Composto forse nel1502
Già fummo, or non siam più,
Spirti beati; per la superbia nostra
siàno stati dal ciel tutti scacciati;
e in questa città vostra
abbiàn preso il governo,
perché qui si dimostra
confusion, dolor più che in inferno.
E fame e guerra e sangue e diaccio e foco,
sopra ciascun mortale,
abbiàn messo nel mondo a poco a poco;
e ’n questo carnovale
vegnàno a star con voi,
perché di ciascun male
fatti siàno e saren principio noi.
Plutone è questo, e Proserpina è quella
ch’a lato se gli posa;
donna sopra ogni donna al mondo bella.
Amor vince ogni cosa;
però vinse costui,
che mai non si riposa,
perch’ognun faccia quel ch’ha fatto lui.
Ogni contento e scontento d’Amore
da noi è generato,
e ’l pianto e ’l riso e ’l diletto e ’l dolore,
chi fussi innamorato,
segua il nostro volere
e sarà contentato;
perché d’ogni mal far pigliàn piacere.
Composto forse nel 1514
Udite, amanti, il lamentoso lutto
di noi che, disperati,
al basso centro, pauroso e brutto,
da’ dimon siàn guidati;
perché da tante pene tormentati
fummo in quel tempo, amando già costoro,
ch’agli infernali ci diàn per fuggir loro.
Le prece, i pianti, i singulti e’ sospiri
furno buttati a’ venti;
perché trovammo sempre i lor desiri
pronti a’ nostri tormenti;
tal che, deposti quei pensieri ardenti,
giudichiàno or, ne la servitù nuova,
che crudeltà fuor di lor non si trova.
DONNE
Quanto sie stato grande l’amor vostro,
tanto il nostro anche è stato;
ma non l’avendo come voi dimostro,
per l’onore è restato.
Non è per questo l’amante ingiuriato;
ma viene al mondo a sì brutta sentenza
colui che ha più furor che pazienza.
Ma perché perder voi troppo ci duole,
vi verren seguitando,
con suoni e canti e con dolze parole
gli spiriti placando;
ché, tolti voi dal viaggio nefando,
in vostra libertà vi renderanno,
o di voi e di noi preda faranno.
AMANTI
Non è più tempo di pietà concesso;
però tacer vogliàno:
e chi non fa quand’egli ha tempo, appresso
si pente e prega invano.
E perché a questi d’un voler ci diàno,
ogni vostro pregar tutt’è ’nvan suto;
ché dispiacer non può quel ch’è piaciuto.
DONNE
E però, donne, avendo alcuno amante
al vostro amor costretto,
per non trovarvi, come noi, errante,
fuggite ogni rispetto;
non gli mandate al regno maladetto:
ché chi dannazion provoca altrui,
a simil pena il ciel condanna lui.
Composto tra il 1522 e il 1524
Spirti beati siàno,
che da’ celesti scanni
siàn qui venuti a dimostrarci in terra,
poscia che noi veggiàno
il mondo in tanti affanni
e per lieve cagion sì crudel guerra;
e mostrar a chi erra,
sì come al Signor nostro al tutto piace
che si ponghin giù l’arme e stieno in pace.
L’empio e crudel martoro
de’ miseri mortali,
il lungo strazio e ’nrimediabil danno,
il pianto di costoro
per li infiniti mali
che giorno e notte lamentar gli fanno,
con singulti e affanno,
con alte voci e dolorose strida,
ciascun per sé merzè domanda e grida.
Questo a Dio non è grato,
né puote essere ancora
a chiunche tien d’umanitate un segno;
per questo ci ha mandato,
che vi dimostriam ora
quanto sie l’ira sua giusta e lo sdegno:
poiché vede il suo regno
mancar a poco a poco, e la sua gregge,
se pe ’l nuovo pastor non si corregge.
Tant’è grande la sete
di guastar quel paese
ch’a tutto il mondo diè le leggi in pria,
che voi non v’accorgete
che le vostre contese
a li nimici vostri aprin la via.
Il signor di Turchia
aguzza l’armi, e tutto par ch’avvampi
per inundar i vostri dolci campi.
Dunque, alzate le mani
contr’al crudel nemico,
soccorrendo a le vostre gente afflitte;
deponete, cristiani,
questo vostro odio antico,
e contro a lui voltate l’armi invitte;
altrimenti, interditte
le forze usate vi saran dal cielo,
sendo in voi spento di pietate il zelo.
Dipàrtasi il timore,
nimicizie e rancori,
avarizia, superbia e crudeltade;
risurga in voi l’amore
de’ giusti e veri onori;
e torni il mondo a quella prima etade;
così vi fien le strade
del ciel aperte a la beata gente,
né saran di virtù le fiamme spente.
Composto forse nel 1524
Negli alti gioghi del nostro Appennino,
frati siàno e romiti;
or qui venuti in questa città siàno,
imperò che ogni astrolago e ’ndovino
v’han tutti sbigottiti
(secondo che da molti inteso abbiàno)
che un tempo orrendo e strano
minaccia a ogni terra
peste, diluvio e guerra,
fulgor, tempeste, tremuoti e rovine,
come se già del mondo fussi fine.
E voglion sopratutto che le stelle
influssin con tant’acque,
che ’l mondo tutto quanto si ricuopra.
Per questo, donne graziose e belle,
se mai servir vi piacque,
alcuna cosa che vi sia di sopra;
nessuna se ne scuopra
per farci alcun riparo;
però che ’l cielo è chiaro
e ci promette un lieto carnovale:
ma chiunque crede apporsi, dice male.
Fien l’acque il pianto di qualunche muore
per voi, o donne elette;
i tremuoti, rovine e loro affanno,
le tempeste e le guerre fien d’amore:
i fulgori e saette
sieno i vostri occhi, che morir gli fanno.
Non temete altro danno,
e fia quel ch’esser suole.
Il ciel salvar ci vuole:
e poi, chi vede il diavol daddovero,
lo vede con men corna e manco nero.
Ma pur, se ’l ciel volessi vendicare
e’ mortai falli e l’onte,
e che l’umana prole andassi al fondo,
di nuovo il solar carro farìe dare
ne le man di Fetonte,
perché venisse ad abbruciare il mondo.
Pertanto, Iddio giocondo
da l’acqua v’assicura:
al fuoco abbiate cura.
Questo iudizio molto più ci affanna,
se secondo il fallire il ciel condanna.
Pur, se credessi a quegli van romori,
venitene con noi
sopra la cima de’ nostri alti sassi;
quivi farete i vostri romitori,
veggendo piover poi
e allagar per tutti i luoghi bassi;
dove buon tempo fassi quanto in ogni altro loco:
e curerenci poco
del piover; ché chi fia lassù condotto,
l’acqua non temerà che gli fia sotto.
[forse 1508]
Ah, queste pine che hanno bei pinocchi,
che si stiaccion con man com’e’son tocchi!
La pina, donne, fra le frutte è sola
che non teme né acqua né gragnuola;
e che direte voi che dal pin cola
un licor ch’ugne poi tutti quei nocchi?
Noi sagliàn in su’ nostri pin che n’hanno:
le donne sotto a ricoglier ci stanno:
talvolta quattro o sei ne cascheranno:
sì che bisogna al pin sempre aver gli occhi.
Chi dice: — Cò’ di qua, marito mio;
còrre questa, còr quell’altra voglio io. —
Se si risponde: — Sài sul pin com’io, —
le ci volton le rene e fanci bocchi.
E dicon che le pin non son granate:
e però, quando voi ne comperate,
per mano un pezzo ve le rimenate,
che qualche frappator non v’infinocchi.
Queste son grosse e sode e molto belle;
se ve ne piace, venite per elle;
a chi non ha moneta donerelle,
ché ’l fatto non consiste in duo baiocchi.
È la fatica nostra lo stracciare,
perché ’l pinocchio vorrebbe schizzare:
bisogna tener forte e martellare:
poi non abbiàn pensier che ce l’accocchi.
E’ pinocchi con fritti ne’ conviti
fanno destar li amorosi appetiti,
e tutti gli altri cibi saporiti
a rispetto di lor paiono sciocchi.
Composto probabilmente nel 1509 (Martelli)
Ciurmador siam, che ciurmiàn per natura,
donne, e cercando andiàn nostra ventura.
Di casa di San Paulo siam discesi,
discosto nati da questi paesi;
ma qui venuti, siamo stati presi
da la vostra amorevole natura.
Noi nasciam tutti con un segno sotto,
e chi di noi l’ha maggiore, è più dotto;
se lo vedessi, vedresti di botto
le belle cose che sa far natura.
Piacciavi, adunque, da noi imparare
che mal vi possin queste serpi fare,
e come voi abbiate a rimediare,
che non vi accaggia ognor qualche sciagura.
Questa serpe sì corta e rannodata
come vedete, scorzone è chiamata;
quando ella è in caldo e che l’è adirata,
di punta passerebbe un’armadura.
L’aspido sordo è un tristo animale,
che dinanzi e di retro ognuno assale;
ma quando e’ vien dinanzi, e’ fa men male,
ancor che facci assai maggior paura.
Questo ramarro, grosso e ben raccolto,
piglia piacer di veder l’uomo in volto;
e di voi, donne, non si cura molto:
cosa che li ha concessa la natura.
Certi lucertolotti abbiam qui drento,
ch’assaltono altri dreto a tradimento;
e se da prima e’ non danno spavento,
riesce la lor poi mala puntura.
Quanto vedete, questa serpe cresce;
se la strignete, fra le dita v’esce;
poi con la pruova molto non riesce,
né può, volendo, offender la natura.
Stànnosi queste serpi fra l’erbetta,
sotto un sasso, o ’n qualche buca stretta;
sol questa grande di star si diletta
in un pantano o ’n qualche gran fessura.
Però bisogna aver gran discrezione,
quando a sedere una di voi si pone,
che non vi fussi fatto in sul groppone
qualche ferita di mala natura.
Ma se di lor non volete temere,
di questo vino e’ vi bisogna bere,
e questa pietra appresso a voi tenere,
e che la non vi caschi abbiate cura.
Così, ciurmate poi che voi sarete,
in ogni loco a seder vi porrete;
quanto più grosse serpe troverrete,
tanto vi parrà aver maggior ventura.