:
oggi
tornando dove i fabbri stanno
volcanei
e' miropoli e coloro
ch'ornan
di freno e di sella, all'affanno
me'
sostener l'animal, ch'al sonoro 70
percuoter
di Nettuno apparve fuori
nel
bel conspetto del celeste coro.
Ed
il bel nome che i gemmier maggiori
danno
alla perla è suo, il cui cognome
gli
Asini legan, di que' i guardatori. 75
Splendida,
chiara e bella era sì come
nel
ciel si mostra qual più luce stella,
di
vel sottil coperte l'auree chiome.
Valga
più ch'altra, si sedea con ella
un'altra
fiorentina in atto onesto, 80
di
biltà assai superiore a quella.
Ben
m'accorsi io chi era e che da' sesto
Cesare
nominato era il marito,
qual
chi 'l conosce il pensa a lei molesto.
Guardando
adunque nel piacente lito 85
costoro
ed altre che v'erano assai,
sentiva
ben da me mai non sentito,
in
guisa tal ch'io men maravigliai.
CANTO
XLIV
Era
più là, di donne accompagnata,
la
Cipriana, il cui figliuolo attende
d'aver
la fronte di corona ornata,
con
quell'onor ch'ad essa ancor si rende
dell'isola
maggior de' Baleari, 5
se
caso fortunal nol gliel contende.
Tra
le quali era, in atti non dispari
della
gran donna, un'altra tanto bella,
che
mi fur gli atti suoi più ch'altro cari.
Ognuna
quivi riguardava ad ella 10
per
la sua gran bellezza, ed io con loro
perché
già 'n me riconosceva quella.
Ella
è colei di cui 'l padre nell'oro
l'azzurro
re de' quadrupedi tiene
nel
militare scudo, e tra coloro 15
posata
stassi, come si conviene,
isposa
d'un che la fronzuta pera
d'oro
nel ciel per arme ancor ritiene.
E
con queste a seder bellissim'era,
simil
nel viso a una celeste dea, 20
la
sposa di colui che la rivera
rosseggiar
fé di Lipari, eolea
isola,
poi togliendo in guiderdone
l'amiraglia
da chi dar la potea.
Con
esse queste ancora ad un sermone 25
conobb'io
quella che fu tratta al mondo,
onde
fuggita si era in religione,
honesta
e vaga nel viso giocondo,
moglie
di tal che me' saria non fosse:
ma
chi sia più non mosterrò del fondo. 30
E
l'altre oltre mirando, mi percosse
un
non so che, che tutto quasi smorto
subito
altrove gli occhi e me rimosse.
Venendo
così men senza conforto,
tremando
tutto, mi ritorna' a mente 35
ch'io
vidi 'n una parte di quell'orto,
onesta,
bella, altiera umilemente,
una
donna sedere il cui aspetto
tutto
dintorno a sé facea lucente.
In
questo alquanto nel tremante petto 40
con
forza ritornò l'alma smarruta,
vigor
rendendo al debite intelletto.
Così
mi ricordai che già veduta
avea
costei fra quelle donne prima
e
'n altra parte ancora conosciuta. 45
Onde
se sua bellezza la mia rima
al
presente perfetta qui non dice,
è
sol perché troppo alta esser l'estima;
sentendo
l'alma mia ch'uomo felice
mirando
quella dovria divenire, 50
altro
che 'l lei mirar mi contradice.
Tenendo
mente lei, sommo disire
d'entrar
mi venne dentro a quel splendore
che
detti suoi bei occhi vedea uscire;
e
'n ciò pensando subito nel core 55
punger
sentimmi, e quasi in un momento
mi
ritrovai nel splendido folgore.
Ivi
pareami al tutto esser contento,
e
quasi tra me stesso non credea
che
mio fosse sì nobile ardimento. 60
Ma
l'esser ivi stato mi parea
tanto
che quattro via sei volte il sole
con
l'orizonte il ciel congiunto avea.
E
come nell'orecchia talor suole
subito
dolce suon percuoter tale 65
che
quello udendo poi le piace e vuole,
così
mi venne un suono aspro, cotale
che
spaventommi con piacente scorno,
né
mi fé già, ben ch'io temesse, male:
–O
tu –, dicendo, – che nel chiaro giorno 70
godi
del lume della luce mia,
ch'a
te vago si raggia intorno intorno,
non
ischernir con gabbo mia balia,
né
dubitar però per mia grandezza,
la
qual umil, quando vorrai, ti fia. 75
Onora
con amor la mia bellezza,
né
d'alcuna altra mai più ti curare,
se
tu non vuoi provar mia rigidezza –.
Sentimmi
poi del petto il cor sottrare
e
con gli aurei suoi crini ligar esso, 80
e
poi ligato in me quel ritornare.
Così
mi parve, se bene in me stesso
ricordo,
che costei dicesse: ond'io
risposi:
– Donna, a te tutto sommesso
io
sono e sarò sempre, e ciò disio –. 85
CANTO
XLV
A
tal partito nel beato loco
standomi
allora, mi senti' nel core
raccendere
più ardente questo foco,
tal
ch'io pensai ch'esto novello ardore
oltre
il dovuto modo mi tirasse, 5
tal
nel principio suo mostrò furore.
E
'l cor, che ciò pareva che pigliasse
a
sé, l'incendio, quantunque ristesse,
fuor
di ragion dentro di sé ne trasse,
E
così stando parve che paresse 10
questa
donna gentile a me venire
e
aprirmi il petto, e dentro poi scrivesse
là
in mezzo 'l core, posto a sofferire,
il
suo bel nome di littere d'oro
in
modo ch'indi non potesse uscire. 15
La
qual, non molto dopo gran dimoro,
nel
mio dito minore un anelletto
poneva
tratto del suo bel tesoro;
al
qual pareami, se ben l'intelletto
comprender
poté, ch'una catenella 20
fosse
legata, che perfino il petto
si
discendeva della donna bella
passando
dentro, e con artigli presa,
com'ancora
dur scoglio, tenea quella.
Oh
quanto da quell'ora sin qui accesa 25
fu
la mia mente del piacer di lei,
che
mai sinor non era stata offesa!
Moveami
questa ove pareva a lei
co'
suoi begli occhi, e sol pensando andava
com'io
potessi piacere a costei. 30
Infra
quel circuito che occupava
la
luce sua, quasi come inretito,
a
forza a rimirarla m'ingegnava.
Gravoso
mi parea l'esser ferito
e
molte fiate lagrime ne sparsi, 35
non
potendo patir l'esser partito
là
onde quella soleva mostrarsi
agli
occhi miei gentile e graziosa,
e
più nel cuor sentia 'l foco avamparsi.
Io
non trovava nella mente posa, 40
sì
mi strigneva pur di lei vedere
la
mente ardendo di sì bella cosa.
Adunque
seguitando 'l mio volere,
dovunque
gia costei, così tirato
parea
ch'io fossi dal suo bel piacere; 45
ma
certo Amor in ciò m'era assai grato,
sol
che 'l disio non fosse oltre misura
nell'amoroso
cor troppo avampato.
Ognora
che la sua bella figura
vedere
i' disiava, Amor facea 50
di
ciò contenta la mia mente scura,
rendendo
lei umil quando volea.
E
questo più m'accendeva, vedendo
che
'l mio disir adempier si potea,
né
per lei rimaneva ma, sentendo 55
forse
maggior periglio, consentia
ch'io
davanti le stessi piagnendo,
e
graziosa mostrandosi e pia
verso
di me, con sua benignitate
in
conforto tenea la mente mia. 60
Lungamente
seguendo sua pietate,
ora
in avversi ed ora in graziosi
casi
chieggendo la mia voluntate,
sollicito
del tutto mi proposi
di
pur sentire l'ultima possanza 65
c'hanno
in lor chiusa i termini amorosi.
Ver
è che molto prolissa speranza
mi
tenne in questa via, non però tanto
che
'l mio proposto gisse 'n oblianza.
Alla
seconda con sospiri e pianto, 70
quando
con festa, sempre seguitai
il
mio proponimento, insino a tanto,
sottilmente
guardando, m'avisai
che
la donna pensava terminare
con
savio stile i disiosi guai. 75
Però
alquanto lasciai quel mio pensare
dicendo:
«Tosto credo proveduto
fia
da costei al mio fier gran penare.
Ella
ha ben ora tanto conosciuto
del
mal mio e dell'ardente mi' disio, 80
ch'io
penso che di me li sia incresciuto».
Così
fra me mi gia ragionando io,
pur
aspettando che la sua grandezza
alquanto
s'inclinasse 'l dolor mio
torre
a volere con la sua dolcezza: 85
la
qual l'anima mia più ch'altra brama
e
'n sé più ch'altra alcuna onora e apprezza;
onorandola
ognor quanto più l'ama.
CANTO
XLVI
Tenendo
me il valore di colei
dentro
sua luce in tal modo constretto,
sempre
con l'intelletto volto a lei,
avendo
spesso dolore e diletto,
riposo
e noia con speranza assai, 5
or
tema or gelosia senza sospetto,
non
sappiendo a che meta i dubbi guai
dovesser
pervenire, un poco appresso
inver
suo bel conspetto mi voltai.
Tratto
un caldo sospiro e con sommesso 10
parlar
le chiesi ch'al mio fier dolore
fine
porgesse, qual doveva, adesso,
ognor
servando quel debito onore
che
si conviene a' suoi costumi adorni,
di
gentilezza pieni e di valore. 15
Cinque
fiate tre via nove giorni
sotto
la dolce signoria di questa
trovato
m'era in diversi soggiorni,
allora
ch'io senti' che la molesta
pena,
che m'era in mezzo il cor durata 20
convertir
si doveva in lieta festa.
La
vesta mia, per ciò da me levata,
in
parte più profonda del verziere
lasciando
tra le folti erbe appiattata,
con
gioia mi pareva di vedere 25
tra
le mie braccia la donna pietosa,
e
con soavi basci possedere.
Vinceva
poi sì la gioia amorosa
l'anima,
che la lingua stando muta
del
cor non palesava alcuna cosa, 30
né
mover si poteva, ma l'aguta
voglia
di star dov'esser mi parea
facea
parermi falsa tal paruta.
Dond'io
fra me sovente allor dicea:
«Sogni
tu o ver sei qui, come ti pare?». 35
«Anzi
ci son», fra me poi rispondea.
In
cotal guisa spesso a disgannare
me
quella donna gentile abbracciava
e
con disio la mi parea basciare,
fra
me dicendo ch'io pur non sognava 40
posto
che mi pareva grande tanto
la
cosa, ch'io pur di sognar dubbiava.
E
se per parangon volessi quanto
fu
la mia gioia porre, essempio degno
non
crederei trovar; ma dopo alquanto, 45
con
quel piacere 'l qual quivi disegno,
che
dir né immaginar mai si porria
da
alcun per forza di mortale ingegno,
tratto
un sospiro, graziosa e pia
la
donna verso me disse: – Ora dimmi, 50
come
sei qui venuto, anima mia? –.
Ond'io
a lei: – Poscia che Amore aprimmi
gli
occhi a conoscer la vostra biltate
a
cui io per mia voglia consentimmi,
nel
regno della vostra potestate 55
entrato
con affanni e con sospiri,
sempre
sperando en la vostra pietate,
ò
lui pregato che alli miei martiri
dia
fine grazioso, ed ei menato
m'ha
per fin porre a' miei lunghi disiri. 60
Nel
giardin là ver è ch'io ho lasciato
stare
una donna, la qual lungamente
prima
m'avea benigna accompagnato
venendo
quivi –: e non lasciai niente
a
dir a lei e di quelli duo ancora 65
con
cui io venni quivi similmente.
Alquanto
stette quella donna allora
sospesa
in atto, né so che pensando:
e
poi, non dopo molta gran dimora:
–
Andrai –, mi disse, – la donna cercando, 70
e
lei seguisci però ch'ella è quella
che
'n dritta via ripone chi va errando.
Ciò
ch'ella vuol, vuo' facci, fuor che s'ella
mi
ti volesse far di mente uscire:
in
ciò tal voler suo dal tuo si svella. 75
Humiliati
poi 'n tutto al suo disire
e
portar me nel cor non ti sia grave,
che
ben te ne vedrai, credo, seguire.
Io
te ancor porto in me, e così soave
m'è,
che per pace corro a tua figura 80
quando
gravezza alcuna il mio cor have.
Giammai
non fu né serà creatura
che
tanto mi piacesse: e vivi lieto
di
ciò tenendo l'anima sicura.
Io
t'ho fatto al presente assai quieto 85
il
gran disio con amorosa pace,
dandoti
l'arra che finisce il fleto:
adunque
oramai va quando ti piace –.
CANTO
XLVII
La
donna tacque allor, ed io congedo
presi
in un atto in me molto contento
e
in altro più dolente che mai, credo,
ver
quella parte ritornando lento
dov'io
aveva la donna lasciata, 5
che
fu mia guida nel cominciamento.
I'
gia pensando con fronte bassata
a
quel felice ben ch'avuto avea,
e
doleami di sì corta durata.
Di
più disir ancora mi parea 10
tutto
arder dentro nel trafitto cuore
via
più che nel principio non facea;
e
diceva fra me: «Deh, se l'ardore
ora
non manca, non credo che mai
egli
più m'esca della mente fuore. 15
Avuto
ho quel che già più disiai:
deh,
che cercherò io per mia salute?
chi
stuterà cotal fuoco oramai?
La
volontà che d'Amor le ferute
mi
porsero, non che sia in me finita 20
ma
più cresciuta è sua viva virtute».
Tra'
fior e l'erba con vista smarrita
n'andava
in me in cotal guisa pensando,
e
sprezzando e lodando la mia vita.
Riguardandomi
a' piedi, così andando, 25
mi
trovai alla fonte non avendo
veduto
quelle donne festeggiando;
e
'l viso alzai, me stesso riprendendo
del
perduto diletto, e ver me vidi
quella
donna venir cui io caendo 30
fra
quel giardino andava. – Ove ti fidi? –
ver
me diss'ella, e con le braccia aperte
mi
prese, e: – Non cre' tu che io ti guidi
in
qual parte vorrai? perché perverte
tua
volontate il mio consiglio vero, 35
per
vanità lasciando cose certe? –.
Allor
risposi: – Madonna, sincero
m'è
il tuo mostrar tornato di colei
grazia
che m'ha disposto a tal sentiero.
Tu
verrai, se ti piace, infino a lei, 40
e
quivi tanto insieme addimorremo
quanto
piacer serà di te e di lei;
e
poscia insieme tutti e tre n'andremo
dove
vorrai, ch'io credo di segnare
sotto
'l piacer di lei il giorno istremo –. 45
Ed
ella allora: – Il tuo addimandare
è
d'ogni ordine fuora, ché io so bene
quel
che tu vuoi che io vi venga a fare.
La
donna meco assai più si convene
che
tu non fai: dove menar mi vuoi 50
e
ben conosco qual disio ti tene.
Vieni
con meco e a lei andremo poi –.
–Ma
andiam là –, risposi io, in prima, ed essa
insieme
menerem con essi noi.
Non
ci è bisogno d'aver sì gran pressa: 55
ancora
'l sole al cerchio di merigge
non
è, ed il nostro andar però non cessa –
Disse
ella allor: – Io so che ti trafigge
di
lei il piacere e non ti puoi partire,
però
pur qui tua volontà si figge. 60
Ed
io, se in questo è così il tuo disire,
seguir
ti vuo': tu giurerai di fare
il
mio volere ed altro non seguire –.
La
mia risposta fu: – Non comandare
ch'io
non ami costei, ogni altra cosa 65
al
tuo piacer mi fia lieve osservare.
La
qual s'io per terrestre e furiosa
voglia
fruire amassi, in veritate
con
dover ne saresti crucciosa;
anzi
con quella vera integritate 70
ch'ogni
razionale amar si dee,
amo
ed onoro la sua gran biltate;
la
qual, sì come manifesto v'ee,
non
trova par né 'n senno né 'n bellezza,
per
cui ergo la mente all'alte idee –. 75
–
Tu hai –, mi disse quella con dolcezza,
–sì
presa me pur di voler vedere
costei,
cui donna fai di gentilezza
real
posseditrice, che potere
non
ho sanza vederla d'ire altrove 80
né
di negarti il giusto tuo piacere.
Or
dunque insieme ce n'andiam là dove
tu
l'hai lasciata, e veggiam manifesto
se
quello è vero a cui 'l tuo dir mi muove –.
Subitamente
ragionato questo 85
insieme
ci movemmo e nel conspetto
venimmo
di colei, che 'n atto onesto
incontro
venne a noi con lieto aspetto.
CANTO
XLVIII
Graziosamente
si fecero onore
quivi
insieme le donne, ed in brieve
l'una
dell'altra conobbe 'l valore.
–
Ora mi fia –, la prima donna, – lieve –,
ver
me rivolta disse, – farti quella 5
grazia
che per addietro m'era grieve.
Dolce,
cara e benigna mia sorella
tengo
costei, e s'tu m'avessi detto
di
quella il nome, già saremmo ad ella,
egli
è gran pezza, venuti al conspetto. 10
Costei
sanza fidel consiglio mio
non
ferma fatto né compon suo detto:
dunque
per tal essempio il tuo disio
raffrena
e segui il verace piacere,
il
qual più volte tho già mostrat' io. 15
Intiero
fa che servi suo parere,
ché
onor, non util, men porrà seguire,
però
ch'ella non passa il mio volere –.
Lei
prese poi per mano e così a dire
incominciò:
Figliuola di virtute, 20
cui
questo qui del tutto vuol servire
ognor
con più disio per sua salute
(e
che sia vero ogni altra ha abbandonata
per
sol servirti con lode dovute)
ringrazi
ello ancor cui ha essaltata 25
nel
mio conspetto, tanto che giammai
nulla
è, né fu, né fia mai sì lodata.
Ond'io
ciò udendo allor, m'immaginai
che
fuor che tu altra esser non potea,
e
però seco quivi m'inviai –. 30
Ove
poi per la destra mi prendea
e
davami a costei, poscia dicendo,
che
la sua e la mia mano in man tenea:
–
Non ebbe questi mai fren che tenendo
andasse
in modo buon sua giovinezza, 35
se
non quel ch'io di porgergli ora intendo,
drizzando
lui ver quella somma altezza
onde
tu discendesti a dimostrare
alli
mortai l'angelica bellezza.
Indi,
per ciò ch'ogni servigio a fare 40
io
tel conosco fido e molto presto,
per
la fé che mi de' ti vuo' pregare,
ogni
cagion rimossa via da questo,
ti
sia quanto più può raccomandato,
reggendo
lui col tuo parlar onesto 45
là
però dove sia onorevol stato
di
lui e tuo e suo contentamento,
in
guisa che non siemi unqua disgrato.
Io
'l ti dono tutto, io 'l ti presento:
sempre
sia tuo, né ello giammai sia ardito 50
di
sé partir dal tuo comandamento –.
E
poi rivolta a me mi disse: – Udito
hai
ch'io t'ho dato a questa: fa che 'n guisa
la
servi che 'l mio don le sia gradito.
Tiella
per donna, né giammai divisa 55
sia
da lei l'alma tua sin che partita
non
sia, dal velo terrestre dicisa.
Or
quivi alquanto per questa fiorita
campagna
dolcemente sì ti posa,
che
sii poscia più forte alla salita 60
dove
menarti intendo, e la gioiosa
donna
con noi, acciò che tal la via
per
lei ci paia a ciascun dilettosa –.
I'
dissi allor: – Madonna, così sia!
se
tal grazia mi fai, quanto ti piace 65
a
tal camin con essi noi t'invia.
Manifesto
conosco altro che pace
io
non potrei aver, po' ch'esta vene
che
nel mio cor per sol conforto giace,
ond'io
già sento alleggiar le mie pene. 70
Dio
faccia ch'ella ci stia lungamente,
con
allegrezza del superno bene! –.
Ridendo
e festeggiando insiememente
sovra
l'erbette lieti n'andavamo
e
d'amor ragionando dolcemente. 75
Ora
innanzi or adietro tornavamo,
e
talora cogliendo erbette e fiori
in
bel soggiorno il tempo passavamo,
rinovando
con gli occhi più li ardori
degli
animi, e per la soave riva 80
di
varie violette pien d'odori.
Essa
letizia via più m'aggradiva,
ché
cercavamo ogni bosco soletti
senza
la donna ch'adietro veniva.
N'andavan
tali prendendo diletti, 85
tanto
che quella, entrati in chiuso loco,
più
non vedemmo; ove: Ciascun s'assetti –,
dicemmo,
– quivi: ora aspetti ella un poco –.
CANTO
XLIX
Era
quel loco, ove ci trovavamo,
soletto
tutto, né persona appresso
da
nulla parte a noi ci sentivamo.
Tutto
dintorno ed ancora sopra esso
era
di frondi verdi il loco pieno, 5
per
cui tutt'era d'ombra soave spesso.
Entrar
non vi potea sol né sereno
di
gelsomini e rose circuito,
e
d'odorifer cedri e aranci ameno.
Allor
vedendo il dilettevol sito 10
e
me con quella dimorar soletti
e
d'ogni altra compagna esser partito,
là,
fra me dissi: «I' non so ch'io m'aspetti:
perché,
poi che qui sono, ora non prendo
di
questa i tanto affannati diletti? 15
Lo
loco ov'ora dimoriam sedendo
è
di, sospetto fuor, né mai trovarci
quella
potria che ci venia seguendo,
ed
altro già non credo che impacciarci
potesse:
costei vuole ed io il disio, 20
dunque
perché cercar più d'indugiarci?».
In
cotal ragionar m'accostai io
a
quella, che distesa sull'erbetta
addormita
era al mormorar d'un rio:
lei
nelle braccia allor mi reca' istretta, 25
e
mille fiate credo la basciai
pria
si svegliasse la bella angioletta.
Ma
sbigottita alquanto a dir: – Che fai? –
incominciò
svegliata, – deh, non fare!
se
quella donna vien, come farai? –. 30
Ed
io allora cominciai a parlare:
Donna,
non so quando unqua i' mi riavessi
quel
che mi vuoi far ora tu lasciare.
Ragion
sarebbe ch'io sempre piagnessi,
se
per pregar che non si può ottenere 35
quel
chor possedo vilmente perdessi –.
Indi
ivi per cotal dolci maniere
già
questa bella donna stava cheta,
consentendo
umilmente, al mio piacere
tutta
disposta, quando l'alma lieta 40
di
cotal bene tanta gioia prese
in
sé, che ritener dentro a sua meta
allor
non poté, ma il bel sonno offese
là
dove io facea sì dolce dimora,
per
che si ruppe e più là non s'istese. 45
Tutto
stordito mi riscossi allora
e
strinsi a me le braccia, e mi credea
madonna
in mezzo d'esse avervi ancora.
Oimè,
quanto angosciosa e quanto rea
mi
fu cotal partita, e quanto caro 50
mi
fu 'l dormir mentre 'n braccio v'avea!
Ahi
come ritornommi in duolo amaro
quel
diletto che 'l sonno m'avea porto,
ch'agli
agri affanni dato avea riparo!
Lasso,
angoscioso e senza alcun conforto, 55
levato
su dintorno mi mirava
pensando
stare ancor nel florido orto.
La
fantasia non so come m'errava,
ché,
mentre avea sognato, mi credeva
sogno
non fosse e ver esser stimava. 60
Or
fuor di me ben sognar mi pareva,
che
lungo spazio non seppi ove i' m'era
né
vero sentimento in me riaveva.
Ritornato
ch'io fui poi nella vera
conoscenza
di prima e lagrimato 65
io
ebbi alquanto in la parte primera:
«Oimè»,
dicendo, «dove or son io stato
con
tanta gioia? Or fosse a Amor piaciuto
che
da quel sonno mai fossi destato,
e
'n cotal gloria sempre sarei suto! 70
Pur
mi fora ancor leggieri 'l dormire
se
più tal don mi fosse conceduto.
Pianto
ed angoscia e noioso martire
di
ciò mi crebbe, e moltiplicò 'l foco
in
me via più d'amoroso disire, 75
il
quale io sento ad or ch'a poco a poco
tutto
mi sface; e già saria finita
la
vita mia, se non che ad esso loco
veracemente
spero che reddita
ancor
farò con essenzia perfetta, 80
prendendo
quella gioia ben compita
nella
qual stetti mo', che fu imperfetta
dormendo.
E questo l'amorosa mente
solo
disia e fermamente aspetta,
ov'esso
Amor, che di tutto è potente, 85
mi
rechi e servi nella vostra grazia,
dolce,
soave, leggiadra e piacente,
nella
qual mai fia cosa che mi sazia».
CANTO
L
Dico
che poi che 'l sonno fu partito,
mi
stava quasi fuor di me pensando
al
fuggitivo ben, tutto smarrito.
In
piè drizzato e intorno me guardando
vidi
la bella donna la qual voi 5
per
il giardin mi feste ir cercando .
–
Che pensi? –, disse a me, e poco di poi
soggiunse:
– Andiam, ch'egli è voler di quella
che
nel tuo sonno mi ti diede ancoi –.
Ond'io
risposi stupefatto ad ella: 10
–E
dove andremo? tornerem noi forse
dove
ora i' fui con la mia donna bella? –.
–
Mai sì –, dissemi allora, – e ciò che porse
il
tuo dormire alla tua fantasia
tutto
averai, se da me non ti smorse. 15
Ancora
più per me dato ti fia:
la
grazia di veder ciò che perdesti
quando
lasciasti, la mia compagnia.
In
quella parte là, dove or dicesti,
sanza
consiglio molto essaminato 20
gir
non si vuol, ché tu ten penteresti.
Primeramente
là dove m'è grato
seguita
me, ché sanza dubbio intenta
farò
di farti a tempo consolato:
e
quel disire, ch'or più ti tormenta, 25
io
porrò in pace con quella bellezza
che
l'alma al cor tuttora ti presenta –.
Ristette
poscia, ed io tanta dolcezza
presi
di tal promessa, che nel viso
mi
si scorgeva il cor pien d'allegrezza. 30
Con
voce lieta e con onesto riso
risposi
a lei: – Donna gentile, i' vegno
né
più da te voglio esser mai diviso.
Humile
e pian, quanto io posso, m'assegno
a
te: fa sì ch'al piacer di colei, 35
di
cui son tutto, i' non trapassi 'l segno –.
–
Ell'ha del mio voler –, disse costei,
–
in mano 'l fren, sì ch'io non posso fare
se
non sol quello ch'è 'n piacere a lei.
Di
tanto sempre mi veggio onorare 40
da
essa, ch'io le lascio, che giammai
oltre
la voglia mia non vuol mutare –.
E
questo detto disse: – Andiamo ormai,
ché
'l tempo è brieve e lungo è 'l tuo disire –;
per
ch'io sanza più dir la seguitai. 45
Così
adunque men vo per pervenire,
donna
gentile, al loco ove gioiendo
con
voi ileto fui tanto nel dormire,
tuttor
notando quel ch'andrò vedendo
dietro
a costei per la portella stretta, 50
ove
'l fin del disir vedere attendo.
Or
vi voglio pregar, donna diletta,
che
poi che la passata visione
a
parte a parte avrete tutta letta,
mirando
dove cade riprensione 55
la
correggiate e cara la teniate,
ch'aver
ben dir voluto ha iscusazione.
Io
non curo se poi da alcun spregiate
fien
forse le sue rime o sua sentenza,
sol
ch'a voi sieno dilettose e grate. 60
Per
voi son fatte e non per eccellenza
di
gloria riportar, ma a sol voi, donna,
per
aggradir con chiara intelligenza:
atando
me la possa che s'indonna
in
ciascun cor gentil, che dà virtute 65
che
mai per alcun caso non si sdonna,
rispetto
avendo ancora alla salute
che
da voi la speranza mi promette
per
più alleggiar le piaghe antevedute.
aggio
legate queste parolette 70
natie,
candide, pure e non altiere,
in
rime dolci non sforzate o elette,
vago
e contento solo di possere
far
cosa che v'aggradi, e questo vuole
l'alma
che voi, altro non può volere. 75
E
però voi me da nebbiose fole
d'invidi
difendete luminosa,
come
da nebbia il giorno suole il sole.
Rimirate
alla fiamma poi, che ascosa
dimora
nel mio petto, ed ispegnete 80
quella
con l'esser verso me pietosa.
Amor
mi diede a voi, voi sola sete
il
ben che mi promette la speranza
e
sola render me lieto possete.
Solo
mio ben, sola mia disianza, 85
solo
conforto della vaga mente,
sola
colei che mia virtute avanza
sete
e sarete sempre a me vivente;
né
più disio né disiar più voglio
fuor
ch'essere di tal biltà servente. 90
Adunque
quell'ardore in cui m'invoglio
terminate
oramai quando vi piace,
che
'n voi son sempre, e come ancora in scoglio
immobil,
fissa, sarò ognor tenace.