Cecco D'Ascoli
L'Acerba (Acerba Etas)
Edizione di riferimento:
Cecco D'Ascoli: L'Acerba,
a cura di A. Crespi, Cesari, Ascoli Piceno 1927
LIBRO I
CAPITOLO I
Dell'ordine dei cieli.
Oltre non segue più la
nostra luce
Fuor della superficie di
quel primo
In qual natura, per
poter, conduce
La forma intelligibil
che divide
Noi da' animali per
l'abito estrimo 5
Qual creatura mai tutto
non vide.
Sopra ogni cielo
sostanzïe nude
Stanno benigne per la
dolce nota,
Ove la pïetà li occhi
non chiude;
E per potenza di cotal
virtute 10
Servano il giro di
ciascuna rota
Onde di vita ricevem
salute;
E l'arco dove son
diversi lumi
Gira di sotto con
soggette stelle
E lascia un grado ben
con tardi tumi. 15
Le quattro qualità
costui informa
Sì che il soggetto in
atto vien da quelle
Perch'ei le stringe con
sua dolce norma.
Di sotto luce quella
trista stella,
Tarda di corso e di
virtù nemica, 20
Che mai suoi raggio non
fè cosa bella.
Gelo con freddo fiato
mette a terra,
E a chi non ha mercè,
s'ella s'applica,
L'aere stridendo chiama
«guerra, guerra».
Circoscritta la luce
benigna 25
Nel sesto cielo, onde
quello s'acquista
Che ben si prova là dove
si signa.
Se l'alma gli occhi suoi
belli non chiude
Stando ne l'ombra de
l'umana vista,
Vuol ch'ella dorma in le
sue braccia nude. 30
L'ignea stella che pietà
non mira,
Ma sempre di mercè si
mostra freda
A chi lei sturba, di
sotto le gira,
E tal tempesta per
l'aere despande
La sua potenzia, che per
tutto preda 35
Al nostro tempo noi
miriamo grande.
Poi gira il corpo de la
nostra vita,
Agente universal d'ogni
soggette;
E virtù pinge sì la sua
ferita
De li ferventi raggi
onde si scalda 40
La grave qualità che in
lei si flette,
Che ciò che vive lor
potenzia salda.
D'amor la stella ne la
terza rota
Allo spirto dà angoscia
con sua luce
Di cosa bella, che non
sta remota 45
Da lui se morte spenga
sua figura.
In cui lo dolce raggio
non riluce,
Non è animata cosa tal
natura.
Gira il pianeta con la
bina voglia
Per quella spera onde
viene tal lume, 50
Qual tutta obscurità de
l'alma spoglia.
La fredda stella in quel
piccolo cerchio
Ultimo gira, e no è ver
che consume
L'ombra per lo splendor
che sia soverchio.
Anche ogni luce che
possede il cielo 55
Vien da quel corpo qual
natura prima
Ebbe formato d'amoroso
zelo,
Sì ch'ogni stella per
costui risplende.
Ma l'ultima si mostra
più sublima;
Cessandosi da lui, luce
non prende. 60
Ma quando infra li raggi
ella si volve,
Attrista la virtù di ciò
che vive
E l'aere per tempesta si
dissolve,
Scema li fiumi ed ogni
virtù sbada;
E chi le insegne in
campo circoscrive, 65
D'onor si priva per
contraria spada.
Se in orïente luce la
sua stella
E nell'ottava parte ella
si trova,
A tal potenzia non po'
star rubella;
Se l'altra gira nel più
alto punto, 70
Sarà da pinger l'aere
questa prova
E far volare chi di piombo
è unto.
Muove li corpi di minor
ragione
E fuga ciò che non puo'
lor natura
Assimigliare a sua
perfezïone; 75
Lor viso bello turba al
nostro aspetto,
Nel specchio pinge di
nebbia figura
E toglie luce al figlio
a gran diletto.
L'altri animali di
vertude nudi
L'estremità possiedon di
ciò sempre. 80
O gran virtù che tutte
cose mudi!
O quanto il tuo valor fa
bella mostra,
Che vuoi ogni natura che
si tempre
Per più benigna far la
vita nostra,
O tu che mostri il terzo
in una forma 85
E accendi di pietà la
spessa norma!
CAPITOLO II
Delle sostanze separate,
e di alquanti loro effetti.
Il principio che move
queste rote
Sono le intelligenzie
separate:
Non stanno dal divin
splendor remote,
Non cessan gli atti di
mover possenti,
Né posson nostre menti
star celate 5
A gli intelletti di
virtù lucenti.
Movendo stelle e lor
diverse spere
Diverse genti con
contrari acti,
Forman la lor potenzia
qual non pere.
Altri che sono di virtù
esperti, 10
Altri che sono dal
soggetto astratti,
Altri che sono del
fallir coverti,
Altri che di lor armi
prendon possa,
Altri che di viltà
portano insegna,
Altri che dànno
nell'altrui percossa, 15
Altri che loro voce
sempre sclama
«O tirannia, o cosa
benegna!»,
Non curan di vertù
posseder fama.
Ma l'alma bella del
Fattor simile
Per suo valore a queste
po' far ombra, 20
Se non s'inclina il suo
valor gentile;
E quando l'influenzia
vien da quelle,
Se sua vertù per queste
non si sgombra
Allora è donna sopra
tutte stelle.
Nove son queste che
movon li cerchi, 25
E l'altra sotto a queste
pone altrui,
Qual spira l'alma de gli
acti soverchi.
Intelligenza del
terrestre mondo
Con la benignità
conforma nui
Prendendo l'alma da
l'esser secondo. 30
E questa è l'alma ch'é
sol una in tutti,
Ch'é sotto al cerchio de
la prima stella;
E d'altra vita semo
privi e strutti.
E questo pone il falso
Averroisse
Con sua sofistica e
finta novella: 35
Ma non ha più vertù che
quanto visse.
Potresti dubitar del
primo cielo,
Ché ciò che sensibilità
possede
Il loco circoscrive e
gli fa velo,
Se fosse contenuto da
altra sfera: 40
Ed ella contenuta ragion
vede,
Sì che aver fine il
cielo non s'avvera.
Dico, che chi per sé
possede loco
Ciò non somiglia che lui
loco tegna,
Ponendo il ciel così del
vero a poco; 45
Per accidenti il loco si
mantene,
Avvegna che per sé lo
moto spegna
Ond'ha la vita l'amoroso
bene.
Move ciascun'angelica
natura
De' nove cieli in
disïosa forma, 50
Non fatigando lor
sostanzia pura.
Forzata cosa non ha moto
eterno,
Anzi, di sotto al tempo
si disforma:
E ciò non cade in atto
sempiterno;
Per che, se nelle
intelligenzie nude 55
La voglia in corporale
si converte,
A lor divina mente non
si schiude.
Ciascuna intende, sol
Dio contemplando,
Tutte le cose manifeste
e certe,
Sì come nui nello
specchio guardando. 60
Oltre quel cielo non è
qualitade,
Né anche forma che mova
intelletto;
Ma nostra fede vuole che
Pietade
Dimori sopra nel beato
regno
Al qual ne mena speme
per effetto 65
Di quella luce del
Fattor benegno,
Del quale già trattò
quel Florentino
Che lì lui si condusse
Beatrice.
Ma il corpo umano non fu
mai divino,
Né il puo', sì come il
perso essere bianco, 70
Ché si rinnova sì come
fenice
In quel disïo che gli
punge il fianco.
Negli altri regni dove
andò col doca
Fondando li suoi piedi
in basso centro,
Là lo condusse la sua
fede poca: 75
E so che a noi non fece
mai ritorno,
Ché suo disio sempre lui
tenne dentro.
Di lui mi duol per suo
parlare adorno.
La degna intelligenzia
prima muove
Il primo cielo che il
moto governa. 80
Ognora nel girar sono
più nuove
L'altre, che verde
tegnon nostra palma;
E questa vuol che nulla
il moto sperna,
Sì che di ogni vita viva
l'alma.
Per questa nella figura
di morte 85
Molte alme d'occidente
sono scorte.
CAPITOLO III
Degli elementi e del
loro ordine, e come la Terra stia nel centro.
Cerchïasi con l'arco,
ove si fonda,
L'ignea qualità di
quella stella,
E lo giro poi sotto
questa abbonda.
In quella spera, sempre
unica essendo,
L'estrema parte gira pur
con ella, 5
Sì come i lievi corpi
suso intendo.
Il centro pete del grave
natura:
Però queste altre tegnon
basso sito.
Di tutte qualità la
forma pura
Si cela agli occhi
nostri e non si mira, 10
Salvo il soggetto ch'é
da lor finito
Per la vertù di sopra
che ciò spira.
La grave qualità il ciel
divide:
La sferica di forma sta
nel mezzo,
Sì come il punto che nel
cerchio asside 15
Alcun con quel che il
suo nome dimostra.
Del ciel la plica non
appare al sezzo
Dal qual se move
intelligenzia nostra.
La minor stella che nel
cielo splende
Maggiore è che la grave
qualitate, 20
Ed ella come il punto si
comprende
Nel cielo; e questa si
dimostra vera
In quelle stelle ferme
che mirate,
Ma non in questa
dell'ultima spera.
Perché il minore lo
maggior non cela, 25
Però la Luna non è mica
grande
Più che la Terra che il
suo lume vela.
Se ciò non fosse,
mostreria non tutta
L'ombra che de la Terra
in lei si spande,
Che mostra a tempo sua
bellezza strutta. 30
In quarta parte vivon
gli animali,
E l'altre parti tengon
caldo e frido,
Onde la vita e gli atti
naturali
Stando remoti d'elli, al
ver non face
Corpo animato né voce né
strido. 35
Là dimorasse a chi virtù
despiace.
Lo quarto si divide in
sette parte
Da sette stelle poste in
fino in austro;
Ciascuna a l'altra getta
l'ombre sparte.
Sì come gira il Sole e
il lume scima, 40
Ombra e luce non v'è in
ogni castro,
Se nel quarto s'osserva
o quinto clima.
Ciò forma de la Terra il
gran tumore:
Però insieme ogni animal
non vede
Quando la Luna perde il
suo splendore. 45
Chi stesse sotto luce
sempiterna
Di sette stelle che a
noi tengon fede
Sì come pone nostra Luce
eterna,
Potrebbe andare verso il
fin del mondo
Tanto, che queste già
non vederia; 50
Sì come chi da quel
cerchio secondo
Che nella parte sta
meridïana
Prendesse verso quelle
stelle via,
Lasseria la seconda
tramontana.
Tegnon la Terra nel
mezzo due poli, 55
Di sopra l'uno, e
l'altro opposto a lui:
Di virtù simil natura
formoli.
Se l'un facesse sua
potenzia quita,
L'altro verso del ciel
trarrebbe nui,
Ché ciascuno fa come
calamita. 60
La nostra luce nega quel
che dice
La falsa opinïon di
queste genti
Che verde mostran di
trista radice.
Vanno leggiadre di belli
animali
Quell'alme oscure degli
atti lucenti: 65
Ai virtuosi già non dico
quali.
Dal cielo sta la Terra
egual lontana:
Però la luce de le
stelle mostra
Egual splendore ad ogni
vista umana.
Se in orïente ovver nel
mezzo gira, 70
Ovver se in occidente
ella si prostra,
Di quella forma
ciaschedun la mira.
Molte ore il falso
prende il nostro viso
Per lo corpo dïafan de
le stelle:
Stando nel mezzo e
trasparendo fiso, 75
Dall'esser vero li occhi
nostri sgombra,
Perché lo raggio le
mostra più belle
Sì come luce ch'é
lontana in ombra;
Ché nel suo mezzo, per
natura, posa
La Terra al cielo come
grave a centro. 80
Non pote fare il moto
miga iosa,
Però ch'ascenderebbe il
grave suso.
Natura tal potenzia non
tien dentro,
Né vinta fu già mai da
cotal uso.
E se possibil fusse che
affondasse 85
Da questa superficie là
di sota
Sì che lo emisperio lo
mirasse,
Essendo sì leggero,
avria festa
Voltando ne lo mezzo de
la rota
In v‘r di noi li piedi e
giù la testa, 90
Sì come gli atti che
sono accidenti
Ne l'acque che trasparon
sì lucenti.
CAPITOLO IV
Dell'eclissi del Sole e
della Luna.
Cessa, intelletto da le
rotte vele,
Ché tua vertù non basta
a veder luce
Di quel che ti conviene
esser fedele,
Onde perfetta Dio fa la
natura
Universal che sempre
spira e luce, 5
Che in atto di potenzia
trasfigura.
Intelligenzie, stelle,
moto e lume
Ogni natura che la spera
ammanta
Mantegnon, e di ciò
l'essere sume.
Se ciò non fosse, ogni
animal che vive 10
E ciascheduna vegetabil
pianta
Sarien di lor virtù da
morte prive.
S'agli occhi nostri
appare nuova forma,
L'umano ingegno allor si
mova e quera
Finché del vero in lui
si pinga l'orma; 15
Ma non trascenda e levi
l'alto ingegno
Sopra le stelle sì che
in essa pèra
Chi di tal luce non si
mostra degno.
O viste del miracoloso
affanno!
Ché a noi si schiude
sempre meraviglia 20
Dal poco cerchio le
stelle miranno.
Non è virtù non dubitare
al mondo,
Ma far dell'ombra umana
la simiglia
Ragion non vede come sia
il secondo.
Dico che l'ombra de la
stella umana 25
Si fa il terrestre
assiso in quella parte
Che a nostra qualità non
è lontana.
Del bello raggio allor
la priva il Sole,
Perché non è disposta
come Marte
Che co' suoi raggi fuoco
mostrar vuole. 30
Di questa stella si cela
bellezza
De li acquistati raggi,
sì che in nui
Par che natura perda sua
vaghezza.
Di ciò che vive la
virtude geme
Per questo corpo che
riceve in lui 35
Da tutti i cieli la
virtù che spreme.
Langue natura sì come
costei,
Perché in quel tempo
perde di valore,
Ché sua potenzia non si
spande in lei.
Cessa l'effetto, se la
causa è priva: 40
Allora chi è soggetto, a
gran dolore
Verso la morte prende
trista riva.
Vegnon nel mondo e sono
già venute
Molti accidenti, che dir
non ho voglia,
Perché si vederanno e
son vedute 45
Anime belle e figurate e
pente
De la vertù del ciel che
lor invoglia
Mirando quanto è in noi
lo ciel possente.
E delli primi raggi lo
bel corpo
Pinge paura ne li umani
aspetti 50
Quando si mostra de sua
luce torpo.
Se in questo clima cessa
il suo splendore,
Ne gli altri li suoi
raggi son concetti,
Ché in tutte parti sua
luce non more.
Due cerchi sono che,
intersetti insieme, 55
Equante e deferente dice
altrui,
Sono congiunti nelle
parti estreme.
La prima stella si gira
in quel sito,
E ilSol nell'altro resta
opposto a lui
Quando il suo corpo è di
splendor finito. 60
De le due stelle se in
mezzo è la Terra,
Per lei la Luna lo
raggio non vede
Ché nel suo corpo
l'ombra si disserra.
Sempre non tutta quella
stella oscura,
Sì come nostra vista ne
fa fede 65
Che in parte muore a
tempo sua figura.
Girando il cielo, vegnon
le triste ore
Che il bello raggio
nello Sol si vela
Stando la Luna avvinta
nel suo core.
Ove si giunge l'una a
l'altra rota, 70
Agli occhi umani la
bellezza cela
Di quella luce ch'é per
lei remota,
Onde celando sì nuova
bellezza
Sotto le stelle muore
ogni allegrezza.
CAPITOLO V
Delle tre comete
principali dominate da Giove, Marte e Saturno, e di tre secondarie.
Chiomate stelle con
diversi modi
Di luce, che si mostran
su ne l'aria,
Io dico che disegnan, se
tu m'odi,
Ciascuno corpo delli
sette cerchi
Per qualche tempo, e per
li moti varia 5
L'aria e s'infiamma di
raggi soverchi.
Io dico che nel mondo si
disegna
Effetti nuovi paurosi e
gravi
Se per la trista stella
il tempo regna.
Gema chi regna e chi
porta corona, 10
E tema gli accidenti
feri e pravi
Ogni animal che di virtù
ragiona.
Non troppo negro
mostrano il colore
Queste che in aria
piovono la morte
E nella vita piantan
gran dolore. 15
Ciascuna di costor più
avaccio lede
Se in orïente appare e
raggia forte,
E tarda, se occidente la
possede.
L'una che ha vista d'una
bella luce
Porta lo raggio bello
come Luna, 20
Ché ben lo sesto cielo
la conduce:
Fa germinar la terra e
piove il bene.
Se de le stelle tre
Giove tien l'una,
Di grazïoso effetto è
più la spene.
Gema natura umana s'ella
ammira 25
Quell'altra che di foco
porta vista
E con la lunga coda
sempre gira.
Marte la move e Marte la
mantene
Sì che natura sotto il
cielo attrista
Perché dissecca il
sangue ne le vene. 30
Se verso l'orïente il
capo volta,
Saranno l'acque ne
l'aria private:
In foco, peste e fame
sarà involta
La Terra nostra da mercè
non scorta;
Fontane d'occhi faranno
pietate. 35
Natura bella, oh lassa,
or ti conforta.
Dimostra l'altra
orribile l'aspetto,
Qual sempre gira e move
circa il Sole;
Converte d'ogni pianta
il dolce effetto,
Morte disegna nel
potente regno 40
E sopra quello che
ricchezza cole
Priva sua vita col
maggior disdegno.
Dell'empio raggio tira
l'altra torma,
E come l'altra stella
costei fere,
Così la nostra umanitade
informa. 45
Se segue il moto di quel
corpo grave,
Oh! del più lieve la
morte si spere,
Ché involta noi con le
sue triste clave.
Se Marte del suo raggio
fa ferita,
Ovver che regni nel
secondo cielo, 50
Sarà la morte
nell'acerba vita.
Di pace al tempo more
ogni salute
Se Marte raggia sopra
questo cielo.
Con l'altra uccide, là
dov'è, virtute.
Anche vi son tre, l'una
delle quali 55
Si mostra in viso de la
stella bianca
Qual mostra crini e
raggi naturali;
L'altra si vede in suo
corpo rotonda
Sì come a vista umana
poco manca;
L'altra sì è poca, ma di
retro abbonda. 60
Ciascuna al mondo mostra
novitate
Ed atti che disdegnano
pietate.
CAPITOLO VI
Della natura dei venti.
La tarda stella de la
spera grande
Mantien la terra e serba
in sua natura.
La prima stella, l'acque
muove e spande.
La spïetata stella muove
il foco.
Mercurio tiene l'aria in
sua figura, 5
Tempesta muove per suo
tempo e loco.
Gli spiriti son quattro
principali:
Un vien da l'angol primo
a l'orizzonte
Che in noi conserva gli
atti naturali.
Mostrasi sua natura
temperata 10
Fra le due qualità
attive e conte;
Sana la terra per qual
fa giornata
S'ella è cintata da
monti e da colli
E verso l'angol primo
aperta e rotta,
(Dov'io fui nato per
esempio tolli), 15
Cessando l'acque
riposate e triste
Che hanno lor natura sì
corrotta
Qual fan vedere le
umilïate viste,
E movesi per tempo il
dolce fiato
Che tenebrosi vapori
accompagna. 20
Se non li rompe, il Sol
vanne celato
Perché son densi e da la
terra tratti,
Fan pianger l'aria sì
che il mondo bagna,
Da l'altre stelle se non
son rifratti.
Sollevano le stelle da
ponente 25
Lo spirto lor con
tempestata voce
Qual muove l'aria verso
l'orïente;
Mostrasi d'acque in
natura simile
Sua qualitate e va via
per la foce
Sì come per virtù
l'anima vile. 30
Levasi da le sette
stelle eterne
Il freddo fiato e per
natura secco,
Virtù che passi animati
non sperne,
Ma lede quel che lega
gli animati,
E pone a caso del dolore
stecco: 35
Non dico gli altri
effetti nominati.
Da quella parte dove il
Sol disegna
Il basso grado per lo
eterno corso
Vien l'altro fiato sì
che l'aria impregna.
Umiditate con calore
sorge: 40
Agli animali allor
toglie soccorso.
Virtù animata di lui ben
s'accorge.
Potenzia tolle dove
questo spira.
O gente che abitate il
basso sito,
Quanta viltà l'animo
vostro gira! 45
Se questo sopra noi
cammino muove,
Stanne celato per lo
core ardito.
Non vuol natura che in
voi se ne trove.
Gli animi vigorosi de li
monti,
Ove assottiglia l'aria
le sue vele 50
Sì che li mostra del
vigor congionti,
Non portano viltà nel
cor superbo,
Avvegna che saver in lor
si cele
E regni in l'alma loro
il senno acerbo.
Per questo fiato geme
l'aere fosco, 55
Umidità corrompe ne le
vene
E fa molti accidenti
ch'io conosco.
Muove ciascuno per tempi
diversi
Sì come il Sole le altre
stelle tene
Del torto cerchio
d'animali inspersi, 60
Il quale in quarta parte
si divide.
Come si muove il Sol,
così vedemo
Che l'una qualitate
l'altra uccide;
Però in un tempo varïata
rota
Dimostran nella terra
ove noi semo 65
E in quella che dal Sole
sta remota.
Torno a li quattro
spiriti che dico,
E lascio le lor membra
in questa mossa.
Cessando l'uno, leva il
suo nimico
Quando la luce de le
stelle poste 70
Da gli altri corpi
riceve percossa
Stando congiunti ne le
parti opposte,
Sì che li quattro con le
membra loro
Sono formati per cotal
valoro.
CAPITOLO VII
Della pioggia, grandine,
neve, rugiada e brina.
Gira lo Sole li vapor
levando
Da questa terra verso il
bel sereno,
E l'a‘re poi va sempre
spessando.
Per li riflessi raggi e
poi per foco
Fino nel mezzo dove il
freddo è pieno 5
Salendo, si condensa a
poco a poco.
Stando nel mezzo delli
agenti estremi
L'acqua si forma e
scende come grave
Venendo a terra le sue
parti insemi.
Quanto più freddo è quel
mezzo sito, 10
Tanto più sente le
tempeste prave
Delle ghiacciate pietre
ciascun lito.
Ma qui puo' dubitar
l'alma gentile:
Nel caldo tempo com' se
forma il ghiaccio
E privasi nel suo tempo
simile? 15
La spera che tien fuoco
in sua virtute
Dico che fuga il freddo
col suo braccio
E tienlo in unità con
sue ferute.
Così di fuoco li raggi
riflessi
Inverso l'aere de la
nostra terra 20
Per l'orizzonte
assembransi connessi;
E quando regge Cancro e
po' Leone,
Assai più freddo nello
mezzo serra:
Però ghiaccio piove la
stagione.
In questo tempo sono
fredde le acque 25
Che di sotterra vegnon
per le vene,
Ché il caldo spinse il
freddo che in lor nacque;
E calde sono nel gelato
tempo,
Perché il calore
sotterra si tene
E questo dura fin che il
gelo ha tempo. 30
Ma quando Scorpïone
regge e Pesce,
Questo mezzo aere è
quasi temperato;
Però se in lui qualche
vapore cresce,
Nasce la neve poi con
acque quete
Perché dell'un contrario
s'è privato 35
Che faccia forte il
freddo con sue mete.
Pluvïa muove potenzia di
Luna.
Se con le prave stelle
segue il moto,
D'acquosi tempi mostra
la fortuna.
Maligno corpo che
inforca sua luce 40
Verso la Luna, fin che
no è remoto
Tempesta muove ed acqua
ne conduce.
Quando si muove con le
dolci stelle
Fuga le nubi sì che luce
il mondo,
Per qual chiarezza
l'alme si fan belle. 45
Quando la Luna sta in
benignitate
Ogni elemento si muove
giocondo
E toglie di tristizia
qualitate.
La piccinina pluvïa
pruina
Si forma dal vapor che
congelato 50
Ne l'aere è presso, e
così la brina:
Sottil vapore e freddo e
poca altura
Fanno questi atti come
il nostro fiato
Se dorme respirando la
natura.
Di tutte umidità la Luna
è matre. 55
Quando si mostra la sua
luce piena,
Quattro fïate il mare
par che latre
Fra giorno e notte, sì
come nei quarti;
In alto e basso così
l'acqua mena.
E ciò ti dico per
scïenze ed arti. 60
Così degli animati muove
il sangue
Fra luce e notte, sì
come fa il mare,
E l'uom s'attrista e la
natura langue;
Però in qualche ora gli
animi umani
Senza ragione senton
pene amare 65
Ed allegrezza degli
affetti vani.
Onde la Luna, sì come
riceve,
Da lei si forman venti
ed acqua e neve.
CAPITOLO VIII
Dei tuoni, folgori,
baleni, saette, terremoti.
La prima stella con
l'empïo Marte
Muove per tempo
tempestati e tuoni
Sin che l'una contrarii
l'altro, e parte
Lo fuoco mosso da Marte
crudele
Verso le fredde nubi,
d'onde i suoni 5
Esultano con le
infuocate vele.
Il tuono altro non è che
fiamma spinta
Entro li corpi de le
nubi frede,
U' l'una qualità da
l'altra è vinta.
Tu ne le verdi fronde
prendi esemplo 10
Che fanno scoppi se
fuoco le lede.
Or 'scolta gli accidenti
ch'io contemplo.
Insieme è il fuoco alle
infuocate orme,
Ma avvegna che la luce
avanzi il scoppo,
Paion due tempi con
diverse forme: 15
E ciò fa il viso ch'è
innanzi l'udito,
Ché l'alma agli occhi va
dappresso troppo:
Però il nostro vedere è
molto ardito.
E ciò si mostra in un
remoto colpo,
Ché in uno tempo è il
suono con il fatto, 20
E vien sì tardo che
l'udito incolpo,
Ché già non segue lo
veder presente,
Ch'anzi percorre anche
l'ultimo tratto
Che il primo suono vegna
ne la mente.
Puo' esser tuono senza
fuoco ardente, 25
Io dico al nostro viso,
non al vero;
E questo sì addivien per
accidente:
Quando s'ocura l'aria
bene spessa,
Muovesi il vento
infuocato, severo
Tuono fa grande e non
rompendo cessa. 30
Ed allustrare senza
tuono, avviene
Perché non trova qualità
nemica,
Sì come nel seren si
vede bene.
Ma quando sono dense
queste nube,
Allora il fuoco forte le
nimica 35
Facendo suoni con le
accense tube.
Se sono rari e son di
basse note
Li suoni, è perché no
han contraria faccia:
Non resistendo, poco le
percote.
Ciò che resiste
duramente offende, 40
Come vedemo che lo ferro
sfaccia
E sua coverta sua salute
ostende.
E queste nubi e queste
impressïoni
Oltre una leuca ed anche
otto staggi
Non son più erte: ciò
nel cor ti poni. 45
Sono montagne sopra le
qua' stando,
Di sotto è piova e neve,
e tu li raggi
Vedi di sopra nel seren
guardando.
La sottil fiamma in ogni
cosa rara
Poco la offende; però
noi vedemo 50
Per accidente che
addivenne a Sara:
Portando sopra il capo
le molte ova,
Essendo lesa dal fuoco
supremo,
Erano sane come cosa
nuova;
Ma dentro senza frutto e
pien di vento 55
Furno trovate, ché da
l'una fronte
Entrò la fiamma e
strusse lor contento.
Pietra discende con
l'aria infuocata
Come saetta che non
abbia ponte
Per gran potenzia del
fuoco creata. 60
Non tanto pietre, ma
corpi di ferro
Sono discesi dal fuocato
cielo
In Alamagna e di ciò non
erro
Però le spade di
tedesche genti
Fanno tremare addosso
ciascun pelo 65
Mirando altrui loro
colpi possenti.
Ogni elemento si muove e
corrompe:
Secondo che li cieli son
diversi,
Così di novitate fanno
pompe.
Trema la terra per gli
inclusi fiati, 70
Fan l'aria e l'acqua lor
moti perversi
Ne' tempi che li cerchi
son mutati.
Gli inclusi venti che
non ponno uscire
Fuor de la terra, mossi
da Saturno
Fanno li terremoti a noi
sentire. 75
Nel grande freddo, e pur
nel tempo caldo,
Celansi i venti e non
vanno dintorno:
Però la terra sta quïeta
e in saldo.
Non dico che non possano
venire
Li terremoti e d'estate
e d'inverno, 80
Ma, quando mostra il
caldo o il freddo l'ire,
Durano poco, ché li
fiati, strutti
Del lor valore, non
fanno governo,
Ché queste qualità li
fanno asciutti.
Ma vien nel tempo dolce
il gran tremore 85
E non si cessa fin che
no è corrotta
La dura terra per cotal
valore.
Questo non sempre avvien
come a Corinto:
Movendosi con ira lì di
sotta,
La sua potenzia perdè
poco vinto. 90
Sì che li monti, li
colli e gli abissi
Sono formati dagli
inclusi venti
Che spirano sotterra
duri e spissi;
Ed anche l'acque sotto
noi celate
Fanno questi atti, se tu
ti rammenti 95
Le parti dello mondo
concavate.
Le gran montagne hanno
lo grande piano
U' l'acque sotto sopra
sommergendo
Lassano l'Alpi ed il
terren toscano,
Basso facendo lo sito
lombardo, 100
Romagna con Toscana a
lui cadendo.
Or prendi questo esemplo
ch'io riguardo.
Molte montagne in esseri
di pietra
Sono converse, se guardi
le ripe,
Ché dalla terra natura
s'arretra. 105
Potenzia natural regge e
compone
E fa di terra pietra e
dure stipe;
E ciò si mostra per
bianca ragione.
Di fronde vista però
vidi impressa
Nel duro marmo, che,
quando e' si strinse, 110
Nel mezzo delle parti
stette oppressa.
Nel molle tempo, come
cera al segno,
Mostra nel duro sì come
dipinse
Natura, che di forma non
ha sdegno.
Or pur m'ascolta in cose
divine, 115
Ché arte non vale se non
si procaccia:
Cosa perfetta non è
senza fine;
Principio d'ogni bene è
conoscenza;
Prima sii bono innanzi
che abbia faccia;
Intendi e vedi con la
mente a scienza 120
Che mai l'eterna beata
natura
Senza ragion non fece
creatura.
CAPITOLO IX
Dell'arcobaleno e delle
nubi ferme.
L'arco che vedi in
divisata luce
Sempre si pinge ne
l'opposto Sole
Perché il suo raggio in
forma lo conduce.
Se in orïente è l'arco,
il Sole occide:
Ciò si converte perché
ragion vuole 5
E al tuo vedere convien
che ti fide.
L'arco non è che
flettersi di raggi
Entro le acquose nubi
divisate:
Convien che in
intelletto questo caggi.
Lustre ed obscure,
sottigliate e grosse, 10
Sono le nubi così
varïate
Quando dal Sole ricevon
percosse;
Però dimostran diversi
coluri
Com' per esemplo tu
potrai vedere
Nel vetro pieno, se di
far ten curi: 15
Olio con acqua nel vetro
ponendo,
Quando lo raggio del
Sole vi fere
Sarai contento li colur
vedendo.
E da la Luna, quando è
tutta piena,
Si forma l'arco di
notte, ma raro; 20
S'oscura poi, se fa
l'aria serena.
Spesso da lei si forma
l'arco bianco
Che muta il dolce tempo
nell'amaro:
A pochi giorni di ciò
non è manco.
Quando nell'aere tu
vedrai molti archi 25
E ciò si forma là nel
mezzo giurno,
Se di pensiero ciò la
mente carchi,
Vederai l'aere a pochi
dì turbare
Per la forza di Marte o
di Saturno
Se l'altro cielo non fa
varïare. 30
Anche le ferme nubi che
tu vedi
No intendo di lasciar
ch'io non ti dica
Acciò che a favolette
più non credi.
Come l'entrace l'acqua
sempre tira
Per la virtù che dentro
lei nutrica, 35
Così fa Capricorno che
pur spira.
Vapor sottili sua
potenzia abbranca,
Sempre tirando su ne
l'aria chiara,
E par che in ciel si
mostri la via bianca.
O quante sono le nature
occulte 40
A nostra umanità cieca
ed ignara;
O quante cose mire son
sepulte
Al nostro ingegno che il
ben abbandona
Seguendo il mondo qual
morte sperona!
LIBRO II
CAPITOLO I
DellaFortuna.
Torno nel campo delle
prime note.
Dico che ciò ch'è sotto
il ciel creato
Dipende per virtù dalle
sue rote.
Chi tutto muove sempre e
tutto regge,
Di principio e di fin,
di moto e stato 5
In ciascun cielo pose la
sua legge.
Sono li cieli organi
divini
Per la potenza di natura
eterna
E in lor splendendo son
di gloria plini;
In forma di desìo
innamorati 10
Movendo, così il mondo
si governa
Per questi eccelsi lumi
immacolati.
Non fa necessità ciascun
movendo,
Ma ben dispone creatura
umana
Per qualità, cui
l'anima, seguendo 15
L'arbitrïo, abbandona e
fassi vile
E serva e ladra e, di
virtute estrana,
Da sé dispoglia l'abito
gentile.
In ciò peccasti,
fiorentin poeta,
Ponendo che li ben della
fortuna 20
Necessitati sieno con
loro meta.
Non è fortuna cui ragion
non vinca.
Or pensa, Dante, se
prova nessuna
Si può più fare che
questa convinca.
Fortuna non è altro che
disposto 25
Del cielo che dispon
cosa animata
Qual, disponendo, si
trova all'opposto.
Non vien necessitato il
ben felice.
Essendo in libertà
l'alma creata,
Fortuna in lei non può,
se contraddice. 30
Sostanza senza corpo non
riceve
Da questi cieli, però
l'intelletto
Mai a fortuna soggiacer
non deve.
Se fui disposto e fui
felice nato,
E conseguir doveva il
grande effetto, 35
Non posso non volere e
star da lato.
Ma in sua balìa ha
l'alma il suo volere
E l'arbitrio le acquista
lo suo merto,
Né puo' necessitate in
lui cadere.
Or se fortuna l'alma
così spoglia, 40
Già Dio sarebbe ingiusto
discoverto
Se per altro poter ne
mena doglia.
Non val ventura a chi
non s'affatiga:
Perfetto bene non s'ha
senza pena:
Fassi felice chi virtù
investiga. 45
Ma chiunque aspetta la
necessitate
Del ben che la fortuna
seco mena,
Pigrizia lo comanda a
povertate.
Fortuna per ragione
s'augumenta,
E più felici si fanno
gli effetti 50
Quando il volere natura
argomenta.
Nasce ogn pianta per
natural moto:
Non coltivando mai,
frutti perfetti
Non fa nel tempo. Ciò si
mostra noto.
Così a rea ventura
l'anima bella 55
Toglie la morte ch'ha da
l'empia carne,
Se al mal pur
contraddice e sta ribella.
Rompesi qualità per
accidenti,
Non che il soggetto
dell'esser si scarne:
Dell'unta calamita ti
rammenti 60
Che non trae ferro sin
che non è asciutta
L'umidità che sua virtù rinserra.
Così fa l'alma: quando è
donna tutta,
Distrugge qualitate
vizïosa
Sì che nel male l'uomo
non disserra 65
E trae nel bene la vita
dannosa.
Contro fortuna ogni uomo
puo' valere
Seguendo la ragion nel
suo vedere.
CAPITOLO II
Della nascita dell'uomo,
e dell'influenza dei cieli.
Per grazia dell'umana
creatura
Dio fe' li cieli col
terrestre mondo
In lei creando divina
figura
A somiglianza di sua
forma digna,
Ponendola nell'orizzonte
fondo 5
Ove si danna ovver si fa
benigna.
Movendo queste benedette
sfere,
Dell'uman seme si forma
il soggetto:
Di tutte la potenza quvi
fere.
Prima lo core nel
concetto nasce: 10
Gli altri due prima pone
il cieco aspetto,
Ma pur nel cor lo
spirito si pasce.
Lo spirito che fu dal
padre messo
Per le ferventi stelle
del Leone
Forma le membra
movendosi spesso. 15
Da questo nasce lo
spirto animale
E naturale di sua
perfezione
Passando in atto sotto
le prime ale.
Dodici parti dell'ottava
sfera
Sono cagione delle
nostre membra: 20
Ciascuna del creare ha
forma vera,
In lor fa qualitate ed
accidenti,
Per la virtù divina si
rimembra
Della sua parte con atti
lucenti.
Quando tu vedi questi
zoppi e sgombi, 25
Impïo fu lo segno della
parte,
Ed anche questi con li
flessi lombi.
Difetto corporal fa
l'alma ladra.
Impeggiorando, dico, le
lor carte,
Sono superbi della mala
squadra. 30
Del doppio seme fansi
corpo umano
Le vestite ossa della
carne pura:
Ciò fa il soverchio
dello tempo sano.
Lo spirito del padre,
che nel sperma
Sempre operando, le
membra figura, 35
Le molli parti per
potenzia ferma.
Dello soverchio che da
donna muove
Pascesi creatura, e non
per bocca,
E ciò si mostra per
antiche prove.
Per l'ombilico va ciò
che nutrica, 40
Stando legato sì che il
verme tocca.
Or 'scolta com'ei sta
nel corpo in plica.
Sta genuflesso con
l'arcato dosso,
Tien le mani alle gote
fra le cosse
Sulle calcagna, come
veder posso; 45
Verso di noi son le
spalle volte.
Così natura informagli
le mosse
Per più salute a le
membra raccolte.
In questo tempo non
macula specchio
La donna che il
soverchio suo divide: 50
L'una nutrica lassando
lo vecchio,
Natura l'altra manda
alla mammilla
Per le due vene che di
ciò son guide,
E a tempo in bianca
forma si distilla.
Sette ricetti per
ciascun pianeta 55
Son nella madre, però
sette nati
Nascere posson, come
vidi a Leta.
Questo addivenne per lo
molto seme
Ed anche per i segni
geminati
Quando li lumi
s'avvincono insieme. 60
Nel nono mese vien nel
mondo lustro
Per la virtù che
signoreggia Giove.
Perché di sette vive,
mo' ti mustro.
La Luna in questo mese
ha signoria,
Benignitade in creatura
piove 65
Natura confortando
tuttavia.
Ma nell'ottavo chiunque
nasce muore,
Ché signoreggia quella
stella trista
Che per freddezza trae
l'alma dal core.
Ciascun pianeta spira
nel suo mese, 70
Fin che ha la luce la
creata vista:
Così natura in ciò
l'ordine prese.
Quando concepe, la madre
si strenge
Ch'entrarvi non poria
'na punta d'ago:
Così Saturno sua virtù
le impenge. 75
Ben si può aprire per
nuovo disio,
Come addivenne a la Lisa
del Lago
Che fe' due nati là
dov'ero io,
Uno nel nono, l'altro il
fe' nel dece,
Che fu concetto nel
tempo serrato, 80
Quando alla voglia sua
lei satisfece.
Per gran volere
dell'atto carnale
Si gemina il concetto
già creato,
Quando a la donna ben
d'amor le cale.
Il nato porta del padre
somiglia, 85
Quando lo seme della
donna è vinto:
Intanto nasce la viril
famiglia.
Ciò si converte dal
contrario senso,
Quand'è lo nato dai
parenti spinto
E il doppio sperma fu
dal cielo offenso. 90
Il forte immaginar fa
simil vulto
Quando la donna, nel
desio d'amore,
Si tiene l'uomo nella
mente occulto.
Simile cielo fa simile
aspetto:
Se natura non perde il
suo valore, 95
Lo immaginar fa causa e
vede effetto.
La tarda stella la
memoria pone
Nel concetto; è Giove
per qual cresce;
Mercurio muove l'atto di
ragione;
Marte ne forma l'impeto
con l'ira; 100
Il terzo cielo
l'appetito mesce;
Lo primo spiritello il
Sol vi spira;
La Luna muove natural
virtute.
Ciascun pianeta con gli
ottavi lumi
Dispone il mondo con le
lor vedute. 105
Ogni creato si corrompe
in tempo.
Passano gli atti umani
come fumi:
Chi ne va tardo e chi ne
va per tempo.
Tu vedi bene come questi
cieli
Muovendo, creatura si
produce 110
In atto umano: ciò tu
non mi celi.
Ormai conviene che da'
segni certi
Tu vegga lo giudicio
della luce.
Poi che saranno gli
occhi nostri esperti,
Noi canteremo de le
donne sante 115
Lor definendo, perché,
come e quante.
CAPITOLO III
Di alcuni segni
fisionomici.
Mostra la vista qualità
del core.
Lagrime poche col tratto
sospiro
Col pïetoso sguardo,
vien d'amore.
Cambiar figura con atti
umili,
Poco parlare con dolce
rimiro, 5
Questi son segni d'amore
non vili.
Crespi capelli con
l'ampiata fronte,
Con gli occhi piccinini
posti dentro,
Con memoria e ragion
sono congiunti,
Fanno disdegno ne l'alma
superba 10
Che d'ogni sottil cosa
mira al centro,
Ma pure d'umiltà si
mostra acerba.
Non ti fidar delle
raggiunte ciglie,
Né delle folte, se
guizza la luce:
Chiunque le porti,
guarda non ti piglie. 15
Empio, d'animo falso e
ladro e fello,
Col bel parlare suo
tempo conduce,
Rapace lupo con vista
d'agnello.
Non fu mai guercio con
alma perfetta
Che non portasse di
malizia schermo 20
Sempre seguendo la
superba setta.
Occhi eminenti e di
figura grossi,
Occhi veloci con lo
sbatter fermo,
Son matti e falsi e di
mercede scossi.
l'empïa forma d'aquilino
naso 25
Viver desïa dello bene
altrui,
Onde di morte viene
l'empio caso.
Egli è magnanimo fuor di
pietate,
Sempre differve e non
guardando a cui
Vive com' fera senza
umanitate. 30
Il concavato ed anche il
naso fino,
Ciascun di questi a
lussuria s'accosta:
Più del secondo dico,
che del primo.
Chi lo ha sottile
nell'estremo aguzzo,
Ovver rotondo con
l'ottusa posta, 35
Muovesi all'ira: il
primo, come cuzzo;
L'altro è magnanimo e di
grave stile.
Superbo è chi possiede
l'ampie nari,
E d'ampie orecchie di
bestia è simìle.
Così le ha sottili e di
bellezza care, 40
Sarà magnanimo per
scienza nostra.
Mostrasi audace chi ha i
denti rari;
Concupiscenza tien
carnosa faccia
E forte teme piccolini
affari.
Chiunque possiede la sua
vista macra 45
Con la sollecitudine
s'abbraccia,
Né l'abbandona come cosa
sacra.
Chiunque l'ha grande,
ben si mostra tardo
Ne li suoi moti: di ciò
ben t'accorgi.
Piccola faccia tien pure
a riguardo, 50
Ché raro ne fu nullo
liberale
E timido si fa, se tu lo
scorgi.
Mai non fu al mondo sì
nuovo animale.
Vista dolente e
lentigginosa,
Che par traslata nel
beato aspetto, 55
Dell'altrui male si fa
grazïosa.
Non fe' mai tanto il
porporato Gracco,
Che questa più non
faccia nell'effetto:
Giuda tornasse, non le
daria scacco.
Degli uomini che hanno
corto collo, 60
Dolosi per natura come
lupi,
Non basterebbe la virtù
d'Apollo
A solvere i lor detti
senza norma
E senza modo di malizia
cupi,
Che lor gridare la
contrada storma. 65
Il grosso collo di
fortezza è segno;
Sottile e lungo fa
timido l'uomo,
Ed imbecille come sottil
legno.
Il grande che non tien
troppo di grosso,
Magnanimo si mostra: e
intendi como 70
Ciò che ne penso qui
dirti non posso.
L'uomo guardando in terra
che va chino,
O egli è avaro, o di
sottile ingegno.
Or mi convien lasciar
questo cammino
Dei corporali segni e
darti modo 75
Di come intendo ciò che
qui disegno,
E questa conoscenza come
lodo.
Giudizio che procede da
sapere
Con scritta legge riceve
ripulsa
Eccettuando il singolar
vedere. 80
Per una vista a
giudicare il fatto,
Sentenzia da virtute si
rivulsa
E di ragione si corrompe
il patto.
Non giudicare se tutto
non vedi
E non sarai ingannato se
ciò credi. 85
CAPITOLO IV
Della definizione della
Virtù in generale.
Virtù s'acquista per
raggio di stella;
Non dico che a noi sia
naturale,
Ma in quanto si dispon
l'anima bella
A conseguire il virtuoso
bene.
Fuggendo per ragione
l'empio male, 5
Disposta creatura in
atto viene.
Se per natura la virtude
fosse
Come alla Terra la
gravezza sua
Che mai per sua natura
non si mosse,
In ciascun tempo saria
l'uom beato 10
Se al naturale pon la
mente sua
Né si costuma nel
contrario lato.
Abilitata l'anima e
disposta
Da questi cieli, elegge
il ben perfetto
E più leggera con virtù
s'accosta. 15
Non che ciascuno non
possa seguire
Per suo volere di virtù
l'effetto,
Ma, non disposto, puo'
di più languire.
Dunque, virtù è un abito
elettivo
Che sta nel mezzo di due
parti estreme 20
Onde procede lo bene
effettivo;
E quel che senza il
mezzo contraddice
E l'una delle parti
sempre preme,
Per lui si priva tutto
il ben felice.
Questa radice con li
santi rami 25
Già fu piantata
nell'umano sangue
Quando si andava per li
dritti trami;
Ma il tempo ha varïato
li costumi
Di gente in gente, sì
che virtù langue
Nel cieco mondo con gli
spenti lumi. 30
Quest'è la scala di
nostra gravezza
A sormontare sopra tutti
i cieli,
Ivi mirando l'eterna
bellezza;
Ma lo vizio, che tutto
il ben disface
Del mondo nostro con gli
aguzzi teli, 35
Da noi si tolle l'una e
l'altra pace.
Il tutto nelle parti si
divide:
Questa è la virtute
definita
Che sotto lei
chiascheduna s'asside.
Convien ch'io canti
della giusta donna 40
In prima, poi de l'altre
della vita.
Per più vedere, la tua
mente assonna
E mira nell'aspetto di
costei
Che tanto piacque sempre
agli occhi miei.
CAPITOLO V
Della Giustizia.
O guida santa di queste
altre donne,
Le tue bilance con la
spada nuda
Sono del mondo perfette
colonne.
O desolata terra, o
posta a guai,
Che tua bellezza mirando
rifiuda! 5
Sua trista piaga non
sanerà mai.
Verrà il diviso,
povertate e fame,
Pioverà sangue sopra
campi ed erbe,
Parrà che il cielo la
vendetta chiame.
Saranno i giusti
oppressi da tiranni, 10
Bagnando il viso con
lagrime acerbe
Per la tristezza degli
empii affanni.
Però vedemo le città
deserte
Con basse mura all'ombra
delli boschi,
Che già fu tempo
ch'erano bene erte. 15
Non fur fondate nella
giusta pietra,
Come Pistoia di terra di
Toschi,
U' peste nascerà con sua
faretra.
Però diritto giudicate,
o vui,
Con li volumi di Cesare
Augusto, 20
Che a tutti specchio sia
la pena altrui.
Non provocate ad ira gli
altri poli,
Ponendo mano nel sangue
del giusto
Che ardendo caggia nei
nostri figliuoli.
Fanno nel mondo paterni
peccati 25
E acerba lue dello tempo
antiquo
Piaga cadere nelli
giusti nati;
Ma gli occhi ciechi non
veggono il fine
Per lo desio del volere
iniquo
Non riguardando le cose
divine. 30
Ogni peccato ha limitata
pena,
E più gravosa quant'è
più lontana.
Contra virtude, lasso,
chi ne mena?
Non altro che
l'inordinata voglia
Per qual s'attrista la
natura umana 35
Nel tempo che del dolce
sente doglia.
Il giudicare con gli
empi scritti
Che fanno lagrimar gli
occhi innocenti
E gli orfanelli in
povertate afflitti,
Muover dal cielo fan la
giusta piaga, 40
Giustificando queste
grave genti,
Ciascun movendo che a
virtù s'attraga;
Per gli orfani e le
vedove e i pupilli
Chiamanti Iddio nello
amaro pianto,
Sterpanti con le mani i
lor capilli, 45
Sì com'è giusto, prendon
lor balestre,
Sedendo ei soli ed
afflitti cotanto
Come columbe nelle lor
finestre.
Ma sopra terra l'empïo
tenere,
O voi con la milizïa
pomposa, 50
Fate a la croce nuovo
dispiacere.
Non liberate chi è degno
di morte,
Fate nel mondo l'alma
virtuosa
Sì che non pianga
nell'eterna sorte.
Questa virtute vien dal
quarto cielo, 55
E come il Sole illuma
l'orizzonte,
Così fa questa con lo
giusto zelo,
Illuma il mondo dando a
ciascun merto,
E pena vendicando sopra
l'onte.
Per lei sta il mondo che
non è deserto. 60
Giustizia non è altro, a
mio vedere,
Che a ciascun tribuendo
sua ragione
Con il fermo e perpetuo
volere.
Giusto è quegli che vive
onestamente,
E non offende altrui né
fa lesione, 65
A ciascuna dà suo merto
puramente.
E questi porta del
trionfo olive
E nell'eterna pace
sempre vive.
CAPITOLO VI
DellaFortezza.
O Colonnesi, o figliuoli
di Marte,
Toccaste il cielo con
l'armata mano
Che sempre suonerà per
ogni parte.
Subita spada con
grigliato grido
Faravvi ognora nel
terren romano 5
Gli inimici tener col
becco al nido.
Di gente in gente pur la
terza foglia
Della colonna sarà posta
in croce
Tornando il cielo nella
prima doglia.
Non perderà la gloria
del suo nome 10
Pur resurgendo di
tenebre a luce:
Qui non è luogo più di
dirvi come.
O figurati dalla forte
donna,
Fermi e costanti nelli
tempi pravi,
Senza temere sta vostra
colonna, 15
La quale pur verrà nel
degno merto
Aprendo il cielo con le
giuste chiavi.
Di dirvi il che ed il
quando non son certo.
Da Marte viene la
fortezza umana
Quando si mostra sua
benigna luce 20
Che di sotto l'Arïete
s'intana.
Uomo disposto dal
superno lume
Leggeramente allo ben si
conduce
Se non l'offende il
paternal costume,
Ché la villana natura
paterna 25
Che passa nel figliuol
naturalmente
Ripugna all'influenzïa
superna.
Poni che insieme siano
due creati:
L'uno è gentile, l'altro
è di vil gente,
Sotto una sfera ed in un
grado nati. 30
Mostra il cielo che
debba conseguire
Ciascun di dignitate la
corona.
Ciò sarà ben, secondo il
mio sentire,
Se è nato dell'eccelso
Re Roberto,
Ché in gentilezza molto
l'un sperona 35
A conseguir, lo ciel che
l'ha coverto;
Sarà quest'altro sopra
il suo lignaggio
Sì come re fra li vili
parenti,
Ché il ciel non puo'
levar più suo coraggio.
Cosa disposta fa nel
cielo aiuto. 40
Se di diversi effetti ti
rammenti,
L'acqua lercia dissecca
e si fa luto.
Fortezza non è altro
definita
Che alma costante nuda
di paura
In ogni avversa cosa
della vita. 45
Non è virtute prodezza
sforzata
Quando di morte vedem la
figura,
Se l'alma è in sua
difesa abbandonata.
Maggior prodezza tegno
lo fuggire
Quando bisogna, che non
sia lo stare, 50
Sol per vitare l'acerbo
morire.
Sempre è fortezza col
giusto temere,
Ma chiunque vuol la vita
abbandonare
Già non è forte: dico, a
mio vedere.
Ma la fortezza tegno
virtuosa 55
Cui per tre modi l'uomo
s'abbandona,
Che fan nel mondo la
vita famosa:
Prima, per non ricever
disonore
Nelle sue cose, poi
nella persona,
E per sua terra
conservando onore. 60
Ma gli occhi miei si
sono bene accorti
Che pochi son nel mondo
questi forti.
CAPITOLO VII
Della Prudenza.
Non virtù là dove è poco
ingegno.
Or fugga l'alma mia dal
pensier vile,
Ché quegli è grande che
quello fa degno.
Prudenzia, dico, ovver
discrezïone
Altro non è, secondo il
nostro stile, 5
Che il ben dal mal
discerner per ragione;
E la memoria del tempo
passato
E previdenza di quel che
ha a venire
Conserva l'uomo nel
felice stato.
Da questa del saver la
fonte nasce 10
Che fa la vita benigna
finire
Quando la mente del suo
amor si pasce.
Questa natura virtuosa e
bella
Prende radice nell'umana
pianta
Quand'è in suo stato la
seconda stella. 15
Questa è la luce del
saver umano
Che dona all'alma
conoscenza tanta
Che trae l'umanità dal
pensier vano.
Più val savere che tesor
non vale;
Ov'è savere ricchezza
non manca 20
Se l'alma non si sforza
nel suo male.
Non vidi virtuoso mai
perire,
Ma, ben ripulso da
contraria branca,
Ov'è virtute pur convien
salire.
Non puo' morire chi al
saver s'è dato, 25
Né vive in povertate né
in difetto,
Né da fortuna puo' esser
dannato;
Ma questa vita e l'altro
mondo perde
Chi del savere ha sempre
dispetto
Perdendo il bene dello
tempo verde. 30
Chi perde il tempo e
virtù non acquista,
Com' più ci pensa,
l'alma più s'attrista.
CAPITOLO VIII
Della Temperanza.
O madre bella, o terra
ascolana,
Fondata fosti nel
doppiato cerchio
Sì che hai mutato tua
natura umana,
L'acerba setta delle
genti nuove
Sì t'ha condotta nel
vizio soperchio: 5
Or ti conduca quel che
tutto muove.
Alteri, occulti sono li
tuoi figliuoli,
E timidi in cospetto
delle genti;
Invidïosi son pur tra
lor soli.
O Ascoltami, uomini
incostanti, 10
Tornate ne li belli atti
lucenti,
Prendendo note delli
primi canti,
Ché da li cieli siete
ben disposti
Ma non seguite il bene
naturale
Del sito bello dove
foste posti. 15
Fra le virtuti, pur di
temperanza
Dovreste stare sotto le
sue ale,
Ma no il potete se lo
vizio avanza.
Temperanza ferma
signoria
E delli moti naturali è
freno 20
Quando nel male l'alma
pur desia.
Muove da Giove la dolce
virtute,
E nell'umanitate è più o
meno
Secondo le beate sue
ferute.
Ma chi raffrena il
naturale istinto 25
Del vizio che da
qualitate viene,
Di sofferenza ben si
mostra cinto.
O quanto è bella, o
alquanto è gentile
La mente che conducesi
nel bene
Quando si vince
nell'affanno vile. 30
Chi sé non vince non
vincerà altrui
Da sé medesmo avendo il
suo valore:
Di questa opinïone
sempre fui.
Ma chi sé vince in
questi sette modi
Ben è fondato nel divino
amore: 35
Dicoti quali, se mi
intendi ed odi.
In giovinezza si vede
l'uom casto
E in allegrezza vedi
l'uomo antico,
E largo in povertà chi
non porti asto.
In ubertate anche chi ha
misura, 40
Ed in grandezza
umilitade sico,
E pazïenza nella ria
sventura;
E sofferenza nelli forti
moti
Del gran desìo che viene
nella mente.
Or questi sono dal vizio
remoti; 45
Or questi sono
immacolati e puri,
E disprezzanti del mondo
dolente;
Sempre seguendo pur gli
atti maggiuri,
Nell'alto cielo la virtù
li mena
Gli altri lasciando
nell'eterna pena. 50
CAPITOLO IX
Della Liberalità.
Questa virtù che tanto
onora altrui
Il terzo ciel la forma
negli umani
Sì come nel crear fu
posta in lui.
Volere col potere è
bella vista:
Larghezza vale se te ne
allontani 5
E se miri la sua
graziosa lista.
È largitate con misura
dare
A cui e quando e come si
conviene:
Questa è virtute nel
gentile affare.
Ma quei che fanno contro
queste note, 10
A povertà conduceli la
spene
Se la fortuna varia le
sue rote.
Più beato è chi dà che
chi riceve;
Ed ha virtute ricevendo
l'uomo
E quando e quanto, dico,
e come deve. 15
Ma chiunque pur riceve e
non vergogna,
E in lui non è difesa
perché e como,
Contra virtute dì e
notte sogna.
E voi, che date pur
passando il modo,
Or vi ricordi che la
fronte suda 20
Del domandare poi che
siete a sodo.
La conoscenza in povertà
è pena,
E più dogliosa fa la
vita cruda.
Quegli è felice che
vizio raffrena.
O quanti amici, o quanti
parenti 25
Si vede l'uomo nel
felice stato,
Non respirando li
contrari venti!
Dura l'amore fin che
dura il frutto,
Ché quanto l'uomo puo',
di tanto è amato
Da queste genti col
vedere istrutto. 30
Cotanto è l'uomo, quanto
ha di virtute
E tanto quanto più si fa
valere.
O genti cieche con le
menti mute,
Mirate la milizia
desolata:
È senza onore, se non
v'è potere: 35
Più che di vita, di
morte è beata.
Non ritenete nell'antica
borsa
Quel che misura vuol che
pur si spenda,
Ché a poco vien lo tempo
della corsa
Con accidenti non
pensati e gravi. 40
Chi vuole che la spesa
non lo offenda,
Tegna misura con le
aperte chiavi.
Questa virtute degno fa
ciascuno
E grazïa possede in
ciascun loco.
Più tosto dare, che
ricever duno, 45
Più tosto sofferir che
far vendetta:
Questa è la carità col
dolce foco
Che dell'eterna pace il
tempo aspetta,
E fa nel mondo grazia
possedere
A chi con questa serva
il bel tacere. 50
CAPITOLO X
Dell'Umiltà.
Da quanto è posta in
croce questa donna
Dagli uomini col falso
giudicare,
Perché lo cielo questi
non profonna?
Ove è condotta
l'ingioiosa vita,
Solea nel tempo umiltà
regnare: 5
Dal cieco mondo par che
sia smarrita.
Quegli è più degno che
puo' trionfare
Per lo diviso ch'è fra
il nero e il bianco,
Dando ai vicini le
percosse amare.
Dio prese al mondo la
umiltate, 10
Se vi ricorda del
sanguinoso fianco
Quando ricomperò
l'umanitate.
Segue lo suo Fattor la
creatura:
Dunque si deve ancor
seguir costei
Sì come degna e beata
figura; 15
Ché chi s'esalta fa
depresso il volto
Cadendo sopra lui li
tempi rei;
Per più sua pena regna
l'uomo stolto.
Umilitate fa grazia
seguire
Ed alla sommità della
virtute 20
Per nuova conoscenza fa
salire,
Ché sì come gli augelli
stringon l'ale
Per sormontare nell'alte
vedute,
Così ti stringe se del
ben ti cale.
Non fare come fa il
villan grifango, 25
Che nel gran stato fa nota
superba
Né si ricorda del suo
primo fango.
Da grande altura vengon
li gran tumi,
E vedi umilïar la vista
acerba
Il tempo varïando li
costumi. 30
Deve ciascuno lo core
umiliare
Al suo Fattore
dell'eterna luce,
Ai virtuosi la testa
inclinare,
A quei che son di
povertate afflitti
Umilïar l'udito alla lor
vuce 35
Sì come avete negli
antichi scritti.
La Luna sopra questa
virtù spira
La qual raffrena del
voler l'altezza:
Quest'è vera umiltà, chi
ben la mira,
E soggetto e minor
mostrarsi sempre 40
Cui e quando si deve e
non si sprezza
Abbandonando di virtù le
tempre.
La riverenza che si fa
al maggiore,
Onor ch'è testimonïo del
bene,
Obedïenza che si fa al
signore, 45
Gratificare chi il
servir conosce,
Da l'umiltate
ciascheduna vene,
Così dal suo contrario
le angosce.
Questa virtute che dal
ciel discense
Fa pur beato chi con lei
si strense. 50
CAPITOLO XI
Della Castità, Costanza,
Moderazione e Magnanimità.
Muove la castitate dal
Saturno,
Fermezza ed astinenzïa e
misura
Che mostran l'alma bella
come il giurno.
Grandezza d'alma per
l'alta sua sfera
Si forma disponendo
creatura, 5
Entro il suo fermo segno
s'egli era.
È castitate freno di
ragione
E del carnale vizïo le
morse
Stringendo natural
complessïone,
La lingua refrenando e
gli occhi e il core 10
E sostenendo le súbite
corse
Del gran desïo che nasce
d'amore.
O quanto è forte
l'amorosa fiamma
Che vien da immaginar di
cosa bella
Che per disïo tutto il
cor s'infiamma! 15
Ben è più casto, ben è
più beato
Se amor che nasce da
simile stella
Non rompe l'uomo poi che
è innamorato.
La castitate perde sua
radice
Per lo soperchio
dell'ampiata gola 20
Che sempre ad astinenzia
contraddice.
Gli occhi amorosi
insieme riguardando,
E l'occhio il quale tien
la vita sola,
Fan pur languire l'alma
sospirando.
Ben è gran cosa se nel
conversare 25
Dello gran tempo non
nasce peccato:
Dico che è come morto
suscitare.
Però tu prendi la giusta
battaglia
Contro lo male e pensa
nel tuo stato
Lo qual non dura come
fuoco in paglia. 30
Costanza è una virtù che
sempre adorna
E tien le tempre
fuggendo durezza,
Ché il fermo suo voler
mai non si storna
Quando valere la ragion
si vede.
O quant'è bella cosa la
fermezza 35
D'amore, qualità di
dolce fede!
Non chi comincia vederà
salute,
Ma dico chi è costante
sino in fine
Sarà beato nell'alte
vedute.
Non aver fede nell'uomo
incostante 40
Che no è fondato in le
virtù divine
Onde procedono l'opere
sante.
Astinenzia è freno con
le tempre
Del fier volere dalla
gola ghiotta:
Come virtute a lei
s'oppone sempre. 45
Questa virtute fa
crescer la vita
Ed accidenti pravi
toglie allotta,
Che ne verrìano con
doglia infinita.
Misura è modo di tutte
le cose
Schivando sempre tutto
lo soverchio; 50
Sempre nel mezzo tal
virtù si pose.
Di tutte le altre donne
questa è nave
E guida, riposando nel
suo cerchio,
Pur combattendo con le
donne prave.
Grandezza d'animo è nel
conseguire 55
Le valorose cose dello
mondo
E nella vita d'insino al
morire.
Magnanimo non è chi in
atti vili,
Quasi temendo, par che
regga pondo
Cessandosi con gli occhi
quasi umìli. 60
Alle formiche mai non si
fa guerra;
Or prendi esempio e
guarda lo leone,
E l'aquila che mosche
non afferra.
Il magnanimo segue il
valor grande:
Negli atti vili l'alma
sua non pone, 65
Ma pur nelle alte cose
lo cor spande.
Or le conserva queste
sante liste
Ché qui ti lascio,
perché voglio alquanto,
'Nanzi ch'io canti delle
donne triste,
Veder che è gentilezza e
chi è gentile, 70
E mostrerotti nel
seguente canto
Se nobil si puo' far chi
è nato vile.
Poi vederai coteste
prave donne
Per quali il ben felice
si nasconne.
CAPITOLO XII
Della Nobiltà.
Provate, cieli, la
vostra chiarezza
E correggete di questi
l'errore
Che falsamente appellan
gentilezza.
Fu già trattato con le
dolci rime
E definito il nobile
valore 5
Dal Fiorentino con
l'antiche lime;
Ma con lo schermo delle
giuste prove
Io dico contro della
prima setta
E voglio che ragion mio
detto trove.
E' gentilezza di virtute
forma 10
Che nel soggetto
disposto s'aspetta
Quando il ciel fa di
qualitati l'orma.
Se virtù fosse
dell'antico sangue,
Forma saria particolar
di moto:
Nel vizio dunque perché
il nato langue? 15
Già noi vediam nelle
seconde genti
Da lor natura l'effetto
remoto
E i gran cattivi di
gentil parenti.
Dunque lo cielo con
quieta luce
Dispone a gentilezza
creatura, 20
Che per volere all'opera
s'adduce.
Vien questo raggio dal
secondo cielo
Che tien di gentilezza
la figura
Per cui s'espone il
mondo a questo zelo.
Ma se si giunge l'un con
l'altro cerchio, 25
Di sangue antico con
eccelso lume,
Gentil fa l'omo col
valor soperchio.
Ma il cielo, illuminando
il sangue nuovo,
Non gli puo' dare
consimil costume
Come all'antico: ciò di
sopra provo. 30
Ma qui mi scrisse
dubitando Dante:
Son due figliuoli nati
in uno parto,
E più gentil si mostra
quel d'inante,
E ciò converso, sì come
già vedi.
Torno a Ravenna e di lì
non mi parto: 35
Dimmi, Ascolano, quel
che tu ne credi.
Rescrissi a Dante,
intendi tu che legi:
Fanno li cieli per
diversi aspetti,
Secondo il mio filosofo
che pregi,
Per qualità delle
diverse mustre 40
In un concepto varïati
effetti,
Secondo quelli ch'hanno
l'alme lustre.
Lo primo nato forma
l'orïente,
E invece l'altro per
virtù divina
Ispirano le stelle
d'occidente. 45
Se il primo è virtuoso e
l'altro vile,
La prima parte nel ben
fu latina,
L'altra maligna; perciò,
non simile.
Unde ritorno e dico
contro a quilli
Che dicono: noi semo
gentil nati: 50
Fedeli avemmo già ben
più di mille,
In cotai monti fur
nostre castelle,
Movendo il capo con li
cigli arcati,
Facendo di lor sangue
gran novelle.
Ciascuno d'essi rinnova
vergogna 55
Tenendosi gentil per li
passati:
Crede che sia lo ver ciò
che si sogna.
Non conseguendo il ben
da sangue antico,
Di disonore ha gli occhi
velati.
Assai son questi i quali
non ti dico. 60
Non è peggior ronzin che
di destriero:
Or prendi esempio se un
della Colonna
Lasciasse gli atti del
sangue primiero.
Cosa perfetta fuor di
sua natura,
Quando nel suo contrarïo
si forma 65
Empïa forma prende oltre
misura.
È gentilezza non per
accidente.
Quegli è gentil che per
sé sa valere,
E non per sangue
dell'antica gente.
Uomo disposto, in lui è
naturale 70
Il conseguire del gentil
volere,
Non per ricchezza che
gli é accidentale.
Per sé nullo accidente
mostra effetto:
Dunque ricchezza non fa
l'uom felice
Ché puo' fuggire od
esser nel soggetto. 75
Ma come spira il Sole il
suo splendore,
E come pianta nella sua
radice,
Virtù con l'alma giunse
il suo Fattore.
Ma la ricchezza a
gentilezza è face
E più gentil se ne dimostra
l'uomo. 80
Ma chiunque il suo
potere ognora sface
E malamente sua
ricchezza mena,
Dar non possendo a cui e
quando e como,
La conoscenza lo conduce
a pena.
Or, sia l'uomo gentil,
com'io distengo 85
Volendo queste sette
contentare:
Gentil di sangue
figliuol d'uomo tengo.
Gentile d'anima è
figliuol di Deo,
E più gentil non si puo'
dimostrare,
Se non è pertinace
fariseo. 90
L'eterno Dio è più che
l'uomo degno,
E più che il sangue è
l'anima perfetta:
Ciò tu confessi come
noto segno.
Dunque è più degna la
nobilitate
Dell'alma che in virtute
si diletta 95
Rappresentando in sé
benignitate.
Sono dal ciel potenzie
già venute
Che differenza fanno tra
gli umani
Secondo che fa il
cerchio le sue mute.
Uomo è gentil quant'è
virtude in lui, 100
E tutti gli altri
pensier sono vani
Che antica gente faccia
buono altrui.
Sì come a luce si
conosce il Sole,
È l'uomo quanto mostra e
virtù cole.
CAPITOLO XIII
Dell'Avarizia.
Ogni creata cosa vede il
fine
Salvo la mente ch'è
cieca ed avara
E volta verso Dio le
flesse rine,
Che quanto più possiede
più desia
Partendosi dal ben la
vita amara, 5
E si smarrisce la
diritta via.
O voi del patrimonio e
del ducato
Che presso siete alle
romane coste,
Voi siete pur soggetti a
tal peccato.
Ma increscemi di Rieti e
di Spoliti 10
Che a poco tempo
vederanno l'oste
Di negra gente con gli
elmi politi.
Se non prega la croce
San Francesco
Che guardi Assisi dal
grifone bianco,
Sarà spelonca nel
deserto fresco; 15
E se a Perugia la pena
s'allonga,
Sarà ferita nello lato
manco
Per lo peccato vil, di
nuova fionga.
Todi che tiene le
gonfiate vele,
Che aspetta pur
dell'aquila il volato 20
Ordendo con la mente
nuove tele,
Del suo vicino vederà la
piaga
Perdendo il sangue con
l'acerbo fiato,
Pur che Saturno sopra
Marte traga.
Io torno e dico
dell'avara lista 25
Che delli mali è la
cruda radice,
Che men possiede quanto
più acquista.
Più di valore è l'uom
senza denari
Che non denari senza
l'uom felice.
O virtuosi, o nel mondo
cari! 30
Quanto più piove, tanto
più s'indura
L'arena; ed è così
l'avar coraggio:
Più possedendo, più
d'aver si cura.
Sin che non muor,
l'avaro è un uomo stulto:
Non puo' far bene, ma
sempre dannaggio, 35
Io dico in manifesto ed
in occulto.
Ogni peccato invecchia
negli umani:
Pur l'avarizia tien le
verdi fronde
E più nel tempo dei
capelli cani.
Opposto è questo vizio a
largitate 40
Che sparse tanto nella
vita l'onde
Ch'io veggo disdegnare
la pietate.
Cupidità soverchia in
acquistare
In ogni modo, pur che
possa avere,
E ritenendo quel che
deve dare: 45
Per questi effetti
l'uomo è detto avaro,
Che in acquistare e ne
lo ritenere
Non ha misura nel suo
tempo amaro.
In ogni vizio la
contraria stella
Tu prendi con la varïata
nota 50
Che lascia forma della
luce bella
E fa in diversi tempi il
bene e il male:
Io dico, varïando la sua
rota,
Sì come muta il corso
naturale.
Li vizi che sinor non
t'ho descritti 55
Tu puoi sentire per gli
apposti ditti.
CAPITOLO XIV
Della Superbia.
O Roma, capo degli atti
possenti,
Quando ritornerai nel
primo stato
Sarà la borsa giunta a
li bisenti.
Tenesti già lo fren
dell'universo
Se ti ricordi del tempo
passato, 5
Sì come del tuo segno
dice il verso.
Ma conseguendo la
superba vita
Li tuoi figliuoli t'han
condotta a tanto
Che par la tua memorïa
finita.
Non sarà boschi mai tua
santa terra, 10
Sì bene sentirai l'amaro
pianto:
Ciò mostra il ciel che
suoi lumi disserra.
Per li peccati della tua
Romagna
Bagnata dello sangue
peregrino
Il giusto cerchio sopra
voi si lagna. 15
Ma in poco tempo ne
verrà il diviso
E caccerà il Francesco
lo Latino
Per la superbia nota del
suo viso.
L'uomo superbo non puo'
abitare
In terra, e nel ciel non
puo' salire: 20
Sempre dimora nel
gravoso affare.
Consuma la superbia le
persone,
Da lei procede il subito
morire
Seguendo pur la prava
opinïone.
Tre sono le persone da
spiacere: 25
Lo povero superbo ed
arrogante,
Lo matto vecchio senza
senno e avere,
Bugiardo ricco con sua
onesta vista
Che par che paternostri
sempre cante.
A Dio dispiace troppo
questa lista. 30
Questa è radice di tutti
i peccati
Per cui del Primo
vollero la sede
Quelli maligni spiriti
dannati.
Poi piovve in terra
questa iniqua setta
Da cui lo mal per
inganno procede 35
E fa la vista dello ben
sospetta.
Superbia non è altro che
volere
Sopra di tutti essere
tenuto
E quel che l'uom non è
farsi tenere,
Entrando innanzi a
ciascun uomo buono; 40
E pare a lui che ognun
sia discaduto,
E tien per niente chi di
grazia ha dono.
È differenza della
gloria vana
Che questa dentro tien
l'acerba norma,
Sopra di tutti tiensi la
sovrana. 45
Ma questi che del van
son glorïosi
Voglion di laude
manifesta torna
Mostrando ciò di cui son
desïosi.
Essere ingrato da
superbia viene;
Per questo si distrugge
pïetate, 50
Che non ha a mente lo
passato bene.
L'uom ch'ha virtute, se
nel cor ti poni,
Come si spoglia di sua
libertate
Tenendo a mente li
passati doni!
Oh quanto nasce mal
dall'uomo ingrato 55
Che guasta per altrui
l'uom liberale
E per disdegno fa cade'
in peccato.
Questa è la pena a
consanguineo dolo:
Quando per bene l'uom
riceve male,
Il dolce padre parte dal
figliuolo. 60
Ma l'altrui male lo tuo
ben non guasti,
Né il vizïo la tua virtù
disperga
Quando tu senti li
superbi tasti,
Ché combattendo l'uomo
acquista onore.
O quanto è degno che il
superbo merga 65
E senta pena del nuovo
dolore!
Ché l'uom superbo
devasta le terre:
Per lui vien piaga di
dogliose guerre.
CAPITOLO XV
Della Lussuria.
O
Bolognesi, anime di
fuoco,
A picciol tempo venirete
al punto
Che caderà Bologna a
poco a poco.
Or vi ricordi come il
divin arco
Ogni peccato con la pena
ha giunto 5
Ed, aspettando, assai
più si fa carco.
Di voi mi duol, ché
spero di venire
Al nido ch'è fondà sotto
la chioccia
De le globate stelle, al
mio parire.
E poi mi doglio e piango
di Fiorenza 10
Che, lagrimando,
scorderassiDoccia,
Facendo li Lucchesi
nuova offenza.
Or piangi, Pisa, con
sospir dolenti
Quando il trionfo di
Montecatino
E del francesco sangue
ti rammenti: 15
Il tuo valor convien che
pur si spegna
E caggia nel giudizïo
divino,
Lassando il freno della
tua Sardegna.
O Siena, posta sotto il
bel sereno,
Convien che pianga per
l'opposte case 20
Guastandosi lo tuo dolce
terreno.
E tempo venirà che la
Toscana
Sentirà pena con le
bocche pase
Per lo dispetto di
natura umana.
Tenete la lussuria
vostra dea 25
E fate nel Fattor le
piaghe nuove
Più che non fece la
setta giudea.
Or riguardate alquanto
Pïetate
Che sopra voi le sue
lagrime piove
Veggendo come il ben
divin lassate. 30
Distruggon le ricchezze
e le persone
La gola, la lussurïa e
le guerre:
La femmina col giuoco in
ciò si pone,
Consuma il corpo e
l'alma si manduca:
Per lei mi pare che il
cielo si serre 35
Ed in disdegno l'alto
Dio conduca.
E l'inimico dell'umana
gente
Più che degli altri
vizii si gode
Facendosi il peccato
carnalmente.
Ed è ragion, che questo
ei non puo' fare 40
Per sua natura, e non si
puo' dar lode:
Ma tutti gli altri ben
ponne operare.
Suo spirito, che tien la
vita involta,
Offende e toglie
virtuosa fama
Che disonesta per lo
mondo è volta, 45
Distrugge il senno,
corrompe la legge,
Fa nella mente di desìo
la brama,
Conturba sopra il ciel
che tutto regge.
Da lui discende fiera
servitute
Che legge impone a cui
donna comanda 50
Stando ei soggetto a la
carnal salute.
O servi tristi, o
comperati schiavi,
Perché l'atto carnal
così vi affanna
Che contro Dio vi fa
cotanto pravi?
Deh non credete a una
femmina sciocca 55
E non v'accenda sua
finta bellezza,
Ma riguardate come
dentro fiocca!
Miri la mente con occhi
cervieri,
Ché allora perderete la
vaghezza
Di lei, mirando li
sciocchi misteri. 60
E gli occhi falsi, come
li ammaestra
Nel pianto per formar
maggior affetto!
Traggendo guai, li
sospiri addestra.
E quanto è cieco chi a
femmina crede!
O quanta nasce pena da
diletto 65
Passando il tempo che lo
Ben non vede!
Sì come il fuoco non si
puo' celare
Tenendolo celato nel suo
seno,
Così non puo' mai l'uomo
conversare
Con femmina, che non vi
sia delitto, 70
Ché sempre ha il core di
malizia pieno,
E ciò dimostra ne lo
sguardo fitto.
Al foco della femmina la
terra,
L'abisso inferno, dicon,
non gli basta,
Ma senza fine l'appetito
sferra. 75
Ma se la fine del desìo
carnale
Consideri, sarà la mente
casta
Veggendo senza frutto lo
gran male.
Incesto, adulterio e
fornicare
Ed anche far difetto
alla natura, 80
In ciò si puo' lussuria
divisare.
Col simil sangue si
commette incesto,
Ma chi di matrimonio
tien figura
Commette l'adulterio
manifesto.
Orribil vizio è che
natura prende: 85
O alme diffidate
sodomite,
O quanto pur in questo
Dio s'offende!
Cercate amore dove amor
non regna.
O menti cieche dallo Ben
partite,
Di vostra vita l'aere si
disdegna. 90
Or vi ricordi come le
nude ossa
Rimaneranno nell'oscura
tomma
E come a tutti morte dà
percossa.
Abbandonate dunque lo
vile atto.
Ché se voi fate di
ragion la somma, 95
Niente s'acquista, poi
che s'è disfatto,
L'uomo carnale con lo
senno acerbo,
E quando vince, perde,
l'uom superbo.
CAPITOLO XVI
Dell'Invidia.
O bel paese con i dolci
colli,
Perché non conoscete, o
genti acerbe
Con gli atti avari,
invidïosi e folli?
Io puro te piango, dolce
mio paese,
Ché non so chi nel mondo
ti conserbe, 5
Incontro a Dio facendo
tante offese.
Venirà il tempo delli
tristi giorni
Di guerra che farà
sanguigni i campi
Ed infuocati li tuoi
monti adorni,
E, rotti li tuoi nervi,
caderai. 10
Se ciò s'allunga, però
tu non scampi:
Senza rimedio nuda
piangerai.
L'avara invidïosa mente
vostra,
O Marchigiani, con le
gravi colpe,
Secondo che lo cielo mi
dimostra, 15
Conduceravvi nelle
guerre accese,
E lascerete l'ossa con
le polpe
Entrando l'anno con lo
tristo mese.
Da voi sarà l'invidïa
lontana
Quando al ponente
ritornerà Tronto 20
E Castellano di terra
ascolana.
Sì v'han condotti
Recanati ed Iesi
Che, se tornate al ben,
sarà congionto
Il monte di San Marco
con Polesi.
'Scolta, Romagna con
l'antiche volpi 25
Che fanno, per aver le
nuove tane,
Nella gran pace li
celati colpi:
Sarai pur soggiogata da
tiranni.
Carne volpina vuol salsa
di cane,
Ed aspre pene li peccati
granni. 30
L'invidïa, che il mondo
no abbandona
E fura la virtù
dell'intelletto
Ed arde ciecamente la
persona,
Manduca l'alma
distruggendo il core.
D'ogni peccato s'ha
qualche diletto, 35
D'invidia non s'ha altro
che dolore.
Questa è tristezza dello
bene altrui
Ed allegrezza del
dannoso male
Che vien per caso nelli
tempi a nui.
È l'invidia più forte a
sofferere 40
Che non la povertate
accidentale
Che fa del sommo stato
l'uom cadere.
Se vuoi dell'invidioso
far vendetta
E con più accesa fiamma
far languire,
Accostati a virtù che il
bene aspetta, 45
Dell'altrui male sempre
sii dogliuso,
Ricordati del tempo ch'è
a venire
E come la fortuna muta
l'uso.
Ché chi si gode del
vicino pianto,
In ver di lui vegnon le
triste ore 50
Ch'ei prende di
tristezza nuovo canto.
Anima invidïosa e
disdegnata,
Riguarda come è in croce
il tuo Fattore
E per qual fine tu fosti
creata:
Io dico a conseguir le
degna sorte 55
Fuggendo per virtù
l'eterna morte.
CAPITOLO XVII
Della Gola.
O voi, Lombardi, con
l'ampiata gola,
Faretevi ribelli di San
Piero
Pur risguardando
l'aquila se vola.
Venirà il tempo, dico,
nello quale
Giovani acerbi con lor
atto fiero 5
Di sovra il tempo
spanderanno l'ale;
Toglierà il nome con
sanguigna spada
Chiascheduno di questi
al gran lombardo,
Se il suo valor non
perde presso all'Ada.
Veggio cader li guelfi
in Lombardia, 10
Se al cielo Dio non fa
nuovo risguardo
Togliendo dal Saturno
signoria.
Il gran diviso guasterà
Cremona
E Padova e Milano con
Piacenza:
Di Mantova non dico e di
Verona, 15
Ché non so di qual cielo
fur lor stelle:
Temo che a lor voler non
faccia offensa;
Dunque convien ch'io
taccia lor novelle.
Sempre a tiranni sarà
sottoposta
La vostra Lombardia col
dolce piano, 20
Se alla natura pïetà non
osta.
La gola col gran mal del
sesto clima
Voi conseguendo con sì
grande accano,
Non credo che Dio muti
questa rima.
Non puo' con gli altri
vizii far contesa 25
Chi la sua ghiotta gola
non raffrena,
Ché con la gola la
lussuria è accesa,
Distrugge la memoria e
toglie il senno,
Corrompe il sangue di
ciascuna vena
E muore contentando il
ghiotto cenno; 30
Debilita lo spirito e la
lingua
E toglie l'intelletto
dello Bene
E subito soffòca, tanto
impingua,
E in disonore termina la
vita
E toglie della glorïa la
spene, 35
Fa sentir fiamma di
doglia infinita
E spoglia l'alma della
sua virtute
Piangendo nuda sempre di
salute.
CAPITOLO XVIII
Della Vanagloria e
dell'Ipocrisia.
Bene ha virtute chi
desìa l'onore
E lode dello ben che
l'uomo acquista,
Ché per la fama cresce
più il valore;
Ma questi vani della
gloria sciocca
Che voglion lode dalla
pinta lista 5
Passano il modo che
l'estremo tocca.
No aspetti lode chi lode
rifiuta,
Né aver salute chi
salute offende,
Ché per celarsi il vero
non si muta.
Non sempre è frutto dove
è verde foglia 10
E né tesoro ciò che luce
e splende,
E chi ciò crede pur del
ben si spoglia;
E più l'uomo non è
quanto si mostra,
E più desïa la pomposa
lode
E forte sprezza questa
vita nostra. 15
Questa sì è l'alma
dell'ipocrisia
Che della vana glorïa si
gode
Voltando l'intelletto a
fantasia.
La falsa nominanza poco
dura
A chi ben parla e
malamente vive 20
E a chi coprir si vuol
di sua natura.
Ben è scoperto chiunque
vuol celare
Agli occhi umani le
opere cattive
E il perso per lo bianco
dimostrare.
L'altrui parlare la tua
lode spanna, 25
E la tua bocca serbi il
bel tacere:
Poi di vergogna l'alma
non s'affanna.
La propria bocca fa le
lodi sorde,
E fra le genti fa gran
dispiacere
Quando la vanaglorïa le
morde. 30
A magnanimitate contraddice
La vanagloria che
nell'uomo regna,
Che vuol più lode ch'ei
non è felice.
Tra gli altri questo
vizio meno nuoce
E nostra umilitate meno
sdegna, 35
Ma pur dannaggio fa la
sola voce,
E acceca l'alma della
conoscenza
Ché de la sua salute più
non penza.
CAPITOLO XIX.
Dell'Ira e Accidia.
Ira non altro è che
acceso sangue
Dentro nel core che il
disdegno infoca,
Per qual de la vendetta
l'alma langue.
Subito sdegno toglie lo
gran bene
Del grande amor che
torna in poca cosa 5
Se d'amorosa pace non è
spene.
Là dove è amor perfetto
non è sdegno:
Bramasi in pace con
dolce vergogna
Se del celato ben non
mostra segno.
O quant'è bella cosa la
dolce ira 10
Che per far doppia pace
pur bisogna
Nel tempo che d'amor lo
cor sospira!
L'accesa gelosia con
l'ira forte
E lo pensiero che la fin
non vede
Dinanzi al tempo conduce
a la morte. 15
Nasce dell'ira súbita
parola
Per qual la morte súbita
procede,
E l'alma disperando ne
va sola.
L'irato si mitìga per
tre cose:
O dolce rispondendo, o
col tacere, 20
O col partirsi fin che
l'ira pose.
Gli occhi umani, quando
sono irati,
Accecan l'alma del
giusto vedere,
Remota stando da gli
atti beati.
Pur in parole è l'ira
delli matti, 25
Suonando l'aere con le
irate voci:
Ma quella delli savi è
nelli fatti.
O quanto ha l'alma forma
di bellezza
Se si raffrena da questi
atti atroci
Prendendo da virtute la
fermezza! 30
È d'animo tepor
l'accidia ria
Che s'abbandona al
cominciar gli effetti
E, cominciando, non
segue la via.
E questi la pigrizia
tiene in branche,
Da questi vegnon li
penal difetti 35
Mostrandosi del bene
sempre stanche.
Or queste donne triste
qui le lasso,
E intendo di seguir
altro cammino
Da questa riva con più
dolce passo,
E d'animali e pietre far
simiglie, 40
Parlando in questa parte
più latino
Che la comune gente qui
si sviglie.
Comincio prima
dall'altier valore
Dicendo onde procede e
che è amore.
LIBRO III
CAPITOLO I
Dell'Amore, ossia della
vita attiva naturale.
Dal terzo ciel si muove
tal virtute,
Che fa due corpi una
cosa animata
Sentendo pene di dolci
ferute.
Conformità di stelle
muove affetto,
Trasforma l'alma nella
cosa amata 5
Non varïando l'esser del
soggetto,
Questa virtute è con
l'anima unita
Nel suo creare, come
Sole e luce,
Ché fu in un tempo lor
forma finita.
Lascia il dolore degli
acerbi giorni 10
Poi che in disïo l'alma
si conduce
Donna mirando con gli
effetti adorni.
Il terzo aspetto, dico,
nel sestile
S'è permutando la Luna
col Sole,
O anche l'orïente s'è
simìle, 15
Ciascun amore nasce per
natura,
Insieme l'alme per virtù
raccole
E più e men, secondo lor
figura.
Amor non fu giammai
nostro volere,
Ma vien per natural
conformitate 20
Che nasce in noi per
subito vedere.
Gli occhi umani sono
calamite
Che attirano di nostra
umanitate
Lo spirito col piacer,
come vedite.
Amore è passïon di
gentil cuore 25
Che vien dalla virtù del
terzo cielo
Che nel crear la forma
al suo splendore.
Errando scrisse Guido
Cavalcanti:
«Non so perché si mosse
e per qual zelo».
Qui ben mi spiego lo
tacer di Danti. 30
«Donna mi prega perch'io
debba dire»
Dimostra che l'amor
muove da Marte,
Dal qual procede
l'impeto con l'ire,
Che strugge pïetà con la
mercede,
Unita cosa per disdegno
parte, 35
Corrompe amore con la
dolce fede.
Non è effettivo agente
quel che priva:
Dunque lo Marte non puo'
per suo lume
Formare amore in animal
che viva.
L'antiche prove degli
eccelsi ditti 40
Spogliano Marte di cotal
costume,
Ché tien di guerra gli
atti circoscritti.
Anche ogni agente, dico,
naturale,
Che termina ad alcuna
passïone,
Da quella dipartirsi mai
non vale. 45
Del suo creare fu lo
Marte cinto
Che all'ira triste e
agli impeti dispone:
Amore dunque fu da lui
respinto.
Senza vedere, l'uom può
innamorare
Formando specchio della
nuda mente 50
Veggendo vista sua nel
'maginare;
Ma pur dagli occhi nasce
più piacere
E più si chiude amore in
noi possente
Con gran dolcezza e con
maggior temere.
Questa conformità muove
diviso, 55
Fa l'anima parzial senza
ragione
Nel primo sguardo,
mirando nel viso.
Amor non nasce prima di
bellezza:
Consimil stella muove le
persone
E d'un volere forma la
vaghezza. 60
Non si parton per altro
che per morte
Quando la luce trina lor
conforma
Insieme l'alme dal
piacer raccolte.
Ma Dante, rescrivendo a
messer Cino,
Amor non vide in questa
pura forma, 65
Ché tosto avria cambiato
il suo latino.
«Io sono con Amore stato
insieme»:
Qui pose Dante che nuovi
speroni
Sentir puo' il fianco
con la nuova speme.
Contro tal detto dico
quel ch'io sento, 70
Formando filosofiche
ragioni:
Se Dante poi le solve,
son contento.
Natura muove per
l'eterno moto
E prende qualitati onde
risulta
Esser perfetto che non
sia remoto. 75
Io prendo esempio da
lucente pietra
Che ha per qualità sua
forma occulta
Che mai dal suo soggetto
non s'arretra.
È naturale ciò che il
ciel qui muove,
E ciò non prende mai
contraria faccia 80
Finché non torna in
qualitati nuove.
Se questa trina luce
amor compone,
Non veggo che accidente
amor disfaccia:
Di ciò son certo, senza
opinïone.
Non intendo trattar
d'amor divino 85
Come dell'alma nostra è
somma vita,
Ché qui di lui parlar
non posso a plino.
D'amor che nasce per
virtù di sangue
Che per natura nelli
nati alita
Io lasso, e dico come lo
cor langue. 90
Come la luce ha il suo
proprio aspetto
Illuminando l'aria che
risplende
Facendo agli occhi
natural diletto,
Così del cuore è oggetto
suo l'amore
Lo qual, se limitato,
non offende 95
Né toglie alla virtute
il suo valore;
Ma come offende la virtù
visiva
Di luce lo visibile
eccedente
Ché lei corrompe potenza
passiva,
Amor così tremendo fa
languire 100
Il cor che sospirando fa
dolente
Sentendo pena del nuovo
martire.
Là dov'è amore, sempre è
gelosia
Ed è paura e pensiero e
sospetto
E l'alma con la spene è
tuttavia. 105
Amor nel cerchio non
tien fermo punto:
O cala o monta nell'uman
concetto:
Sempre col moto fu così
congiunto.
Chiunque non segue la
carnal salute
Riguarda donna come Sole
a fango, 110
Discaccia d'ogni vizio
servitute,
E vede la certezza dello
Bene.
Ma io, dolente, in ogni
tempo piango,
D'amor sperando quel che
non conviene.
Amor dall'atto quanto è
più lontano, 115
Cotanto è più possente
il dolce fuoco
Che tien gioioso sempre
il cuore umano.
Ardendo fa alla vita il
Ben sentire
Donna mirando nel beato
loco
Che pace con dolcezza
par che spire. 120
Ma sono in nostra
umanità venute
Genti oscure con lor
atto fiero
E son di tal virtù lor
menti mute,
E la vista carnal van
pur querendo;
Per l'abito poi cessa il
moto altiero 125
Vilmente lor disïo
conseguendo.
Amor, s'è vizïoso, poco
dura;
S'è per vertude, ognora
si conferma
Ché l'alma nel suo ben
si trasfigura.
Amor che non comincia in
ferme stelle 130
Tosto s'accende e
avaccio si disferma
Partendo disdegnate
l'alme felle.
Io son dal terzo cielo
trasformato
In questa donna, ch'io
non son chi fui,
Per cui mi sento ognora
più beato. 135
Da lei prese forma lo
mio intelletto
Mostrandomi salute gli
occhi suoi,
Mirando la virtù nel suo
cospetto.
Dunque, io son ella; e
se da me si sgombra,
Allor di morte sentir
deggio l'ombra. 140
CAPITOLO II
Della Vita attiva
spirituale, o contemplazione delle verità eterne, e della fenice suo simbolo.
O amorosi spiriti del
mondo,
Se a lei si mostra la
virtute tanta,
Procede da chi muove il
ciel secondo.
S'uomo mirasse bellezza
in costei,
L'umanitate che la spera
ammanta 5
Saria più degna
conoscendo lei.
O alma bella della sfera
nostra,
Trascesa al mondo per
salute umana,
Di voi le stelle fanno
nuova mostra.
O viste umane, se voi
foste degne 10
Di veder come di grazia
è fontana
E come il cielo in lei
virtute pegne!
Costei fu quella che
prima mi morse
La nuda mente col disïo
soverchio,
E subito mia luce se
n'accorse. 15
Ogni intelletto qui
quiesca e dorma,
Ché non fer mai sotto
del primo cerchio
Dio e natura sì
leggiadra forma.
Questa è la donna qual
mai non coverse
Spera alcuna d'umana
qualitate, 20
Avvegna che nel mondo
qui converse.
Fu innanzi il tempo e
innanzi il ciel sua vista;
Qui fa beata nostra
umanitate
Seguendo il bene che per
lei s'acquista.
Or questa di fenice tien
simiglia; 25
Sentendo de la vita
gravitate,
More e rinasce: ascolta
meraviglia!
In quelle parti calde
d'orïente
Canta, battendo l'ali
dispiegate
Sì, che nel moto accende
fiamma ardente. 30
Però conversa, dico, in
polve trita,
Per la virtute che
spreme la Luna
Riprende in poca forma
prima vita
E poi, crescendo, torna
nel suo stato.
Al mondo non fu mai più
che quest'una; 35
Da l'orïente spande il
suo volato.
Così costei, che alterna
al tempo muore
Per la grifagna gente
oscura e cieca,
Accende fiamma al disïo
nel cuore;
Ardendo, canta delle
viste note, 40
Con dolce fuoco
l'ignoranza spreca
E torna al mondo per
l'eccelse rote.
La guida delli cieli la
conduce
Nell'alma che è disposta
per sua luce.
CAPITOLO III
Dell'Intelletto attivo,
e dell'aquila suo simbolo.
E l'aquila per tempo si
rinnova
Volando ne l'eccelsa
parte ardente,
Ché sotto la vecchiezza
ella si cova.
Nel gran volato le sue
penne ardendo,
Riprende giovinezza, e
ciò consente 5
Natura, presso all'acqua
ella cadendo.
Stando nel nido coi
piccoli nati,
Verso li raggi fa
ciascun mirare;
Di quel che vede gli
occhi immacolati
Che non son fermi aperti
verso il Sole, 10
Beccandolo, comincia a
disdegnare
E nel suo nido mai star
più non vuole.
Dov'è il suo nido, non
istà dappresso
Nessun uccello, se non
vuol morire
E dalle branche sue
venir depresso. 15
Di sua rapina sempre
lascia parte:
Piccoli an'mali non vuol
mai ferire;
Veggendoli temer, tosto
si parte.
Sì mi rinnova nel piacer
costei,
Ed arde di vergogna la
mia mente 20
Quando s'aggrava pur di
seguir lei.
Spandendo l'ali della
sua virtute,
Allora cresce
l'intelletto agente
Mirando di bellezza la
salute.
E chi con lo suo sguardo
non rimira 25
Al suo Fattore e deprime
lo viso,
Costei disdegna, onde il
suo cor sospira.
Le lagrime pur bagnano
la terra
Essendo da costei così
diviso,
Che per difetto cade in
la sua guerra. 30
Sì come donna delle
giuste genti,
Disterpa d'ogni vizio la
radice
Dal cor che mostra poi
gli atti possenti.
Misericordia avendo e
caritate,
Alla viltà del mondo
contraddice 35
Facendo degna nostra
umanitate,
Dagli occhi suoi
nascendo tal piacere
Che fa beato l'uomo nel
vedere.
CAPITOLO IV
Dei simboli di Fede,
Speranza e Carità, ossia lumeria, stellino e pellicano.
In quelle parti
dell'Asia maggiore
Lumeria nasce con
lucenti penne,
Che toglie l'ombra con
il suo splendore.
Morendo, non è morto
questo lume;
Non vuol natura che
giammai si spenne: 5
Partita penna vuol che
poco allume.
Così da questa vien la
dolce luce
Che alluma l'alma nel
disïo d'amore;
Togliendo morte, alla
vita conduce.
E l'uom, morendo poi con
questa donna, 10
Luce la fama, nel mondo
non muore,
E dei sospiri fa quïeta
l'onna.
Ma chi da questa donna
s'allontana,
Perde la luce delle
penne prime,
Di sua salute ad ogni
ora s'estrana. 15
Ma prego che co' dolci
occhi mi sguarde
Togliendo dal mio cuor
le penne estrime
Del cieco mondo che ad
ogni ora m'arde,
E la sua forza mi
conduce a tanto
Che per gli occhi mi
geme il tristo pianto. 20
Segue stellino, bellezza
del cielo;
Io dico, per vaghezza
della stella,
Nell'aere mezzo, fin che
trova il gelo,
Ei vola abbandonando il
dolce nido:
Veggendo che Mercurïo
l'appella, 25
Lui pur consegue facendo
gran grido.
Ma per vaghezza della
stella lassa,
Scordandosene, l'ovo
ch'egli ha in branca,
Che mai per gelosia da
sé non scassa.
L'ovo cadendo, nasce il
suo figliuolo: 30
Poi che il vedere della
stella manca,
Gridando il nato verso
lui fa volo.
È simil questa donna
allo stellino,
Che fa volar la nostra
mente accesa
Nel gran disïo dello Ben
divino, 35
E toglie la viltà di
questa vita,
Il tristo amore che
commette offesa
Amando più che Dio cosa
nutrita;
Conforma l'alma con
l'eterna spene
Lassando il mondo che
vizio mantene. 40
Il pellicano con paterno
amore
Tornando al nido e
fatigando l'ale
Tenendo li suoi figli
sempre al cuore,
Vedeli uccisi dall'empïa
serpe,
E tanto per amor di lor
glien cale, 45
Che lo suo lato fino al
cor discerpe.
Piovendo il sangue sopra
li suoi nati
Dal cor che sente le
gravose pene,
Da morte a vita sono
ritornati.
Da questo in noi si
muove conoscenza 50
Di Quel che muove il
tutto e lo sostene,
E l'universo per lui si
dispenza.
Come del pellicano Ei
tien figura,
Per li peccati dei primi
parenti
Risuscitando l'umana
natura. 55
E noi, bagnati da
sanguigna croce,
Risuscitando da morte
dispenti,
Di servitude lasciamo la
foce,
Sì che per morte
riprendiamo vita
Che per peccati fu da
noi partita. 60
CAPITOLO V
Dei simboli della Vita
nei quattro elementi, ossia salamandra, camaleonte, allech e talpa.
La salamandra nello
fuoco vive
E l'altro cibo la sua
vita sprezza:
Non sono in lei potenzïe
passive.
Ardendo, si rinnova sua
coverta:
Così natura in lei pose
fermezza: 5
Non vuol che in fiamma
giammai si converta.
Così fa l'alma che
costei consegue,
Che mai non sente
tormento nel fuoco
Se la fortuna rompe le
sue tregue.
Pascesi solo per la sua
salute 10
E del dolente mondo cura
poco,
Considerando la sua
servitute.
Camaleonte che vive
nell'aria,
Quale è soggetto di tutti
gli uccelli,
Se la sua chiaritate si
fa varia, 15
Sopra le nubi volando
s'adduce
E passa quelle parti
delli cieli
In fin che trova l'aria
in pura luce:
Ivi si pasce ed ivi si
nutrica.
Allech è in acqua, ed in
terra la talpa. 20
Or qui m'ascolta, se
vuoi ch'io ti dica.
Il pesce fuor dell'acqua
poco guizza:
In picciol tempo la
morte lo palpa;
E talpa nella morte gli
occhi svizza.
Così fa l'alma che tal
donna porta 25
Quale è soggetto di
virtuti tante,
Che verso il cielo da
lei prende scorta
Lasciando della vita
oscuritate
E per la fede sosten
pene, oh quante!
Sol per vedere l'alta
chiaritate, 30
E l'alma, che per luce
fu creata
Per sormontare nelle
dolci scale,
Per gli occhi di costei
divien beata.
Ma quando guizza da
costei divisa,
Verso la morte con
tristezza sale 35
E mai con conoscenza non
s'avvisa.
Sì come talpa chiude gli
occhi belli,
Celando fino a morte le
sue colpe
Degli atti avari
invidïosi e felli.
Nel tempo estremo guarda
al suo Fattore, 40
Debilitate l'ossa con le
polpe,
Spettando a poco a poco
le triste ore.
Quest'ultimo pentire mai
non lodo,
Ma non disprezzo chi
tien cotal modo.
CAPITOLO VI
Rinuncia e Contrizione,
e dei loro simboli, palombino e struzzo.
Poi che morte lo penne
ha palombino,
Rinascono con loro
qualitate:
Son temperate, dico, più
e mino.
Virtù si serra in lui sì
come in seme
Che tien occulta sua
umiditate, 5
Ché pianta nasce, quando
il suol lo preme.
Così costei: chi la
tiene nel cuore,
In ogni modo segue
temperanza,
E in ciel fiorisce, poi
che al mondo muore,
E le nude ossa con la
fronte calva, 10
Che dormono vestite di
speranza,
Rinasceranno con la
carne salva
Quando la forza del
Fattor benegno
Chiuderà giorno
nell'umano regno.
Lo struzzo, che per sua
caliditate 15
In nutrimento lo ferro
converte,
Non vola in aria per sua
gravitate.
Di giugno, quando vede
quelle stelle
Globate in orïente bene
aperte,
Sotterra l'ova e
scordase di quelle. 20
Mettendo l'ova sotto del
sabbione
Nascono per virtù che il
Sol ne spira,
Onde di vita vien
perfezïone.
Nutrica i figli poi che
sono nati
Ricordandosi l'ova, e
fitto mira 25
Guardando lor con occhi
umilïati.
Così chi sente al cuore
il dolce fuoco
Che nasce per disïo di
costei
Il mal consuma e serva
sé in suo loco,
E se di lei peccando si
discorda, 30
Piangendo con sospiri
dice omei
Quando di questa donna
si ricorda.
Il gran pentire toglie
il gran peccare,
Se il cuore fa per
doglia lagrimare.
CAPITOLO VII
Confessione, Penitenza e
Preghiera, e dei loro simboli cigno, cicogna e cicala.
Il cigno è bianco senza
alcuna macchia
E dolcemente canta nel
morire
Infino che la morte non
l'abbacchia.
Così è bianca l'alma per
virtute
Volendo questa donna
conseguire 5
E per lei vede l'eternal
salute,
E canta nella morte,
innamorata
Andando al suo Fattor
così beata.
Cicogna, quando ha male,
il ben conosce,
Ché beve a forza
dell'acqua marina, 10
Così da lei fa fuggire
le angosce.
Se mai in fallo trova
sua compagna,
La sdegna e mai con lei
non s'avvicina;
Sola pensando va per la
campagna.
D'animai velenosi si
nutrica, 15
E lor veleno giammai non
l'offende;
Naturalmente de' serpi è
nemica.
Non fa col viso, ma col
petto cova,
E dentro al core pur
l'ova comprende
Che su lo sperma sua
virtute muova. 20
Poi ch'ella è vecchia,
da li suoi figliuoli
Riceve nutrimento e gran
dolcezza
Sì che in pace riposa
de' suoi duoli.
Così fa chi conosce
questa donna:
Sentendo de' peccati la
gravezza 25
Prende conforto sì che
non profonna.
Il vizïo abbandona
disdegnanno,
Non teme il suo veleno,
che nel mondo
Uccide l'uomo; su, nel
dolce affanno,
Drizza lo core verso il
fine e il bene 30
E, sofferendo il corpo
il grave pondo,
Vede salute alla gravosa
spene
E posa l'alma con
dolcezza e pace
Sopra le stelle, sì come
a Dio piace.
Canta cicala per ardente
Sole 35
Sì forte, che il morire
in lei fa scucco.
Le dolci olive per
natura cole.
Quant'è più pura l'aria,
più risuona
La voce sua che fa
tacere il cucco,
Sì che il suo tristo
canto più non suona. 40
Nell'olio messa, subito
si muore:
Spandendo aceto sopra
lei, risurge.
Così fa chi costei porta
nel cuore:
Sentendo del divin
splendor la luce,
Non fina la sua prece in
sin che urge 45
La morte, dico, che al
tacer conduce.
Facendo il canto della
giusta prece,
Nell'alma fa tacere ogni
vil cosa,
E, se pur cade nella
triste nece,
Per penitenza riprende
la vita 50
Che per vergogna
piangendo fu posa,
Satisfacendo con mente
contrita
Sì che ritorna alla
grazia divina
Della beata vita che non
fina.
CAPITOLO VIII
Dell'Ignoranza, Furto,
Ingratitudine ed Invidia, e dei loro simboli notticora, pernice, upupa ed
avoltoio.
Notticora, querendo il
cibo, grida;
Di notte canta e volando
fa preda;
Ove son corpi morti, là
s'annida.
Vede la notte, ma nel
giorno è cieca;
Agli altri uccelli è
angosciosa e feda; 5
Come più guarda il Sole,
più s'acceca.
Così fa l'alma vizïosa e
rea
Quando da questa donna
si diparte,
La quale è di bellezza
somma dea:
Acceca gli occhi d'ogni
conoscenza 10
E segue la vilitate in
ogni parte
Finché la luce di veder
non pensa,
E infine il Bene
dell'eterno amore
Non vede, ché vivendo
ella si muore.
In femmina lo maschio
trasfigura 15
Pernice, discordandosi
del sesso,
E quando puo', degli
altri l'uova fura.
Per invidia le cova e fa
figliuoli:
Da lei ciascun si parte
e sta da cesso,
Verso la madre proprïa
fa voli. 20
Così fa l'uomo fuor di
conoscenza,
Che questa donna non
porta nel cuore
Né teme di commettere
ogni offenza,
E l'altrui bene per
invidia tolle,
La qual t'adduce a pena
ed a dolore 25
E d'ogni altra salute ti
distolle.
Or pensa che l'aver,
fatto di furto,
Tu vedi trapassare in
tempo curto.
Dello sangue dell'upupa
chi s'ogne,
Da' spiriti, dormendo,
vederassi 30
Essere preso, che non
par che sogne.
Io non vorria che ogni
uomo sapesse
Quanta viltate in lei
natura sparse;
Non saria fiero chi suo
cuore avesse.
Invecchia tanto, che non
puo' vedere 35
Né può volare, sì che
ciascun nato
Strappale penne e piume
a suo potere,
E poi la cova e con
virtute d'erbe
Di giovinezza torna al
primo stato:
Così natura vuol che si
conserbe. 40
Così tu devi non essere
ingrato,
Devi pensare, se non
fosser elli,
Che al mondo mai non
saresti creato.
Pensa a tua madre quanto
ne fatica,
Non sii maledetto sì
come son quelli, 45
Ma sempre con dolcezza
la nutrica.
Onora il padre con la
genitrice,
A ciò che sopra terra la
tua vita
Sia più lontana,
prospera e felice.
Da' tuoi figliuoli il
simile t'aspette, 50
Crudezza, impïetate
ovver ferita,
Sì come ho già veduto a
più di sette
E sonmi alla memoria
presso a cento
Che morti son per questo
vizio in stento.
Molte nature trovo nel
voltore; 55
Non tutte a simiglianza
le riduco,
Ma voglio che di lui sii
venatore.
Di lupo e di leon legato
in pelle
Il cuor, di Satanas o
del gran bruco
E d'ogni spirto l'impeto
repelle. 60
Da velen d'animai fa
l'uom sicuro;
Ardendo le sue penne, li
serpenti
Fuggono tutti: questo
ben ti giuro.
Ligando la sua penna nel
pie' destro
Quando nel parto son
dolor pungenti, 65
(A ciò che dico non
guardar sinestro),
Tira la creatura fuori a
luce,
E a chi non leva subito
la penna,
Ciò che è dentro di
fuori ne conduce.
La lingua tratta da lui
senza ferro 70
In panno nuovo al collo
chi sospenna
Fa certe cose che qui
non disserro.
Il destro piede legato
al sinistro,
E ciò converso, toglie
il gran dolore.
Anche d'un'altra cosa
t'ammaestro: 75
La polvere delle ossa
molto vale:
Con celidonia risulta il
valore
Che priva di languore
ogni animale.
Li suoi figliuoli,
quando son nel nido,
Beccali forte se li vede
grassi 80
E, percotendo, sopra lor
fa grido.
Così fa l'uomo tristo
invidïoso
Che lascia di costei li
dolci passi
Fin che si vede da morte
confuso,
E sé medesimo ardendo
percuote 85
Gridando verso Dio con
triste note.
CAPITOLO IX
Remissione dei peccati,
Elezione, Nobiltà e Fermezza, e loro simboli rondine, calandrio, falcone e
grifo.
La rondine due pietre
prezïose
Naturalmente porta nel
suo ventre,
Che vagliano ad amore, e
son famose.
Se li figliuoli sono
ciechi ed orbi,
Biascia la celidonia, sì
che c'entre 5
Il cano succo che sana
lor morbi.
Così sarai tu grazïoso
sempre
Se porti amore e
caritate dentro,
Di questa donna servando
le tempre.
Se il vizïo t'acceca li
belli occhi, 10
Cercando questa donna
nel tuo centro
Ti sanerà, se al Fattor
t'inginocchi;
E di salute non ti
disfidare,
Ché di propria natura è
lo peccare.
Il calandrello, quale è
tutto bianco, 15
Portandolo dinanzi a
quel che è infermo,
Di ciò che qui ti dico
non ti manco,
Se morir deve, voltagli
la coda,
Se campar deve,
riguardalo fermo.
Di questo an'male tal
natura loda. 20
Così fa questa donna: a
cui riguarda,
Di morte a vita ed a
salute torna;
Volta l'aspetto a cui lo
vizio imbarda
Sì che, vivendo, muor,
perché mal vive.
O quanti la speranza al
mondo scorna, 25
Pur conseguendo l'opere
cattive!
Lieve salute nel
presente giorno
Ché, crastinando, la
morte gli è intorno.
Erodio, il quale è pur
detto falcone,
Fere col petto più che
non col becco. 30
Ascolta quanto è in lui
perfezïone.
Se in due volati non
prende sua caccia,
Vergognasene forte e sta
allo stecco
Né più in quel giorno animali
minaccia.
Nell'altro che domestico
pur vaga 35
O per vergogna nell'aria
va sperso,
Di ritornare a lui tardi
s'appaga.
Non becca mai della
putrida carne,
Sia quanto vuole di fame
converso,
E quando è infermo becca
pur le starne. 40
L'uomo ch'è prode
figliuol di virtute,
Più fa col cuore che non
fa con bocca
Quando il raggiungono
l'aspre ferute.
Sempre è vergogna dove è
gentilezza.
Azaria » dico a cui tal
detto tocca, 45
Che con la lingua gli
inimici spezza.
Non prende l'uom gentil
le brutte cose,
Ma, per virtù dell'animo
ch'è granne,
Consegue sempre le più
valorose.
Ma sono al mondo cotai
gentilotti 50
Che gridano, mostrando
le loro sanne,
Schernendo altrui con
loro grigni e motti.
Per l'opera si mostra
l'uom gentile,
Sì come è scritto nel
secondo stile.
Il grifo assai è forte,
ma pur teme 55
Per molti an'mali che
son ne li monti,
Ché per lor corpi lo
tossico freme.
Sempre nel nido lo
smeraldo pone
Sì che non sieno li suoi
nervi ponti:
Per questa pietra fa
defensïone. 60
Così tu devi mettere
costei
Dentro nel cuore con la
ferma fede
La qual difende l'uom
dagli atti rei,
Dall'inimico ch'è il
serpente antiquo,
E dona pace e gloria e
mercede 65
Togliendo all'alma lo
valore iniquo.
Chi seco porta questa
bella pietra
Giammai da sua salute
non s'arretra.
CAPITOLO X
Egoismo e Altruismo,
Peccato e Pentimento, e loro simboli pavone, gru, corvo, tortora.
Ciò che si dice non è
tutto vero
Che, morto, lo pavon non
si corrompa:
Quel che già vedi tolga
il tuo pensiero.
Ben si conserva assai,
ma non d'agusto,
E quando il Sole in
Cancro mostra pompa, 5
Di lui s'accorge il naso
ed anche il gusto.
La pavonessa quando
puo', nasconde
L'uova sì che il pavone
non le offenda:
Quand'egli grida, tace e
non risponde.
Assai più la lussuria allor
l'affanna 10
Che par che la compagna
non l'attenda;
Ovunque trovi l'uova, lì
le danna.
Gode di sua bellezza
nella rota:
Guardandosi li pie',
prende tristezza,
E l'allegrezza sta da
lui remota. 15
Voce ha maligna, capo di
serpente,
La penna par d'angelica
bellezza,
Li passi, di ladrone
frodolente.
È l'uomo pravo simile al
pavone,
Ché guasta la comune
utilitate 20
Per lo voler che acceca
la ragione.
Se giunge con la man,
non vuole uncino;
Ma se risorge la
comunitate,
Tempera mano a follo ed
a molino.
O tu, che intorno tua
bellezza miri, 25
Che sì la sciocca glorïa
t'imbarda,
Se hai intelletto, come
non sospiri?
Guarda li piedi e li
veloci passi
Che fai verso la morte
che ti guarda,
E come il tempo che
traluce lassi. 30
Or pensa dunque che nel
mondo tristo
Si lassa con sospir
l'umano acquisto.
Hanno le grue ordine e
signore,
E quella che conduce,
spesso grida,
Corregge ed ammaestra
lor tenore. 35
Se questa manca, l'altra
in ciò succede,
E quando dormon, questa
che è lor guida
La guardia pone che
alcun non le prede.
Questa che guarda sta
con una gamba,
Nell'altra tien la
pietra, ché, se dorme, 40
Cadendole, dal sonno gli
occhi stramba.
Così dovria ciascuno
cittadino
L'uno con l'altro essere
conforme,
Che non venisse la terra
al dechino.
Ma tanta è questa
invidïa che regna, 45
Che sempre si disface il
ben comuno
E l'uno di seguir
l'altro si sdegna.
Lo senno delli giovani
qui veggio:
Non è chi faccia ben,
non è, se ad uno
Per l'util si consiglia
pur lo peggio. 50
Veggio cader diviso
questo regno,
Veggio che è tolto
l'ordine e lo bene,
Veggio che regna ciascun
uom malegno;
Veggio li buoni qui non
aver loco,
Veggio che di tacere a
ognun conviene, 55
Veggio com'arde qui
l'occulto foco;
Veggio venire qui le
piaghe nuove,
Dico, se pïetà ciò non
rimuove.
Nasce ogni corvo, per
natura, bianco,
E pascesi dal ciel di
dolce manna. 60
Per lui lo padre sente
doglia al fianco
Fin che non vede in lui
le penne negre,
E trovar cibo per lui
non s'affanna,
Né mai natura vuole che
s'allegre.
Così l'anima nostra è
bianca e netta, 65
Tabula rasa ove non è
peccato:
Diventa negra poi che si
diletta.
Il vizio la nutrica e la
conduce
E cieca e negra
nell'eterno stato,
Spogliandosi da sé la
degna luce; 70
E la sua pena non si
cessa mai
E trae sospir di
dolorosi guai.
La tortora per sé sola
piangendo,
Vedova di compagno in
secco legno,
In loco pur deserto va
querendo; 75
Non s'accompagna mai,
poi che lo perde;
Di bevere acqua chiara
prende sdegno;
Giammai non sta né canta
in ramo verde.
Così ciascuno piangere
dovria
Lo suo peccato che
l'anima fura, 80
E mai con lui non
prender compagnia;
Lassare il mondo ed ogni
suo diletto,
Facendo penitenza forte
e dura
Per contemplare, nel
divino aspetto,
Il sommo Bene
dell'eterna vita 85
Ov'è la gloria che
sempre è infinita.
CAPITOLO XI
Simboli d'animali
acquatici: uranoscopo dell'Elevazione dell'animo, sirena delle Malie, granchio
del Ricatto, ostrica dell'Imprudenza, delfino della Vendetta.
L'uranoscopo sempre mira
al cielo
Perché ha un occhio in mezzo
della testa:
Vestito ha il dorso suo
di bianco pelo.
Così è l'alma con la
vera fede,
Che il mondo con diletto
non l'infesta 5
E le cose divine sempre
vede,
Segue virtute senza
alcun diletto,
Ringrazïando chi le diè
intelletto.
Canta sì dolcemente la
sirena,
Che chi la intende dolce
fa dormire, 10
Sin che l'uom prende e
con seco lo mena,
Forte il costringe di
giacer con lei;
Languendo, per amor par
che sospire,
Poi lo divora con li
denti rei.
Così, con la dolcezza
della vita, 15
Inganna lo nemico l'alma
nostra
Fin che la mena alla
morte infinita.
Così fa l'uomo falso nel
suo canto,
Che con la lingua miele
ti dimostra,
E dietro poi ti punge in
ogni canto. 20
Chi non si fida, non
riceve inganno,
E il senno fa gran pena
dopo il danno.
Granchio che dentro alle
caverne nasce
E per natura aringa lo
nutrica,
Fin ch'egli è grande, lì
dentro la pasce. 25
Mostrale il cibo con
l'usata branca,
Con l'altra occultamente
la nimica:
Tanto la stringe, che
sua vita manca.
Così fa l'inimico della
gente,
Che mostra di diletto la
dolce esca, 30
Fino alla morte pasce
nostra mente.
In questo mare grande e
spazïuso
Con diversi ami
dolcemente pesca.
Beato è quegli che volta
lo muso
E mette alla sua gola il
freno e il camo 35
A ciò che preso non sia
da quest'amo.
L'ostrica quando v'è la
Luna piena
Apresi tutta; qual
veggendo il cancro,
Immagina d'averla a
pranzo o a cena:
Mettele dentro pietra
ovver festuca 40
Per qual lo suo coprire
le viene manco:
Così lo cancro l'ostrica
manduca.
Così è l'uomo che apre
la sua bocca
E con l'uom falso mostra
il suo secreto,
Onde vien piaga che lo
cor gli tocca. 45
È nella lingua e la vita
e la morte:
Più tace che non parli
l'uom discreto,
Stando nel cerchio con
l'empïa sorte.
Serva la vita lo lungo
vedere,
Né danno fe' giammai lo
bel tacere. 50
Chi mangia del delfin,
se fosse in nave,
Subito lui lo sente per
natura
E verso lui muove per
l'onde prave.
Di far questa vendetta è
sempre attento
E mai di perdonar non
mette cura; 55
Di molti divorando ha
fatto stento.
Così addivien dell'alma
empia e cruda
Che la vendetta fare
ognor disïa:
Così si fa di conoscenza
nuda.
O quanto è cieca la
gente superba! 60
Crede che perdonar
vergogna sia
E questa opinïone in
loro si serba.
O empio, che lo mal pur
ti diletta,
Vedi la morte ch'appresso
t'agogna
E quanta pena nasce a
far vendetta! 65
È più virtute quando
l'uom perdona
Potendo vendicar la sua
vergogna,
Che vendicando offender
la persona.
Or vinci, sofferendo, e
tempo aspetta
Nel qual convien cader
l'iniqua setta. 70
CAPITOLO XII
Simboli d'animali
velenosi: basilisco del Fascino maligno, aspide della Disperazione, drago della
Crudeltà, vipera della cattiva Confessione.
Signore è il basilisco
dei serpenti
E ciascun fugge, sol per
non morire,
Dal mortal viso con gli
occhi lucenti.
Nessun an'male puo'
campar da morte
Che subito la vita non
espire, 5
Cotanto è il suo veleno
atroce e forte.
La donnola, trovando
della ruta,
Combatte con costui e sì
l'uccide,
Ché il tossico con
questa da lui sputa.
Così fa l'alma col
maggior nimiquo, 10
Ché per virtù lo tossico
divide
Da sé lassando lo voler
iniquo,
E, pur vincendo al
mondo, in sé combatte
Sì che il nemico
finalmente abbatte.
L'aspide, qual'è aspro
di veleno, 15
Che sempre muove con la
bocca aperta,
Porta la spuma in bocca
nel sereno.
Per non sentire la
magica prece,
Ciascuna orecchia ottura
e tien coperta;
Porta nei denti la
subita nece. 20
Così fa la tua mente
senza spene,
Io dico, disperata di
salute,
Che non si degna
d'ascoltar lo bene.
Troppo è gran segno
l'esser disperato
D'uom che, fuggendo,
disdegna virtute. 25
Prego che intendi lo
parlar beato,
Che il cuore umilïato
mai non sperne
Chi tutto muove, giudica
e decerne.
Maggiore è il drago di
tutti i serpenti,
Intossica lo mare e
l'aria turba, 30
Più con la coda nuoce
che coi denti.
Fra gatto e cane, drago
ed elefante
Naturalmente la pace si
turba,
È mai cavallo e struzzo
non fu amante.
Il piè dell'elefante il
drago annoda 35
Con la sua coda, e
combattendo stride
Fin che la vita dallo
cuor disnoda.
Ma l'elefante sopra il
drago cade,
Sì che morendo il suo
nemico uccide:
Così convien che la sua
vita sbade. 40
Così fa l'uomo empïo e
crudele:
Rompe sua gamba per
piagar l'altrui
E sé medesmo intossica
col fiele.
Riguarda il fine innanzi
che comenzi,
E quado offendi, perché,
come e cui. 45
Non pensa a ciò la setta
dei melenzi:
Segue il volere pur con
l'ira forte,
Onde procede non pensata
morte.
È velenoso vipera
serpente
Che partorisce i
figliuoli per forza 50
Sì ch'ella muore
dolorosamente.
In gravidezza uccide il
suo marito
E con li denti lo capo
gli scorza
Sentendo il cuore ben
d'amor ferito.
Ciascun figliuolo
squarta lo suo lato 55
E viene a luce come vuol
natura
Che a tutte creature
ordine ha dato.
Non vale il verno, sì
che dorme sempre
Nelle caverne fin che il
freddo dura:
Di primavera sorge a
dolci tempre. 60
Con li fenocchi cura il
cieco aspetto.
Vuota il veleno innanzi
che si giunga,
Quand'è in amore, nel
carnal diletto,
E poi ch'ella ha
compiuto il suo volere,
Riprende quel veleno, e
poi s'allunga: 65
Non puo' la vita senza
quel tenere.
Così fa l'uomo quando si
confessa,
Che conta i suoi peccati
ei par contrito
E di tornare a ciò lo
cor non cessa.
Non si confessa, ed
anzi, par che ciance, 70
Sì che ritorna, poi ch'è
dipartito
Da quel peccato, con
l'ardite guance.
Contrito cuor e bocca e
satisfare
Toglie la colpa
dell'uman peccare.
CAPITOLO XIII
Simboli d'anfibi e
rettili: cocodrillo dell'Impostura, rospo della deformità del Peccato,
scorpione della Gola, ragno dell'Inganno.
Di notte in acqua e di
giorno in terra
Quïesce il cocodrillo e
sempre cresce:
Crestato pesce sempre a
lui fa guerra.
La mandibola sopra
sempre muove,
L'altra di sotto a lui
sempre quïesce, 5
E l'ova in terra con
diletto fove.
Di tutto inverno non
appar di fuore;
Risorge nella dolce
primavera,
Ché l'erba verde serba
il suo valore.
Prendendo l'uomo, subito
l'uccide: 10
Poi che l'ha morto,
piange questa fiera:
Con pïetosa voce par che
gride.
Poi ch'egli ha pianto,
divora e manduca
La carne umana, e poi
nel dormire
Per la sua aperta bocca
il serpe intruca, 15
Discerparli lo core e
mai non fina
Facendo a grande stento
lui morire
E quasi per vendetta
l'assassina.
Così fa l'uomo ipocrito
ed occulto
Che del dannoso mal nel
cor s'allegra 20
E pïetà dimostra nel suo
vulto.
Chi subito per ogni cosa
piagne
Alma incostante è di
malizia negra:
Or guarda che non caggi
alle sue ragne.
Che Dio punisca
duramente aspetto 25
Queste alme doppie con
lo falso aspetto.
Aspro veleno dico ch'è
nel botto
Che per freddezza fa le
membra morte,
Ha gli occhi ardenti e
il corpo come un otto.
Se tu mai cerchi nel suo
lato destro 30
L'osso di cui non son le
genti accorte,
Ha gran virtute, e di
ciò t'ammaestro.
La fervente acqua subito
egli affreda,
Vale ad amore ed a molte
altre cose,
Ed anche la quartana
febbre seda. 35
Fugge la ruta e mangia
le dolci erbe
E le radici lor fa
velenose;
La salvïa gli par che lo
conserbe.
Fugge l'aspetto, quanto
puo', del Sole;
Nel bruno tempo lascia
le caverne; 40
Per più salute sempre
l'ombre cole.
Così disdegna, fuggendo,
la luce,
La mente che il peccato
non discerne
E sempre nella pena si
conduce:
Più che il Fattore, teme
creatura 45
A cui celar non puo'la
sua figura.
Quando la Luna illuma lo
Scorpione,
La prima faccia che
figura scolpe
Non puo' dal scorpo aver
mai lesïone.
Sono molti scorpioni
ch'hanno l'ale 50
E sono grandi assai di
maggior polpe
E lor veleno fa assai
maggior male.
Pur muore quando sente
la saliva
Dell'uom digiuno;
l'altra non l'offende
Poi il desinare, e sua
vita non priva. 55
Così fa l'astinenzïa
fuggire
Ogni maligno vizio che
dipende
Da gola che conducene a
morire
E toglie di virtute ogni
valore,
Ché l'uomo più non cura
d'altro onore. 60
L'aranea che ha più
sottile il tatto
Tessendo e ritessendo la
sua tela
Fuor del suo corpo di
fila fa tratto.
Quand'è nel tempo che
amore la stringe,
Tirando il filo, lo
compagno cela: 65
Con lei sta il maschio,
fin che la concinge.
E subito che ne escono
dalle uova
Li suoi figliuoli, pone
in la tesura:
Di tessere ciascun
subito prova.
Lavora sempre quando
nasce il Sole, 70
E quando è in occidente
sua figura:
Fin che non spunta mai
cacciar non suole.
Tesse sottile sì, che
non conosca
Ciascun animal piccolo
che vola,
Ma sua nemica proprïa è
la mosca: 75
Poi che s'imbatte nella
cieca rete,
Battendo l'ale, canta
nuova fola:
Prima lo capo prende,
com' vedete.
Così il peccato cieca il
nostro aspetto,
Che non vedemo l'inganno
del mondo 80
Come noi prende e volve
a gran diletto.
Altro che vento non è
nostra vista.
O morte, quant'è grave
quel tuo pondo
Che al solo immaginar
pena ci acquista!
Quant'è più grave dunque
il tuo sentire! 85
Prego che chi ha
intelletto qui sospire.
CAPITOLO XIV
Simboli di Quadrupedi
feroci: leone della Magnanimità, leopardo e iena dell' Adulterio, pantera della
Socievolezza, tigre dell'Illusione.
Non chiude gli occhi lo
leon, dormendo;
De li suoi piedi sempre
l'orme copre,
Ché il cacciator non
vada lui seguendo.
Ciascun suo nato fino al
terzo giorno
Dormir non cessa sin che
il padre all'opre 5
Li desti sopra lor
gridando intorno.
Non fugge lo leone e non
s'asconde,
Fermasi al campo
senz'alcun temere
E mai suo cuor paura non
confonde.
Stassi celato nelle gran
montagne 10
Perché la preda vuol di
lì vedere:
Poi che la vede, fa alte
grida e lagne.
Ciascun an'mal
s'affligge per suo grido
Ed egli intorno con la
coda segna
E stan timenti senza
voce e strido. 15
Ei sempre di sua preda
parte lassa;
Alli prostrati perdonar
si degna
Possendo vendicar se
l'ira passa.
Così ciascuno che porta
corona
Deve ogni tempo tener
gli occhi aperti 20
Che inganno non riceva
da persona,
Celare il suo segreto e
la sua via,
Di sé facendo gl'inimici
incerti
Ché, dubitando, in loro
paura sia;
E deve li suoi nati
ammaestrare 25
Lassando il tempo
dell'acerba vita,
Con sue parole in lor
virtù spirare,
A ciò che non degeneri
sua stepe
In vile arbusta che, da
lui partita,
Perda lo frutto
nell'arida siepe. 30
Dev'esser sempre nuda di
paura
Alma regale, con ardita
vista,
Veggendo de' nemici la
figura,
E far sempre temere li
suoi servi
Tenendo di giustizia
santa lista 35
Che fra di loro non
siano protervi.
E quando si convien di
perdonare,
Voltar si voglion gli
occhi a pïetate
Che sempre in gentil
cuor convien destare.
Perdonimi a chi tocca
quel ch'io parlo; 40
E voi di Puglia qui mi
perdonate,
Ché troppo onor si fa a
l'ossa di Carlo.
Peccato vecchio fa nuova
vergogna:
Tu vedi ben che dir più
non bisogna.
Da leonessa il leopardo
nasce 45
O se giace leon con la
leoparda.
Crudo di pïetà, capro si
pasce.
Se non prende la preda
in quattro salti,
Per la vergogna in terra
fisso guarda
Provando sdegno delli
vili assalti. 50
Inganna lo leon nella
caverna
Quale ha due bocche e
nello mezzo è stretta:
Così natura vuol ch'ei
qui si sterna.
Veggendo lo leon, prende
a fuggire;
Ma lo leone lo consegue
in fretta 55
Come tu sai, e gli
convien morire.
Così il peccato che
conduce a morte
Nell'infernal caverna ti
richiude
E dell'uscirne mai non
trovi porte.
Ivi si piange e stride
eternalmente, 60
Ivi la pïeta gli occhi
richiude,
Ivi non posa mai la
trista gente,
Ivi la mente umana è
senza spene
Di ritornare nel divino
bene.
Cava li morti dalle
sepolture 65
La iena, e contraffà
l'umana voce
Per divorar l'umane
creature.
Muta il sesso, anïmale
sodomito,
E quanto puo' alli cani
sempre nuoce.
Alla sua voce ogni
animal sta quito. 70
Giace con leonessa
questa fiera
E di costor nasce animal
feroce:
Chiunque lo vede, di
vita dispera.
Così il nemico alla
morte ci mena
Dando l'udito al suo
parlare atroce 75
Che con dolcezza ne
conduce a pena,
Sì che, peccando, divora
noi morti
Se del risuscitar non
siamo accorti.
Di macchie negre e
bianche è la pantera;
Natura la dipinse per
bellezza; 80
Il drago, quando vede
lei, dispera.
Poi che ha mangiato,
dorme al terzo giorno
E poi risorge e fa
d'odor dolcezza
Sì che gli an'mali
stanno a lei dintorno,
Salvo che il drago. Così
fa il cattivo 85
Che fugge delli buon
sempre l'aspetto
Perché di conoscenza è
cieco e privo.
Pur conversando con le
vil persone,
Da lor non nasce mai
benigno effetto
La voglia pur seguendo,
e non ragione; 90
Ma conversando con li
buon, s'acquista
Onore e lode ch'esaltano
l'uomo
Che in ogni loco mostra
ardita vista.
Usanza dà la forma alli
costumi.
Secondo il conversar
s'acquista nome. 95
A ciò che l'ignoranza si
consumi,
Fuggi li pravi e con li
buon conversa
Se vuoi che tua virtù
non sia sommersa.
Veloce corre sì come
saetta
Il tigre, quasi simil di
pantera: 100
De' suoi figliuoli
sempre sta sospetta.
Il cacciatore con gli
specchi fura
Li suoi figliuoli, acciò
che questa fiera
Non segua lui, vedendo
lor figura.
Crede ella, negli
specchi entro guardando, 105
Che sian li suoi
figliuoli, e così fugge
Il cacciator veloce sé
involando.
Poi che si vede ingannata
dall'ombra,
O quanto dolorosamente
rugge
E di dolore la sua mente
ingombra! 110
Così il nemico fura
l'alme e toglie
Con questi dolci specchi
che vedemo,
Ché dalla conoscenza ne
distoglie.
Ahi quanto qui il
pensier mi fa paura
Pensando a poco tempo ove
saremo, 115
Veggendo che la vita
poco dura
E sì come acqua che
discorre, passa
La vita nostra, e questo
mondo lassa.
CAPITOLO XV
Simboli di Quadrupedi
mansueti: elefante della Preghiera, unicorno dell'Istinto Sessuale, castoro
della Rinuncia, scimmia della Parzialità dei genitori, cervo della Vanità.
Sopra ogni an'male che
non ha intelletto
Ha più di conoscenza
l'elefante
Che, quasi per ragion,
fa ogni effetto.
S'adunan sempre nella
Luna nuova;
Ciascun si bagna nello
fiume stante; 5
Chinando il capo, par
che fe' lo muova.
Quando inferma, trae in
alto le verdi erbe
E verso il cielo
umilmente le mostra
Quasi Dio preghi che il
suo mal disnerbe.
Se vede l'uomo dalla via
smarrito, 10
Va innanzi a lui e la
via gli dimostra
Fin che ritorna nel
cammin sentito.
Se l'uomo allor si
scontra col dragone,
Combatte l'elefante e fa
difesa
Che l'uomo non riceva
lesïone. 15
Così tu devi conoscenza
avere
Tenendo sempre la
memoria accesa,
E in tutti gli atti la
ragion vedere,
E lavar l'alma dai
peccati enormi
Umilïando il cuore al
tuo Fattore. 20
O mente peccatrice che
pur dormi,
In ciò che fai solleva
il grave aspetto
E la tua mente verso il
primo amore,
Ché da lui nasce tutto
il ben perfetto;
E se peccando smarrisci
la via, 25
A penitenza ragion ti
conduca
Sì che non caggi nella
morte ria.
Mira la morte come forte
rugge:
Togli il desïo che il
cuor ti manduca
E pensa che la vita
ognora fugge. 30
Certa è la morte, ma non
certa l'ora:
Però resisti
combattendo, ed ora.
O quanto è l'unicorno
fiero e forte
Che l'elefante combatte
e inimica
E molte volte lo conduce
a morte! 35
Dentro nel cuor lo
prende umilitate
Mirando la donzella, e a
lei supplìca,
Così lo prende la
verginitate.
Or qui m'intendi, più
ch'io non so dire,
Se virtù puo' di femmina
venire. 40
Per terra va castoro con
gli an'mali
E nuota sotto l'acqua
come pesce.
Sterpa da sé le membra
genitali
Vedendo il cacciator,
per non morire:
Di dargli quella parte
non gli incresce 45
Veggendo che da lui non
puo' fuggire.
Or questo esempio
prendi, uomo carnale:
Affliggi la tua carne e
il tuo pensiero
Qual ti conduce nel
gravoso male;
Lascia il diletto per la
tua salute, 50
Sì che non muoia dal
nemico austero
Né possa mai sentir le
sue ferute;
E se il diletto la tua
mente pasce,
Pensa che di dolcezza
pena nasce.
Forte s'allegra nella
Luna nuova 55
La scimmia, e, quand'è
mezza, si fa trista
Che par che sopra lei li
pensier piova.
Se il cacciator la trova
co' suoi nati,
Presto è smarrita e
volta la sua vista,
Fugge stridendo con gli
occhi infiammati. 60
Il piccolo figliuol
ch'ella più ama
Lo prende su le braccia,
e poi il maggiore
Al collo le s'appicca e
le fa brama.
Lascia il maggiore per
troppa gravezza,
E porta quello che le è
più nel cuore, 65
Poi si riprende per
cotal carezza.
Così fa la dolcezza dei
figliuoli
Cader lo padre nel
gravoso affanno
Onde possede li gravosi
duoli.
Per i figli non deve il
giusto patre 70
Dell'alma sua medesma
esser tiranno,
Avvegna che l'amor nel
cuor gli latre:
Pur l'alma deve amar
sopra ogni cosa
La mente di ciascun, s'è
virtuosa.
Il cervo in melodia si
diletta, 75
Sì che l'un cacciatore
canta e suona,
E l'altro mortalmente lo
saetta.
Se un fiume o se qualche
acqua puo' passare,
Riprende forza, sì con
sé ragiona
Che i cacciatori non lo
pon pigliare. 80
Ma quand'è preso, forte
mugge e piagne
Veggendo che sarà di
vita privo
E con pietose lagrime fa
lagne.
Molte altre proprietati
son nel cervo
E in molti altri animai,
che qui non scrivo 85
E nella stanca penna le
riservo.
Ormai convien trattar di
pietre certe
Che sian le loro virtù
qui bene aperte.
CAPITOLO XVI
Virtù delle pietre
scelte formate dai pianeti: diamante da Saturno, zafiro da Giove, smeraldo da
Mercurio, agate da Venere, alettrio da Giove, berillo da Venere.
Non ch'io sia buono né
che buon me tegna,
Ma seguirò lo viso delli
buoni
Se ciò ch'io dico vedi
non avvegna.
L'uman pensiero spesse
volte falle
E il tempo muta l'alte
opinïoni 5
Se nuova stella regna in
questa valle.
Io ciò ti dico ché di
queste pietre
Già t'impromisi di far
simiglianza:
Piace ad Apollo che di
ciò m'arretre.
A ciò che mi dispone non
mi doglio 10
Perché il minore non ha
dubitanza:
Ascolta dunque ciò che
dir ti voglio.
Per fuoco né per ferro
lo diamante
Si rompe. Per potenza di
Saturno
Resiste sua natura al
negromante. 15
Gli spirti fuga, tossico
e paura,
Raccende amore se il
disdegno è inturno.
È simil di cristallo sua
figura.
A chi lo porta nel
sinistro braccio
Val contro gli inimici e
leva sogni, 20
Contro di brighe, mattezza
ed impaccio.
Io taccio, per servir
qui a le donne,
Natura occulta che pur
abbisogni:
Non sii dolente, se ciò
si nasconne.
Chi in caldo sangue
questa pietra involve 25
Ovver con piombo, per
natura occulta
Poca percossa in polve
la dissolve.
Presente questa, già mai
calamita
In lei di trar lo ferro
non risulta,
Ma fa nel tempo sua
potenza quita. 30
E l'altro, che l' Arabia
anche produce,
Vaccio si rompe come lo
cristallo.
Una virtute in tutti
questi luce.
Più che una fava non
passa sua forma:
In lui è gran virtute
senza fallo: 35
Col ferro sua natura si
conforma.
E lo zaffiro, per poter
di Giove,
Conforta il cor, dico
l'orïentale,
Serva le membra e lor
virtute fove;
Val contro febbre,
veleno ed antrace 40
Se subito s'appicca su
quel male;
Conforta il viso e
conserva la pace;
Toglie dal cuore
l'invidia maligna,
Fuga il temere e fa
l'uomo audace,
Umil la donna, e castità
designa. 45
E questa gemma vale agli
idromanti
Ed alli magi per virtù
che face,
Ché solve il cattivato
con lor canti.
Mostra il colore simile
del cielo;
Posta alle tempia, il
sangue del naso 50
Restringe per virtute e
non per gelo.
Ogni tumore ed apostema
sana
Se sua natura non perde
per caso
D'atto carnale, da cui
sta lontana.
Mercurio è che spira sua
virtute 55
Nello smeraldo ch'è
sopra ogni verde;
Di molte infermitati fa
salute;
Morbo caduco ed
itterizia cura,
Conserva il viso che
virtù non perde,
Conforta la memoria e la
natura, 60
Gli spirti fuga e loro
false scorte.
Chi vuole divinar seco
lo porte.
Dal terzo cielo col
secondo, agate
Negra si forma con le
bianche vene,
E l'altra con sanguigne
varïate. 65
Il fiume Agate, che Cicilia bagna,
Questa che ha le bianche
macchie tene;
E l'altra con citrigne è
della Magna.
Con quella che Cicilia
altrove manda
Il negromante converte
tempesta 70
E il fiume fa seccar che
più non spanda;
E l'altra, la quale ha
sanguigne macchie;
Conforta gli occhi ed
allegrezza appresta,
Ole nel foco senza che
si smacchie.
Contro il veleno la
prima resiste 75
Ed anche quella con le
macchie citre;
Fan l'uom piacente nelle
umane viste,
A forza ed a facondia ed
a parlare
Dispongon l'uomo se non
sono vitre
Le parti, onde di tutte
virtù care. 80
Giove in testa gli forma
oppur nel ventre,
Quando il cappone è
sotto lui concetto
Pur che il suo raggio
sotto il Cancro entre,
Alettrio, che ritien
dentro lo sperma;
Qual d'oscuro cristallo
mostra aspetto; 85
Fa l'uom costante e
grato onor conferma;
Fa l'uomo vincitor nella
battaglia,
Discreto con dolcezza di
parole,
E forte con lussurïa
l'abbaglia;
Toglie la sete a chi lo
porta in bocca; 90
Gli amici disdegnati
fletter suole.
Se non sta in oro, sua
virtù si sbrocca.
D'amor la stella e sua
virtù compone
Le parti del berillo e
gli altri tutti
Che sono di cotal
complessïone. 95
Pallido verde, simile a
smeraldo,
I sospir toglie e gli
occhi mostra asciutti,
Resiste agli inimici e
l'uom fa saldo.
Dal fegato rimuove
infermitate,
Sottiglia la virtù
dell'intelletto, 100
Dal stomaco la sua
ventositate.
Vale ad amore e sempre
l'uomo esalta;
Il matrimonio tien con
gran diletto;
Fa verso gl'inimici la
mente alta;
Incender fa la man, di
ciò sii certo, 105
S'al Sol s'oppone, come
s'è già esperto.
CAPITOLO XVII
Virtù delle pietre
scelte formate dai pianeti: topazio dal Sole, diaspro da Marte, gagate dalla
Luna, elitropia da Marte e Saturno, panterone dalle sette sfere, giacinto e
rubino dal Sole.
Li grazïosi raggi dello
Sole
Nell'isola d'Arabïa
splendendo,
Topazïo si trova, il
quale si cole.
Il moto della Luna per
sé sente,
La vista fa riversa lui
veggendo, 5
Affredda l'acqua quando
è ben fervente,
Resiste alla lunatica
malìa,
A passïone emorroical,
resiste
All'ira, alla tristezza
e frenesia;
Il sangue stringe per la
sua freddezza 10
E credesi che dignitate
acquiste;
Sopra ogni pietra mostra
sua chiarezza.
Subita morte lo topazio
tolle;
In ciò non abbi la
memoria molle.
Diaspro nasce per virtù
di Marte 15
Permisto di colori varii
e molti;
In diciassette spezïe si
parte.
Idropica malìa e febbri
calde
E fantasia delli moti
stolti
Mitiga, e le virtuti in
noi fa salde. 20
Nelli gran fatti fa
l'uomo sicuro;
Stringe la donna sì che
non conceve,
E ogni sangue corrotto
lo fa puro;
Lussurïa e sudor
costringe e serra;
Legata nell'argento
portar deve 25
Ciascuno questa pietra,
se fa guerra.
Del nostro viso la virtù
assottiglia
Che macula non prende
mai né sorde;
D'ogni fattura ciascun
uomo dispiglia.
La Luna forma per virtù
gagate: 30
Di sue proprïetà non ti
discorde,
Ché ti fa certo di
verginitate.
Chi l'acqua beve, per
virtù divina
Di questa pietra, s'uomo
non conube,
Senza lo suo voler
subito orina; 35
Ma se è corrotta, urina
non distilla:
Or questa prova lo tuo
cuor disnube
Se di piacer ti tocca
mai favilla.
Gli spirti fuga dalli
corpi umani
E con dolore fuga li
serpenti, 40
Gli idropici ritorna
quasi sani,
Giova a la donna nel
gravoso parto;
Sua polvere refrena ben
li denti.
Lo mio segreto con teco
lo parto.
Elitropia, che è detta
l'orfanella, 45
Verde è del corpo con
sanguigne gotte:
Marte la forma con la
trista stella.
Nell'acqua fredda dove
il Sole spire
Se questa metti, parrà
che ciangotte
L'acqua fervente per lo
gran bollire. 50
Anche, se metti questa
in acque chiare,
Sì che lo raggio del Sol
la percota,
Sanguigna l'aria subito
traspare
Sì che lo Sole a noi si
mostra oscuro
In fin che questa pietra
sia remota. 55
Con questa puo', chi
vuol, essere furo.
Giunta con questa
l'eliotropia pianta,
Come la calamita il
ferro sugge,
Così, sugando, il nostro
viso incanta.
Restringe il sangue
quando è l'uom ferito; 60
L'aspro veleno da lei si
distrugge;
Chi seco l'ebbe non fu
mai fallito.
Il panterone è detto da
pantera,
Nel quale tu vedrai
sette coluri:
In lui pose virtù
ciascuna sfera. 65
Fa l'uomo audace e di
virtù concinto;
Il Sol nascendo con li
raggi puri,
Chiunque lo guarda non
puo' esser vinto.
È nebuloso giacinto, e
rubino,
Secondo che nell'aria si
dimostra: 70
Quel ch'è granato dico
ch'è più fino.
In lui si trova gran
perfezïone,
Conforta in tutto la
natura nostra
Da noi togliendo la
suspizïone.
Toglie dal cuore sempre
la tristezza, 75
Resiste a pestilenzïa
dell'aria,
Ai nervi ed alle membra
dà fortezza;
Fuga veleno e gli umori
adequa;
Umor che fosse di natura
varia
Per sua virtù, egli
distringe ed equa. 80
Dal Sole in lui fu pinta
tal virtute,
Ché a nostra vita
facesse salute.
CAPITOLO XVIII
Virtù di altre
formazioni naturali negli effetti di Marte (diacodio dell'acqua, asbesto del
fuoco, calamita della terra), negli effetti del Sole (carbonchio, epistrite,
ametista) e della Luna (ceraunio, calcedonio, cristallo) e in altre pietre
(celidonio rosso, celidonio nero, corallo, margherita, galassia, corniola).
Diacodio, se tocca il
corpo morto,
Perde la sua virtù e mai
non torna:
Molte fiate di ciò mi
sono accorto.
S'è messo in acqua,
vegnon per natura
Gli spirti tutti della
setta borna. 5
È simil di berillo sua
figura.
La pietra asbesto, se in
fuoco s'accende,
Per cosa natural non
sarà morta
Ma sempre come stella lì
risplende.
È come ferro in vista il
suo colore. 10
Altra virtù in sé, dico,
non porta,
Ma alcun vuol dire che
vaglia ad amore.
La calamita per sé tira
il ferro
E questa nasce
nell'India maggiore;
E l'altra in Etïopia, se
non erro, 15
Da lei lo ferro fuga con
l'aspetto;
Un' altra calamita di
dolore
La carne umana tira in
suo cospetto,
Riforma amore fra donna
e marito,
Dà grazïa e bellezza nel
parlare: 20
Se c'è sospetto,
ponitela in dito.
Dormendo a lato a donna,
metti questa
Che sotto al capo si
convien celare
Pian piano sì che lei
non si ridesta:
In ver di te si volta,
s'ella è casta; 25
Diletto fugge quasi col
temere
Se già ne fu cercata
d'altra tasta.
Il dïamante similmente
face.
Per cortesia ben mi
dovria tacere,
Ma dicer voglio ciò che
dentro giace. 30
La calamita, quando
puoi, la trita
E in quattro canti della
casa poni
Carboni ardenti senza
fiamma ardita;
Dispargi quella polve
sopra questi:
Parrà cader la casa
senza tuoni 35
Ed altre novità che non
vedesti.
Queste tre pietre le
conduce Marte
Ed anche lo Saturno ci
tien parte.
Luce il carbonchio
nell'oscuritate,
Muore nel fuoco sì come
carbone: 40
Bagnato in acqua, torna
in chiaritate.
Dodici son le specie di
costui,
Ma il crisopazio la luce
dispone
La notte e in fuoco si
dimostra a nui.
Epistrite è che luce e
franca il cuore 45
E fuga ogni tempesta
dalli frutti:
Al Sole opposto, manda
fuoco fuore.
La fervente acqua questa
pietra affreda,
Le locuste e gli uccelli
fuga tutti
E nulla cosa vuol che il
frutto leda. 50
Mostrasi vïoletto
l'ametisto
Qual da noi toglie il
falso cogitare:
Sollecito fa l'uom, sì
come ho visto.
Vale a intelletto, ed
all'uomo imbriago.
In cinque modi si può
dimostrare: 55
Di quel ch'è vïoletto
pur m'appago.
Dal Sol si forma di
queste ciascuna:
Queste altre qui di
sotto dalla Luna.
Ceraunio pur nasce dal
gran tuono.
Chi castamente questo
seco porta 60
Mai non potrà morir di
quel frastuono.
In quella casa, castello
né villa
Non puo' cader perché
questo l'ammorta
Con sua virtù, secondo
la Sibilla.
A vincer ogni briga e le
battaglie 65
Vale, ed a dolce sonno
con quiete
Sì che dormendo non
senti travaglie.
È calcedonio pallido e
incolore;
Di gioventute conserva
le mete
Con virtù, vince briga e
dà valore. 70
Se è perforato, anche
meglio resiste
A spiriti maligni ed a
lor beffe
Che in sogno mostran le
diverse viste
E dì e notte fanno gran
paure
Ché, dubitando, all'uom
par chi lo ceffe 75
Veggendo l'ombre e
subite figure.
Nasce nell'Alpe del
settentrïone
Cristallo fatto
dell'antica neve
Secondo la comune
opinïone;
Opposto al Sole, di fuor
manda il fuoco; 80
La sete, posto in bocca,
cessar deve;
Trito col miele fa latte
non poco,
E forte vale al colico
dolore
Ché fa cessare quel
maligno umore.
L'entrace l'acqua per
virtute tira 85
Dall'aria, e sopra sé
così condensa
Che par che dentro
nasca, chi la mira.
La rondin due ne porta
nel suo ventre,
Nascenti in lei allor
quando comensa;
E chi li vuole, giovine
la sventre: 90
Dico del celidonio, quel
che è rosso;
E vale alla lunatica
malìa
Ed a chi fosse di
mattezza mosso.
Grato e facondo fa
l'uomo parere.
L'altro, che è negro,
toglie tuttavia 95
L'ira e la febbre,
quanto al mio dovere.
Questo si mostra nudo di
bellezze:
In lui è gran virtute
senza fallo,
Ché d'ogni umore toglie
le gravezze.
Nel Rosso mare
dall'acqua coperto 100
È legno per natura lo
corallo:
Nell'aria si fa pietra,
e questo è certo.
A folgore resiste ed a
tempesta,
Gli spirti fuga nel
caduco morbo,
Fa la fortuna in noi
veloce e presta, 105
Moltiplica li frutti, il
sangue stregne,
Lo stomaco conforta. Or
non sii orbo,
Che di portarlo la mente
ti sdegne.
Rosso e bianco corallo
si ritrova
In tutti: credo che ciò
sie una prova. 110
Nelle marine conche
margherite
Nascono certo, ma quelle
del cielo
Credo che sieno di virtù
compite.
Dalla celeste rugiada si
forma
Ciascuna margherita
senza velo: 115
La vita nel valor sempre
riforma.
Perpetua giacesse
galassìa
Nel fuoco, già non
prenderia calore:
Così natura vuol che
fredda sia.
La cornïola pur mitiga
l'ira 120
Di ciascun membro che
conduce umore
E stringe il sangue per
virtù che spira.
Qui faccio fine delle
sacre pietre
Ché qui tu trovi scritte
le più degne,
E da loro virtù prego
che impetre. 125
Se d'erbe qui non tratto
né di piante,
Io prego che chi legge
non si sdegne
Ché a medico le lasso
che ne cante,
E levi la virtù
intellettiva
Veggendo che peonia vien
da Luna 130
E da Saturno vien la
sempreviva,
E dodici erbe da cotanti
signi.
Ciascuna, quando regna
la Fortuna,
Rimuove e stringe tutti
umor maligni.
E tu a me: «Omai vorria
vedere 135
Da quinci innanzi quale
è il tuo volere».
LIBRO IV
CAPITOLO I
Dell'Amore.
Io voglio qui che il quare
trovi il quia
Levando l'ali dell'acerba
mente,
Seguendo del Filosofo la
via.
Del dubitar querendo è
gran virtute,
Ché l'ammirare della
prima gente 5
Fece noi certi dell'alte
vedute.
«Amor pur nasce da
consimil stella;
Perché, li due sol una
cosa amando,
In ver dell'altro sta la
mente fella?»
Dico che ciò addivien
per accidente, 10
E lo puoi tu veder, ché,
l'un cessando,
In grazia torna
dell'offesa mente.
«Se per consimil ciel
costei pur amo,
Ed ella in ver di me
perché è sì dura
Nemica di mercè quant'io
più bramo?» 15
O genti cieche ed
intelletti storpi,
Come la via diritta vi
si oscura
Non contemplando li
celesti corpi!
Esser non puo' che sia
la mente nuda
D'amare amante, dico più
e meno: 20
Or voglio che tal detto
in te si chiuda.
S'altri non t'ama, vogli
esser esperto,
Mira se l'ami, e come, e
se sei pieno
D'amore, e del contrario
sarai certo.
Se le tue stelle fur nel
basso cerchio 25
E quelle di costei
nell'alto punto,
Amor t'infiamma di desìo
soverchio.
E tu a me: «Perché
questo desìo
Non cessa, fin che amor
non è congiunto?»
E qui ti scrivo ciò che
ne credo io. 30
Ogni desïo presuppone il
fine
Ed ogni moto persegue
sua forma
E, conseguendo, convien
che decline.
Come due alme è una per
piacere,
Così due corpi natura
conforma, 35
In quanto puo', seguendo
il suo volere.
«Perché sì ardente è lo
paterno amore,
Che più che sé li propri
figli ama,
E sopra tutti perché più
il minore?»
Che il nato la memoria
tien del patre, 40
Accorso scrive che di
ciò s'infama:
Voglio che mia ragion
suo detto squatre.
S'altra cosa non fa
maggior memora
Che li figliuoli, in
prima il ver non dice:
Di ciò sarai tu certo a
poco d'ora. 45
Chi al mondo scrive, ciò
è noto espresso
Che fa maggior memoria e
più felice:
Ascolta com' è ver ciò
che confesso.
Tesoro edificar nelli
buon nati,
E chi scrivendo leva il
suo intelletto, 50
Conservan la memoria
alli passati.
È gentil cosa vivere per
fama,
Ché poi la morte
all'alma fa diletto
Udendo che lo mondo di
lei chiama.
Proprïa carne e spirito
e natura 55
Che veste il nato per
virtù divina,
Quest'è del padre
proprïa figura.
Niun altri più che sé si
puote amare:
Questa mi pare sentenza
latina;
Non ti convien di ciò
più dubitare. 60
Naturalmente ciascun ama
tanto,
Ma l'accidente, che
natura volve,
Il padre muove più e
meno alquanto.
Per simil patto e per
utilitate
Il natural volere si
dissolve 65
Amando più il minor per
puritate.
Muove la purità la mente
umana
E come donna onesta
infiamma il core:
Di qui la mente tua non
sia lontana,
Ché, conoscendo questi
dolci passi, 70
Sentirà l'alma del nuovo
valore,
Sì ch'io ti prego che
qui non mi lassi,
E fa' che il dubitar tuo
sia possente
Se vuoi ch'io
rispondendo ti contente.
CAPITOLO II
Movimenti e luce degli
astri, eclissi, influenze lunari.
«Perché nel cielo son
contrari moti
Che muovon da ponente
ogni pianeta,
Contro del primo
manifesti e noti?»
Dico che Dio e la natura
degna
In tutte cose pose fine
e meta: 5
Or mira la ragion che
qui s'assegna.
Se tutti i cieli
muovessero insieme,
Già mobile saria la
ferma Terra
E solo ferma sulle parti
estreme.
Le qualitati serva in
quattro tempi 10
Il moto natural, che non
disserra
Per altri corsi che son
più pertempi.
«Perché scintilla
dell'ottava sfera
Ciascuna stella, ed i
pianeti stanno?
La mente dubitando vuol
ch'io quera». 15
Perché son più lontan
dal nostro aspetto
Le ottave stelle, sì che
gli occhi fanno
Di questo scintillar
falso concetto.
Or prendi esempio nel
propinquo lume,
Che quanto più si cessa
più scintilla: 20
Stando da presso muta
tal costume.
«Perché si oscuran lo
Sole e la Luna?
Nel primo libro tal
ragion si stilla,
Ma non perché è
sanguigna o negra o bruna».
Io dico che, movendo
questi lumi 25
Allora che Saturno
signoreggia,
Son verdi e negri come
densi fumi;
Sono sanguigni se li
mira Marte;
Ciascun vuol Giove che
bianco si veggia;
Venus citrigni li fa in
ogni parte. 30
Quando la Luna è
nell'oscuro Sole,
Se tu vedrai li diversi
colori,
Sii certo ch'è
Mercurio che ciò vuole.
E tu a me: «Perché lo
Sole scalda
D'ogni animale aprendo
li suoi pori, 35
Se in lui nessuna
qualità si salda?»
Lo corpo luminoso per
natura,
Per la riflessïon di sua
chiarezza
In calda forma l'aria
trasfigura.
Nel vaso freddo, vitreo
e pulito, 40
Di ciò ch'io dico
vederai certezza:
Or 'scolta che di ciò ti
fo sentito.
Rimuovi il vaso ch'io
t'ho sopra ditto,
Sì che dal fuoco caldo
non riceva,
Ma il suo splendore in
lui fiera diritto: 45
Sentirai caldo se
appressi la guancia.
Per più sentire, la tua
mente leva,
Ché ciò che qui ti dico
non è ciancia.
E tu a me: «Perché
sempre vedemo
La Luna scema, che poi
vien crescendo 50
In fin che è piena, come
certi semo?»
Io dico che la Luna non
ha luce
Se non dal Sole che in
lei risplendendo,
Quanta ei ne vede, tanta
ella riluce.
La Terra in mezzo in fra
di lor s'oppone, 55
Però la Luna così si
dimostra
Perché lo Sole più veder
non puone.
Ma quanto va più verso
l'orïente,
Tanto a noi più ella si
mostra lustra,
Ché vede il Sole più
speditamente. 60
«Perché la donna, se la
Luna è piena,
Specchio non turba con
gli occhi sdegnati,
E s'ella è poca, di ciò
sente pena?»
Luna per naturale sua
virtute
Rettifica gli umor
distemperati, 65
Sì che da lei procede
tal salute;
Ma, diminuta sua natura
innata,
Moltiplica l'umidità
corrotta
Qual fugge la natura
stimolata.
E tu a me: «Perché allor
questa piaga?» 70
Per la freddezza e per
la gola ghiotta
Conviene che ogni mese a
ciò si traga.
«Perché ciascuno più la
Luna teme
Che non fa Marte e
Saturno con
Giove, Essendo lor
potenze tanto estreme?» 75
Dico, perché la Luna,
ch'è soggetto
Di tutti i cieli, più da
presso muove:
Però temiamo più lo suo
difetto.
E tu a me: «Perché,
quando è rotonda,
Ogni villano li suoi
travi taglia?» 80
Ché allor l'umiditate
più abbonda,
La quale per più tempo
li conserba
Così che poi la brina
non li baglia
E la fabbrica sta dura
ed acerba.
«Perché il suo raggio,
s'entra per un buco, 85
Fere il cavallo che ha
piagato il dorso,
Ma non avvien, se in
campo lo conduco?»
Ti par che muora e
spasimando langue,
Finché scolora, chi
dorme al suo corso,
Che par che in corpo non
possieda sangue: 90
Lo raggio, che per buco
così spira,
Sopra la piaga vien più
forte unito
E, riflettendo, più
rinforza l'ira.
Ma nelli campi i raggi
son dispersi
Per l'aere che si muove
e non sta quito: 95
Però tu vedi gli effetti
diversi.
Provando la corrotta
umiditate
Che per la Luna prende
più vigore,
Ciascuna delle parti la
compate;
Menando il sangue per
diverse vene 100
Gli spiriti che corron
dentro al core,
Quanto ciascuna puo',
tanto sostiene.
Lungo dormire non fu
senza danno
Sotto il suo raggio che
la vita scorta,
E fa di gran dolore
nuovo affanno, 105
Corrompe la virtù che
l'uom nutrica
Per la freddezza, sin
che il viso ammorta.
Convien che d'altra cosa
qui ti dica.
Or leva la virtù del tuo
intelletto
Verso la qualità dove
hai sospetto. 110
CAPITOLO III
Metodi e valore delle
scienze occulte.
«Perché ciangotta la
fiamma nel stizzo,
E perché l'uomo subito
la smorta?
È cosa occulta naturale,
o vizzo?»
Ventosità rinchiusa ch'è
nel legno
E l'umido che seco
ognora porta 5
Muove la fiamma, sì che
fa tal segno.
Anche ti voglio dir come
nel fuoco
Fanno venir figure i
piromanti
Chiamando scarbo,
marmores, sinoco.
Li geomanti con li
sciocchi punti, 10
Con l'ossa delli morti i
negromanti,
Con l'acqua gli
idromanti son congiunti.
Ciascun di questi, nella
piena Luna,
Gli spiriti chiamando
con lor muse,
Sanno il futuro per caso
e fortuna: 15
Per strepiti delle
incantate palme,
Per l'osso biforcato che
si chiuse
Sanno il futuro queste
dannate alme.
E tu a me: «Or qui mi
parli oscuro;
Che vuoi tu dir
dell'osso biforcato? 20
Ché delle palme qui
saver non curo».
L'osso davanti al petto
ch'è nel gallo,
Posto nel fuoco poi che
è incantato,
Si stringe o s'apre
senza intervallo.
E tu a me: «Or qui
voglio esser certo; 25
Lasciando il primo onde
il sermone nacque,
Prego che il vero qui
non sia coperto.
Queste fatture e questi
sortileggi,
E carmi che si fanno
sopra l'acque
Io non credevo, di ciò
mi correggi, 30
L'immagin dello stagno e
della cira,
E vespertilio con
scritta di sangue
Che con lo spago legato
si tira,
E l'annottare delle
prave vecchie
Che par che in cielo la
stella s'insangue, 35
Spirti veder alcun pur
che si specchie».
Ed io a te: Ogni creata
cosa
Ha sua virtute sopra
qualitate
Che occultamente in lei
nascendo posa.
Questi maligni spiriti
che sanno 40
Degli elementi le virtù
celate,
Per cosa natural questi
atti fanno,
Sì che, chiamati, con li
loro tributi
D'umano sangue e con li
morti gatti
E con ugne e capelli ed
altri vuti 45
E con resine, carne,
mirra e incenso,
Con olio d'aloè e con
altri patti,
Fanno questi atti
veggendo lor censo.
Nell'immagin che fanno
per amore
Con quella cera ch'è
delle prime ape, 50
Di ciò non voglio che tu
sii in errore,
Lo spirito chiamato in
quella faccia
Le cose naturai subito
rape
Ed ogni cosa che diletto
faccia.
La fantasia si muove
della donna 55
Con queste cose, ardendo
nel disio,
Sì che l'amore in lei,
nascendo, abbonna.
Topazïo, che fa vista
riversa,
A ciò resiste. Quel che
ti dico io
Fa' che tu celi alla
gente perversa. 60
Questi altri non si
possono giacere
Con le loro donne, ché
son fascinati
E su nell'atto perdono
volere,
La forza della virtù
genitale
E gli organi che in lei
sono animati 65
Stando legati in atto
naturale.
Ma del cappon la
grazïosa pietra,
Congiunta con li rami di
coralli,
Questa freddezza dagli
uomini arretra.
Con li fanciulli vergini
lo furto, 70
Nello specchio, nei
vetri e nei cristalli
Alcuno incanta con lo
veder curto.
Voglio che sappi qui la
nuova fraude
Che fanno le maligne
creature
Fra li compagni, per
aver più laude. 75
Stando nell'aria e
riflettendo l'ombre,
Non son nel specchio le
giuste figure:
Di tal pensiero la tua
mente sgombre.
Il primo che s'incontra
in quel che fura
Appare lì col furto manifesto 80
Con gli accidenti della
sua figura.
E tu a me: «Sì dolce è
lo savere,
Che mi dèi perdonar se
più ti infesto,
Perch'io mi muovo a ciò
per più vedere.
Nelle immagin di stagno
ovver di piombo 85
Fatte sotto gli aspetti
delle stelle
Con cifre di triangoli e
di rombo,
Come s'acquista in loro
forma e virtute
Vorria saver; di ciò
dimmi novelle,
E leva gli occhi per la
mia salute». 90
Ed io a te: Dal cielo
vien la forma
Che, limitando la
proporzïone
Di quattro qualità,
queste conforma
Sì, che nel misto natura
risulta
Su nel creare, e poi è
perfezione, 95
Sì come in calamita è
forma occulta.
Or prendi esempio che
qui ti dimostro:
Son due figure d'un
beato e santo
D'ugual bellezza presso
al nostro viso,
Fatte per Giotto, dico,
in diverse ore: 100
L'una s'adora e lauda
con gran canto,
E l'altra presso a
questa non ha onore.
Lo spazio che su fra le
stelle vedi
Fra il gonfalone e il
pozzo e il fuoco sacro
Il gran segreto voglion
che tu credi. 105
Lì sono li caratteri
segnati.
Le lor virtuti qui non
ti dissacro
Quai fur dalla Sibilla
sigillate.
E tu a me: «Or questi
chiromanti
Ed aruspici, e quando
l'occhio sbatte, 110
Voglio saper come di
loro canti;
E se starnuto è segno
d'accidente,
E incontrare animali e
vecchie e matte
E cieco e zoppo e chi di
guercio sente».
Ed io a te: Li
chiromanti segni, 115
In quanto in noi ci sono
per natura,
Io dico che di nota sono
degni.
Passa lo segno per li
sensi umani
Infino all'intelletto in
forma pura,
Sì che intendiamo gli
effetti lontani. 120
Non che tal segno sia
cagion di questo,
Ma noi fa certi d'onde
il segno muove,
Ché tanto il giudicar si
fa più presto.
Metter si vuol la man
nell'acqua calda,
Ché gli accidenti segni
ella rimuove, 125
E con li naturai riman
poi salda.
Dello sbatter degli occhi
qui ti dico
Che ben è segno di
futuri eventi:
Ascolta la ragion che
qui t'applico.
Questi due lumi della
nostra vita 130
Sono cagione di questi
accidenti
Per la natura che da lor
s'addita.
L'alma gentile, che è
rammemorata
Dalli superni lumi e da
lor guida,
Mostra per segno sì
com'è informata. 135
Dinanzi al caso, col
temer si stringe;
Dinanzi dello ben, forte
si fida,
Secondo che di sopra in
lor si pinge.
E tu a me: «Se questo
atto dipende
Dal cielo, che nell'alma
fa cospetto, 140
Perché il proprio futuro
non intende?»
Che la grossezza delli
umani sensi
Offusca la virtù
dell'intelletto,
Qui non ti parlo: so che
tu lo pensi.
Dormendo questi sensi,
ben riceve 145
Il proprïo accidente su
nel sogno,
Che contemplando la
virtù conceve.
Or prendi esempio e
guarda gli epilenti,
Né in lor di dubitar ti
fa bisogno,
Ché dicono il futuro
risorgenti. 150
E tu a me: «Perché son
questi moti
Negli occhi sempre, ma
nelle altre membra
Sono dalli giudizii
remoti?»
Ché l'alma, mossa dalla
somma luce,
Della più degna parte si
rimembra, 155
Sì che negli occhi tal
moto conduce.
D'aruspici, sternuti ed
altri effetti,
Ciascuno ha qualche
vero, ma non sempre,
In quanto noi di ciò
siamo sospetti.
«Questi che fanno la
notoria arte 160
È ver che l'ignoranza da
lor stempre,
O è ver che son perdute
le lor carte?»
Ed io a te: In ciò ti è
testo
Dio, Ché in quell'arte
son le preci sante
Ed utili, secondo il
parer mio. 165
Son molti li chiamati e
pochi eletti
A conseguire le virtuti
tante
E contemplar li divini
cospetti.
Ormai risorga in te la
mente nuova
Del dubitare, per veder
la prova. 170
CAPITOLO IV
Problemi sulla
temperatura e sui moti dell'aria.
«Perché è più freddo
quando è più sereno?»
Dico che il vento che
vien d'aquilone
Allora li vapor mette al
declino;
Ma, respirando poi lo
meridiano,
La sua caldezza li vapor
compone 5
Sì che fa il tempo quasi
dolce e piano.
«Perché è più freddo
nascendo l'aurora
Che in mezza notte e
quando il Sol si cela?»
Ché la rosata stilla giù
in quell'ora.
In mezza notte l'ora
vien più fredda 10
Ché più remoto è il Sole
e più congela:
La sera è presso al Sole
e non affredda.
«Perché d'estate son
maggior le vampe,
La notte assai più che
lo giorno, dico?»
O tu che scrivi, la tua
man no inciampe!» 15
Ché l'aquilone tien le
penne strette
D'estate, perché regna
il suo nemico,
Ma nel gelato tempo fuor
le mette.
«Perché d'estate, quando
è l'aere bruno,
Celato il Sole dalle
nubi dense, 20
V'è sì gran vampa da
languir ciascuno?»
Dico che allora il Sole
è sì fervente
Ché scalda queste nubi e
falle accense;
Poi la vampa nell'a‘re
si sente.
Anche ti voglio più
espresso dire 25
Perché è più freddo nel
tempo stellato:
Or qui m'ascolta, se ciò
vuoi sentire.
Esala il caldo e l'umido
su mena:
Per tale umidità l'aere
è gelato
E la rosata piove allor
ben piena. 30
Però nel freddo tempo e
nello fosco,
Che il caldo si riserva
e non esala,
Brina non cade né in
prato né in bosco.
E tu a me: «Perché vedem
la stella
Fuggir per l'aria sin
che in terra cala?» 35
Di ciò ti voglio dir
certa novella.
Non caggiono le stelle
da le spere,
Ché l'una copreria tutta
la terra;
Ma il vento, che da
quella parte fere,
Muove per l'aria li
vapor focati. 40
Dicono certi che nel
cielo è guerra:
Or questi son li
semplici dannati.
«Perché chiamando in
Ascoli tu senti,
Presso alle mura delle
oneste donne,
Con simil voce
rispondere i venti?» 45
Dico che l'aria questa
voce porta,
Trova l'opposto che
riflette l'onne
Sì che la voce torna qui
ritorta.
E tu a me: «Or questa
Galassia,
Secondo la sentenza del
Magistro, 50
Voglio saper da te che
cosa sia».
Dico, secondo l'altra
opinïone:
Ma non prendessi l'altra
nel sinistro,
Ché ciò non forma la mia
intenzione.
Sopra noi molte stelle
troppo spisse, 55
Che illuminando fanno la
chiarezza,
Son dell'ottava sfera
stelle fisse.
Son strette sì, che
l'una l'altra tocca:
Così si mostra la bianca
bellezza.
Questa è la via della
gente sciocca. 60
E tu a me: «Or di' s'io
dico bene:
Altro vento non è che
d'aria moto.
Ormai di dubitar qui mi
conviene.
Perché, quando comincia
primavera,
D'inverno, e quando
autunno sta remoto, 65
Regna l'australe con la
spessa schiera?»
Dico che il Sole che
leva li fiati
D'inverno ascende verso
quella parte,
E li scalda nei tempi
nominati;
E l'aquilone respira
d'estate 70
E intanto il Sole di lì
non si parte,
Secondo sue nature
limitate.
«Perché lo vento che
vien dall'oriente
D'essere sano porta più
la voce
Che non sia l'altro che
vien da ponente?» 75
Dico che il Sole con li
dolci raggi
Purificando sempre lo
conduce.
Or guarda che in error
di ciò non caggi.
«Perché vien dalla bocca
freddo e caldo
Il fiato?» Dico, quando
alita l'uomo, 80
Vien congregato il fiato
e tutto saldo;
Soffiando, ne vien
l'aere congregato,
Però vien freddo: tu
vedi ben como.
Or tu medesmo ve' se
t'ho ingannato.
E tu a me: «Di', come
prende forma 85
Dal cuor dolente e ne
nasce il sospiro
Quando del suo pensier
l'alma s'informa?»
Non spira l'uomo, onde
s'infiamma il cuore;
Poi tira l'aria sentendo
il martiro,
Sì che il sospir, languendo,
manda fuore. 90
Con più pensier, più
sospiro si spande,
Ché, quanto più del
tempo il pensier fura,
Cotanto è più dell'aria
il tratto grande.
Contenta l'alma lo
sospir d'amore,
E certa gente forma la
natura, 95
Che, desïando, nel
sospir si muore.
Io mi ricordo che già
sospirai
Sì nel partire da quel
dolce loco,
Ch'io dir non so perché
il cuor non lasciai.
Sperando di tornar,
passo martiri 100
Struggendosi lo core a
poco a poco
'Nanzi ch'io tragga gli
ultimi sospiri.
Oimè quegli occhi da cui
son lontano,
Oimè memoria del passato
tempo,
Oimè la dolce fe' di
quella mano, 105
Oimè la gran virtù del
suo valore,
Oimè, che il mio morir
non è per tempo
Oimè, pensando quanto è
il mio dolore!
Or piangete, dolenti
occhi miei,
Poi che, morendo, non
vedete lei. 110
CAPITOLO V
Problemi di fisica e
meteorologia.
Veggio che il tempo
tralucendo passa,
Però non dare indugio a
lo tuo bene,
Ché il tempo mai non
torna poi che lassa.
Passato il tempo, non
val si pentire.
Per quattro cose pianger
si conviene 5
Che fanno per dolore il
cuor languire.
Convien che lagrimar
l'alma consenta
Agli occhi tristi per
l'inchiusa doglia,
E il giusto pianto so
quanto contenta.
Pianger diretro al tempo
è senza frutto; 10
Ma sopra amico che fu
d'una voglia
E sino a morte liberale
in tutto,
E chi ha virtù e non
consegue onore,
E chi fu già felice ed è
caduto,
Licito è il pianto per
cotal dolore. 15
Quasi sé perde chiunque
perde amico.
O quanto attrista lo
tempo perduto
Pensando l'alma e
ragionando sico!
Sì che non perder tempo:
ormai ti leva,
Del tuo intelletto
muovendo li remi, 20
Dicendo a me: «Perché il
mar si solleva
E poi s'abbassa, fra la
notte e il giorno?
E perché è l'acqua
salsa? Tu mel spremi:
Per ciò sentire assai
son ito intorno».
La Luna, dico, per sua
forma occulta, 25
Da l'oriente fin ch'è
nel mezzo cielo
Tirando il mare, nasce
l'onda multa;
Dal mezzo cielo fin ch'è
a l'occidente,
Quïesce il mare, e il
perché non ti celo:
Ché sua virtute in lei
non è possente; 30
Da l'occidente sino al
mezzo sotta
Rigonfia il mare, e
verso la Luna alza;
Di poi si posa sino alla
prima otta.
L'ardente Sole il
sottile risolve,
Lasciando il grosso:
però l'acqua è salza 35
E amara sì che mai non
si dissolve.
«Perché son calde e sì
ferventi l'acque
Che vengon sotto terra
dalle vene?
O quanto l'ignoranza mi
dispiacque
Vedendo di Viterbo il
Bulicano 40
E il Bagno di Pozzuoli
come viene
E l'Acqua Santa nostra e
sotto Agnano».
Dico che sotto, dentro
alle caverne,
Per solfore si fanno
l'acque calde,
Sì come per l'odor
ciascun discerne. 45
Quanti meati son, ch'io
non appello,
E gli infernani abissi e
le castalde,
E Stromboli e Vulcano e
Mongibello.
«Perché il denaro
nell'acqua si mostra
Maggiore quando il Sole
lì risplende?» 50
Che sono spersi della
vista nostra
Gli spirti dico da cotal
splendore,
E al nostro viso, che
non la comprende,
Si mostra quella
quantità maggiore.
«Perché, se l'acqua è
fredda, in vetro messa 55
Opposta al Sole, arde il
bianco panno;
Se calda è l'acqua,
questo effetto cessa?»
Dico che l'acqua fredda
fa ripulsa
Di questi raggi che nel
vetro dànno,
Sì che lo caldo verso il
panno stulsa. 60
E tu a me: «Perché nelle
cisterne
L'acqua naturalmente si
restregne,
Mentre ognuno queste
altre vieta e sperne?»
Io dico che per sua
sottilitate
E leggerezza il corpo si
congegne: 65
L'altr'acqua muove per
sua gravitate.
«Perché è più sana
l'acqua che più tosto
Si scalda e si raffredda
in poco d'ora?»
Se tu m'hai inteso ben,
io t'ho risposto.
L'acqua sottile il fuoco
tosto infiamma, 70
E il caldo nel sottil
poco dimora;
Ma l'acqua cruda assai
più tien la fiamma.
«Perché d'estate, quando
l'acqua piove,
Dimostra sulla terra
tante ampolle,
E l'acqua ch'è di verno
ciò non muove?» 75
Dico che l'acqua calda
della state,
Cadendo in terra,
risorgendo bolle;
L'inverno per lo freddo
son pianate.
«Perché d'estate, nelle
gran tempeste,
La gente suona a stormo
le campane?» 80
Ché il suono rompe
l'aria e toglie peste.
Anche ti dico: gli
angeli maligni,
Invidïosi delle genti
umane,
Fanno tempeste per certi
disdigni,
Sì che, sonando le
divine tube, 85
Fugge lor setta come
gente rotta.
Questo segreto Dante non
conube.
Sicché invano, dico, non
si suona
Ogni campana tempestando
allotta,
Secondo che il mio detto
ti ragiona. 90
«Perché dà segno che più
duri l'acqua
Facendo in terra ampolle
e li gran cerchi?»
Ché di maggior altezza
si disacqua
E dalle spesse nubi
forte cade;
Però si fanno li cerchi
soverchi 95
E par, cadendo, che la
terra sbade.
E l'arco d'orïente ti
sia signo
Che muta il dolce tempo
nel maligno.
CAPITOLO VI
Problemi vari,
d'alchimia, anatomia ed ottica.
Non ha virtute, dico,
d'intelletto
Chi non ha il ben per
bene e il mal per male,
E chi non sdegna
dell'altrui difetto.
La superbia non cade mai
in disdigno
Nell'uomo, perché, s'ei
nel mondo vale, 5
Potendosi vengiar, si fa
benigno.
L'ingiurïa che nasce più
da presso
Nell'animo raddoppia il
gran dolore,
Ché l'uomo si disdegna
fra se stesso.
E tu a me: «Io prego che
ritorni 10
Nelli pensieri primi del
tuo cuore,
E da me l'ignoranza si
distorni.
S'una natura v'è in
tutta la terra,
Perché in un loco, di
due simil piante
Insieme poste, è l'una
che si atterra, 15
E l'altra cresce
producendo frutti?
Perché miniere d'oro e
pietre tante
Sono inLevante per li
lochi tutti?»
Ed io a te: «Sì come
dice Plato,
D'otto nature di virtù,
la parte 20
Che in ciel si prende,
forma ogni creato.
Secondo il cielo si
dispone il loco:
È lì ch'ei nasce,
secondo nostr'arte.
Or qui tu vienimi
intendendo un poco.
Sì come ferro tira
calamita, 25
Così ciascuna vegetabil
pianta
Tira l'umore proprio
alla sua vita,
Sì che la terra le
piante nutrica
Secondo la virtù che
loro ammanta:
Così la qualitate in lor
s'applica. 30
La coloquinta delle
parti aduste
Tira l'amaro e lascia la
dolcezza,
E fanno lo contrario le
altre arbuste.
Ben ha la terra, dico,
una natura,
Ma son diversi i luoghi
per certezza 35
Secondo il cielo che lì
tien figura.
Sì che rispondo ormai a
tua questione:
Delle due piante, dico
terminando,
Facciati certo questa
opinïone:
Sotto diverse stelle
furon poste, 40
O fu per accidente lor
piantando:
Qui non ti posso far
altre risposte.
E tu a me: «Perché qui
la miniera
Dell'oro, e qui di
ferro, e lì di stagno?»
Ed io a te: Questa
sentenza è vera. 45
Di molte altre question,
se qui mi intendi,
Vedrai lo vero, e non ti
darai lagno
Del dubitare. Or
guardami ed attendi.
Devi saper che li sette
metalli
Son generati dalli sette
cieli, 50
Io dico nelli monti, e
in piano, e in valli.
Dove un pianeta regna,
per sua vista,
Con li suoi raggi acuti
come teli,
Forma il metallo dalla
terra mista.
Saturno fa lo piombo, il
ferro Marte, 55
Giove lo stagno, Venus
fa lo rame,
Lo Sol fa l'oro e male
lo comparte,
E quanti ne ha condotto
già a mal porto!
Mercurio fa lo vivo
senza squame
E la Luna l'argento,
dico, morto. 60
E tu a me: «Tu credi che
per arte
Si possa dare alli
metalli forma,
Se gli elementi alcun
giunge e disparte?»
Dico che l'arte, che
natura segue,
Quanto al poter non mai
le si conforma 65
Che possa conseguir mai
le sue tregue.
«Sono due case in un
piccolo monte:
Nell'una ogni mal che
nasce, muore;
Nell'altra la salute in
lor tien fronte.
Vorria saver se il loco
ha cotal forza, 70
Ovver d'onde procede tal
valore.
Per contentarmi la tua
mente sforza».
Ed io a te: Delli
superni lumi
Ciascun dà forma,
conserva e corrompe
Queste create cose e lor
costumi. 75
È simil pietra
dell'umano seme,
Che, subito che in donna
si prorompe,
Di cotal cielo la virtù
in sé preme.
Quando la prima pietra è
che s'asside
Nel fondamento, allora
si dispone 80
Lo loco che dal ciel non
si divide.
Sotto maligno ciel fu
edificata
La casa dov'è quella
lesïone:
Sotto benigno e l'altra
fu fondata.
Sì che li siti sono
divisati 85
Dalli celesti corpi, e
però vedi
Gli effetti delle terre
varïati.
In una terra guerra e
fame e peste;
Guarda Toscana se tu non
mi credi;
E l'altra del contrario
si riveste. 90
Le stelle vizïose delli
segni
Fanno accidenti e vizii
nelle terre:
Sei romagnolo, e temo
che non sdegni.
Or guardisi la testa il
bolognino,
Che piccoletta piaga non
l'atterre; 95
Così le gambe guardi il
fiorentino,
Ché la chiocca taurina
colà ascese
Facendosi ai filosofi lo
nido,
E Arïete cadendo allor
discese;
E parte dell' Aquario e
dello Pesce 100
Cadde in Fiorenza, e ne
sofferse Guido,
E ancor questo accidente
lì più cresce.
L'Ariete fa la testa con
la faccia
D'ogni animale, e fa lo
Tauro il collo,
E Gemini le spalle con
le braccia; 105
Del Cancro fan le stelle
tutto il casso
E stomaco e polmoni, e
il cuor non tollo,
E lo splene e le coste a
lor pur lasso.
E formano le stelle del
Leone
Lo stomaco e lo cuore e
il dosso e il lato. 110
Nel ventre tien la
Vergine ragione.
Porta la Libra nelle sue
bilance
Le membra genital di
ciascun nato
Di fuor del ventre
(queste non son ciance),
E l'ombelico e li lombi
con l'anche, 115
E le due parti sopra cui
si posa l'uomo
Sentendo le sue gambe
stanche.
Ove sta il seme e
l'acqua che si stilla
Ed altro che tacere è
bella cosa,
Governa Scorpïon quando
scintilla. 120
Di chi con l'arco in
cielo pur minaccia,
Le femora conforman le
saette;
E Capricorno le
ginocchia allaccia.
Aquario fa le gambe
radïando,
Ed il Pesce, che è
l'ultimo dei sette, 125
Forma li piedi ogni ora
guizzando.
Per questi l'universe
creature
Sono disposte, e le
terre e li siti,
Secondo il modo delle
lor figure.
Quel che tu vedi puoi
sentire ormai 130
De' cittadini miei, che
son puliti,
E come lebbra lì non fu
giammai.
Ben fu possente in loro
il sesto signo,
E son contento di quel
che si dice,
Ch'ha rinnovato il
scritto Santo Migno. 135
E tu a me: «Perché non
puo' seguire,
E qual è la ragion che
contraddice,
Che due corpi in un loco
non si mire?
Ficcando lancia giù
nell'acqua in fondo,
Un sol corpo è in tre
lochi: e questo è certo. 140
L'ultima è vera, se
provi il secondo.
Non è la lancia in
terra, in acqua e in aria?
Anch'io ti provo e dico
più scoperto:
Ogni elemento se
dall'altro varia,
Son quattro corpi, dico,
in un sol misto, 145
E l'aria con la luce
corporata
Io veggio: dunque, pur
nel primo insisto».
Ed io a te: S'io solvo,
non gridare,
Ché utile è tacere ad
una fiata
Quando non si convien
più di parlare, 150
E dico che impossibil è
due corpi
In un sol loco, e loco
senza corpo;
Non voglio che nel falso
più ti torpi.
Pone il maestro, e devi
saper dove,
Ragione che ti punge
come scorpo; 155
Ascolta ciò che dico e
che mi muove.
Il loco è come forma del
locato
E termina lo corpo ch'ei
contiene,
Sì come sua materia l'ha
formato.
Non puote una materia
aver più forme, 160
Sì che a un sol corpo un
loco sol conviene,
Ed è come materia che lo
forme.
Onde alla prima tua
ragion rispondo:
Per continüitate quella
lancia
È in un sol loco. Così
ti confondo. 165
E gli elementi, dico, un
corpo fanno.
Chi dice che la luce è corpo,
ciancia.
Secondo il detto di
color che sanno,
Non tengono nel misto
gli elementi
Le proprie forme; e
voglio che tu il senti. 170
CAPITOLO VII
Della Luce e dell'Ombra.
Io ho avuto paura di tre
cose:
D'esser d'animo povero e
mendico
(Io so che tu m'intendi
senza chiose),
Di servir per altrui e
dispiacere,
E per difetto mio
perdere amico; 5
Ond'io son ricco, quanto
al mio vedere,
Ché speso ho il tempo di
mia poca vita
In acquistarmi scienzïa
ed onore
Ed in seguire altrui con
l'alma unita.
Non per ricchezza fra li
buoni ho loco: 10
Non val ricchezza a
povertà di cuore
E poco vale a chi
conosce poco.
S'io avessi conoscenza,
quale io bramo,
Delle bestie sì come
degli umani,
Molti non amerei di
quelli che amo. 15
Amore accende, ma l'odio
disface
La conoscenza con li
pensier vani,
Fin che vien giorno che
speranza tace.
Potresti dubitar perché
ciò dico? Ed io a te:
Perché son nati molti 20
Che parlano secondo il
tempo antico; «
Che val saper cose
meravigliose
Ove frutto non è?» dicon
gli stolti
Snizzando le lor bocche
disdegnose.
Grande è la pena qui, e
più il tacere. 25
Convienci di partir da
questa gente
Che d'uomini non nacque,
ma di fiere.
Ringrazio il mio
Signor che non mi fece
Del numero di questi da
nïente,
E d'intelletto il ben
non mi disfece. 30
Un uom val cento, e
cento non fan uno;
Tanto è il valor
dell'uom quanto ha intelletto
E quanto al mondo egli
ha di grazia duno.
Assai è ricco l'uom poi
ch'è contento,
E meglio è conoscenza
con difetto 35
Che non ricchezza con
vivere in stento.
Io non ebbi, non ho né
avrò mai spene
In uom che viva, sì che
m'è d'avanzo
Se conseguisco il non
pensato bene.
Per te sii buono, non
sperando in uomo, 40
Ché troppo ha sale la
cena col pranzo
Dell'altrui pane; tu
vedi ben como!
E tu a me: «Omai è tempo
ed ora,
Con questa gente, di
parlar tacendo,
Ove cotanta ignoranza
dimora. 45
Or dimmi di queste ombre
che vedemo,
E prima fa' ch'io
sappia, definendo,
Che il tempo non ti
lasci. Oh quanto io temo!»
Ombra è non altro che
celata luce
Da corpo tenebroso che
riceve 50
Lo raggio che diretro
non traluce.
Secondo che la luce è
alta o bassa,
L'ombra così diversa qui
diviene:
Per più vedere in ciò,
la mente spassa.
E tu a me: «Ormai vorria
sentire 55
Qual'è quell'ombra che
chiami riversa,
Ché la diritta so ben
che vuol dire».
Ogni corpo, che sia
diritto in piano,
Facendo contro il Sole
ombra diversa,
Questa è diritta da
presso e lontano. 60
Se corpo astile cade
sopra torre,
Quell'ombra si è riversa
che tu vidi,
Che varïa secondo che il
Sol corre.
Questa crescendo, la
diritta scema,
E ciò converso; e voglio
che ti fidi, 65
Ché ver ti dice qui ogni
mio tema.
«Perché, quanto la luce
è più da presso
Del corpo, tanto fa
l'ombra minore,
Ed è maggiore quanto è
più da cesso?»
Lo raggio, che da presso
è in sé unito, 70
Disperge, se è lontano,
lo splendore:
Guarda lo lume e leva su
il tuo dito.
«Perché tremano l'ombre
nell'estremo?»
Guarda lo Sole che vien
per finestre.
Del gran Maestro due
ragioni avemo: 75
Trema la sfera dello Sol
movendo,
O l'aria muove il Sol
con sue balestre?
La prima e la seconda
qui commendo.
E tu a me: «Perché
l'ombra più dura,
Io dico, nelle notti
dell'inverno, 80
E varïa d'estate sua
figura?» Ed io a te:
In ciò pon cura e
guarda:
Sei segni son d'inverno,
i quai discerno
La notte in che ciscun
suo moto tarda;
Nell'orïente nascono
diretti 85
Da Cancro a quella
stella che saetta.
Guarda la sfera se in
ciò ti diletti.
Gli altri sei segni poi
nascono torti:
Ciascun nascendo lo suo
moto affretta.
Io so che questi detti a
te son forti. 90
Da Capricorno fino al
doppio segno
Nascono torti di verno
nel giurno:
La notte gli altri son
sul nostro regno.
Li segni dritti nascono
d'estate.
Non varïa già mai il
moto diurno 95
Le note che dal primo
gli fur date.
Tien ciascun segno a
nascere due ore;
Sei nascono di giorno e
sei di notte,
Secondo ch'è il voler
del lor motore.
Ventiquattr'ore è il
giorno naturale; 100
L'ore non sono uguali,
ma ridotte,
Quelle, dico, del giorno
artificiale.
Il quale è tanto, fin
che il Sole alluma
Una fïata tutto
l'orizzonte:
Così la gente lui
chiamar costuma. 105
Artificiale è detto,
perché l'arti,
Infin che il Sol non
posa, tegnon fronte;
Or ti sia a mente se di
qui ti parti.
E tu a me: «Or dimmi se
quest'ombra
È luce o corpo ovver
natural atto, 110
Ché gran pensier di ciò
la mente ingombra».
Ascolta: tutto ciò che è
qualitate,
Io dico ed in concreto
ed in astratto,
Natura, che sia corpo,
ciò non pate.
Sopra le cose corporate
e miste 115
La luce è forma ch'io
dico eccellente:
Tolta dagli occhi, par
che ognun s'attriste.
E tu a me: «Or questo
onde procede,
Che senza luce l'uom
divien dolente?»
Ed io a te: Natura ciò
concede. 120
Gli spiriti son lustri
per natura,
E simile con simil si
conforma;
Così gli spirti con la
luce pura.
Ciascun s'attrista
quand'ombra lo prende,
Siccome pel contrario si
disforma 125
Dall'allegrezza che
prima comprende.
Com'io distinguo qui,
fa' che sii attento,
E della luce ti fia noto
tutto
Il termine del ver,
com'io lo sento.
Dico: la luce in due
modi s'intende. 130
Oh quanto distinguendo
nasce frutto
Quando per la fallacia
alcun contende!
La luce ch'esce dallo
primo agente
Ha luminoso corpo ed
esso è attivo,
Ed essa è forma
sostanzïalmente, 135
E il fulgore di lei che cerca
il misto,
Il quale è oggetto del
senso motivo,
È accidente. Qui più non
resisto.
Più ch'io non voglio
dire, intendi ed odi,
La luce distinguendo in
questi modi. 140
CAPITOLO VIII
Questioni varie di
biologia animale.
«Se ciascuna delle api
non ha udito,
Al suon perché si posa?
Di', magistro,
Ché dubitando l'uom si
fa sentito».
Dico che il suono pone
l'aria in moto,
Che per natura all'ape è
gran sinistro; 5
Non volano, se è vento;
e ciò t'è noto.
Non per il suono, ma pel
movimento
Che fa nell'aria si
posano l'api,
Ché lor natura sempre
teme il vento.
Sì son corrette dallo
lor signore, 10
Che morderti non ponno
se le capi,
Ché nulla nel mal tempo
va di fuore.
E tu a me: «Perché ogni
animale
Muovesi ed anda subito
ch'è nato?
Perché non l'uomo? Di',
la ragion, quale?» 15
Dico ch'altro animal
nasce perfetto
E in poco tempo termina
il suo stato,
Ché in lui natura fa
veloce effetto;
Ma imperfetto al mondo
l'uomo nasce,
Ché portarlo saria
troppa gravezza, 20
Sì che di fuori si
nutrica e pasce.
Certo la specie umana
caderia
Se nella madre prendesse
fermezza:
Però natura vuol che
così sia.
«Perché li cani e li
leoni tutti 25
Nascono ciechi con gli
occhi coperti,
E gli altri con la luce
son produtti?»
Dico ch'ogni animal
ch'ha aguzze l'ugne (
Del dubitare voglio che
t'accerti)
La madre dolorosamente
pugne; 30
E, quand'è la natura
stimolata,
Innanzi tempo fuor lo
manda in fretta:
Però la vista in lui non
è formata.
Nervoso membro è l'utero
che sente,
Sì che lontano tempo non
aspetta: 35
Natura circospetta ciò
consente.
«Perché gli an'mali,
dico, ch'hanno corna,
Non hanno denti in la
parte di sopra,
E quel ch'ha denti acuti
si discorna?»
Dico che quel soperchio
delli denti 40
Natura nelle corna manda
sopra,
E questi sol dell'erba
son contenti.
Però natura in lor li
denti piani
Pose per questo fin
nelle lor guance;
Agli altri, acuti, come
a lupi e cani. 45
Sicché ogni animal coi
denti acuti
Non ha di corna nella
testa brance:
Voglio che nel serpente
il detto muti.
«Perché gli uccelli
ch'hanno il becco torto
Non bevon mai se non per
accidente, 50
E sol per medicina e lor
conforto?»
Io dico che lor pasto
ovver lor civo
Ha per natura l'umido
possente,
Sì che di sete nïuno è
passivo.
«Perché tutti animali
ch'hanno penne 55
Non fanno urina, sì come
si vede?
E lor natura perché ciò
sostenne?»
Dico che quel soverchio
si converte,
Sì come il mio Maestro
ed ognun crede,
In quelle penne che son
lor coverte. 60
Perché ciascuno di
questi pennati,
Mutandosi lo tempo, si
spelucca,
Stando tutti dolenti e
congregati?»
Perché in natura
ciascuno dall'aria
Turbata sente subito in
sé ciucca, 65
Se d'altra qualità si
mostra varia.
«Perché in un tempo più
la morte uccide
D'esti animali che non
fa di quilli?»
Dico che il cielo le
specie divide.
Con questa questïon
degli animali 70
In n'ho campati già ben
più di mille
Da povertate: non ti
dico quali.
L'Ariete di sua specie
in sé conserva
Sua medicina; così fa lo
Toro,
Così fan gli altri; ciò
che dico, serva. 75
Quando lo Sol ritorna al
primo punto
Di cui la stella sta nel
tristo coro,
Quel genïo della morte
sarà giunto.
E tu a me: «Perché formò
natura
Animali cotanto
velenosi, 80
Se della vita nostra ha
tanta cura?».
Essa in grazia dell'uomo
tutto fece:
Pur avendo il velen, son
grazïosi,
Però li topi diede in
loro nece.
Dico che non farà, né
fe' mai Dio 85
Animai, pietre od erbe e
ciò che vedi,
Ove non sia virtute, a
parer mio.
E tu a me: «Or sono
animai bruti
Quest'uomini silvestri?
Che ne credi?
Pelosi, piccinacoli,
negruti...!» 90
Di ciò son certo: più
non me ne impiglio,
Salvando sempre lo
miglior consiglio.
CAPITOLO IX
Questioni morali.
Invettiva contro le donne.
E tu a me: «Oimè, perché
addiviene
Che raro di buon padre
figlio nasce
Che conseguisca lo
consimil bene?
È per peccato, o natura
lo vuole,
Od è fortuna che nel
ciel s'irasce?» 5
Questo mi par ben nuovo
sotto il Sole ».
é natura principio
d'ogni sangue
Ed augumento e stato, e
poi declina
Di gente in gente, ed in
ultimo langue.
Se il padre ha il sommo
ben della sua schiera, 10
Naturalmente in lui
virtù s'affina,
E il nato convien sia di
vil maniera,
E questi tempi più e men
son lati
Secondo le figure d'alti
lumi
Sotto li quali furon
generati. 15
Guarda diretro, e
vederai tumulti
Di gran casati e di
gentil costumi
Che, terminando, sono in
terra occulti.
Per quattro tempi passa
ogni creato;
Non è fermezza nel
terrestre regno; 20
Chi va, chi vien, chi
piange, chi è beato.
Tutte le cose umane sono
in moto,
D'estremo riso vien
pianto malegno.
Felice chi da Dio non
sta remoto.
E tu a me: «Perché
questa fortuna, 25
Che l'uomo virtuoso
poter vive,
E subito si sparge ciò
che aduna,
E vedo gente senza
umanitate,
Spogliate di virtuti
intellettive,
Che tutte le ricchezze a
lor son date?». 30
Ed io a te: Or qui devi
sapere
Che gran ricchezza non
si puo' acquistare,
Se a Dio non spiace
questo mio vedere.
L'uom, ch'ha virtute, di
seguire sdegna
Questi guadagni e questo
accumulare, 35
Avendo l'alma di virtute
degna.
Ov'è intelletto, il più
degno s'elege,
Cioè virtute e scienzia
ed onore:
Dunque ricchezza convien
che si sprege.
È con la fama congiunta
la spesa, 40
E ciò non puo' fuggir
chi ha valore,
E contro lei non puo'
mai far difesa.
E tu a me: «Perché un
pover'uomo
Sarà più largo di quel
che possede,
Che un altro ricco? Tu
vedi ben como». 45
Ed io a te: Chi non puo'
peggiorare
Né per poco salir, come
si vede,
Sempre si sdegna di ciò
conservare;
Ma quegli che ha, ben sa
che sia l'amore
Del posseder, sì che
fervendo teme 50
Di non venir nello stato
peggiore.
Anche, ogni ricco
diviene tenace
Per sormontare alle
ricchezze estreme,
Sì che non sente mai
quiete né pace.
O idolatri, con la gran
ricchezza 55
Voi siete posseduti
possedendo,
E nudi, e ciechi
dell'alta chiarezza.
Volti il suo volto
ventura fallace:
Vivete gli occhi in
pianto sommergendo,
Poi che di Dio in voi
speranza tace. 60
E tu a me: «Perché si
sdegna tanto
La mente umana, se
congiunge amore
Sua donna col piacer di
nuovo incanto?».
Se due persone fan sola
una carne,
Non dà la morte così
gran dolore 65
Se alcun tu vedi che tue
membra scarne.
Anche ti dico che chi
amor congiugne
Con altrui donna, prende
tanto ardire
Che il suo maggior
disprezza e par lo agugne.
Per non esser tenuto
vile al mondo, 70
L'uomo ch'è offeso
mettesi al morire
E non discerne che ne
porta il pondo.
E tu a me: «Perché non è
fermezza
In cuor di donna che, sì
come vento,
Si muove or qua or là
per sua vaghezza?» 75
In fin che il viso
accende, tanto dura
Fermo volere in donna, e
ciò consento;
Stando divisa, più di te
non cura.
Naturalmente umida è
ciascuna,
E l'umido la forma non
conserva, 80
Né per gran tempo lì
dura nessuna.
È per natura in lei la
falsa fede.
Con dolce inganno fa tua
vita serva,
Mostrando gli occhi
pieni di mercede.
Ben si vorria piegar li
cinque rami 85
Mettendo il primo fra li
due più appresso
Dicendo: Or togli, poi
che tanto m'ami;
Poi gli altri cinque del
sinistro tronco
Voltare verso gli occhi
di se stesso.
Chi fida in donna è
guercio zoppo e cionco. 90
«Perché fan più rumore
dieci donne,
Che altrettanti uomini
parlando?
Alla mia mente la ragion
s'acconne».
Ogni creata cosa, onde
discende,
Di lì prende natura
cominciando, 95
Sì come dal filosofo
risplende.
Eva fu prima plasmata
dell'ossa
E della terra del primo
parente:
La terra non dà voci a
chi l'ha scossa;
Movendo l'ossa, fanno le
gran vuci. 100
Questa ragione qui non
ti contente.
E tu a me: «Or l'altra
qui m'adduci».
Ov'è intelletto, voglio
che tu senta.
Giusto è il tacere, e
giusto è lo parlare.
Oh quanto il tuo tacer
qui mi contenta. 105
In donna non fu mai
virtù perfetta,
Salvo in Colei che,
innanzi il cominciare,
Creata fu ed in eterno
eletta.
Rare fïate, come disse
Dante,
S'intende sottil cosa
sotto benna: 110
Dunque, con lor perché
tanto millante?
Non da virtù viene il
parlare inetto.
Maria si va cercando per
Ravenna
Chi in donna crede che
sia intelletto.
La femmina ha men fede
che una fiera, 115
Radice, ramo e frutto
d'ogni male,
Superba, avara, sciocca,
matta e austera,
Veleno che avvelena il
cuor del corpo,
Iniqua strada alla porta
infernale;
Quando si pinge, pugne
più che scorpo. 120
Tossico dolce, putrida
sentina,
Arma di Satanasso e suo
flagello,
Pronta nel male,
perfida, assassina,
Lussuriosa, maligna,
molle e vaga,
Conduce l'uomo a frusto
ed a capello; 125
Glorïa vana ed insanabil
piaga.
Volendo investigare ogni
lor via,
Temo ch'io non offenda
cortesia.
CAPITOLO X
Questioni varie di
fisiologia e psicologia.
Ultima cosa, nella mente
è prima,
Dico per natural concezïone,
Sì come per forbir fu
fatta lima.
Considerando perché,
come e quanno,
Tu vederai la tua
perfezïone 5
E di te stesso non sarai
tiranno.
Chi contro al tempo va,
non vede il fine;
Aspetta tempo innanzi
che ti muovi
Se ti vuoi conservare le
tue strine.
Il tempo ha tutto ed
ogni cosa ha tempo; 10
Muovendo il cielo fa gli
effetti nuovi.
Desiata cosa mai non è
per tempo.
Perché ciò dico, se il
pensier ti copre?
Ed io a te: Convienmi di
tacere,
Ché non è saggio chi
tutto discopre. 15
Parlo tacendo, perché ti
raccogli:
Or, alma grazïosa, puoi
vedere
Quanta dolcezza è in
questi acerbi fogli.
E tu a me: «Perché,
dov'è bellezza,
Rare fïate virtute
dimora?» 20
Ascolta, ch'io ti dico
la certezza.
Formando belle membra,
s'affatica
Lo spirito che opera ad
ogni ora:
Virtù risolve, quanta è
più la briga.
Nell'uomo secco con le
chine spalle 25
Non s'affatica la virtù
del cielo,
E raggio di salute non
gli falle.
Nel vile sterpo si
mostra bel fiore,
E se la vista di ciò ti
fa velo,
Guarda nel cerchio che
muove splendore. 30
«Perché di morte è
giudicato segno
Nel fantolino, quando è
più discreto
Che non sia tempo?» La
ragion ti assegno:
Vede che in piccol tempo
morir deve
Natura che contempla
ogni secreto, 35
Sì che il saver gli dà
nel tempo breve.
«Perché le piaghe
dell'occulto ucciso
Mandan ciascuna lo
sangue di fuore
Guardando chi l'ha morto
nel suo viso?»
Se son le piaghe nuove,
ciò ti dico: 40
Rimangono gli spiriti
nel cuore
E muovon l'ira verso il
suo nemico.
Ciascun si muove a lo
dolente loco,
E muove il sangue per le
calde vene:
Ma questa novitate dura
poco. 45
Ma l'acqua calda, per le
piaghe messa,
Risolve quegli spiriti
che contiene
Il cuore intanto, sì che
ciascun cessa.
«Perché nel mondo son
diversi volti?»
Ed io a te: Di ciò son
tre ragioni, 50
Le quai ti dico qui, se
ben m'ascolti:
Diversi agenti, stelle,
ed anche il sito,
Di' da mia parte, se
giammai ragioni
Con uomo che del vero
sia sentito.
E tu a me: «Anche vorria
sapere 55
Perché l'immaginar fa
simil caso
E più veloce là dov'è il
temere».
Ed io a te: Qui
dell'immaginare
Se vuoi sentire, tien
l'udito paso,
Se di ciò ti diletti in
giudicare. 60
L'immaginare che subito
spazia,
Se dal volere prende
nascimento,
Con simil caso giammai
non si sazia;
Ma il ciel che immaginando
l'alma muove
E il cor nel 'maginar fa
forte e attento, 65
Vuol che l'effetto
immaginato ei trove.
«Perché l'uom teme tanto
il corpo morto,
Che subito trovandolo
s'arriccia?»
Io qui di ciò ti voglio
accorto.
Ogni animata cosa per
natura 70
Lo cor di gran temer
subito impiccia
Veggendo del contrario
la figura.
«Perché dormendo l'uomo
alla supina
Sente accidente che non
puo' far mutto
E più si forza, più la
voce inclina?» 75
Ciò vien da sangue che
nel cor s'ingorga
Che da ciascuna arteria
muove tutto,
Avvegna che di ciò l'uom
non s'accorga.
Di sangue pieno il cuor
forte s'aggrava,
E par che anneghi l'uomo
per gran carco, 80
Sì come sovra il petto
avesse trava.
«Perché l'uom trema
tutto quando urina?»
Qui di pensieri ti vo'
fare scarco,
Che non ti gravin più
sopra la schina.
Quando il soperchio la
natura piove, 85
Risbanda in sé medesmo e
prende forza,
Ovver vapori nocivi
rimuove.
E tu a me: «Perché
l'uomo è sinistro?»
Dico che usanza la
natura sforza,
Ovver è come dice il
gran Magistro: 90
Il fegato, che scalda il
lato dritto
Ove le vene tengono
radice,
Converte quello in
sangue, com'è scritto,
E cambia il loco suo col
freddo splene.
A ciò ch'io dico tu non
contraddice, 95
Perché non puoi, se
m'hai inteso bene.
Dal cerebro procedono li
nervi;
Nasce dal cuore ciascuna
arteria;
Voglio che questi detti
in te riservi.
È arterïa sempre dove è
vena: 100
Ogni arterïa in sé ha
doppia via;
Per l'una al cuore lo
sangue si mena,
Per l'altra avaccio lo
spirito corre
Come splendor che muove
da candela,
Che senza tempo per
l'aria discorre. 105
Il sangue pian si muove
con quïete:
Questi canali natura non
cela,
Che l'un dell'altro il
corso non diviete.
E tu a me: «é ver quel
che si dice,
Che d'allegrezza vien
sùbita morte?» 110
Ed io a te: Lo cuore,
che è radice
Di nostra vita e primo
fondamento,
Apresi tutto in
allegrezza forte;
Risolve poi lo spirito
con tormento.
Così nella tristezza si
costrenge 115
Sì forte, che lo spirto
di fuor manda,
E nostra vita subito
dispenge.
Or prendi esempio nella
cava mano
Tenendo l'acqua fin che
non si spanda:
Se stringi ed apri,
l'acqua torna al vano. 120
E tu a me: «Questa
ragion non sento:
Perché nessuno qui fu
mai contento?»
CAPITOLO XI
Questioni morali. Valore
dei sogni.
Mira questi altri di più
bassa schiera
E loda te medesmo, ché
natura
Non ti produsse di sì
vil maniera.
E tu a me: «Così m'ho da
biasmare
Mirando questi della
gran ventura, 5
Che sovra gli altri vedo
trionfare?»
Natura a ciascuna dà
com' si conviene:
Or non ti turbi tua
perversa voglia
Ché, come è il grado, si
ministra il bene.
Uman voler, se val, non
ha ripulsa 10
A fuggir la viltate onde
vien doglia,
Né mai per povertate si
ristulsa.
«La mente qui non puo'
esser contenta:
Pongo che ciò che vuol
possa seguire,
Ma poi l'uom desïando si
lamenta. 15
Non cessa il moto
natural agente;
Sempre si muove sin che
il fine mire.
Questa ragione
ciaschedun consente».
Se tu m'intendi ben, qui
ti rispondo:
Ogni natura è creata al
fine, 20
Lo qual per l'alma non è
in questo mondo;
Ma quando vederà lo suo
Fattore
Da vista a vista con
l'altre divine,
Sentirà pace dell'eterno
amore.
E tu a me: «Non sonvi
giuste prove 25
Che l'alma vegga Dio di
faccia a faccia;
Contro te dico qual
ragione mi muove.
Intra l'oggetto e la
potenza nostra
Proporzïone pur convien
che giaccia
In che l'essere umano si
dimostra. 30
Ma fra quel ch'è
infinito e il terminato
Proporzïone non puo' mai
capire:
Così fra l'alma e il
suoFattor beato;
Sicché convien che qui
medio vi sia
Da Dio informato che
nell'alme spire, 35
Sì come il Sol nell'aria
tuttavia».
Ed io a te: Or qui
convien ch'io taccia,
Ma quando vederò lo
tempo e il loco,
Di ciò conviene ch'io ti
satisfaccia.
E tu a me: «Or di' di
questi sogni, 40
Ch'ogni ignorante ne
cura sì poco
E dice che di cerebro
abbisogni».
O buon Apollo, fa' miei
sensi ingordi
E toglimi lo ben
dell'intelletto
Anzi ch'io parli a
questi uomini sordi. 45
E se tu m'hai disposto,
ch'io non credo,
Alla mercede altrui per
gran difetto,
Almen la morte mi da'
per rimedo.
Delli cattivi voglio che
tu godi,
Ché nessuna vede come
nasce il sogno, 50
Sì com'io qui ti
distinguo in due modi.
Quel che la mente nostra
pur desïa,
Di prestar fede a ciò
non è bisogno,
Perché tal sogno vien da
fantasia;
Ma l'altro sogno che dal
ciel procede 55
Non cogitato e pinto di
figura
Che lo futuro all'anima
concede,
Contemplativo sogno
questo chiamo;
Non ha intelletto chi di
ciò non cura,
E non senza ragione lui
disamo. 60
Quando la Luna sta nel
sesto segno
È fermo il sogno, e
quando se ne parte
Con le comuni stelle,
non lo sdegno. l'
Arïete, la Libra ed
anche il Cancro
Il sogno in tutto dallo
ver diparte, 65
Sì come in neri marmi
scritte d'ancro.
Ognuno ha qualche cosa
che si sogna
Se fra se stesso giudica
del male
Quasi sospetto, e pur
temendo agogna.
L'alme veraci son dal
sogno scorte 70
All'uomo che ha maligno
il naturale,
Che molto sogna presso
della morte.
Questi intelletti li
cieli movendo
Delle cose future fanno
mostra,
E per figure tai sogni
comprendo; 75
Ché chi si sogna di gir
nudo e scalzo
Per lo gran fango,
questo gli dimostra
Orribile peccato, e non
è falzo.
Chi di giacer si sogna
carnalmente
Con madre o con sorella,
tu vedrai 80
Ch'ei convien che in
quell'anno sia dolente.
Se l'uom risogna quel
che ha già sognato,
Ed il suo sogno non
ricorda mai,
Non vede effetto del
sogno passato.
E tu a me: «Di questi
veggio como; 85
Vorria veder quant'è lo
ben dell'uomo».
CAPITOLO XII
Del bene umano e della
felicità. Le favole non ci salvano.
Tant'ha di ben ciascun,
quanto ha d'amore,
Tant'ha di ben ciascun,
quanto ha di fede,
Tant'ha di ben ciascun,
quanto ha d'onore,
Tant'ha di ben ciascun,
quanto ha di spene,
Tant'ha di ben ciascun,
quanto ha mercede, 5
Quanto ha intelletto
l'uom, tant'ha di bene;
Però che conoscenza
d'intelletto
Conduce l'uomo per li
dritti trami
Onde consegue il
glorïoso effetto.
Questa sia specchio
della tua speranza 10
Per qual tu vederai li
santi rami
Che sopra tutti i ciel
ciascuno avanza.
Non sia la spene tua
nelli mortali,
Ché vien fallace e nuda
di salute
Se nei bisogni tuoi per
te non vali. 15
Oimè, speranza dello cor
nimica,
Che furi il tempo con le
tue vedute,
Perché ti mostri così
dolce amica?
E tu a me: «Or qui
voglio esser certo:
L'uom che fa bene
nell'avversitate 20
Più che il felice non
deve aver merto?»
Io dico che ciascuno che
è felice
Seguendo di virtù
benignitate
Di maggior lode tien
ferma radice.
Quanto è più ricco
l'uom, tant'è più avaro; 25
Quanto è più forte,
tant'è più arrogante;
Così dell'altre cose. E
questo è chiaro.
Dunque, il felice tien
maggior battaglia
Vincendo il male con le
virtù sante,
E pover'uom di ciò non
ha travaglia; 30
Ché povertate superbia
confonde,
Raffrena la lussuria e
la costregne,
Che par che nell'abisso
l'uom profonde.
Dunque, il felice senza
fallo, dico
Che d'ogni fama e di più
lode degne: 35
Esempio prendi in Santo
Lodovico.
E tu a me: «Due occhi ed
una bocca
Perché natura fece a
ciascun uomo?»
Io so che questo detto a
molti tocca.
Deve ciascun veder più
che parlare: 40
Tristo è chi parla se
non vede como
E chi non sa sua lingua
raffrenare.
Natura sempre fa
perfezïone:
Tu vedi ben qual n'è la
ragione.
Qui non si canta al modo
delle rane, 45
Qui non si canta al modo
del poeta
Che finge, immaginando,
cose vane;
Ma qui risplende e luce
ogni natura
Che a chi intende fa la
mente lieta.
Qui non si gira per la
selva oscura. 50
Qui non veggio né Paolo
né Francesca,
Delli Manfredi non
veggio Alberico
Che amari frutti colse
di dolce esca.
Del Mastin vecchio e
nuovo da Verrucchio
Che fece di Montagna,
qui non dico, 55
Né dei Franceschi lo
sanguigno mucchio.
Non veggio il Conte che
per ira ed asto
Tien forte l'arcivescovo
Ruggero
Prendendo del suo ceffo
il fiero pasto.
Non veggio qui squadrare
a Dio le fiche. 60
Lascio le ciance e torno
su nel vero.
Le favole mi fur sempre
nemiche.
Il nostro fine è di
vedere Osanna.
Per nostra santa fede a
lui si sale,
E senza fede l'opera si
danna. 65
Al santo regno
dell'eterna pace
Convienci di salir per le
tre scale,
Ove l'umana salute non
tace,
Acciò ch'io vegga con
l'alme divine
Il sommo Bene
dell'eterna fine. 70
FRAMMENTO DEL LIBRO V
Creazione continua delle
anime; mortalità del mondo materiale.
Convien ch'io canti
della santa fede,
Lasciando le potenze
sensitive,
E dica ciò che l'alma
mia ne crede.
Sopra l'ottava sfera che
vedemo
Osanna, ch'ivi
eternalmente vive, 5
Formò due cieli, i quali
noi chiamemo
Empireo l'uno, e l'altro
cristallino:
Qui stella non scintilla
e non v'è moto:
Sempre stan fermi per
voler divino.
Nel cristallino son le
gelate acque: 10
Lodate Dio, come si
mostra noto
Per lo salmista a cui
ciò scriver piacque.
E Paolo, che vide il
gran segreto
Lo qual si tace
all'umana gente,
Potè bene saper ciascun
decreto. 15
Infino al terzo imperïo
fu ratto,
Lasciando il corpo la
levata mente,
Mirando il santo regno
come è fatto.
Lì è una natura e tre
persone,
Lì dello sommo Bene è la
pienezza, 20
Lì è con Pïetà somma
Ragione;
E gli angeli benigni
senza corpi
Cantano sempre il Ciel
pien d'allegrezza,
Non come a noi gridando
«scorpi, scorpi».
Da questo cielo vien
tutta la luce 25
La qual per l'universo
ognora splende;
Lì Dio, creando, l'alme
in noi conduce.
Ma ciò negava al mondo
Averroisse;
Ma ben è certo poi
ch'arde ed incende.
Ascolta come è falso ciò
ch'ei disse. 30
Se tutto fosse un'alma
ove è intelletto,
Saria, ti dico, la mia
scienzia in tutti
Perché è nell'alma come
in suo soggetto.
Il conseguente è falso,
dunque il primo
E quelli sillogismi son
distrutti. 35
Anche con altra ragion
li biastimo.
Se fosse un intelletto
negli umani,
Uno nel quanto, come mai
si forma,
D'atti diversi e varïati
e strani,
Dico, in un tempo?
Riprovi il minore, 40
Ché mille intendi che
han diversa l'orma.
Or 'scolta ch'io riprovo
l'altro errore.
L'anima intellettiva è
forma nostra
Sostanzïal che dà
l'essere a noi,
Secondo che la mia
ragion dimostra. 45
O Averroisse, con la
setta sciocca,
Che verso il Ben
chiudesti gli occhi tuoi,
Questa ragione li tuoi
detti sbrocca.
Dalla sostanzïal forma
procede
Ogni operazïon che sia
perfetta, 50
Secondo che il filosofo
concede.
L'operar proprio e
l'intender dell'uomo
Dell'alma muove la
specie intelletta,
Dunque ella è forma: tu
vedi ben como.
Questa, creando, Dio in
noi la spira, 55
Ed ogni umano ha per sé
l'alma sua;
E tu, se l'ignoranza tua
delira
Contro del vero formando
argomenti,
Riguarda il fine della
vita tua
E con tua pena vederai
che menti. 60
Tu poni il cielo ed
anche il moto eterno,
Formando filosofiche
ragioni
Le quai dell'alma fanno
mal governo.
Senza soggetto, moto e
trasmutare
Non credono le cieche
opinïoni 65
Che il mondo possa in
tempo cominciare.
Io ciò confesso in lume
di natura
La qual comprende
generazïone,
Perché di niente non si
fa figura;
Ma speculando la Virtù
possente, 70
A cui sol si conviene
creazione,
Li cieli e il mondo fece
di nïente.
Ciò che comincia in
tempo, in tempo muore;
Passando e rinnovandosi
li moti
Del mondo, pur
s'appressa all'ultime ore. 75
Del quando, sono incerti
li mortali,
Ché i segreti divini non
son noti,
Ma son celati li più
specïali.
Ma quando tornerà l'anno
maggiore
Ed ogni stella
dell'ottava sfera 80
Sarà nel sito del primo
splendore,
Considerando le passate
etati
E noi che siamo
dell'ultima schiera,
Saranno gli atti umani
terminati.
Congetturo secondo il
parer mio, 85
E so che nostra
conoscenza umana
È cosa stolta verso
l'alto Dio;
Ma cominciando dall'età
primiera,
D'Adam fino a Noè si
mostra piana
Per noi che siamo
dell'ultima schiera. 90
D'Adam fino a Noè tornò
lo Sole
Du' mil ducento quaranta
due volte
Nelle sue prime stelle,
come suole;
E da Noè fino ad Abram
per lista
Fu novecento quaranta
due volte, 95
E dopo Abramo surse il
gran Giurista,
Che fu Mosè, e con lui
l'antica legge.
Da poi fu Cristo con gli
ultimi giurni:
Lascio la fine a lui che
tutto regge,
Ché terminare il mondo è
in suo volere, 100
E i moti naturali e li
diurni
Di tutti i cieli, quanto
al mio vedere.
Ma qui risorge il
dubitare umano,
Considerando le genti
passate.
Se sopra loro il ciel
non fu più sano, 105
Ché il cielo impressïoni
peregrine
Non ha, sì come le cose
create,
Dunque, perché è di noi
più breve il fine?
Perché sì prodi, perché
sì giganti
Erano al tempo? Perché
s'è smarrita 110
Natura umana negli atti
cotanti?
Dico che ciò che è
creato in tempo,
In lui fu sempre la
virtù finita;
Passando stato, declina
per tempo.
I sette cieli con gli
ottavi lumi, 115
Che hanno lor potenze
terminate
Sì come è scritto nei
sacri volumi,
Quando nel primo tempo
fur creati,
Ciascun facea gli
effetti in sommitate
Con gli elementi puri
immacolati; 120
Ma per diversi e per
antichi corsi
Le quattro qualità sono
corrotte,
Però li gran difetti
sono incorsi.
Guarda la Terra rotonda
creata,
Sì come le sue parti son
dirotte 125
E come nel suo corpo è
concavata.
Per più vedere, prendi
questo esemplo,
Avvegna che non sia come
si pone;
Ma meglio sentirai ciò
ch'io contemplo.
Simile è il cielo d'una
nuova sezza 130
Che mostra, nuova, più
perfezïone,
Ed antiquando, sua virtù
si sprezza.
Non dico che non sia
alto Saturno
Novanta cerchi quant'è
nella Terra,
Sì come fu creato il
primo giurno; 135
Novantacinque dico ch'è
più Giove,
Più della Terra Marte
poco serra;
Secondo Tolomeo son
queste prove.
Il Sole è più
centosessantasei,
Ed è di ventisette parti
l'una 140
Mercurïo, secondo gli
occhi miei.
La terza stella è simile
nel tanto,
E delle trenta parti una
è la Luna:
Di ciò ch'io dico qui
non ti millanto.
Ma il cielo, in quanto è
corpo in sua virtute 145
Determinato, convien pur
che manche,
E le nature siano
diminute.
Dunque ti cessa, o tu,
loïco tristo,
Con le sofiste tue
ragioni bianche,
Ché senza fè del ben non
si fa acquisto. 150
La fede sola ha merto di
salute:
Ove l'umana vista vede
il quia,
Tacesi il quare dell'alte
vedute.
Fede e carizia con
l'accesa spene
Dimostrano di glorïa la
via 155
La qual conduce
nell'eterno Bene
Sopra li cieli, nel
beato regno
Dove l'umano spirito è
benegno.
Bello è tacere di
cotanta cosa
Considerando il mio poco
intelletto, 160
Ma la gran fede mi muove
ed escusa,
Sì ch'io ne prego la Virtù
di sopra
Ch'allumi l'alma del
beato aspetto
E che l'immaginar
consegua l'opra.
Era il Figliuolo innanzi
il moto e il tempo, 165
E il Padre col Figliuolo
una natura
Eterna, ché non cade mai
suo tempo.
Questa era prima presso
il primo agente;
Se l'esser tutto per Lui
tien figura, 170
Il fatto senza Lui,
dico, è nïente.
E ciò che è fatto era
vita in Lui,
Sì come forma nella
mente eterna,
E questa vita è luce di
nui
* * * * * * * * * * *