Edizione di riferimento
Niccolò Machiavelli, Tutte le opere a cura di Mario Martelli, Sansoni Editore, Firenze 1971
Edizione di riferimento per le lettere aggiunte segnalate dalla dicitura bis accanto al numero:
Niccolò Machiavelli, Opere, vol. II a cura di Corrado Vivanti, Biblioteca della Pléiade, Einaudi, Torino 1999.
Roma, 16 gennaio 1515
Spectabili viro Nicholò Machiavelli in Firenze.
† A' dì 16 di Gennaio 1514.
Caro compare. Io non ho lettere da nessuno che io legha più volentieri, che le vostre, e vorrei potere scrivere molte choxe, le quale conosco non potersi commettere alle lettere. E' sono più mesi che io intexi benissimo in che modo amavi, e fui per dirvi: « Ah, Coridon, Coridon, quae te dementia cepit? ». Poi, pensando intra me medesimo che questo mondo non è altro che amore, o, per dir più chiaro, foia, mi ritenni; e sono ito considerando quanto li huomini in questo chaxo son dischosto chol chuore a quello dicono cholla bocha. Ha un padre il figluolo e dice volerlo nutrire honesto: non di meno gli chomincia a dare un maestro che tutto dì stia con lui et che habbi commodità farne a suo modo, e gli lascia leggere qualchoxa da fare risentire un morto. La madre lo pulisce, lo veste bene, acciò che piaccia più: quando chomincia crescere, gli dà una camera terrena, dove sia cammino e tutte le altre commodità, perché possa sguazare a modo suo, e menarvi e condurvi chi gli pare. E tutti facciamo choxì, et errano in questo, più quelli a' quali pare essere ordinati: e però non è da maraviglarsi ch'e nostri giovani sieno tanti lascivi quanto sono, perché questo procede dalla pessima educatione. Et voi et io, anchor che siamo vechi, riteniamo in qualche parte e chostumi presi da giovani, et non c'è rimedio. Duolmi non essere chostì, perché potessimo parlare insieme di queste choxe et di molte altre.
Ma voi mi dite choxa che mi fa stare admirato: d'havere trovato tanta fede e tanta chompassione nella Riccia che, vi prometto, li ero per amor vostro partigiano, ma hora li son diventato stiavo, perché il più delle volte le femmine soglono amare la fortuna et non li huomini, et quando essa si muta mutarsi anchor loro. Di Donato non mi maraviglo perché è huomo di fede, e oltre a questo pruova del continuo il medesimo che voi.
Io vi scripsi che l'otio mi faceva innamorato et choxì vi raffermo, perché ho quasi faccenda nessuna. Non posso molto leggere, rispetto alla vista per l'età diminuita: non posso ire a solazo se non achompagnato, e questo non si può far sempre: non ò tanta auctorità né tante facultà che habbi a essere intratenuto; se mi ochupo in pensieri, li più mi arrechono melanchonia, la quale io fuggo assai; e di necessità bixogna ridursi a pensare a choxe piacevole, né so chosa che dilecti più a pensarvi e a farlo, che il fottere. E filosofi ogni huomo quanto e' vuole, che questa è la pura verità, la quale molti intendono choxì ma pochi la dichano. Fo pensiero a primavera ridurmi a voi, se mi fia lecito, e parleremo insieme di questo et molte altre choxe. Racomandatemi a Filippo, Giovanni e Lorenzo Machiavelli e a Donato. Christo vi guardi.
Francesco Victori oratore in Roma
Firenze, 31 gennaio 1515
Francisco Victorio oratori.
Rome.
Havea tentato il giovinetto Arciere
già molte volte vulnerarmi il petto
con le saette sue, ché del dispetto
et del danno d'altrui prende piacere;
et benché fosson quelle acute et fiere,
ch'uno adamante non hare' lor retto,
non di manco trovâr sì forte obbiecto,
che stimò poco tutto il lor potere.
Onde che quel di sdegno et furor carco,
per dimostrar(e) la sua alta excellenza,
mutò pharetra, mutò strale, et arco;
et trassene uno con tanta violenza,
ch'anchor(a) delle ferite mi rammarco,
et confesso et conosco sua potenza.
Io non saprei rispondere all'ultima vostra lettera della foia con altre parole che mi paressino più a proposito, che con questo sonetto, per il quale vedrete quanta industria habbia usato quello ladroncello dello Amore per incatenarmi. Et sono, quelle che mi ha messo, sì forte catene, che io sono al tutto disperato della libertà né posso pensare via come io habbia a scatenarmi; et quando pure la sorte o altro aggiramento humano mi aprisse qualche cammino ad uscirmene, et per avventura non vorrei entrarvi, tanto mi paiono hor dolci, hor leggieri, hor gravi quelle catene, et fanno un mescolo di sorte, che io giudico non potere vivere contento senza quella qualità di vita. Et perché io so quanto tali pensieri vi dilettino et conoscere simili ordini di vita, io mi dolgo che voi non siate presente per ridere, hora de' mia pianti, hora delle mia risa; et tutto quello piacere che haresti voi, se ne porta Donato nostro, il quale insieme con la amica, della quale altra volta vi ragionai, sono unici miei porti et miei refugii ad il mio legno già rimaso per la continova tempesta senza timone et senza vele. Et manco di dua sere sono mi avvenne che io potevo dire, come Phebo a Dafne:
Nimfa, precor, Petreia, mane: non insequor hostis,
nimfa, mane; sic agna lupum, sic cerva leonem,
sic aquilam fugiunt penna trepidante columbe,
hostes queque suos.
Et quemadmodum Phebo hec carmina parum profuere, sic michi eadem verba apud fugientem nichil momenti, nulliusque valoris fuerunt. Chi vedesse le nostre lettere, honorando compare, et vedesse le diversità di quelle, si maraviglierebbe assai, perché gli parrebbe hora che noi fussimo huomini gravi, tutti vòlti a cose grandi, et che ne' petti nostri non potesse cascare alcuno pensiere che non havesse in sé honestà et grandezza. Però dipoi, voltando carta, gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, inconstanti, lascivi, vòlti a cose vane. Questo modo di proccedere, se a qualcuno pare sia vituperoso, a me pare laudabile, perché noi imitiamo la natura, che è varia; et chi imita quella non può essere ripreso. Et benché questa varietà noi la solessimo fare in più lettere, io la voglio fare questa volta in una, come vedrete, se leggerete l'altra faccia. Spurgatevi.
Pagolo vostro è suto qui con il Magnifico, et intra qualche ragionamento ha havuto meco delle speranze sue, mi ha detto come sua Signoria gli ha promesso farlo governatore di una di quelle terre, delle quali prende hora la signoria. Et havendo io inteso, non da Pagolo, ma da una commune voce, che egli diventa signore di Parma, Piacenza, Modana et Reggio, mi pare che questa signoria fosse bella et forte, et da poterla in ogni evento tenere, quando nel principio la fosse governata bene. Et a volerla governare bene, bisogna intendere bene la qualità del subbiecto. Questi stati nuovi, occupati da un signore nuovo, hanno, volendosi mantenere, infinite difficultà. Et se si truova difficultà in mantenere quelli che sono consueti ad essere tutti un corpo, come, verbigrazia, sarebbe il ducato di Ferrara, assai più difficultà si truova a mantenere quelli che sono di nuovo composti di diverse membra, come sarebbe questo del signore Giuliano, perché una parte di esso è membro di Milano, un'altra di Ferrara. Debbe pertanto chi ne diventa principe pensare di farne un medesimo corpo, et avvezzarli a riconoscere uno il più presto può. Il che si può fare in due modi: o con il fermarvisi personalmente, o con preporvi un suo luogotenente che comandi a tutti, acciò che quelli sudditi, eziam di diverse terre, et distratti in varie oppenioni, comincino a riguardare un solo, et conoscerlo per principe. Et quando sua Signoria, volendo stare per ancora a Roma, vi preponesse uno che conoscesse bene la natura delle cose et le condizioni de' luoghi, farebbe un gran fondamento a questo suo stato nuovo. Ma se e' mette in ogni terra il suo capo, et sua Signoria non vi stia, si starà sempre quello stato disunito, senza sua riputazione, et senza potere portare al principe riverenza o timore. Il duca Valentino, l'opere del quale io imiterei sempre quando io fossi principe nuovo, conosciuta questa necessità, fece messer Rimirro presidente in Romagna; la quale deliberazione fece quelli popoli uniti, timorosi dell'autorità sua, affectionati alla sua potenza, confidenti di quella; et tutto lo amore gli portavono, che era grande, considerata la novità sua, naccque da questa deliberazione. Io credo che questa cosa si potesse facilmente persuadere, perché è vera; et quando e' toccasse a Pagolo vostro, sarebbe questo un grado da farsi conoscere non solo al signore Magnifico, ma a tutta Italia; et con utile et honore di sua Signoria, potrebbe dare riputazione a sé, a voi et alla casa sua. Io ne parlai seco; piaccqueli, et penserà d'aiutarsene. Mi è parso scriverne a voi, acciò sappiate i ragionamenti nostri, et possiate, dove bisognasse, lastricare la via a questa cosa.
Et nel cadere el superbo ghiottone,
e' non dimenticò però Macone.
Donato nostro vi si ricorda.
Addì 31 di Gennaio 1514.
Niccolò Machiavegli in Firenze
Firenze, 18 agosto 1515
Domino Giovanni di Francesco Vernacci in Pera.
Carissimo Giovanni. Se io non ti ho scritto per lo addietro, non voglio che tu ne accusi né me, né altri, ma solamente i tempi, i quali sono stati et sono di sorte che mi hanno fatto sdimenticare di me medeximo. Non resta però per questo, che in fatto io mi sia sdimenticato di te, perché sempre ti harò in luogo di figliuolo, et me et le cose mie fieno sempre a' tuoi piaceri. Attendi a stare sano, et fare bene, perché dal ben tuo non può nascere se non bene a qualunque ti vuol bene.
Addì xviii d'Agosto 1515.
Niccolò Machiavelli in Firenze
Firenze, 19 novembre 1515
Domino Giovanni di Francesco Vernacci in Pera.
Carissimo Giovanni. Io ti ho scritto da 4 mesi in qua 2 volte, et duolmi che tu non le habbi haute, perché penso che tu creda che io non ti scriva per essermi sdimenticato di te. Il che non è punto vero, perché la fortuna non mi ha lasciato altro che i parenti et gli amici, et io ne fo capitale, et maxime di quelli che più mi attengono, come sei tu, dal quale io spero, quando la fortuna ti inviasse a qualche faccenda honorevole, che tu renderesti il cambio a' miei figliuoli de' portamenti miei verso di te.
Di Firenze, addì 19 di Novembre 1515.
Niccolò Machiavelli in Firenze
Firenze, 15 febbraio 1516
Domino Giovanni di Francesco Vernacci in Pera.
Carissimo Giovanni. Tu non mi scrivi mai di non havere haute mia lettere, che tu non mi dia d'un coltello; perché da uno anno in qua io ti ho scripto sei volte, et dato lettere alla Marietta che le mandi ad Alberto. Lei dice haverle mandate: tu di' non le havere haute, di che io ho dispiacere: donde che l'ultima ti scripsi dua mesi sono, te la mandai per Bartolomeo Federichi, che mi disse haverla data ad uno che veniva costà.
Io ho inteso per più tua e tuoi travagli: ringratio Idio, che li hanno posato in modo che tu rimani vivo, et non doverrai anchora rimanere in trista opinione. Et se la morte di coloro ti ha tolto qualche adviamento, lo esserti portato bene te lo doverrà rendere; sì che non perdere l'animo et sta' di buona voglia.
Quanto ad me, io sono diventato inutile ad me, a' parenti et alli amici, perché ha voluto così la mia dolorosa sorte. Et non ho, o, a dire meglo, non mi è rimaso altro di buono sed non la sanità ad me et ad tucti e mia. Vo temporeggiando per essere ad tempo a potere piglare la buona fortuna, quando la venissi, et, quando la non venga, havere patienza. Et qualunque mi sia, sempre ti harò in quello luogo che io ti ho hauto infino ad qui. Sono tuo. Christo ti guardi.
A dì 15 di Febbraio 1515.
Niccolò Machiavegli in Firenze
Livorno, 10 ottobre 1516
Magnifico viro Paolo Vectorio triremium pontificarum capitaneo dignissimo.
Magnifice vir. Siamo arrivati qui in Livorno questo dì ad hore 16: il che vi facciamo intendere per Antonio servitore di vostra S.ria acciò sappiate di nostro essere, et se avanti lo arrivare nostro qui vi occorressi cosa alcuna che noi facessimo, ce lo possiate significare. Delle galee del pascià non si intende cosa alcuna. Vincentio vostro l'habbiamo condotto qui, con due terzane; et benché li sia uscito una libbra di sanguine dal naso, non di meno le febbri non cessano: se poco allegeriscano, credo sarebbe bene metterlo in un paro di ceste, mentre che la notte è meno gagliarda, et condurlo costì. Sì che havendo a differire il venirci, advisate quello ne parrà a vostra S.ria alla quale tutti ci raccomandiamo caldamente.
A' dì x di Ottobre 1516.
Niccolò Maclavegli in Livorno
S. Andrea in Percussina, 8 giugno 1517
Domino Giovanni di Francesco Vernacci in Pera.
Carissimo Giovanni. Come altra volta t'ho scripto, io non voglo che tu ti maravigli se io non ti scrivo, o se io sono stato pigro ad risponderti, perché questo non nasce perché io ti habbia sdimenticato et che io non ti stimi come io soglo, perché io ti stimo più; perché degli huomini si fa stima quanto e' vaglono, et havendo tu facto pruova d'huomo dabene et di valente, conviene che io ti ami più che io non solevo, et habbine, non che altro, vanagloria, havendoti io allevato, et essendo la casa mia principio di quello bene che tu hai et che tu se' per havere. Ma sendomi io riducto a stare in villa per le adversità che io ho haute et ho, sto qualche volta uno mese che io non mi ricordo di me; sì che se io strachuro el risponderti, non è maravigla.
Io ho haute tucte le tua lettere; et piacemi intendere che tu habbi facto et facci bene, né potrei haverne maggiore piacere. Et quando tu sarai expedito et che tu torni, la casa mia sarà senpre al tuo piacere, come è stata per il passato, anchora che povera et sgratiata.
Bernardo et Lodovico si fanno huomini, et spero dare alla tornata tua ricapito ad qualche uno di loro per tuo mezo.
La Marietta et tucta la brigata sta bene. Et vorrebbe la Marietta le portassi alla tua tornata una peza di ciambellotto tané, et agora da dommasco, grosse et sottile. Et dice che l'ànno ad rilucere, ché quelle che tu mandasti altra volta non furno buone. Cristo ti guardi.
A dì 8 di Gugno 1517.
Niccolò Machiavegli in villa
Pera, 26 ottobre 1517
Spectabili viro domino Nicholò Machiavelli.
In Firenze.
† Jesus. Addì xxvi d'Ottobre 1517.
Honorando in luogho di charisimo padre, dopo le debite rachomandazioni, salute infinite etc. Al pasato abastanzza; et dipoi non tengho vostra, che per la ghrazia d'Iddio et de' mia buon' portamentti, e' fa più d'uno anno che di vostro non n'ò aùto uno versso, che veramentte mi dispiace, perché posso giudichare di me più non havete richordo chome di charo nipote, di che ne sto di mala voglia. Ma da altra banda la fede assai che tengho in voi, più ch'un buon figlio al padre, quella mi fa isperare che·sse voi havete persso la penna e 'l foglio allo ischrivermi, non abiate persso l'amore che tantto tenpo m'havete portato, non da vostro nipote, e anzzi da charo et buon figliuolo. Che a Dio piaca che chosì sia, e dipoi mi chonceda ghrazia che voi mi vicitiate con dua verssi per darmi alquantto di chonsolazione, e quali atendo con ghrandissimo disiderio, per intendere di vostro buono essere et di tutta vostra brighata, che Iddio ne facia degni.
E' s'è mandato a questi gorni un pocho di chaviale chostì a Albertto Chanigiani, solo per richonoscere e parentti e li amici, che mi paiano avere perssi. Del quale chaviale vi se ne fa parte, ché s'è ordinato al detto Albertto ve ne mandi libre ventti; el quale acetterete et vi ghoderete per mio amore, in questa chuaresima. E non ghuardate a la qualità del debole presentte, anzzi l'acettate per atto di magore volonttà e generosità che io vorei mostrare versso di voi. Per aviso vi sia.
Al presentte la fo a l'usato, e sono di qua chon pocho utile; e bramo in brevità di tenpo venire sin costì, di che istimo sarà presto, che Iddio me ne chonceda ghrazia.
Io non so che altro mi vi dire, salvo che a voi per infinite voltte mi rachomando, e dipoi a la vostra M.a Marietta, a la quale non ischrivo, perché le faciate partte di questa chol darlle per mia partte infinite salute, et alssì al Berna et Lodovico e Ghuido e alli altri che per nome non sso; e quali tutti insieme chon voi Iddio senpre di mal ghuardi.
Tenuta sino addì j° di Novembre. Né altro achade, salvo richordarvi et pregarvi di nuovo che mi faciate 4 verssi, che n' arò piacere. Valete. Per vostro
Giovanni Vernaccia proprio in Pera
Firenze, 17 dicembre 1517
Spectabili viro Lodovico Alamanno maiori honorando.
Romae.
Honorando Lodovico mio. Io so che non bisogna che io duri molta faticha a mostrarvi quanto io ami Donato del Corno, et quanto io desideri fare cosa che li sia grata. Per questo so che non vi maraviglerete, se io v'affaticherò per suo amore, il che farò tanto più sanza rispecto quanto io credo con voi posserlo fare, et quanto anchora la causa è iusta, et quodammodo pia.
Donato detto, dopo la tornata de' signori Medici in Firenze circha un mese, mosso parte da la servitù haveva con el signore Juliano, parte da la sua buona natura, sanza essere richiesto portò al signore Iuliano cinquecento ducati d'oro, et li dixe che se ne servissi, et liene restituissi quando ne havessi commodità. Sono dipoi passati cinque anni, et, con tanta fortuna di decti signori, non ne è suto rimborsato; et trovandosi lui al presente in qualche bisogno, et intendendo anchora come ne' proximi dì simili creditori sono stati rimborsati de' loro crediti, ha preso animo di domandarli, et ne ha scripto a Domenico Boninsegni, et mandatogli la copia della cedula si truova di mano di Giuliano. Ma perché in uno huomo simile a Domenico, per la moltitudine delle occupationi, simili commissione soglono morire sanza havere da canto particulare favore, che le tenga vive, mi è parso piglare animo a scrivervene, et pregarvi non vi paia fatica di parlarne con Domenico, et insieme examinare del modo come simili danari si potessino fare vivi. Né v'increscha per mio amore mettere questa faccienda intra le altre vostre, perché, oltre allo essere pietosa et giusta, la non vi sarà inutile, et vi prego me ne rispondiate un verso.
Io ho letto ad questi dì Orlando Furioso dello Ariosto, et veramente el poema è bello tucto, et in di molti luoghi è mirabile. Se si truova costì, raccomandatemi ad lui, et ditegli che io mi dolgo solo che, havendo ricordato tanti poeti, che m'habbi lasciato indreto come un cazo, et ch'egli ha facto ad me quello in sul suo Orlando, che io non farò a lui in sul mio Asino.
So che vi trovate costì tucto el giorno insieme con Rev.mo de' Salviati, Philippo Nerli, Cosimo Rucellai, Christofano Carnesechi, et qualche volta Antonio Francesco delli Albizi, et adtendete ad fare buona cera, et vi ricordate poco di noi qui, poveri sgratiati, morti di gielo et di sonno. Pur, per parere vivi ci troviano qualche volta, Zanobi Buondelmonti, Amerigo Morelli, Batista della Palla et io, et ragioniano di quella gita di Fiandra con tanta efficacia, che ci pare essere in cammino, in modo che de' piaceri vi habbiano ad havere, li habbiano già consumati mezi; et per posserla fare più ordinatamente, disegnàno di farne un model piccolo, et andare in questo berlingaccio infino ad Vinegia, ma stiano in dubio se noi anticipiano et giriano di costi, o se pure vi aspettiano ad la tornata, et andianne poi per la ritta. Vorrei pertanto vi restringessi con Cosimo, et ci scrivessi che fussi meglio fare. Sono a' piaceri vostri. Christo vi guardi.
Raccomandatemi ad messer Piero Ardinghegli, che m'ero sdimenticato dirvelo. Iterum valete omnes.
Die 17 Decembris 1517.
E. V. amicitiae humanitatisque.
Servitor Niccolò Machiavelli
Firenze, 5 gennaio 1518
Domino Giovanni di Francesco Vernacci in Pera.
Carissimo Giovanni. Io mi maraviglio che tu mi dica per l'ultima tua non havere hauto mie lettere; perché 4 mesi sono ti scripsi et ti feci scrivere ad Lodovico et Bernardo che ti chiesono non so che favole; et dectonsi le lettere ad Alberto Canigiani.
Come io ti dixi per quella, se l'havessi hauta, tu non ti hai da maraviglare se io ti ho scripto di rado, perché poi tu ti partisti, io ho havuto infiniti travagli, et di qualità che mi hanno condotto in termine che io posso fare poco bene ad altri, et mancho ad me. Pur non di meno, come per quella ti dixi, la casa et ciò che mi resta è al tuo piacere, perché, fuori de' miei figluoli, io non ho huomo che io stimi quanto te.
Io credo che le cose tue sieno miglorate assai in questa stanza che tu hai facta costì; et quando le si trovassino nel termine ho inteso, io ti consiglerei ad piglare donna, et ad piglare una per la quale tu adcresceresti el parentado meco: et è bella et ha buona dota, et è da bene. Perhò vorrei che, havendo ad soprastare costì, o tu mi scrivessi o tu me lo facessi dire ad Alberto Canigiani, che opinione è la tua; et havendo animo da torne, mi alluminassi in qualche modo dello essere tuo.
Noi siano sani et raccomandianci tucti ad te. Christo ti guardi.
A dì 5 di Giennaio 1517.
Niccolò Machiavegli in Firenze
Firenze, 25 gennaio 1518
Domino Giovanni di Francesco Vernacci in Pera.
Carissimo Giovanni. Forse 20 dì fa ti scripsi dua lettere d'uno medesimo tenore, et le detti a dua persone ad ciò ne havessi almeno una: dipoi ho la tua tenuta a dì 4 di novembre. Et duolmi infino ad l'anima che tu non habbi haute mie lettere, perché sei mesi sono ti scripsi et feciti scrivere una lettera per ciaschuno ad questi fanciulli; et ad ciò che tu ne possa havere qualcuna, farò anche una copia di questa.
Come per più mia ti ho detto, la sorte, poi che tu partisti, mi ha facto el peggio ha possuto; dimodoché io sono ridotto in termine da potere fare poco bene ad me, et meno ad altri. Et se io sono straccurato nel risponderti, io sono diventato così innell'altre cose: pure, come io mi sia, et io et la casa siamo ad tuo piacere, come sono stato sempre.
Gran mercé d'il caviale. Et la Marietta dice che alla tornata tua li porti una pezza di giambellotto tané.
Per altra ti scripsi, che quando le cose tue fussin miglorate, innel modo che io intendo et che io mi persuado, io ti conforterei ad pigliare donna; et quando ti volgessi ad quello, ci è al presente qualche cosa per le mani che tu non potresti fare meglio; sì che io harei caro che sopra questa parte mi rispondessi qualche cosa.
Noi stiamo tucti sani, et io son tuo.
Addì 25 di Gennaio 1517.
Tuo Niccolò Machiavegli in Firenze
Firenze, 15 aprile 1518
Domino Nicholò Machiavegli, in Gienova.
Jhesus, a dì xv d'aprile 1518.
Carissimo Nicholò. Oggi ò la tua, et circha alla chosa di Davit io mi dubito nonn-aver fatto choffo in benefico suo et delle chose sua; et per questo anche non mancherò. Idio ne lasci poi seguire el meglio, e voi ne seguirete quel tanto vi diranno e sua prochuratori.
Avesti del Zelvagho ducati xxv, e debitore ne siate.
Sono stato chon messere e mostrogli el vostro ischritto. Lui è in su Dioschorido e va vivendo alla giornata da valente uomo.
El Chasano vi piace, et anche a·nnoi. È uomo di facende, da buon frate e ottimo secholare, per modo gira la sua mazza per far frutto a ongni qualità di persone e chol buono esenpro. Rachomandatemi a·llui.
Dèttesi la lettera al Mazzingho e l'altre a' rede degli Ugholini.
Rachomandatemi agli amici et andate a vedere quel Simone della Mandorla, quando v'avanzi tenpo. E vostro sono. A Dio.
Francesco de [ ... ] in Firenze
Firenze, 9 ottobre 1519.
Domino Giovanni di Francesco Vernacci. In Pera.
Carissimo Giovanni. Io non ti ho scritto piú mesi sono, perché scrivendo tu per ogni tua lettera di partire, io aspettavo la tornata tua. Ora, veduto che tu non torni, io non voglio mancare di scriverti e dirti come egli è necessario che se alla ricevuta di questa tu non se' partito, che tu parta subito e lasci ogn'altra cosa indreto, perché, oltre al piato che ti ha mosso Piero Venturi, come tu a questa ora debbi avere inteso, egli è occorso che Alberto Canigiani è morto. El quale dua mesi sono andò a Napoli e arrivato là a di 16 del mese passato, ammalò subito et a dì dua del presente morì, et ieri ne fu qui l'avviso. Ora, sendo lui morto, e non avendo piú qui né chi procuri né chi faccia tua faccende, né chi risponda cosa alcuna, è necessario che tu torni e ti mostri una volta a questi che hanno fatto faccende teco e che tu vegga in viso le cose tua e le ordini: altrimenti te ne seguiterebbe danno e vergogna. Siché torna. Che Idio ti conduca. Vale.
A dì 9 di ottobre 1519.
Tuo Niccolò Machiavegli in Firenze.
Firenze, 15 aprile 1520
Domino Giovanni di Francesco Vernacci in Pera.
† Al nome di Dio. Adì 15 d'Aprile 1520.
Carissimo etc. Poi che io ti scrissi della morte d'Alberto Chanigiani, io non ho tuo lettere, et anchora io non t'ho ischritto, perché credevo che tu tornassi ognora, ma vegiendo che tu non se' tornato, io mi sono mosso a schriverti questi pochi versi per pagare el mio debito verso di te, vegiendo come qua le tuo cose rovinano. Tu sai come Piero Venturi si richiamò di te, donde che tu fusti forzato a rimettere quagiù e suo resti, talmente che te ne resulta un danno di 60 fiorini, sechondo che mi dice Piero Chorsali. Oltr'a di questo si vuole richiamar di te Giovan Luigi Ari-getti, Giorgio Bartoli et molti altri; i quali tutti ti aranno la sentenza contro, per non c'essere chi possa né chi sappia risponder loro. Io per me non ci sono buono, perché ti farei danno e no utile, rispetto alle chonditione ch'i' mi trovo. Gli tuoi zii et i tuo chugini di padre non ànno voluto parlare, non ch'altro, a uno de' Sei; degli amici non ci ai alchuno che possa pigliare questa briga; in modo che se tu non torni, tu perderai di qua la roba e l'onore. Piero Chorsali se n'è ischusato mecho, et mi dice avertelo iscritto. Per tanto, Giovanni mio, pensa molto bene qual'è o più o quanto; perché se tu istai anchora uno anno di chostà, tu perderai di qua ogni chosa, et resterai in preda di questi che t'ànno chommesso. I' te lo ischrivo per fare mie debito, et perché tu non possa dire che non ti sie stato ischritto. Cristho ti guardi.
Tuo Nicholò Machiavegli in Firenze
Roma, 26 aprile 1520
Spectabili viro Niccolò Machiavelli suo honorandissimo.
In Firenze.
Io non ho prima risposto alla vostra de' xvii del passato per non vi havere havuto che dire di nuovo. Sono da parechi giorni in qua, ne' quali sono stato in modo impedito da fredo et chatarro, che io non ho potuto fare di me cosa alchuna non che scrivere. Havete a intendere che in uno partito ho pratichato col papa, gli ho offerto di sopra-più li 500 ducati da pagarsi a Donato, dicendogli intorno acciò uno mondo di parole che chorrevano, mosso dal rispecto che ho allo honore di sua S.tà et della buona memoria di Giuliano et di tutta la casa, come loro buono servitore. Mi ha risposto che io dicevo il vero, et per sapere apunto che cosa e' la è, haveva digià dato ordine che fussi pagato, et che così sarebbe sanza mancho. Et volendogli io dimandare in che modo habbia dato questo ordine, accò che quella parte che havete disegnato che ve ne tocchi non vi manchassi, mi tirò dua volte tanto dischosto con le parole, fra dimandarmi et dirmi, che non mi fu posibile ranestarla, ma penso che questi 500 ducati che io ho offerto di pagare a Donato e' non gli habbia disegnati di mettergli di soprapiù a una somma che debbo pagare per suo conto, che gli viene molto a proposito; per il che, quando ne vereno alle strette, che spero fia fra tre giorni, mi troverrà sinistrare et sforzeromi di toccare fondo in che modo egli habbia dato questo ordine che Donato sia pagato. Et se io non potrò fare altro, piglierò commissione da sua S.tà a quelli tali a chi io intenderò che sia dato l'ordine di pagare, che lo expedischino con presteza et farano che sia de' primi pagati etc. Et voi dall'altro canto fate intendere di nuovo se Raffaello de' Medici ha questa commissione, come mi scrivesti già, et havisatemene subito, accò che, se pure recuserà che io gli pagi io, come ha cominciato, havendo più notitia della cosa, possa meglio operare per il desiderio nostro; ma come vi dico, scrivete subito, perché non attendo a altro che alla mia expeditione, per venire fra brevi giorni fino costì.
De' casi della compagnia nostra habbiamo da sperare grandemente, come da Zanobi in parte intenderete, ché gnene ho scripto, et apieno allo arivare mio a boccha.
Io ho parllato de' casi vostri partichularmente al Papa, et in verità, per quanto aparisce, lo ho trovato optimamente disposto verso di voi, talmente che io fui tutto tentato, quando parllai del caso di Donato, di dirgli la parte che ve ne doveva pervenire, confidando che per questo rispecto lo havessi havuto a fare molto più volentieri; pure, me la tacqui. Ho preso commissione di dire al cardinale de' Medici da parte di sua Santità, come io sarò costì, che gli fia molto grato che horamai la buona volontà, che ha sua Signoria Rev.ma di farvi piacere, habbia effecto: et credo dirlielo con tale efficacia et essermi in modo creduto, che non sarà stato invano; et questo è intorno a farvi dare una provisione per scrivere o altro, come s'è ragionato più dì fa, del che parllai distesamente al Papa, et in su questo presi la soprascripta commissione; e ho parllato anchora di voi con sua Santità circa al caso della compagnia nostra, dicendogli come noi confidiàno di valerci asai dello ingegno et del iudicio vostro etc. Inoltre ho parllato della vostra commedia, dicendogli come la è in ordine, imparata in tuto da' sua recitatori, et che io penso l'abbia asai a dilectare etc. Hovi da dire questo, buono per voi et per qualche cosa, che caschuno buono stima molto più che qualche cosa si fussi condocto a Roma per le mani mia, ma non havendo havuto facultà di giovare, mi sono fatto conscientia di arisichare di nuocere, benché fino a qui, delle volte da quatro in su, mi sia stato dato occasione per la benignità del patrone di parllare etc.
A S.ta Maria in Porticu feci la imbaciata del suo Calandro, et vostro Messer Nicea: risponde cortigianerie, chome gli è usato. Ringratiai Salviati della lettera: adirasi che voi usiate seco cerimonie. Al Charnesecho feci la imbasciata de' pali: non so se per essere prete se ne volessi servire lui di qualchuno, ma sarebbono troppo teneri di 10 anni. Sono tutto vostro. Dio vi guardi.
In Roma, a dì 26 d'Aprile 1520.
B. d. P.
Firenze, 30 luglio 1520
Domino Nicholò di Messer Bernardo Machiavegli.
In Lucha.
† Jhesus. Addì 30 di Luglio 1520.
Carissimo patre, salute, rachomandatione etc. Questa per dirvi chome noi siàno sani, et chosì isperiamo di voi.
Noi non v'abbiàno ischritto prima, perché 'l tenpo non n'à lacciato fare le cholte. El vino che voi ci mandasti a dire che noi vendessimo, noi l'abbiamo allochato a rendere vino per vino.
La Madalena à fatto una banbina, e àgli posto nome Oretta. La vi manda cento salute. Mona Marietta vi richorda che voi torniate presto, et che voi gl'arechate qualche chosa. E chosì io e Lodovicho e gli altri di chasa.
Altro non achade dirvi. Christo di male vi guardi. Fatta in fretta, allume di lucerna. Io avo una péna che non mi rendeva.
Vostro Bernardo Machiavegli in Firenze
Firenze, 1 agosto 1520
Spectabili viro Niccolò Machiavelli come fratello carissimo in Lucca.
A Lucca.
Carissimo Niccolò. Io ho una vostra, la quale, la prima cosa, dice le bugie; perché dite d'essere breve, et poi è dua facce piene di scripto da banda a banda.
La causa perché non s'è prima risposto, ne è suto causa, perché la lettera mi trovò fuori di questa terra; et venni con la donna di Lorenzo sino presso a Lucca a tre migla, con animo di venirvi afrontare; poi pensai, quando ero al Bagno, che, a volere tornare da Lucca, per fare ritorno a Firenze, si rallungava la via ben sedici migla, che fanno più di 20 per ritorno; tanto che io giudicai che non fussi da comportare tanto disagio la vostra presentia. Tornato qui, trovai la vostra lettera con la inclusa al Sibilia; et perché com'è detto, ci soprastette per la absentia mia, gli parrà propio haverla havuta per staffetta. Con Zanobi communicai la vostra, et ne facemo quel iudicio che delle cose vostre si fa sempre, per arrecarvi voi queste cose in cazzelleria. Eravamo lui et io in animo questo giorno rispondervi a comune; ma lui ha havuto figliuolo maschio, e per questo io non li ho voluto dare noia. Potrete voi, nello scrivere in qua, rallegrarvene seco, perché lui ne ha preso piacere singulare; perché tanti più ci nasce maschi, tanti più provigionati hareno contro al Turco. Voi non pensate a queste cose; le 'mportono più che voi non credete: ricordatelo, et advertitene cotesti signori Lucchesi, che attendino a chiavare assai, per fare fanterie, che saranno loro a proposito quanto e fossi e' torrioni.
Con Gherardo ho riscorso tutto quello ne dite. Io stimo che questa vostra stanzia di costà habia a essere l'ultimo vostro tuffo. Voi sapete quanto poca gratia voi havevi; et hora che si è rimasto a' concorrenti et rivali libero il campo, io lascio giudicarlo a voi. E vorrete a otta rimediarvi, ch'e rimedi fieno più scarsi che 'l fistolo. Andate, andate.
Co' poeti et con le muse si parlò della lingua molto a lungho: a questo s'è pensato, per rassettarvi il gusto come voi tornate, di darvi qualche buono preceptore. Erasi pensato al Sernigi; ma poi che lui non c'è, fanno pensiero che usiate a vostro ritorno con Gualtieri Panciatichi; e per vostra letione usiate ogni giorno leggere dua volte la sua epistola dell'entrata del pontefice in patria. Et così pensono havervi a rassettare l'orecchie.
Filippo, Giovanni, il Guidetto e questi amici di meriggio tutti si raccomandono a voi, e per loro parte non altro a dirvi. È vero che G.mo desiderrebe che voi lo raccomandassi a cotesto contadino, che voi dite che a voi di costà fu di tanto conforto, posto che a lui fussi di danno; et fu tanto liberale che mi commisse vi scrivessi che donerebbe cento ducati a chi lo dessi in mano a uno de' rettori di questa Signoria. Quando questo vi paressi partito honorevole et che facessi per voi, in voi sta la eletione del prenderlo.
Voi harete inteso come Francesco Vettori è ito a San Leo e Montefeltro, a piglare il possesso per questa Signoria di quelle provincie.
Voi vi date a 'ntendere che qua si badi a baie. Noi vi parremo, a vostro ritorno, più belli che mai.
Ricordovi come, a vostro ritorno, io ho procacciatovi uno alloggiamento a Pistoia, perché non vi fia Ruberto, che oggi ha finato in quella terra la sua dittatura. Quando sarete alla porta, do-mandate della casa del Zinzi, e, se lo volete appellare per nome propio, di Bastiano di Possente. Sarete ricevuto da lui, per amore della Riccia e mio, e per le vostre buone qualità, molto amorevolmente. Non li manchate.
Donato del Corno si duole molto di voi; et dubito, quando tornerete, che io harò a essere tra voi albitro, a ogni modo, ch'i' so quel ch'i' mi so, e sento quel ch'i' mi senta, et lui fa quel che si faccia, ella va mal quant'ella può.
Truovo, in questo che io sono stato fuori, che si può un po' con più licentia, chi è proposto a' magistrati, così fuori come drento, fare qualcosetta di suo mano; truovo che le donne possono con più licentia essere puttane; volendo così, chi volessi d'huomini o leggere il Troiano o attendere ad altro, farlo anche più; chi volessi non credere, o portare più un abito che un altro straordinario, e sic de singulis, con più sicurtà fare tutto; perché Dio ha tirato a sé Piero delli Alberti, che se ne andò in Santa Croce, con tanta acqua, che parve bene che volessi dare il suo resto, così morto, dando tanto disagio a chi l'accompagnò; che fu la vigilia di S. Jacopo. E' non mi occorre altro per ora, che raccomandarmi a voi. Non più. Vale.
Di Firenze, addì primo d'Agosto 1520.
Vostro Filippo de' Nerli
Firenze, 6 settembre 1520
Al molto da me honorando compare Nicolò Machiavegli segretario.
In Lucha.
Honorando compare mio. Noi ricevemo la vostra de' xxviiii del passato insieme con la Vita di Castruccio Castracani composta da voi; la quale, et per essere cosa buona, et per conoscere anche che voi vi ricordate in ogni luogo degli amici vostri, ci è stata tanto chara del mondo. Leggemola et consideramola così un poco insieme, Luigi, il Guidetto, il Diaccetino, Antonfrancesco et io; et generalmente ci risolvemo fussi cosa buona et ben detta. Notòsi bene certi luoghi i quali, se bene stanno bene, si potrebbono non di meno migliorare; come è quella parte ultima de' ditterii et de' tratti ingegnosi et acuti detti del detto Castrucci, la quale non tornerebbe se non meglio più breve, perché, oltre all'essere troppi quegli suoi detti o sali, ve ne è una parte che è da altri et antichi et moderni savi atribuita; una altra non ha quella vivacità né quella grandeza che si richiederebbe a un tanto huomo. Ma ve ne resta tanti buoni che si possono di lui adurre, che la sua vita ne resta richa assai. L'altre annotationi sono più tosto circha alle parole che circha all'atre parte: delle quali tutte cose ci riserbereno a parlare a bocha con più piacere assai. Halla veduta et letta Jacopo Nardi et Batista della Palla, il quale è qui et sta bene et desidera assai la presentia vostra, et lodanla asai. Pierfrancesco Portinari et Alexandro anchora, con i quali ero alla villa quando mi fu portata, l'hanno commendata generalmente: in quello che ciascuno si fermava o dubitava, et circha alla lin-gua et circha a l'historia, et alla explicatione de' sensi et concetti vostri, come ho detto, vi se ne parlerà a bocha.
Pare a tutti che voi vi dobbiate mettere con ogni diligentia a scrivere questa hystoria; et io sopra gli altri la desidero, perché, se bene non intendo quanto ciascuno de' preallegati, né ne so rendere quelle ragione che si converrebbe, sento che questo vostro modello di storia mi diletta, non altrimenti che si faccino quelle cose dagli huomini di buon giuditio sono tenute buone. Et sopra ogni cosa mi pare che vagliate in quella horatione. Credo che sia perché vi alzate più con lo stilo che non fate altrove, come la materia anche richiede. Non ho che dirvi altro circha a questa parte per lettera, perché l'è di troppo lungo. Né d'altro anchora ho che vi scrivere, se non pregando sollecitare el partire di costì et tornarvene da noi vostri amici; i quali vi desideriàno assai per l'ordinario, et tanto più quanto per la venuta di Batista c'è necessario parlare con voi di quella nostra fantasia che sapete: però fate che dal canto vostro non resti di exaudirci, ogni volta che costì o all'utile o a l'honore, delle quali due cose vi desiderremo riempiere col nostro, non vi importi. Ad voi sempre ci rachomandiano. Valete.
A dì vi di Settembre 1520 in Firenze.
Vostro compare Zanobi Buondelmonti
Post scritta. Ho inteso come di qua vi si manda a dire che a vostra posta torniate, di che ho piacere.
Firenze, 10 settembre-7 novembre 1520
Honorando cognato Francisco del Nero.
Spectabilis vir. La substanza della condocta sia questa.
Sia condocto per anni ecc. con salario ogni anno ecc. con obligo che debba et sia tenuto scrivere gli annali o vero le historie delle cose facte da lo stato et città di Firenze, da quello tempo gli parrà più conveniente, et in quella lingua o latina o toscana che a lui parrà.
Nic. Machiavelli
Roma, 17 novembre 1520
Spettabili viro Niccolò di messer Bernardo Machiavelli.
In Firenze.
Niccolò mio honorando etc. Da poi che io parti' non v'ò scripto, ché non mi è occorso. La Vita di Castruccio, che io l'havessi non ne fu altro; e del libro De re militari, ut supra. Sappiate che io legho la sera a m.a Lucretia Justino et Quinto Curtio De rebus gestis Alexandri. Èstato un nuovo pesce che gl'ha dato un trattato della vita d'Alexandro, et benché io non l'habia lecto, e' non mi piace: lei mi richiese che io ve lo mandassi, perché voi lo rassettassi con aggiugnervi di certa parte delle cose sua, come vi paressi. Ora io non l'ho facto né detto di fare, ma ho facto berto, dicendo: -Vedremo, - con animo di scrivervene prima, per vedere se voi havessi il capo a questa opera; et quando mi rispondiate di sì, ve lo manderò et dirò a lei d'haverlo facto, benché credo sarebe meglio discorrere, secondo Plutarcho, della vita d'Alexandro quello ne saprete, più tosto che vedere altro scripto di questo animale. Farò quanto mi adviserete et, come ho detto, per insino che voi non mi rispondete di contentarvene, non dirò mai di haverne scripto; voglo più tosto essere io negligente che voi habiate a negarlo, non volendo voi durare questa fatica; però me ne rispondete per il primo.
A Zanobi Buondelmonti dite che io mi racomando a lui, et che si ricordi della promessa del venire. Io gli scrissi vie l'altro dì, avanti che io andassi in corte, dove sono stato da dieci giorni tra Corneto et Montalto, et per la via. Il tinore dello scriverli mio fu circa il libro De re militari, che per l'havermi lui detto di mandarlo, mi farà tenere bugiardo a Mons.re rev.mo, se·nnon lo manda; sì che tra voi e lui fate non mi manchi.
A Donato del Corno et tutta la sua loggia che gl'ha la sera in bottega, ancora infinite volte mi raccomanderete, et tutti per mia parte salutate; e per ora non dirò altro. A voi infinitamente et strabocchevolmente mi offero etc.
Di Roma, addì xvii di Novembre 1520.
Filippo de' Nerli
Firenze, 15 febbraio 1521
Carissimo Giovanni, io sono un poco pigro a rispondere a le tue lettere, perché tu mi scrivi ogni volta: io partirò fra uno mese. Hora, veggendo che tu non torni, io ti scriverrò quello che ac-cade. Io hebbi le tue lettere con la procura. Et volendo permutare il monte, acciò che tu ne havessi le paghe intere, io non potetti, perché la procura che tu mi mandasti, ad questo facto del monte non serviva. Pertanto io ti mando una forma di procura come la debbe stare; fa di farla. Et io allora farò la permuta del monte secondo che tu mi scrivi.
Delle cose di mona Vaggia, quel che io so che ti tochi, è questo: 266 fiorini di 7 per cento larghi 63 fiorini et ⅓. Che sono depositati in Badia ad tua stanza. E quali io vi ho lasciati stare, sperando che tu torni; quando tu non torni, io gli leverò et ne comperrò 7 per cento: restasi havere certi danari da i Tempi, et ad questi giorni se ne riscosse 36 ducati, che se ne paghò 32 ad certe fanti che per lascio di mona Vaggia gli havevono ad havere. Questi altri che si riscoteranno, si farà equale della parte tua. Sonvi anchora parechie masserizie, et la parte tua è in mano degli executori del testamento. Io m'ingegno tenere contento Piero Venturi, che pigli l'entrata del podere, anchora che brami che voglia essere pagato; et la entrata di questo anno io gli ho consegnata tucta da le vincigle in fuora.
Le 75 libbre del caviale vennono, pagai per quello lire 9 soldi 7; distribuissi come scrivesti.
Noi siamo tutti sani et ti aspectiamo; torna, per tua fé, il più presto che tu pòi. Christo ti guardi.
A dì 15 di febbraio 1520.
Niccolò Machiavegli in Firenze
Roma, 13 aprile 1521
Al mio carissimo Nicolò Machiavelli. Florentie.
Nicolò carissimo. Da poi non vi satisfece il partito di Ragugia, ricercandomi el signore Prospero d'uno huomo sufficiente da maneggiare le cose sue, conoscendo la fede vostra et suficientia, ve li proposi. Sodisfateli assai perché ha notitia di voi: hammi commesso ve ne ricerchi. La provisione sarà 200 ducati d'oro et le spese: pensatela, et satisfacendovi, vi conforterei, senza conferirlo, a essere prima là, che di costà si sapessi la partita; né altro migliore partito mi occorre al presente, il quale giudico molto meglio che stare costì a scrivere storie a fiorini di suggello. Bene valete.
Rome, die 13 Aprilis 1521.
Vester Petrus Soderinus
Pera, 8 maggio 1521
Spectabili viro domino Nicholò Machiavelli.
In Firenzze.
† Yehsus. Addì viri di Maggo 1521.
Honorando i·luogho di padre, rachomandazione e salute infinite, etc. Addì 4 di febraio 1520 fu mia ultima. Dipoi ò la vostra de' dì 15 di febraio vista chon piacere. Apresso risposta.
E' s'è inteso ricevesti la prochura, ma dite non à servito a e denari del Monte; e la forma in che modo bisognia detta procura, s'è ricevuta in detta vostra, e s'è fatto detta prochura formalmente chome n'ordinate, e per mano di nostro chancelliere; e vi si manda in questa, a cò posiate permutare detti denari di Monte in chi a voi piacerà, a chagione s'abia lo intero de le paglie; sì che fatene come di chosa vostra, che Iddio di ben mandi.
De lascio di mona Vaga dite mi tocha fiorini 266. 13. 4, denari 7 per cento larghi, e fiorini 63 1/2, che sono dipositati in Badia a mia istanza: e chosì dite si resta avere certi denari da' Tenpi, e non dite chuanti. E così intendo che certa mia parte è in mano de l'iseghutori del testamento: di che vorei che a l'auta di chesta faciate d'haver tutto, e chosì li denari che sono in Badia chome li altri, e ne fate chome se vostri fusino; che tuto terò per benisimo fatto. Chuanto a Piero Venturi, s'è inteso lo tenete chontento chol darlli l'entrata del podere; e dite aùto tutto, salvo le venciglie, che bene avete fatto: e anderete chosì facendo sino al mio ritorno. E a quell'ora ò speranza del tutto valermi.
El chaviale s'intese lo ricevesti: eseghuitene chuanto vi s'è ordinato, che sta benisimo. Per chuesta non achade dirvi altro, salvo che fra 15 giorni arò sentenzia fra 'l Biliotto e me, e de prima ne verrò al fermo, che Iddio me ne conceda ghrazia. E basta. A voi di chontinovo mi rachomando. Abiatemi per ischusato se so' brieve per chuesta, ché n'è chausa ò preso ieri una medicina che m'à sturbato. Iddio voi e noi di male sempre ghuardi.
Per vostro Giovanni di Francesco Vernacci in Pera
Modena, 17 maggio 1521
Al magnifico Messer Niccolò Marchiavelli nuntio florentino.
In Carpi.
Machiavello carissimo. Buon giuditio certo è stato quello de' nostri reverendi consoli dell'Arte della Lana havere commesso a voi la cura di eleggere un predicatore, non altrimenti che se a Pacchierotto, mentre viveva, fosse stato dato il carico o a ser Sano di trovare una bella et galante moglie a uno amico. Credo gli servirete secondo la expectazione che si ha di voi, et secondo che ricerca lo honore vostro, quale si oscurerebbe se in questa età vi dessi all'anima, perché, havendo sempre vivuto con contraria professione, sarebbe attribuito piutosto al rinbanbito che al buono. Vi ricordo che vi expediate il più presto che si può, perché nello stare molto costà correte duoi pericoli: l'uno, che quelli frati santi non vi attacchino dello ipocrito; l'altro, che quell'aria da Carpi non vi faccia diventare bugiardo, perché così è l'influxo suo, non solo in questa età, ma da molti secoli in qua. Et se per disgrazia fuste alloggiato in casa di qualche Carpigiano, sarebbe il caso vostro senza rimedio.
Se harete visitato quel vescovo governatore, harete visto una bella foggia di uomo, et da impararne mille bei colpi. A voi mi raccomando. Di Modona, addì 17 di maggio 1521.
Vostro Francesco Guicciardini
Carpi, 17 maggio 1521
Magnifico Domino Francisco de Guicciardinis J. V. doctori Mutinae Regiique gubernatori dignissimo suo plurimum honorando.
Magnifice vir, major observandissime. Io ero in sul cesso quando arrivò il vostro messo, et appunto pensavo alle stravaganze di questo mondo, et tutto ero volto a figurarmi un predicatore a mio modo per a Firenze, et fosse tale quale piacesse a me, perché in questo voglio essere caparbio come nelle altre oppinioni mie. Et perché io non mancai mai a quella repubblica, dove io ho possuto giovarle, che io non l'habbi fatto, se non con le opere, con le parole, se non con le parole, con i cenni, io non intendo mancarle anco in questo. Vero è che io so che io sono contrario, come in molte altre cose, all'oppinione di quelli cittadini: eglino vorrieno un predicatore che insegnasse loro la via del Paradiso, et io vorrei trovarne uno che insegnassi loro la via di andare a casa il diavolo; vorrebbono appresso che fosse huomo prudente, intero, reale, et io ne vorrei trovare uno più pazzo che il Ponzo, più versuto che fra Girolamo, più ippocrito che frate Alberto, perché mi parrebbe una bella cosa, et degna della bontà di questi tempi, che tutto quello che noi habbiamo sperimentato in molti frati, si esperimentasse in uno; perché io credo che questo sarebbe il vero modo ad andare in Paradiso: inparare la via dello Inferno per fuggirla. Vedendo, oltre di questo, quanto credito ha un tristo che sotto il mantello della religione si nasconda, si può fare sua coniectura facilmente, quanto ne harebbe un buono che andasse in verità et non in simulatione, pestando i fanghi di S. Francesco. Parendomi adunque la mia fantasia buona, io ho disegnato di torre il Rovaio, et penso, che se somiglia i fratelli et le sorelle, che sarà il caso. Harò caro che, scrivendomi altra volta, me ne diciate la oppinione vostra.
Io sto qui ozioso, perché io non posso esequire la commessione mia insino che non si fanno il generale et i diffinitori, et vo rigrumando in che modo io potessi mettere infra loro tanto scandolo che facessino, o qui o in altri luoghi, alle zoccolate; et se io non perdo il cervello, credo che mi habbia a riuscire; et credo che il consiglio et l'aiuto di vostra signoria gioverebbe assai. Pertanto, se voi venissi insin qua sotto nome di andarvi a spasso, non sarebbe male, o almanco scrivendo mi dessi qualche colpo da maestro; perché se voi ogni dì una volta mi manderete un fante a posta per questo conto, come voi havete fatto hoggi, voi farete più beni: l'uno, che voi mi alluminerete di qualche cosa a proposito; l'altro, che voi mi farete più stimare da questi di casa, veggendo spesseggiare gli avvisi. Et sovvi dire che alla venuta di questo balestriere con la lettera et con uno inchino sino in terra, et con il dire che era stato mandato a posta et in fretta, ognuno si rizzò con tante riverenze et tanti romori, che gli andò sottosopra ogni cosa, et fui domandato da parecchi delle nuove; et io, perché la riputatione crescesse, dissi che lo imperadore si aspettava a Trento, et che li Svizzeri haveano indette nuove diete, et che il re di Francia voleva andare ad abboccarsi con quel re, ma che questi suoi consiglieri ne lo sconsigliano; in modo che tutti stavano a bocca aperta et con la berretta in mano; et mentre che io scrivo ne ho un cerchio d'intorno, et veggendomi scrivere a lunga si maravigliano, et guàrdommi per spiritato; et io, per farli maravigliare più, sto alle volte fermo su la penna, et gonfio, et allhotta egli sbavigliano; che se sapessino quel che io vi scrivo, se ne maraviglierebbono più. Vostra Signoria sa che questi frati dicono, che quando uno è confermato in grazia, il diavolo non ha più potentia di tentarlo. Così io non ho paura che questi frati mi appicchino lo ippocrito, perché io credo essere assai ben confermato.
Quanto alle bugie de' Carpigiani io ne vorrò misura con tutti loro, perché è un pezzo che io mi dottorai di qualità che io non vorrei Francesco Martelli per ragazzo; perché, da un tempo in qua, io non dico mai quello che io credo, né credo mai quel che io dico, et se pure e' mi vien detto qualche volta il vero, io lo nascondo fra tante bugie, che è difficile a ritrovarlo.
A quel governatore io non parlai, perché, havendo trovato alloggiamento, mi pareva il parlarli superfluo. Bene è vero che stamani in chiesa io lo vagheggiai un pezzo, mentre che lui stava a guardare certe dipinture. Parvemi il caso suo bene foggiato, et da credere che rispondesse il tutto alla parte, et che fosse quello che paresse, et che la telda non farneticasse, in modo che se io havevo allato la vostra lettera, io facevo un bel tratto a pigliarne una secchiata. Pure non è rotto nulla, et aspetto domani da voi qualche consiglio sopra questi mia casi et che voi mandiate un di codesti balestrieri, ma che corra et arrivi qua tutto sudato, acciò che la brigata strabilii; et, così faccendo, mi farete honore, et anche parte cotesti balestrieri faranno un poco di esercizio, che per i cavalli in questi mezzi tempi è molto sano. Io vi scriverrei ancora qualche altra cosa, se io volessi affaticare la fantasia, ma io la voglio riserbare a domani più fresca che io posso. Raccomandomi alla Signoria Vostra, quae semper ut vult valeat
In Carpi, addì 17 di Maggio 1521.
Vester obs.mo Niccolò Machiavelli oratore a' Fra' Minori
Modena, 18 maggio 1521
Al magnifico M. Niccolò Marchiavelli nuntio fiorentino ecc.
In Carpi.
Non havendo, Machiavello carissimo, né tempo né cervello da consiglarvi, né anche sendo solito a fare tale officio sanza el ducato, non voglo mancarvi di aiuto acciò che almanco colla riputatione possiate conducere le vostre ardue imprese. Però vi mando a posta el presente balestriere, al quale ho imposto che vengha con somma celerità per essere cosa importantissima, in modo ne viene che la camicia non gli toccha le anche; né dubito che tra el correre et quello che si dirà per lui alli astanti si crederrà per tutti voi essere gran personaggio et el maneggio vostro di altro che di frati: et perché la qualità del piego grosso faccia fede a l'hoste, vi ho messo certi avisi venuti da Zurich, de' quali vi potrete valere o mostrandoli o tenendoli in mano, secondo che giudicherete più expediente.
Scripsi hieri a M. Gismondo voi essere persona rarissima; mi ha risposto pregando lo avisi in che consista questa vostra rarità: non mi è parso replicarli, perché stia più sospeso et habbia causa di observarvi tucto. Valetevi, mentre che è il tempo, di questa riputatione: non enim semper pauperes habebitis vobiscum. Avisate quando sarete expedito da quelli frati, tra' quali se mettessi la discordia o almanco lasciassi un seme che fussi per pullulare a qualche tempo, sarebbe la più egregia opera che mai facessi: né la stimo però molto difficile, attesa la ambitione et malignità loro. Avisatemi et, potendo, venite.
In Modona, a dì 18 di Maggio 1521.
Vester Franc. de Guicciardinis Gubernator
Modena, 18 maggio 1521
Al magnifico M. Niccolò Marchiavelli nuntio fiorentino.
In Carpi.
Machiavello carissimo. Quando io leggo e vostri titoli di oratore di Republica et di frati et considero con quanti Re, Duchi et Principi voi havete altre volte negociato, mi ricordo di Lysandro, a chi doppo tante vittorie et trophei fu dato la cura di distribuire la carne a quelli medesimi soldati a chi sì gloriosamente haveva comandato; et dico: Vedi che, mutati solum e visi delli huomini et e colori extrinseci, le cose medesime tutte ritornano; né vediamo accidente alcuno che a altri tempi non sia stato veduto. Ma el mutare nomi et figure alle cose fa che soli e prudenti le riconoschono: et però è buona et utile la hystoria, perché ti mecte innanzi et ti fa riconoscere et rivedere quello che mai non havevi conosciuto né veduto. Di che seguita un syllogismo fratescho: che molto è da comendare chi vi ha dato la cura di scrivere annali; et da exhortare voi che con diligentia exequiate lo officio commesso. A che credo non vi sarà al tucto inutile questa legatione, perché in cotesto ocio di tre dì havete succiata tucta la Repubblica de' Zoccholi et a qualche proposito vi varrete di quel modello, comparandolo o ragguaglandolo a qualchuna di quelle vostre forme.
Non mi è parso in beneficio vostro da perdere tempo o abbandonare la fortuna, mentre si mostra favorevole; però ho seguitato lo stile di spacciare el messo: il che se non servirà a altro, doverrà farvi becchare doman da sera davantaggio una torta. Vi ricordo nondimanco che M. Gismondo è captivo et uso alle chiachiere o, in lombardo, alle berte: però è da andare cautamente, acciò che di pastori non diventassimo aratori. Io li ho scripto con questa che non lo aviso della verità, perché mi confido alla perspicacia dello ingegno suo, et che vi habbia conosciuto: così starà sospeso, et se voi lo terrete in ambiguità col non dire de' vostri maggiori, concluderà che voi siate uno uccello; e tucto è da tollerare pure che e pasti seguitino allo ordine.
Del Rovaio non mi maraviglo perché credo, anzi l'ho compreso, non gli gustare il vostro vino; né io commendo la vostra electione, non mi parendo conforme né al iudicio vostro né a quello delli altri, et tanto più che, essendo voi sempre stato ut plurimum extravagante di opinione dalle commune et inventore di cose nuove et insolite, penso che quelli S.ri Consoli et ciaschuno che harà notitia della vostra commissione expectino che voi conduciate qualche frate di quelli, come dixe colui, che non si trovano. Pure è meglo risolvere et questa et la baia della separatione, che ri-tardare più la ritornata vostra in qua, dove con sommo desiderio siate expectato. A voi mi raccomando. Mutine,
18 Maii 1521.
Vester Franciscus de Guicciardinis Gubernator
264
Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
Carpi, 18 maggio 1521
Magnifico Domino Francisco de Guicciardinis etc.
Mutinae.
Io vi so dire che il fumo ne è ito sino al cielo, perché tra la anbascia dello apportatore et il fascio grande delle lettere, e' non è huomo in questa casa et in questa vicinanza che non spiriti; et per non parere ingrato a messer Gismondo, li mostrai que' capitoli de' Svizzeri et del re. Parvegli cosa grande: dissili della malattia di Cesare, et delli stati che voleva comperare in Francia, in modo che gli sbavigliava. Ma io credo, con tutto questo, che dubiti di non essere fatto fare, perché gli sta sopra di sé, né vede perché si habbia a scrivere sì lunghe bibbie in questi deserti di Arabia, et dove non è se non frati; né credo parerli quell'huomo raro che voi gli havete scritto, perché io mi sto qui in casa, o io dormo o io leggo o io mi sto cheto; tale che io credo che si avvegga che voi vogliate la baia di me et di lui. Pure e' va tastando, et io gli rispondo poche parole et mal conposte, et fondomi sul diluvio che debbe venire, o sul Turco che debbe passare, et se fosse bene fare la Crociata in questi tempi, et simili novelle da pancaccie, tanto che io credo gli paia mille anni di parlarvi a bocca per chiarirsi meglio, o per fare quistione con voi, che gli havete messo questa grascia per le mani, ché gli inpaccio la casa, et tengolo inpegnato qua; pure io credo che si confidi assai che il giuoco habbia a durare poco, et però segue in far buona cera et fare i pasti golfi, et io pappo per 6 cani et 3 lupi, et dico quando io desino - Stamani guadagno io dua giulii; - et quando io ceno: Stasera io ne guadagno quattro. - Pure, nondimeno, io sono obbligato a voi et a lui, et se viene mai a Firenze io lo ristorerò, et voi in questo mezzo gli farete le parole.
Questo traditore del Rovaio si fa sospignere, et va gavillando, et dice che dubita di non potere venire, perché non sa poi che modi potersi tenere a predicare, et ha paura di non andare in galea come papa Angelico; et dice che non gli è poi fatto honore a Firenze delle cose, et che fece una legge, quando vi predicò l'altra volta, che le puttane dovessino andare per Firenze con il velo giallo, et che ha lettere della sirocchia che le vanno come pare loro e che le menono la coda più che mai; et molto si dolse di questa cosa. Pure io l'andai racconsolando, dicendo che non se ne maravigliasse, ché gli era usanza delle città grandi non star ferme molto in un proposito, et di fare hoggi una cosa et domani disfarla; et gli allegai Roma et Athene, tale che si racconsolò tutto, et hammi quasi promesso: per altra intenderete il seguito.
Questa mattina questi frati hanno fatto il ministro generale, che è il Soncino, quello che era prima huomo, secondo frate, humano et dabbene. Questa sera debbo essere innanzi alle loro paternità, et per tutto domani credo essere spedito, che mi pare ogni hora mille, et mi starò un dì con vostra Signoria, quae vivat et regnet in secula seculorum.
Addì 18 di Maggio 1521.
Nicolaus Maclavellus
orator pro Republica Florentina ad Fratres Minores
Carpi, 19 maggio.1521
Magnifico d. Francisco de Guicciardinis etc.
Cazzus! E' bisogna andar lesto con costui, perché egli è trincato come il trentamila diavoli. E' mi pare che si sia avveduto che volete la baia, perché, quando il messo venne, e' disse: — Togli, ci debbe essere qualche gran cosa; i messi spesseggiano; — poi, letta la vostra lettera disse: — Io credo che il governatore strazi me et voi. — Io feci Albanese messere, et dissi, come io lasciai certa pratica a Firenze di cosa che apparteneva a voi et a me, et vi havevo pregato che me ne tenessi avvisato quando di laggiù ne intendevi cosa alcuna, et che questa era la massima cagione dello scrivere; in modo che il culo mi fa lappe lappe, ché io ho paura tuttavia che non pigli una granata et rimandimi alla hosteria; sì che io vi priego che domani voi facciate feria, acciò che questo scherzo non diventi cattività, pure il bene che io ho havuto non mi sia tratto di corpo: pasti gagliardi, letti gloriosi, et simili cose, dove io mi sono già tre dì rinfantocciato.
Questa mattina ho dato principio alla causa della divisione; oggi ho a essere alle mani, domani crederrò spedirla.
Quanto al predicatore, io non ne credo havere honore, perché costui nicchia. Il padre ministro dice che gli è inpromesso ad altri, in modo che io credo tornarmene con vergogna; et sammene male assai, ché io non so come mi capitare innanzi a Francesco Vettori et a Filippo Strozzi, che me ne scrissono in particulare, pregandomi che io facessi ogni cosa, perché in questa quaresima e' potessino pascersi di qualche cibo spirituale che facessi loro pro. Et diranno bene che io gli servo di ogni cosa ad uno modo, perché questo verno passato, trovandomi con loro un sabato sera in villa di Giovan Francesco Ridolfi, mi dettono cura di trovare il prete per la messa per la mattina poi. Ben sapete che la cosa andò in modo che quel benedetto prete giunse che gli havevano desinato, in modo che gli andò sotto-sopra ciò che vi era, et seppommene il malgrado. Hora se in questa altra commissione io rinbolto sopra la feccia, pensate che viso di spiritato e' mi faranno. Pure, io fo conto che voi scriviate loro dua versi, et mi scusiate di questo caso al meglio saprete.
Circa alle Storie et la repubblica de' zoccoli, io non credo di questa venuta havere perduto nulla, perché io ho inteso molte constitutioni et ordini loro che hanno del buono, in modo che io me ne credo valere a qualche proposito, maxime nelle comparationi, perché dove io habbia a ragionare del silentio, io potrò dire: — Gli stavano più cheti che i frati quando mangiono; — et così si potrà per me addurre molte altre cose in mezzo, che mi ha insegnato questo poco della esperienza. Addì 19 di Maggio 1521.
Vostro Nicolò Machiavelli
Roma, 6 settembre 1521
Spectabili viro Domino Nicolao de Machiavellis, amico carissimo. Florentiae.
Messer Niccolò mio. Io non ho voluto rispondere alla lettera vostra venuta insieme al vostro libro dell'arte militare, se prima non ho letto il libro e considerato bene, per dirvene come... l'opinion mia, e non fare come molti, i quali ancora che siano più savi di me, pure in questo io non gli approvo: che nel lodare una cosa seguitano l'opinione de' più e non la loro propria. In modo che, essendo i più degl'uomini ignoranti, molte volte, giudicando secondo quelli, giudicano male. Io adunque, per seguitare la mia consuetudine, ho visto diligentemente el libro vostro, il quale, quanto più l'ho considerato, tanto più mi piace, parendomi che al perfettissimo modo di guerreggiare antico habbiate aggiunto tutto quello che è di buono nel guerreggiar moderno, e fatto una composizione di esercito invincibile. A questa mia opinione si è aggiunto, per le guerre che sono al presente, qualche poco di sperienza, havendo visto che tutti i disordini che sono nati o nascono oggi nelli eserciti franzesi o in quelli di Cesare o della Chiesa o del Turco, non per altro advengono, se non per mancare degl'ordini che sono descritti nel libro vostro.
Ringraziovi adunque molto che, per la comune utilità degl'Italiani, habbiate mandato fuora questo libro, il quale, per li tempi che verranno, sarà almanco, se non opererà altro, buono testimonio che in Italia non è mancato a' tempi nostri chi habbia conosciuto quale è il vero modo di militare. E non poco obbligo vi ho che subito me lo habbiate mandato, per essere il primo in Roma a vedere tanto bella opera, simile veramente e degna dello ingegno, esperienza e prudenza vostra, cui conforto a pensare e comporre continuamente qualche cosa, et ornar la patria nostra co(n)'l vostro ingegno. State sano e ricordatevi che tra le prime cose che io desidero, è far qualche cosa che vi piaccia. In Roma, addì 6 di septembre 1521.
Io. Card.is De Salviatis
Sant'Andrea, 26 dicembre 1521
Mag.co viro Domino Francisco Vectori Gonfaloniere di giustizia dignissimo.
Signor gonfaloniere. Parigino, presente aportatore è mio amico grande et dice quando V. S. si stava a casa che gli fu facto certo partito adosso perché rinuntiasse ad uno piato. Vorrebbe se fusse possibile liberarsene et è ricorso a me perché io ve lo raccomandi: il che io fo con tutto il quore. Intenderete da lui i meriti della causa, et parendovi cosa ragionevole, vi prego la aiutiate. Raccomandandomi sempre ad voi, con il quale io ho tanti oblighi che Dio il voglia che io possa un dì pagarli con vostra salute et commodo. Valete. A
dì 26 di dicembre 1521.
Obligatissimus Niccolò Machiavegli, in villa
Firenze, 8 giugno 1522
Al mio honorevole quanto fratello Nicholò Machiavello.
In chasa.
Honorando mio Nicholò. Io sono per dispiacere del nostro messer Totto fuori di me, perché non sono dua altri homini a chi desideri più la vita e il bene anzi che a lui: pure fia necessario acordarsi alla vogla del Signore che tutto fa a buon fine. Confortovi chome prudente al medeximo, preghando Iddio per sua gratia ce lo preservi a ogni modo, e sia per lo meglo. Sarà necessario, se Iddio pure ne distinassi, che quello bene volevo a lui e voi, vogla a voi solo, et chosì versa vice. In quanto a' benificii, selli dipositate in mio figliuolo, saranno chome nella persona vostra et di vostro figliuolo in tutto et per tutto, ve ne prometto. Et a voi sempre mi rachomando, et pregho di nuovo Iddio ci preservi messer Totto.
Ex palatio, die viii Iunii 1522.
Avisate per il garzone di Giovanni. Se io fussi mio homo, non mi partirei mai dal chospetto del vostro messer Totto. Bisogna voi e lui m'habbi per schusato.
Frater R. Puccius Ghonfalonerius
Sant'Antonio alle Sodora, 30 luglio 1522
Data a Nicolò di messer Bernardo Machiavelli.
In Firenze.
Al nome d'Idio, a dì 30 di luglio 1522.
Onorando e magiore mio, etc. Io ò riceuto una vostra letera per ser Sansone, la quale mi dice io venda 2 mogia di grano e dìeli 10 ducati: io farò tanto quanto voi m'avete mandato a dire; io vedrò di fare melio potrò. E lavoratori di San Chirico anno batuto infino a qui 54 staia di grano e non altro; quello di San Vito à batuto mogia sei e venti staia, venzete staia di grano da seme, 10 staia di viticciolo. Io non mi poso partire, perché volio fare e fati vostri come si debono fare, e bisognia avere cura a' mochi. Pertanto e' m'è ocorso un caso strano. Sapete vi disi ch'io ò a dare certi denari a' frati di santo Antonio: l'antro dì mi mandò una richiesta di veschovado, che vorebe 7 ducati, comme quando c'entrai nel principio; loro mi ci tennano un mese e non più, e poi c'entronno que' d'Orsino, e mesere Toto me lo fece ren(de)dere da quelli d'Orsino; loro non mi dànno niente, se non d'andare acatare; io li promesi di dali una soma di grano; non-ò potuto mandàla così presto, e lui à mandato qua su una scumunica; ànnomi fato scumunicare; io li mando una soma di grano per mia gentileza, non già che lui posa mostrare scrita nesuna ch'io abia a dàline: setene certo; se non, io vo' che tu mi dia così. Mesere Totto dise parechie volte: — Si vòle tirarla, dali qualche cosa, si no io lasciavo fare a lui. Io vi vo' pregare non per comandamento, ma per amore di Dio che voi duriate un po' di fatica per me, d'andare con mio cherico infino a favelare a·fratello del vicario e che sa bene che dise che mi lascerebe fare la ricolta con questo, io li mandasi una soma di grano, e che lui venga in vescovado al notaio a farmi mandare per mio cherico l'asulitione, e, se bisongniasi, parlasi un poco per me a chi chi sia. Fate per me come io fo per voi, perché volio potere dire mesa, e se io non fo letere di quanto vòle lo paghi, pure non p(i)uò mostrare niente scripta ch'io li abia dare, se non come ò deto di sopra. Perdonatemi se io vi do tropa noia: ponete una soma a me, et io la porterò per vostra amore. Non altro per ora. Idio di male vi guardi e conservivi lungo tempo in buono stato.
Vostro ser Vincentio, a Santo Antonio alle Sodora
S. Andrea in Percussina, 14 ottobre 1522
Spectabili viro Francisco del Nero, cognato honorando.
In Firenze.
Spectabilis Vir, maior honorande. Voi intenderete da Gratia quanto bruttamente uno famiglio di Raffaello Girolami habbia fedito uno suo fratello: Raffaello non vi era, che so che gli dispiacerà il caso. Io non ci dexidero altro, sed non che si posi qui et che questi miei possino attendere ad lavorare. Il modo mi parrebbe che Raffaello per sua humanità chiamassi ad sé uno di questi miei et gli dessi 4 buone parole mostrando che il caso gli dispiaccia; dipoi faccia che quel suo famiglio stia 8 o 10 mesi che non capiti lassù. Pregovi, trovando Raffaello, ne parliate seco, et Gratia consigliate di quello che vi pare che faccia. Io verrò costì o domani o l'altro: vorrei pure arrecare trenta tordi et dubito che non mi riesca. Sono sempre a' comandi vostri.
Die octobris xiiii 1522.
Niccolò Machiavegli in villa
San Quirico alle Sodora, 23 ottobre 1522
Spectabili viro Nicholò di mesere Bernardo Machiavelli, in Firenze.
Al nome di Dio, a dì 23 d'ottobre 1522.
Onorando e magiore mio, etc. Avìsovi chome io sono stato a vedere se voi venivi qua su. Ora, io vegho voi non siate venuto. Ora, arei caro che voi vedesi el mio conto, perché arei caro voi mi mandasi qualche danaio, perché sapete sono pagato al conto che noi facemo per tutto agosto. Ora, io arei avere el servito di dua mesi, cioè settembre e otobre. Se io non avesi di nicistà, non ve li manderei a chiedere. Sapete mi dicisti in San Casciano che, saldato che noi avesino el conto insieme e io avesi di bisognio, voi mi serviresti sempremai del salario d'un mese o dua innanzi. Li è ben vero voi dicesti non potevi tenere danari perduti, come faceva messer Totto; ma per un ducato sempremai innanzi mi serviresti. Io uficio in modo le chiese che né voi né' popolani non s'àno da ramalicare di niente. Di quelo mi pregasti, io dicesi una domenica del mese a Ortimino, òvene ubidito, sì che pertanto vi prego, quante so e poso istrettamente, che voi mi mandiate quelo mi si viene questo tempo deto di sopra, perché siano sotto l'Ognisanti. Sapete che tutti e padroni servono loro garzoni e loro genti. Arei caro, potendo, mi servisi, oltr'a di questo, del salario d'un mese o dua prosimi a venire. A voi non fa niente o prima o poi, esendo voi servito di man in mano, perché ò a finirmi di più d'una cosa questo Ognisanti, come s'apartiene a' nostri pari. Più tosto, un'altra volta fatemi servire un mese in dono e sono molto contento. Ancora sòle esere l'usanza la matina d'Ognisanti o de' morti di rinovare in sull'atare dua falchole, come sì si vole. Ora, fate voi, per potere dire el vespro de' morti e quelo s'apartiene alle chiese. Non mi distenderò più oltre. Se poso niente qua per voi, mandatemelo a dire, e io tanto farò. Valete.
Per lo vostro ser Vincentio cappelano a San Chirico alle Sodora
[In calce, di mano del Machiavelli:] Per Giovanni di Simone da Saminiato, suo servo, una corona di sole. [A tergo, di mano del Machiavelli:] [...] che mi manda ad chiedere danai per il servito, che li detti una corona.
Firenze, 17 aprile 1523
Ex tuis litteris intellexi te maxime vereri ne novi pecuniarum exactores, qui propediem creari debent, sint in exigendo solito acerbiores, urgente presertim necessitate, rogasque ut tibi apud eos faveam ne cogaris ad maiorem solutionem aureorum duodecim, quam summam anno preterito maxima cum dificultate solvere coactus fuisti. Ego, ut tibi verum fatear, nescio si exactores isti cito creabuntur. Cardinalis enim cras hinc discedet Romam profecturus, et fortasse hec creatio differetur in reditum suum, qui erit intra mensem: tibi tamen persuadere potes quod, quandocumque creabuntur, ego tibi defuturus non sim. Audivi quod inter eos erit Laurentius Acciarolus, Roberti nostri frater, de aliis nihil intellexi. Sed de his alias.
Dubitas quod Francisci Nigri sales tibi nocere possunt, et iure dubitas; cur enim tibi non noceant, qui diebus preteritis etiam nocuere? Est in via Sancti Galli prope portam monasterium quoddam monialium, qui dicuntur Sancti Clementis: Franciscus, ut est homo religiosus, cum illis maximam habebat familiaritatem, et quia pestis vicinas quasdam domus occupaverat, quandocumque monialibus dicebat se rus habere, nescio an nomine paterno an Villamagna, in quo ipse moniales commode se transferre poterant, ut vicinam contagionem evitarent. Crevit adeo pestis, et quod moniales circa quindecim, promissi memores, monasterii exeuntes ad Francisci villam se transferunt, ab agricola claves domus accipiunt, cameras ingrediuntur, frumentum ad pistrinum mittunt et domo et omnibus aliis rebus tamquam propriis utuntur. Agricola postquam claves monialibus dedit, Florentiam accedit, Franciscum convenit, quod fecerint moniales narrat. Mecum deambulabat Franciscus in area palatina, et, ut agricolam audivit, vidisses hominem clamantem ac per aream, pallio in humeros reiecto, currentem et Augustinum fratrem magna voce vocantem: cui, ut accessit, dicit ut sex equos ad vecturam conducat ac rus petat, ac de domo moniales et invitas educat et in equis impositas ad monasterium remittat. Paret frater et ipsas invitas domo eiecit. « Et fuit in toto notissima fabula celo ». Cur ergo mirer de filio tuo Ludovico?
Quid mirum ergo, cum Franciscum moniales ruri habuerit, si Ludovicus, sororis filius, confessorem etiam ruri secum habere vult? cum ad hec non dicam pater Eneas, sed avunculus excitet Hector. Sed, cum in senium vergimus, nimis morosi et, ut sic loquar, scrupulosi simus, nec recordamur quid adolescentes egerimus. Habet Ludovicus filius secum puerum, cum illo ludit, iocatur, deambulat, in aurem gannit, una cubant. Quid tum? Fortasse etiam sub his rebus nihil mali subest: sed nos aliquando naturam ipsam tamquam novercam incusamus, cum potius parentes aut nos ipsos incusare debemus: tu, si te ipsum bene novisses, numquam uxorem duxisses; pater meus, si ingenium, si mores meos scisset, me numquam uxori alligasset, quippe quem ad ludos, ad iocos natura genuerat, lucris non inhiantem, rei familiari minime intentum. Sed uxor filie me mutare coegerit, quod nemimi feliciter succedere potest.
S. Andrea in Percussina, 31 agosto 1523
Honorando cognato, quegli bechafichi che noi ci havavamo ad godere hiersera se voi venivi, poiché voi non venisti, io ve gli mando, che voi ve gli godiate stamani. Et portavegli Lodovico, el quale, in queste nuove faccende, io vi raccomando. Christo vi guardi da dovero. A dì 31 d'agosto 1523.
Niccolò Machiavegli in villa
S. Andrea in Percussina, 26 settembre 1523
Magnifico viro et cognato honorando Francisco del Nero
In Firenze.
Honorando cognato. Patienza delle brighe che io vi do: le chiese sono scomunicate come per la inclusa vedrete, et per cagione dello studio, pregovi mi mandiate per il Bologna la liberatione, il quale vi mando a posta, altrimenti io farò rimurare quel cammino. Et raccomanderovvi a' polli. Vostro sono. A dì 26 di Septembre 1523.
Niccolò Machiavegli in villa
Sant'Antonio a Orbana, 6 agosto 1524
Domino Nicholò Machiavelli, a Santa Andrea in Perchussina.
Ihesus, addì 6 d'agosto 1524
Honoranddo Nicholò, salute etc. Questa per darvvi avviso come avete aùto del grano a S.a Chirico per lla partte vvostra: èssi aùto moggia cinque e staia 16 ½ di grano, per lla partte vvostra, ché se n'è lacciato staia 23 ⅓, per vvostra partte di seme, che resta moggia 4 e staia 16 ½: quello potete levare, e quantto più tosto, meglio, perché è assai bene chalddo. E più: e'ss'è aùto da' lavoratori di grano avevano aùto dal bottaino staia 13 da castellini, che se - n'è dato uno ½ staio per decima al prete: resta staia 12 ½, che·ffa tutto moggia 5, staia 4 ½. Come vi dico, sollecitate d'inbucallo.
Io feci la sschritta con esso voi di luglio, a quantti dì non mi ricorddo, e che el primo dì d'agosto avevo a chomincciare a offiziare le vostre chiese, e chosì ò-ffatto: achade che el chappellano, cioè sei Micelangniolo, dicie avere a offiziare lui tutto agosto e à a tirare el salario detto mese; ondde io mi maraviglio assai; non sso la cagione, e àmmi serrato; non posso avere né chalicie né paramentti, e più tosto mi minaccia che altrimentti: vvorei, se·vvoi vvi conttenttate che io l'abbia a offiziare o·nno, per questo apporttatore me ne dessi rissposta, perché disidero istare in pacie; e se·vvoi siate mutato d'animo, pensserò a qualche altra chosa: con ttutto che mi sarebbe fatto tortto, pure sia rimessa in vvoi.
A questi dì anddai a uno offizio a Orbbana, e fémi dire che no·vvoleva che io vvi diciessi messa, e io pello meglio me ne vvenni, e fu causa di farmi perddere quella limosina, e à·ffatto che·lla brigata à 'uto che dire, sì che per tantto vvi prego che vvoi remediate a questo, a ciò che non ci uscissi isschanddolo, perché non mmi fu fatto ma' più tantta ingiuria: ò·ssoporttato e sopportto, aspettanddo vvostra vvenuta o vvostro manddato, ovvi fate che·nnoi siamo alla vvostra presenza e achonciate el chaso nostro, in modo che ongni uno sappia quello che gli à a·ffare, o almeno, come io vvi dissi, isschrivete. Né altro. Iddio sia con esso vvo' e manttenggavi sano. Vostro
Ser Piero a Santa Anttonio a Orbbana
S. Andrea in Percussina, 30 agosto 1524
A messer Francesco Guicciardini, commessario in Romagna.
[...] Ho atteso et attendo in villa a scrivere la historia, et pagherei dieci soldi, non voglio dir più, che voi fosse in lato che io vi potessi mostrare dove io sono, perché, havendo a venire a certi particulari, harei bisogno di intendere da voi se offendo troppo o con lo esaltare o con lo abbassare le cose; pure io mi verrò consigliando, et ingegnerommi di fare in modo che, dicendo il vero, nessuno si possa dolere. Addì 30 di Agosto 1524.
Niccolò Machiavelli
Modena, 22 febbraio 1525
Spectabili viro Niccolò Machiavelli etc.
Niccolò carissimo et come fratello honorando etc. Il Fornaciaio et voi, et voi et il Fornaciaio, havete facto in modo che non solo per tutta Thoscana, ma ancora per la Lombardia è corsa et corre la fama delle vostre magnificentie. Or va' poi tu et non ti disperare. Io so dell'orto rappianato per farne il parato della vostra commedia; io so de' conviti non solo alli primi et più nobili patritii della città, ma ancora a' mezzani et dipoi alla plebe; cose solite farsi solo per li principi. La fama della vostra commedia è volata per tutto; et non crediate che io habbia havuto queste cose per lettere di amici, ma l'ho havuto da viandanti che per tutto la strada vanno predicando « le gloriose pompe e' fieri ludi » della porta a San Friano. Son certo, che cosí come non è stata contenta la grandezza di sì gran magnificentie di restare drento a' termini di Toscana, ch'è voluta volare ancora in qua, che passerà anche e monti, se da questi exerciti che haranno il capo ad altro che a feste non è ritenuta, et cosí haranno viso di non mondare nespole. Insomma, Niccolò, per recare le mille in una, et per dire più tosto zuppa che havere a dire pane et vino, et per abreviare questa materia, io vorrei che voi mi mandassi, quando prima potrete, questa comedia che utimamente havete facta recitare. Fate che per niente voi mi manchiate, per quanto voi stimate la gratia del Re di Tunisi, et raccomandatemi a tutta la barbogeria.
Di Modena, addì 22 Febraio 1525.
Uti frater Philippus de Nerlis Gubernator
Roma, 8 marzo 1525
Al mio caro compare Nicolò di Messer Bernardo Machiavelli.
In Firenze.
Compar mio caro. Io non vi saprei consiglare se voi dovete venire con libro o no, perché e tempi sono contrari a leggere et donare. Et da altra parte el papa, la prima sera giunsi, poi che io li hebbi parlato di qualchosa mi achadeva, mi domandò per se medesimo di voi et dixemi se havevi finito la Historia, e se l'havevo veduto; et dicendo io haverne veduto parte et che havevi facto insino alla morte di Lorenzo, et che era choxa da satisfare, et che voi volevi venire a portargnene, ma io rispetto a' tempi ve n'havevo dissuaso, mi dixe: — E' doveva venire, et credo certo ch'e libri suoi habbino a piacere e essere lecti volentieri. — Queste sono le proprie parole m'ha decto; ma in su le quali non vorrei piglassi fiducia al venire, et poi vi trovassi con le mani vote; il che per le mostre d'animo nelle quali si truova il papa vi potrebbe intervenire: pure non ho voluto manchare di scrivervi quanto mi ha decto.
Rachomandatemi a Francesco Del Nero et diteli che vorrei scrivessi al suo Berlinghieri qui, che non solo mi pagassi danari per suo ordine, ma mi facessi piacere d'ogni altra coxa lo ricercassi; et chosì mi rachomandate a Donato del Corno. Iddio vi guardi. In Roma, a dì 8 di Marzo 1524.
Francesco Victori
Firenze, 26 giugno 1525
Spectabili viro, domino Nicholò Machiavegli, suo honorando. In Romangnia.
Ihesus. Al nome di Dio, a dì 26 di gungnio 1525.
Honorando in luogho di padre. Questa per fare risposta a una vostra de' dì 9 di gungnio, alla quale farò risposta a quanto achade. Con quella mi mandasti una di Piero del Bene, adiritta a Domenico Gungni e compagni, che mi pachassino scudi 63 d'oro di sole, e quali si sono rischossi e fatosi la quitanza.
E per quella intendo chome desideravi gli distribuissi, che tutto ò facto con quanta diligientia ò saputo e potuto, chome qui da piè vi si dirà. Nella dota della Baccina s'è spexo, per quello tenpo che voi mi scrivesti, fiorini 52 e lire 5, soldi 12 di piccoli; e nelle gravezze per 4 registri lire 37.3.4., che ò veduto di pagharli con quanto vantaggio sia stato possibile; el restante dètti a mona Marietta vostra, che furno lire 21, soldi 14, ché tanto m'avanzzò.
Maravigliomi assai cho mecho facciate schusa del darmi brigha, che sapete quanto obligho ò chon esso voi e colla casa vostra; sì che, se di qua vi schade niente e conosciate sia sufitiente a farlo, non cometete altri che me: potresti bene cometere le faciende vostre a qualche uno che le farebbe con più prudentia, ma non tanto volentieri.
Di verso Levante stamattina ci è nuove per più merchanti che i gianizeri ànno voluto amazare il Turcho e ànno messo a sacho 3 o 4 case de' primi bascià. Anchora è ito a saccho in Adrinopoli di molte case e botteghe di giudei, e la natione à riceuto qualche danno; sì che queste non mi paiono nuove per Ludovico vostro, che bene à chativa sorta, che mai più non s'udì una coxa chome questa. Quando ci sarà sua lettere, ve le manderò.
Non altro. A voi senpre mi rachomando. Che Idio vi conservi sano e metavi in istato felice, acciò abbia a schoppiare chi male vi vòle.
Vostro quasi figliolo Aghostino del Nero, in Firenzze
Roma, 6 luglio 1525
Allo spectabile come fratello Nicolò Macchiavelli.
Spectabilis vir tamquam frater. Io hebbi la vostra de' 29 del passato, et lettala la mostrai a N. S., la Santità del quale vedde volentieri quanto si discorre in essa et in quella del sig. presidente; ma né allhora né poi, per molte altre occupationi mi rispose, dicendomi che ci voleva ancora un poco pensare et che io vi scriva che soprassediate. Domandandole di nuovo se S. B.ne si era risoluta anchora, mi ha risposto che ci vuole anche pensare, et che vi trattenghiate. Voi aspetterete dunque, et intanto, occorrendo altro degno di avviso, me lo scriverrete, acciò che io lo possa mostrare a S. S.tà et essa deliberare meglio. Né altro ho che scrivervi, se non che vi amo di continuo et ho caro di farvi piacere; et così mi vi offero et raccomando.
Da Roma, il dì 6 di Luglio m.d.xxv.
Vostro buon fratello.
Jacopo Sadoleto scer. di N. S.
Firenze, 27 luglio 1525
Spectabili viro Niccolò Machiavelli suo plurimum honorando.
In Faenza.
Spectabilis vir et cogniate salutem. Io hebbi una vostra da Roma, ad la quale feci risposta. Dipoi ne ho hauta una altra da Faenza, sopra il gran sapere del frate, il che Francesco Vectori non credeva; né mai lo harebbe creduto, se non che gli fu monstro una lettera del magnifico Presidente che referiva il medeximo. Il Conte ne ha facto ricordo etc. Philippo Strozzi mi scrive havere parlato ad la Santità di nostro Signore, sopra ad lo augumento della vostra provixione, et truovala benissimo disposta. Onde ricorda che, quando prima siate in Firenze, gli scriviate un motto, ricordandoli la faccenda vostra: et Filippo mostrerà il capitolo a sua Beatitudine, et opererà che qui ne venga la commissione; sì che le felicità vostre multiplicano. Ancora io vi serbo uno pippione da cavarne ducati cento d'oro l'anno. Se ritornerete a Roma però, desidero sapere quando credete partire di costì, et per che volta, ad ciò vi giri sotto lo vano mondo. Donato attende a portarvi polli; ma per essere una di quelle cichale dal Ponte Vechio, non si può tenere non mostri le vostre lettere, tale che ne è capitata una in mano al Conte, et è quella honorevole lettera gli scrivesti un mexe fa, cioè la seconda de Faentia etc. Nec plura. Ad voi mi raccomando.
In Firenze, addì xxvii di Luglio 1525.
Vostro Francesco del Nero
Faenza, 29 luglio 1525
Spectabili viro Niccolao de Machiavellis. Florentiae.
Spectabilis vir. Lo havere a rimandarvi la allegata, venuta sotto un mio piego, mi ha dato occasione di scrivervi, che altrimenti non l'harei fatto per non havere che dire. Aspetto di vostre con desiderio; et di nuovo non ho niente che meriti di essere scritto. Non voglio già tacere che io conprendo che doppo la partita vostra la Mariscotta ha parlato di voi molto honorevolmente, et lodato assai le maniere et intrattenimenti vostri; di che a me ne gode il cuore, perché desidero ogni vostro contento; et vi assicuro che se tornerete in qua sarete ben visto, et forse meglio carezzato. Scrissi a Roma secondo il bisogno, né di là ho poi hauto altro in materia. Intendendo cosa alcuna, vi avviserò; et a voi mi raccomando.
Faventie xxix julii 1525.
Uti frater Franciscus de Guicciardinis
Firenze, 3 agosto 1525
Magnifico D. Francisco de Guicciardinis etc.
Signor Presidente. Io ho differito lo scrivervi ad oggi, perché io non ho potuto prima che oggi andare a vedere la possessione di Colombaja: sì che vostra S.ria mi harà di questo indugio per iscusato.
Rem omnem a Finochieto ordiar. Et vi ho a dire la prima cosa questo: che tre miglia intorno non si vede cosa che piaccia: l'Arabia Petreja non è fatta altrimenti. La casa non si può chiamare cattiva, ma io non la chiamerò mai buona, perché la è sanza quelle commodità che si ricercono; le stanze sono piccole, le finestre sono alte: un fondo di torre non è fatto altrimenti. Ha innanzi un pratello abbozzato; tutte l'uscite ne vanno in profondo, da una in fuora che ha di piano forse 100 braccia; et con tutto questo è sotterrata intra monti talmente, che la più lunga veduta non passa un mezzo miglio. I poderi, quello che rendono vostra S.ria lo sa, ma eglino portano pericolo di non rendere ogni anno meno; perché eglino hanno molte terre che l'acqua le dilava talmente, che se non vi si usa una gran diligenzia a ritenere il terreno con fosse, in poco tempo e' non vi sarà se non l'orsa; et questa vuole il signore, et voi state troppo discosto. Io sento che i Bartolini hanno fatto incetta di quello paese, et che manca loro casa da hoste: quando voi potessi appiccarlo loro addosso, io ve ne conforterei, perché un bene loro sta, vi dovrebbe cavare di danno. Quando costoro non vi venghino sotto, o volendolo tenere o volendolo vendere, io vi conforterei a spendervi 100 ducati; co' quali voi forniresti il pratello, circuiresti di vigna quasi tutto il poggio che regge la casa, et faresti otto o dieci fosse in quelli campi che sono fra la casa vostra et quella del primo vostro podere, i quali campi si chiamano la Chiusa: nelle quali fosse io porrei frutti vernerecci et fichi; farei una fonte ad una bella acqua che è nel mezzo di quelli campi a piè d'una pancata, che è quanto di bello vi è. Questo acconcime vi servirà all'una delle due cose: la prima, che se voi lo vorrete vendere, chi lo verrà a vedere, vede qualche cosa che gli piaccia, et forse gli verrà voglia di ragionar del mercato; perché mantenendolo così, et i Bartolini non lo comperino, io non credo lo vendiate mai se non a chi non lo venissi a vedere, come facesti voi. Quando voi lo vogliate tenere, detti acconcimi vi serviranno a ricorvi più vini, che sono buoni; et a non vi morire di dolore quando voi andrete a vederlo. Hoc de Finochieto satis.
Di Colombaja, io vi confermo per quanto si può vedere con l'occhio tutto quello che Iacopo vi ha scritto et che Girolamo vi ha detto. Il podere siede bene, ha le strade et i fossi intorno la valla, et volta fra mezzodì et levante: i terreni appariscono buoni, perché tutti i frutti vecchi et giovani hanno vigore assai et vita addosso: ha tutte le comodità di chiesa, di beccajo, di strada, di posta, che può havere una villa propinqua a Firenze: ha de' frutti assai bene, et nondimeno vi è spazio da duplicargli. La casa è in questo modo fatta. Voi entrate in una corte la quale è per ogni verso circa 20 braccia; ha nella fronte, dirimpetto all'uscio, una loggia col palco di sopra, et è lunga quanto lo spazio della corte, et larga circa 14 braccia. Ha questa loggia in su la mano ritta a chi guarda verso quella, una camera con una anticamera, et in su la mano manca una sala, con camera et anticamera: tutte queste stanze con la loggia sono abitabili, et non dishonorevoli: ha in su questa corte cucina, stalla, tinaja, et un altro cortile per polli et per nettare la casa. Ha sotto due volte da vino vantaggiate; ha di sopra molte stanze, delle quali ve ne sono tre, che con 10 ducati si rassetterebbono da alloggiarvi huomini dabbene; i tetti non sono né cattivi né buoni; in somma, io vi concludo questo: che con la spesa di 150 ducati voi abitereste comodamente, allegramente et non punto dishonorevolmente. Questi 150 ducati bisognerebbe spendergli in rifare uscia, lastricare corti, rifare muricciola, rimettere una trave, rassettare una scala, rifare una gronda del tetto, racconciare et ravvistare una cucina, et simili pateracchie che darebbono vista et allegrezza alla casa; et così con questa spesa potresti abitare tanto, che vi venissi bene d'entrare in uno mare magno.
Quanto all'entrate, io non le ho ancora riscontre a mio modo, per non ci essere uno a chi io desidero parlare. Per altra ne darò a vostra S.ria avviso particolare.
Questa mattina io ricevetti la vostra, per la quale mi avvisavi in quanta grazia io ero con la Maliscotta: di che io mi glorio più che di cosa che io habbia in questo mondo. Fiemi caro di esserle tenuto raccomandato.
Delle cose de' re, delli imperadori et de' papi, io non ho che scrivervi: forse che per altra ne harò, et scriveròvvi.
Prego V. S. diciate a madonna V., come io ho fatto le salutazioni a tutti i suoi et le sue, et in particulare ad Averardo; i quali tutti si raccomandano a V. S. et a lei. Et io a V. S. infinitissime volte mi raccomando et offero.
Addì 3 d'Agosto 1525.
Vostro Niccolò Machiavegli in Firenze
Faenza, 7 agosto 1525
Spectabili viro Niccolao de Machiavellis Florentie.
Machiavello carissimo. Io ho hauto la vostra de' 3, et principalmente vi ho a dire che se voi honorerete le soprascritte mie con lo illustre, io honorerò le vostre con il magnifico, et così con questi titoli reciprochi ristorereno del piacere l'uno dell'altro, il quale si convertirà in lucto quando alla fine ci troverreno tutti, io dico tutti, con le mani piene di mosche. Però risolvetevi a' titoli, misurando i miei con quelli che vi dilettate siano dati a voi [...]
Di nuovo non intendo niente che habbia nervo, et credo che ambuliamo tutti in tenebris, ma con le mani legate di dietro per non potere schifare le percosse.
Faventie, 7.ma Augusti 1525.
Uti frater Franciscus de Guicciardinis
Faenza, agosto 1525
Al Machiavello Madonna di Finocchieto desidera salute e purgato giudizio.
Se io credessi che quello che tu scrivesti di me al padrone et signor mio, tu l'havessi scritto malignamente, non durerei fatica per dimostrarti, perché sendo nata in questi monti solitari, non ho tanta eloquenza, che mi dessi il cuore di rimuoverti da questa malignità, et perché io reputo che sia più vendetta lasciare confirmare e ostinare il maligno nella sua malignità, che col fare nota la verità, farlo arrossire. Ma persuadendomi che tanto sia proceduto da errore, che se non è honorevole ha pure dello escusabile, mi pare che sia ufficio di humanità e cortesia, la quale in me è maggiore che non comporta questo luogo e che non mostra la presenza mia, farti avvertito del vero; e tanto più volentieri lo fo, quanto, essendo io donna, non posso havere in odio la origine del-lo errore tuo che medesimamente procede da donna, e benché allevata con costumi inhonesti e che a me dispiacciono è pure donna; e la similitudine del sesso non permette che tra noi non sia qualche scintilla di benevolenza. Sei uso con la tua Barbara, la quale, come fanno le pari sue, si sforza piacere a tutti e cerca piuttosto di apparire che di essere; però gli occhi tuoi avvezzi in questa conversazione meretricia non si appagano tanto di quello che è, quanto di quello che pare; e, pure che vi sia un poco di vaghezza, non considerano più oltre gli effetti. Ma tu che hai letto e composto tante Istorie e veduto tanto del mondo, dovevi pure sapere che altro adornamento, altra bellezza, altro modo di comporsi e di apparire si ricerca in una che vive con tutti e ama nessuno, che in quelle che, piene di casti pensieri, non hanno altro studio che di piacere a quello solo a chi honestamente e legittimamente sono date. E se pure per la lunga pratica di simili, ché intendo non sei mai vissuto altrimenti, hai fatto sì male habito, che le corrotte loro usanze ti paiono buone e degne delle nostre pari, dovevi pur ricordarti che era temerità fare giudizio in uno momento; e che le cose s'hanno a giudicare, non dalla superficie, ma dalla sostanza loro; e che sotto quella rigidità e asprezza che a primo aspetto si mostrava in me, potevano essere nascoste tante parti di bene, che io meritavo essere laudata, non così ingiuriosamente biasimata. E di questo, se non altri, ti doveva pure fare avvertente la tua Barbara, che, benché il suo nome denoti tutta crudeltà e fierezza, ha raccolto in sé, di che voglio stare a tuo detto, tanta gentilezza e tanta pietà che ti condirebbe una città.
Ma io voglio dirti le qualità mie con animo, che se, accorto della verità, revocherai quello che scrivesti di me, non solo di perdonarti la ingiuria fatta, ma essere ancora contenta che delle frutte delle quali sono pieni tutti i miei campi, si faccia ogni anno buona parte alla tua Barbara: maggiore piacere non saprei farti che intrattenere, come la merita, colei che è le delizie e il cuore tuo. E perché tu vegga quanto il giudicio tuo fu fallace, ti dico principalmente che una delle mie laudi consiste in quella cosa che ti fece prorompere tanto inconsideratamente a biasimarmi, perché, ha-vendo io dato lo amore mio a uno solo, pensai sempre non piacere a altri che a lui; e però mi sono mantenuta con quella rigidità e asprezza che tu vedi, la quale, se io havessi studiato a apparire agli occhi di ognuno, harei molto bene saputo mitigare; perché non debbi credere, che ancora che io sia nata in queste alpi, mi manchi il modo e le arti di pulirmi; le quali, quando io non havessi così bene saputo, né havessi havuto comodità di impararle da altri, mi rende certo che tu come sei amatore di tutte le donne e vivuto lungamente tra loro, haresti voluto e saputo insegnarmele. Ma io non ho havuto mai obbietto di vivere se non con uno, e però, pure che in altro gli dessi causa di amarmi, ho lasciato da canto tutte le vanità e vaghezze che mi potevano fare piacere a molti, giudicando fussi buono a essere amata da lui che e' cognoscessi in me questa costumatezza e honestà, sanza che, come sono naturalmente gli uomini amici della varietà, ho giudicato che a lui, che ne' luoghi vicini alla città a comparazione di queste sono solite a ornarsi e farsi vaghe, potessi più piacere il trovare, quando veniva qua, questa salvatichezza e asperità, a che gli occhi suoi non erano così usi, che se havessi trovato le bellezze e gli ornamenti di questa medesima specie che quelli ne' quali è ogni dì e ogni hora. E in questo lo artificio mio è stato doppio, perché quello con che io credevo più piacere a lui, mi faceva sperare che manco piacerei agli altri; cosa da me molto desiderata, perché, sendo mal vaga di havere a fare ogni dì con nuovi huomini, e amando teneramente quello con chi vivo hora, e sapendo come tu hai fatto più con quegli che considerano le cose dalla corteccia che dalla midolla, ho caro che, se pure lui gli venissi mai voglia di alienarmi, non truovi così facilmente a chi io piaccia, e sia forzato quasi per necessità a tenermi seco.
Vedi adunque, Machiavello, quanta laude io merito, e quanto io sono da essere tenuta più cara per quella cagione che a te dispiacque tanto; e impara altra volta a non ti fidare tanto di te medesimo e della tua resoluzione, che non consideri più maturamente innanzi che tu giudichi, perché molte scuse sono ammesse agli altri, che nella prudenza e esperienza tua non si accettano.
Andrinopoli, 14 agosto 1525
Honorando padre Nicholò Machiavegli. In Firenze.
† Jhesus. Addì xiiii, d'Agosto 1525. Honorando padre etc. Al pasato vi s'è ischrito abastantia. E questa per dir vi chome di uno chonto che io ò chon Charlo Machiavegli, non l'à mai voluto saldare; per che io penso andare a fare e fatti mia. E per l'altra mia vi schrissi chome m'era restato di tutta la somma panni sette1/2; e quali panni, per esere un pocho ischarsi, gli arei finiti meglio qui che in Pera. E per esermi Charlo Machiavegli pocho amicho, insieme chon uno Giovanbatista Masini e cho·Nicholaio Lachi, andavano a botea di quegli che e' sapevano che gli volevano, e dicevangli che io nonn-avevo se none panni di rifiuto. E se Charlo si fusi portato chome s'aveva a portare uno uomo da bene, io gli arei ogi finiti, dove io sono istato fortzato a mandargli in Pera a Giovanni Vernacci. Anchora non gli bastò farmi quella inguria, che e' me ne fece una altra. Perché io volevo partire quindici giorni fa, e andare in chonpagnia delle robe; e volevo, innantzi che io mi partissi, saldare detto chonto chon esso secho; e che e' mi dessi infino a ducati cento ventitré che io ò avere da llui, per fare e chasi mia; e mai c'è stato ordine che lui l'ahi voluto saldare. E chosì restai indrieto, e qui istarò per infino a che partirà giente per in Pera; e ogni giorno che io ci starò, gli domanderò se e' vole saldare chon esso mecho. Se none, chome in sarò in Pera, io vi do la fede mi' che la prima faccienda che io farò sarà questa: che io me n'andrò al balio, e bisognierà, se chrepassi, che e' venga lassù, o che egli ordini che io sia pagato. E farogli quelo onore che e' merita. Per aviso.
A Roma o a Firentze che voi siate, priegovi che all'aùta di questa mi schriviate quelo che è seguito de' chasi vostri; che mi pare un gran miracholo, che da' dicannove di magio in qua nonn-abi mai aùto nuove de' chasi vostri, o da nessuno di chostà; che pure c'è venuto di moltissime letere di chostà. Per aviso.
Anchora vi priego che se di quel tristo di quel prete, se voi nonn-avete fatto nulla, che alla aùta di questa voi vegiate che in qualche parte io sia vendichato di tante ingurie quante e' m' à fate. E se e' vi ramenta bene, voi mi schrivesti che io atendessi a fare bene in Levante, e voi attenderesti a stare bene a Roma, e quando questo vi riescha, che le ingurie si potrebono vendichare, e io vi dicho che, di tanta roba quanta io avevo, che nonn-era possibile fare meglio. Non so già chome voi v'arete fato voi, che intimo a chomparatione di me, che voi l'abiate fatta molto meglio. Sì che pensate se io ò animo di vendicharmi. Ma sami male che le vendette che noi potremo fare chon quatro parole, e mostrare chome egli è un tristo, e per questa via chavallo di quella chiesa, vogliamo serbarci a farle chon nostro danno, e chavare dua ochi a·nnoi per chavarne uno al chompagnio. E in voi istà ogni chosa. E medesimamente in sulle vostre parole sapete che io m'ebi a ingozzare quella di Cecho de' Bardi. Ma più non voglio ragionar di questo; ma bastivi che se io nonn-ò altre nuove, io sarò prima a Sant'Andrea che a Firenze, e gastigerò questo tristo. Più non ve ne ragionerò, ché tanto l'ò scritto, che mi dovete avere inteso. E farò più presto che voi non chredete, perché sarò chostì innantzi che passi metzo gennaio, se Idio mi presta sanità. Non altro per questa. Rachomandatemi a mona Marietta, e ditegli che per nonn-avere tempo non gli ò ischritto: el simile a Bernardo, Salutate quelli fanciugli per mia parte, e del chontinovo a voi mi rachomando. Iddio di male vi guardi.
Vostro
Lodovico Machiavegli in Andrinopoli
Firenze, 17 agosto 1525
Niccolò Machiavelli a messer Francesco Guicciardini, presidente della Romagna per il Pontefice.
Signor Presidente. Hieri hebbi la vostra de' dodici, et per risposta vi dirò come Capponi tornò, et questa cura di domandarlo ha voluta Jacopo vostro; ma, come voi dite, io credo che si sarà inteso assai. Puossi far loro in ogni modo un'offerta, acciò che si vegga che voi lo volete, quando e' non si discostino dallo honesto; et non pare a Girolamo et a me che si possa offerire manco di 3000 ducati; pure di questo voi gliene darete quella commessione che vi parrà.
Mi piace che Messer Nicia vipiaccia, et se la farete recitare in questo carnovale, noi verreno ad aiutarvi. Ringraziandovi delle raccomandationi fatte, et vi priego di nuovo.
Questi proveditori delle cose di Levante disegnono di mandarmi a Vinezia per la recuperatione di certi danari perduti. Se io debbo andare, partirò tra quattro dì, et nel tornare verrò di costì per starmi una sera con V. S., et per rivedere gli amici.
Mandovi 25 pillole fatte da 4 dì in qua in nome vostro, et la ricetta fia sottoscritta qui da piè. Io vi dico che me elle hanno risuscitato. Cominciate a pigliarne una doppo cena: se la vi muove, non ne pigliate più, se la non vi muove, dua o tre, o al più cinque; ma io non ne presi mai più che due, et della settimana una volta, o quando io mi sento grave o lo stomaco o la testa.
Io, dua dì sono, parlai di quella faccenda con lo amico, et gli dissi, che se io entravo troppo adentro nelle cose sue di importanza, che me ne havesse per scusato, poiché lui era quello che me ne haveva dato animo, et breviter gli domandai che animo era il suo circa al dare donna al figliuolo. Egli mi rispose, dopo qualche cerimonia, che gli pareva che la cosa fosse venuta in lato, che questi giovani si recavano a vergogna non havere una dote strasordinaria, et non credeva che fosse in suo potere ridurre il figliolo all'ordinario. Dipoi, stando così un poco sopra di sé, disse: — Io mi crederrei apporre per che conto tu mi parli, perché io so dove tu sei stato, et questo ragionamento mi è stato mosso per altra via. — A che io risposi che non sapevo se si indovinava bene o no, ma che la verità era che tra voi et me non era mai stato questo ragionamento, il che con ogni efficace parola gli mostrai, et se io movevo, io movevo da me, et per il bene che io volevo a lui et a me; et qui abbassai la visiera et di lui et di voi, et delle conditioni vostre, delle qualità de' tempi presenti et de' futuri, et dissi tante cose che lo feci stare tutto sospeso. Per che in ultimo egli concluse, che se il Magnifico si volgesse a tòrre per donna una fiorentina, e' sarebbe mal consigliato, se non la cavasse di casa vostra, tanto che io non vedevo come voi, da un suo pari che habbia cervello, havessi da essere barattato a qualunque altro cittadino per due o tremila ducati più, non obstante che la sorte potrebbe fare che, non havendo voi figlioli maschi et la vostra donna havere fermo di farne, che la dote tornerebbe più grassa che quella di colui che prendesse, donde egli non potesse cavarne altro che la dote. Et perché noi andavamo in su questo ragionamento a' Servi, io mi fermai su la porta, et gli dissi: — Io vi voglio dire questa ultima parola in luogo memorabile, acciò che voi ve ne ricordiate: Iddio voglia che voi non ve ne habbiate a pentire, et il figliolo vostro non habbia haverne poco obbligo con voi; — tanto che disse: — Al nome di Idio, questa è la prima volta che noi ne babbiamo ragionato; noi ci abbiamo a parlare ogni dì. — A che io dissi, che non ero mai più per dirgliene nulla, perché mi bastava havere pagato il debito mio. Io ho vòlto questa lancia in questo modo, né si è potuto celare quello che io ero certo che si haveva a scoprire. Sono bene hora per aspettare lui et non mancare di ogni occasione, et con ragionamenti generali et particulari battere a questo segno. Ma torniamo alla ricetta delle pillole.
Recipe
Aloè patico . . . . Dram. 1,½
Carman deos » 1,
Zafferano » — ½
Mirra eletta . » — ½
Brettonica » — ½
Pinpinella » — 1/2
Bolo Armenico . . » — ½
Niccolò Machiavelli in Firenze.
Addì 17 Augusti 1525
Firenze, 6 settembre 1525
Al suo molto honorando da fratello messer Niccolò Machiavelli
In Vinezia.
Niccolò carissimo. Poi che voi vi partisti di qua, Lodovico Alamanni mi ha presentato una vostra lettera, in verbigratia, scritta da voi in favore di un frate che haveva a predicare a Modana per insino di gennaio passato. Et chi della lettera si haveva a servire, come persona pratica, non volle prima presentarla, che ne facessi per ogni rispetto la credenza, come quello che conosceva molto bene l'animo vostro verso i frati. Basta che, quanto a questa parte, voi siate valenthuomo pur troppo, et io non mondo nespole; et questo basti del frate.
Quanto alla parte delle nuove, perché il mondo da poi in qua si è in tanti modi tramutato, però di quelle che allhora scrivesti non bisogna altrimenti discorrere, et di altre nuove non saprei che scrivervi, se io non vi scrivessi come gli Poggesi di Lucca hanno svaligiato a questi dì il Bagno alla Villa, et per non havere altri appoggi, né altre forze, che voi vi sappiate, si sono ritirati con la preda, et hanno fatto più da predatori che da recuperatori di stato.
Che voi siate entrato nello squittino, et che vi siano stati fatti cenni, et chiuso l'occhio dalli accoppiatori, ne sono molto contento; et io nel tempo che sono stato qui ne ho hauto infiniti riscontri. Ho bene havuto caro di intendere donde tanto favore sia proceduto; et poiché dipende di Barberia, et da qualche altra vostra gentilezza, come voi medesimo attestate per la vostra, voi mi chiarite più l'un dì che l'altro. De' vostri figlioli maschi io non intendo la cifra, et se fanno rive de ancilla et de libera et forse della concubina, ne lascio a voi il pensiero. Se prima ne havessi havuto notitia, o da voi o da altri, prima me ne sarei rallegrato; il buon pro vi faccia: Dio ve ne conceda a luogo et tempo consolatione et lagrimatene di tenerezza quanto vi pare.
Questa vostra absentia qua in Barbogeria ha chiarito il popolo che voi siate di ogni mal cagione; et si vede che in tutto redasti li costumi et modi di Tomaso del Bene; perché hora che non ci siate, né gioco, né taverne, né qualche altra cosetta non ci si intende; et così si conosce donde procedeva ogni male. Donato ha preso i panni della Cricca, Baccino non si rivede, Giovanni farebbe et io non mi starei; ma il più delle volte manca o il sito, o le scritture, o il terzo, et sempre manca chi raccozzi la brigata, perché mancate voi.
Io sono ancora qua, et me ne andrò fatto la fiera di 2 o 3 giorni. Aspettovi a Modana; et quivi a grande agio, et senza havere a scrivere, vi ragguaglierò di molte cose che forse vi piaceranno. In questo mezzo attendete a spedirvi, perché qua è gran romore, tra questi mercanti, che voi attendiate a spese loro a trattenere costà litterati; et loro hanno bisogno di altro che di cantafavole; et sapete che non piacciono a ognuno le dicerie, che ne havete pure colta la bocca: o béccati quello aglio.
Non mi saprei tenere di non mi rallegrare pure assai con voi di ogni vostro bene, che sapete che mi pare participarne per la antica amicitia nostra. Voi havete pure un tratto cimentata la sorte, et vi ha fatto sgranchiare, et gittare il pidocchio nel fuoco. Per quello che per le lettere di Vinezia si intende, voi havete riscontro alla lotta dua o tremila ducati, di che gli amici vostri se ne sono tutti rallegrati, et par loro che a quello non hanno gli huomini provvisto per li meriti delle virtù vostre, habbia provvisto la sorte; et benché questa sia piccola cosa a' meriti vostri, pure in tremila ducati che venghino per questa via, maxime senza grado di persona, si fa di gran faccende. Buon pro vi faccia. Havete ben fatto torto alli amici et parenti vostri et a qualcuno che vi vuol bene, a non darne qua avviso, ché l'habbiamo havuto a sapere per lettere di forestieri, et per vie transversali, in modo che il conte de' Mozzi ci sta su tutto confuso, et non sa se sia da prestare fede a questa cosa o no; pure alla fine vi si accorda, vedendo le lettere scritte di costà da mercanti molto fide digni, et anco si fonda assai in su li incanti che voi inparasti in Romagna, et se non fussi questa ferma credenza che lui ha di questa vostra scientia, si dureria fatica a fare che lo credessi. Io, per me, ne sono certissimo, perché non penso che gli huomini che ne hanno scritto, che non sono da chiacchiere, scrivessino una tal falsità. Però di nuovo me ne rallegro, et il buon pro vi faccia; et vi priego che a contentezza delli ami-ci, quando vi occorra più simili sorte, fatene loro in modo parte, che non hab-bino a intenderlo dalle vicinanze; et fatelo con tal destrezza, che non si bandisca qua, come è intervenuto di questi tremila che havete guadagnati hora, perché sendoci qualche oppinione di tramutare gravezza, o porre qualche arbitrio, vi potrebbe in su questa fama essere fitto qualche porro di dietro, che vi potrebbe far sudare gli orecchi altrimenti che a messer Nicia.
Donato ha preso il broncio con voi, da poi che io gli dissi, che voi havevi scritto che dètte le faccelline, et fece il protesto alla conpagnia. Voi vi andate perdendo gli amici: vostro danno. Né altro per hora mi occorre. La lotta vi aiuti, et Francesco del Nero, et li suoi conpagni riscontrino bene, et in buon punto.
Di Firenze, addì 6 di Settembre 1525.
Vostro come fratello Filippo de' Nerli
Ferrara, 28 settembre 1525
Spectabili viro, domino Nicolò Machiavegli, suo honorando.
In Firenze.
Spectabili viro, domino etc. Per la prima comodità che aranno i Dati di Bolognia vi debbe essere mandata la vostra cassa, perché il gorno dipoi la partita vostra la mandai a quella via con un'altra casetta, che viene alla signora Gostanza de' Conti, moglie del signore Lorenzo Salviati; farete d'averla e sarete contento fare o che il Calandro o lo Spina ne dia adviso. Avete a satisfare il porto o altra spesa che vi fussi occorsa da Bolognia a costì, come ne scriveranno quelli di Dato predecti. Ebbi iersera dal signore governatore di Modena una lettera che mi cometteva vi ricordassi che voi gli avevi fatto promessa di andarlo a vedere: non sono stato a tenpo, ché, oltre a ricordarvelo, ve n'arei anche preghato. Ricordovi che, acadendovi alcuna cosa di qua, voi ne comettiate a·ssicurtà, ché più grato mi fia farvi servitio che ad voi forse di riceverlo. E altro non achade. Sono a' chomandi vostri. Dio felice adenpia ogni vostro desiderio. Di Ferrara, addì 28 di 7bre 1525.
Frater Dominicus de Mazzuolis
Firenze, 16-20 ottobre 1525
Niccolò Machiavelli a messer Francesco Guicciardini.
Signor Presidente. Per essere io andato, sùbito che io arrivai, in villa, et havere trovato Bernardo mio malato con dua terzane, io non vi ho scritto. Ma tornando stamani di villa per parlare al medico, trovai una di vostra Signoria de' 13, per la quale io veggo in quanta angustia di animo vi ha condotto la simplicità di Messer Nicia et la ignoranzia di cotestoro. Et benché io creda che i dubbii sieno molti, pure, poiché voi vi risolvete a non volere la esplanatione se non di due, io mi ingegnerò di satisfarvi. « Fare a' sassi pe' forni » non vuol dire altro che fare una cosa da pazzi, et però disse quel mio, che se tutti fossimo come messer Nicia, noi faremo a' sassi pe' forni, cioè noi faremo tutti cose da pazzi; et questo basti quanto al primo dubbio.
Quanto alla botta et allo erpice, questo ha invero bisogno di maggior consideratione. Et veramente io ho scartabellato, come fra Timotheo, di molti libri per ritrovare il fondamento di que-sto erpice et infine ho trovato nel Burchiello un testo che fa molto per me, dove egli in un suo sonetto dice
Temendo che lo inperio non passasse
si mandò inbasciatore un paiol d'accia,
le molle et la paletta hebbon(o) la caccia,
che se ne trovò men(o) quattro matasse
ma l'erpice di Fiesole vi trasse...
Questo sonetto mi par molto misterioso, et credo, chi lo considererà bene, che vadia stuzzicando i tempi nostri. Ècci solo questa differenzia: che, se si mandò allhora un paiolo di accia, si è convertita quella accia in maccheroni, tanto che mi pare che tutti li tempi tornino, et che noi siamo sempre quelli medesimi. Lo erpice è un lavorio di legno quadro che ha certi denti et adoperonlo i nostri contadini, quando e' vogliono ridurre le terre a seme, per pianarle. Il Burchiello allega l'erpice di Fiesole per il più antico che sia in Toscana, perché li Fiesolani, secondo che dice Tito Livio nella seconda deca, furono i primi che trovarono questo instrumento. Et pianando un giorno un contadino la terra, una botta, che non era usa a vedere sì gran lavorio, mentre che ella si maravigliava et baloccava per vedere quello che era, la fu sopraggiunta dallo erpice, che le grattò in modo le schiene, che la vi si pose la zampa più di due volte, in modo che, nel passare che fece l'erpice addossole, sentendosi la botta stropicciar forte, gli disse: — Senza tornata; — la quale voce dette luogo al proverbio che dice, quando si vuole che uno non torni: « Come disse la botta all'erpice ». Questo è quanto io ho trovato di buono, et se V. S. ne avesse dubitatione veruna, avvisi.
Mentre che voi sollecitate costì, et noi qui non dormiamo; perché Lodovico Alamanni et io cenamo a queste sere con la Barbera et ragionamo della commedia, in modo che lei si offerse con li suoi cantori a venire a fare il coro in fra gli atti; et io mi offersi a fare le canzonette a proposito delli atti, et Lodovico si offerse a darli costì alloggiamento, in casa i Buosi, a lei et a' cantori suoi; sì che vedete se noi attendiamo a menare, perché questa festa habbia tutti i suoi compimenti. Raccomandomi.
Niccolò Machiavelli
Firenze, post 21 ottobre 1525
Niccolò Machiavelli a messer Francesco Guicciardini.
Signor Presidente. Io non mi ricordo mai di V. Sig. (che me ne ricordo ad ogni hora) che io non pensi in che modo si potesse fare che voi ottenessi il desiderio vostro di quella cosa che io so che intra le altre più vi prieme; et in fra i molti ghiribizzi che mi sono venuti per l'animo, ne è stato uno il quale io ho deliberato di scrivervi, non per consigliarvi, ma per aprirvi uno uscio, per il quale meglio che ogn'altro saprete camminare. Filippo Strozzi si truova carico di figlioli et di figliole, et come e' cerca a' figlioli di fare honore, così gli pare conveniente di honorare le figliole, et pensò anche egli, sì come tutti i savii pensono, che la prima havesse a mostrare la via alle altre. Tentò, in fra gli altri giovani, di darla a un figliolo di Giuliano Capponi con 4000 fiorini di dote; dove egli non trovò riscontro, perché a Giuliano non parve di farlo; onde che Filippo disperatosi di potere da sé medesimo far cosa buona, se già egli non andava con la dote in lato che egli non vi si potesse dipoi mantenere, ricorse al papa per favori et aiuti, et per suo indirizzo mosse la pratica con Lorenzo Ridolfi, et la concluse con fiorini 8000 di dote, ché quattromila ne paga il papa, et quattromila egli. Pagolo Vettori, volendo fare un parentado honorevole, né gli bastando la vista a potere dare tanta dote che bastasse, ricorse ancora egli al papa, et quello, per contentare Pagolo, vi misse con la autorità 2000 ducati del suo.
Presidente mio, se voi fosse il primo che havesse a rompere questo diaccio per caminare per questo verso, io sarei uno di quelli che per avventura andrei adagio a consigliarvi che voi ci entrassi; ma, havendo la via innanzi fattavi da due huomini, che per qualità, per meriti et per qualunque altra humana consideratione non vi sono superiori, io sempre consiglierò che voi animosamente et senza alcuno rispetto facciate quello che hanno fatto eglino. Filippo ha guadagnato con i papi centocinquanta-mila ducati, et non ha dubitato di richiedere il papa che lo sovvenga in quella necessità; molto meno havete a dubitar voi che non havete guadagnato ventimila. Pagolo è stato sovvenuto infinite volte et per infinite vie, non di ufficii, ma di danari proprii, et dipoi, senza rispetto, ha richiesto il papa lo sovvenga in quello suo bisogno; molto meno rispetto dovete havere voi a farlo, che non con carico, ma con honore et utile del papa siate stato aiutato. Io non voglio ricordarvi né Palla Rucellai, né Bartolomeo Valori, né moltissimi altri, che dalla scarsella del papa sono stati ne' loro bisogni aiutati, i quali esempli voglio che vi faccino audace al dimandare, et confidente ad ottenere le domande. Pertanto, se io fossi nel grado vostro, io scriverrei una lettera al vostro agente a Roma, che la leggesse al papa, o io la scriverrei al papa, et fareila presentare dallo agente, et a lui segretamente ne manderei copia, et gli inporrei vedessi di trarre di quella la risposta. Vorrei che la lettera contenesse come voi vi siete affaticato dieci anni per accquistare honore et utile, et che vi pare assai bene in l'una et l'altra cosa havere a tal desiderio satisfatto, ancora che con disagi et pericoli vostri grandissimi, di che voi ne ringraziate Iddio prima, et dipoi la felice memoria di papa Lione, et la sua Santità, da i quali voi il tutto ricognoscete. Vero è che voi sapete benissimo che se gli huomini fanno dieci cose honorevoli, et dipoi mancono in una, maxime quando quella una è di qualche inportanza, quella ha forza di annullare tutte le altre; et perciò, parendovi in molte cose havere adempiuto le parti di uno huomo dabbene, vorresti non mancare in alcuna; et fatto un simil preambulo, io gli mostrerrei quale è lo stato vostro, et come vi trovate senza figlioli maschi, ma con 4 femmine, et come vi pare tempo di maritarne una; la quale, quando voi non maritiate in modo che questo partito corresponda alle altre inprese vostre, vi parrà non havere mai operato cosa alcuna di bene. Et mostrato dipoi che a questo vostro desiderio non si oppone altro che i cattivi modi et le perverse usanze de' presenti tempi, sendo la cosa ridotta in termine, che quanto un giovane è più nobile et più ricco, posposte tutte le altre considerationi, maggior dota vuole; anzi, quando non la habbino grande et fuori di ogni misura, se lo reputano a vergogna; tanto che voi non sapete in che modo vi vincere questa difficultà, perché, quando voi dessi tremila fiorini, sarebbe insino a dove voi potessi aggiugnere, et sarebbe tanto che quattro figliuole se ne portebbono dodicimila, che è tutto l'utile fatto ne' pericoli et affanni vostri: né potendo ire più alto, voi cognoscete questa essere una mezza dote di quelle che vogliono costoro; donde che, per unico rimedio, voi havete preso animo di fare quello che i maggiori amici suoi, intra i quali voi vi reputate, hanno fatto, cioè di ricorrere per favore et aiuto alla sua Santità, non potendo credere che quello che gli ha fatto ad altri e' nieghi a voi. Et qui gli scoprirrei qual giovane voi havessi in disegno et come voi sapete che la dote et non altro vi guasta; et perciò conviene che sua S.tà vinca questa difficultà; et qui strignerlo et gravarlo con quelle più efficaci parole che voi saprete trovare, per mostrarli quanto voi stimiate la cosa; et credo certo che se la è trattata a Roma in quel modo si può, che vi sia per riuscire. Pertanto non mancate a voi medesimo, et se il tempo et la stagione lo comportasse, vi conforterei a mandarci a questo effetto Girolamo vostro, perché il tutto consiste in domandare audacemente, et mostrare mala contentezza non ottenendo; et i principi facilmente si piegano a far nuovi piaceri a quelli a chi eglino hanno fatto de' vecchi, anzi temono tanto, disdicendo, di non si perdere i benefitii passati, che sempre corrono a fare de' nuovi, quando e' sono domandati in quel modo che io vorrei che voi domandassi questo. Voi siete prudente, etc.
Il Morone ne andò preso, et il ducato di Milano è spacciato; et come costui ha aspettato il cappello, tutti gli altri prìncipi l'aspetteranno, né ci è più rimedio. Sic datum desuper.
Veggio d'Alagna tornar lo fiordaliso
et nel vicario suo, etc.
Nosti versus, cetera per te ipsum lege. Facciamo una volta un lieto carnesciale, et ordinate alla Barbera uno alloggiamento tra quelli frati, che, se non inpazzano, io non ne voglio danaio, et raccomandatemi alla Maliscotta, et avvisate a che porto è la commedia, et quando disegnate farla.
Io hebbi quello augmento insino in cento ducati per la Historia. Comincio hora a scrivere di nuovo, et mi sfogo accusando i principi, che hanno fatto tutti ogni cosa per condurci qui. Valete.
Niccolò Machiavelli historico, comico et tragico
Firenze, 19 dicembre 1525
Niccolò Machiavelli a messer Francesco Guicciardini.
Signor Presidente. Io ho differito a rispondere all'ultima vostra sino a questo dì, sì perché e' non mi pareva che gli inportassi molto, sì per non essere stato molto in Firenze. Hora, havendoci veduto il vostro maestro di stalla, et parendomi poter mandarle sicure, non ho voluto differire più. Io non posso negare che i rispetti havete, quali vi tengono dubbio, se gli è bene tentare quella faccenda o no per quel verso, non siano buoni, et saviamente discorsi; nondimeno io vi dirò una mia oppinione, la quale è che si erri così ad essere troppo savio, come ad essere un via là vie loro; anzi lo essere così fatto molte volte è meglio. Se Filippo et Pagolo havessino hauto questi rispetti, e' non facevono cosa che volessino, et se Pagolo non ha più figliole che dieno ordine alle altre, ne ha Filippo, il quale non vi ha pensato, pure che gli acconci la prima a suo modo; et non so se si è vero quello che voi dite, che voi metteresti la prima in Paradiso per mettere l'altre in Inferno; poiché questo fatto non vi farebbe con le altre in peggior conditione, che voi siate hora con tutte; anzi in migliore, perché gli altri generi, oltre ad havere voi, harebbono un cognato honorevole, et potresti trovare de' meno avari et più honorevoli: pure, quando non gli trovassi, lo havere per le altre di quella sorte che si troverebbono hora per questa non è per mancarvi. Infine, io tenterei il papa in ogni modo, et se io non venissi a mezza spada il primo tratto, io glie ne parlerei largo modo, dire'gli generalmente il desiderio mio, pregherre'lo me ne aiutasse, vedrei dove lo trovassi, andrei innanzi et mi ritirerei indietro, secondo che procedesse. Io vi ricordo il consiglio che dètte quel Romeo al duca di Provenza, che haveva 4 figliole femmine, et lo confortò a maritare la prima honorevolmente, dicendoli che quella darebbe regola et ordine alle altre, tanto che lui la maritò al re di Francia, et detteli mezza la Provenza per dote. Questo fece che egli maritò con poca dote le altre a tre altri re; onde Dante dice:
Quattro figlie hebbe, et ciascuna regina
della qual cosa al tutto fu cagione
Romeo, persona humile et peregrina.
Io ho caro intendere le quistione di quelli frati, le quali io non voglio decidere qui, ma in sul fatto, et noi sareno per andare con chi meglio ci farà. Ma io vi so ben dire che, se la fama gli sconpiglia, la presenza gli accapiglia.
Delle cose del mondo io non ho che dirvi, essendosi ciascuno raffreddo per la morte del duca di Pescara, perché innanzi alla sua morte si ragionava di nuovi ristringimenti et di simil' cose; ma morto che fu, pare che altri si sia un poco rassicurato, et parendoli haver tempo, si dà tempo al nimico. Et concludo infine che dalla banda di qua non si sia per far mai cosa honorevole o gagliarda da campare o morire giustificato, tanta paura veggo in questi cittadini, et tanto mal vòlti a fare alcuna oppositione a chi sia per inghiottirne, né ce ne veggo uno discrepante, in modo che chi ha a fare consigliandosi con loro, non farà altro che quello si è fatto sino a qui.
Addì 19 di Dicembre 1525.
Niccolò Machiavelli in Firenze
Faenza, 26 dicembre 1525
Spectabili viro Niccolao de Machiavellis uti fratri honorando.
Florentiae.
Niccolò honorando. Io comincerò a rispondervi dalla commedia, perché non mi pare delle meno inportanti cose che noi habbiamo alle mani, et almanco è pratica che è in potestà nostra, in modo non si gitta via il tempo a pensarvi, et la recreatione è più necessaria che mai in tante turbulentie. Io intendo che chi ha a recitare è a ordine; pure gli vedrò fra pochi dì, et perché non si accordano allo argumento, quale non intenderebbono, ne hanno fatto un altro, quale non ho visto, ma lo vedrò presto; et perché desidero non sia con l'accqua fredda, non credo possiate errare a ordinarne uno altro conforme al poco ingegno delli auditori, et nel quale siano più presto dipinti loro che voi. Disegno si faccia pochi dì avanti il carnovale, et la ragione vorrebbe che la venuta vostra fosse innanzi alla fine di gennaio, con animo di stare qui insino a quaresima, et gli alloggiamenti per la baronia saranno in ordine; ma, di grazia, avvisate la resolutione vostra, et serio, perché queste non sono cose da negligere; et io in verità non sarei entrato in questa novella, se non havessi presupposto al certo la venuta vostra.
De rebus pubblicis non so che dire, perché ho perduto la bussola, et anco sentendo che ognuno grida contro quella oppinione, che non mi piace, ma mi pare necessaria, non audeo loqui. Se non mi inganno, conosceremo tutti meglio e mali della pace, quando sarà passata la opportunità del fare la guerra. Non veddi mai nessuno che, quando vede venire un mal tempo, non cercasse in qualche modo di fare pruova di coprirsi, eccetto che noi, che vogliamo aspettarlo in mezzo la strada scoperti. Però, si quid adversi acciderit, non potreno dire che ci sia stata tolta la signoria, ma che turpiter elapsa sit de manibus.
Voi mi havete fatto cercare di un Dante per tutta Romagna, per trovare la favola o vero novella del Romeo, et in fine ho trovato il texto, ma non vi era la chiosa. Penso che sia una cosa di quelle che voi solete havere piene le maniche; sed ad rem nostram: i consigli vostri sono apud me tanti ponderis, che non hanno bisogno di autorità di altri. Pare il tempo di hora per un mese o dua molto contrario a pigliare di simil' cose, perché credo, anzi sono certo, che non habbiamo manco sospeso i cervelli che le armi, et però harò commodità di pensarci maturamente, et voi interim, quando vi si presentasse qualche buona occasione, so che non mancheresti dello officio di vero amico; et a voi mi raccomando aspettando risposta.
Faventie, die 26 Decembris 1525.
Vester Francesco Guicciardini