Edizione di riferimento
Niccolò Machiavelli, Tutte le opere a cura di Mario Martelli, Sansoni Editore, Firenze 1971
Edizione di riferimento per le lettere aggiunte segnalate dalla dicitura bis accanto al numero:
Niccolò Machiavelli, Opere, vol. II a cura di Corrado Vivanti, Biblioteca della Pléiade, Einaudi, Torino 1999.
Roma, 4 marzo 1507
Spectabili viro domino Nicolao Malchiavello compatri nostro carissimo.
F. de Soderinis tituli S.te Susannae presbiter Car.lis Vulterranus.
Spectabilis vir compater noster amantissime, salutem. Quanto la vostra lettera è suta più copiosa, tanto più ci ha dato piacere, perché habiamo inteso chiaramente come procede el principio militare, che corresponde alla speranza nostra pro salute et dignitate Patriae. Né si vole credere che le altre natione ad questi tempi siano superiore al nostro peditato, se non perché loro retengono la disciplina, quale già gran tempo è sbandita de Italia. Et non debbe essere poca la contenteza vostra, che per vostre mano sia dato principio a si degna cosa: vogliate perseverare et condurla al desiato fine.
Saviamente scrivete che ad questo principio sopra tutto bisogna la iustizia, così ne la cità come nel contado. Et benché lo ill.mo S.r Confaloneri intenda la necessità publica et ad quella dia ogni opera, pure, excitati dal scrivere vostro, al presente recordamo et non cessaremo per lo advenire di recordare quanto ne scrivete, che ancora noi stimiamo sia necessario.
Le cose scripte da voi sono de natura che le pò legere ogni castigato iudicio; et se in ciò non havete posto ogni vostra industria, come voi dite et noi crediamo, pensate de che prestantia saranno le cose, alle quale metterete tutta la forza de l'ingegno et doctrina vostra. Al che vi confortiamo quanto sia possibile. Et preghiamo che alla giornata ne fate participe de le vostre lucubrationi. Bene valete.
Rome iiii Martii M. D. VI.
Firenze, 20 aprile 1507
Spectabili viro Nicolao Machiavello, secretario florentino, tanquam fratri.
Spectabilis vir, etc. Sarà delle presenti exhibitore Antonio di Michele di Giusto dalla Castellina di Chianti, amico mio, il quale pare che voi habbiate scripto et messo in lista insieme cum Michele, suo figliuolo; et perché Antonio per la età sua non è apto a l'armi, et Michele, per essere calzolaio et quello che governa la bottegha, non la può lasciare sanza grandissimo incommodo et danno; però vi pregho siate contento per amore mio levare l'uno et l'altro di lista et lasciarli indrieto, acciò possino attendere alli loro exercitii, che me ne farete singolare piacere, offerendomi paratissimo a' vostri beneplaciti. Che Dio vi conservi.
Florentiae, xx aprilis MDVII.
Johannes Rodulphus
Cigliano, 14 giugno 1507
Domino Nicholò di messer Bernardo Machiavegli, in Firenze.
Nicholò karissimo. Per lo Ispratichino per atri avétte inteso chome e·Gaza ha fatto mazzi de' sua salci, che era da alzare le mane a cielo, dapoi era venuto da lui l'andarsene. Sendo istasera a Sancta Andrea chol prete, ci chapitò a le mani dua o tre lavoratori, de' quali ci siàno risolutti di dàlo a l'aportatore di questa, che sono tre frategli e àno una sirochia, che ve n'è dua da 20 anni, e là è l'atro per ghuardare le bestie, e sono buone persone e stanosi benisimo, da no·vi dare disagio da achatare nula da voi, e faranoci onore. Ora, e·prette, intendendo che gli era venuto chostì a voi u·certo Vetorio che sta a pigone i·Sachasciano, no·ci pare sia e·bisogno vostro, perché è più tosto per atendere a merchatare che a lavorare, e rimane che io vi scrivesi, a ciò che voi no·vi lasciate inganare da persona, e lui dise che vi iscriverebe e ch'egli sare'vi domatina. E' verò a trovarvi, e verà a la ventura anche e·prete, e rimareno a questa chosa, sì che intendete da l'aportatore u·pocho e·bisogno vostro di quelo àne a fare, e poi ci risolvereno.
E·prete dicce che voi no·pensiate a nula, ché à già ogi fatto seghare uno mezo chanpo, e·resto à chome aloghato, ogni chosa andrà bene, sì che no bisogna che di questo ci pensiate punto, perché àne buono amore a le chose vostre. No·dirò atro. Saròvi domatina e rivedrenci dapreso. Christo di male vi ghuardi.
A dì 14 di gugno 1507.
Vostro Lorenzo de' Berardi, a Cigliano
Pescia, 15 giugno 1507
Spectabili viro Nicholò Machiavegli, segretario de' nostri signori.
Al nome di Dio, a dì 15 di giugnio 1507.
Carissime, etc. Iersera a ore una di notte ebi la vostra, per la quale disiderate intendere se è chapitato qua Batista di maestro Iachopo da Bolognia, che sta a Bugano; apresso, se chon lui è venuto uno govene del Chasa, vostro lavoratore e debitore di lire 200. Per aviso: chome si mandò a fare el ragonevole servigo; et, per non esere lungho, ò qui nella prigone detto lavoratore vostro (el quale à la donna et 2 figliuoli a Bugano), per seghuirne l'ordine vostro. Però avisate. Lui dice esere debitore, ma che à lascato tanto, che si può paghare, et che s'è partito, per non potere paghare el chamerlingho et non volere stare per le prigoni. Né altro ho da dire. Vostro sono. Christo vi ghuardi. In Pescia,
Bartolomeo da Filichaia, vicario e comisario
El bologniese non è in paese et, sechondo uno suo fratello che è chonparso quivi, dice lui esere a Bolognia. Per aviso.
Fivizzano, 30 luglio 1507
Spectabili domino Nicolao Maclavello dignissimo secretario apud D. Novem militiae Reipublicae Florentinae.
« Se io mi dolsi, et hora mi ridolgo », quando io pensavo chene huomini della qualità vostra avessino ad essere le gruccie et il sostegnio della vita mia et de risolvermi e mia dubbi, et che hora me usciate adosso con sì facte cose, le quali mi paiono come addimandare quale fu prima (h)o la machina del cielo (h)o l'astrologia, (h)o quale sia più densa (h)o l'acqua (h)o 'l globo della terra, (h)o qual sieno più perfectte (h)o le figure triangulate (h)o ' circuli tondi. Hor non sapete voi che poche poche amicitie sono state quelle che in prociesso di tempo non diventino il suo contrario? et, come l'omo inella sua giovanezza, (h)o per me' dire infantia, se deletta di mano in mano di mutare le vestimenta et di varii colori, così medesimarnente si mutano le amicitie? et, venendo poi nell'età più matura, chi per defecto de compressione et chi hopresso da una sordida et meschina povertà, così ancora da emulatione di stati et da varii sdegni, fanno tutte queste cose con lungezza di tempo diventare li uomini d'amici innimicissimi? Hor non sapete voi che lo inperio et grandezza di Roma fu difactto per conto delle amicitie infinitissime volte? O chi furono maggiori amici che Collatino et il figliuolo di Sesto Tarquinio? per la qual cosa ne venne la ruina de' regi et totalmente di quella familglia. Et disciendendo poi a' tempi di Mario et Silla, la quale confederatione non fu mai pari, et finalmente ne seguitò la perturbatione di quel pacifico et populare governo di quella città. (H)o non v'è elli noto la fratellanza et congniuntione di Iulio Ciesare et il magnio Pompeo? Et così ancora de el triunvirato, cioè Antonio et Hottavio et Lepido, che non solamente messono in ruina la patria loro, ma quasi tutto il circulo della terra? Et se non che l'ora è pure tarda, io enpierei una lisima di folgli de esenpri ebrei e greci e latini. Ma che bisongnia riciecare le cose antiche, quando ne' tempi nostri moderni, et noi con lli nostri hochi abiamo più et più volte veduto per simili efetti la patria nostra in grandissima ruina et angustia? Dove fu maggiore familiarità et amicitia che in fra Dietisalvi et Piero di Cosimo, et cosa ancora poi in fra Giuliano et Francesco de' Pazi? et vedete che icielerato fine n'è seguìto. Ma e' mi pare de continuo sentire qualcuno di voi che legiendo questa letera non ischingniazzi et che non dichi: (H)o queste cose non seguitorno quando l'amicitia durava, ma dipoi che fatti furono inimici. Et io rispondo che tutti li efectti sono generati dalle cause loro, et però si può dire iustificatamente che quasi pro maiori parte tutte le ruine delle città sieno causate et generate dalle intrinseche et cotidiane amicitie, le quali generono col tempo et massime nelli homini grandi, pelle ragioni preallegate di sopra, simili et cotali efetti. Et però, carissimi amici, io ve esorto et conforto et imo priego ad volere usare in fra voi moderatamente et civilmente, prima perché io giudico sieno più per durare, et etiam per evitare tutte le suspitioni et gelosie le quali solgliono nasciare in simile città.
Ma perché questa mia lettera non diventassi cantafavola, farò fine al mio sermone, ricordandovi solamente una cosa: e questo è a patientia circa al trionfo di Germania, e chi si fa bello d'avervelo inpedito, non à et non trionferà però dell'Asia, et di coteste cose non v'à mancare se non quelle non vorrete. Nec alia.
Ex Fivizana, die xxx Iulij MDVII.
Io ve priego che e' non vi incresca racomandarmi al Mag.co Gonfaloniere quando capitate su; ma questa parola bisongnierebbe fussi in sur uno pringetto che agiungnessi insino a costì et a mala pena lo faciessi; ma io sono chiaro d'una cosa: che voi metterete un dì in oblivione voi medesmo, et basti. Voi me avisate che state tutti coll'arco teso che Gigi Mannelli non venga: se voi l'avete a sconchare, schochatelo nel forame a Masino del Tovalglia. Fatevi con Dio, et atendete a stare lieti et racomandatemi a Paolo, a Giovan Batista, a Luigi, a messer Francesco, a Tomaso del Bene, et basti.
Vostro Philippo Casavecchia, commissario
Cascina, 30 luglio 1507
Spectabili viro Nicholao de Machiavellis secretario florentino amico precipuo.
Florentiae.
Machiavel gentile et non sciagurato, che ne sei guarito interamente, havendo per la tua de' xxiii dischorso in modo che sono inluminato di molte cose, alle quale non voglio fare replicha, perché el tempo non serve et anche chi scrive à preso pocho foglio. Piacemi che ti chachassi la imperial commissione, poi che sei sanifichato in tutto; et credo sia molto al proposito, maxime tuo, trovarti più presto a Firenze che in Thodescheria, come dischorreremo una volta quando saremo insieme.
Le cose si ristringhano, et interverrà a molti come a' fanciulli, che sono qualche volta lassiati fare corpacciate da' padri o dalle madre di cose che loro ne hanno gran contento, et poi quello è il propio mezo a torli loro. Però chi si trova d'uno buono animo, recto et a Idio et al ben comune, ragionevolmente in tutti li eventi si può fare juditio si habbia meglio a resolvere, et sia richo o povero, o di qualità o non qualità, come si voglia.
Lo amicho napoletano interpetra sì bene spesso le cose al contrario, che se comentò quella male, non fu gran facto: ho molto charo, acciò che tu conoscha gli huomini, che interpetrassi a quel modo et tu lo habbi saputo. Quando sarà piovuto et rinfreschato, vi aspetto a ogni modo, cioè Alexandro, Biagio et tu. Et se alle volte in questo mezo tu scrivessi, non sarebbe però pechato mortale. Se el battaglione non è in altro termine che tu mi dicha, posso farne buon juditio et vero. Nec alia. Raccomandandomi a te et al Zampa.
Cascinae, die xxx Julii MDVII.
Alexander Nasius Gen.lis Coms.rius
Firenzuola, 3 agosto 1507
Magnifico domino Nicholao de Machiavellis, secretario dominorum Novem[ ... ] cum militie rei publice florentine, meo observandissimo.
Florentiae.
Magnifice vir. Per venire lì il conestabile di Firenzuola, non me distenderò a lungo: solo ò a dire a vostra magnificentia de haver visto tutti li battaglioni, excepto quelli de Valdelsa; et, per quanto ho visto, non è cosa me sia piaciuto più de questo, et cum altro ordine che li altri, che giuro a quella che homini già stati in nel misterio venti anni non me hariano potuto meglio sobdisfare, senza tumulto et cum una ubbidientia mirabile, quale non credia, essendo le genti in modo sa vostra magnificentia. Pertanto, essendo decto conestabile a voi amicissimo, non me achade recomandarlo a quella: solo, havendosi a fare cosa alcuna, prego se vogli de lui servire, perché è per fare honore a quella. Alla quale suplico me vogli tenere per ricomandato allo illustrissimo gonfaloniere et a' nostri signori nove, li quali dalli rectori de' lochi delli portamenti mei se poteranno informare. Nec alia.
Ex Florentiola, iii augusti 1507.
De vostra magnificentia più che suo don Michel de Corella mano propria
Fiorenzuola, 15 settembre 1507.
Al magnifico messer Niccolò Machiavelli secretario de li Magnifici signori Novi [..] mio onorando. In Fiorenze.
Magnifico messere Niccolò mio. Ho ricevuto una lettera fatta a' 10 di setenbre: del che sto el piú spantato omo del mondo, a dirmi che si dice che io sia diventato partigiano. È ben verro che io so' partigiano di quelli che serveno la eccelsa Signoria vostra, et che sonno obidienti.
A la parte che V. S. mi scrive che vole intendere che io volevo pigliare uno di que' del Bello, che averà caro sapere la cosa come passò, la cagione si è questa che, asentato al palazo de la porta del capitano di Castrocara, viene a me una povera donna, dicemi: «Signore, vi voría dire dieci parolle per l'amor di Dio». Di che io m'apartai con essa da uno canto per intenderla. Come fu' apartato con esso lei, s'inginochiò e cominciò a piagnere cridando: «Misericordia, iustitia, iustitia». Dimandai: «Che cossa ài bona donna ? levati su, leva su». Disce: «Signore, c'è uno magniano forestiere, che m'à tolto una mia figliola per forsa, vergine, et à fatto quel ch'à voluto con lei: e mo' ricerca di portarmene una altra». Io li dissi: «Bona donna, è costui in la terra?». Disce: «Signore sí; datemi due o tre fanti, che io insegnerò chi è». Allora ci donai tre fanti, e essa donna mandò uno suo parente con quelli fanti a insegnarcelo. Li dui fanti piglioro per una strada, che furro bene informati che veste portava costui, e l'altro andò con el garzon per una altra strada. Quello c'andò con el garzon si scontrò con questo magniano, et aveva commessione da me di pigliarlo et menarlo al palazo, dinanzi al capitano et a me, che l'aspetavamo al palazo.
In questo darli di picca per menarlo, che esso comincia a fare resistenzia, per modo che stando apresso a una cassa di uno di questi del Bello, o di Pier Francesco, che io ho poca pratica in quelle casse, entrò dentro, et el fante dirieto, cridando l'uno e l'altro. Sentendo il romore, mi levai da sedere e corsi là. Entrai dentro la cassa, trovai lí Achille del Bello con uno mezo lancione in mano, adosso a quello fante mio, discendo che non lo meneria, che s'andase con Dio, si non, che faria e diria. Io in questo stante, dissemi el fante: «Signore, in questa canbera sta el magniano». Allora dissi: «Achille, damolo, sí non, ch'i' farò qualche pazía ogi». E mi disse che potía fare, che non era per darmello, e non volía che si cavasse di là. Io allor li comandai, per quanto aveva car la grazia de' nostri eccelsi Signori, c'andasse in palazo. Lui mi disse, che non ci voleva andare. Allor lo pressi per el petto per menarlo via. In questo giunse el fratello et piú di quaranta omini di Acugiano armati. Io allor vedendo questo, andai di fora, e pressi una rotella e fei armare la compagnia, e ritornai a entrare dentro, deliberando o di aver costui intro le mani o morir, per modo che el capitano medesimo di Castricara venne allí; e per tanta la furia che c'era, io non lo vidi mai e tornosene a iscire. Di poi tornò per me, e loro m'inpromisseno di menare quello magniano in palazo, e venire lorro ancorra. E cossí m'iscii de la cassa, et andamene in palazo insieme con el capitano; et di poi a uno poco menarro el malfattore, e loro ancora s'apresentorro dinanzi a la signoria del capitano et a me.
Quando furro allí, io dissi al capitano: «Ecco qua el malfattore»; et a costorro: «Adesso che so' dinanzi a la signoria vostra, io non me ne voglio piú inpaciare. Basta che io ho fatto quello che ogni bon servitore della eccelsa Signoria deve farre». El capitano et uno ser Bacio et uno ser Giovani che mi sonno amici, e lorro ancora mi sonno amici, ma in quello stante mi tocava piú la camiscia che il giubone, mi pregarro che fascesemo pace insieme, e che io non scrivessi di questa cossa a Fiorenza né farne iscrivere; e cosí 1'inpromissi di fare; e che io non erro costumato di scrivere né fare iscrivere di queste frascaríe. E cosí una matina c'invitorno a desinare a la signoria del capitano et a me, e desinamo tutti insieme.
Si ve par che io in questa parte abi pecato di Spirito Santo, prego la Signoria vostra che dica a questi tali che v'ànno contato questo casso, che insieme con la Signoria vostra mi dieno quella penitenzia che pare a lor Signorie; si li par che io ahi peccato di Spirito Santo, come ho ditto di sopra: ché io doveva fare altra cossa che io non fei, che tutti son grandissimi servitor di Marzocco di parolle e gra' merzè al capèllo, di Castricar e di Modigliana e Maradi, che vedreben la fedelità dove sta. Un dí serò con la Signoria vostra, e vi conterrò cosse e faròvi tocar con mano che vi farò spantare, che non le uso iscrivere; chè io ho servito in questo mondo qualche re e dui pontifici, come la Signoria vostra sa, e non li scrissi mai che non si degniassen di farmi far la risposta, e maxime in cosse che fusse in servizio de lor Santitate e di lor Signorie. E di quante volte ho scritto a la eccelsa Signoria et al Confalonieri mai ho auto risposta, di uno ano e mezo che io sto con lor Signorie. Ma credo che sia l'usanza del paese cossí; perciò non mi maraviglio. Io avevo promisso di non scriver di questa cossa, ma m'è stato forza di darne ragione a la Signoria vostra, che so mi ama et volmi bene. Non n'averia scritto per cossa nissuna a persona del mondo. El capitan di Castricarra passato è meglio informato che non so' io, et esso potrà dire el tutto a la Signoria vostra. E credo che lorro non abino scritto di questa cossa a Fiorenze, perché io apria el sacheto poi quando credessi avessino scritto niente.
A la parte che dite che io so' diventato parzial de l'arciprete, non voglio altro testimon si non el capitan di Castricara, che per infin al primo giorno li dissi che sería el meglio che si levassi e l'arciprete et alcuno altro di Romagna; de li quali ne mandai la Lista per ser Apardo mio cancilier a la eccelsa Signoria; e tutti li retòri si acardarà' con me che 'l si levaseno di Romagna per alcuno anno; et uno ce n'è costà che non bisogna mandarlo, el quale è l'arciprete. Guardate si io l'erro parziale, che dite che io vo con li suoi seguaci. Chi l'à ditto a la Signoria vostra, ne mente falsamente per la gola, che io non praticavo con altri si non con uno vechio che si domanda Giorgio de la Golfaia, che pageria la metà de la roba sua e stare in pace. Et esso mi prestò uno letto in che io dormissi.
A la parte di Matteo Facenda, fo intendere a la Signoria vostra, che v'à ditto la magior falsità del mondo; che da poi so' stato in Castricara, non è mai stato in su el tenitorio de' fiorentini. E ci ano rotto la testa al capitan di Castricarra et a me, che lo volessemo fidare per venire a parlare con esso noi a dire la ragion soia. Noi non l'aviem mai volsuto fare né sentito mentovare: et trovavassi allora a Vagnio a Cavallo' E di questo ne serà bon testimonio el capitan di Castricara. Et perché cognosciate voi le tristizie di quelli che vogliono macular l'onore d'uno gentilomo, per ben che di queste cosse non me ne curro niente, ne starò al paragon dinanzi a Dio, non tanto a li omini del mondo, ché dice il proverbio: Piscia chiaro et incanane el medico. Ché ho ancora le strutione che V. S. mi dè già uno ano e mezo fa, et òlle in el core et entro la testa: cioè, che mi disse che io non volessi mangiare mai in cassa di capo di parte, e che non volessi pigliare amicizia con esbanditi che aveseno bando del capo, e ribelli della Signoria. È ben verro che in questo tempo ne ho parlato a dui o a tre, che l'ò fidati, solamente che mi veniseno a parlare, perché m'avevano promisso di farmi avere de li altri inele mane. De li tre me n'è riuscito uno bene.
Preterea, la notte che arivai a la rocca che veni di Fiorenzola, subito el sepeno a Castricarro; donde c'andò questo Francisco del Bello, et avisò o fe' avisare a Matteo Facenda, che stava in la pieve de l'Arciprete, come io erra in paesse, che s'andassi con Dio. Donde colui subito cavalcò et misesi in via. Donde che 'l diavolo l'aitò, che in questo tenpo lui si scontrò con parechi cavalli di Bartolomeo Moratini inimico suo che sta in Forlí; de che li deno la cacia per infin a Bagnio a Cavallo; e scapò per ugnia di cavallo. De che non caveria del capo a Mateo Facenda che costui non l'avesse fatto a posta: de che recerca el ditto Mateo Facenda de far dispiacere a Francesco del Bello, credendo abi fatto ispia a Bartolomeo Moratini. Come hai saputo tute queste cosse, don Michele? Io vi dirò. Uno povero omo, parente di Mateo Facenda, parlando con esso meco, me dise questa cossa, come Mateo Facenda aveva questo malo animo verso di costui. Di che me n'andai al capitano di Castricara, e conta' li questa cossa. Di che mi contò punto per punto come erra verro, che l'aveva saputo ancorra lui; et cosí avisàno che si guardassi el ditto Francesco del Bello. Queste sono le parte che tengo io; si vi pare che sieno parte, giudichelo V. S.
A la parte che V. S. me avisa d'una vigna ch'è d'Anton Corsini, vi rispondo, che è ben vero che Feragan di Castricare tiene uno balestier de li mei, solo lui et el figliolo, e pregollo che volesse venire con lui a vendemiar una vigna, la qual vigna erra d'Anton Iacomini; e che certi sbanditi non ce la lasavan vendemiar. De che questo balestier, esendo stato senitore d'Anton Iacomini, andò con el detto figliol de Feragano (Como sai tu questo don Michele?). Costor si partiro al serar de le porte, e la matina, come viene el giorno, viene uno compagno del ditto balestrieri, e dicemi: «El tal se n'è fugito, che se n'andò iersera, e non è piú tornato qua». Di che io mi levai con furia de letto, venendo con meco molta gente, e cosí scontrai Feragan. Disemi: «Come andate cosí, Signore, infuriato?». Dico: «Ogni dí mi fa un tristo una burla. Me n'è fugito uno balestrieri de li mei. Giuradío, si qualcun me ne capita per le mani, le metterò questa spada a mezo del core, a ciò che sia sperienzia a li altri». Disemi Feragan: «Non aviate malinconia, ch'è ito a vendemiar una vigna d'Anton Iacomini con el mio figliolo, che certi sbanditi non la volevan che la vendemiasse». Dissi allora io: «Come, andare di notte di fora de la terra, senza licenzia mia? Al nome di Dio sia». Como tornò, ogni omo sa la penitenzia ch'ebe di questo et de l'altre cose triste che lui à fatto. Come dite che io cerchi di sadisfar questa cossa? Io ne so' inocente. Feragan viene ogni giorno in Fiorenze, fatelo pigliare e sadisfar a messer Anton Corsini; o vengami una lettera da li Signori Otto, e vederà se io li farò pagare piú che non ha pigliato el vino due volte: ché di questa cossa io ne so' inocente, che non credo che abi condutiero la eccelsa Signoria, che li vogli meglio che io a messer Anton Corsini. Che si io l'avessi saputo allorra, ce l'averei caciato de li ochi; ma Feragan mi disse che era d'Anton Iacomini. Fatemi venire uno minimo cenno de li Signori Otto, e vederete si lo farò sadisfare. Io non voglio mandare la lettera a omo del mondo, si non quando sarò a Castricara, che ci serò presto. Manderò per don Nicola, et serà con esso meco: et io serò con el capitano di Castricara; e vederemo achetar questa cossa per modo ch'abi bon fine. Ma si doveria, quando Feragan viene in Fiorenze, che ci viene spesso, farlo pigliare e punirlo molto bene, a ciò che fusse esemplo a li altri, che non andasseno asasinare a questo modo. E di quanto scrivo a la Signoria vostra ne voglio esse' al paragon di Dio e delli omini del mondo, che io so' gentilomo e naqui gentilomo, che non fo cossa che non sia ben fatta e chiarra. E quando V. S. sa niente di queste cosse, prego a V. S. si degni iscrivermi et rispondermi a le lettere che io mando a V. S., che io li scrivería d'ogni cossa quando credessi che la Signoria vostra mi rispondessi.
Data in Fiorenzola a dí 15 di setembre.
Di V. S. più che servo don Michel de Orella man propria.
Non altro si no che Cristo conservia V. S. in quello stato che essa medesima vole e che voria per la mia vita propio.
Fivizzano, 22 settembre 1507
Spectabili domino Nicholao Macravello dingnissimo secretario D. Novem militiae Reipublicae Florentinae tanquam fratri honorando.
Carissimo Nicolò. Io ve ho facto resposta a una vostra pistoletta, la quale in verità m'è parsa più admirabile che consolatoria, perché per quella resto più confuso che mai, et massime intendo non eser l'omo contento in grado nessuno così temporale come spirituale: però non vi dovevi né dovete maravilgliare se qualche volta le mia querulate bocie alli horechi vostri trapassano, non trovando requia né tranquilità in questo hocieno et pestifero baratro; dove, se bene particularmente ho notato e rimedi che in quello si porgono, mi pare che unico sia lasciarsi portar ad·lla isciellerata Fortuna, la quale interamente non apruovo, perché, dilettandosi questa di cose nuove, non vorrei un tratto per mia mala sorta mi conduciessi innel postribulante et publico loco di cotesta città. Ma·sse io sapessi dove volgermi colle mie precie, io suplicherei che tutti li mali di questo mondo me venissino prima, in fuora che il pestiferissimo e dispiatatissimo et putrefato morbo dello homore maninconico, el quale intendo perturbare qualche dilettissimo nostro amico, el quale la natura liberi. Nec alia.
Ex Fivizano, die xxii Settembris mdvii.
Cascina, 12 novembre 1507
Spettabili viro Nicolaio de Machiavellis secretario florentino dignissimo et compatri suo.
Florentiae.
Chompare. Hieri mi fu presentata una vostra per Matteo da Capriglola; al quale ho promexo che stia vigilante, et come si darà danari a fanteria, lo faremo mettere in una di queste compagnie; et se veniva prima 4 giorni, entrava innella guardia di Vicho sotto Morello da Campo Giallo. Faròlli piacere volentieri, non già per amore vostro, ma per chi ve ne ha richiesto etc.
Se verrete insieme col Granicho a starvi x dì, farete bene, et allora diventerete el Rosso: lo accomodarsi a' tempi et a' luoghi è natura di savio, però non sarà inconveniente al ritorno tornare alla natura del Guicciardino.
La natta dell'imperadore sarà vera, ma al contrario di quello volete dire voi; vengha pure, ché a ogni modo dal male spero bene, et necesse est ut scandala veniant, vhe autem homini illi etc.
Direte alla Ex.tia del Ghonfaloniere che quello Rosaro romano si morì 4 dì sono a.lLucha, et era homo di mala vita et grande stradarolo; et però della praticha sua si posseva sperare più presto bene che male. El frate anche si morì, et non fu a proposito; et se non fu veneno fu paura. Aiuti sua Ex.tia la praticha d'Alfonso, perché è più presto da chavare fructo da lui per questo modo che io sento ragionare, che haverlo morto, o, quando bene si tenessi vivo, tenerlo disperato. El compare mi ha molto rinchorso di questo conte Lodovico, che diavolo sarà. Io ho una volta scritto el vero; et se è dispiaciuto a persona, suo danno, una volta sono di questa natura di caminare con la realità a beneficio del publicho, sanza alcuno respecto privato, né sono per innamorarmi o fare parentado chon nessuno di questi capi, o per fare idoli: sì che chi vuole dire dicha, et vadino a recere. Rispondete a questa lettera a ogni modo.
Cascine, die xii Novembris 1507.
Alexander Nasius Comiss.us G.is
Dite al chompare Biagio che per la fretta hier mattina lasciai di dirli, che al partire in mano propria detti la sua lettera et il comandamento de' X.ci, et sarà così: domani se non è oggi, partirò. Vale itterum.
Roma, 4 dicembre 1507
Al suo honorato secretario delli Ex.si
Signori Niccolò Machiavelli carissimo.
In Firenze.
Honorande secretarie. Per la vostra ho inteso parte di vostro desiderio, ma acciò io possa explorare cosa, et che regga al martello et sia perpetua, bisogna che io habbi più particular notitia di vostra intentione, et disegno del magistrato, perché voi sapete che hoc nomen bargelli apud strenuos viros odio est, et omnes stomachantur: perché mi pare sia da far diferentia da un bargello a uno disciplinatore per cotesto exercitio, et perciò mi darete nota che grado ha a tenere, che auctorità, che exercitio, che provisione et che condocta. Et isto interim andrò indagando di homo a proposito nostro, et di tutto vi darò aviso. Io fo un poco di favore al Sophi, perché io comincio a rintenerir di lui qualche poco, perché questi preti ribaldi m'hanno condocto a quello che io mi aconcerei per le spese con lui volentieri, sicché venga a sua posta, che io non recuserò di andarli oratore. Et so che voi non men volentieri ne verrete con meco, iuxta illud disse Rinaldo: « Tu credi che io andassi, / che 'l mio Dodon(e) con meco io non menassi? ». Vale, et cum datur ocium quandoque scribas, Zefiumque nostrum tibi commendo cum sibi benefitio esse potes, Blaxiumque saluta et Marcello me comenda.
Romae, die iii Decembris mdvii.
Robertus Acciaiolus orator
Bolzano, 17 febbraio 1508.
Illustrissimo Domino Petro de Soderinis Vexillifero Iustitiae populi florentini, domino unico.
Illustrissime Domine. Vostra Signoria vedrà quanto si scrive delle cose di qua che è insomma quanto si può dire volendo porvi innanzi a li ochi queste cose; ciò che altro si dicessi bisognerebbe entrare in fare iudicio, il che si aspetta a chi è costà piú che a chi è qua. Dico solo questo: che molte cose mi fanno credere e molte non credere, tale che io sono al tutto in aria, pure pendo piú dal sí che dal no, mosso piú tosto dal iudizio de' piú che dal mio. Raccomandomi alla signoria vostra e vi fo fede che per uno disperato viaggio egli è quello che io feci, come el Diavolaccio vi potrà referire, el quale vi spedireno quando aveno da dire altro; io so che non bisogna pregarvi che voi non mi lasciate qui solo perché a farlo voi peggioreresti qua vostre condizioni et costí vi sarebbe carico; sono bene contento quando e' paia costí starci qualche dí et fare el mero cancellieri di Francesco, né scriverrò piú al pubblico, ma qua farò quel poco del buono intenderò, ancora che la stanza mia qui sia al tutto superflua. Raccomandomi a voi.
Ex Bulsano, die xvii februarii 1507.
Servus Niccolò Machiavegli secretarius.
Colonia, giugno 1508
Maiori honorando d. Nicolao Malchiavello.
Spectabilis major honorande. Tanta rerum copia et quidem ridicularum abundo, ut quid primum mediumve canam prorsus ignorem; proinde silere satius esse duxi, quam pauca dicere: id tamen non praetermittens quod saepe minus faciunt homines, qui magna minantur, quorum ex montibus, magno cum fragore parturientibus, nascitur ridiculus mus; quo territus Herculanus ad nos confugit, ubi cachinno pene dirumpitur, quamquam Venafrani misereatur, cui hostilem incursionem evitare vimque repellere non licebit claudicanti, Bartholum, Baldum, Cinum, Joannem de Porco aut De Bella Pertica inter arma alleganti, ubi leges penitus silent: igitur ve misero nisi ab Antimacho nostro nequaquam desperante foveatur, quoad subsidia solito more accurrerint ad arcendos hostes qui finitima aucupantur in dies oppida, venantibus aliis; sed de his hactenus. Chartas de quibus me in tuo digressu allocutus es, etsi accuratissime quaesivi, nusquam tamen potui adhuc invenire, quod equidem non parum minor praesertim quom in aliquot inclytis urbibus, ubi litteratoria vigent gymnasia, scrutari apud bibliopolas non desierim. Si aliubi forte reperero, te habiturum puta, non enim tui sum immemor cui et animum et corpus et tenue peculium dedicavi. Interim recte vale, et me tibi summopere commendatum commendes, quaeso, magnifico Domino Francisco nostro, quem Deus sospitem conservet. Citius ad vos redine non potuit cursor honesta de causa, quam ipse coram latius explicabit.
Ex Colonia, Junii 1508.
Filius Caesar Maurus cancell.
Roma, 1° luglio 1508
Spectabili viro Niccolao de Machiavellis, secretario excelsorum dominorum, amico carissimo.
Florentiae.
Spectabilis vir, etc. In questo punto mi è suto presentata la vostra, spacciata a posta; et di quanto ne avisate per essa, se ne seguirà el disegno et ordine vostro, et non se ne parlerà insino che per altra ne sarà commesso. Della de' Ruscellai non ho anchora notitia, ma vo coniecturando qualche mala spesa. Et volessi Iddio che noi cominciassimo un dì a riconoscere e buoni da' cattivi! Delle cose di Alamagna voglio ci riserviamo in Santa Liperata col Casa, la quale desidero et spero sarà presto, che mi pare proprio materia da pancaccie. Vale.
Rome, die prima iulii, hora vero ante primam, mdviii.
Robertus Acciaiolus, orator
Roma, 5 luglio 1508
Al suo honorando secretario delli excelsi signori, Niccolò Machiavelli.
In Firentie.
Carissime noster, etc. Questa mattina è comparsa quella delli nostri excelsi signori col comandamento a Mariotto, el quale sùbito si fece darli in sua mano, come per la della signoria vedrete. Et vi ricordo che fondiate bene le cose vostre, perché lui è molto gagliardo et di lectere di man di Totto et di altri riscontri. Pure, voi siate prudenti et examinerete ben tutto. Io li feci una fede, come per altra vi dissi, che io non li havevo oferto farli el pagamento io di quello havessi haver da Totto, ma che Totto era parato a contar seco et pagarlo se havessi haver da lui; il che dà poca noia; et lui pensava che li servissi a non venire a Firentie. Duolsi anchora di me, che io dètti l'interrogatorii a Lorentio Machiavelli, perché dice che io li dovevo mandare alla signoria sugellati; pure, questo dà poca noia, perché io non penso che ci si habbia ad usare drento se non verità; et per più sua cautela et non si possa dolere, ne ha copia anchor lui, et io anchora me l'ho serbata, sicché, venendo et dolendosi di questo termine, saprete che non può allegarvi a sospecto.
Io vorrei che voi raccomandassi al magnifico signore Giamfilippo Bartoli et per vostra parte et per mia una causa d'una sorella di messer Iacopo Salvestri, el quale è homo da bene et dissimile a molti fiorentini che ci sono, nelle cose della ciptà. Et perché ha hauto in questa causa tutte le sententie in favore, li adversarii son ricorsi altre volte alla signoria et son suti sempre licentiati; et, per trovarsi de' signori Giovanni Buongirolami, advocato contrario, ve l'ha di nuovo rapiccata. Et però vi priego liene racomandiate, acciò non sia sforzato. Altro non accadendo, bene valete. Et per la lectera della signoria vedrete la risposta di Mariotto.
Rome, die v iulii mdviii.
Robertus Acciaiolus, orator
Roma, 29 luglio 1508
Spectabili viro Domino Niccolò di messer Bernardo Machiavelli, honorando secretario della signoria.
In Firentie.
Honorande, etc. Io mi trovavo a sorte con monsignore de' Pazzi, quando io hebbi la vostra, et li dissi quanto mi scrivevi, domandandoli se era vero che havessi scripto etc. Di che si maravigliò assai, et mi disse che non era vero et che, non che altro, non conosce Mariotto, et non sa niente di questa cosa. Et ritrovato che fu messer Lionardo, liene gridò et hebbelo assai per male; sì che excusatene monsignore con chi ha interesse, perché lui non ha saputo niente, né messer Lionardo sapeva contro a chi si tornassi questa cosa; che, sendo richiesto da Mariotto et non sapendo etc., non li disse di no. Dipoi è stato a me Mariotto et mi ha lecta una lectera del fratello, che lo avisa di certa agitatione facta davanti alla signoria, et dove pare che li vostri habbino alegato molte cose; di che lui si duol di me et, in fra l'altre, d'una fede del cancelliere, che dice che lo agrava assai, et d'una lectera che Lorentio Machiavelli hebbe da me, per la quale dice che io li ho scripto che io havevo oferto a Mariotto di pagarlo, se mi dava la scripta. Et si duol di me et dice che io non li ofersi mai el pagamento: di che dice el vero, perché non lo harei facto; ma, se mi è venuto scripto a Lorentio, è stato per errore, ma me ne maraviglio, perché solo credo che io li scrivessi che li havevo oferto di renderli la scripta, et che, havendo Totto a darli niente, che era parato di stare a buon conto. Di che mi ha richiesto fede, et io, perché non creda che io ci habbi passione, li n'ò facta. Et perciò vi prego che quello si ha da monstrare di me non esca de' termini ragionevoli et veri. Et harò caro mi mandiate pel primo una copia di quella lectera, che io scripsi a Lorentio Machiavelli, perché voglio vedere se io son uscito di quanto decto Lorentio mi commisse. Della lectera responsiva alla signoria se ne farà quanto scrivete, et sarà con questa. Ma sarà ben presentarla sùbito, perché non sta bene in man della parte, et potete poi trarla facilmente. Avisatemi se 'l Vectorio è tornato, et quello voi fate di tanti imbasciatori costì, che 'l popoletto ne debbe haver boria et ringalluzzar crudelmente. Vale.
Romae, die xxviiii iulii mdviii.
Robertus Acciaiolus, orator
Roma, 3 agosto 1508
Spectabili viro Nicolao Machiavello compatri nostro carissimo etc. Florentiae. F. de Soderinis tituli S.te Susannae presbiter Card.lis Vulterranus.
Spectabilis vir compater carissime. Cum la vostra de' xxii habiamo el sumpto mandatoci, quale havendo havuto oggi non habiamo ancora potuto visitare, pensiamo bene che serà tale che ci dilecterà assai, il che vi significheremo quando lo haremo visto; et siate certo che sarà da noi bene usato.
Messer Ramondo sarà stato di costà; et ci sarà grato habiate parlato insieme, che dell'altre nominate non voliamo dir nulla; parci bene che non bisogni oggi molta interpretatione, quia opera ipsa per se loquuntur.
Non accade ringratiarci del bono animo habiamo verso Totto: perché lo amiamo non solum propter vos et familiam, sed propter se ipsum quia sic meritus.
Se per lo advenire farete di non vi havere a excusare del silencio ci piacerà, benché ancora in quello non vi accuseremo.
Salutate el nostro messer Marcello, del quale voi non mi havete attenuto la promessa.
Romae, iiia Augusti mdviii.
Firenze, 26 agosto 1508
Amico nostro carissimo Nicolao de Machiavellis secretario et officiali florentino in felicibus castris florentinis contra Pisanos.
In campo.
Niccolò carissimo. Qui alla brigata pare che questo guasto proceda molto freddamente; però ci è parso scriverti la presente et confortarti ad sollecitare si dia, et in modo che alli inimici restino mancho biade si può, et con quanto più presteza si può, di che sarete di costà assai commendati. Qui si è decto che li inimici ne havevono seminate in tanta quantità, che se si permetteva loro il riporle, harebbono sentito poco il guasto dato a' grani. Fate addunque afacto il più si può, intendendo sempre non vi mettiate in luogo che si corra pericolo di coteste nostre gente. Bene vale.
Ex Palatio florentino, die xxvi Augusti mdviii.
Petrus de Soderinis
Vexillifer Justitiae perpetuus Populi Fiorentini
Castello San Niccolò, 4 settembre 1508
Al mio honorando patrone Nichollò Macchiavello, in Fiorentia.
Ihesus.
Magnifice messer honorande, etc. A questi jorni io fo' in Fiorentia, et vostra magnificentia era in canpo; ebe disspiacere di non videre quella; nientedimancho, basta la bona volontade verso di quella, etc. Io fo' con Filippo di Rancho e dìsigi come a nome vostro io ò alevato uno orso che al presente è pezi 3, et è tanto dimesticho quanto sia posibile. Nientedimancho, non lo pote' condure in Fiorentia a vostra instantia. Ora, vi fo intendere, se avete modro fallo vinire, vi ne fo uno prezente, e, acetandollo o no, aria a caro intendrello, aciò non avesse a ire a malle: basta, etc. Io ho recevuto una da' signori nove in revedere queste bandiere, e ciaschadune da per sé; e spero in Dio avere honore, perché questi homini si contenteno d'i fati mei, e io de loro; e l'è ben vero che fra loro anno di multe brige: nientedimancho, duro hogni inzegnio e faticha per tenirli in pace, etc. Item, averla a caro avere una pocha di porvere, overo salnitrio per questi schiopeteri, perché insegneria fare loro la porvera fina, e per amaistralli, ma la vorìa presto, ché vernardì presente, il dì de la Dona, comencerò a vedere una bandiera, e cossì hogni festa le altre, fine che arò misso a 'zequcione la volontade de' nostri signori nove, etc. Altro al presente non mi ocore, sonno che vi recordo eservi servitore, e di continuo a vostra magnificentia mi recomando. Anchora vi prego mi diate resposta de l'orso, aciò non si perda etc.
A Castello San Nicollò, a dì 4 di settembre 1508.
Ianesinus Serzane, servitor
Vi prego mi recomendiate a Filipo, e, senpre che piace a quella, le stantie sonno a vostro comando.
Poggio Imperiale, 28 settembre 1508
Spetabili viro et maiori honorando, messer Nicholò Machiaveli, secretario in palazo de' signori.
In Firenze.
Spetabilis et maiori honorando. Questo dì ho riceuto una vostra de' dì xviii, per la quale intendo quanto dite intorno a le legnie di Giovan Pagholo. Lui è più mesi m'a voluto vendere dette legnie; sempre gli ò dato la lungha, per averlo baso chol pregio. Ora, intendendo la volontà vostra, sono per fare ogni opera. Trovando da fornirmi d'altri boschi, faròlo; e, se altro poso per voi, sono a' vostri piaceri. Bene valete.
Al Pogio Inperiale, a dì xxviii di settenbre 1508.
Vostro Francesco Miniati
Bientina, 23 novembre 1508
Spectabili viro Nicolò Machiavegli, in Firenze, honorando.
Jhesus.
Honorando e magore mio, etc. Per questa vi mando una aquila grosa di libre 5, la quale sarete contento di mangarla per mio amore. A me, per adeso, non achade niente, salvo che io vi priecho mi vogliate bene chome vostro servitore e che voi mi comandiate; ricordandovi, quando Lorenzo Nerli, zio mio e parente vostro, era de' signiori, vi chiamò ne la sua chamera e racomandomivi. E chosì vi priecho vi sia racomandato. Che Dio vi mantenchi in filicità. In Bientina, a dì 23 novembre 1508.
servitore Andrea Carducci
Roma, 7 dicembre 1508
Carissimo mio et honorando, etc. Domenica passata riceve' una vostra de' xxiii del passato, et, perché la riceve' domenica, prima non v'ho facto risposta. Duolmi non esser stato Jona. Quanto al negotio vostro, ho facto cercare: dico haver facto cercare et non cercato, per la causa che di sotto vi dirò, piacendo a Dio. Trovasi l'amico havere facte segnare due commessione et haverle riscosse da' cursori, et ciascheduna diricta all'auditore di camera, ma di queste una sola se n'è trovata presentata, la quale s'è havuto modo di vederla et leggerla, benché sia cosa extraordinaria a chi non ha procura, et non tocca a voi, ma è certa lite per conto di certa donna e dote. L'altra stimo non habbi facta ancora presentare, come quello non è resoluto bene per ancora de' casi sua: farò di continuo attendere al seguìto, et darovi adviso, et dirovi el parere mio, ancora che non lo ricerchiate, perché con Totto non bisogna che io meni così e colpi a puncto. Tucto dico, se altro troverrò che segua.
Quello che io vi prometto di sopra dire è questa galanteria che voi intenderete: disegnavo dirvela così in somma, ma mi muto et narrerovi tucto el caso, a fine che con lo exemplo mio vi certifichiate meglo quanto è gran pazia usare con li homini bestiali et con loro parlare, ché chi è bestiale infine è una bestia in ogni cosa et fa restare da bestia chi si degna di guardarlo, non che altro. Parlavamo, circa tre mesi sono, Piero del Bene et io sul bancho suo, cioè fuori, dove si siede; passeggiava per lì Antonio Segni: invitamolo a sedere, io m'allarghai, gl'acceptò, mettemolo in mezo. Ecco che Piero del Bene cava fuori uno quattrino stampato da' nuovi zechieri, che dovete sapere come e Fuccheri hanno la zeccha, et non più Antonio Segni, et quello loda; et poi che Antonio ha decto all'uno et l'altro di noi, domandanti più cose concernente el mestiero delle monete, fa una digressione che e pontefici, o per troppa sanctità o maggiore occupatione, non pensono all'utile o danno de' popoli. Et io dicendo: — Forse non voglono pensare all'utile, ma sì al contrario, — et lui dicendo che non era el facto del pontefice, et io parlando in tertia persona, dicendo: — Altri sono in contraria opinione, lui mi provoca ad ascoltare le ragione per le quale io vedrei che questi tali erano in errore; et io risposi che ascolterei volentieri. Lui fece uno argumento assai acconciamente, io lo lodai et dectivi risposta; lui replicò, io decti di nuovo risposta alla sua replica; lui triplica, io rispondo pure, sempre parlando in tertia persona, cioè « e' dicono, etc. ». Allhora lui, sorridendo, dixe: — El facto è se la consideratione di questi tali è buona: queste non sono cose di registri et iuditii. Io risposi che e registri et li iudicii sono un'arte come l'altre et che io non parlavo secondo quelli, ma secondo che io ritrahevo dagl'huomini che fanno professione di simili cose et che ne intendono, et che io havevo ancora io parlato con la parte mia et che non pensavo che e registri toglessino el cervello; et queste cose ancora io dixi sorridendo, et lui, pure sorridendo, dixe: — Quanto a quello che io dixi havere parlato con la parte mia, etc., el tucto è se voi vel date ad intendere. Al facto de' registri et del cervello, dixi: anzi lo tolgono, che ho cognosciuto una dozina di iudici, advocati e procuratori capassoni. — Io dixi che non pensavo che così fussino tucti, perché io havevo cognosciuti altri tanti di mercanti divenuti sensali, et pure a tucti e mercanti non era intervenuto questo. Allhora lui, pure dolcemente, dixe: Così ' sensali sanno più di voi altri. Io dixi: — Antonio, non facciamo inimicitia di questo: voi dell'arte vostra, della quale fate professione, vi intendete bene; quello che io mi intenda della mia, o me ne paia intendere, a voi non togle et non dà: basta che quello io vi parlo non fondo sull'arte mia. — Risposemi che della sua et della mia s'intendeva meglo di me. Io, per taglare e ragionamenti et non parere che io mi partissi sdegnato, dixi che io non gli parlavo né coll'arte sua né con la mia, ma col cervello mio, et che, del cervello, ognuno reputa haverne d'avanzo, et che io mi stimavo haverne portato dal ventre tanto quanto lui; et così monstrai di pensare ad altro, pure sedendoli apresso. Stante così uno poco, et guardando io verso el ponte, et havendo volto verso di lui collottola, mi senti' dare d'un pugno nella guancia. Volta'mi stupefacto, et vidi che era stato Antonio, perché ancora era in piè, et che mi voleva monstrare che almancho, poiché io mi ero messo con uno bestiale, dovevo con un buon mostaccione fare el dovere alle sue parole bestiale, ché se l'harebbe alla fine havuto, et non volere considerare: che si dirà egli? Onde io scesi del muricciolo per mandare lui in Sancto Celso; sì che missi mano per uno mio coltello panesco, uno poco però grandecto; lui, accorgendosene, si fuggì 'n una bottega acanto a' Beni, dove sta uno maestro di cinti, et prese un marmo da soppressane per sua difesa; il che io gli sbacte' di mano, et finalmente, poi che si fu un poco aggirato in uno cantone della bottega, el presi per el pecto per ucciderlo, et in quello che diserro el colpo di già el ferro era al giubone, fui preso di dreto sopra le braccia da uno ritirato, et un altro mi prese la mano del coltello, tale che con epso non ci era ordine che io mi valessi. In modo che io, dubitando che Antonio non mettessi mano per arme, quale stimavo havessi (e fece monstra sul principio volerla trarre fuori, et non potere per la prestezza et impeto che io usai), o piglassi qualche altro ferro di bottega, mi tirai dreto Antonio così per el pecto, tanto che, così strecto, lo strinsi al muro, et lui per lo spavento gittò le mani sul coltello, et dicono che si taglò un poco, ché el coltello non taglava bene. Poi che fumo stati un pezo apiccati et strecti, visto che io ero troppo crudelmente tenuto da quelli dua, presi partito fare forza di spiccarmi, sì che, tra che io spignevo et ero tirato, così strecto e prigione, col coltello in mano, usci' di bottega, et lui vi si restò: sì che, per paura che la corte non mi stringa a più che io mi vogla, non esco di franchigia, tanto che, assettate certe cosette, me ne venga a Firenze, dove voglo stare alquanto tempo, et, se non fussi stata questa cosa, dua mesi fa sarei arrivato. Ad voi mi raccomando, a messer Niccolò, al priore et complicibus, se bene el nome è vitioso, ché colli homini da bene e vocaboli mutono significato o modo di significare.
Romae, die 7 decembris 1508.
vester Niccolaus de Serristoris
Firenze, 20 febbraio 1509
Nicolao Maclavello secretario florentino suo plurimum honorando.
Magnifice generalis capitanee etc. Io non vi scriverrò più se voi non dite almanco della ricevuta, ché havendo costì 4 cancellieri lo doverresti pure fare. El papa ha mandato per semila Svizeri, et anchora lui comincia ad spendere, et questo stoppino lavora da ogni lato. E' Vinitiani fanno el simile et aiutonsi con le messe et paternostri et hanno mandato costà, come harete visto per le lettere vi si mandorono per Tarlatino et Romeo; vedete dove si fondano e casi loro. L'imperadore per quanto si ritrahe di queste ultime lettere di Francia, non pare habbi ad passare questo anno in Italia: pure s'intende si prepara et di gente et di danari; ma di questo con voi non bisogna troppo parlare, sapendo meglio di noi quello può fare. Spagna, come vi dissi, manda in Puglia gente et artiglerie per la impresa delle sua terre: vedreno che seguirà.
Qui non si pensa ad altro che ad ultimare le cose di Pisa, et non si guarda ad spesa alcuna; et el ponte, avanti passi 4 dì, sarà in opera ché s'è mandato di qui Antonio da Sangallo con assai maestri per questo conto: così si è spinto in giù legname assai, et ogni cosa vola. Habbiate cura costì che a uno temporale tristo, anchora che l'armata sia ritirata, non si mectessino ad intrare etc. ché tutta l'acqua d'Arno non vi laverebbe.
Quello vento ch' i' vi dixi s'era levato, et non haveva havuto forza, di nuovo cominciò ad trarre, et hebbe el medesimo fine, et harà, se altro non nasce; et cicali chi vuole.
El Commissario di Cascina scrive che quelli poveri scoppiettieri, così mal guidati da quel traditore ribaldo ubriaco come furono, amazorono 13 cavalli alli inimici et 5 huomini et ferironne assai, che ha turato la bocca a chi si faceva huomo alle pancaccie, et hanno dimonstro essere huomini come li altri. Qui s'ordina di riscattarli ad ogni modo et fare loro qualche altro bene per inanimire li altri per lo advenire.
Scrivete ad Niccolò Capponi, che bofonchia et duolsi non li havete mai scripto, et dite a quel cazo di ser Battaglione che vadi adagio et non si assicuri più, ché la scusa del piè non varrà sempre, et ricordateli che facci fare prima la credenza alla mano, inanzi che vadi più là; et raccomandatemi al Baldovino, che anchora elli è uno cazelloncello. L'amico non ho visto da parechi dì in qua, perché non ho potuto, et anche le faccende assai che li ha in questo carnesciale, non patiscono se li dia molta briga: farenlo in questa quaresima. Advisate, se volete facci altro. Parlai al Fantone di quello vi scripsi hieri: dixemi che vi era surto 4 altre querele, et che non dubitassi che vi harebbe advertentia.
Florentie, die Carnescialis 1508.
Quem nosti
Firenze, 21 febbraio 1509
Nicolao Maclavello secretario Florentino suo plurimum honorando.
In castris.
Niccolò mio honorando. Io vi respondo poche parole alla parte toccante el caso del Commissario verso di voi, il che non è punto piaciuto allo ufitio: pure e più potenti sempre hanno ad haver ragione et a·lloro si ha ad havere respecto. Voi solete pure essere patiente et sapervi governare in simili frangenti, benché questo sia di poco momento, havendo ad stare discosto: et se una o dua lettere lo hanno ad contentare, sarà poca fatica. Et superius, con chi parlai hiersera lungamente di questo, mi commisse ve lo scrivessi et che io vi confortassi per suo amore ad haver patientia, con altre parole da haverle chare et stimare assai. Della licentia non bisogna ragionare per hora, et questo monstra se satisfate o no; ché pure stamani, nel ricercare che voi fate di tenere uno in Mutrone, qualcuno harebbe volsuto vi fussi transferito fino ad Lucca ad domandare questa cosa; tamen la gelosia che costì non si stessi sanza voi, possé più, et si risolverono tentarla per altra via.
Una cosa vi vo' ricordare et questo è, quando scrivete, diciate ogni minimo accidente che segua così costì come in Pisa, perché questi particulari satisfanno et empiono la brigata assai, et sono quelli che vi porteranno in cielo: quando vi paia altrimenti, me ne rimetto a voi. Stasera, da questa ultima in fuora, si leggeranno nelli 80 et Pratica tutte le vostre lettere, et così si seguiterà, sì che mandatecene qualcuna di quelle che voi solete.
Se voi non volete rimandare ser Francesco, respondete di haverne bisognio et farassene quello che voi vorrete. El ponte si sollicita per tutti versi, né si può fare più di quello si sia facto.
Scrivete anchora qualche volta a' Nove, perché ogni uno vuole essere dondolato et stimato, et pure bisogna farlo chi si truova dove voi; et quattro buone parole con dua advisi satisfaranno, et parrà sia tenuto conto di loro: fatelo, ve ne prego.
Di nuovo non ho da dirvi cosa alcuna, perché da poi vi scripsi non è innovato nulla. Hieri andai per visitare l'amico: non era in casa, se mi fu decto el vero, che ne dubito; pure sendo il dì che era, non me ne maraviglio: spero che hora harà più agio. Qui si dice che a ser Battaglione è stato rotto el culo et ch'el Baldovino è crepato: advisate quello che ne sia, che ne stiamo in gelosia grande; et amendua le donne loro fanno mille pazie. Quel matto di ser Antonio dalla Valle ha facto uno modello d'uno ponte et vuol fare uno ponte levatoio sopr'Arno, et non se li può cavare del capo, in modo dubito non c'inpazi su: rimediate se voi potete.
Florentie, die prima Quaresimae 1508.
Quem posti
Confortate, vi prego, Messer Bandino ad rendere quelle bestie sanza andare più oltre, che non è cosa l'habbi adrichire, et faranne piacere a più d'uno.
Postscripta. Ho ricevuto la vostra de' 20, et circa li scoppiettieri io ho facto el debito in questo, come nell'altre cose vostre; ma bisogna scriviate quanti ne sono presi, quanti morti et come la cosa stia, ché qui si spasima. La mancia andrà domattina ad casa, et con lo amico farò el debito, ché fino ad qui non ho potuto; et quell'altra faccenda non è anchora iudicata: non so quello ne habbi ad essere.
22 febbraio 1509
Amico nostro Nicolao de Macliavellis, scribae et secretario florentino [...] item sergii in [...] lor.
Nicolò carissimo. Habbiamo ricevuto due vostre, alle quali brevemente rispondereno, ricordandovi che il naturale di questo mondo è ricevere grande ingratitudine delle grandi et buone operationi, non però apresso ciascuno. Fate bene come havete facto insino a qui, et prima nostro signore Idio, dipoi qualche persona vi aiuterà. Il danaio per le fanterie si manderà, cioè sabato o domenica, perché si dia al tempo conveniente, et non prima, ché sapete hanno ad havere uno 3° di pagha per volta et servire xxxvi giorni, et così tornerà loro raguagliato quando staranno in campo [*...*].
Operate che Pisani si tenghino ristrecti, et sopratucto che non entrino victuvaglie né per acqua, né per terra. Bene valete.
Ex palatio florentino, die xxii februarii mdviii.
Petrus de Soderinis, vexillifer iustitiae perpetuus populi florentini
Firenze, 1° marzo 1509
Al suo honorando Niccolò Machiavelli, in campo.
Niccolò. Io vi scriverrò questo verso solo, sendo tardi et occupato, et domani lo farò ad lungo. Diròvi questo, che ci sono le risposte di Francia, et potete tenere le cose ferme et assettate al certo, sendoci differentia di dua parolette, che in facto non importano molto et qui si consentano et dàssi commissione d'apuntare, et tutto è fermo, gratia di Dio. Di nuove non dicono cosa alcuna, se non Consalvo et uno suo nipote essersi ritirati in Portogallo, et quello re esser venuto ad Burgus, et el Christianissimo sollicitare in modo la venuta, che a Pasqua sarà in Italia. El Rucellaio et Giuliano si diguazeranno invano a Mantova et a Milano, che non attendano ad altro; et Antonio Francesco delli Albizi dice è ito a questa dieta loro et non ad Roma, cose da·rridersene, et tanto più hora. Parlai hoggi cum superius: monstrai mi scrivessi della perdita del danaio et che ne havessi gran dispiacere, etc. Respose che stessi di bona voglia, et che non ci havate da fare, etc. La cosa di Piombino non è da sprezare, perché ha fondamento grande. Non posso né voglio dire più oltre, non havendo da potere scrivere securamente. L'amico sta bene et si raccomanda centomila volte a voi. Advisate della ricevuta.
Florentiae, die prima martii 1508.
Quem nosti
Firenze, 5 giugno 1509
Spectabili viro Nicholò di messer Bernardo Machiavelli.
In champo.
Jesus, die 5 Junii 1509.
Nicholò, fratello charissimo, salutem etc. Io vorrej che tu dicessi a' chommessarij che, havendo a pigliare govedì la possessione di Pisa, che i·nessuno modo essi entrino avanti le 12 ore et 1/2, ma se possibile è, entrino a ore 13 passate di pocho pocho, che sarà hora felicissima per noj. Et se govedì non s'avessi a pigliare, ma sia venerdì, medesimamente a hoye 13 et uno pocho pocho poj et non havanti le 12 1/2: simile sabato mattina, quando non s'avessi el venerdì. Et quando non si possa osservare né tempo né ora, faccisi et piglisi quando si può in nomine Dominj. Et questo diraj per mia parte ad Antonio da Filichaia. Et atte mi rachomando. Che Christo di mal ti guardi. Vale.
Lattanzio Tedaldi in Firenze
Firenze, 8 giugno 1509
Spectabili viro Niccolò Machiavelli secretario florentino suo honorando. In Pisa.
Nicolò honorando. O io m'inganno, o la lettera venuta per il Lerino fu vostra. Qui non è possibile potere exprimere quanta letitia, quanto jubilo et gaudio tutto questo popolo habbi preso della nuova della ricuperatione di cotesta città di Pisa: ogni huomo quodammodo inpaza di exultatione, sono fuochi per tutta la città, ancor che non sieno le 21 hore: pensate quello si farà stasera di nocte. Io torno a dirvi che non mancherebbe se non che il cielo dimonstrassi qualche letitia lui, non sendo possibile li huomini, et grandi et piccoli, posset monstrarne più. Prosit vobis lo esservi trovato presente ad una gloria di questa natura, et non minima portio rei. Quando vi degniate di rispondermi 2 versi di vostra mano dati in Pisa, nil mihi erit jucundius nilque acceptius. Vale.
Florentie, 8 Junii 1509. Tuus, si suus, Augustinus
Postscripta. Nisi crederem te nimis superbire, oserei dire che voi con li vostri battaglioni tam bonam navastis operam, ita ut non cunctando sed accelerando restitueritis rem florentinam. Non so quello mi dica. Giuro Dio, tanta è la exultatione haviamo, che ti farei una tulliana, havendo tempo. Sed deest penitus.
Firenze, 9 giugno 1509
Honorando Nicholò Machiavelli, commissario.
In Pisa.
† A dì 9 di giungno 1509.
Honorando etc. E' sarà aportatore di questa Allessandro di Dino, huomo da bene e amicho nostro, e da adoperarlo in ogni fazione. Prieghovi, se si gli può dare aviamento alchuno, si faci; e, bisongnando dirne una parola chon Alamanno per parte mia, lo fate. E faciasigli quanto di buono si può, perch'è da fare honore in ogni chonto. E io·nnarò singhulare piacere. Né altro m'achade.
Idio di mal ghuardi.
Vostro Nicholò Machiavelli in Firenze
Barga, 17 giugno 1509
Spectabili viro domino Nicolò Machiavelli dignissimo comessario in Pisa honorando.
In Pisa o in Firenze.
Magnifice vir et maior frater honorande, salute etc. Io credo, carissimo mio, che adpresso di voi abbi adquistato nome di negrigente hovero stracurato (h)o di qualche altra cattiva cosaccia, respecto ad lo avermi voi scripto più giorni sono quando le cose erono dubie, che, in verità, ne ebi grandissimo piaciere; et per due vi feci risposta: l'imo non vi trovò mai, l'altro dicie che vi vide al Ponte ad Era con Alamanno et con l'imbasciadori Pisani, et non li bastò l'animo di apresantarvi la mia. Pertanto mi rendo cierto queste iustificationi doveranno essere adbastanza nel cospetto vostro, et basti.
Mille buon pro' vi faccia del grandissimo adquisto di cotesta nobile città, che veramente si può dire ne sia suto cagione la persona vostra et grandissima parte, non però per questo biasimando nessuno di cotesti nobilissimi comessari né di prudentia né etiam di solecitudine. Et benché io ne abia preso un conforto mirabile, et pianto et stramazato et factte tutte quelle cose che fanno li uomini composti etc. rifatti di pecore vechie, tamen avendo dipoi ripreso vigore la ragione, ne sto con grandissima gelosia, et non posso per nesun modo pensare né esermi capacie, che le cose gravi non corrino al centro et le cose subttili ad la superficie. Nicolò, questo è un tempo, che se mai si fu savio, bisongnia esere ora. La vostra filosofia non credo che abbi a eser mai capacie a' pazzi, e' savj non son tanti che bastino: voi m'intendete, benché non abbi sì bello porgere. Ongni in dì vi scopro el maggiore profeta che avessino mai li Ebrei o altra generatione. Nicolò, Nicolò, in verità vi dico che io non posso dire quello vorrei. Però siate contento per quella buona amicitia aùta insieme, né vi paia fatica, per giorni quatro venirvi ad stare con esso meco. Oltre al ragionamento nostro, vi serbo un fossato pieno di trote et un vino nomai più beuto. Questo mi sarà un piaciere che mi farà dimenticare tutti li altri. De! Nicolò mio, compiacietemi in questo utimo solamente per dì 4, significandovi che non venendo sarete cagione che viverò malcontento: questa non è però sì gran cosa che io non meriti el non eser compiaciuto; o meriti (h)o·nno, io vi pongo questa taglia. Et verete in un giorno, perché non ci è se non 26 milglia piana, et avisatemi del quando et disponetevi di consolarmi, perché, non venendo, mi metterei ad venire ad trovar voi et sarebe la ruina mia, perché le leggie non mi promettono di potermi partire della provincia sotto la pena di fiorini 500, et basti: non vi dirò altro. Ricomandatemi a l'angelico comessario Nicolò Capponi et diteli che non à factto quello li scripsi, ma che lui sarà el primo ad pentersene, et basti. Bene valete.
Ex Barga, die xvii Junij MDVIIII.
Philippus De Casavetere comissarius
Barga, 2 luglio 1509
Spectabili viro Nicholò Machiavelli degnissimo secretario de' Nove de la Militia de la città suo honorando.
In Firenze o dove fussi.
Carissimo Nicolò. Io v'ò cierco pe·llectere tutto questo mondo et quel altro: ora per trovarvi ho mandato ad Pisa et ad Firenze, et trovandovi costà, vi priego, come per altre vi s'è scriptto, che siate contento et non vi incresca di venirvi ad stare con eso meco 4 giorni, perché son chiaro non ve ne pentirete, rispectto ad lo avere ordinato una fornacie intera di calcina che tiene moggia 40, che incalcineremo el fiume, ché el manco pilgleremo libre 2000 di pescie cor un grandissimo piaciere; significandovi, che a' giorni passati ci è stato Francesco Capponi, Giovanni Bartolini, Lorenzo Strozzi, Lorenzo Segni e non se ne sono iti punto male contenti, sì per l'aria quanto pe' vini, che hanno capitolato eser e migliori che fieno in Toscana. Et in efectto, Nicolò, se voi non venite, io sono per fare qualche grande pazzia, che in factto ne sarete malcontento et voi et tutti li altri amici. Che diavol sarà, quando vegniate, non credo però perdiate lo stato; significandovi che, benché non sapessi in questo San Giovanni dove vi fussi, la prima cagione del non vi avere mandato pescie si è la volglia che vengniate qui, che ve ne porterete una soma intera di trote. Et è hordinata la pescheria ad l'utimo di questo mese et più et manco quando verrete. Nicolò, siate contento di contentarmi, et di lasciare indrieto hongni rancore, se cie ne fussi punto, che non lo credo et non lo crederò mai. De! Nicolò, venite presto et mandatemi hovero scrivetemi 2 versi del quando et dove vi trovate et se siate per istare fermo in quel loco, del tutto mi avisate. Et ad voi mi racomando. Nec alia.
Ex Barga, die 2 Julii mdviiii.
Philippus De Casavetere comissarius
Pisa, 17 luglio 1509' .
Spectabilis [sic] viro Nicolò Machiavelli patrone mio onorando, in Fiorenza.
Yhs. Magnifico singior mio. Già ripieno di molte e molte cose, e pure stavo a vedere altri avese a dirne et anche operarne, secundo la ragione voleva, per essere io persona poca disiderosa del malle di nissuno. Ora, forzato a non potere piú soportare, fastidioso di abundanzia d'ocasione, m'è parso scriverne alla Signoria vostra la vita del mio capitano di bandiera, e quello ultimamente à fato qui, sollo per la frega e ribalderia di venirsene a casa, ma al pigliare danari prontisimo per fare le sue vetine, o volete orcie et enbrici, e non farsi un paio di calze per suo logoro. E benché di tuto saria fastidioso darvi ragualgio, non mi distenderò troppo oltre, se non in qualche coseta, et del tuto dal mio cancieliere sarete piú a pieno informato.
La Signoria vostra sa che io veni a Firenze, e non fui partito di qui di dua dí, lasandolli carico della compangia, che lui andò da' comesari e domandolli licienzia per venirsene a casa a vedere l'amorosa, sanza considerazione della mia partita o di nulla, come un bue sciagurato che lui è. Dove e mia comesari li diseno tanta vilania che non si direbe a un asino, et caciònnollo via; trovando scusa aveva un angio, che, quando fuse stato con la candella alla boca, doveva aspetare a me. Et stetesi qui sbracato, come credo vedrete che cosí va sempre, et scalzo come un proprio orciaio. Io giunsi qui da Firenze; subito giunto mi domandò licenzia che voleva venirsene a casa. Io sí li risposi: che servisi et poi se ne venise. Lui sí mi dise, che non lo farebe Dio, che lui non venise a casa. Io sí mi isteti ceto. E sanza dirmi altro si partí, et andosene 'Anziano a una fornace del fratello, e li se stete tre dí, e tornosene ridendo. Quando io lo vidi, lo riprisi, e lui trovò la scusa del da poco, et io me ne pasai di legiere. Ora, ogi che n'abiamo sedici del presente mese di lulgio, esendo io in casa, costui con uno altro da Santa Maria Inpruneta, se ne venne da me furioso, e contòmi aveva roto il viso e la testa a uno pistoiese sopra certa mercatanzia d'enbrici e d'orcie: che se mi desiderate fare grazia, fatevi contare la mociconeria sua e la poltroneria che usò e superchieria, che lui medesimo se ne acusa come da poco, contandollo. E vene da me, e bravava che aveva fato arotare lo spiede per far malle, e che era usato stare sempre in costione et in guerra, e che poi che ebe la bandiera era divenuto frate. E domandomi consilgio della ribalderia aveva fata; di modo li disi si ritraese e lasasi fare a me. E subito e comesari mandonno per me; et io con quelle parolle si convenivano risposi a loro Singiorie; et che loro Singiorie intendesino l'una parte e l'altra, che io non volevo se non quello era ragione; e che chi erava fusi punito. El pover omo con la testa rota e col viso enfiato, et è una persona da bene. Cosí mi parti' da comisari, et quasi mezo li placai, aspetando riducere ongi cosa a buono fine.
El mio buono capitano di bandiera, sanza dirmi altra cosa alcuna, la sera se n'era ito et aveva preso la bandiera, et aveva ordine, la matina, venirsene con Dio, con esa, e lasarmi come una bestia. E davami a intendere starsi in casa el singiore Bandino, tanto la cosa si pasasi. Ora, come la Singioria vostra sa, ci è chi acusa tuta via le cose. Io fui informato di tuto; et subito rinveni la bandiera e portamella a casa, come quello che l'ò a tenere apreso di me, e che n'ò avere custodia, e riputarmi onore e disonore a me piú che a nisuno altro. El buon omo, intendendo quisto, ebe a dire che io aveva saputo piú che lui; e che volse fare la cosa el dí, e non aspetare la sera; e che el diavollo l'aveva inganato; e che la bandiera era sua, e che la voleva portare dove li pareva sanza licenzia di Cristo e d'omo del mondo; et io ci ero per una bestia.
Insomma, la sequente matina l'amico Calcangio, sanza altra dicenzia o altro, e cosí el suo compangio et e' se n'è venuto costí. M'è parso darvene aviso, a ciò che, se costí vera, la Singioria vostra di tuto sia informata. E se ragualgio piú a minuto volesi dare a quella, come bisongiando darò a lui sciagurato, e dinanzi a' mia Singiori e di chi bisongierà, come sanza maculla nisuna di malivolenza che con lui abia, ma per la verità, come in me sempre troverete e non altrimenti, come publico a tuta la conpangia: ché non è omo che non l'abia piú in odio che el malle del capo, e che non li volgia malle di morte. Misero come un pidochio, che avendo a entrare in Pisa, entrò con uno paro di calze rote fracide; che più di venti ribufi li feci di dete calze, ma lui la vinse che entrò con ese. E parlate con eso lui, none stima Cristo; e che non laserebe di dare e di fare. Per e' mia Singiori non è né per Cristo. Publico trenta volte l'à dito qui et in campo.
Sa bene lui, el ribaldo, che inanzi pigliasi danari, li disi a lui et a tuti, che chi non faceva pensiero di stare qui, non tocase danari. Ma lui, per la codigia ribalda di quelli denari della paga intera che l'ebe, li parevano asai, la pigliò, la qualle non facendongiene restituire, si farà gran malle, benché quelle sono padroni, E perché quella a pieno sapia l'animo mio, arò caro, e' mia Singiori, parendo a quella, sentino la presente letera e siano informati di quello io scrivo: e fòne una a loro Singiorie, che, capitando costí el mio capitano di bandiera, loro intenderanno dalla Singioria vostra el tuto, none scrivendo a loro Singiorie tanto lungo, per non esere proliscio. Sí che, bisongiando o parendo a quella di darla a loro Singiorie, quella per mio amore lo farà.
Pregando la Singioria vostra si ricordi di me, e quanto piú bene mi farà, serà, a uno suo bono servitore; e che di continovo farò pregare Idio per quella, alla mia brigata sopra tute l'altre. Dicendovi che molto milgiore omo e piú da bene istante ci è, potrà portare questa bandiera, quando quelli voranno. E se a me non si darà fede, troverete e tocherete con mano che ciò che io dico sarà 1'Evangiellio; et al tempo lo vedrete e sarete informato quando a questo s'abia a venire. E non per nimicizia, ma per verità ciò che io parlo: se non, Dio non mi aiuti a me. Altro non acade. Son sempre parato a ubidire quella come buono servitore, pregando Idio vi conservi in sanità.
In Pisa, die diciasete di lulgio. Manu propria.
Della S.ia vostra ubidiente servo Pietro Liberio Corella conestavolle.
Se m'avessi ciesto licienzia lo lasavo venire, et con la bandiera et con ciò che voleva. Sapia quella che de' compangi n'ò piú che io non volgio, et ònne qui dieci de l'Ordinanza che aspetano d'avere lugo, et sonsi molto ben vestiti.
Barga, 25 luglio 1509
Spectabili domino Nicolao Macravello secretario dignissimo Novem Militiae et Reip. Flor. tanquam fratri honorandissimo.
Florentiae.
Spectabilis vir et tanquam maior frater honorande. Avendo a' giorni passati consolatoci alquanto lo spirito et non bastando questo, secondo la benedetta anima di messer Cristofano da Casale, ché ancora bisongnia che in parte la fragelità della carne abbi la parte sua, però vi mando queste poche trote ad·cciò che la sensualità si pasca e·llo spirito di poi sia più pronto ad·lle cose di questo mondo; le quali in questi tempi son tante grande che in epsse mi pasco. Restami solo intendere per una vostra le cose di Gallia Cisalpina (h)o vero Traspadana in che termine sono, che per sentirne di qua confusamente ne ò maggior desiderio d'intenderne la verità, non però un discorso tale qual fa l'utima, perché quasi mi giudico indengnio, ma qual si conviene a un dell'ordine plebeo et al tutto ingniorante, restandovene ad l'usato, significandovi, che non altrimenti e frati dicono l'ufitio sera et mattina che io mi legga la vostra, che di già la credo sapere tutta ad mente.
Non vi dirò altro, se non le trote ve le mando con questo legame, che el mio Nero da Ghiaccieto venga a desinare o ad ciena con essi voi, che mi sarà somma gratia; et del continuo ad voi et ad lui mi hoffero et racomando. Bene valete.
Ex Barga, die xxv Julii mdviiii.
Philippus De Casavechia comissarius
Firenze, 28 settembre 1509
Magnifico viro Alamanno de Salviatis dignissimo capitaneo pisarum patrono honorando etc.
Pisis.
Magnifice vir etc. Perché io non credo possere farvi presente più grato che darvi adviso delle cose di Padova et dello imperadore, vi scriverrò in qual termine si truovino et che iudicio si facci, o possa fare, dello exito et fine loro. Et se conoscerete nel iudicare mio alcuna prosumptione, la lascerò excusare a la vostra Magnificentia, presubponendosi che io parli seco familiarmente.
Trovavasi lo 'mperadore a dí x del presente con lo exercito suo nel borgo di Sancta Croce, proprinquo a Padova a uno miglio, et desiderando porsi in luogo più facile ad battere la terra et commodo ad impedire e' subsidii che venissino da Venezia, et bisognandoli per questo girare la terra largo per evitare certi paduli, fece uno alloggiamento ad Bovolento sul fiume di Bacchillone, discosto da Padova vii miglia, dove svaligiorono et amazorno assai villani rifuggiti con bestiame.
Fece di poi uno altro alloggiamento ad Stra, palazotto posto dove si congiunge Bacchillone con la Brenta, discosto 4 miglia da Padova. Di quivi si accostò alla terra et a' xxi dí cominciò a batterla.
Tiene lo exercito suo dalla porta al Portello fino a la porta che va a Trevi, che dicono essere una lunghezza di 3 miglia, et per larghezza occupa uno miglio. Dicono esser questo suo exercito 30 mila pedoni, che ne è xvii alamanni, gli altri sono gente conductevi da Ferrara, papa et Francia. Dicono bene che tutto giorno vi vengon nuove fanterie tedesche senza avere altri denari che l'utile della preda presente et speranza della futura. Sonvi di poi xii mila cavalli o piú, la metà borgognoni et tedeschi, gli altri tutti italiani et franzesi. Ha 40 pezi d'artiglierie grosse et fino in 100 fra mezane et minute.
Arrivorno li ambasciadori vostri in campo a dí 21 et le lettere loro sono de' 24. Advisono avere in questo tempo piantato la maggior parte della sua artiglieria et avere già in terra tanto muro quanto è da Sancto Stefano a Mercato Nuovo et che certe artiglierie grossissime ha di tirata di 300 libbre di ferro. Fanno passate mirabili et che non è riparo vi regga et, per chi era uscito di Padova, s'intendeva aveano morte di molte gente, tra' quali diceano essere il Zitolo et messer Perecto Corso.
Advisono lo 'mperadore esser di fermo animo di expugnarla et fare buono uficio di capitano et di soldato, et che il campo sta unitissimo et abundantissimo di vectovaglie.
Non scrivono li 'mbasciadori vostri delle cose di dentro alcuno particulare, salvo che e' traggono al campo continuamente et gli fanno assai danno, et che messer Luzio Malvezi andò per danari a Venezia con buona scorta e ritornò in Padova salvo sanza molto impedimento.
Questo è ciò che advisono li oratori vostri. Èssi inteso bene da uno frate venuto di Padova da viii di in qua gli ordini et difese loro di dentro, quale dice esser queste. Avere prima ripieno e' fossi d'acqua intorno a la città et aver facti certi bastioni intorno a le mura per difendere i fossi et le mura di fuori; di poi essere il muro dentro, al quale, intorno intorno, hanno ficti alberi distanti 4 braccia dal muro, et da l'uno albero all'altro incatenato con travi et legniami a uso di chiudenda; et hanno quello spatio che resta fra decta chiudenda et il muro ripieno di terra, quale hanno pillata et stivata iuxta il possibile. Dopo questo, pur dal lato di dentro, hanno facto un fosso cupo ad uso franzese 14 braccia incirca. Dopo al quale hanno poi facto uno riparo alto viii braccia sopra il fosso, el quale dalla parte di dentro è in modo pianato ch' e' cavalli vi possono correre sopra. Hanno drieto a questo riparo facte piane grande perché ' cavalli possino maneggiarvisi.
Riferisce questo frate un nugolo di munizioni et di artiglierie distese su pe' ripari et nelle casematte di decti fossi; dice esservi x mila fanti pagati, 4 mila cavalli, x mila uomini tracti di Vinezia et piú di 4 mila contadini, tutti uniti et disposti alla difesa et che monstrono non dubitare di cosa alcuna, sperando et nelle provisioni facte e nel tempo che diventa contrario al campeggiare.
Truovonsi, come vedete, le cose in questi termini, et qui si disputa prima se Padova si debbe perdere o no, et di poi, se perdendosi o non si perdendo Padova, si ha a temere che lo imperadore travagli per ora le cose di Toscana o di Roma.
Io lascerò quello si dica della perdita di Padova o no, perché non veggo parlarne a l'uomo che se ne intenda, et ciascuno ne parla secondo l'affectione propria, ma disputereno solo se se ne debba temere o no in qualunche de' predecti 2 eventi.
Una volta per la maggior parte di chi è qui se ne dubita assai, o pigliandola o no, perché dicono: se la piglia, e' sarrà in tanta reputatione che Francia starà seco, et ne verrà per la corona sanza obstaculo, et noi et tutto questo restante di Italia fia a sua discretione; se non la piglia, e' si accorderà con Venezia a danno di noi altri et farà il medesimo perché, trovandosi lui sull'arme et unendo li exerciti insieme, non ci si vede resistenza per alcuno.
Ma io sono di contraria opinione et non lo temo, pigli o non pigli Padova. Et primum dico: se non la piglia, conviene che facci una delle 3 cose: o che si ritiri nella Magna et lasci queste cose di qua a discretione d'altri, o si ritiri in Vicenza et Verona alleggerendosi della spexa, in gran parte, delle fanterie et attenda, con lo aiuto franzese, a fare questa vernata co' veniziani una guerra guerriabile, o veramente ch'egli accordi co' veniziani.
In quelli primi 2 casi non bisogna temerlo; et quanto al 3°, che è l'accordare con veniziani, bisogna tale accordo sia o con consentimento de' collegati o contro alla voglia di tutti o di parte.
Nel primo caso non è da temerne molto, perché e' collegati sono per regolarlo et dovranno voler salvare loro in tutto et gli amici loro almeno in parte.
Se lo fa contro alla voglia de' collegati, io non veggo che male ci possa fare, né anche veggo come tale accordo possa stare che vi sia dentro il suo et quello de' veniziani, perché a voler vedere se uno accordo debba seguire bisogna examinare prima quali cagioni abbiano a muovere le parti et, se le vi sono, allora crederlo.
Le cagioni hanno ad muovere lo 'mperadore sono dove vegga onore et utile. Quello ha a muovere i veniziani è dove vedessino guadagnare tempo, evitando ora quelli pericoli che alla lor libertà soprastanno et vedessino alleggerirsi di spexa.
Ora io non veggo che accordo possa nascere infra costoro contro a la voglia de' collegati che facci per ciascuno di loro et che vi sia questi due fini predecti.
Et prima, a volere che lo 'mperadore ci abbi dentro l'utile et l'onor suo bisogna o ch'e' veniziani li dieno Padova o che gli dieno tanti danari che possa ire con lo exercito suo ad uno acquisto che risponda ad la 'npresa che lasciassi di Padova. In qualunche di queste due cose mi pare ch'e' veniziani non avanzino né tempo né danari, perché dove e' gli hanno, si può dire, uno inimico adosso, n'aranno tre, ché Francia, Ispagna et papa, quali hanno quasi rimessa la spada dentro, la trarranno fuora, sí che tale accordo non li cava di pericolo, né etiam gli libera da spexa, anzi la raddoppia loro, perché, oltre a danari assai arebbono a dare a lo 'mperadore, arebbono anche a continuare di pagare el loro exercito si truovono ora, per non rimanere a discretione sua, del quale non si possono fidare.
Dunque io non so come o perché e' si abbino a fare uno accordo con uno imperadore che non possi pigliare Padova per duplicare spesa et rimanere in maggior guerra che prima. Tanto che, concludendo, io non veggo prima come questo accordo possa farsi contro a la voglia de' collegati et, quando pur fussi facto, non veggo come se abbia da temere.
Né mi pare etiam si possi fare col consenso di parte di decti collegati, non facendo per Francia, né per Ispagna, né per il papa la grandezza dello imperadore in Italia, per le cagioni che sono sí note che le non hanno bisogno di commento. Sí che, non pigliando Padova, o accordi o no, non è da temerlo.
Né anche è da temerlo se la piglia, perché lo 'mperadore, presa Padova, ha a fare una delle 2 cose: o a stare in sullo accordo facto a Cambrai o ad romperlo.
S'e' gli starà sullo accordo, bisognerà che ante omnia e' convenga co' collegati quid agendum de Venetiis, et porre fine alla guerra veniziani, o con conventione con loro, o con totale destructione di essi veniziani. La destructione pare difficile, l'una perché parte de' collegati desiderano che Vinegia rimanga cosí, et maxime Ispagna et papa, a' quali due parrà sempre con quella tenere uno stecco ne l'occhio a lo 'mperadore et a Francia; l'altra difficultà è la stagione, che non patisce maneggiare acque, et lo esser risolute l'armate, onde è necessario si voltino ad uno appunctamento ch'e' veniziani si stieno là et vivant suis legibus et, facto questo, pensi poi al suo passare per la corona, el quale, quando fia regolato, non è da temerne molto, come di sopra si dixe.
Se non vorrà stare sullo accordo di Cambrai, e' si troverrà prima manco il terzo dello exercito che ha ora, perché, considerato lo exercito suo, il terzo di esso non è suo, tanta gente vi ha Francia, papa et Ferrara, le quali genti, dopo la presa di Padova, si restrignerebbono insieme, perché e' padroni loro diventeranno subito gelosi della grandeza di costui, non tornando ad proposito quella, come ho decto, ad alcuno di loro. Et i franzesi sono, si può dire, in su l'armi, per esser con le genti d'arme presti et col danaio, et avere e' svizeri vicini, di modo che lo 'mperadore arà tanto da fare, innanzi venga otioso in Toscana, ch'e' passerà molto tempo, perché non veggo come possa passare oltre et lasciare lo stato preso, se non ha prima posate tutte le cose a l'intorno. Et il posarle per forza non vuole né poco tempo, né poca spexa. Et, senza dubbio, come lo 'mperadore si trovassi solo sanza subvenitori et fussi puncto temporeggiato da chi potessi spendere, in pochissimo tempo rimarrebbe senza exercito; il che gli è in molte imprese sua molte volte intervenuto. Et chi dicessi e' veniziani lo subvenirebbon di danari, me ne riderei, perché la loro ferita ha gittato tanto sangue che quando e' faranno in parte ristagnata, e' parrà loro rimanere sí deboli che non la vorranno riaprire piú, se le ferite dolgono loro come agli altri.
Io la 'ntendo adunque cosí, et vivendo tutti questi principi, non temo molto, ancor che questo sia contro alla commune opinione.
Et desideroso di intendere la vostra, et parte pascervi con questo badalucco, mi sono mosso a scrivervi.
Valete. Florentiae. Die xxviii septembris mdix°. Servitor Niccolo Machiavegli secretario.
Pisa, 4 ottobre 1509.
Al mio caro Nicolò Machiavelli. In Firenze.
Yhesus. Carissimo Nicolò. Io ho la tua, sutami carissima, massime che vego ti sono nel cuore, perché spesso ti ricordi di me; di che ti resto obligatissimo. E per essa ho visto in che ordine si truova Padova e di dentro e di fuori, che assai m'è piaciuto. Il discorso tuo è bellissimo; quale io ho mostro a questi signori condottieri e signori consoli, quia omnes homines scire desiderant, e da tutti è stato assai commendato.
Io non lo posso né aprobare né riprobare, perché qui siamo suti abandonati dal padre e dalla madre e da tutti e parenti et amici, perché non intendiamo cosa alcuna, salvo da qualche smarrito che venga al campo di 15 giorni o uno mese: e però male ne possiamo fare qui indizio, non intendendo qualche particulare come voi costí qualche volta intendete. Io ho bene qualche volta domandato questi signori condottieri che iudizio faccino della espugnazione d'essa; quali unitamente s'acordono, che per forza Padova non si possa perdere, assegniandone buone ragioni, in modo che, prestando loro fede, io inclinerei a quella oppinione volentieri. Ma me ne ritrae alquanto lo essere fratesco, che volentieri mi aderisco a tale oppinione, massime vedendone e successi in buona parte [...]; e ci s'arogie il vedere e tempi disporsi totalmente contro ad essi viniziani, adeo che credo sia cosa miracolosa piú presto che naturale. Quomodocunque sit, credo che l'offizio nostro sia piú presto ricorrere a Idio, e pregarlo che lasci seguire il meglio, che poterne fare altro indizio; ancora che io non sappia come questa conclusione t'abbia molto a satisfare, non perché io non creda che tu manchi di fede, ma sono certo che non te n'avanza molta.
Ricordovi bene fate ogni diligenzia di mantenere insieme il Cristianissimo, la Santità di Nostro Signore et il Cattolico, et avvertite che una desperazione non facessi fare di quelle cose a qualcuno di che nascessi la totale rovina d'Italia, che quello esercito franzese non resti totalmente a discrezione d'altri, che importeirebbe troppo.
Io arò caro averti satisfatto, et in quello che io mancassi lascerò supure al mio dottore. Ricordoti sono tuo et a te mi racomando. Idio ti guardi.
In Pisa a dí iiii d'ottobre 1509.
Tuo Alamanno Salviati, capitano.
Firenze, 20 novembre 1509
Nicolao Maclavello secretario fiorentino. In Verona o dove sia.
Niccolò honorando. Io riceve' la vostra de' 15 da Mantova, et intendo la suspensione dello animo vostro, etc.; di che mi maraviglio, havendo havuto alle mani altre cure di molto maggiore importantia, et ad piglare partiti più pericolosi che andare fino ad Verona. Bisogna, se mai usasti diligentia in advisare, lo facciate hora ad volere {turare la bocca a le pancaccie. Feci la anbasciata al Gonfaloniere: respose, stendessi ad scrivere solecitamente.} Hoggi andrò ad trovare l'amico che ha mandato per me, et farò el bisognio. Nuove non ci sono, che tutte dependono di costà. Fecionsi tutti e Nove, così quelli cinque che mancavono come li altri 4 che hanno ad intrare ad gennaio. Hanno di già casso Francesco da Cortona, che è stato buona spesa. Non altro.
Florentiae, die 20 Novembris 1509.
Quem nosti
Firenze, 22 novembre 1509
Al nome di Dir addì xxii di Novembre 1509.
Nicolò carissimo. Io ò la vostra de' dì xviii, et per quella intendo quanto dite, che tutto si farà nel modo scrivete. A Totto Machiavelli scrissi apunto nel modo avixate. Messer Giovanvettorio non si risolveva, però ho fatto scrivere a Messer Antonio circha alla causa principale; et in la incompetentia scrisse anchora messer Antonio et messer Giovanvettorio m'à promesso di soscrivere. Hoggi ò avere da messer Giovanvettorio soscritta la incompetenzia et da messer Antonio la cauxa principale; et subito la farò soscrivere a li altri advocati vostri, et manderolle a posta a messer Antonio, chome ne ordinasti. Da me non si mancha di sollecitarla, di modo sono più ripreso d'inportunità che di negligentia; ché ogni dì sono quatro volte almancho al palagio del potestà. Achordo non ci spero alchuno, perché non ò mai intexo cosa alchuna. Andai al magnifico Gonfaloniere, richordandogli la causa vostra, et chome io era procuratore a potere obligarvi; quando gl'intendessi cosa alchuna, sua M.tia, si degnassi farmelo intendere. Dissemi che Francesco del Pugliese gli aveva a rispondere; et che manderebbe per me, quando avessi nulla. Io, chome v'ò detto, con ogni favore, diligentia et sollecitudine attendo a questa vostra causa; et oggi mando al giudice messer Francesco Nelli et Piero; et quando il giudice arà la causa principale, vi manderò e parenti et amici vostri et ser Giuliano. Io scrissi in vostro nome et feci scrivere da Giovanbatista Soderini a Monsignore R.mo; et dètti a ser Filippo del Morello ducato uno, et di mano in mano lo terrò contento. Giovanni Ughucconi mi disse il conto vostro esser del pari et che non aveva denari: però mi sono fatto servire de' denari ò auti di bixogno da Lodovico Machiavelli. À mostrato di farlo volentieri. Non giudicherei fossi fuori di proposito voi gli scrivessi un verso, ringratiandolo; et inoltre, perché io non so chome mi bixognerà spendere, dirgli che quello m'achade me ne serva: lui ne à posto debitore voi. Se io potrò avere quelli da Giovanni Ughucconi, non bixognerà gli dia noia. Col priore si farà quanto scrivete; et quando io abbia da dirvi circha al piato, lo farò sempre. Sono a' chomandi vostri,
Francesco del Nero in Firenze
Verona, 29 novembre 1509
Spettabili viro Luigi Guicciardini come fratello carissimo in Mantova. Data in casa Giovanni Borromei.
Carissimo Luigi. Io ho hauto hoggi la vostra de' 26 che mi ha dato più dispiacere, che se io havessi perduto el piato, intendendo a Jacopo essere ritornata un poco di febbre: pure, la prudentia vostra, la diligentia di Marcho, la virtù de' medici, la patienza et bontà di Jacopo mi fa stare di buona voglia, et credere che voi la caccierete come una puttanaccia miccia, porca, sfacciata che la è; et per la prima vostra aspecto intendere ne siate iti, ad dispecto suo, tucti allegri ad la volta di Firenze.
Io sono qui in isola secha come voi, perché qui si sa nulla di nulla; et pure, per parere vivo, vo ghiribizando intemerate che io scrivo a' Dieci, et mandovi la loro lettera disuggiellata; la quale, letta ad tucti, la darete ad Giovanni, la mandi per la prima staffetta che 'l Pandolfino scrive, o come ad lui parrà. Et me li raccomanderai, dicendogli che io mi sto qui con el suo Stefano, et attendo ad godere. Sarei ito ad la corte, ma el Lango non vi è, ad chi ho la lettera di credenza; et ad lo 'mperadore non ho lettere, sì che io potrei essere preso per spia: dipoi ogni dì si è detto che viene qui, et tucti questi mammaluchi che seguitono la corte sono qui.
Ho caro habbiate mandate quelle fedi ad Firenze, di che meritate una grande commendatione ad presso Dio et li huomini del mondo. Se voi scrivete ad messer Francesco vostro, ditegli che mi raccomandi ad la combriccola. Sono vostro, vostrissimo; et quanto al comporre, io penso tuctavia ciò. Addio. Addì 29 di Novembre 1509. Veronae.
Uti frater Niccolò Machiavegli secretarius apud Cesarem
Firenze, 30 novembre 1509
Nicolao Maclavello secretario florentino tanquam fratri honorando. In Verona.
Niccolò honorando. Io vi scripsi pochi dì sono brevemente, perché non ci era cosa alcuna di nuovo da darvene adviso, et manco ci è di presente: sì che, in questo caso, se alhora fu' breve, hora sarò brevissimo. {Filippo Strozzi hare' l'ali unte ad venire in Firenze. Et benché molti chiachieroni cavassino fuora che fossi stato in Firenze}, non è vero nulla, {anzi lui la domandò et la conduse non so ad che fine.} Dio voglia {le pigli bene.} Dixivi anchora come havevo visitato l'amico et datoli uno ducato, el quale mi ha renduto Francesco del Nero, perché ne havevo necessità. Et li dixi havervi mandato certe zachere mi havevi chiesto. Sonvi ritornato dipoi: hello trovato che il male di che dubitava era chiaro, et voleva ire ad Prato in casa lo amico: havevasi tagliato e capelli. Non so come si farà, che bisogna patientia, et qui non è punto: et chi ne vuol guarire presto, ne guarisce più tardi. Elli advenuto quello mi ho sempre pensato. Attendete ad scrivere nuove assai, et fareteci piacere. Non altro. A voi mi raccomando.
Florentie, die 30 Novembris 1509.
Quem nosti
El libro riharò hoggi et renderollo etc.
Nuovi Dieci: Lanfredino, Giovanni Ridolfi, Antonio di Saxo, Miniato Busini, Agnolo Miniati, Giovambatista Bartolini, Scolaio Spini, Bartolo Tedaldi, Lorenzo delli Alexandri.
Verona, 8 dicembre 1509
Spectabili viro Luigi Guicciardini in Mantova tanquam fratri carissimo.
Affogaggine, Luigi; et guarda quanto la Fortuna in una medesima faccienda dà ad li huomini diversi fini. Voi, fottuto che voi havesti colei, vi è venuta voglia di rifotterla et ne volete un'altra presa; ma io, stato fui qua parechi dì, accecando per carestia di matrimonio, trovai una vechia che m'imbucatava le camicie, che sta in una casa che è più di meza sotterra, né vi si vede lume se non per l'uscio. Et, passando io un dì di quivi, la mi riconobbe et, fattomi una gran festa, mi disse che io fussi contento andare un poco in casa, che mi voleva mostrare certe camicie belle, se io le volevo comperare. Onde io, nuovo cazo, me lo credetti, et, giunto là, vidi al barlume una donna con uno sciugatoio tra in sul capo et in sul viso, che faceva el vergognoso, et stava rimessa in uno canto. Questa vechia ribalda mi prese per mano et, menatomi ad colei, dixe: Questa è la camicia che io vi voglio vendere, ma voglio la proviate prima et poi la pagherete.
Io, come peritoso che io sono, mi sbigotti' tucto; pure, rimasto solo con colei et al buio (perché la vechia si uscì sùbito di casa et serrò l'uscio), per abbreviare, la fotte' un colpo; et benché io le trovassi le coscie vize et la fica umida et che le putissi un poco el fiato, nondimeno, tanta era la disperata foia che io havevo, che la n'andò. Et facto che io l'hebbi, venendomi pure voglia di vedere questa mercatantia, tolsi un tizone di fuoco d'un focolare che v'era et accesi una lucerna che vi era sopra; né prima el lume fu apreso, che 'l lume fu per cascarmi di mano. Omè! fu' per cadere in terra morto, tanta era bructa quella femina. E' se le vedeva prima un ciuffo di capelli fra bianchi et neri, cioè canuticci, et benché l'avessi el cocuzolo del capo calvo, per la cui calvitie ad lo scoperto si vedeva passeggiare qualche pidochio, nondimeno e pochi capelli et rari le aggiugnevono con le barbe loro infino in su le ciglia; et nel mezo della testa piccola et grinzosa haveva una margine di fuoco, che la pareva bollata ad la colonna di Mercato; in ogni puncta delle ciglia di verso li ochi haveva un mazetto di peli pieni di lendini; li ochi haveva uno basso et uno alto, et uno era maggiore che l'altro, piene le lagrimatoie di cispa et e nipitelli dipillicciati; il naso li era conficto sotto la testa arricciato in su, et l'una delle nari tagliata, piene di mocci; la bocca somigliava quella di Lorenzo de' Medici, ma era torta da uno lato et da quello n'usciva un poco di bava, ché, per non havere denti, non poteva ritenere la sciliva; nel labbro di sopra haveva la barba lunghetta, ma rara; el mento haveva lungo aguzato et torto un poco in su, dal quale pendeva un poco di pelle che le adgiugneva infino ad la facella della gola. Stando adtonito ad mirare questo mostro, tucto smarrito, di che lei accortasi volle dire: — Che havete voi messere? —; ma non lo dixe perché era scilinguata; et come prima aperse la bocca, n'uscì un fiato sì puzolente, che trovandosi offesi da questa peste due porte di dua sdegnosissimi sensi, li ochi et il naso, e' m'andò tale sdegno ad lo stomaco per non potere sopportare tale offesa, tucto si commosse et commosso operò sì, che io le rece' addosso. Et così, pagata di quella moneta che la meritava, ne parti'. Et per quel cielo che io darò, io non credo, mentre starò in Lombardia, mi torni la foia; et però voi ringratiate Iddio della speranza havete di rihavere tanto dilecto, et io lo ringratio che ho perduto el timore di havere mai più tanto dispiacere.
Io credo che mi avanzerà di questa gita qualche danaio, et vorre' pure, giunto ad Firenze, fare qualche trafficuzo. Ho disegnato fare un pollaiolo; bisognami trovare uno maruffino che me lo governi. Intendo che Piero di Martino è così sufficiente; vorrei intendessi da lui se ci ha el capo, et rispondetemi; perché, quando e' non voglia, io mi procaccierò d'uno altro.
De le nuove di qua ve ne satisfarà Giovanni. Salutate Jacopo et raccomandatemi ad lui, et non sdimenticate Marco.
In Verona, die viii Decembris 1509.
Aspecto la risposta di Gualtieri ad la mia cantafavola.
Niccolò Machiavegli
Firenze, 9 dicembre 1509
Spectabili viro Nicolao Maclavello, segretario dignissimo apud Maximianum.
Tamquam pater, etc. Sei giorni sono vi scrissi l'ultima, dipoi non ò vostre: et questa per farvi intendere chome noi abbiamo maritata la Sandra, Dio lodato, a Giovan Luigi Arrigetti, un giovane molto da bene, il quale si rachomanda a voi. Et delle cose nostre arete intexo chome e sei furono giudichati giudici competenti, ma e Pitti percò non anno seguitato altro alla merchatantia: credo diffidino delle poche ragioni loro. Messer Antonio Strozzi et messer Antonio da Venafro scrissono, et molto elegantemente; et messer Giovannetto m'à promesso di soscrivere, né l'à per anchora fatto. Io ritrovai la lettera avevo perduta del ricevuto de' ducati dugento, et, perché achordo alchuno non seguì, feci il bixogno coram, quoniam adest. Lettera dal chardinale non venne. Giovan Batista m'à detto aver lettera dal fratello, come nostro signore scrisse: debbe essere ita male. Gli amici vostri si merranno a' giudici, chome ne avixasti, et nos iudicium expectamus. Vale.
Ex Florentia, dì viiii decembris.
Franciscus
Verona, 12 dicembre 1509
Magnifico ac prestanti viro domino Nicolao de Machiavellis, excelse rei publice florentine secretario et commissario.
Mantue.
Magnifice vir, salutem. Intendo esser alchune lettere a voi da Firenze, le quale Stefano del Benino vi manda. Harò caro lo habiate per consolation vostra, et, se alchuna ne sarà ad me, vi prego me le mandate. Harei caro et mi pare sarebbe a proposito de la città che voi vi trovassi qui, intendendo che la caesarea maestà se approxima qui. Stimo, a questa hora, sia a Trento; tuttavolta, fate come vi pare. Occorrendo cosa in che io possa, significate. El reverendissimo monsignore el locotenente caesareo me ha commesso in nome di Cesare di star qui a li servitii di sua maestà; et, credetemi, non sto otioso, né ho tempo di andare a spazo. Con questa sarà una a mio fratello. Mi sarà piacere la mandiate per il primo vi occorre. Nec plura in presentiarum. Bene valete.
Ex Verona, xii decembris 1509.
Non dimenticate di operar che io habbi quello m'è dovuto, et ridunderà a li servitii, etc.
Vester Pigellus, etc.
Firenze, 28 dicembre 1509
Nicolao Maclavello tanquam fratti honorando.
Ubi sit.
Niccolò honorando. Io mi sono mosso ad scrivervi la presente, perché el caso che sarà narrato da piè è di tanta importantia, che non può essere maggiore; et non ve ne fate beffe et non lo transcurate, et non uscite di quello che io vi dirò per cosa del mondo, perché e' sarà uno de' potissimi remedii ad riparare alla ruina vostra et di altri; et ad questo fine ho prevenuto col mandarvi allo incontro.
E' farà domani octo dì, che uno turato con dua testimoni andò ad casa el notaio de' Conservatori, et presente loro li dette una notificazione, con protestarli se non la dava etc. Conteneva che per esser nato voi di padre etc., non potete ad modo alcuno exercitare lo officio che voi tenete etc. Et benché la cosa sia stato in facto altra volta et che la legge sia in favore quanto la può, nientedimeno la qualità de' tempi et uno numero grande che s'è levato ad bociare questa cosa et gridarla per tutto et minacciare se non è facto etc. fa che la cosa non è in molto buon termine et ha bisogno d'uno grande adiuto et di una delicata cura: intorno ad che io, fino ad questo punto da l'hora che mi fu da nostri amici facto intendere, non ho lasciato indrieto cosa alcuna, et di dì et di notte: in modo che io ho mollificato assai li animi di qualcuno. Et dove la legge era da chi cerca disfavorire etc. stirachiata per mille versi et datoli sinistre interpretationi, è un poco posata: nientedimeno li adversari sono assai et non lasciono ad fare nulla; et il caso è publico per tutto, fino {pe' bordegli}, in modo si può fare alla scoperta, et è aggravato da infinite circunstantie. Et prestatemi fede, Niccolò, che io non vi dico la metà delle cose che vanno ad torno, et avanti che io producessi la legge, era messa per cosa indicata. Io l'aiuto per tutti mezi: così fa Piero del Nero, al quale io fo hora per hora intendere tutto, perché è facto el medesimo a me da chi non vuole lasciare ruinare {et voi et me.}
Sono stato sollicitato questo punto da chi vi ama, et è persona che voi ne fate capitale, ad scrivervi che voi soprastiate dove vi trovate et non torniate per nulla, perché la cosa si va mitigando, et sanza dubio harà miglore fine, non ci sendo voi che essendoci, per più conti; et poi io fo delle cose che non faresti voi, et pure sono necessarie; perché tutti li homini voglono essere riconosciuti et honorati et pregati, ancora che le cose sieno chiare, et pare conveniente che chi serve ne sia ringratiato et pregato prima et ripregato: ad che quanto voi siate apto, lo lascio indicare a voi. Insomma per uno de' potenti remedii a questo male, che è tanto grande che vi farebbe paura, è lo stare absente qualche dì, tanto se ne vegga el fine; et perciò vi mando la presente, sollicitatone da altri, pure persone private, ma di tante qualità che si può manco errare ad fare così che altrimenti. Li altri vostri compagni sono prompti alla difesa, se basterà: ché a' dì passati, in uno altro caso simile, {non è giovato, che è quello che ha facto risuscitare questo.} Se io vi dicessi non havere mai dormito poi accadde questo, crediatemelo, {perché voi ci havete tanto pochi che vi voglino aitare, et io} non so donde venga.
Di nuovo vi dico facciate quanto siate consigliato, et non uscite et fate uno presupposto che io non aombri scuro, come voi solete dire, ma che sia molto più: {et havendoci io interesse mi doverresti credere, perché tocca più ad tute che a voi.} Non altro.
Die xxviii Decembris, hora secunda noctis, 1509.
Quem nosti
Firenze, 28 giugno 1510
Spectabili viro domino Nicolao Machiavello pro excelsa Republica Florentina apud Christianissimum Regem compatri nostro carissimo. Alla Corte.
F. De Soderinis basilicae Duodecim Apostolorum presbiter Cardinalis.
Spectabilis vir compater carissime. Per rispecto del publico et privato nostro, molto ci fu grata la deliberatione di mandarvi costà, sapiendo la dextreza e prudentia vostra, et quanto possiate essere utile ad ogni cosa. Habiate patientia se è cum qualche vostro privato sconcio.
Circa le cose publiche non habiamo che dire, sapiendo havete bona instructione et siate savio. Confortiamovi, oltre allo offitio che farete per la patria, usare omni diligentia che si tenga in buona unione cotesto principe colla S.tà del Papa; il che non solo è per giovare a·lloro, ma a noi et a tutta Italia. Et noi reputiamo sia necessario né si possino partire l'uno dall'altro, benché qualche volta venga de' dispareri. Havete in corte lo arcivescovo oratore pontificio, huomo prudentissimo, et che vale assai: simo certi vi vederà volentieri, et per nostro amore, perché è amicissimo, conservatevelo, ché ne farete capitale, et ne caverete fructo assai et aiuterete l'uno l'altro al bene comune.
Non vi raccomandiamo le cose nostre, perché simo certi le reputate vostre; et Giovanni Girolami sarà onni dì cum voi, che farà intendere quello che occorre alla giornata.
Se fussimo a Roma, poteremovi aiutar di qualche cosa: et accadendo non mancheremo anche farlo di villa.
Florentiae, xxviii junii mdx.
Compater vester F. Card. Vulterranus
Lione, 26 luglio 1510
Spectabili viro, domino messer Nicholò Machiavelli, segretaro fiorentino. In Chortte.
Ihesus, adì xxvi di luglio 1510.
Honorando e caro messer Nicolò. Rachomandomi a voi. Disivi avere aure le vostre de' 18 e 22, e quela sera spaciato sùbito el Targha, che pel Ferarese doveva pigliare el chamino, chapitando a Bargha andare a Firenze: è persona praticha, e sto di bona voglia arà saputo ben procedere. Dipoi venono, chome dissi, le vostre de' xxi, le quali sono anchor qui: andrano per lo primo; e in questo punto è chonparsa la vostra de' xxii chon altre per Firenze, che alsì manderò per lo primo. In questa medesima hora è arivato da Roma fante, coè Piero Porcho, chon vantaggio a molti; e prima da Roma n'era partito un altro fante a' 13, che s'intende da Piagenza fu mandato a Milano: stimasi avessi lettere del papa, ché di merchanti non levò lettere; questo sopratenerlo denota portassi d'inportanza. Questo, venuto questo dì, à portate, sotto una mia choverta de' signori X, la intrusa vostra e quella de lo Acaiuolo per voi: furnoli aperte a Piagenza e molti altri luoghi, e mi dice el choriere che a Piagenza liene fu ritenute alchune ch'erono nel mazo de' X: stimo fussi quella de la cifera, che chome non l'arano intesa, aran preso sospeto, e la manderano a Milano. Maravigliomi tochino le lettere della signoria: non si maraviglino se voi non darete loro de li avisi. Forse vi sarà mandata da Milano, non achadendo sospetto chon li amici. A Bolognia non dichon niente a' chorieri, si non al pasar di questo: potreb'esere lo farebono per lo avenire. Queste vostre manderò per lo miglior modo potrò. Questo fante mi dice di bocha aver visto el marchese di Mantova a Bolognia desinare con el leghato. Chomentate hor voi. Mando queste a la posta: stimo ve ne sarà fatto servizio meglio che in Lombardia.
Preghovi mi rachomandiate a Giovanni Girolami e che io li rachomando quella lettera di naturalità. Rachomandomi a voi per centomila voltte, ringraziandovi de le nuove. Ò fate le vostre rachomandazioni, rendovele duprichate. Antonio Tadei à tolto per donna la figlia di Ghaleazo Sasetti. Iddio vi dia quel disiderate.
Bartolomeo Panciatichi in Lione
Firenze, 3 agosto 1510
Spectabili viro Nicolao de Maclavellis secretario florentino apud Christianissimum Regem Franciae.
Compare mio charo. Io ho pregato Ruberto che vi rimandi presto, perché almeno, perdendo lui, rihabbiam voi; e per questo siate chontento, poi che lui è giunto, tornarvene presto, ché Filippo e io vi chiamiamo tuttodì. Poi che vi partisti, che fu il dì di S. Giovanni, se bene ho inteso, ché non c'ero, sono stato del continuo malato e ho creduto a ogni modo passare nell'altro mondo: pure da 15 dì in qua mi sono rihavuto in modo che hora sto bene, ma intendo tante chose a un tratto che m'agirano il cervello, perché havendo havuto male, non l'ho potute intendere dì per dì, chome hanno facto gl'altri. E prima Marchantonio Colonna chon 150 chavalli e 500 fanti esser ito per ordine del Pontefice a rivoltare Genova et essersi chondocto là presso, et manchando di speranza esser stato forzato a montare in su l'armata de' Venitiani che girava là intorno per questo medesimo effetto, havervi messo su qualche chavallo e parte della chompagnia, el resto haver lasciato a discrezione. Io havevo Marchantonio, per relazione di molti, per huomo di gran iudicio e buon discorso et molto cauto nelle imprese sue; né mi posso persuadere qual sia stata sì potente causa che l'habbi chonstrecto chon sì pocha gente a mettere in pericolo la chompagnia, l'honore suo, quale stimava tanto, et anchora la vita, perché, se veniva in mano de' Franzesi, non credo l'havessino salvato. Lasceròvi un pocho pensare anchora a voi, e alla tornata vostra ne parleremo.
Ma vegnamo al Pontefice, el quale non si può dire che, poi è in quel grado, el governo suo sia stato di matto, e in quello ha havuto a fare pare sia ito anchora assai cautamente; nondimeno, pigla una guerra chol Re di Francia né si vede per anchora che habbi in chompagnia altri che e Venitiani mezzi rovinati e disperati, e chomincia in modo a offendere il Re da non doverne seguire pace presto, perché prima pigla come un ladro Mons. d'Aus, el quale el Re faceva dimonstrazione stimare assai; dipoi cercha chon parole e chon fatti farli ribellare Genova, e inanzi vi mandi armata o altro, publica per tutto che Genova si volterà, che non è se non dire al Re: - Guardala; et poi che la prima volta non li è riuscito, dice volerla tentare la seconda. Assalta le chose del Duca di Ferrara in Romagna, e per essere mal guardate, ne pigla parte: restava la forteza di Luco che si bombardava: uscirono di Ferrara forse 600 chavalli franzesi, e al sol grido tutte le gente del Papa si missono in fuga e lascioron l'artiglerie, e' Franzesi ripresono tutte le terre che havevono prima tolto a Ferrara. In conclusione io non intendo questo Papa; chome sia possibile che lui solo e Venitiani voglin piglare la guerra contro a Francia. Dice Giovanni Chanacci che gli pare, che 'l Papa habbi facto chome chi giuoca a fluxi o primera e vuole chacciare e ha facto del resto, et che il Re sta dubbio di tenerla, dicendo fra sé: « Se lui non havessi buono, e' non legherebbe sì gran posta »; ma se il Re la tiene, che si chonoscerà chome chomincia a muovere gaglardo contro a Bologna, el Papa alhora tenterà di farne achordo. E io vi dirò il vero, vorrei che il Re piglassi Bologna, seguissi la victoria, chacciassi il Papa di Roma e che uscissimo di lezii, e seguitassi poi quel che volessi. Restaci hora a vedere se il Papa ha lo Imperadore e Spagna chon lui chome molti giudicono: io mi potrei ingannare, ma credo di no: credo bene che lo Imperadore, quando havessi e patti che lui volessi dal Papa, si volterebbe contro al Re, perché ha il cervello, chome sapete, volto a non si fermare; ma sarebbono tali et tanti, che il Papa rimarrebbe sanza danari e dubiterebbe di non perdere la guerra chol Re, e se la vincessi, di non havere a temere più lo Imperadore che hora non fa il Re. Hispagna, sanza lo 'mperadore li parrebbe esser debole; chon esso dubiterebbe che, se vincessi, havere a perdere non solo il Reame, ma la Chastigla e l'Aragonia per le ragioni v'à sù il nipote.
Compare, io ho facto conto parlare chon voi, e delle chose drento non vo' dir niente perché Ruberto vi raguaglerà. L'amico è nelle mani del becharo chome era alla partita vostra. Né altro. A voi mi rachomando.
Francesco
In Firenze, adì 3 d'Agosto 1510
Firenze, 6 agosto 1510
Spectahili viro Nicolao Maclavello apud Christianissimum.
Al nome di Dio, addì vi d'agosto 1510.
Spectabilis vir et major, honorande. Ieri ebbi la vostra de' dì xxv del paxato, et per quella intendo quanto dite che io v'avisi del retifichare di Totto: il che arei fatto per me medesimo, quando lui avessi risposto, ma e' c'è lettere per mano del nipote di Prior Batista, il quale è tornato in sopracaricho di certi oli, che Totto à mandati in Anchona con conditione che detti oli si barattino a panni, et mandinsegli là in Pugla. Dello achordo non ne scrive, perché non sapeva ancor nulla; ma dipoi io ò parlato a un vetturale, il quale andò a Lecco 8 dì dipoi che l'achordo fu fatto, et portò a Totto una mia procura; et è tornato et dice che Totto sta bene. Ma da Totto non c'è un verso. Hora, fatene il giudicio voi: se Totto retificherà, io farò quanto voi m'imponete.
Alla merchatantia non s'è fatto retifichare e ducati 200, perché quando non ò trovato il Ponentino, et quando è stato feria. Farollo sùbito che eschono; perbenché Totto non abbia altro creditore che Girolamo, pure, per ogni rispetto, si farà. Piero mio padre dice che vorrebbe, capitando voi a lLione in chasa Martino Martini, che v'è un figluolo d'Andrea Guidotti che à nome Antonio, che voi lo confortassi a far bene e al guardarsi dal male, et lo rachomandassi a detti Martini come vostro cognato, etc. Né altro per questa. Sono vostro
Francesco del Nero, in Firenze
Firenze, 17 agosto 1510
Spectabili viro Nicolò Machiavelli.
Spectabilis vir etc. Tre dì fa vi dixi quanto mi ocorreva: tucti li advisi et nuove, ci sono dipoi, vi si dicono per una piccola publica. Et altro non ho che dirvi salvo ci pare che Ferrara sia cominciato a lasciare quasi in preda: donde nasca non so; se cotestoro si facessino innanzi, non dubito che non facessino rinculare altri, et chi ancora teme; ma ci pare la paura sia divisa, cercandosi acordo; ma le forze del papa sono picole, et pure è temuto. Vedreno che seguirà. Papa dice havere lo acordo in mano et non volerlo, et sempre minaccia.
L'amico sta bene, et in favore del cielo e delle ben nate alme. Et adio. In Firenze, a dì xvii augusti 1510.
Vester amicus
Firenze, 22 agosto 1510
Nicolao Maclavello secretario florentino suo plurime honorando. In corte del Christianissimo Re.
Niccolò, io vi ho scripto hoggi una verso, dictante D. Marcello, come vedrete. Et se io non vi ho scripto et non vi scriverrò, non ve ne maravigliate, ché li tanti affanni in che mi truovo mi cavono del cervello. Come sapete, la mia donna era malata al partire vostro; et finalmente mi è stata lasciata per morta da ogni uno, et se Dio non mi porge la sua gratia, non la troverrete viva. Et sono condocto ad tal termine che io desidero più la morte che la vita, non vedendo spiraglio alcuno alla salute mia, mancandomi lei. Spendo ogni dì poco meno d'uno fiorino; et così rimarrò abandonato, sanza compagnia et sanza roba. Non altro. Raccomandomi a voi; et pregate Dio vi dia miglore fortuna che non fa a me, che forse lo merito più di voi. Florentie, die xxii Augusti 1510.
Vester Blasius
Firenze, 22 agosto 1510
Egregio maiori meo plurimum honorando, Nicolao Machiavello secretario et mandatario florentino apud christianissimam regiam maiestatem.
Egregie vir maior plurimum honorande, etc. {Per il publico vi si scrive delle cose di Modana et di Ferrara, le quali sono tali, per la celerità della revolutione di Modana, che fanno dubitare che possa essere vero del resto; et, veduto come quello signore è stato abandonato, spaventa ciascuno che havessi ad havere bisogno di aiuto, et però è necessario che voi parliate in quella forma che ricercano i presenti tempi, et che si pensi a tucto quello che potessi succedere in queste presenti occorrentie.}
Bene valete.
Ex Florentia, die xxii augusti mdx.
Vester Antonius della Valle, notarius etc.
Firenze, 24 agosto 1510
A Monsignor lo segretario della signoria di Firenze, Nicholò Machiavelli. In chortte.
Ihesus, addì xxiiii d'aghosto 1510.
Monsignor lo segretario. Rachomandomi a l'usato. Ebbi la vostra de' 18, e visto non si spaciare fanti per Roma, o pochi, mi deliberai, chome ordinasti, di mandarla a Milano a lo anbascadore Francesco Pandolfini, che a quest'ora vi debono esere, e di qui dipoi non è partito nesuno per Italia. In questo punto, che siamo a note, è arivato un choriere da Roma, che partì a' 12 e da Firenze a' 14: di vostre non à portate, che sapi, altro che una che sarà chon questa; venne sotto una mia choverta, sanza soscrizione. Intendo che in Lonbardia le lettere della signoria non som più toche, purché sieno chonosciute, e questo so certo per certe lettere della signoria che venivano a me, che per pocha avertenza di chi le portava, che non sepe dire che le fusino della signoria, furno aperte e, sùbito chonosciute dal chonmesario, non le legié, anzi présse molte schuse, e disse avere chonmesione lasarle pasare. Chosì debono avere li altri. Qua si dice di Modona, Charpi e altre chaxe esere diventate papaliste: di costì se ne saprà la verità. Domatina a desinare, che sareno a domenicha, s'aspetta el nuovo anbascadore. Idio lo meni a salvamento.
E' bisognia che voi ci mandiate la licenzia da posere risquotere, paghare e chanbiare, perché e merchanti àn più paura che non bixogna e masime d'alchuni ufizieri, che ànno e denti lunghi, ché gà di chotesti di chostì non è da temere d'insolenzia: questi di qui ci fan paura, e son certo che chotestoro non la 'ntendano per modo righoroso, né nel modo che alchuni la 'nterpetrano. A loro basta che di qui non vadi danari a Svizeri, chome non è per andare né per farsi per la nostra nazione, choxì che torni in progudizio de la chorona, che sarebbe el nostro. Per vostra fé, vedete abiàn licenza e, se vogliono ecetuare Roma del chanbiare, lo facino, e pensino che, se noi non rischotiamo, non paghereno loro, ché io li ò a riquotere, quelli ò a dare per la signoria, etc. Piacavi farne, e el prima posétte. E addio. El Girolamo si chondusse pure a Firenze, Idio lodato.
vostro Bartolomeo Panciatichi, in Lione
Firenze, 25 agosto 1510
Spectabili mandatario florentino apud Christianissimam Majestatem Nicolao Maclavello suo amatissimo.
Mandatarie dilectissime. Per non ci essere ser Antonio, supplirò in luogho suo con questi due versi: rispondendo a ser Antonio, verrete a rispondere a me. Io ho visto la vostra de' 13 et il ghuadagnio sapete che mi piace; ma la spesa mi dà noia, et più li pericoli che si corrono ad intrare in simili mercantie in questi tempi, e quali sono molto forti, adeo che chi conserverà il suo, non che cerchi di guadagniare, non farà pocho. Perché si vede questo pontefice ogni dì più accendersi alla ghuerra, et ha facto a Civitavecchia una grossissima armata, et ha soldato iii o iiii mila fanti; et si persuade, secondo il parlare suo, dovere conseguire la impresa. Ma la città qui è intrata in grandissimo sospecto di Piombino, della Maremma nostra, di Vada, di Livorno, et di Pisa; et hanno questi nostri signori mandato in quelle maremme tucte le loro genti d'arme, et gram somma di fanterie. In modo che sono intrati in una spesa grandissima. Inoltre si è messo buona somma di fanti in Volterra, al Poggio Imperiale et in Arezzo, per rispecto che a Chastello hanno ridocto li usciti d'Arezzo, et il S.re Marcantonio si truova tra Chiusi et Sartiano, Giovan Capoccia è a Montepulciano, et dànno danari et fanno cavalli, et fanti quanti ne possono prehendere. Giovan Paulo Ballioni si truova in Perugia, et va facendo pratiche continuamente in sul nostro, in maniera che questi nostri Signori stanno con gram sospetto et dispiacere et sono intrati, come ho detto, in una grandissima spesa et molto maggiore che non era quella di Pisa: et Idio voglia che questa non habbi ad essere una mala ghuerra.
Da altra parte s'intende Svizeri essere alla montagnia di San Bernardo et volere scendere ad ogni modo; et il papa fa charicare la sua ghaleazza di frumento a Civitavecchia, così molti altri navili, ché si vede vuole adoperare decti frumenti per le victuarie di epsi Svizzeri; et si crede, se l'armata sua fia più potente, se ne verrà a Savona o a Villafrancha o a Nizza, o in qualche porto sopra a Savona. Dell'armata di Genova non s'intende ancora bene il particulare. Ancora s'intende che le genti de' Venitiani hanno ripreso tucto il Pulesine; et se a Lignagho non fia la gente molto grossa, se ne verranno a passare il Po dirimpecto a Carpi o alla Mirandola: et venendo ii o iii mila cavalli leggieri con qualche somma di fanterie, se verranno co' Rossi insino in Parmigiano: et hannosi levato la ghuerra da dosso et di casa, et hora la mecteranno in Lonbardia, se non truovono grosso et forte riscontro. Nostro Signore Idio, proveda a tucto et sopratucto aiuti questi nostri Ex.si Signori e quali sono in grandi affanni. Per frecta non dirò altro. La brigata vostra sta bene, et vos bene valete.
Ex Florentia, die xxv Augusti MDX.
Vester Ser Julianus Vallensis
Firenze, 29 agosto 1510
Spectabili viro Nicolò Machiavelli, etc.
Carissimo Nicolò. Questi di cancelleria non hanno paura d'una penna, ma l'harebbono bene d'uno remo. Et se non ti hanno raguagliato del termine in che si truovono tucte le cose tue, è stato perché nessuno vuole fare quello che non se li apartiene. Mogliata è qui, et è viva; e figliuoli vanno a·llor piede; della casa non si è visto il fine (?) et al Percussino sarà magra vindemia. Et questo è dove tu ti truovi. I' ò hoggi mandato duo volte per il nipote tuo. Non ci è venuto anchora: debbe forse essere fori alla villa. Domani farò di vederlo et li dirò il bisogno. La festa et questo subito spaccio ha facto che li 50 ducati non ti si sono potuti rimettere: piglieronne il charico io. Et pensa che per la prima che si scriverrà a Lione, vi si scriverrà il bisogno.
{Le tue lettere hanno facto di qua sbadigliare ogniuno; et pensa e ripensa, et poi non si fa nulla. Tu ci puoi vedere fino di costà, che si faccia et che si dica; et insomma noi siamo homini, che il caldo ci stempara et il freddo ci ranichia. Insomma a noi ha a intervenire come a quelli di chi diceva Quintio: « Sine gratia, sine honore, premium victoris erimus ». Questa chiesta delle genti ci conduce in loco, dove forse ancora non si vede. Io, per me, la vegho farci scala a un altro apuntamento con grande iactura nostra, perché noi manchiamo dell'obligo, et bisognerà ratoparlo forse con più panno che non saria stato tucta la vesta. Così interviene a chi non prevede. Et sare' bene che, chi fu causa della partita di Marcantonio, provedessi hora a questo disordine, il quale con molti altri nasce da quella lasciata. Ma gli è un bene, o per meglio dire, manco male, ché se queste cose vanno avanti, noi faremo un brodecto d'ogni cosa. Io, per me, credo che gli arà a omni mo' a intervenire del Papa et della Chiesa, come intervenne di Venezia, che tanto pinse che vi entrò. Io non so che mi ti dire altro.} Bene vale.
Florentiae, die 29 Augusti 1510.
Compater vester
{Non parlate con altri di questi mia ghiribizi.}
Gallarate, 30 agosto 1510
Magnifico viro Nicolao Machiavello, secretario et mandatario reipublicae florentinae apud Christianissimam Maiestatem.
A Bles.
Jhesus.
Tanquam frater etc. Hiersera per un corriere aùto da Firenze ricevetti la inclusa vostra, quale mi fu mandata aperta, perché la legessi et, risugellata, dipoi ve la mandassi. Et così fo. Voi non tenete quel conto che si conviene {di Ferrara} et nasce perché {filate de' Svizeri. Il Duca} pare si sia {ritirato dentro con tucte le genti in Ferrara, quale resta sanza pericolo} altro non si faccendo, {et questo moto de' Svizeri proibisce farlo. El papa harà le 300 lance dal re di Spagna}, et questo principio col tempo sarà causa {di produrre difidentia et inimicitia fra re di Francia et re di Spagna. El re vòle le 300 nostre lance ad ogni modo, et la commissione} debbe {nascere di costì.}
Io vi mandai hieri sotto lettere del Panciatico, con una coverta però de' X, vostre lettere. Né altro per al presente mi achade. Se Ruberto fusse anchora comparso, direi che per mia parte lo salutassi. Il mondo s'aviluppa, et il Frate s'aporrà, che Dio vi renda el credere.
A Galeris, xxx augusti mdx.
Quando vedete monsignor Roberthet, racomandatemi infinite volte a sua signoria.
Franciscus Pandulphinus, orator
Lione, 1° settembre 1510
Al mio honorando messer Nicolò Maclavello, mandataro della Signoria di Firenze al christianissimo re. Alla corte.
Monsignor lo segretaro. Scrissivi l'utima per Giovanni Girolami; questa mattina ebbi la vostra de' xxvii passato, et quella per Firenze al magistrato de' signori X si manderà: non avendo altro modo, si farà per mani delle poste fino a Milano, diriptte all'oratore Pandolfini, dal quale s'è avuto in questo punto lo presente piego molto racomandato. Et, sendo partito stamattina l'oratore Accaioli, a·vvoi si mandano, come porta l'ordine. Avixate dell'avuta. Et, davanti la partita dell'oratore, come detto, questo giorno li referi' quanto scrivesti, et di costà sarete presto insieme. Iddio l'acompangni per tutto, ché veramente la sua qualità merita lalde. Piaccia a·dDio la sua venuta sia a benificio suo et della patria, et quelli nostri vicini a Pixa vi sieno racomandati.
Ringraziovi delle nuove n'avete dato, et referito sùbito a questi della natione sopra la facenda de' canbi, di che s'è aùto licenza; et duole et grava a tutti li mercanti questi trambusti et modi di messer lo papa, che·ssarà cauxa di rovinare la corte romana. Iddio provega al bixongnio. Né altro per questa. A·vvoi mi racomando, Iddio pregando di mal vi guardi.
A·lLion, alli primo di settembre mdx.
Io, Luigi Cei, alla vostra bona grazia mi racomando: a Raffaello Milanesi ò scriptto sopra la facenda, iusto l'ordine.
vostro Bartolomeo Panciatichi
Firenze, 12 settembre 1510
Spectabili viro Nicolao Maclavello, segretario dignissimo.
Im Bles.
Al nome di Dio, addì xii di settembre 1510.
Spectabilis vir. Questa mattina c'è lettere da Totto, per le quali mi pare che retifichi a quanto per voi si fece. Anne mandato contratto a Prior Batista et lettere et instruzzione: che, per esser Prior Batista a Montespertoli, ò dato tutto a messer Giovam Piero et dettogli che mandi per detto messer Batista, accò che infra el tempo si possa fare gl'atti della retifichatione; e si vede che Totto s'è dibattuto un pezzo, che a me lo scrive et dice, in buona parte, le persuasioni mie sono state causa dello averlo fatto retifichare; et a voi non c'è lettere, ma dice vi si dicha che è sano: non v'à scritto per sapere voi non ci siate.
La brigata vostra tutta sta bene.
Francesco del Nero, in Firenze
Tours, 21 settembre 1510
Spectabili viro, domino Nicholò Machiavegli, in Lione.
Spectabili viro et magore mio honorando. Quanto posso e di buon quore a voi mi rachomando. Chi chrede da queste generazione chavare profitto alchuno sarà bene aventurato se la indovina. Vogliono e·loro per loro, e quelo d'altri a chomune. Dopo molte chieste de la vostra lettera di passo, mi fu data da uno suo chostatore, el quale mi domandò per sua pena, di schritto e chartepechore, danari 2; fui per lascarla, tuttavolta l'ò presa, e anchora non li ò dato nulla, e, se non fussi che ò avere a fare di loro, li mostrerei el chulo. Se potrò ischobelarmene, lo farò; quanto no, dirò a Nicholò Alamani che lo chontenti. Avuta che l'ebi, trovai meser de la Tremoglia per sugelarla, che tiene el sugelo sechreto. Lascò istare tutto e véne, e spaciòmi sùbito sanza legere né vedere che fussi, e mi usò queste parole formale: - Io amo tanto e fiorentini tutti e te in partichularità, che non mi sarà mai faticha fare chosa che vi piacca. - Rinchrazia'lo quanto si chonveniva.
Con questa sarà e la lettera de l'anbascadore a' 10 e Lorenzo Marteli, e la lettera di passo e el dopio de li articholi dati al choncilio per questa maestà. Altro non ò da dirvi di nuovo. La chonchlusione si farà lunedì: intendendosi, e io gudichi potere avisarvene, lo farò. Berlinchozi chaldi chaldi: la vicina de l'anbascadore è buona compàgnia; la Giana a Lione so tutta vostra, e però li lascerete, piacendovi, una lettera, che me la dia a la mia prima venuta.
Altro non mi achade. Prieghovi, quando sarete a Firenze, rachomandarmi a chi sapete, e vogliatemi bene, ché io sonno tutto vostro.
A Torsi, a dì 21 di settembre 1510.
Per lo tutto vostro Ioanni Girolami
Blois, 7 ottobre 1510
Spectabili viro Niccolò Maclavello secretario florentino compatri carissimo. In Florentia.
Spectabilis compater. Io hebbi l'ultima vostra da Lione et mi son riservato a risponderli per expectare lo arrivar vostro in Firentie, dove io penso che, per gratia prima di Dio et poi della Janna, vi siate condotto salvo, et allo arrivar di qua harete forse rivisto la Riccia. La lettera del thesaurier Robertet credo fussi pagata alla prima dimanda da quel de' 500; e quali se non fussin ben chiari, io son chiaro io assai bene, che è buon mezzano a venderci ogni volta che trovassi comperatore. Non so se e vostri metterà nel conto de' 500; credo di no, per non guastare el numero. Mons. di Cuattrefoys attende a scoprir paesi et far scorrerie; et perché io mi sono impancato in su quel Gian di Ponte, me l'ò tirato di qua di riviera, per darli più lunga corsa. L'imbasciatore di Mantova alla barba vostra comperò di sua mano a queste mattine certi pescion' da una bella figlia, et dice lo fece per farvi dispecto; et io vedendo chi vende, apruovo per ben facto, et el primo venerdì liene calo anch'io; ma non lo dite a Nencio, che griderebbe com'un pazzo et crederebbe che io havessi un bel tempo. Delle condocte nostre intenderetene la riuscita allo arrivar vostro. Et come Piggello è venuto per consiglio, vedete se l'amico ha poca faccenda, et come può mai far nulla, quando va per consiglio a chi non resolve nulla: ché non può calzar meglio questa cosa, che un che non fe' mai nessuno efecto, si consigli con chi anchora non ne fa mai alchuno; sopra che mi pare che lo habbiamo trattato secondo la natura sua et nostra.
E' mi pare vedere el Casa et Francesco et Luigi venirvi a trar di casa apresso lo arrivar vostro, et menarvi a un solino o in sancta Maria del Fiore per votarvi, et intendere tutte le cose di qua. Ricordovi che quanto più vi terrete in reputatione, più vi stimeranno, sì che datele loro a spizzico et beccatelle. Et raccomandatemi talvolta a loro, et dite al mio compare Casa che m'habbi per raccomandato in questa solitudine; se non, che io non mi ricorderò di lui, se noi passereno e monti, et che io li farò saccomannare quello spedaluzzo di fava. Delle cose di qua, sendovi comune le publiche, non dirò altro. Et a voi mi racomando. Vale.
Ex Blesis. Die vii Octobris mdx.
Dice Mons. di Quattrofoys che li facciate buono uno ducato che ha pagato per la lettera, che l'ha facto buono al granattiere.
Comp. Rob. Ac. Or.
Blois, 10 ottobre 1510
Spectabili viro Niccolao Maclavello, secretario excelsi Populi Florentini compatri carissimo.
In Florentia.
Compare carissimo. Io vi scripsi 6 giorni sono. Dipoi, come per le publiche vedete, el favore che si chiese {al re, per havere uno condoctiere si mette di qua a entrata, perché, solicitato da qualche uno di qua, desidera si tolga messere Teodoro. Et voi, hora che non havete più paura, non vi ricordate di quello si richiese el re, che fu di potere trarre col suo favore uno condoctiere di Lombardia. Lui ve l'à dato, et voi lo lasciate in secco. Et però non vi maravigliate se voi non siate adoperati ad nulla. Voi vorresti uno che non dependessi né da Francia né dal Papa né da Spagna né da Vinitiani né da lo 'mperadore. Mandate pel Soffi o al Turco per un bascià, o pel Tamburlano: Che vi venga — dice monsignore di Cattrofoys — el canchero.} Sì che io vi ricordo, messer Hercole, che 'l fare et non fare non sta insieme. Il volere consiglio et favore di qua, et chiederlo et non lo acceptare, non sta insieme. Io vi dico che se {voi non torrete qualche uno in Lombardia, voi resterete in mala gratia, perché io so che 'l re ha dato intentione che farà che voi torrete messere Teodoro.} Fatelo intendere a chi vi pare, et uscite di questa pratica, che non pare si possa far niente senza mala gratia et dispiacere di tutto el mondo.
Altro non accadendo, mi raccomanderete alla Ex.tia del Gonfaloniere, et li amici. Valete.
Ex Blesis, die x octobris mdx.
Manum agnoscis
Blois, 21 ottobre 1510
Spectabili secretario Excelsae Reipublicae Florentinae Niccolao Maclavello compatri carissimo.
In Florentia.
Spectabilis compater. Io vi scripsi a' dì passati un'altra lettera, la quale io credo che harete hauto allo arrivar vostro. Di poi è occorso quello che per le publiche harete inteso circa {le condotte, che la venuta del signor Gian Giachomo è per dare aviamento a questi tutti messi di qua in suspecto del principe di Melfi.} Et voi ne sete suti causa con lo indugiar tanto. Et quello che muove l'amico, se noi vogliàn dire el vero, non è sanza ragione, per esser suto richiesto d'un condoctiere italiano, perché li pare li facciate ingiuria a non tòrre quello che vi ha provisto, et di chi lui vi consiglia. Et benché l'huom non chiedessi più un che un altro, liene chiedesti uno italiano; del quale non li faccendo honore, credo li paia restar deriso, et maxime che lui ne scripse alle persone proprie, le quali sendo postposte ad altri restono malcontenti, parendo metterci de l'honore, sendo stati richiesti et di poi rifiutati. Et dubito che, poiché mi hebbon commesso per la de' 29 d'agosto di quanto si haveva a ricercare el Re, non paressi loro havere hauto troppa paura, et commessoci una richiesta che dipoi è parso loro troppa.
Et veggo che si spaventorno tanto del Papa in quelli giorni, che giudicorno non havere altro rimedio, che gittarsi di qua per una subita provisione. Et ivi a poco, cessate le paure, non si son ricordati di quello che si comesse di qua. El che fu, che, visto tanti pericoli et minacci et trovandosi disarmati, ci consigliassimo col Re, et dipoi si ricercassi che ci acommodassi d'un condoctiere italiano per potersene servire in fra un mese, et lo ricercassimo instantemente; et non dice c'indirizzassi, ma che ci acomodassi et servissi; et dice con instantia da servirsene in fra un mese. Queste circunstantie monstrono che voi volevi un di quelli che fossi a' soldi sua et havessi la compagnia parata. Et però lui, per farvi servitio, ha facto contento l'amico, et hora che la voce è sparsa, voi non liene facciate honore, credo che dall'uno et l'altro ne harete mal grado.
Et però quando dextramente monstriate come da voi costì a qualchuno questo disordine et errore, non sarebbe fuor di proposito, perché io non posso né debbo consigliarli. Et mi penso che habbin l'occhio ad tutto. Tamen io ne lascerò a voi el pensiero, et a me non ne va altro che starmi un poco adrieto. Ma mi sa mal, che noi non facciamo mai cosa, che non ci acquistiamo qualche inimico. Iddio v'inspiri a pigliar buon partito. Raccomandatemi al Vectorio et aliis amicis di piazza. Vale.
Ex Blesis. Die xxi Octobris mdx.
Robertus Acciaiolus orator
Io desinai a queste mattine con Finale, et domandommi del Valori. Et se voi ci fussi stato, haremo facto una comunella per le sua vendecte; vostro danno, ché io non voglio esser solo a que' guadagni.
Blès, 22 novembre 1510
Spectabili viro Niccolò Machiavelli, secretario reipublice florentine, amico carissimo.
Florentie.
Messer Nicholò mio honorandisimo. Io mi rachomando a voi chon tutto el quore. E se, dipoi la partita vostra, non v'ò ischritto, molte sono istate le chagone: la prudenzia vostra tutte le intende per dischrizione, e basti.
Sono istato ne·Loreno, per dare fine a qualche faccenda del mio reverendissimo padrone: ò fatto per quelo andai, e chredo che sua signoria reverendissima si chontenterà di me quanto a quella parte; digà sono 15 gorni sono tornato, e ò inteso de le chose assai, e poche sono quele che mi sono piaciute; e perché io non posso rimediarvi né saprei trovare altra via che la pazienza, m'achordo chon quelle e sto a udire.
Meser Nicholò, io ò già udito dire che chi promette e non attiene, el diavolo lo piglia, e son veste a tutti quegli che manchono di fede: chredo che sia per e ghrandi chrocioni che portono adosso, e quel li difendono; ma quele persone che non possono portare, per la deboleza loro, se non una chroce di paglia, el vento ne la può portare, e lui si truova in bocha a l'orcho. Ma è ben vero che, quando una persona è istata malata ghran tempo, se poi chominca e pigliare qualche miglioramento, per la lungha malattia che à avuta gli pare che quel pocho di miglore li sia una forza di gighante, e vuole fare di quelle medesime pruove che fa un chorpo forte e netto di malattia, e·sse richade non è da maravigliarsene, e se se ne muore, ogni uno se ne ride, etc.
Di qua si dice de le chose assai, ma perché non è mia arte a pensare a chose di stato, me ne passerò, masime venendo tutte le importante di chostà. Attendete a fare buona cera fino a la venuta de li amici, che sarà in ogni modo, e di questo siatene sichuro, e in questo mezo vedete di chaciare da voi queste farnesie, che sono proprio de' cervegli sanesi.
Altro non mi achade. Sono tutto vostro, o vogliate o non. Priegho Idio che di male vi ghuardi.
A Blès, a dì 22 di novembre 1510.
vostro servidore e amicho, el singniore di Quatrofuoys
Pisa, 30 aprile 1511
Al mio compare Nicholò Machiavelli, segretario delli nostri excelsi signori. In Firenzze.
Machiavello. Non mi parve da schrivere al ghonfaloniere ne' dì santi, né anche nelle feste di Pasqua, perché tu non se' stato a.fFirenzze. Penso che tu sia tornato per amore delle armegerie ordinarie et straordinarie. Però ho scripto una buona lettera al ghonfaloniere sopra a quella materia, et così ne ho scripto una diritta a Piero Guiciardini et a Francesco d'Antonio di Taddeo. Porgi l'orechio et aiuta, poi avixa come la sia suta presa, benché per me non ci si può più fare nulla; et, se ti parrà (et di questo ti pregho), fara'mi un discorso delle chose di fuora, facciendo uno epilogho di tutte. Similmente vi agiugnerai el iuditio tuo, discorrendo del presente et del futuro. Alia non ochurrunt. Rachomandomi atte, et a Dio.
Da.pPisa, a dì xxx d'aprile 1511, per Alexandro Nasi, etc.
Sarà con questa una mia al ghonfaloniere e una altra mia a Piero Guiciardini, la quale ha a essere comune a Francesco d'Antonio di Taddeo. Saranne apportatore uno staffiere del signore Iachopo, et tu le farai dare, quella di Piero Guiciardini maxime, per altre mane che per le tua a Piero Guiciardini. Aiuta et rispondi. Insegna a questo apportatore dove sta Ruberto Nasi et dove sta Andrea Tedaldi et dove sta Bernardo Chorselini, cioè l'anima di Giano.
Genova, 12 giugno 1511
Spectato viro tanquam fratri honorando, domino Nicolao Malchiavello, excelse Florentinorum reipublice cancellario dignissimo.
Florentiae.
Messer Nicolao mio, como fratello honorando. Perché Alexandro Salvaigo è andato in Franza con lo illustre nostro gubernatore, ma ha lassato certe lettere dirrecte a voi, quale vi mando. Preterea, mi rendo certo che haresti facto bona opera de la cosa mia con quella excelsa republica et con lo illustre confaloniero, et harò a caro essere advizato da voi de quanto hareti facto et di che speranza ne posso vivere, et così ve prego. Il prefato nostro gubernatore, quale si è partito hogi, me ha dicto maravigliarsi che non habia anchora havuto resposta de le sue lettere et in mia presentia ha lassato ordine al suo locotenente che, se haverà la resposta, me ne debia far notitia, a ciò che sapia el tutto. Et ulterius mi ha promesso, quando sarà in corte, de far bona opera con l'ambasiator vostro, el quale etiam lo scriverà a Fiorenza. Et però ve piacerà de operare che la prelibata vostra comunità et lo confaloniero respondeno al prefato gubernatore, drizando le lettere qua, perché cossì è l'ordine. Io sto con speranza che la cosa debia haver effecto, et in parte ne resterò a voi obligatissimo, offerendomi paratissimo sempre per voi. Ve piacerà etiam darme advizo del tempo che si harà a fare la electione, perché mi sarà molto a proposito saperlo.
Il capitanio de la Scala, quale etiam è andato con lo prefato gubernatore, me ha lassato vi voglia scrivere che, se voleti facia qualche cosa in corte per voi, ge lo debiati scrivere et drizar le lettere a lo ambasiator vostro, con lo quale fa raxone de far bona ciera, reputandosi lui tutto fiorentino. Così vi dico per parte soa. Harò a caro che, acadendoge voi scrivere, li faciati intendere come ho facto l'officio in scrivervi quanto mi ha pregato.
Non acade dir altro per questa, se non che a voi mi racomando et offero, aspectando da voi resposta. Bene valete. Genue, die 12 Iunii 1511.
vester Joannes Nigronus, S. V. D.
Firenze, 27 agosto 1512
Nicolao Maclavello secretario florentino patrono suo.
In campo.
Niccolò honorando. Chi voi sapete vuole che io vi facci intendere che voi sollicitiate costì ad fare qualche provedimento, ché questo venire el campo nimico stasera ad Campi per alloggiarvi, non li piace punto et maravigliasene. Adio. Fate quello buono potete, ché il tempo non si perda in pratiche.
In Palatio, die xxvii Augusti 1512, hora 22.
Frater Blasius
Firenze, post 16 settembre 1512
Ill.ma D.na poiché V.ra S. rìa vuole, illustrissima madonna, intendere queste nostre novità di Toscana, seguite ne' proximi giorni, io liene narrerò volentieri, sì per satisfarle, sì per havere e successi di quelle honorati li amici di V.S. Ill."'a et patroni miei; le quali dua cagioni cancellano tucti li altri dispiaceri hauti, come nello ordine della materia, V.S. intenderà.
Concluso che fu nella dieta di Mantova di rimettere e Medici in Firenze, et partito el viceré per tornarsene ad Modona, si dubitò in Firenze assai che 'l campo spagnolo non venissi in Toscana: nondimancho, non ce ne essendo altra certeza, per havere governate nella dieta le cose secretamente, et non potendo credere molti che 'l papa volessi che l'exercito spagnolo turbassi quella provincia, intendendosi maxime per lettere di Roma non essere intra li Spagnoli et il papa una gran confidenza, stémo con lo animo sospeso sanza fare altra preparatione, infino ad tanto che da Bologna venne la certeza del tucto. Et essendo già le gente inimiche propinque ad li confini nostri ad una giornata, turbassi in uno tracto di questo subito assalto, et quasi insperato, tucta la città; et consultato quello che fussi da fare, si deliberò con quanta più presteza si potessi, non possendo essere a ttempo ad guardare e passi de' monti, mandare in Firenzuola, castello in su' confini tra Firenze et Bologna, 2000 fanti, acciò che li Spagnoli per non si lasciare adrieto così grossa banda, si volgessino alla expugnatione di quello luogo, et dessino tempo a noi d'ingrossare di gente et potere con più forze obstare alli assalti loro; le quali gente si pensò di non le mettere in campagna, per non le giudicare potente ad resistere alli inimici, ma fare con quelle testa ad Prato, castello grosso et posto nel piano nelle radice de' monti che scendono dal Mugiello, et propinquo ad Firenze ad dieci miglia, giudicando quello luogo essere capace dello exercito loro et potervi stare securo, et, per essere propinquo ad Firenze, potere ogni volta soccorrerlo, quando li Spagnoli fussino iti ad quella volta. Facta questa deliberatione, si mossono tucte le forze per ridurle ne' luoghi disegnati; ma el viceré, la intentione del quale era non combattere le terre, ma venire ad Firenze per mutare lo stato, sperando con la parte posserlo fare facilmente, si lasciò indreto Firenzuola, et passato l'Apennino scese ad Barberino di Mugiello, castello propinquo ad Firenze ad diciotto miglia, dove sanza contatto tucte le castella di quella provincia, sendo adbandonate d'ogni presidio, riceverno e mandamenti suoi, et provedevono el campo di vettovaglie secondo le loro facultà. Sendosi intanto ad Firenze condocto buona parte di gente, et ragunati e condottieri delle gente d'arme et consigliatosi con loro la difesa contro ad questo assalto, consigliorno non essere da fare testa ad Prato, ma ad Firenze, perché non giudicavono possere, rinchiudendosi in quello castello, resistere a l'inimico, del quale non sapiendo anchora le forze certe possevano credere che venendo tanto animosamente in questa provincia, le fussino tali che ad quelle el loro exercito non potessi resistere; et però stimavono el ridursi ad Firenze più securo, dove con lo aiuto del popolo erano sufficienti ad defendere quella città, et potere con questo ordine tentare di tenere Prato, lasciandovi uno presidio di tremila persone. Piacque questa deliberatione, et in spetie al gonfaloniere, giudicandosi più securo et più forte contro ad la parte, quanto più forze havessi drento apresso di sé. Et trovandosi le cose in questi termini, mandò el viceré ad Firenze suoi ambasciadori, e quali exposono alla Signoria, come non venivono in questa provincia inimici, né volevono alterare la libertà della città, né lo stato di quella, ma solo si volevano adsicurare di lei che si lasciasse le parti franzesi et adherissesi ad la lega; la quale non giudicava possere stare secura di questa città, né di quanto se li promettessi, stando Piero Soderini gonfaloniere, havendolo conosciuto partigiano de' Franzesi, et però voleva che deponessi quel grado, et che 'l populo di Firenze ne facessi uno altro come li paressi. Ad che rispose el gonfalonieri che non era venuto ad quel segno né con inganno né con forza, ma che vi era stato messo dal popolo; et però se tutti e re del mondo raccozati insieme li comandassino lo deponessi, che mai lo deporrebbe; ma se questo popolo volessi, che lui se ne partissi, lo farebbe così volentieri, come volentieri lo prese, quando sanza sua ambizione li fu concesso. Et per tentare l'animo dello universale, come prima fu partito lo 'mbasciadore, ragunò tucto el consiglio et notificò loro la proposta facta, et ofersesi quando al popolo così piacesse, et che essi giudicassino che della partita sua ne havessi ad nascere la pace, era per andarsene ad casa. La quale cosa unitamente da ciascuno li fu denegata, offerendosi da tucti di mettere infino alla vita per la difesa sua.
Seguì in questo mezo che 'l campo spagnolo s'era presentato ad Prato, et datovi uno grande assalto; et non lo potendo expugnare, cominciò sua Ex.tia ad trattare dello accordo con lo oratore fiorentino, et lo mandò ad Firenze con uno suo, offerendo d'essere contento ad certa somma di danari; et de' Medici si rimettessi la causa nella Cattolica Maestà, che potessi pregare et non forzare e Fiorentini ad riceverli. Arrivati con questa proposta li oratori, et referito le cose delli Spagnoli debole, allegando che si morieno di fame, e che Prato era per tenersi, messe tanta confidenza nel gonfaloniere et nella moltitudine, con la quale lui si governava, che benché quella pace fussi consigliata da' savi, tamen el gonfaloniere l'andò dilatando, tanto che l'altro giorno poi venne la nuova essere perso Prato, et come li Spagnuoli, rotto alquanto di muro, cominciorno ad sforzare chi difendeva et ad sbigottirgli, in tanto che dopo non molto di resistenza tucti fuggirno, et li Spagnoli, occupata la terra, la saccheggiorno, et ammazorno li huomini di quella con miserabile spettacolo di calamità. Né ad V. S. ne referirò i particolari per non li dare questa molestia d'animo; dirò solo che vi morieno meglio che quattromila huomini, et li altri rimasono presi et con diversi modi costretti a riscattarsi; né perdonarono a vergini rinchiuse ne' luoghi sacri, i quali si riempierono tutti di stupri et di sacrilegi.
Questa novella diede gran perturbazione alla città, non di manco il gonfaloniere non si sbigottì, confidatosi in su certe sue vane oppenioni. Et pensava di tenere Firenze et accorciare gli Spagnuoli con ogni somma di danari, pure che si escludessero i Medici. Ma andata questa commessione, et tornato per risposta come egli era necessario ricevere i Medici o aspettare la guerra, cominciò ciascuno a temere del sacco, per la viltà che si era veduta in Prato ne' soldati nostri; il qual timore cominciò ad essere accresciuto da tutta la nobiltà, che desideravano mutare lo stato, in tanto che il lunedì sera addì 30 d'agosto a dua hore di notte, fu dato commessione alli oratori nostri di appuntare con il viceré ad ogni modo. Et crebbe tanto il timore di ciascuno, che il palazzo et le guardie consuete che si facieno dalli huomini di quello stato, le abbandonarono, et rimaste nude di guardia, fu costretta la Signoria a relassare molti cittadini, i quali, sendo giudicati sospetti et amici a' Medici, erano suti ad buona guardia più giorno in palazzo ritenuti; i quali, insieme con molti altri cittadini de' più nobili di questa città, che desideravono rihavere la reputatione loro, presono animo; tanto, che il martedì mattina venneno armati a palazzo, et occupati tutti i luoghi per sforzare il gonfaloniere a partire, furno da qualche cittadino persuasi a non fare alcuna violenzia, ma a lasciarlo partire d'accordo. E così il gonfaloniere accompagnato da loro medeximi se ne tornò a casa, et la notte venente con buona compagnia, di consentimento de' signori, si condusse a Siena.
A questi magn.ci Medici, udite le cose successe, non parve di venire in Firenze, se prima non havieno composte le cose della città con il viceré, con il quale doppo qualche difficultà feciono l'accordo; et entrati in Firenze sono stati ricevuti da tutto questo popolo con grandissimo honore.
Essendosi in quel tanto in Firenze fatto certo nuovo ordine di governo, nel quale non parendo al viceré che vi fosse la sicurtà della casa de' Medici né della lega, significò a questi signori, essere necessario ridurre questo stato nel modo era vivente il mag.co Lorenzo. Disideravano li cittadini nobili satisfare a questo, ma temeano non vi concorresse la moltitudine; et stando in questa disputa come si havessono a trattare queste cose, entrò il legato in Firenze, et con sua signoria vennono assai soldati, et maxime italiani; et havendo questi signori ragunato in palazzo addì 16 del presente più cittadini, et con loro era il mag.co Giuliano, et ragionando della riforma del governo, si levò a caso certo rumore in piazza, per il quale Ramazzotto con li suoi soldati et altri presono il palazzo, gridando « palle palle ». Et sùbito tutta la città fu in arme, et per ogni parte della città risonava quel nome; tanto che i signori furono constretti chiamare il popolo a concione, quale noi chiamiamo parlamento, dove fu promulgata una legge, per la quale furono questi magnifici Medici reintegrati in tutti li honori et gradi de' loro antenati. Et questa città resta quietissima, et spera non vivere meno honorata con l'aiuto loro che si vivesse ne' tempi passati, quando la felicissima memoria del magnifico Lorenzo loro padre governava.
Havete adunque, ill.ma madonna, il particolare successo de' casi nostri, nel quale non ho voluto inserire quelle cose che la potessero offendere come miserabili et poco necessarie: nell'altre mi sono allargato quanto la strettezza di una lettera richiede. Se io harò satisfatto a quella ne sarò contentissimo; quanto che no, priego V. S. Ill.ma mi habbia per scusato.
Quae diu et felix valeat.