Leon Battista Alberti

SOFRONA

 

(INTERLOCUTORI SOFRONA E BATTISTA)

Quanti fra noi siano in più modi necessità ad amicizia e ottimi legami di benivolenza, sarebbe lungo recitarli. Né a questo di che io intendo scriverti, sarebbe molto adattato raccontar qui l'amore sempre a me e a tutti e' miei mostrò in vita L. Conte, tuo zio, cardinale religiosissimo, e omo per costumi, nobilità, virtù, e per perizia di perfettissime arti fra tutti e' sacerdoti, certo, suo merito, avuto primo e prestantissimo. Quale autore e tutore d'ogni mia dignità e autorità, quando per molti verissimi indizi conosci me a te essere non mediocre né volgare amico, debbi stimare io, non men che tu, desidero, ove così dai fati a noi fosse permesso, vederlo in vita studioso di premiare le virtù e meriti tuoi. E voglio non dubiti me d'ogni tuo incomodo e sinistro caso sentirne come amico in ogni parte dolore. Ma poiché dai prudenti antiqui scrittori me sentiva ammonito essere nostro debito, quanto in noi sia, ossistere e propulsare da noi ogni tristezza e mala cura d'animo, presi per sollazzo a questa nostra comune calamità scriverti quanto a questi dì Sofrona, quella matrona dopo le nozze del medico maritata a quel iurisconsulto, e poi terzo, moglie di quel famoso procuratore, onde testé rimasa vedova, molto si consiglia con quel giovane teologo in chiesa qual tu sai, fra più donne meco a questi dì ebbe ragionamenti degni di memoria, iocosi, e atti a sollevarti l'animo da ogni gravezza o miseria.
Disse adunque Sofrona con voce altiera e fronte aspera, e con gli occhi, uhi!...turbati: "E tu Battista, che stoltizia fu la tua scrivere a Paulo iurisconsulto lettere, sì vituperando noi altre femmine? Indegno della grazia quale sempre avesti presso di tutte le fanciulle! E ch'è nostra colpa, se tu non sai soffrire un cruccio di chi t'ama, dove tu scrivi, chi non sa soffrirli non sa amare? Aspetta, e me guida e capo, averci tutte tue capitali inimiche".
Simili parole e gesti tutte l'altre ivi presenti donne mi porsero animosissime. Io qual, tu sai, sono di natura vergognosa e sopra tutti rattenuto e guardingo, dubitai alquanto se altra cagion così le amovesse, e se altro odio le incendesse a tanto e sì severo minacciarmi. Poi meco mi dolsi del nostro Paulo, che in questo avesse non ubbiditomi, quanto in quelle mie medesime lettere el pregai l'ardesse, solo per non dare occasione altri stimassi me a così scriverli da cagione alcuna mosso che solo per vendicarlo in libertà da quella amatoria sua servitù, in quale e' misero iacea. Ma ultimo che io mi raccolsi, tutto remisso dissi:
- Sofrona, né tu prudentissima credo me reputi stolto, né queste donne nobilissime stimano in me non essere qualche virtù e cagione, per quale io meriti essere non in disgrazia a chi io mai offesi e sempre onorai; onde sino a qui mi glorio mai ad alcuna amata mia fui poco accetto. Né, se io forse in quelle lettere a Paulo biasimai costume alcuno in femmine, stimava biasimar te o chi sia altra di queste, a cui senza cagion mi duole mostriate me esservi ad odio. E quando sarà che forse tu sia ductore e guida, Sofrona, di costoro, pur stimo e da te aranno ottimi essempli e precetti iustissimi essere non crudeli, inique e rissose. E tu da loro, credo, arai non altro aiuto che a benificare chi ami con fede e con prudenza, nel numero de' quali mi persuado ascriverete me, quale di voi qualcuna provò quanto in me sia costanza, modestia, riguardo e incredibile taciturnità. E priegovi, donne pietosissime, vogliate nulla verso di me statuire senza prima iudicare ogni merito mio. Qual cosa se farete, non dubito affermerete me degno d'essere amato.
SOFRONA.
E che meriti sono e' tuoi? E chi te non perseguisse odiando e biasimandoti? Ingrato fastidio di questi litterati! Ciascuno vuole essere contro le femmine satiro, come se in voi uomini fusse nulla degno di vituperazione. Tutti volete mostrarvi eloquenti ed eruditi in dir male di noi oziose e illitterate: e poi, per sciocca fanciulletta che sia tutto il dì si fa adorare da questi poeti e oratori grandissimi. E tu, fra loro el primo, so che amasti: ben sentiamo delle trame tue, e bene intendiamo tue egloghe: sì, amasti una trecca tignosa!
BATTISTA.
Non a te mai, Sofrona, negarò per ogni altra virtù e per questa in prima voi donne meritate lodo da me, che sapete farvi amare. E se io amai in trecca costumi e modi nobilissimi e degni d'imperio, chi a ragione me ne biasimerà! E se io fui non superbo in degnare una sì vile, chi crederà a chi forse persuadesse me non molto degnare e reverire te e queste altre tutte nobilissime e leggiadrissime? Madonne, Dio proibisca da me tanto infortunio, ch'io poco pregi l'autorità e maestà vostra! Ma forse a questo proposito sarebbe chi rispondesse: se noi amiamo, vostra virtù ci sforza ad amarvi; altri forse direbbe trovarsi mai chi sia savio dalla cintola in giù, né stare altrove el gran sentimento che solo in mezzo ivi del cervello.
SOFRONA.
E mai! Se voi uomini, quali vi usurpate tante lodi e tanta virtù, tanta costanza, e' quali, trascorso tutto el mondo, tornate a casa con assai astuzia non meno che con guadagno, pur in questo ancora tanto errate, che miracolo se noi femmine, quali voi dite essere volubile, non viviamo in perpetua sterilità? Ma in noi fiorisce questa prudenza, che sappiamo a ogni nostra volontà ritrarci, e dimenticar l'impresa: voi sempre perseverate miseri.
BATTISTA.
Di questa tua sentenza, voglio stimi, sono e io; né mai mi parse cosa non ragionevole se una femmina amasse. In ogni storia mai mi rammenta fatta menzione di femmina quale non, quando che sia, in sé soffrisse incendi amatori. Ma forse questi altri giovani si maravigliano che cagion sia che, seguite da belli, prudenti, modesti, nobili giovani, voi donne più tosto vi diate, quanto e' dicono, a uno vile, e di loro fiamme nulla vi curate.
SOFRONA.
Parti! Cosa, sì, bene vogliamo, sia chi goda de' nostri doni, non della sua vittoria con noi. Voi ne venite pomposi, parvi meritare da tutte essere richiesti; non da noi come dono, ma come devuto aspettate ogni nostra cortesia, e gloriatevi quasi vostra virtù più che nostra benificenza essere contenti per liberalità nostra.
BATTISTA.
Lodo la sentenza tua, Sofrona, ma non scorgo assai che ragion v'induca ad allettare molti chieditori, se non vi grada pattuirvi a loro; e se v'è grato piacere altrui per dispiacerli, non vi lodo.
SOFRONA.
Quasi come tu sia sì tardo d'ingegno che tu non conosca bisognarci di molti tristi eleggere uno forse buono. Ma credi che più niuno si può diletto a noi trovare maggiore, che avere nostro giuoco voi altri molto onoratissimi, e con cosa a qual mai pensammo, darvi che pensare intere le notti, e prestarvi occasione di scrivere simili alle tue elegie e pianti amatori. Sciocchi uomini! Sciocchi! Quanto più sete astuti, più ivi sete inetti. Volete prevedere e investigare e conietturare nostre parole e gesti, e fra voi non restate d'interpetrare nostri detti e fatti, e perdetevi in fatica inutile e vana. Può egli trovarsi simile insania che quietarsi mai, pensando sempre alle volubilità d'una fanciulla? E quanto noi più molto prudenti, quali tanto ci ricordiamo di voi e appena quanto in presenza vi vediamo; e ivi, gente cieca, vi dileggiamo! Ché se così fusse a noi licito non starci sedendo solitarie in casa in ombra, ma crescere fuori in mezzo l'uso e conversazion delle persone, che credi? Oh Iddio, qual sarebbe e quanta la prudenza nostra maravigliosa e incredibile! Quanto sarebbe ogni nostro consiglio simile all'oracolo d'Apolline, poiché così inesperte vi soprastiamo! E ben comprendo, perché così conoscete sarebbe, però inducesti questa consuetudine di recluderci in fra e' pareti solitari. E con tutto ciò, vedi pur se in noi sia nulla di sentimento! Ché siamo tutte maestre a nostra posta mostrarci crucciate, dove ben nulla a voi pensiamo, solo per darvi dolore. E voi, simplicetti, a nostra posta ritornate in letizia con noi. E che prudenza stimi tu sia la nostra, quando così vedi nostra industria, ch'e' nostri mariti amino chi noi vogliamo e perseguitino odiando chi noi deliberammo iniuriarlo; e presente tutti e' nostri, tanta è astuzia in noi, che persino assiduo sappiamo tenere in casa chi disponemmo averlo per quasi continuo altro a noi marito?
BATTISTA.
Che in voi sia maravigliosa astuzia a qualunque proponete cosa, mai dubitai; e ancor vive chi me così essere ne fece certo. Ma non mi persuadeva tanto durare in donna virile animo, che non dubitando darsi a' suoi molesta, stesse ostinata perseguendo e' suoi diletti; dove a simili imprese pure oltre al riguardo grandissimo si debba tempo e lunga fermezza, e cosa niuna tanto si tiene occulta, quale el tempo non iscuopra.
SOFRONA.
O inetto letterato! Se sapremo, quanto certo sappiamo, essere signore de' nostri mariti, stimi tu aremo da pensare altro che di comandarli? Eh, lievati quella oppinion dell'animo, che tu creda ne' nostri incetti non essere molto ostinata fermezza. Ben so io che tu conosci chi uno intero inverno simulando durò costante; mostrò al tutto fuggire quello ch'ella appetiva, per potere a primavera fiorire e fruttare le voglie sue. Così credi, noi tutte volendo sappiamo: e basti questo della prudenza e costanza nostra. Potrei dirti de' costumi nostri, delle bellezze e de' nostri abiti quali tu vituperi in quella tua epistola, se io non vedessi con opera li lodi; ché quando e tu e gli altri intoppate in qualche ornata fanciulla, vi fermate, e veggovi diventati statue balocche; e che qui qual di voi co' nostri ornamenti vestito non paresse un mostruo, dove noi a voi sempre paremo dee. Ma che fo io? Traduco io me in altro ragionamento: lodando noi, rest'io biasimar te. -
Qui io sorrisi, e parsemi luogo a dedurmi da Sofrona e da quelle seco ragunate donne, e dissi di dar opera ch'elle intenderebbono questi loro meco ragionamenti averli giovato, in tanto ch'io, quando che sia lodandole, accuserei me aver errato, se mai non molto le ornai quanto le meritano. Parti'mi.