Leon Battista
Alberti
DE ICIARCHIA
LIBRO I
Io tornava dal tempio su alto di San Miniato dove parte per satisfare alla religione, parte per affermarmi a sanità, era mio uso non raro conscendere a essercitarmi. In via sul ponte presso all'Oratorio postovi da' nostri Alberti trovai Niccolò Cerretani e Paulo Niccolini, omini certo prudenti e moderati e a me benivolentissimi. Salutammoci insieme, e disse Niccolò: - A' prossimi dì passati le molte piove e la molestia de' venti ci tenne in casa e non potemmo visitarti. Oggi questo lieto sole ci piacque. Venavamo a te. Dissonci que' tuoi dove tu eri, ma ci parse tardi uscire lassù a ritrovarti. Però ci fermammo qui per aspettarti mirando questo fiume già molto escresciuto e 'nviato a crescere ancora più. - Ferma'mi ancora io con loro, maravigliandoci così subito tanta acqua fusse sopra modo gonfiata. Qui disse Paulo: - E quanto sarebbe felice questa nostra città, se questo Arno sequisse perpetuo così pieno. E sarebbe tua opera, Niccolò, qual fusti più volte prefetto navale, dar modo che le galee salissero cariche sino qua su. Che dici tu, Battista? Pàrt'egli che quinci venissi alla patria nostra maravigliosa utilità? - Dirotti per ora, Paulo mio, - dissi io, - quel che mi pare, che sarà il meglio levarci da questa brezza e crudità dell'acqua, e apresso il foco ragioneremo più con riposo.
In questo che noi già presso eravamo per entrare in casa, uno e un altro de' nostri nepoti e insieme uno de' figliuoli di Paulo Niccolini si levorono a salutarci e dissonci che il fiume era traboccato ne' piani sopra presso alla terra, e avea battuto e dirupato il muro grosso qual prima lo sostenea. Dispiacqueci. Io mi volsi a Paulo e dissi: - Eccoti una delle utilità che ti porge questo fiume tuo così cresciuto! Ma io vedo che noi principieremo ragionamento qual sarà degno, e spero sarà utile a questi giovani, e a noi sarà sollazzo disputarne. Venitene, giovani, su, e udirete cose quali vi deletteranno e gioveranno. - Adunque su in casa sedemmo presso al foco noi tre, e circa noi stettero que' giovani in pié.
BATTISTA. Per rispondere a te, Paulo, vorrei non però errare, dico che in la vita de' mortali nulla cosa troppo acresciuta e troppo ingrandita fu mai sanza publico e privato incommodo e poco da volerla. E come vedesti oggi el fiume troppo innaltato danneggia e' culti, e lieva il frutto e merito delle fatiche a quelli che tu e gli altri buoni non vorrebbono, così interviene in tutte l'altre cose, massime in quelle che molti troppo stimano. Figliuoli, dico a voi, el troppo sopra modo potere in qualunque sia la cosa importa licenza temeraria, e fa traboccare le voglie e incita gl'impeti delle nostre imprese. Onde potendo quello che tu vuoi, ne seguita che tu vuoi tutto ciò che tu puoi, e ardisci e usiti a volere ancora più che non si lice né si conviene. Così a me pare, le immoderate voluntà quasi il più delle volte sono coniunte con la impunita licenza, e quinci e' pensieri poco considerati fanno l'animo precipitoso, impetuoso, insolente, audace. Così li segue ch'ello transcende e' limiti della equità e onestà, e diffundesi occupando, e rapisce quel che si dovea all'ozio e quiete degli altri cittadini. Però ben detto fu quello antiquo proverbio: “in tutte le cose pònti che nulla vi sia troppo”. Della sanità chi sarà che recusi averne quanto se ne può ricevere? E questa, dicono e' fisici, quando ella sia molto a pieno, ella sarà da dubitarne: però che delle cose tutte qual vede il sole, niuna mai si trovò sì stabile che d'ora in ora ella non fusse in continuato moto. Quello adunque che giunse al summo e non può in alto più ascendere, né molto così starsi, certo li consequita el descendere; e beato a chi sia concesso descendere da uno stato eccelso senza ruina. Una delle cose che fanno la vita degli omini beata si è avere quello che bisogni a te, ed essere tale che tu satisfaccia a te e giovi agli altri; e così certo si debba, sì certo. E bastici essere in questa riputazione della plebe non ultimi, quando contendere d'essere el primo, se ben repetirete le istorie di questa e dell'altre republice, sempre fu faccenda e condizion tale che per ottenerla bisogna ostinata sollecitudine, rissosa importunità, servile summissione e confederazion d'ingegni fallaci, maligni, petulanti. Poi per mantenerla continuo ti conviene agitar te stessi concitando in te sospetti, fingendo, simulando, dissimulando, sofferendo, temendo più e più cose indegne e gravi a chi voglia vivere con tranquillità e grato riposo. E quello che più si biasima da chi conosce il vivere, si è che tu non puoi deponere quella grandezza senza periculo e ruina tua e de' tuoi. Chi racconterà le dure condizioni di questi così primi ambiziosi? Convienti a chi ti favoreggia concederti nulla repugnante, molto ossequente in più cose quali sono ingratissime a' buoni e a te imprima nulla piaceno, e pur le fai; servi a pochi scellerati audacissimi per non essere pari agli altri quieti cittadini; concedili te stessi, mantieni e' loro errori per non diminuire a te que' sussidi infedelissimi del tuo stato. Godiànci adunque, figliuoli, questa medioclità amica della quiete, vincolo della pace, nutrice della felice tranquillità dell'animo nostro e beato riposo in tutta la vita.
E così più e più cose dissi persuadendo a que' nostri nipoti ed eccitandoli a moderarsi e terminare e' pensieri e voluntà loro in queste cose instabili e caduche e fragili qual molti non savi stimano troppo; e addussi loro essemplo che mai sarà chi abiti non male se non pone il tetto, onde e' seguiti che le perturbazioni de' tempi nulla offendino, e alle estuazioni dell'animo nostro l'ambizione e cupidità meno s'accendino. In questo, uno de' giovani che era doppo a me, porgea parole agli altri e massime al figliolo di Paulo con riguardo e sotto voce. Paulo si volse e porse al figliuolo suo il fronte e occhi non senza qualche poco indizio di severità paterna, e disseli: - Tu più solevi altrove udire con attenzione e volentieri chi ragionasse di cose degne e dotte, qual costume buono in te molto mi piacea ed erine lodato. -
BATTISTA. Non ti dispiaccia, Paulo. Domanda quello che e' diceano.
NICCOLÒ. Dirottelo io che in parte tutto intesi. Non lodano questa tua esquisita mediocrità. Vorrebbono essere grandi e sopra gli altri rarissimi.
BATTISTA. E così mi parse intendere che diceano. O letizia mia! che questa voluntà generosa e degna di molta lode fussi in voi figliuoli quanto io vorrei! Ma vediamo se io intendo bene, e se 'l desiderio mio s'aconfà col vostro. Or ditemi, voi giovani. Vorresti essere grandi e molto dissimili dagli altri? Vorresti voi essere Polifemo, del quale dicono i poeti vostri cose maravigliose? Già saresti pur grandi! Uno intero arbero di pino sarebbe in mano a voi meno che a Niccolò costì testé quella forchetta. E per essere dissimili dagli altri vorresti, beato a voi, avere non solo in fronte uno occhio grande, ma e ancora in la collottola e altrove più e più occhi e orecchie e mani. Non ridete; dimandatene me, se io vorrei essere con tanti occhi e tante mani; e vorrei sì, e dico certo, sì vorrei. Voi qui che dite?
GIOVANE. Che farei io di tante mani e di tante orecchie? Tutto il dì odo e vedo più cose che io non vorrei. El bisogno nostro sarebbe avere e potere, e in questo essere, non dico simile ad Alessandro Macedone o a Cesare (non voglio tanto presumere di me), ma simile a' nostri maggiori, a messer Benedetto, vostro avo, a messer Niccolò e agli altri quali edificorono queste nostre case, onestamento della famiglia nostra e ornamento di questa città. Simili sono quelli ch'io chiamo grandi, quali sopra gli altri possono colle ricchezze e collo stato. Minimi saremo noi se mai ci converrà pregare chi possi sopra noi.
BATTISTA. Ottima e accommodatissima risposta. Voglio che di voi creda niuno che a' nostri avi le ricchezze dessero stato, o contro, lo stato ricchezze. Anzi la 'ndustria acrebbe loro il peculio domestico, e la virtù gli aperse publico addito e luogo onorato in la republica. Ultimo la prudenza loro gli affermò in bene e in stato dovuto a' meriti loro. Ma quanto io manifesto potrei pe' gesti e vita loro mostrarvi, affermo questo, che essi non fecero tanto stima di queste abundanze delle cose caduche quanta farebbe chi si persuadesse essere felice solo per le ricchezze, quale in verità sono di sua natura alla vita dell'uomo utile, ma non tanto necessarie quanto molti credono Non vi niego, dura parola agli animi liberi dire “io ti priego”. Ma vedi che questa necessità non sia da te più che altronde. La natura diede all'omo bisogni pochi e di cose minime, e tali che per satisfarsi non accade troppo richiederne altri che te stessi. Restaci che per adempiere le cupidità e voluttà diventiamo servili, ove ci sarebbe più facile e pronto qui spegnere in noi quello che ci sollecita che ivi ossecundarli altronde. E queste ricchezze tanto desiderate, se bene vi porrete mente, sono per sua condizione né tutte nostre né sempre nostre, anzi in minima parte nostre. Molte ne scemano le perturbazioni de' tempi: molte ne rapiscano e' pessimi omini. Quello che se ne adoperi in tutta la vita in tua utilità e necessità sarà pur poco, se già tu non imponessi a te stessi quella servitù in quale alcuni inettissimi si gloriano d'avere a pascere molti oziosi o scorridori e ministri delle loro voluttà e insolenza sua. Del resto, s'tu le tieni inchiuse, elle a te sono come alienate e rebuttate dal fine e condizione loro. Né saranno da reputarle tue, se tu l'arai dedicate ad altrui uso che al tuo nolle adoperando. D'altra parte, se tu ne fai quello si conviene, elle sono al tutto più d'altri che tue. A te solo ne resta qualche istoria della tua liberalità, forse non creduta da molti. E le più volte resulta più invidia e odio verso chi dona da chi non assegue quanto e' chiedea, che grata memoria in altrui pel dono e beneficio ricevuto da lui. Agiugni che a molti le ricchezze spesso importorono calamità ed eccidio miserabile. Ma invero, e che male è questo insito e innato nelle ricchezze? Ciascuno, per vilissimo che sia, ti si porge severissimo censore e immoderato moderatore della vita e costumi tuoi. Questo vorrebbe largissi, effundessi, alienassi da te dove e come pare a lui. Quest'altro si move con altra opinione: tutti a biasimare ciò che tu spendi e non spendi. Parvi, giovani, ch'io dica il vero? Rispondete.
PAULO. Risponderò io per loro. Sì, pare. Non però recuserei per questo qualunque occasione onesta mi rendesse ben pecunioso. Ma qui questi giovani, come vedi l'aria loro, nati a magnificenza e a signorile amplitudine, s'io scorgo bene dove essi stendono con l'animo, vorrebbono per sé ciascuno essere un grande e ricco principe. Diss'io il vero? Ma che domandiamo noi? Eccoti, ponvi mente... tutti, non dico più, solo per queste parole si rallegrano.
BATTISTA. E io vorrei così vederli che invero e' fussero principi; non che e' paressero alla multitudine imperita e stolta principi, ma fussero.
PAULO. Come si può parere in questo e non essere?
BATTISTA. Dissi agli imperiti, quali sono molti. E par loro che 'l summo stato e bene del principato sia trovarsi in quella copia e affluenza di superchie delizie, accerchiato da molti assentatori, temuto dalla multitudine, e ogni suo cenno osservato da tutti. Tutte queste cose saziano e per uso assiduo fastidiano, e vedera'li non raro per avere qualche ora quieta si rinchiuggono in qualche cantuccio della casa solitari. E non vorrei che questi nostri figliuoli desiderassero simile vita. Nulla peggio, nulla maior infelicità in qualunque sia stato che aggiudicarsi nato per servire al ventre e all'altre oscenità lascive. E che furore fia questo degli animi bestiali, se vorranno più essere temuti che amati? Quanti saranno che temano te, tanti odieranno te. Se tu sarai odiato da molti, per certo a te sarà necessario temer molti. Tu adunque fusti cagione di questo tuo infortunio. Niuna mala fortuna piggiore che avere molti nimici. E a chi sia malvoluto e odiato, suo debito, gli sequita pessimo fine in tempo e miserabile eccidio. E queste copie della fortuna, molti cavalli, bella famiglia, suntuoso vestire, vivere lauto e splendido, la casa magnifica, ben parata, molti salutatori, qual tutte ancora cose si fanno a' privati conviti nuziali, non vi niego sono ornamento della dignità. Ma io in altro credo che consista la maiestà e celsitudine del vero essere principe e del principato. E sarammi più facile qui testé negare che simili dette delizie e superfluità siano el summo e primario bene a' principi, che non sarebbe facile esplicare quale i' credo che sia e in che e' consista, s'i' prima non intendessi da' suoi veri principi che differenza abbi in sé uno privato buon cittadino da un re.
PAULO. Se mai altra differenza non vi fusse, eccone una molto grande: el principe comanda ed è obbedito; e' sudditi cittadini fanno e seguono quanto el principe comandò.
BATTISTA. Comandò? Ora sono io in maior dubbio.
PAULO. E che ti può venire in mente da dubitarne?
BATTISTA. Vorrei meglio intendere questo nome comandare quello che egli importi. Pregovi non mi reputiate più acuto ch'io mi sia. Dirovvi quello che mi move, se prima sentirò da te, Paulo, questo che tu chiami comandare quale e' sia in sé e come fatto.
PAULO. Rido! Ma diglielo tu, Niccolò. Insegna qui a Battista quello che e' non sa.
NICCOLÒ. Rido anch'io! Pur per satisfarli dirò quel ch'io ne sento. Quando omo dice: “fa qui testé tal cosa, poi farai quell'altra; non fare così”, e simile, costui... che dico Paulo?
PAULO. Certo sì, comanda.
BATTISTA. Questa risposta mi satisfa, ma non in tutto. Ecco il comito della galea tua dicea: “dà mano alla poggia, carica quella orza”; e simile el pedagogo a' fanciugli, la madre di casa alle fanti dicono: “fa e non fare”. Diremo noi per questo che costoro siano principi?
NICCOLÒ. Chiunche comanda, ben sai, si è superiore a chi l'ubidisce.
BATTISTA. Principe adunque s'interpetra superiore non comandatore, e questo di cui mi pare che tu rispondi, non sarà per sé vero comandatore se non arà chi l'ubidisca. E così affermano tutti i savi antiqui scrittori passati a' quali io molto credo, e mostrano come costui si debbe reputare vero principe, qual sia superiore in cose non lieve e fragili, ma stabili di sua natura ed etterne, e nulla subiette alla volubilità e temerità della fortuna, per qual cosa e' sia bene atto a comandare e meriti essere ubbidito. E questo chi dubita sarà la virtù, la bontà, la perizia di cose degne e utilissime a sé, a' suoi, alla patria? Questi altri chiamati dal vulgo principi, sono non per sé principi, ma per la summissione di chi l'ubidisce, e sono ministri adiudicati a susservire alla republica, in quale numero sono tutti gli altri etiam minimi magistrati. Così sequita che il principato non concede arbitrio d'imponere nuova servitù agli altri, ma impone a chi lo regge necessità civile di conservare libertà e dignità alla patria e quiete a' privati cittadini. Forse non potendo il conditore delle leggi provedere a tutte le cose particulari, dede ad alcuni come al duttor dello essercito, al prefetto navale, così al principe, a' minor magistrati qualche arbitrio di provedere al ben publico secondo che i subiti casi e tempo richiedesse. Sarà e' però quinci che costoro per lo officio loro possino sopra gli altri quanto e' vogliono all'imporre loro servitù; e facendo costui quel che li si conviene, comanderà egli a tutti quel medesimo? o in prima a costui quello a che e' sia atto e pronto, a quell'altro quello in che e' sia più essercitato, e così a niuno cosa inutile o brutta, a ciascuno cose commode e necessarie, e a tutti quanto importi la salute di tutti e l'ozio e riposo onesto di tutta la città, qual un fine pretende ogni legge? Così pare a me. A voi?
PAULO. Parci.
BATTISTA. Costui adunque publico e primo magistrato, e insieme il numero de' privati cittadini, se vorranno vivere bene e beati in summa tranquillità e quiete, converrà ch'egli osservino equità e onestà fra loro quanto comandi la legge. Questa ragione di comandare, se tutti saranno modesti e ben sensati, pare a me sarà non altro che uno essortarli, confermarli, sollecitarli che sequitino facendo pur bene come per loro essi fanno. E sarà, dico, questa essortazione officio di vera amicizia e compiuta carità più che arrogante elazione, cupidità d'imporre servile condizione agli altri. Contro, se forse saranno improbi scellerati, el dir tuo “fa e non fare” nulla gioverebbe. Resta per questo al principe che lui ubbidisca alle legge, e sia ministro della severità castigando chi erra e provedendo alla quiete degli altri levando di mezzo la corruttela e peste de' viziosi. Che dici tu, Paulo? Parvi così?
PAULO. Parci.
BATTISTA. Bene est. Forse trovammo noi qui che differenza sia da un privato cittadino a uno re.
PAULO. Come?
BATTISTA. El re in quanto re comanda, cioè ricorda a' suoi quanto e dove bisogni aversi iusto, temperato e forte e onesto per vivere bene e non inutile agli altri e anche a sé, e così satisfarà all'officio suo ubbidendo alla servitù impostali dalle leggi. E se forse esso comandasse con imperio iniquo, sarebbe costui non re ma tiranno, cagione e autore e come operatore colle mani altrui dello errore e male che ne sequisse. Dico io quello che facci al proposito nostro?
PAULO. Sequita.
BATTISTA. Questa servitù impose la natura, summa e divina legge de' mortali, a te, a me, a quello, a tutti. Nulla n'è licito repugnarli; e nollo ubbidendo saremmo e pessimi cittadini e omini alieni da ogni umanità, simili alle fere nate in la selva, vivute in deserta solitudine. E così è: a ciascuno li sta imposto e innato da chi governa l'universa natura, debito comandare a' sui, agli strani, a' giovani, a' vecchi, a qualunque si sia di qualvuoi qualità e condizione: comandare, dico, eccitare, ricordare, aiutare che fuggano il biasimo e pericoli della vita, seguano il bene, l'opere lodate e gloriose. Al principe vero s'aggiunge oltre a questo certa molestia più che a' privati. E qual sarà questa molestia? Sarà grande certo, che gli bisognerà essere ministro ad impor pena e supplizio a' contumaci e incorrigibili. E voi giovani, quali vorresti essere quello ch'io desidero e spero vedervi, persuadonvi fino a qui le ragioni nostre?
GIOVANI. Molto.
BATTISTA. Adunque, per essere quello che voi e noi desideriamo, io sequirò esplicando ricordi de' dotti scrittori, utili a ben aversi in vita, e voi disponetevi sequire quanto voi udirete. Così insieme satisfaremo al debito nostro. Voi udirete cose quali vi diletteranno. Possiamo noi pe' ragionamenti sino a qui esplicati statuire che 'l principe, cioè il summo magistrato, sia uno aversi in servitù impostali dalla repubblica con autorità atta a reggere i suoi in vita onesta e quieta e con condizione che punisca chi disubidisse allo instituto della patria?
NICCOLÒ. Parmi che questo sia da te ben dimostrato.
BATTISTA. E persuadevi quella sentenza ch'io narrai, che 'l vero principato stia in essere per virtù, costumi, prudenza e molta cognizione d'arti e cose buone superiore agli altri?
PAULO. A me questo può persuadersi, ma alla multitudine dubito però che pare che collo imperio sia innato e addicato farsi ubbidire imperando.
BATTISTA. E così sia, purché comandi cose iuste, oneste, dove, quanto, e a chi bisogni secondo che richiede lo officio del vero principe, quale, com'io dissi, non sarà impor servitù a' suoi, ma conservarli libertà, mantenerli in quiete, conducerli a felicità. E questo non si può senza eccellente virtù e divina sapienza. E così è: qualunque sarà chi tu dirai, “costui è vero principe” bisognerà ch'e' sia prudente, dotto, buono, e sappi essequire quanto importa lo officio suo.
PAULO. Bisognerà.
BATTISTA. Dimmi, come saprà uno o commandare o reggere molti, qual non sappia essere superiore e moderatore di pochi?
PAULO. Saravvi non atto, sarà inutile.
BATTISTA. Anzi sarà impedimento e disturbo di quel magistrato. E se questo uno forse nulla saprà o comandare o farsi ubbidire da un solo, qual stolto lo iudicherà degno de anteporlo a questi per pochi che siano? Questo ordine adonque se li conviene, che cominci dal men difficile, e impari essere e sia buon moderatore prima di questo solo uno, poi intrapreenda maggiore opera adestrando gli altri più noti a sé, acciò che indi e' sia più atto a comandare e contenere molti secondo che richiederà il suo officio.
NICCOLÒ. Questo chi ne dubita? Non si può negare.
BATTISTA. Fra tutto il numero e multitudine de' mortali a niuno potrai più abile comandare che a te stessi. Ma questo comandare a sé stessi, circa che cose statuiremo noi che sia, volendo per quella opera essere simile a' primari principi?
PAULO. Nollo fo per interrumpere, ma per certificarmi. Come vuoi tu comandare a te stessi, se altri debba essere chi move, altro chi è mosso?
BATTISTA. Facesti bene. Dicono che in noi sono due animi. Ma dilettici adducere essemplo delle cose notissime qui a Niccolò. Alla galea e' remi danno movimento e impeto a tutto il corpo: forse quando questo impeto perpetuasse movendo senza termine diffinito e progresso conveniente, urterebbe in scoglio. Ma il timone adestra quel moto, e reggelo che egli schifa il pericolo e prende il porto. Quella parte in noi dell'animo ove sede la ragione, regge e governa la parte in quale si commove l'appetito; come accade tutto il dì che per certi rispetti ne conteniamo e restiamo sequire quello ci diletterebbe. Ma di questo altrove. Dico qui quanto all'officio del comandare. Credo non affermeresti che sia imprima circa el culto delle membre nostre, per essere biondo, bianco, grasso; faccende e pensiere vile e femminile. Forse ad altri parerà da molto curar la fermezza robusta del corpo e la buona sanità. Nolli biasimo. Ma qui bisogna o poco o nulla altro che sobrietà, e moto e quiete contemperata, e simili. L'altre poderosità e valenze de' nostri nervi e membra sono doni rari concessi a pochi dalla natura, più tosto da ringraziarne Idio che da molto desiderarli. Se per questi sequisse all'omo felicità, tutto el resto de' men robusti sarebbono infelici. Giovano sì, ma solo a chi l'adopera in tempo con ragione e modo per onestamento e salute della patria e de' suoi, affine d'essere ben voluto e lodato dagli ommi gravi e maturi. E forse sarebbono da stimarli più se fussero nostri in ogni età, benché di sua natura continuo fuggitivi. Fummo giovani, ora siamo per età stracchi e gravi. Accederono in noi doglie, succederono debolezze. Onde, spento quel vigore e ardore giovinile, cessocci col potere ancor la voglia d'essere sempre giovani, e imparammo non desiderare in noi quella agilità e nervosità quale fra gli altri giovani ci parea ben pregiata. E invero simili prodezze del corpo sono per sé non necessarie a bene e beato vivere. Non consiste adunque la ragione del comandare e servire nostro a noi stessi circa i beni fragili del corpo nostro. E molto ancora dovrà essere meno circa i beni instabili della fortuna. A niuna cosa dobbiamo adiudicarci se non a quelle per quali si diventi migliore. Pella copia niuno mai diventa savio né temperato né prudente, in qual cose consiste el governo della vita e fermamento della felicità. Molti diventarono per le ricchezze insolenti, libidinosi, inconsultissimi. Restaci adunque solo imporre a noi stessi quanto appartenga alla cura dell'animo, e devemoci con ogni arte, industria, studio, assiduità, diligenza, preporci e cercare d'averlo tuttora cultissimo e ornatissimo. Questo potrà non altro che la virtù. Non cape la virtù nell'animo occupato e pieno di pensieri lievi e puerili, né patisce la virtù essere dove sia qualunque minimo vizio. Pertanto prima bisognerà riconoscere quali e' siano per non li ricevere a sé, ed espurgarli se forse vi fussero. La copia de' vizi nell'omo sta varia e multiplice: sarebbe prolisso e laborioso connumerarli. Ma noi esplicheremo e' più dannosi e contrari disturbatori del proposito nostro.
Due cose in tutta la vita così a' giovani come a' vecchi, a' ricchi come a' poveri sono pestifere e da fuggirle, anzi da pugnare assiduo contro loro con ciò che a noi sia concesso: l'ozio e la voluttà. Per l'uno e l'altro di questi sequita perturbazione d'ogni bene. Nulla dissipa e consuma e' sussidi della vita quanto le voluttuose lascivie. Dell'ozio mai sequì all'omo cosa degna o non dannosa. Per l'ozio e negligenza molti perderono onoratissimo luogo tra' suoi cittadini, e fortune e dignità. Niuna cosa tanto contraria alla vita e condizione dell'omo quanto nulla adoperarsi in qualche cosa onesta. Non dede la natura all'omo tanta prestanza d'ingegno, intelletto e ragione perché e' marcisse in ozio e desidia. Nacque l'omo per essere utile a sé, e non meno agli altri. La prima e propria utilità nostra sarà adoperar le forze dell'animo nostro a virtù, a riconoscere le ragioni e ordine delle cose, e indi venerare e temere Dio. E questo officio qual presta e riceve l'uno all'altro in vita aiutandosi insieme a' bisogni umani, se tutti vivessimo oziosi, quanta sarebbe miseria essere nati omini! Per l'ozio diventiamo impotenti e vilissimi. L'arte dovute alla vita s'apparano facendo. Chi non se adopera per appreendere el suo bisogno, non lo assequisce mai. Così chi non saprà, non potrà né per sé né per altri. Daresti voi giovani uno sparviere a chi non lo sapessi adoperare? Anzi come a indegno d'averlo glielo torresti. Tu ozioso pertanto qual rendi te stesso indegno d'essere appellato omo, chi ti reputerà degno di vita? E in questa inerzia tua duri più fatica con più tedio di te stessi che se tu t'adoperassi in qualche utilità. Fastìdiati la propria casa; vai per la terra simile a chi sogna baloccando, e consumi el dì perdendo te stessi. Quanto sarebbe meglio seder fra gli altri a qualche scola imparando virtù, o adoperarti in qualche essercizio degno di te e della famiglia tua. Niuna arte sarà tanto fra le mercennarie infima, quale in un giovane non sia da preporla a questa vita desidiosa e inerte. E non fia poco acquisto usarsi a non schifare de essercitarsi. L'uso di fare qualche cosa c'invita a intrapreendere maggiori faccende. Non ti succederà d'acquistar pregio e fama con la perizia delle lettere, datti facendo come gli altri ben consigliati, esci di questo covile, pròvati con l'arme in melizia, navica, cerca con qualche industria vivere altrove onorato. Chi non cerca il ben suo, non lo cura: chi non lo cura, non lo merita. Questo non mancherà che tu tornerai con qualche cognizione di più cose e notizia di più omini e costumi, saratti onore. Almeno proccura le semente, e' lavori, le ricolte; piglia piacere de' posticci, nesti, frutti, pecugli, ape, palombi e altre delizie della villa, opere senza invidia, piene di maraviglioso diletto, utili alla sanità, utili a fuggire questa dapocaggine e torpedine in quale niuno buon pensiere vi può capere. Udite l'oraculo d'Apolline, giovani. Tu che ora atto ad acquistarti prospera fortuna, ma abandonato non da altri che da te stessi, recusi fare quello che fanno molti di condizione pari o migliore di te e veggonsene lodati, te troverrai vecchio, grave, inutile agli altri ma in prima a te, abbandonato, rifiutato da tutti, pallido pel freddo, vizzo pe' disagi e fame, colle cigle ispide, colla barba setosa, piena di sucidume e fetore, co' panni laceri, muffati, sfidati; e converratti per sustentarti essere simile a' gaglioffi; vedera'ti sfastidito, odioso a tutti e a te stessi. Non aranno allora in te luogo i ricordi nostri. Mancheratti ogni cosa; persino le lacrime al gran dolore tuo ti mancheranno. O miseria! Ehi, miseria sarà la tua miserabile!
Giovani, non dico questo per notare simile mancamento in alcuno di voi. Dio proibuisca tanta calamità! Anzi mi rallegro, ché spero imprima per vostra propria volontà e bontà a nullo vorrete non molto meritare della virtù vostra. E forse ancora questi nostri ricordi in qualche parte gioveranno. Dicea quel savio: “Colui si porge veramente buono quale per sé ama e segue il bene. Prossimo a questo sarà chi ascolterà e sequirà i buon ricordi e amonimenti d'altrui. Ultimo, chi né per sé mosso né da altri commosso ed eccitato si perduce in la via lodata, costui resta adietro fra le cose perdute e desperate”.
Paulo, l'attenzione di questi giovani e questo aconsentire col fronte e co' gesti alle ragioni nostre credo persuade ancora a te che questi le conoscono vere, e piacciono loro e sono secondo l'animo e intenzione loro. Adonque essi persevereranno facendo onore a sé e piacere a noi.
PAULO. Questo oraculo che tu recitasti non si può negare verissimo, senza dubbio verissimo. Ciascuno di noi qui vide, e oggidì lo vede in più d'uno nati nobili e d'ingegno e d'intelletto da natura non infimi; ma' gl'incontro ch'io non intenerisca. Duolmi la infelicità loro; ritengonsi d'apparire fra gli altri cittadini, vergognansi chiedere, e' suoi lo schifano, gli altri non lo stimano. Non posso ricordarmi di tanta indignità loro senza lacrime.
NICCOLÒ. Questo medesimo repetevo io testé fra me, grande essemplo a chi non lo crede. E questa colpa io la ascrivo in molta parte a' padri loro, quali mentre che i minori suoi non ardiscono per età recusare l'imperio paterno, sono innoffiziosi e negligenti verso e' figliuoli, né curano adestrarli a qualche industria; vengono crescendo con troppa licenza, e credono che sempre li secondino le cose prospere; in la copia e oppulenza usata errano, ultimo se ne pentono.
BATTISTA. O venga questo e ne' maggiori e ne' minori da tardezza e lentezza d'animo, che loro pesi la fatica, o da imprudenza o da pravità, sì certo questo cessare e non curare e non adoperarsi nelle cose degne, utili e necessarie, nuoce a' maggiori, nuoce a' minori, nuoce alla sua famiglia, e spesso tutta la republica riceve da simili omini grandissimo detrimento. Agiugni che questa oziosità e inerzia eccita ne' giovani molti altri detestabili vizi. Non patisce la natura che l'animo dell'omo stia senza qualche affezione e movimento. Non hanno in casa né altrove in che essercitarsi con laude e buona grazia; vacui dunque d'ogni bono pensiere, facile s'empieno di voglie vituperose, vanno perscrutando e' detti e fatti altrui, solleciti investigano da' servi, da' noti, da' vicini la vita e costumi d'altri, vogliono intendere ogni tuo domestico secreto, sanno ciò che tu dicesti otto anni fa nell'orecchie a mogliata, ciò che tu sognerai posdomani. Niuno adulterio, niuno strupo si fa in tutta la terra occulto a loro, tengonne conto, scorron divulgando i malefici altrui, godono essere conosciuti dicaci, maledici, mordacissimi, trovono e giungonsi a' simili a sé; fassi principe, duttore di tutta la caterva el più temerario, audace, insolente, prodigo, profuso; congregansi presso a costui, dove chi è più lascivo, più garulo, più dissoluto, incontinente, insolente, inverecundo, atto a ogni disonesta improbità e maleficio, costui fra loro è el più richiesto. Niuno atto, niuno detto, niuno fatto se non impudentissimo piace loro. L'uscio aperto la notte; chi esce, chi entra ognora forse con qualche furto. Aspettano la cena; bevazzando in cena si caricano di molta crapula, parole stolte, rise inettissime, gesti immodestissimi. Dopo cena escono di casa ebbri di vino e di certo furore che arde in loro a far qualche cosa scellerata e pazza; errano per la terra dispiacendo e iniuriando qualunque e' possono; ritornano gloriandosi de' malefici loro, e ricenano la seconda volta e perseverano bevendo perfin che 'l bollor del vino gli soppozza nel sonno. Le bruttezze e scellerataggine lor comesse la notte ivi mi fastidirebbe raccontarle. Niuno di loro mai vide levare il sole; anzi perduto in quel buio gran parte del dì, quando gli altri industriosi tornano a desinare, questa brigatella ancora sonnefora oppressa dalla crapula d'iersera, voltolansi fra le piume tanto che sono stracchi di iacere, lievansi, e mentre che e' si vestono, pur beono ed empionsi di golosità. Indi a poco divorano ciò che loro sia posto in mensa con ingluvie pari a bracchi affamati. Non molto doppo a desinare ancora pur beono; indi a poche ore merendano, anzi desinano un'altra volta e beono. Che maraviglia se costoro bene inzuppati di mosto fanno e dicono come gli altri ebbri. Vedili adunque, secondo che questo sarà prono ad ambizione ed elazione, questo altro a lascivia e levità, quell'altro a durezza e malignità, ciascuno segue senza modo el vizio suo. Disputano di cose oscene o inettissime senza intendere o pensare quel che si dica; niuno tace, tutti latrano a uno impeto e furore; danno risposte alienissime; dicono parole villane; sentesi l'altercazione e convizio loro per tutta la vicinanza; caggiono fra loro le contenzioni di cose vane, vili e abiettissime e massime amatorie. Quinci temulenti, inconsiderati, precipitosi adoperano fra loro ogni decezione e perfidia, crescono le gare, seguono e' discidi. Perturbagli la invidia se altri consegue, impazzano se non possono quel che vorrebbono, diventano rattori, ottrettatori, calunniatori, insidiatori, perfidi, e fanno in sé abito d'ogni corruttela. Obbrobrio della città, meritano essere portati in qualche insula deserta a ciò che tanta peste non vizi gli altri. E qual di voi non vorrebbe ogni infortunio più tosto che essere simile a uno di questi, in cui cape niun buon pensiere, pieni di perversità, cupidità sfrenata, audacia furiosa, apparecchiata a ogni rapina e violenza? Vita bestiale! Non sequirò annotando alcuni altri vizi pessimi, abominevoli, essecrabili, nati pur da questo voler poco affaticarsi e molto satollarsi: furto, sacrilegio, latrocinio, lenocini, venefici, conducere con fraudolenza e tradimento persone a farli perdere la roba, l'onore, la vita, vendere l'onestà sua e de' suoi. Simili vizi non posso stimare che mai caggino in alcun ben nato e allevato in famiglia non al tutto abiettissima.
Ma sono alcuni altri errori comuni e quasi familiari alla gioventù, nati da certa voluttà pur degna d'essere moderata, e sono errori per sé atti a perturbare la vita e quiete di chi non vi provedesse. De' giovani le cure amatorie lasciànle adietro, quando essi ne portano più che dovuta gastigazione e pentimento. Mai aresti sì capitale inimico a cui tu desiderassi maior tormento che così vederlo al continuo afflitto e perturbato simile a chi ama. Misero te! Quelle cose per quali tutti gli altri espongono el sudore, el sangue, la vita per consequirle e conservarle, tu le getti, e perdi la roba, la libertà, la tranquillità dell'animo, solo per essere grato, ossequente e subietto a una vile bestiola piena di voglie, sdegno e stizza. Disse quella a chi la sollecitava: “Aspetta ch'io sia un'altra volta ebbra come io fui quando e tu e io errammo. Testé ch'io sono sobbria non posso consentirti”. Raro sarà femina impudica qual non sia cupida e incontinente al vino. Quell'altra rispuose: “Se tu mi volessi bene, non ti crucceresti, non ti dorrebbe vedermi ben voluta da molti altri come da te”. Non che l'altre, ma la moglie propria non veggo io si possa così amare sanza molta parte di pazzia e furore. Or si godono e' giovani uscire in publico con veste suntuosa, cavagli pieni e tondi, e cose per quale e' superino gli altri di levità e insolenza. E par loro bella cosa tornare a casa con più compagnia, e sono omini assentatori, e le più volte lecconi e usi scorrere per le case altrui proccurando la cena con qualche buffonia e blando concitamento a riso. A questi e agli altri mostrano la copia dispersa per tutta la casa, nulla utile a chi viva modesto e sobbrio, suppellettile più a pompa e ostentazione che a necessità, cose tutte esposte a testificare la poca modestia loro e la molta insolenza.
NICCOLÒ. S'io recitassi quello che testé mi venne in mente, forse sarebbe a proposito. Ma segui. Non voglio interrumpere el tuo ragionamento.
BATTISTA. El proposito nostro si è ragionare di cose utili a questi giovani, come que' che fecero la via qual faranno loro, ricordano e rendano cauti dove siano e' pericoli, e dicono: “Abbi riguardo a tal ponte, non entrare el fiume, non entrare solo la selva, non volgere a man manca, benché quella via paia più frequentata”, e simili. Questa opera dovuta ancor da te sarà utile e grata a questi.
NICCOLÒ. Io mi ricordo vedere e' cittadini primari della terra nostra, per andare in villa caricavano in qualche soma il letto, stagni e vasi per la cucina, e riportavanle quando e' tornavano alla terra. Testé qui entro la terra vedi più apparecchio in una sola camera e di più spesa che allora non vedevi in tutta la casa el dì delle nozze. In villa molto maggiore insania, più e più letti che non bisogna per lui e per tutti e' suoi parenti e noti quando tutti concurressero; la sala, la mensa, tutto parato a imitazione de' massimi prelati. E queste ville oggi, queste ville e ridotti, anzi colluvione di gente sviata, scola di lascivie, non mi piace.
PAULO. Questo medesimo pensa' io ancora. Noi giovani, ricòrdati, vestavamo un solo abito el verno, un altro per gli altri tempi, ed erano panni utili, colori lieti condecenti alla età, verdi, celesti. Ora qual ignobile artefice sarà che non voglia veste pel verno dupplicata, per la state triplicata, a mezzo tempo quadruplicata, tutto o grana o seta: spese gravi e subito consumate. E se a queste cose la industria suppeditasse, sarebbono tollerabili, ma dove manca il potere e non si racquieta el volere, cresce la nequizia. E soleano e' dati alla industria con assiduità sollecitar l'arte sue. La donna mandava un piccolo vasetto di vino con qualche condimento del pane; desinavano e' maschi in bottega, la donna in casa asciolvea; non conosceano le femmine el vino. Oggidì qual infimo sarà che non voglia esser pari a' ricchissimi, e la fante, e la tavola posta due volte il dì a uso di conviti solenni? Questo sospirare tuo, Battista, dimostra che a te pari ne duole quanto a noi.
BATTISTA. Di questi costumi della terra mai accadde a me altrove ragionarne; e sonci come forestiere, raro ci venni e poco ci dimorai. Circa i fatti publici si potrebbe argumentare qualche pronostico da' costumi privati de' cittadini. Non dico altro. Quanto a' nostri qui ragionamenti domestichi s'acconfa, dico, in qualunque famiglia sarà più onorato chi ha che chi sa, e arà più luogo la voglia di pochi che il buon consiglio di molti, e saranno in più stima le cose della fortuna che la virtù, a questa famiglia certo sta dedicata prossima ruina. Certi altri errori, quanto e' son più puerili, tanto più sono da schifarli a chi desidera avere reputazione e grazia fra' suoi cittadini: essere lezioso, sdegnoso, borioso, linguacciuto, difendere le sue favole con molti periuri e busie, si vogliono emendare. Precetto antiquo che la donna quale vorrà essere pregiata fuor di casa, sia sorda, muta e cieca, non veggia altro che dove ella metta i piedi, e così per casa, massime a tavola, sempre muta. Questo perché? Però che le femine di loro natura sono inconsiderate, e raro dicono cose non degne di repreensione, ciò ch'elle odono interpretano a suo modo, e tutto voglionlo emendare, di ciò ch'elle vedono fanno istoria piena di levità, e sino insulse dicono parolacce da beffarle, e raffermano el detto suo con presunzione e arroganza degna di correzione. Chi adunque non vorrà essere gracchiuola simile alle femminelle, non faccia come loro, né favelli delle cose note a sé senza premeditarvi, né delle ignote senza riguardo. Amoniscono i savi che mai si parli se non di cose qual meritino esser non taciute. Questo non potrà ciascuno, massime in età giovinile, ma solo chi con studio e diligenza le investigò e imparolle. Adonque prima lode e ultimo rimedio a' giovani sarà il tacere. E giugni a ogni parola, questo perché? Peroché tu credi ch'io non ti creda. E perché debbo io non crederti, se tu dici il vero? E se tu mi stimi incredulo, che giova darmi occasione di reputarti e mentitore insieme e periuro? Se forse io dicessi: “non ti credo, giura”, so ti sdegneresti, e diresti: “sono io omo tale a cui tu non debba credere senza sforzarmi a iuramento?”. Giovani, io ben fanciullo udi' da un grave sacerdote molto vecchio, e quanto ancora io sino a questo dì vi posi mente, e' disse el vero: “Niuno busardo mancò mai che non fusse ladro, traditore o pazzo glorioso simile ad alcuni cacciatori e millantatori”. Chi dice la menzogna, se non è insolente, lo fa o per le cose passate o per quelle che prepara testé pello avenire. Chi fece il furto sperava poterlo occultare e negare. E quanti sarebbono ladri ove e' credessero potere negare il furto. Pell'avenire se costui pensò cose buone, non vedo perché bisogni mentire più che tacere, se non quanto crede per questo giugnermi sproveduto e tradirmi. Io lodo, giovani, l'attenzione vostra, indizio che le ragioni nostre vi satisfanno. Piacemi.
PAULO. E sarebbono da biasimarli, s'e' ragionamenti pe' quali e' riconoscono quel che si conviene, nolli movesse.
BATTISTA. Sino a qui anotammo alcuni errori familiari a molta parte della gioventù. Ora sequita che noi esplichiamo certi altri vizi più gravi, dannosi e molesti in tutta la vita, e communi parte a' minori parte a' maggiori d'età, e sono inimici della vera libertà dell'omo, disturbatori d'ogni instituto a chi propuose bene imperare a sé stessi: la ira e la cupidità. L'ira e lo sdegno si movono quasi pari con uno impeto, e forse raro persevererà l'uno senza l'altro. Ma el primo incitamento dell'ira par che sia quando tu non hai quello che tu vorresti; e perché ne' giovani le voglie sono più infiammate che ne' vecchi, per questo saranno e' giovani più ardenti e meno rattenuti a crucciarsi. Lo sdegno pare che insurga quando tu ricevi quello che non ti pare meritare e nollo vorresti. Onde vedi e' vecchi sdegnati, se furon reietti, schifati, postergati. Ma donde s'incenda l'ira, e quale ella sia in sé, non disputiamo. Ciascuno conosce che l'ira si è uno impeto d'animo non obbediente alla ragione, impetuoso a vendicarsi, nocivo a costui in chi e' si move, molesto agli altri con chi e' conversa. Porgesi l'omo irato colle parole, co' gesti e moti simile a uno ebbro furioso; anzi, vero, più simile a una bestia feroce percossa e incrudelita dice e fa cose, non tanto aliene dalla dignità sua e degne di repreensione, ma spesso aliene d'ogni umanità, e meritano castigazione e grave punizione. E vediamo in uno adirato molti movimenti terribili, ma insieme vi vediamo molta e molta insania da riderlo e stimarlo vilissimo. Onde avviene che deposta la contenzione e sedato il furore, niuno sarà che non volesse essere stato più temperato. E tu riconoscilo in te. Ti crucciasti mai, che poi non ti pentisse e teco gastigassi il tuo errore? Tu vendesti il servo tuo perché egli era iracundo e molesto agli altri e perturbava la quiete della famiglia. Fuggi pari tu essere a te stesso nocivo e grave perturbatore. Vuolsi il tutto dare ogni opera d'escludere e propulsare da noi questa insania. Saracci questo nulla difficile, se porremo mente a quel che bisogna. Le contenzioni onde spesso s'infiamma l'iracundo, raro perseverano per cose piccole; nasconsi spesso di cose minime e vili. Ne' pusillanimi stimare le cose vili viene pur da viltà. Poco vento move una lieve pagliuccia. Così poco incitamento commove l'animo vacuo e leggiere. L'omo grave, pieno di prudenza e consiglio, pensa alle cose grandi con maturità, stima nulla le non grandi, iudica delle cose buone con ragione, no' gli paiono buone se non quelle onde e' sia migliore, cerca le cose oneste con perseveranza, stima nulla quanto la virtù, duo'gli solo quelle cose per quale e' senta alcuni fatti men buoni. E dicesi che il savio non ha fele. E noi tanto siamo teneri allo sdegno e sì precipiti all'ira, che se un catellino abbaia, rompiàno a cruccio. Conviensi e contro a' vizi racconti di sopra, contro la voluttà, e massime contro a questa ira imparare vincere sé stessi. Né possiamo imparare se non vincendo, né vincere se non dove sia proposta occasione che ti bisogni certare; e vinceremo, se affermeremo in noi nell'animo nostro proposito d'essere simili a' savi. Apparecchiànci per questo sul primo insulto della offensione a essere in ogni cosa contrario a chi si cruccia. In lui fulmina lo sguardo, le ciglia, el fronte e tutto el viso si perturba, getta le mani, non cape in sé né in quel luogo dove e' si trova. Tu contro asserena la faccia tua, componti tutto a mansuetudine, contienti a dignità, porgi gravità. Lui versa un diluvio di parole superbe con voce e spirito simile a una cagna mordace. Tu contro racquieta in te la voce, modera le risposte, cura più quello che sia onesto a te, che quello che sia disonesto a lui. Ma molti sono malconsiderati e dicono: “Patirò io che uno abiettissimo omo faccia sì poca stima di me?”. E che farai adunque? Se qualche mal costumato rispose, come egli usa rispondere agli altri, parole condegne a sé, tu replicherai a lui parole non degne a te, e spesso più da biasimar le tue che le sue. Chi ripreende un maldetto con un altro maldetto, repreende sé stessi. Le parole d'un savio simili alle gemme, qual ben consigliato le commutasse contro un gran cumulo di sassi lutosi? Dovrei io ringraziare costui quale mi porge materia di assuefarmi e adoperarmi in essere e parere modesto e grave. Niuna cosa spegne l'ira in te e in chi ti sia infesto, quanto el tacer tuo. Come al foco il vento, così le iterate risposte sono incitamento dell'ira. Qualunque cosa farà e dirà, sia chi vuole, perché ti dolga, quando in te quel che vorrebbe non seguirà, in lui ritornerà il dolore duplicato, e sarà bello usurpare a te questa gloria d'essere il primo quale o con dolce risposta o tacendo spense la contenzione. Usufrutta questo gaudio in te: dilettiti averlo superato di modestia, e così vincendo spesso diventeremo insuperabili.
E gioveracci in le cose minori assuefarci per meglio potere poi moderarci in le più gravi. Tornasti a casa, truovi la donna rissosa; vincila de umanità, revocala con facilità. Compensa in te il frutto che tu aspetti da lei, che ella ti facci padre. El resto atribuiscilo alla natura loro. Chi fuga da sé e' movimenti dell'ira sua, in molta parte attuta quella dell'avversario. Vedi e' servi negligenti: perderono, guastorono. Stimali quello che e' sono. Tu non comperasti il servo per avere un filosofo. E simile i famigli, se non fussero omini inerti e gulosi, non patirebbono essere servili. Cura che non pecchino per l'avenire, più che renderli gastigati per quello che fu fatto. La punizione non restituisce quel che manca. E per emendarli che faccino l'officio loro, sarà utile non meno mostrarli con umanità la ragione e modo onde e' non pecchi più, che castigarli con severità. E dobbiamo ricordarci che a noi e' servi sono non però da nulla stimarli. L'opera loro lieva a noi molte fatiche. Dove i servi non fussero, faremmo noi molte cose tediose e ingrate. Pertanto ben disse colui: “e' servi sono a noi umili amici”. E con questi domestici sarà bello essercitarci contro alla infestazione dell'ira, però che la contenzione tua verso di loro non è per lo onore, né per alcuna invidia. Sono impotenti e infimi, e non ti sarà danno ossecundarli, e sarà utile a te, benché 'l servo tuo restasse forse men buono, se tu diventerai migliore. Ultimo, non mancherà per questo che posdomani tu non lo possa punire senza ira, e lui con qualche altro nuovo errore te lo ramenterà. Ma le più volte avviene che la facilità del padrone rende i servi trattevoli e amorevoli, e dove sarà l'amore, sarà lo studio di far cosa che ti piaccia. Molti negligenti non meno che iracundi si dimenticano mostrarsi osservatori de' costumi de' suoi. Spenta quella prima vampa del coruccio, non perdere la dignità tua per negligenza. Castiga l'errore de' tuoi quando altro non giova, e questo non solo dove egli errino, ma e dove e' mostrino di volere errare. Ma non errar tu in te, né anche in loro vinto da ira. Da questa domestica essercitazione, quasi come da un preludio, bene instrutti e apparecchiati, potremo uscire a maior certame e palestra più grave, della quale diremo a luogo suo.
La cupidità viene da grande imprudenza, ed érravisi in due modi. El primo si è ch'io stimo il danaio più che non merita, e per questo lo desidero troppo, e troppo lo cerco e sequito. L'altro errore si è che io non lo so adoperare in quello a cui fine e' fu trovato, e per questo lo tengo troppo inchiuso e constretto. Dimmi, Paulo, chi domandassi uno de' vostri cittadini togati su in senato: “Chi chiami tu ricco?”, che risponderebb'egli?
PAULO. Credo risponderebbe costui è ricco quale ha molti danari, e così forse qui crede Niccolò.
NICCOLÒ. E chi ne dubita?
BATTISTA. Costui qual facessi questa risposta si ravedrebbe quando io lo ridomandassi: “Dimmi, quanto oro basterà ch'io possa dire: questi sono que' molti che ti faranno ricco?”. Fu chi disse, solo colui sarà ricco quale arà danari da satisfare a' bisogni suoi, alle voglie sue qualunque elle siano, da prestarne, donarne, gittarne, nasconderne, smarrirne, perderne senza sentire el mancamento. Pazza risposta! Due affetti c'impose la condizione umana: l'uno per satisfare al corpo. Atto strumento a questo furon trovati e' danari. L'ardente desiderio e affezione al danaio si chiama avidità. L'altra affezione fu per satisfare all'animo, qual sempre desidera essere più pieno di sapienza. Se l'animo non fusse in tutto vacuo di quello che si li richiede, all'omo circa il corpo basterebbon poche cose, però ch'egli s'auserebbe vivere col poco, e a chi basta il poco, a costui avanza molte cose qual mancano agli altri non moderati. L'uno di questi due affetti, cioè la cupidità, o venga dalla corruttela del vivere, o dalla diffidenza e innata sua paura che no' gli manchi, o da stultizia per essere in questa cosa caduca più abbiente che no' gli giova, questa cupidità, dico, si vede che sempre cresce. L'altro affetto di sua natura non può avere fine, però che le cose quale per sé ciascun di noi non sa, e sono belle e utili e degne e necessarie alla perfezion dell'omo, e pertanto richieste dalla natura, sono infinite. Adonque all'omo in questa parte niuna quantità mai satisfarebbe. Ma vedete voi se questa mia fussi atta risposta. Dico che colui qual io chiamerò ricco, in tutto sarà contrario al povero.
NICCOLÒ. Sì.
BATTISTA. Colui è povero a cui mancano le cose atte a vivere bene, e più povero colui a cui mancano le cose necessarie secondo quello si richiede all'omo.
NICCOLÒ. Piace.
BATTISTA. Se così è, colui sarà più ricco che gli altri, a cui suppediteranno le cose migliori in tutta la vita. Le ricchezze sopra modo acumulate sono più gravi e moleste che la povertà ben moderata. El più delle volte le ricchezze venute senza virtù furon pestifere, e raro vedesti tiranno a congregar pecunia che fusse omo bono. La cupidità de arricchire fa gli omini violenti. Dicesi che l'omo ignorante sempre fu la più dura cosa, e fra gli altri el peggio trattevole animale che sia. Summa ignoranza sapere lodare altro nulla che la pecunia. La vera ricchezza, giovini, sta in essere copioso di cose buone; e quelle sono ottime quali fanno l'omo ottimo, e non li possono essere tolte da persona. Questa sarà la virtù, figliuoli, la bontà, la sapienza. Quale omo non al tutto senza mente non recusasse, non dico essere, ma solo parere ignorante, senza niuna virtù e scellerato? Qual premio sì grande vi sarebbe preposto a quel fine che voi non lo recusassi? E pur vedete in quel cupido, tanto può la sua imprudenza e summa stultizia, che egli pospone ogni cosa al guadagno; improbità da castigarla! Chi vendessi il figliuolo per danari sarebbe scellerato. Sì. L'omo cupido vende sé stessi, la fama sua, spesso per minor pregio che non gli costò l'asino. Ove troverrai tu omo più duro che questo quale non sa vivere almen co' suoi. Quasi tutte le quotidiane controversie fra coniunti in le famiglie vengono da questa cupidità. Lo stimare e desiderare cose superflue e a sé più tosto gravi che utili, mai caderà in un savio e prudente. Qualunque cosa io non saprò adoperare, quella a me sarà superflua. Non sarà adonque senza stultizia desiderare e con tanta industria cercare quello ch'io né sappia né voglia adoperare. El cupido avaro omo non conosce a che siano utili le ricchezze. Se le conoscesse, non perderebbe tanto frutto quanto ricoglie chi ben l'adopera. Disse colui: “desidero d'essere ricco solo per murare e donare”. Degna risposta. Acquistasi col benificare mediante el danaio amici e fama. E costui, non che e' non benefichi agli altri, ma e' frauda sé stessi, e ripolle forse per adoperarle altrove in bisogni forse minori che questi presenti, e questo non è senza insania, soffrire testé disagio in cose certe sotto espettazione delle incerte. E se pur così fusse, arebbe men biasimo. Ma l'avaro le ripone solo per averle a custodire dalle mani de' furoni. Molestia laboriosa e dannosa el non por modo alla cupidità di quello che non vuole usufruttarlo! Diremo noi che sia altro che solo uno gareggiare stolto contro a sé stessi?
E scusansi quasi come fusse licito essere rapace pe' figliuoli. Non vi credo, padri: non credo che i vostri figliuoli tanto vi siano cari, quando di quel che gioverebbe e bisogna loro, voi non avete alcuna cura. Studiate, padri, che i vostri siano modesti, e sappino quanto sia da posponere el danaro alla virtù, e in che modo a noi mortali la vera ricchezza venga altronde che dalla fortuna. E in questo dovresti spendere tutto el patrimonio, ed esporvi tutte le sollecitudini e fatiche vostre, che a' vostri non mancassero e' ricordi e instruzioni vostre e degli altri ottimi precettori. E' non sarà poco, s'tu lascerai loro quello che fa ricchi gli altri, la industria e buoni costumi. Gli omini dati al guadagno, quanto e' saranno più modesti, tanto aranno più favore e indi più frutto e più utilità. E prossime, quello che molto gioverà, lasciate loro copia d'amici sotto la protezione de' quali e' siano ben retti. Pazzia troppo dannosa lasciare più letigi a' suoi che beni ereditari! Voglio, sì, che il tuo sia tuo, ma quanto all'uso e liberalità, sia pari de' tuoi, presertim buoni. E' buoni meritano ricevere bene e dagli altri e imprima da' buoni simili a te; e l'officio dell'omo buono sarà sempre far pur bene. Ma che fo io? Quasi come io qui a te, Niccolò, e a te, Paulo, omini maturi e prudentissimi e padri di molti costumatissimi figliuoli, volessi insegnare con che riguardi e con che instituti si regga la famiglia. E raveggomi uscito del nostro proposito.
NICCOLÒ. Non così; anzi, come tu dicevi testé, così pare a me: ciò che si dice utile a questi giovani in tutta la vita fa molto a proposito e tuo e nostro, quali tutti vorremmo vederli felicissimi. E quanto io, Paulo, confermo el detto suo: certo e' padri debbono avere gran cura di fare i suoi virtuosi. Questo si vede, che la virtù d'uno omo solo spesso rende beata una terra, non che una famiglia.
PAULO. Verissimo, Niccolò, quello che Battista e tu dici. E io, come tu sai, sempre curai ch'e' miei fussero molto morigerati. Ma forse e' pensieri di molti padri sono questi: “né posso fare a costui la persona maggiore che gli conceda la natura, né immettervi bontà e dottrina se non quanto agradi a lui: questo sussidio delle mie fortune molto necessario alla vita posso io accumulare e lasciare loro, e debbo”.
BATTISTA. Non neghiam questo, Paulo, che la cura, diligenza, assiduità de' buoni precettori rende a miglior grado le menti giovanili tènere e atte a ogni impressione. E vedesi quanto e' giovani, cresciuti sotto la reverenza de' padri circunspetti e gravi, siano poi omini differenti da questi quali crebbero senza freno e buon consiglio. Ma torniamo. Noi espurgammo da quella parte dell'animo in quale abitano le perturbazioni, alcuni errori e vizi molto nocui, massime a chi propose essere principe e moderatore di sé stessi, e prossime superiore al numero degli altri. Ora procederemo esplicando ricordi de' nostri maggiori, omini sapientissimi, pe' quali la parte dell'animo retta dalla ragione sia ben culta e bene ornata, senza qual cosa, come più chiaro vederete, non possiamo assequire quanto desideriamo. Acconsentimmo noi nel discurso fatto di sopra, che il vero principato stava in essere per virtù e buoni costumi e cognizione di cose degne, superiore al numero degli altri?
NICCOLÒ. Sì.
BATTISTA. Qual di queste sia più facile ad asseguirla, più utile a colui in chi ella sia, più accommodata alla nostra investigazione, sarebbe lungo qui a me e non pronto el diffinirlo. Pur noi vediamo rari omini periti e dotti, quali non siano a' primi luoghi con dignità richiesti e preposti agli altri; e per questo forse molti iudicherebbono ch'el primo nostro officio sia dedicarci agli studi e cognizione delle dottrine, a quale opera iudicano e' savi che l'omo sia atto, nato, e da natura pronto, e dicono quello che non possono negare ancora que' che sono meno intelligenti: l'uomo nacque non per essere simile a una bestia, ma in prima per adoperarsi in quelle cose quale sono proprie all'omo. Comune a tutti gli animali e insieme all'omo sta el vivere, el moversi e sentire e appetere le cose buone e accomodate alla conservazione della spezie sua, e fuggire le contrarie. All'omo resta proprio suo fra' mortali lo investigar le cagioni delle cose, ed essaminare quanto sia questo che ora li occorre simile al vero, e cognoscere quanto e' movimenti suoi siano da reputarli boni. Questo non è altro che solo adoperarsi in quelle facultà onde s'acquisti dottrina. Ma di questo ne lascerò il giudizio a voi.
PAULO. E' litterati, vero, certo sono molto stimati quando e' sono eccellenti, ma questo grado non l'acquista sempre ciascuno sanza molta fatica e difficultà ben grande. Non siamo per ingegno tutti atti alla dottrina, e senza la buona disposizione del corpo e senza le suvvenzioni della fortuna mal si può dare opera quanta si richiede a simili studi.
BATTISTA. Concedere'ti in parte che le fortune siano commode agli studi quanto tu stimi, s'io non vedessi fra gli studiosi acquistar dottrina men numero di que' che sono più ricchi che di que' che sono men fortunati. E simile assenterei che la imbecillità del corpo disturba questa opera, s'io non vedessi che tutte l'altre cose per età mancano all'omo: solo le forse dello intelletto persino all'ultima imbecillità della vecchiezza tuttora fioriscono e inverdiscono. Che ci bisogni fatica, tutto el contrario. El nostro ingegno, cosa in molta parte divina, non patisce violente servitù. Le fatiche hanno in sé violenza. Qui solo si richiede affezione, diligenza e perseveranza; e spesso in lo studio la diligenza val più che l'ingegno, e quasi sempre la perseveranza farà più che la veemenza e impeto non attemperato. E troverrete in questo studio delle dottrine che 'l moderato adoperarsi segue ogni dì più pieno di maravigliose voluttà. L'animo nostro si pasce della investigazione e aprensione delle cose degne; e quando ben vi fusse qualche fatica, niuna cosa si fa in vita sì facile ch'ella non sia laboriosa a chi ella non piace. Così niuna delle cose degne sarà tanto laboriosa qual non sia con voluttà a chi la tratti con desiderio d'assequirla. Voi giovani alle cacce e altrove soffristi freddo, fame, sete, durasti fatica molte e molte ore, sudasti e vegghiasti. O beato a voi, se voi ponessi pari studio e pari diligenza presso a dotti in apreendere le cose di più pregio! E quanto frutto assequiresti, quanto contentamento! Non si può descrivere né stimare il piacere qual seque a chi cerca presso a' dotti le ragioni e cagioni delle cose; e vedersi per questa opera fare da ogni parte più esculto, non è dubbio, supera tutte l'altre felicità qual possa l'omo avere in vita. Che più? Il mercatante per acquistar qualche pecuglio espone la vita sua a molti e grandissimi pericoli, soffre in mare e in terra dure e lunghe fatiche e molti disagi, e noi altri recusiamo vigilar qualche ora della notte per essere poi lume agli altri omini! E recuseremo de adoperarci in quello che rende maraviglioso frutto alle fatiche nostre. E certo sarà maiore el frutto nostro a noi che il suo a qualunque altri si trovi altrove. Ed ecci palese questa differenza, che le ricchezze e 'l poter più che gli altri nelle cose della fortuna, mai fecero più savio alcuno. E' dotti acquistano a sé pecunia quanta e' vogliono. Sono riceuti da fortunati principi, e riceveno da loro. E' ricchi sono accetti a niuno se non quanto patiranno diminuire il suo. E spesso e' dotti fanno ricchi e beati molti altri con suoi ricordi e consigli e con emolumento e acrescimento di grata memoria e fama. Agiugni che l'utile, qual porge la dottrina, sarà per sé maggiore che qualunque premio si possa mai sperare alle nostre fatiche, se ben cavassi tesoro ascoso e inchiuso in qualche muro di casa tua; però che l'oro non potrà essere utile a te, se prima in altri non viene qualche voglia o bisogno pel quale tu commuti l'oro tuo coll'opere e cose sue. La dottrina testé qui mentre che tu la sequiti, e poi sempre quando tu l'arai compresa, sempre sarà tua, utile a te testé e in tutta la vita tua. E quanto vi porrai studio, tanto di presente ti s'accresce per lei felicità, e dì per dì ti si rende più pronta e molto facile. Poi non ti può essere rapita, continuo ti sta in seno, in parte niuna ti dà gravezza, e possedila senza niuna sollecitudine. L'altre cose adoperate scemano: questa una solo, dono agli omini dato da Dio, continuo diventa maggiore e di più pregio trattandola.
Vuolsi adunque con virilità d'animo continuo profferirsi e adoperarsi per acquistar dottrina, cercando, frequentando omini e cose onde tu ritorni a casa più dotto, e vuolsi perseverare in questa assiduità. Oggi benché poco sia quello che tu imparasti, domani saprai quello che tu non sapevi iersera, e in molti dì saprai molte cose, e chi sa molte cose, costui si rende in questo molto superiore agli altri. Reverisconlo e maravigliansi di lui. Seguiamo adunque, giovani, questa utile e degnissima impresa, dedichiànci a questo studio, ma più confermiànci a nulla recusar fatica per esser dì per dì quello che noi non eravamo, e facciam sì che questo dì giovi agli altri giorni che verranno, a noi e a' nostri. Seguiamo cercando sempre ciascuno da sé e pari co' pari e tutti insieme cose ottime e lodate, e perseveriamo e imitando e ottemperando a chi prima le trovò. Nella vita dell'omo lo essercitarsi in qualunque cosa rende la via ad acquistarvi lode e fama ogni dì più aperta, equabile e luminosa. Chi conosce il bene e amalo quanto e' merita, e fra le cose ottime ama le più degne, costui pospone tutte l'altre men degne, e tanto gli diletta quello ch'egli acquista con sua diligenza, quanto e' si vede per questo differente da quello che egli era, e differente da quello che sarebbe sanza questo ornamento. O giovani studiosi, Dio buono, beati voi quando qui e quivi e dirimpetto sederanno mille e mille e più volte mille omini in teatro o in qualche altro publico spettaculo, o giovani, beato a qualunque di voi potrà dire seco: “Qui, fra tanto numero di questi nati omini simili a me, niuno è omo tale a cui merito io volessi potius esser simile che a me, e a quelli che sanno più di me. Tanti che sono belli, tanti che sono agilissimi del corpo e robustissimi, tanti che sono molto fortunati e nati in nobile famiglia, e niun di loro sarà qual non desiderasse che il padre, il fratello fussi simile a me, e sarà niuno che non si gloriasse nominare fra' suoi un simile a me tale qual io mi sia”. O gaudio maraviglioso! O incredibile contentamento! O gloriosissima remunerazione agli studi nostri, alle fatiche nostre! Chi non esponesse, non che il sudore, ma più el sangue per asseguirlo! E che monta delle fatiche passate? Oggi tu senti nulla, el premio loro frutterà sino dopo la vita. Adunque, giovani, sequite, come spero farete, investigando e adoperandovi continuo con ogni studio, diligenza, perseveranza in acquistar dottrina, per esser instrutti almeno in quelle cose qual sarebbono mancamento a te nato omo nobile non le sapere. E datevi a conoscere quelle che sono necessarie a chi desideri essere, quanto merita la virtù vostra, pregiato e amato da' nostri cittadini e adoperato in le amministrazione della republica. O Dio, che piacere sarebbe el mio vedervi qui insieme, quando occorresse lassù in senato si trattasse forse di prendere l'arme o di iungere nuove collegazioni o innovar qualche legge e simili: che piacere sarebbe el mio vedervi disputare insieme di quella cosa, e producere vari argomenti, suadendo e dissuadendo questa e quell'altra parte, ed emendar l'un l'altro con carità e grave discurso! Quanto sarebbono questi simili ragionamenti vostri allora più belli che non sono quelli quali fanno molti sedendo pe' muricciuoli! E per mio consiglio fatelo, figlioli, fatelo, essercitatevi in simili cose, eccitate, sollecitate l'uno l'altro, perseverate in questo certame utile e pieno di voluttà con l'animo cupidissimo d'acquistare virtù. Simili preludi vi faranno più dotti e circunspetti a riconoscere le cagioni e ragioni delle cose, e più destri a ordinarle a luoghi e tempi atti, deputati. Sarete indi più pronti, ove accaderà, a profferirle ed esplicarle in publico. E così diventerete quello che molto e molto vale fra la moltitudine: diventerete eloquenti e utili alle cose che succederanno nelle faccende publiche. Credetemi, uno omo eloquente facile farà che gli altri seguano la sentenza sua. E chi ubbidirà a' detti tuoi sarà costui altro in questa parte che suddito dello imperio tuo?
Sarà forse non qui fra voi, quali sete d'ingegno prestante e d'ottimo intelletto, ma fra gli altri giovani chi dirà: “Io conosco e affermo che tu mi dai util consiglio, e non recuserei fatica alcuna per acquistare tanta eccellenza, ma non mi servirebbe lo 'ngegno a queste suttilità, né mi vedo atto a compreendere tanta cosa”. A costui risponderei io: “Dimmi, figliuolo, che sai tu quanto tu possa s'tu nollo provi? E se tu ti conosci nell'altre cose non da meno che gli altri ove bisogni adoperare intelletto e discrezione, vedi che questo recusare qui l'acquistar dottrina non sia in te tanto diffidenza inetta quanto timidità puerile e fuga d'affaticarti”. Inerzia dannosa, desidia brutta fare come e' fanciugli vezzosi quando la mamma li vuole lavare il capo: gridano e piangono prima che sentano se 'l ranno è freddo o caldo. Escludete da voi questa lentezza e tardità effeminata. Vinca l'animo generoso e virile. Spesso interverrà che 'l disporsi a far le cose laboriose eccita la virtù in noi, e rendeti che tu puoi molto più che tu non credevi. L'omo da natura si è cupidissimo di sapere ogni cosa. Di qui viene che tu e io e gli altri tutti siamo curiosi e cerchiamo intendere etiam le cose levissime, e chi fia questo forestiere, e quanta copia e che ordine fu al convito, e che crucci siano innovati fra Mirzia e chi l'ama, e simili. Con questa cupidità di sapere se la natura non avesse immesso all'omo lo 'ngegno attissimo ad imparare, arebbe errato. Qual cosa chi dicesse, errerebbe lui. Mai in cosa niuna la natura per sé mai errò, mai errerà. Adonque, non inculpar l'ingegno tuo: inculpane la propria desidia e poca cura tua di te stessi. E quanti diventerebbono dotti, se si vergognassero esser gravi a sé e inutili agli altri per la sua ignoranza! Dissi degli studi dovuti alle dottrine. Non so quanto io mi vi satisfeci.
NICCOLÒ. Dirò di me, e così credo affermerà qui Paulo e costoro: queste ragioni adutte da te molto mi dilettorono e persuasero; e così mi pare le dottrine sono molto commode alla vita dell'omo, rendono grande emolumento, non sono difficili a conseguirle, più amano diligenza e perseveranza che fatica. E confesso questo: certo chi sa, costui tanto è differente da chi non sa, quanto da te omo compiuto a quelli che ancora sono fanciulli.
BATTISTA. Dicesti commode, vero, ma sono in prima necessarie. Le dottrine insegnano conoscere il vero dal falso ed eleggere il meglio. Senza questa cognizione e providenza, che differenza faremo noi da uno omo annoso, non dico a un fanciullo, ma da lui non dotto, non perito a una inutilissima bestia? E hanno in sé questo le dottrine, che in la famiglia dove elle furon ricevute, elle perseverano più tempo conservandovi ornamento privato e publico onestamento. Giovani, sequite essercitandovi, leggendo, udendo e' precettori, ragionate insieme e con gli altri studiosi delle cose lodate e utili a vivere bene e beato; disputate ovunche acade insieme cercando il vero, investigando le cagioni e ragioni delle cose, imparando da chi sa, e referendo l'uno all'altro con instituto de accrescere publica utilità alla famiglia vostra. Così asequirete in voi mirabile contentamento, e appresso de' vostri cittadini autorità e preeminenze nulla differente dal vero imperio. Conseque alle dottrine, - e forse sono consimili le cognizioni e perizie delle cose utili e degne, e quelle sono in prima degne qua' sono utili alla patria, come e' dicono in ozio e negozio, - sapere i gesti e provedimenti de' maggiori quali constituirono e acrebbero sì questa sì l'altre republiche, sapere gli ordinamenti e osservanze prescritte e usitate nella terra, sapere e' costumi e reggimenti pubblici e privati delle comunità, e' principi co' quali bisognasse in tempo confederarsi, conoscere le voglie e portamenti de' suoi cittadini utili e inutili al ben publico, e simili. Queste sono cose molto degne a uno omo civile, e molto utili a chi presunse essere moderatore degli altri, e avere perizia di quello che bisogni a reggere e conducere lo essercito e armati per terra e per mare, e avere perizia di quel che giovi a difendere e propulsare ed espugnare inimici e simili. Queste son cose che dànno a chi le 'ntende molta autorità e reputazione in senato e presso e' principi, questi sono commendati e primari gradi in le faccende publiche. Ma quello che sopra ogn'altra cosa in la vita dell'omo si debba, e in qual bisogna con ogni opera, studio, assiduità continuo essercitarsi per assequirlo, faccenda iocundissima, degnissima, utilissima a te, a' tuoi, sarà la virtù, saranno i buon costumi.
LIBRO II
Levati adonque da desinare, tornammo a sedere a' luoghi nostri presso al foco secondo l'ordine di sopra. Ivi ancora simile come a tavola fra noi sequimmo dicendo e rispondendo a uno e un altro motteggiamento con molta iocundità e festività. Stati così alquanto, Paulo si volge a me, e con quella sua modestia riposata porse la mano e disse: - Or sì, Battista, noi aspettavamo il resto de' ragionamenti tuoi. E questo richiederli ti sia demostrato di quello che noi stimiamo e confessiamo esser in te. E qual sia questo nostro iudizio non accade profferirlo in tua presenza. Tanto basti: se noi non li reputassimo ragionamenti degni, utili, atti a por l'omo in tanta eccellenza che meriti esser pregiato, reverito e amato, noi non ti daremmo questa fatica. Ma so che tu non la negherai a questi giovani, quali ti sono grati quanto figlioli, e anche a noi, a' quali insieme con loro i ricordi tuoi saranno utili e piaceno. Sequita.
BATTISTA. E' ragionamenti delle cose degne sono per sé utili e piaceno di sua natura a chi gli ode, ma più molto dilettano a que' che sono nati per esser omini prestantissimi e rari, come io spero saranno costoro, e molto me ne rallegro. Questo per molti altri loro ottimi costumi, pe' quali e' mi sono cari quanto la vita mia, e massime perché qui li vedo attentissimi; e spero come e' sono parati a intender da me il ben loro, così essi da sé saranno operosissimi in vendicarselo. Da te, Paulo, e da te, Niccolò, omini prudenti, voglio io questa licenza, che senza repetere altri princìpi, senza prefinire altro ordine a questa materia, io, come feci sino a qui, referisca solo quanto di cosa in cosa mi verrà in mente atto a questo ch'io proposi. Non è qui il proposito nostro tenere scola filosofica accurata e da ogni parte circunspetta. Basterammi in questi ragionamenti familiari informare la mente e l'animo nostro con ottimi instituti a essere egregi omini, dissimili da' volgari, ignoranti, indotti, imperiti, inetti; e adatterenci ad acquistare in noi ora per ora principato e moderamento di noi stessi con virtù e buon costumi, onde segua facultà ben reggendoci d'essere primari e superiori agli altri.
Abbiamo a ragionare della virtù e de' costumi. Questi chiamati eloquenti, come altrove così in le funerali collaudazioni, annumerano fra le virtù ancora le perizie e cognizioni delle cose e delle buone arti, e dicono: “Costui fra l'altre sue virtù fu citarista, pittore, architetto, e simili”. Ma noi proprio chiameremo virtù solo la vera e sincera bontà alla quale sia contrario el vizio, e diremo: costui è virtuoso quale sia in sé tale che niuna cupidità, niuna voluttà, niuno sdegno o molestia mai lo inducerebbe a far cosa iniqua, nociva ad altri o brutta a sé. Vorrei potere esplicare con qualche notabile proprietà in che fusse differente questa bontà da quel che noi appelliamo buon costume. Non mi viene per ora altro in mente, e forse questo vi satisfarà. Diremo così: per la bontà l'omo constituisce e afferma in sé vera e perpetua tranquillità e quietudine d'animo, e vive a sé libero e, quanto sia in sé, utile agli altri, contento de' pensieri suoi, vacuo d'ogni perturbazione. E' buon costumi forse sono corrispondenti alla virtù come alla sanità del corpo el buon colore, e sono quasi ornamento della virtù, e acquistano all'omo presso agli altri bona grazia. Ma come il buon colore può in molti modi e ancora ne' febricitosi apparere altronde che da sanità, così qui con gesti e parole simulate e fitte qualche fallace potrà in tempo ostentarsi vero costumato e religioso, e pertanto asseguirà forse presso a molti buona opinione e favore. Ma in noi mai otterremo quiete e tranquillità d'animo constante senza vera e intera virtù. Occorremi un'altra similitudine: come al pomo insieme con la maturità li succresce odore e sapore suavissimo, così il buon costume innato con la matura perfezione della mente, cioè colla virtù, porge di sé amenità e grazia. Diventasi virtuoso imitando e assuefacendosi a esser simile a coloro quali sono iusti, liberali, magnifichi, magnanimi, prudenti, constanti, e in tutta la vita ben retti dalla discrezione e ragione. A questa imitazione sussegue el vero buon costume, quale in sé non è altro che pura onestà retta con certo riguardo, e destinazione d'animo parato fuggire ogni biasimo, e pronto di gratificare a tutti contribuendo e accomodando a ciascuno secondo el poter suo e secondo e' meriti loro, e massime dove e quando l'opera sua giovi alla patria sua. E sarà ben costumato chi sequirà quanto da lui richiede il viver civile e la buona disciplina e religione de' suo' maiori. E in prima costui così costumato, per osservare in sé quanto richiederà la onestà, non recuserà fatica, non schiferà disagio, non fuggirà periculo alcuno per satisfarli. E quel che molto porge suave e gratissima la presenza dell'omo costumato si è la modestia, mansuetudine, umanità, equabilità, affabilità in gesti, detti, fatti, accommodati, accetti e grati. Bella cosa la virtù, giovani: bella cosa la bontà!
Chi mai potrebbe raccontare quanta sia differente la vita dell'omo bono a quella del non buono. L'omo bono fra' suoi privati cittadini sarà sopra gli altri reputato, e in le faccende publiche raro sarà posposto agli altri. Vederassi amato da tutta la multitudine, frequentato, richiesto, e appresso qualunque lo conoscerà, riporterà ottima grazia. L'omo, contro, non buono, dato alle voluttà e ozio, desidioso, inerte e pieno di cupidità, vive tedioso in sé, negletto, abietto, svilito dagli altri. Fuggono e' cittadini apparentarsi con lui, fuggono crederli, fuggono ogni sua pratica, non lo vorrebbono per vicino. Onde con questa sua mala disgrazia el misero omo rimane escluso da ogni onestamento e aministrazione publica, nulla reputato. Rursus l'omo bono gode nel far bene, dilettagli il pensare alle cose oneste, dassi alle cose molto lodate, falle con ottima speranza di felice successo col favor degli omini e ancor di Dio, a cui piace le cose ben fatte, e acquistane premio incomparabile, cioè gloria e immortal fama. Questa memoria in sé lo rende beato in tutta la vita e quinci gode quando e' fece cosa onde e' meriti bene da' suoi, dalla patria, dal numero de' mortali. Niuno diletto, niuna iocundità in vita dura continuo eccetto che 'l far bene. El vizioso, contro, non può pensare altro che di far le cose grate a sé, dannose ad altri, e di sua natura inique e iniuste e disoneste, sanza duri e molesti incitamenti d'animo, gravi sospetti, acerbe cure e turbulentissima instabilità di mente. Non s'adopera in sequire la sua improbità e pravità senza vessazione e concertazione in sé di qualche paura contro alla sua audacia. Ultimo, adempiuto el concetto suo, ehi misero lui! - lo assiduo rimordimento, qual sempre si li representa rimproverandogli quanto e' commise cose scellerate, lo tien in perpetuo e acerbissimo tormento. Agiugni, se l'omo buono forse in qualche cosa errò, molti lo scusano, in molti modi lo sollievano, e da molti sono le scuse loro accette. Contrario interviene al vizioso. Le scuse dell'omo non buono tutte sono inutili, niuno le approva, niuno le conferma. E quello che molto più nuoce loro, se fanno o dicono cosa alcuna da riceverla in buona parte, tutti la stimano dedutta con fraude, atta a nuocere e diritta a male. E aviemmi non raro ch'io mi maraviglio, sendo questo sì proprio all'omo, sì facile, sì parato, sendo l'acquistar virtù sì necessaria cosa in tutta la vita, sendo tanto degna, stimata, amata la bontà, qual cose tu acquisti con tanta voluttà, onde tu ne ricevi tanto frutto e sì maraviglioso premio; dico, mi maraviglio onde e' sia che gran numero degli omini la recusino, anzi la escludino da sé. Error pieno di nequizia laudare e pregiare in altri quello che lui non degna ricevere e non sostiene averlo in sé. A chi piacesse più mantenere in sé la infermità del corpo suo che la buona sua sanità, massime potendo con facile modo liberarsi, ditemi, giovani, di costui che iudicheresti voi? Che fusse molto savio o molto che...?
GIOVANI. Molto pazzo e bestiale.
BATTISTA. Simile sarà bestiale quest'altro quale perseveri vivere servo a' vizi con brutti costumi. E tanto più sarà vero pazzo, quanto la buona disposizione e valitudine dell'animo sia da più stimarla che quella del corpo; e ancora tanto più quanto sia più facile sanificare l'animo che raffermare il corpo. Le corruttele dell'animo sono e' vizi, quali per sua natura dispiaceno sì agli altri, sì ancora a colui in chi e' sono più familiari. Vedilo, per scelerato che sia, niuno sarà quale non studi occultare e' suoi biasimi. E se ci penseremo, lo vederemo che dura più fatica in non parere quello ch'egli è, che non durerebbe in essere quello che non è. Sono adonque e' vizi corruttele dell'animo, ingrate alla natura, odiose agli omini, moleste a colui in chi e' sono. E chi ne dubita? Deposto il vizio, l'animo riman libero e valido. Per espurgare ed escludere tanto male, non ti bisogna amminicoli o argumenti altronde che da te stessi. Qualunque, in qualunque luogo, in qualunque tempo disporrà esser simile a' buoni e ben costumati, certo ivi presente arà modo d'esser vero buono e costumato. Niuna cosa estrinseca potrà impedire a te questo concetto. E se qui a te nulla bisogna a questo, altro che la tua bona volontà, non aremo da inculparne altri che solo te. Molte altre cose in vita all'omo sono belle e lodate: pur ci è licito senza repreensione non le avere. E possiamo non esser poeti, non essere astronomi, e simili; ma senza aver modo e ragione di vivere con quel che si richiede agli omini, non ci sarà concesso. Saremo simili a' buoni prudenti e ben morigerati quando e' nostri pensieri e gesti e parole e fatti saranno retti e moderati con ragione e ordine non dissimile a e' loro. Dal buon pensiere e da buon instituto sequitano le buone operazioni in tutta la vita. Dalle buone operazioni succede buon fine a' nostri desideri. Buon fine sarà quello che giovi a te con molta onestà. Miglior fine sarà quello che gioverà non solo a te, ma insieme a molti con buona grazia. Ottimo fine sarà quando e' gioverà in prima a' buoni simili a te, e sarà lodato dagli omini gravi e savi.
De' pensieri dell'omo alcuni sono generali circa tutta la ragione del vivere, alcuni determinati a qualche certa faccenda. Al tutto e' pensieri e instituti de' prudenti e virtuosi sono differenti da que' de' viziosi. El vizioso prepone l'utile suo a ogni equità. Nulla cura se non quanto a lui satisfaccia. Al buono, contro, piace nulla se non quanto la onestà, equità e umanità gli persuade, onde adirizza tutti e' suoi pensieri e volontà solo in far cose non inutili a sé, utili a molti, e di sua natura oneste e lodate da' dotti omini e ben composti. E così el primo suo instituto sarà fugare da sé l'ozio, la voluttà, la cupidità e gli altri eccitamenti e nutrimenti de' vizi; e per questo da' primi dì che cominciò per età esser maturo, egli essaminò in sé quello che e' potesse, e quello che gli mancava, e quello che a lui si condiceva e da sé bisognasse astenersi, e a che industria, a che arte e disciplina e' fusse più atto e da natura più inclinato, e delle cose degne qual fusse più da eleggere in sé. Così faremo noi e questo: disporremo l'animo virile e generoso, prontissimi a non recusar fatica o disagio alcuno per assequirlo. E stimeremo che niuna cosa sia tanto da fuggirla e temerla, non povertà, non dolore, non inimicizie, quanto il biasimo e infamia. La paura del biasimo, figliuoli, costudisce in noi la ragione, eccita la virtù, modera el discurso, adirizza le voglie nostre a buono e lodato fine. E sarà la summa de' nostri pensieri, non in avere più roba, ma men vizi, o più stato o favore, ma meno arroganza, con più virtù e meno invidia. E proporrenci, quasi come legge destinata al viver nostro, al tutto posporre ogn'altra cosa alla virtù.
Simili adunque saranno circa tutto l'ordine della vita e' pensieri nostri. Le cose particulari in molta parte pendono da' tempi, luoghi e condizione delle persone, e per questo saranno qui e' pensieri nostri per sua natura più da chiamarli consultazione per intendere e assequire il meglio, che da iudicarli instituto determinato e quasi posto come segno certo, immobile, dove ogni nostro desiderio s'adirizzi. Dicono: “chi non sa pensare quanto basti, non saprà fare quello che bisogni”. Fra le cose buone molti populari stimano le voluttà, e non pochissimi le ricchezze, alcuni le dignità. Que' ch'hanno l'animo più generoso appetiscono l'onore, gloria, posterità. Circa tutti questi simili pensieri mommentani si danno alcuni precetti utili e da non li preterire. La cogitazione nostra civile non è altro che discurso di mente, per quale tu repeti le cose note a te, e compari le similitudini loro con quelle che sono testé qui presente, e indi argumenti quello che possa avvenirne; e questo si chiama prudenza, quasi providenza onde sequita contro al mal la cauzione, e, quanto al bene, l'ordine e modo a consequirlo. E dicono che la prudenza si è un muro tutissimo, quale non si può con macchine prosternere, né con perfidia e tradimento superare. El vero fundamento della prudenza si è la buona mente, e ben maturata e ben essaminata ragione. La pravità disvia il iudicio dalla dovuta rettitudine, e le perturbazioni escludeno la ragione. Di questi sorgono vizi al tutto contrari alla prudenza. Massimo inimico della prudenza la falsa opinione, e molto piggiore avversario sarà la iattanza pervicace di chi gli pare intendere quanto bisogna cose che non intende, e stima il iudizio suo sopra tutti gli altri, e per questo ostinato vuole con troppa veemenza quello che l'opinione sua gli persuade esser buono a sé. El savio non si lascia sudducere dalla opinione o vincere di essistimazione inconsiderata, ma discerne le cose da' suoi princìpi distinguendo e riconoscendo le parti loro, e iudica componendo le cause co' loro effetti, ed elegge con disquisizione ben digesta e con ragione quello che sia ottimo. E vengono da questa falsa opinione, come altri molti vizi, così ancora le suspizioni, onde alcuni iudicano prudenza pensare e ripensare a cose spesso molto vili e al tutto inette. Sarà certo meglio pensare a nulla, che assuefarsi trattare in sé cose vili e vane.
Bene adunque amoniscono e' dotti che ne' pensier tuoi tu in prima escluda la opinione, sequiti la ragione, freni l'appetito. La ragione per sua natura sempre provoca l'animo a cose ottime e lodatissime, e modera le voglie, e ritien che tu non cerchi le cose senza buon modo e molta circunspezione. Per escludere da sé l'opinione e sicurarsi da tutte le sue decezioni, convien che tu abbi gran riguardo a non far stima de' piaceri e dispiaceri tuoi più che la cosa in sé meriti. Lodasi quel prudente omo qual dicea: “Io reputo che gli omini siano animali atti ad errare e verso di sé e verso degli altri; ma stimo e' loro errori fatti verso di me non più che si richiegga la natura delle cose, e oppongo all'impeto delle iniurie e della fortuna ne' miei pensieri la buona fiducia di me stessi, a cui nulla può esser tolto di quelle cose ch'io curo, e alle perturbazioni che mi si presentano, meco me stessi confermo con la ragione repetendo che a me non può mancare cose ch'io cerchi”. E certo, figliuoli, egli è così: l'uomo buono, costumato, dotto, qual nulla desidera altro che dottrina e solo ama la virtù, si sente sì pieno degli ornamenti suoi, sì parato con quello che non gli può esser vietato ad acquistar buon nome e fama, che non li bisogna o temere o cercare altronde cosa alcuna estrinseca per adempiere le voglie e voluttà sue. Molti omini diventorono scellerati e iniquissimi, e molti, contro, perché gli pesava la fatica e tediava la perseveranza nel prodursi a più virtù, intermisero l'opere virili e gloriose, e così l'uno e l'altro di costoro rimase misero e infelicissimo. Prossime, ne' ragionamenti quali tu arai teco pensando e deliberando le cose, bisogna che tu preponga a te qualche non verisimile, ma certa e indubitata ragione e vero principio, onde tu discerna senza alcuna dubitazione le successioni di quel che investigando si dimostri atto e parato a pervenire. Saravvi per questo ne' successi felici ed espettati doppia voluttà: ciò sarà avere quello che vi satisfaccia e ottenere quello che voi provedesti. E ne' successi non grati vi sarà meno molesto quello che voi stimasti e in parte vi preparasti a sofferirlo. Fare ch'e' casi non seguano, non è in nostra podestà; ma che e' non vengano per nostro errore e negligenza, possiamo noi, e dobbiamo con maturo consiglio provedervi. La oppinione sempre fu ambigua, inconstante, inferma. La ragione sequita la verità, qual mai serà se non unica, perpetua e immortale. Adonque, se nel disputar con teco toccare' qualche argumento nel quale sia da dubitare se questo sia o vero o buono, come forse ti può parere, non accedere; guarda. Niuna cosa può esser buona se non quanto ella sia onesta, né utile se non quanto ella sia buona a qualche cosa di sua natura buona. E se in parte alcuna benché minima ella ti sentirà d'iniuria o disonestà, fuggila, e al tutto abdica da te ogni speranza di celare e occultare le cose malfatte. L'omo grave, circunspetto, dato alla virtù, ornato di buon costumi, mai fra' pensieri suoi accetterà deliberazione alcuna quale e' recusasse esporla e palesarla a tutti e' suoi amici e nimici. E così noi che instituimmo esser simile a loro, esplicaremo a noi stessi e' pensieri nostri non con altra mente che se tutti e' nostri amici e nimici in presenza ci vedessero.
Ultimo, constituito in questa causa el fine onesto, atto a noi e da volerlo, bisogna provedere che ordine e modo si condica a pervenirvi. El modo in gran parte s'adatta dalle occasioni de' tempi, dalle condizioni de' luoghi e delle persone. A questo bisogna ossecundare, più tosto che cercar di commutarle. Ma voglionsi ben ritrattare, e come e' dicono, riconoscerle per ogni loro quadra, acciò che tu non presuponga noto a te quello che, riponendovi meglio mente, t'avederai che tu erravi. Dannosa negligenza per quale tu doppo il fatto dica: “i' non pensai questo”. L'ordine in sé si è una atta disposizione delle cose, bene accomodate a' luoghi loro, in tempo, e con ragione ottima. Non sarà ottimo quello a che si possa agiugnere parte alcuna, onde e' sia per questo da più eleggerlo. Saranno adonque, insomma, le ragioni e diffinizioni de' nostri pensieri circa le cose quali acaggiono d'ora in ora, moderate e pesate, come dissi. In particulare circa le voluttà non bisogna farvi deliberata deliberazione e immutabile. Proporci di fugarle da sé tutte, sarebbe immanità: dedicarsi a esser simile a un cavallaccio, e marcire e perdersi nella voluttà, sarebbe cosa oscena e vituperosa: adattarsi a' tempi e non le appetere con avidità, e non dolersi s'elle mancano, sarà officio d'omo ben costumato. Circa le cose della fortuna bisogna preparare l'animo, e precludere ogni addito onde ella in tempo possa perturbarci. Nulla dobbiamo desiderare, nulla sperare, nulla temere più che si richiegga all'omo grave e prudente: ricordarsi che la fortuna sempre fu volubile, inconstante, e così stimare che la fortuna per niuna tua providenza e consiglio mai muterà la sua natura. L'omo pratico in mare provede con molte ancore, sartie e armamenti, più a' casi avversi che a secondare la facile sua navigazione. Così a noi bisogna nel corso della vita prepararci che la instabilità e durezza de' tempi diano quanto men danno si può. Poco ti graverà la fortuna avversa o non ti dando o levandoti quello che tu conoscevi caduco, fragile, e per sé instabile, e per questo non lo stimavi né te ne fidavi.
E massime circa le ricchezze bisogna avere l'animo grande. Chi impara soffrire la povertà senza perturbazione, soffre bene ogn'altra molestia. Gloriosa vittoria superare in sé quello che vince gran numero degli omini. E vincesi escludendo e' desideri con poco stimar le cose caduce e fragili e adiudicate alla voluttà, per qual solo fine el volgo desidera esser pecunioso. All'animo grande, ben constituito, non può parer gran cosa alcuna sopra quella che fa lui essere grande: la virtù. E per questo quanto ello ama sé, tanto pari ama la virtù: l'altre cose al tutto stima poco. Indi mai accaderà che faccia per avidità cosa alcuna brutta, e vorrà più tosto questa cosa degna e preclara senza frutto, che quella fruttuosa senza splendore di qualche virtù, però che 'l bene in questa cosa ottima è migliore che 'l molto contentamento in cose men buone. E dobbiamo fra le cose ottime ne' primi luoghi collocar quelle che siano vacue d'ogni indignità. Le lascivie, temerità, petulanze, protervità, e simili cose indegne, meno sono familiari a' poveri che a' ricchi. Adonque ben dissero e savi: “le ricchezze non le desiderare a summa felicità s'tu non l'hai: s'elle ti suppeditano, adoperale in benificenza e magnificenza”.
Accaderanno occasioni che forse ti soverrà pigliare determinazione circa qualche magistrato o dignità o cose onorate, dove tu possa mostrarti virtuoso e acquistar fama e buona grazia. A questo niuna via più certa, più breve che proporsi d'essere eccellente in virtù tanto quanto tu vorresti essere onorato e pregiato. Chi ferma e' pensieri suoi a essere ambizioso, e piaceli acquistarsi fautori, se costui forse cerca questo con summissione e diventa servile, farà cosa al tutto contraria al fine che cerca; e se propone acquistarsi fautori con premiarli, costui si fida in la fede e constanza d'omini cupidi, servili e venderecci; e se propone assequir le cose con importunità, costui sollieva contro sé molto odio, e chiude a sé stessi la via ad assequire simile grado più altre volte. Adonque si fiderà ne' meriti suoi più che nel favore e concession degli altri. E quando e' pur ami parere agli altri omo degno ed eccellente, bisogna che prima e' paia a sé, e poi sia tale che i nimici suoi non possano invero negarlo. Per questo l'omo ben consigliato mai resterà d'investigar tutte le cose onde e' diventi dì per dì omo più degno e di più autorità. Dicono che a' fanciugli si vuole assiduo narrare cose onde e' diventino più virili. Così tu a te stessi continuo renumera e preponi e richiedi da te come tuo gran debito ciò che ti renda continuo più eccellente. La virtù accresciuta splende, e non li bisogna per farsi conoscere altronde nuovo aiuto. Quelli sono reputati da nulla quali sono inutili a sé e inutili agli altri. Tu, contro, quanto per le tue virtù sarai utile a' tuoi, ornamento della patria tua, tanto meriterai più onore. L'onore, cosa publica, non si conviene se non a chi merita publico premio pe' benefici dati in publico. E l'animo generoso non desidera tanto assequir luogo superiore agli altri quanto meritarlo per virtù, e vorrà più tosto essere da più che gli altri molto che parere. E gratificherà l'onore all'animo generoso, non come satisfazione e premio de' meriti, ma come segno e nota delle virtù sue, onde e' confermi sé stessi a meritare indi più gloria. Simile adunque saranno e' pensieri di chi desideri essere grande omo e trovarsi superiore agli altri. E convie'gli da' primi principi e movimenti dell'animo bene pararsi, e dirizzarsi con ragione a buone opere moderando le voglie sue, gastigando le opinioni, preponendosi come fine e necessario termine a tutti e' suoi instituti certa speranza e ardente desiderio di meritar per sua virtù gloria e immortalità. E siavi quasi come summa delle cose dette. El savio non cede alla opinione, non accede alla volontà, ma distingue, iudica, elegge con ragione quello in che sia più bene o almeno men male. Così farete voi.
PAULO. Questi ricordi tuoi son molto degni, e parmi certo che chi preparasse l'animo suo in questa forma, gli sarebbe molto facile diventare omo prestantissimo.
NICCOLÒ. Anzi sarebbe la sua una beatitudine. Conoscerebbesi essere buono e valere molto, e sarebbe come gli altri buoni ben voluto e pregiato. Agiugni che in tutta la vita mai accaderebbe che per suo errore e' si dolesse o pentisse.
BATTISTA. Udite, giovani. Paulo qui e Niccolò dicono il vero, e così è. Da' buoni pensieri sequitano buone operazioni grate a Dio, accette agli omini, onde tu conscendi in grado onoratissimo fra' primari cittadini con molto splendore di gloria e buona fama. Dicemmo de' pensieri: ora discorreremo breve quali siano e' gesti e abiti dell'omo civile ben costumato: poi diremo quali convengano essere fra gli altri cittadini e' nostri ragionamenti, conversazioni e portamenti; e udirete cose da farne stima, e diletteranvi.
Quando io era della età vostra mi piacea il cavalcare, e ascoltavo attento chi ragionava de' cavagli. Un prudente antiquo omo dotto disse queste parole: “Sono alcune cose in qual bisogna che l'omo vi metta tutto l'animo, ogni diligenza, summo studio in farle bene. E pare che farle bene sia non altro che porgersi con molta modestia giunta con leggiadria e aria signorile tale ch'elle molto dilettino a chi ti mira. Queste sono el cavalcare, el danzare, l'andar per via, e simili. Ma vi bisogna soprattutto moderar e' gesti e la fronte, e' moti e la figura di tutta la persona con accuratissimo riguardo e con arte molto castigata al tutto, che nulla ivi paia fatto con escogitato artificio, ma creda chi le vede che questa laude in te sia dono innato dalla natura”. Non fie senza biasimo in un omo civile vederlo continuo frettoloso, quasi come tratto da molte faccende. L'animo grande e generoso piglia faccende simili a sé, non vili e abiette, ma rare e preclare; e queste di sua natura non possono essere molte. E chi non apprese varie occupazioni, non li bisogna molto agitarsi, né molto essere frettoloso e precipitoso, massime nelle cose prima constituite da sé e diffinite con buon ordine e assegnata deliberazione. E a questa solo sarà curioso a quale e' sia dedicato, cioè a farsi per sua virtù beato in sé e presso agli altri famoso e immortale. E contro, così mi fastidiano alcuni inetti e superstiziosi. A ogni passo prima summuovono el capo, porgono oltre il pie' con certa affettata gravità senza piegare il ginocchio passeggiando: non volgono la faccia verso parte alcuna senza adducervi insieme tutto el petto: producono le spalle ad amplitudine: gonfiano il collo: stringano e' labbri: aprono le ciglie: spandono le gomite; e ogni loro moto par fatto con arte di schermidore o di danzatore a molta ostentazione. Ben disse quel prudente a un simile: “O sciocco, non bisogna tanta incomposta gravità per parere al popolo tanto leggiere e vano”.
E della incontinenza, alcuni alla mensa (spurcizia odiosa!), che ne può parere a chi gli vede? Sta el guloso prono, e pende con gli occhi e col fronte sopra a quello che sia posto in mensa tutto parato a grappirlo e aboccarlo come se fusse cosa fuggitiva e lungo tempo sequitata; sollecita le mani simili alle secchie della tinta al pozzo, l'una in su verso la bocca, l'altra in giù al catino spesseggiando senza intermissione e carpendo per volta quanto se n'empia ambo le mascelle, e per la fretta ne cade molta parte sul mento e in sul petto, e pell'impeto del divorare gli gronda il naso e viso di sudore; e sentesi né sazio né stracco d'ingurgitare se non quando la copia de' rutti scoppian fuori, spesso bene spumosi e bene inzuppati del vino beuto senza misura. Appresso degli antichi, certo dì festivo dell'anno, e' padri della famiglia paravano a' servi la cena ben copiosa con molto vino, e voleano che loro figliuoli e minori vedessero le ubriachezze loro, acciò ch'egli imparassero biasimare, odiare e fuggire tanta oscenità. Ottimo instituto tra le cose ottime sempre fu el discorrere e riconoscere el male. E vuolsi in noi quello che tu conosci brutto in altri schifarlo in te, e non credere essere reputato omo ben costumato se tu sarai in parte alcuna simile a uno ingluvioso. Voglionsi fuggire da' primi anni quelle difformità onde alla fama di molti fu imposta macula per tutta la vita indelebile. Quinci el bomba, el succione, el mangione; e così a molti altri costumi ingrati agli omini, el pispiglia, el ghigna, el vespa, el tempione, el pazzaglia. Niuno luogo dimostra e' buoni costumi d'un bene allevato quanto la mensa. E chi arà l'animo nobile più tosto vorrà levarsi con fame che porgersi simile a un guattero affamato pieno di lordura. Bella cosa la mondizie, massime in mensa. Una sposa, per formosa ch'ella sia, e non servi al convito degna riverenza, piacerà non al padre, non alla madre, non a chi più l'ama; e meno piacerebbe a sé, s'ella si vedesse nello specchio.
E del vestire dico a voi figliuoli quello a che io posi mente lungo tempo: un famiglio co' panni stracciati e lordi mai lo troverrete che non sia o inertissimo o barattiero. Gli uccelli s'adobbano le penne adosso; l'omo non al tutto desidiosissimo vorrà parere uno spaventacchio che vada? E chi non può oggi vestirsi, potrà domani, purché no' gli giuochi. Piacerammi in un giovane l'abito giovanile, in quale appaia non venustà effeminata, ma dignità virile; e piacerammi l'abito più tosto atto e la vesta pulita che suntuosa. Non si condice a un giovane la toga, né agli omini maturi l'abito fanciullesco. Ricordano e' savi, e parmi qui da non preterirlo, che tu imiti il vestire de' paesani per più rispetti. In Perusia a' nostri dì interlassorono l'abito de' loro antiqui usitato in testa ben caldo. Per questo molti periron d'apoplesia; a un numero maggiore mancoron e' denti. Non senza ragione ciascuna gente assuefece i suoi al proprio abito per essere difeso dalle offensioni quale ivi più nuoceno. E tu, adunque, simile cura la salute tua, e d'altra parte non volere singulare essere fra gli altri sempre come testé giunto forestiere. E qualche volta giovò non parere forestiere; e par che concili grazia el conformarsi agli altri. E piacciati in questo imitare non uno o un altro differente dagli altri, ma conformarti con que' che sono per età e condizione pari a te e non ultimi reputati. Massime fuggiremo e con costumi e con portamenti e abiti nostri essere simili agli omini audaci, arroganti, ostentatori; fuggiremo parere lievi, lascivi, voluttuosi; non comporremo el viso, e' gesti, l'abito, le parole, in essere fitti simulatori con odiosa gravità e importuna santimonia: ma da ogni parte porgeremo in tutti e' modi indizio che in noi sia animo ben pacato, mente ben composta, e ben moderata ragion di vivere.
Circa le parole accade referire più cose molto utili e molto necessarie. Pigliaremo, a questa recitazione, da' principi dalla natura. Noi vediamo comune agli altri animali le voci loro date dalla natura a qualche fine, con qualche cagione. Sarebbe iniuria se alle bestie lo esplicare e' concetti loro fusse concesso con più ragione che all'omo. El cane, dicono, abaia per la fame, urla per desiderio, ringhia per ira, mugola per amore. Non è da credere che in noi siano le parole senza ragione e fine ottimo, quanto siamo differenti e superiori al resto di tutti gli altri animali. El favellare per sua natura mostra l'ordine delle cose passate, e rende la ragione delle presenti; e dicesi ch'egli è vinculo della società fra gli omini, dimandando per imparare e dicendo per esplicare insieme quello che bisogni loro a bene e beato vivere. Richièdevisi, adunque, carità e prudenza. Non sarà prudenza dire a caso ciò che ti viene testé in bocca senza discernere quello che importino le tue parole. Per questo si conviene in altro tempo formare quello che accade a dire, altro a recitare quello che sia da non tacere. Ma vuolsi non men prudenza circa il tacere che circa el favellare. Lodavasi altrove chi disse più, altrove chi disse meno. Sarà non biasimato chi dirà cose convenienti a sé e a chi l'ode. Delle poche parole e delle tarde risposte sequita quasi sempre meno errore. La loquacità sì come ella abita negli omini ignoranti, temerari, insolenti, impudenti, così accade loro che peccano spesso nel molto favellare e nelle fatue e subite risposte. E sono le subite risposte raro senza levità; e delle parole lievi spesso ricevettero molti gravissime pene. Vorrebbesi poter pesare ogni sillaba colle bilance e minutoli di chi assaggia l'oro, e forse non basterebbe al riguardo qual bisogna che abbi el savio a profferire la parola. Ma noi almeno saremo rattenuti, e diremo solo quello che non si può ben tacere. Non sempre sarà necessario a me dire qualunque cosa sia utile a te udirla. Verum dir le busie e tacere il vero pare che in qualche parte siano finittimi mancamenti; ma e' mi sarà non raro più utile tacere, che laude dire in questo luogo a questi tempi cose per altro di sua natura degne e dotte. L'omo circunspetto dove si richiederà, dirà cose utili agli altri, non dannose a sé, e arà per suggello delle parole el silenzio, e apprenderà dal tempo norma del suo tacere. Affermano e' dotti che niuna voce si sente più suave che la nuda e semplice verità. Ma spesso la arroganza e temerità di chi la porge, la rende insuave e male accetta. Saranno pertanto e' nostri ragionamenti con modestia e buon riguardo almeno tali che non mostrino essere nell'animo qualche vizio, e saranno fra gravi omini. Come la gemma rende splendore perché ella in sé è pura e limpida, così la buona mente rende parole simili a sé composte bene e costumate. Ed è come si dice: tale quale è l'omo in sé, tal cose pensa, dice e fa. L'omo pravo, in cui la mente sempre furia agitata dalle perturbazioni, continuo pensa, dice e studia cose perverse, ottrettazioni, calunnie, raportamenti e simile altre pestilenze; onde si dice che uno male omo tal sia piggiore che mille pessime bestie.
Chi raccontarebbe quanta ruina sequiti spesso alle famiglie, alla republica, da simili omini pestiferi? E che furore è questo? Del numero de' viziosi alcuni sono in prima dannosi sol a sé quanto e' si lasciano vincer dalle voluttà, libidini, gulosità e simili. Ma tu da questi accetti qualche scusa: che furono poco savi; fecero come omini giovani non ben consigliati. Alcuni nuoceno ad altri, e questi allegano lo sdegno prima conceputo, e la speranza e occasione dell'utile, e altre condizioni che gli mosse. Ma questi maledici quali peccano mossi non da ignoranza ma da escogitata malizia, e concitati da nulla altro che dal piacere quale e' pigliano nel far male, certo sono senza scusa niuna, sono perdutissimi nell'ultima sentina della nequizia, omini scellerati, dannosissimi, nuoceno a sé e nuoceno agli altri. Dicea quello iniquissimo calunniatore: “Mordi pur forte sul collo; almeno vi si vedrà el livore e macula della morsura”. Non cerca chi ode s'egli è questo vero; assai basta che sia verisimile. Egli è più facile el credere che il discredere. Malignità essecrabile! Omini sopra tutti gli altri pessimi! Niuno latrone, niuno pirata, niuno tiranno mai potrà quanto la calunnia levarti cosa da stimarla e da mettervi la vita per recuperarla. Gli omini sordidi, a' quali nulla piace la virtù e fastidiano e' virtuosi, godono udire e referire simili diffamazioni, e diranno altrove: Io vidi non solo quello ch'egli odono qui, ma quello ancora che loro vi potranno agiugnere fingendo per fare che altri il creda. Ma e' buoni e pesati omini stimano quello che non si può non consentire. S'tu mi amassi, tu non diresti male di me; ed essendo tu inimico, niuno ti debba credere; e non puoi fingere d'essere non malivolo, quando in cosa dove a te risulta niuno utile, el fare iniuria capitale a uno innocente ti diletta. E in questo modo confermi che tu vorresti che così fusse, non che così sia quello che tu predichi e promulghi; qual turpitudine de' ditti tuoi più impone lordura a te, che a colui verso cui tu la effundi con tanto veneno, senza riguardo della fama tua, e senza reverenza del iudizio di chi t'ode. Chi potrà mirare un maledico ottrettatore, calunniatore, e non avere orrore della rabbia sua? Omini ancora e ancora pessimi, degni d'essere persequitati da tutto el populo, non dirò con l'arco e colle saette, ma co' funali e face infiammate, e brustulati tanto che l'ossa rimangono denudate, acciò che niuna fizione possa più in quel mostro essere latente! Giovani, mai vederete omo maledico a cui non resulti in tempo qualche miserabile calamità. E merito chi offende molti, molti lo vegghiano per vendicarsi: e spesso per far qualche gran vendetta, basta uno e forse el minimo fra gli offesi. E quando contro a tanta offesa non apparisse altro vendicatore che Dio, non mancherà loro gravissima punizione. A Dio dispiace sopra tutto la iniquità, perfidia, tradimento, massime fatto verso chi non può per sé difendersi né ancora pe' suoi. Che difesa si può fare contro a chi in più luoghi dove tu non se' e non lo sai, ti lacera, e quanto in lui sia, ti sotterra vivo? Quale iniquità sarà più odiosa che nuocere senza cagione chi mai offese te? Qual perfidia sarà più scellerata che rapire ad altri quello che a te giova nulla, e più mai sarà che tu gliel possi rendere, e insieme estingue e' primari frutti della vita a chi richiesto da te ti servirebbe? Qual tradimento sarà mai tanto crudele quanto nuocere a chi tu mostri essere non inimico, e nuocere in quella cosa quale ancora dopo la vita torni in danno a quello innocente e chi sarà di lui? Non è da credere che Dio, quando che sia, non mostri dispiacerli tanta improbità. Non dirò qui a voi figliuoli: fuggite tanto errore; non vi profferite alle inimicizie maculando la fama altrui e lo onore vostro; non fate poco stima de' tempi qua' possono occorrere; temete la severità della iustizia di Dio. Questo non bisogna ricordarlo a voi. Tanta perversità non fu mai nella famiglia vostra, e so che niuno di voi ce la importerà. Ma abbiatevi riguardo: fuggite la familiarità e presenza di questi fracidi e fetidi ollocutori linguacciuti, acciò che non paia che vi piaccia quello a che forse voi dessi orecchie con attenzione.
Nel favellare sono da natura due parti primarie e necessarie agli omini: l'una sarà interrogare per imparare, l'altra el rispondere per insegnare. Gli altri ragionamenti, quali non vanno a questo fine, sono o per voluttà d'essere ascoltato, o perché gli diletta dar piacere ad altri favellando; e questi ultimi quanto meno imiteranno que' primi, tanto saranno men necessari, e così meno convenienti a costui a cui più deletti tacendo pensare cose degne, che favellando recitare cose non degne. Ma dicono che della eloquenza una parte governa la republica, e tanto può nella republica la eloquenza quanto nelle guerre el ferro: l'altra si è indagatrice della verità; l'altra si è questa civile della quale noi disputiamo. In quella che cerca la verità bisogna sapienza e prudenza: in quella che regge la republica bisogna circunspezione e fermezza e grandezza d'animo: in questa civile bisogna costume. Ma el sommo e supremo ornamento di tutta la eloquenza si è la bontà e verità. Saranno adunque i nostri ragionamenti fra gli amici festivi, iocosi, senza levità o scurrilità. Chiamo scurri questi, quali per far ridere altri, e pur che cinguettino, non perdonano a persona, neanche a sé. E saranno e' nostri ragionamenti apresso gli omini gravi e maturi ben pesati, severi, senza ostentazione o superstizione. Molti per volere parere filosofi, masticando le parole e porgendole con certa inetta gravità piena de insolenza, furono dileggiati. Simili superstizioni fastidiano in modo che spesso niuno ascolta le parole loro, benché elle siano per altro ben dette. Sia el favellar vostro libero, espedito; e arete a cominciare e' ragionamenti qualche adattezza e ragione non abrutta, fuor di proposito, e inconsiderata, ma dedutta da qualche principio, o necessario quivi, o molto accetto a chi udirà. E simile arete al finirli modo, e darete luogo agli altri non con ostinata taciturnità, - non voglio per levare un vizio che tu entri in un contrario vizio, - ma come chi giuoca alla palla a vicende, quando mandarla, quando aspettarla. E nel processo del favellare conviensi mai affermare cosa quale a te non sia ben nota e certissima, e sarà più senno tacere le cose non verisimili, che bello persuadere le cose incredibili. E se pure accade referire qualche maraviglia, bisogna esporla non come detta per voluttà di favellare, ma come indutta quasi da necessità e ordine a quello che si ragionava. E insieme niuna vostra parola o cenno mai s'adirizzerà a biasimare altrui per inimico che vi sia, e sarà mai circunflessa a lodar voi stessi. L'oraculo d'Appolline, a chi domandò in che modo e' potessi fare che molti dicessero ben di lui, rispose: “Va, di' tu ben di tutti”. Così voi, e ragionerete delle cose familiari e domestice, delle lettere, perizie, dottrine e arti buone, delle facultà che apartengono allo ingegno, della republica. E sarà el disputar vostro per trovare il vero, non per difendere la sentenza conceputa con ostinazione. E a ogni risposta osserverete modestia. Niuna pertinacia o iterazione rissosa o superflua loquacità. E la voce e gesti siano accommodati e castigati, e con molta dimostrazione che voi amate e reverite chi favella con voi. E nulla vi sarà grave se forse sarete interrutti; e daravvi occasione di non dire più, quando in sé il narrare di sua natura non è per dare piacere a te, ma per satisfare a chi v'ode. El favellare dà sete, el tacere no. Questo basti quanto m'occorse a mente circa i ragionamenti civili, familiari, e usitati ne' circuli fra gli altri cittadini. Non so se io mi vi satisfeci.
NICCOLÒ. Tutti e' tuoi ragionamenti oggi sino qui molto mi dilettorono, ma questi ultimi furono accommodati. E se non fusse per non preterire e' ricordi tuoi, io forse a questo proposito nominarei qualche uno in questa parte molto degno di repreensione. Sempre si contrapone, disputa di ciò che si ragiona, e ardisce preferirsi a' dottissimi e peritissimi diffinendo la causa come solo pare a lui, e spesso afferma cose ignotissime a lui, e ostinato nella sentenza sua persevera continuare, e indomito contra la ragione getta le mani, alza la voce, e quando mancano argumenti, adopera le contumelie.
PAULO. Non più vero! Ma quell'altro suo vicino forse non è meno odioso: quando porge una ammirazione piena di stupore artificioso a quello che tu dici, quando monstra dubitare quello che lui certo sa, quando conferma e loda in chi favella quello che sente forse di levità e con poco sale, quando interroga per farti versare parole non corrette, quando interrumpe la risposta di quello che lui domandò, quando nega quello che sia evidente solo per sdegnarti, e a questo porge un ghigno, a quello tenta el piè, a quell'altro sommove il gomito, e in molti modi instiga che tutti beffino chi favella, e spesso rompe in riso pieno di villania.
NICCOLÒ. Battista soghigna e move il capo. Forse conosce ambo costoro.
BATTISTA. Non conosco questi vostri qui, ma io forse ne vidi altrove simili non pochissimi. Questo dileggiare in presenza e dir male in assenza de' noti e ignoti, degni e indegni, sempre fu comune costume d'alcuni oziosi o nati ricchi o pasciuti non della cucina sua. Raro che un ricco non allevato con ottima disciplina e buona riverenza de' maggiori non senta dello insolente e molto del temerario. Dicono ch'el pan d'altri fa ingrassare. Credolo, però ch'egli empie l'omo di lascivia e molta indiscrezione, e non cape in sé. E quelli risi immoderati, e quella inconsiderata audacia e temulenza del favellare con simili gesticulazioni, in loro non può essere altronde che da summa pazzia. Brutto costume, giovani! La ricchezza e quella che 'l volgo chiama nobilità furono cacciate di cielo, però che come elle fanno qui tra noi, questa stima poter ciò ch'ella vuole, quella crede meritare ogni cosa, così lassù elle perturbavano el cielo; niuno le potea sofferire. La nobilità del luogo pende dalla riputazione de' passati; la vera tua nobilità nacque in te colla virtù non altronde che solo da te, e non riceve da chi si sia, ma ben darà per te riputazione a que' che verranno. Questa vera nobilità non patisce che tu sia inetto lodando te stessi; non patisce che tu sia procace vituperando gli altri, né patirà che tu sia protervo dileggiando persona, o garulo contraponendoti a' detti di chi non erra, o in modo alcuno lieve porgendo di te fastidio e tedio per acquistarti malgrado e odio. E potre' io aggiungere a questi alcuni altri molto dannosi, de' quali sono piene le case de' fortunati. Hau, nocivi animali! L'avoltoio, si dice, divora e' corpi morti: questi consumano e' vivi a' quali essi aggiunsero sé con biandizie e assentazione. Ma scludiamo da' nostri ragionamenti omai questa spurcizie di simili omini fedissimi, acciò che la reverenza e religione de' buoni costumi non sia contaminata e polluta in alcun modo dalla oscenità e fastidio loro.
Dicemmo quanto circa el porgere le parole si debba all'omo ben costumato. Sequitano le operazioni. Delle operazioni nostre alcune sono solo a noi, e non con altri essequite che per noi soli: come dare opera agli studi delle lettere, alla perizia delle buone arti e investigazione di cose degne, o ancora pingere e fingere concerti, o componere qualche dimensione e finizione di qualche tempio, o scrivere qualche poema, qualche istoria; e queste e simili chiamiànle private operazioni. In alcune operazioni convengono gli altri, e in queste tu adoperi te forse come primo duttore e direttor della cosa, simile al prefetto dello essercito in milizie, quale per sé solo non può assequire el fine della operazione senza l'altra sua multitudine armata; e queste si chiamino publiche operazioni. O forse adoperi te come ministro e quasi instrumento, simile a un di quegli armati quali con gli altri sì, ma per sé solo nulla potrebbono ivi quanto bisogna a quella espedizione e vittoria; e queste nominiàlle comuni operazioni. El fine e quasi segno diterminato dove s'addirizzino le tue operazioni private, sarà per essere felice, e delle communi sarà per acquistar buon nome e grazia; e delle publiche el fin loro sarà importare, augumentare, conservare salute, dignità e amplitudine a' tuoi e alla tua republica. Ma il fine dovuto in te a tutte queste cose sarà fama immortale e gloria. Molti savi antiqui dissero che essere felice non è altro che solo vivere lieto col far bene. E se tutta la nostra vita si contiene in certo successo del nostro adoperarci, certo tanto sarà adoperarci bene quanto vivere bene. Gli uomini oziosi sono simili a chi dorme: né vivi quasi, né in tutto morti. Que' che s'adoperano in cose scellerate e odiose, mai saranno per questo altro che miseri e infelicissimi. E possiamo dire a questo proposito che in mare non navica chi iace e dorme supino, senza cura, senza governo; ma costui navica el quale adestra le tele, adopera il remo, dirizza la nave in porto. Così non sarà vita in noi l'alitare solo aspettando la sera, e lasciarsi in abandono errar l'animo suo in servitù del corpo; ma sarà vita in noi lo adoperarsi continuo, e sarà vita ottima bene adoperarsi in cose ottime. Quinci consequirai quello che si dice essere proprio della vera felicità, cioè tranquillità e quiete d'animo lieto, libero e contento di sé stessi; e insieme assequirai buon nome, favore e grazia, e più per te a' tuoi succederà quanto egli sperano e aspettan da' buoni cittadini, utile publico e onestamento della patria. Né ti chiamerò bene operoso se tu consumerai tutto il dì allo sparviere, a' cani, alle reti e simili. Simile occupazioni sono trastulli fanciulleschi, concessi qualche ora agli omini gravi per recreare l'animo in aere libero e luoghi amenissimi, e raffermarsi a buona valitudine movendo ed essercitando el corpo. Al tutto dicarsi a faccende non degne non si conviene. E sarà il nostro proposito non simile a questo qui per riuscire principe fra' cacciatori e pescatori; ma sarà nostro officio contendere a meritare onorato luogo fra' primi ottimi cittadini.
A tanta eccellenza perviene mai persona con opere vili e studi non degnissimi. Se da noi l'officio di chi ben vive chiede continuo adoperarsi, convienci in prima escludere e fugare le cose contrarie a questo adoperarsi. Contrario allo adoperarsi massimo è l'ozio. Prossima all'oziosità sussegue la vita voluttuosa. Molti reputano summa voluttà el vivere senza faccende, senza pensiere; summa felicità bisognarli far nulla. Errano. Dicemmo e dell'ozio e della voluttà ne' ragionamenti di sopra, ma quel che bisognava continuo provedervi, non è superfluo spesso ricordarlo. L'ozio se ne porta i giorni utili, e lascia nell'animo uno uso d'essere inutile a ogni cosa e nulla curar sé stessi pieno di perpetuo e irrecuperabile pentimento. O duro e acerbo riprenditore della vita passata, giovani, el pentimento! El pentirsi, pensatevi, vederete ch'egli è spezie d'odio contro a te stessi. Dall'ozio, adonque, segue oltre agli altri seco innati mali, odio contro a te stessi. E sarebbe meglio essere una statua figurata simile all'omo, che ozioso simile a un tronco fatto in forma d'omo. A veder quella statua ti piacerà lo 'ngegno e artificio di chi la figurò. Questo ozioso, come può piacere a te quando lui a sé stessi è fastidioso e odioso? El pescatore, el mercante e simili, se torna senza preda e guadagno, di nulla tanto si duole quanto del tempo perduto. Tu studioso, tu nato a essere fra' tuoi cittadini quanto tu desideri omo onorato e primario, non commettere per tua desidia e negligenza che ti bisogni dolerti e dire: oggi imparai nulla, oggi acquistai niuna bona grazia, oggi non dedi opera utile ad alcuno amico, né feci cosa qual giovi a me. E non sarà men perduto né men da vituperare chi pone ogni suo studio solo in vivere delicatissimo, sazio d'ogni voluttà. Non mi negate che potere adattarsi a ogni cibo e contentarsi di qualunque apparecchio delle cose ha in sé molta libertà. Così, contro, non potere senza nausea patire le minime offese di quel che a te paia non ben lauto e ben condimentato, sarà all'omo dura servitù, e sarà spezie d'infirmità iunta con fastidiosa leziosità e pazzia. E certo e' dicono el vero, ch'egli è men male errar per stultizia e furor di mente che per delicatezza e lascivia. In quella tu accusi forse la imbecillità della natura in chi erra: in questa tu vituperi solo costui qual pecca contro a quel che da lui richiede la natura, e debbasi a' buon costumi. Agiugni, - udite, giovani, - chi cerca da te il suo bisogno, in questo sarà tuo subietto e servo. Così tu, contro, sarai servo del cuoco tuo e di quell'altro vilissimo ministro altrove delle tue voluttà, quando in lui stia el satisfarti in quello che tu tanto ami e cerchi con tanta opera e avidità. Seperiamo, adonque, l'ozio da noi, fuggendolo e cacciandolo con qualche assiduo essercizio.
La voluttà gioverà non sempre fuggirla. Sarà forse più sicuro fuggir l'insidie dello inimico, ma certo sarà più fortezza el superarlo. Così nelle voluttà, chi sempre le fugge, né mai ardisce trovarsi dove e' provi quanto e' puote e vale, ma come male armato si ritiene e teme troppo el suo pericolo, non acquista laude quanto chi presente vince contrastando. E iterum dico, superar quello che supera molti altri, porta singular gloria. Vincesi con la constanza e continenza. La constanza sente quel suave che porge la voluttà, ma resiste colla sobrietà e collo astenersi, né si lascia muovere da quel proposito e stato virtuoso. La buona continenza e vera temperanza, assuefatta a nulla desiderare quello che mancasse circa le voluttà, e confirmata in modo ch'ella non si lascia commovere alle illecebre e lusinghe delle cose voluttuose, vince e supera, e gode essere in questo insuperabile e sempre vincitore. Fugaremo, adonque, l'ozio, e vinceremo la voluttà. Per ben potere questo, quando l'instituto nostro sia per assimigliarci a' virtuosi e ben costumati, sarà utilissima opera por ben mente a riconoscere noi stessi. Detestabile miseria stimarsi non misero quando e' fia simile a' miseri! Fra' mortali niuno si trova più misero che 'l vizioso. Adonque, bisogna dar modo, se alcun vizio forse latita in noi, che sia ogni dì minore, o almen meno noto agli altri; e se v'è qualche sintilla di virtù, ch'ella accresca tuttora eccitandola. Se si potesse, mai si vorrebbe restar d'adoperar l'ingegno. L'opere dello ingegno e intelletto hanno in sé molta parte di divinità, né sono la notte in ombra minori che il dì col sole: sempre occorreno e segueno pronte quanto la ragion le chiede. Almeno quel tempo che ti concedono l'altre cure e opere necessarie alla vita, sarà con grande emolumento usurparlo e adoperarlo in quello che in te può l'ingegno tuo. Niuna cosa più atta, più conveniente ad acquistar virtù e buoni costumi, quanto assiduo leggere dotti scrittori antiqui. Tu ascolti con voluttà chi ragiona spesso di cose frivole e di niun pregio. Da costui, con chi tu ragioni leggendo, udirai continuo cose rare, degne, escogitate, emendate, iocunde, utili; e spesso ti dirà cose molto necessarie a te, qual tu mai udisti da' tuoi maggiori e precettori, onde tu poi ne sarai tutto il resto della vita tua più culto, più onorato, più beato. Un vostro noto e amato da voi, benché assiduo occupato a cose degne e rare, mai lo vediate ora del dì ozioso, pur per vendicarsi più frutto del viver suo e del tempo, ogni sera, prima che si colchi, tanto legge mezzo spogliato qualche storia o qualche poeta, quanto arde certa candela di cera diputato a quello studio. E' Pittagorici filosofi soleano, prima che dormissero, componere la mente sua a quiete con qualche armonia musica. Non è men iocunda né men suave questa nostra lezione a costui, che fusse a coloro quel suono musico; ma questa resta più utile. Quelli dormeno senza agitazion di mente col sonno profondo e quieto: questo ancora dormendo agita in sé cose onestissime e utilissime al vivere, e pertanto più vive, e spesso dormendo come più soluto, meno distratto vede cose degnissime quali e' molto cercò prima vigilando. Mai quanto sia in noi si vuole restare d'adoperarsi collo ingegno, colla memoria, collo studio, con dar di te commodità, essemplo, utilità a que' che sono, a que' che verranno. E bisogna aversi persuaso e al tutto confirmato in animo che ogni tempo sia perduto eccetto quello qual tu adoperi in farti migliore, più dotto, più grato, più utile agli altri, con più virtù. La virtù non è altro che summa e supprema bontà: el desiderio d'essere virtuoso importa in noi vera bontà. Questo medesimo studio sarà quello che ti renderà ottimo e felicissimo. Ma perché sempre non si può essercitare lo ingegno, non biasimaremo però chi forse darà opera a qualche cosa grata a sé e onesta qualche volta, come forse fabricare qualche instrumento matematico, componere qualche macchina utile alla republica nelle espedizione campestre, in mare, e simili, o essercitarsi coll'arme, pure che tu adoperi questo dì in qualche cosa lodata o almeno nulla biasimata.
Insumma, circa queste nostre operazione private e' savi dedero alcuni ricordi molto utili: dissero che sempre si preponessero le cose più degne alle men degne; mai si posponessero le cose più necessarie alle men necessarie; e nulla più grato e utile che fosse, mai si stimasse quanto la onestà. La onestà dobbiamo amarla, l'utile non lo perdere; alla necessità mal si può non ottemperarli. Qual siano le cose necessarie, le dimostra la ragione del vivere. Non troverrete che alcuna cosa sia necessaria qual non sia utile a quel suo fine; e quel fine, qual non abbia in sé onestà, non può essere all'omo prudente mai utile o da volerlo. Chi per cupidità d'imparare quello che non sa, abandonasse il padre e gli altri suoi impotenti e destituti, sarebbe impio, inumano. L'omo nacque per essere utile all'omo. E tante arte fra gli omini a che sono? Solo per servire agli omini. E biasimarebbono e' savi chi ponesse nelle cose poco necessarie e molto faticose tempo, studio e assiduità, come chi con assidua meditazione e lunghe vigilie, ostinato al tutto e pervicace, volesse intendere certi tardissimi moti del cielo non ancora ben conosciuti, o volesse pure esplicare con certo numero la vera quadratura del circulo. E molto più biasimerebbero chi ponesse ogni opera e industria in cose non certe e di sua natura a' mortali non concesse, come sono quelli che stimano e cercano potere trasmutare e' metalli ad altra più depurata e dissimile sustanza. E nelle voglie benché possibili e ancora utili e ancora oneste, ripreenderebbono chi con troppo ardente fervore quasi le volesse precipitare, più che con debito modo condurle a fine. Chi prima con riguardo, qual debba el prudente omo, principiò le cose, costui facile colla diligenza e col perseverare le conducerà a buon fine. Ma come bisogna che ogni nostra operazione s'intrapreenda con circunspezione e senza temerità, e conducasi con attenzione e ordinato successo, senza negligenza, così conviene che alle faccende nostre la ragione moderi e' grandi impeti delle voglie nostre. Ma non però lodarò chi nelle cose sarà più rattenuto e timoroso che non li bisogni. Le cose principiate con ragione si vogliono condurre con prontezza, e finirle con fermezza d'animo e virilità. Circa le private nostre operazioni forse pensandovi mi soverrebbe ancora materia onde io più a pieno mi satisfarei. E posso credere che voi aspettavi da me, in quello ch'io recitai, ordine più accurato. Ma dicendo pareva a me che le cose quali mi occorreano fussero per sé sì degne ch'elle dovessero in qualunque modo dette assai piacervi. Se così è, sta bene.
PAULO. Furono certo degnissime, e chi richiedesse qui o più copia o migliore ordine, errerebbe. Tu preponesti le differenze delle nostre operazioni e secondo il fine e secondo la natura loro, ed esplicasti come, sendo la vita dell'omo ben retta non altro che continuata operazione buona in cose buone e degne, si conviene a chi vuol ben meritare del viver suo e ben fruttare el tempo, mai cessare de adoperarsi essercitando in prima l'animo, qual nulla può essere disciolto da tanto frutto del vivere; ultimo, agiungesti qual ragione e modo sia condecente a questa nostra operazione. Piacqueci e lodiànti. Sequita.
BATTISTA. Dicemmo delle operazioni nostre private. Sequita referire delle operazioni qual noi chiamiamo communi operazioni. Diremo adonque, circa le conversazioni degli altri, quali siano le richieste e lodate operazioni de' buoni e ben costumati. Ma prima interponerò quello che ora qui mi torna in mente, e parmi atto a' ragionamenti passati, e ancora non alieno da questi che ora sequivano; e sarà questo ch'io referirò quasi come suco espresso da tutti e' prossimi ragionamenti passati. Dicono e' savi: distribuisci il tempo atto e decente alle operazioni qual tu ben consigliato intrapreendesti, e in quel tempo dùravi quanto fatica vi bisogna; e reggi quella fatica con tolleranza, e questa tolleranza raffermala con fortitudine d'animo e constanza virile; e questa constanza moderala con buon reggimento, e in tutta la tua operazione dirizza el pensiere, el consiglio, lo instituto tuo sempre ad onestà; e in questo consiglio non ti confidare dello ingegno e discurso tuo più che del iudizio de' tuoi benivoli e coniunti, massime esperti e dotti in quella cosa qual tu tratti, però che con loro raro ti sequirà che tu poi ti penta. Non par verisimile che 'l iudizio di più omini periti e buoni sia fallace. Ma dal consiglio di te solo facile potrebbe avvenire che in tempo scorgeresti quello che in prima tu non vedevi. Agiugni che della emendazione degli amici arai utilità, e dalla comprobazione loro arai gaudio, e confirmerassi el voler tuo con migliore speranza e con più certa espettazione. E prima si vuole esporsi che tutte le nostre opere, di qualunque natura elle per sé siano, sempre pretendano ad assequire el fine dovuto a chi s'adopera in bene. Assequiremolo con quelle cose per quali tu diventi virtuoso. Virtù qui sarà ogni operazione e confirmata disposizione d'animo pronto, volonteroso, essercitato in far cose buone e farle bene e in modo che tu ne sia lodato. Giovani, le virtù vostre piaceno a costoro, e a me sono gratissime più che qualunque cosa quale io potessi mai desiderare. E simile e' vostri gesti, e' vostri buoni costumi e bontà piaceranno a chi le conoscerà essere in voi, massime quando lui sia, qual sete voi, buono e amatore della virtù. Al musico deletta udire un buon musico. Al pittore piace vedere una ben diffinita pittura. A ciascuno rende voluttà la perfezione di quelle cose quale ello ama. La virtù in te studioso e vero bono omo sta in te conceputa e parata non come cosa impóstavi e collocata, ma come innata sanità e vita in un corpo animato e per essa ben fermo e valido. E tu, qual sia questa virtù integra, fatto virtuoso, certo lo senti e conosci, e come cosa degnissima e divina tu merito l'ami, e tanto gli porti affezione quanto ella a niuno può essere più nota e pertanto più cara che a te. Agli altri vien grato in te quello che credono essere in te non fittizio da farne stima. Tu vero ami quello in te qual tu sai che merita essere molto amato e adorato, e godine. Questo incredibile piacere e contentamento tuo in te ti rende curioso osservatore di quello che ti fa vivere lieto e sufficiente a te stessi. Indi accresce questo divino bene a te d'ora in ora più perfetto, e quanto e' sarà maggiore, tanta più te ne sequita incredibile voluttà. O figliuoli, questa compiuta e divina beatitudine quale tu virtuoso contribuisci a te stessi facendo bene e adoperandoti in virtù, potrò io chiamarla altro che summa felicità? Dio ottimo essaudisca el desiderio mio e la espettazione mia, quanto io spero vedervi per simili vostre operazioni e costumi e virtù fatti felicissimi!
El fine delle operazioni nostre civili, quali appartengono alla comunione e società degli altri omini, dicemmo ch'era buona grazia e fama. La buona fama tua credo io sia opinione publica e voce di te che tu sia omo buono, ed è quasi ministro della buona grazia. Certa parte della buona grazia viene imposta dalla natura nella effigie, lineamenti e forma del corpo, onde aviene che t'agrada mirare una bella criatura. Questa, bench'ella sia caduca e fragile, ella pur giova. Ma noi cerchiamo cosa più constante e più per sé sufficiente. Se a voi giovani non paresse degna d'essere amata fra 'l numero delle fanciulle se non solo quella qual fusse ben bionda e ben sucosa, l'altre tutte sarebbon nate misere. Ma come lo splendore in una gemma viene dalla depurata sua perfezione, così voi dall'animo puro, buono, in qual sia niuna macula di vizi, niuna fèce di brutti costumi, spesso vedete risplendere certa cosa divina, quale alletta e trae e vince a farsi amare e reverire. E chi dubita che la bellezza dell'animo tanto più sarà atta e accomodata a movere gli animi di questi altri, quanto ella sia in sé più degna e conforme a chi per lei si mova? Certa altra spezie sarà forse in coloro quali sono ricchi, ambiziosi, onde molti sperano utilità da loro, e molti lo fanno capo della conspirazione loro. E per questo el volgo dice: costui ha in questa republica bona grazia. Parmi che voglian dire: costui può con facilità le cose grate a lui. Ma se noi considerremo lo stato suo, pronto intenderemo ch'e' primi suoi collegati invero non lo amano, forse lo temono e vorrebbono più tosto poter senza lui, che adoperarsi in far che lui possa più che loro. Dicono che dove abiti la onestà ivi sta bellezza, e dove sia virtù, ivi non mancano ricchezze e potentato, e dove sono buoni costumi, sempre consequita buona grazia. E affermano che l'un di questi non può star senza l'altro, però che sono coniuntissimi, simile come fratelli e sorelle. E se io non erro, la vera buona grazia in molta parte conduce seco certo grado di benivolenza, onde pare che susseguiti all'omo fra la moltitudine favore e autorità, e conseguene che curano el ben tuo, fidansi di te, e reputanti degno d'essere onorato. Utile cosa la buona grazia, e vuolsi dare ogni opera per acquistarla. Giovani, udite: e così è. Facendo bene s'acquista bontà e virtù; amando, amicizia; gratificando, grazia.
Se tu mi domandassi qual sia questo gratificare, direi che fusse far cose grate a colui verso cui tu porgi l'officio tuo. Ma perché tutti gli omini non sono simili a te, e sono le voglie, opinioni, desideri loro dissimili e vari, bisogna diffinire verso chi e in che modo sia da usare questa gratificazione. A' buoni, in qualunque modo faremo bene, sarà grata la operazione nostra, e più li moverà la religion dell'onestà che l'utile loro. A' viziosi non sarà grato se non quello solo che giovi loro. A noi basterà forse portarci in modo che né in detti né in fatti, né in publica cosa alcuna né in privata, omo possa a ragione dolersi di noi. Viver senza essere dannoso a persona si conviene in tutta la vita, e chiamasi iustizia. Darsi bene accetto alla multitudine sarà faccenda di chi vogli essere riputato umano e affabile e costumato. Questo non succederà co' viziosi, quali sono viziosi solo perché loro non piaceno le cose oneste. Che faremo adonque? In prima fuggiremo quelle cose che offendono, e acquistano mala grazia così da' buoni come da' viziosi. Del resto stimaremo el iudizio degl'ignoranti, facendo bene, simile al gusto de un febricoso. Quelle che molto dispiaceno a chi vede e a chi ode e' portamenti d'uno omo non ben morigerato, sono fra l'altre molto nocive: la arroganza, pertinacia, malignità, temerità, inumanità, e insumma ciò che viene da stultizia o da furor di mente rapace e pregna di nequizia, cose molto contrarie al bisogno dell'omo in vita. All'omo, quando così constituì la natura che lui non può ben vivere senza gli omini, si conviene dare ogni opera di conciliarci agli altri, e agiungercegli che siano ossequenti a' comodi nostri. A questo sta grave inimico prima l'arroganza, però ch'ella genera odio, e seguene solitudine. E non sarà men dannosa la ambizione, però che ella continuo eccita contenzione. Nulla disturba la buona affezione e familiar coniunzione quanto la contenzione. Ed è innato vizio allo ambizioso la invidia; e per questo ello diventa iniquo e violento e malefico fraudolente. E questo perseverare ostinato nella sentenza e impresa sua, qual talora alcuni chiamano grande animo, vien pur da impetuosa superbia. L'uomo ben composto vorrà più tosto cedendo e con facilità essere pari agli altri in cose iuste, che con ostinazione superiore in cose contenziose. E molto fidarsi della prosperità sua, e ardir quanto gli porge la sua ambizione e superbia, spesso diede in ruina omini ben possenti e molto fortunati. Utile ricordo: nelle cose dubbie reggetevi con prudenza, in le avverse con fortitudine; non vi abandonate nelle prospere, sopra tutto raffrenatevi con modestia, escludete lungi ogni fasto e superbia. E gioveratti, se quanto tu più potrai, tanto meno vorrai. Giovani, chi vuole meno che non può, costui può più che non vuole. E faccia questo proposito, quanto e' dicono che l'animo generoso e virile sempre alle condizioni de' tempi difficili osserva in sé equanimità, nello stato superiore agli altri mansuetudine, e nel fervore della età pudicizia.
Simili virtù, confessovi, sono rare; e pertanto rendono in chi le sono pregio e reverenza. Troverrete non pochissimi d'ingegno acuto, pronto, desto, atto a ogni industria, e per questo saranno estimati. Ma in costui lo splendore e suavità de' buoni suoi costumi e virtù tanto eccederà quanto eccede quello che sempre sarà ottimo da quello che potrà forse essere pessimo. Insumma, tutte quelle cose quale movano te verso altri a simile affezione, queste medesime stima che moveranno altri verso di te. Tu leggesti nelle istorie come colui prepose la salute de' suoi alla propria vita sua, e vedi qui in questo altro simplice e aperta bontà, in quell'altro molta cognizione e sapienza: tu quinci, vinto dalla natura, quale sempre cerca e desidera e ama le cose ottime, non puoi fare che tu non penda a benivolenza verso di lui; seguene che tu vorresti vederlo tanto in migliore stato quanto egli è per la sua virtù più degno che gli altri, e ragioni di lui come di cosa rara e mirabile, e accadendo t'adoperaresti in farli bene. Così interverrà dagli altri a te, quando e' meriti tuoi saranno pari noti a loro; e se vederanno in te prudenza e molta cognizione di cose buone e degne, arai presso di loro autorità, e consentiranno sequire el ricordo tuo più che degli altri meno dotti. E se circa e' costumi tuoi scorgeranno purità e vacuità d'ogni vizio, massime di quegli che sogliono essere familiari e disonestar gli altri, non dubitate aranno riverenza a te, e aranno el nome tuo in singulare ammirazione.
Alcuni vedendo che presso la multitudine non rarissime avea luogo e condizione qualche presuntuoso, loquace, ardito, e contro, quelli che in vero erano dotti e prestantissimi rimaneano senza riputazione e quasi negletti; e vedendo che quelli in senato audacissimi erano e' primi uditi, ed era la loro sentenza subito approvata, e otteneano e' supremi magistrati, questi altri omini maturi e gravi restavano adrieto, raro richiesti alle faccende publice, meno stimati, esclusi quasi come indegni d'esser nel numero de' veri cittadini, - dissero per questo che molto più bisognava dare opera e studio di parere omo sufficiente che de essere. Costoro errano purtroppo, e non dubito che qualunque di loro vorrebbe prima essere ricco che parere. E se io povero cercassi parere ben ricco, ben sai tuttora vie più resterei povero. E se quello che sia simile al birillo piace, questo che sia vero birillo più certo molto piacerà. Fra la multitudine vince, non niego, qualche volta la importunità, e vinse forse talora la protervia d'alcuni insieme confederati rattori delle cose publice. Ma el consiglio dell'omo grave e buono, simile al sole, cessata la nebbia, splende per tutto. E quanto la moltitudine occecata dalle fizioni e simulazioni de' fraudolenti meno ascoltò el vero, tanto poi al tempo col pentersi impara a farne stima: e a costui buono omo se ne rapporta grazia, a quegli altri odio, però che dal successo delle cose quelli sono conosciuti artificiosi perturbatori dell'ozio publico, quest'altri sono degnati per loro merito e reveriti.
Restaci fra' buoni costumi certo merito dovuto da' minori verso e' maggiori, e in ogni grado e stato, onde s'acquista molta grazia e laude. Primo indizio d'uno bene allevato pare a me vederti reverente verso chi per età, dottrina, o per dignità ti sia superiore. E contro, mi pare mai possa essere senza villania el poco stimare chi sia stimato dagli altri. Pensatevi, giovani. Ecco, dico a quello rusticone allevato senza niuna civilità: “O omo inettissimo, non vedi tu el tuo errore? Non degnasti, non reveristi chi tu conosci stimato e onorato da que' che sono da più di te. A lui che lo merita tu scemasti nulla; a te, che dovevi far verso di lui el debito tuo, accrescesti biasimo e vizio, ausando te stessi in questa parte a non temere el biasimo. Chi non teme biasimo, di necessità rimane scellerato. Gli altri per acquistarsi buona fama e grazia esposero la roba, el sudore, el sangue: tu con questa tua, come la chiameremo, desidia o stultizia rusticana, avilisci la condizione tua, e de' mancamenti tuoi la punizione resta tutta a te”. E non sarà poca punizione fra l'altre a chi nacque per essere non al tutto abiettissimo, quando e' si vegga riputato indegno chiamarsi nato e parente di questi omini nobili, a' quali esso sia per suoi sozzi costumi tanto dissimile. E quanto siamo noi obligati a' primi inventori di tante utili e commodissime cose a vivere bene! Fu ottimo instituto ch'e' minori si presentassero in via a' suoi maggiori e discoprissero la testa: segno di reverenza trovato acciò che i giovani se assuefacessero a reverire chi lo meritava, e d'altra parte si confermassero a sanità assuefacendosi colla testa nuda a soffrir el freddo. E così richiede la ragione ch'e' più vivuti siano, quanto meno abili alle fatiche, tanto più utili a consigliare. Per questo bene instituirono ch'e' giovani per età più atti a essercitarsi facendo si profferissero, se cosa presente per l'opera loro bisognasse; e contro, questi ricevessero consiglio per consequire le cose utili e oneste con più facilità. Udisti più volte quel detto, che l'onore si è premio della virtù. Forse non è quanto vi si richiede, però che la virtù ha in sé tanta prestanza che nulla cosa può pari remeritarla. Pur molto rimane il pregio dell'onorare in chi lo fa, però che questo reverire chi lo meriti si è indizio e testificazione che a te piace la virtù quale tu onori in altri. Primo testimone della bontà dell'omo si è amare e' buoni. Né sarà senza virtù chi ama e' virtuosi. Dicono e' savi che a Dio e a' magistrati si debba rendere, non senza qualche paura, molta venerazione, el padre e gli altri maiori onorarli con ogni segno e officio di reverenza e benivolenza. E conviensi molto essere affezionato a chi ama te. E dovete credere che del numero de' cittadini a niuno sarete tanto cari e commendati a chi vi chiama figliuoli e nipoti e consorti e coniunti. Dovete pertanto e rendervi e mostrarvi degni di tanta grazia. Questo sarà vostro onore: aretene piacere quando gli altri diranno: “costui nato di padre ottimo e nobilissimo ne fa ritratto”. Non voglio ti chiami figliuolo, nipote, fratello di questi altri modestissimi, costumatissimi, se tu non sarai simile a loro. Né patiranno costoro che quello rusticano deturpi l'onestamento loro, e dica: “io sono di questi”, quando niuno di questi sia simile a lui. Non vi sia tedio s'io insisto in questa causa molto condecente al nostro proposito. Tu, Niccolò, e tu, Paule, pensate a questo ch'io dirò. Grande fu provedimento quello della natura. Voi e io e tutti gli altri non possiamo non porgerci amorevoli a qualunque sia d'età puerile parvulo. Credo che questo ne impose la natura, acciò che simili deboluzzi, imbecilli, bisognosi d'ogni aiuto, siano difesi e conservati da chi più può. Parvi?
NICCOLÒ. Parci.
BATTISTA. E voi giovani che dite?
GIOVANI. Certo parci.
BATTISTA. Ditemi. E' nostri maggiori meritano essi meno pietà da noi testé allevati, che allora vi meritassi voi sendo fanciugli da loro? Voi fanciugli allora eravate non bene offirmati, e per questo invalidi a movere espedito le membra vostre. A questo donque bisognava aiuto di chi vi sostenesse e adestrasse. E' vecchi gravi d'anni, oppressi dalle lassitudini, molto sono meno atti a valersi ne' bisogni delle membre sue. Voi fanciugli, vacui d'ogni cura, nulla vi perturbava. Diresti, usufruttavi la luce e lo splendore di tutto 'l dì senza sentire offensione de' tempi o della fortuna. Lo ausarsi al freddo, a' venti, confirmava in voi sanità. Erano i vostri sonni quietissimi. Continuo presente era chi vi satisfacea. A' vecchi quasi nulla satisfa, ogni minima cosa gli offende. Non dico altro, el lustro del cielo spesso li agrava. E seguire l'usitato suo primo costume del vivere non gli è concesso dalle debolezze quale continuo crescono, e assiduo richieggono più difesa. E usarsi a nuova condizione di mantenersi in vita viene loro pieno di dure e intollerabile imperio e moleste osservazioni. Veggonsi interditto ogni voluttuosa recreazione, né hanno, per fortunati che siano, abastanza tutti e' sovvenimenti loro necessari. E' fanciugli crescono con speranza e successo di più robusta e valida abitudine; concorrono più e più degli altri loro simili, co' quali e' viveno continuo lieti, contenti, festivi. E' vecchi d'ora in ora più affannati, meno sullevati da cosa ch'egli sperino, stanno inchiusi repetendo e desiderando gli amici perduti. Non occorre loro occasione di contrattare nuove amicizie con omini simili a sé, e con e' dissimili ancora meno loro succederebbe giungersi a familiarità. Adonque infelici viveno in solitudine, miseri, mesti: niuno lieto pensiere se non ricordarsi degli studi e opere lodate che fece in vita. E più, voi fanciugli ricevesti infiniti benefici da' vostri maggiori: nutriti, vestiti, educati da loro, esculti, instrutti con dottrina, ornati di virtù; apparecchioronvi con sue fatiche e sudore a ogni commodità e sussidio a ben vivere. Che dico? Negarete voi essere obligati loro? Che loro, contro, siano obligati a voi, né voi lo diresti, né io ve lo consentirei. Conoscete voi giovani ch'io dica il vero?
GIOVANI. Certo.
BATTISTA. Quanto stimate voi che ora a questi e a me sia voluttà e dolce recreamento vedervi qui presso di noi attenti, parati e cupidi satisfare alle espettazioni nostre, seguendo quanto noi desideriamo vedervi ottimi e felicissimi? O figliuoli, la bontà vostra sia quella che vi mova a ben meritare de' vostri maggiori più che le parole mie. Visitateli, confortateli, sovveniteli, date loro con la presenza vostra recreamento, coll'opera e ossequio aiuto e mantenimento contro le oppressioni della vecchiaia. Sì, figliuoli, sì. A loro levarete molestia, a voi accrescerete laude e buona grazia apresso degli omini e mercé da Dio. Dio ama, aiuta, accresce quelli che studiano simigliarsi a Lui con quello che a lui sia concesso. In questo sarete simili e participi della bontà divina, quando pietosi darete ad altri quello che voi chiedesti da Dio nollo impetrando da' mortali. E torniamo spesso a' nostri ragionamenti pur dove io molto desidero, e a quel che molto mi diletta vedere in voi figliuoli. Cosa gloriosa in ogni età, giovani, el buon costume. Sì certo, e' buoni costumi sono a te summo ornamento, però che e' danno splendore e illustrano la virtù quale sta in te. E tu ben costumato sarai onestamento della famiglia tua e insieme ornamento della patria, però che facile succederrà che gli altri educati in simile disciplina siano pur simili a te. Molti per non essere quanto si richiede composti, furono sviliti, ma de' costumati qual mai fu che indi non ricevesse onore e cortesia? E spesso chi non ti conoscerà, e vedratti in detti e in gesti modesto, grave, umano, intrapreenderà opporsi a chi ti sia molesto e infesto.
Parmi sino a qui avere in buona parte trascurso quanto preponemmo, esplicando l'officio e debito de' ben composti a virtù e atti a meritar grazia, favore e laude, se già non resti che fra 'l vivere civile accaggiono le inimicizie prese non raro per la iustizia e difesa de' tuoi, e qualche volta importate ancora a te da certi invidiosi rattori e malefici. Difficil cosa, non nego, nulla sentirsi morso e punto dagli oltraggi e dispetti. Ma non però bisogna per ogni offesa opporsi urteggiando chi ti si presenta tedioso. Non raro, stimar nulla gli omini levissimi, acquista a noi autorità e riputazione. E ben spesso avviene che la ragione e prudenza nostra rompe l'audacia degli insolenti con altro che col certare. E conviensi all'animo generoso più molto essere indulgente per acquistar grazia, che severo per mantenersi utilità. Né sarà meno fortitudine e gloria superare in te la indignazione e ira tua, che suprastare con durezza il tuo inimico. E io molto più loderò chi tolleri le offese passate con ragione, che chi ora persequiti el vendicarsi con acerbità e impeto concitato. L'animo grande non riceve a sé in contumelia se non quel solo quale e' non può tollerare colla pazienza, e non trascorre a punizione per contentar sé, ma sequita la ragione per satisfare alla dignità. Non è dubbio: s'tu potrai contro e' tuoi concitamenti, in molta parte potrai contro l'impeto dello inimico, parte meglio adoperando el consiglio, parte fermando lo stato tuo, parte disponendo quel che bisogni, e conducendo le cose con ragione e maturità. La pazienza, massima virtù, quieta e senza arme spesso vince e' ferocissimi armati, e non raro stracca el coruccio e infestamento del cielo. L'ira in noi non è altro che vapor d'animo furiato, onde suole susseguire che l'omo irato ruina per vendicarsi spesso in qualche non onesto movimento; e la vendetta fatta con disonestà riporta ferite mortali alla fama, e perde la dignità. Per questo sarà da preponere el sofferire etiam con qualche dura tolleranza e molestia privata, che vincere con turpitudine e publica infamia. E quasi mai sarà bene onesto, per la offesa ricevuta, darsi con severità a vendicarsi, se non quando e' tuoi ottrettatori palese concederanno che a te nulla più giovava la pazienza tua contro la insolenza e infestamenti di chi per sua natura e per tua tolleranza de ora in ora più errava. E se pur fussero le offese da non più sopportarle, sarà officio d'animo virile deponere quella inutile tolleranza, non con subitezza, ma con circunspetta cauzione, dove el troppo sofferire le iniustizie sente di servitù. Alcuni dissimularebbono forse ostinati aspettando migliore occasione alla vendetta. Ma a me, amare palese e' buoni, odiare palese e' pessimi pare impresa di più virilità. La troppa dissimulazione a fine di malignare sente in parte fraude e tradimento. Bene loderò nel resto chi molto occulterà le sue suspizioni, e molto supprimerà le sue paure. Simili agitazioni d'animo riposte in te, non intese da altri, nulla altronde nuoceno che da te; e questo, dove tu le ricevi senza buon discurso. Ma queste, qualunque elle siano, conosciute e divulgate spesso perturbano ogni tuo buono successo e quiete. E sarà officio d'omo ben composto sempre più pendere a emendare lo errore di chi trasanda, che a vendicarsi castigando. Non voglio pigli contenzione se non per cose quali sarebbe gran mancamento nolle curare. Chi mai sarà che recusi defendere l'onore, la salute de' suoi, la religione? E quando ultimo ben consigliato deliberasti castigare la iniquità di chi t'è molesto, nulla bisogna attentare senza diligenza e maturità e circunspezione. Dura impresa il vendicarsi! spesso fallace, sempre coniunta a molti periculi e accrescimento di più dannose inimicizie. Debbasi alla vendetta cauzione, ragione, tempo e modo. Bisógnavi adonque più molto prudenza che fortitudine, più consiglio che arme. Volere vincere con detrimento suo proprio, non verrà se non da furore. E sopra tutto bisogna non molto, anzi nulla cedere a quello che ora ti si mostra parato succedere alla intenzione tua, se non tanto quanto e' sia vacuo d'ogni suspizione avversa. Dubiosissima incostanza quella de' tempi! Vario intricamento quello de' successi umani! Conviensi preporre termine della impresa nostra, non tanto el detrimento dello avversario, quanto la salvezza delle cose tue, massime dello onore. E questo basti circa le inimicizie.
Spezie d'inimicizie sono e' letigi. Dicono e' savi che a chi bisogna el medico, non sta bene, e a chi bisogna iudice, sta pur male. Raro accaderanno simili bisogni dove sia buon reggimento. Spesso el repetere el debito con rigore e troppa assiduità fa che l'omo ingrato diventa inimico. Non hanno e' litigi in sé altro che molestia, dispendio, sollecitudine, sdegni e sospetti, forse ancora biasimo. Tutti sanno che tu litighi: pochi intendano chi di voi dica il vero. E qual sarà discreto che non iudichi essere meglio qualche volta perdere parte della roba che consumare el tempo, e' pensieri, el peculio, le fatiche, solo per ottenere la gara? E massime, chi difende le cose iniuste meriterebbe punizione, però ch'egli offende la iustizia e pecca in più modi, quanto e' rapisce e spoglia con perfidia, e quanto e' perturba quello in che si mantiene la quiete e tranquillità publica. Agiugni che ancora costui conferma in sé pertinacia a più mai deponere la sua iniquità. Contro, circa le assidue familiarità e conversazioni civili quale comune s'appellano amicizie, molto bisogna essere curioso e attento a provedere ch'elle molto giovino, nulla rapportino danno. E' frutti e fermamento delle coniunzioni sono favore, beneficio, buona fiducia, speranza e grata conversazione e beato vivere. Se dirai che coll'opera si presti favore, e co' doni si benifichi, niuna sarà opera più utile, più accomodata, che esporla in far chi tu ami per te migliore; niuno si trova dono maggiore né pari quanto la virtù. Per questo si vuol prima eleggere di tutta la multitudine quelli che più sono atti e parati a bene ornare e sé e te di molta virtù: con questi assiduo ragionare, investigare, adoperarsi in cose lodate, onde tuttora diventiate più studiosi, più dotti, più virtuosi. El solo conversare co' buoni sarà in molta parte ottima essercitazione ad acquistar fama e dignità e grazia, però che tutti iudicheranno che tu sia simile a questi con chi tu assiduo conversi. E da' buoni tu ricevi utilità molto da volerla e stimarla, però che continuo fra loro l'uno l'altro riceve e dà essemplo, amonimenti, conforti, eccitamenti, aiuto, comutando e porgendo insieme le cose in quali consiste la vita beata, onde quasi a gara diventa per sé ciascuno migliore, e tutti insieme felicissimi. Chi per suo studio e per opera de' buoni amici sarà felice in sé, a costui che romanerà altrove onde e' possa sperare cosa migliore? Potrà, sì, tanto sperare de essere amato quanto lui amerà altri. La suavissima conversazione sarà quando tu buono e virtuoso ti sforzerai in ogni modo che io sia simile a te. Le cose dissimili mai s'adatteranno ad essere bene adiunte insieme. Chi forse studierà piacere mediante qualche voluttà, diventerà lascivo corruttore di sé e d'altri. E simile chi con qualche utilità quasi mercaterà la benivolenza tua, costui sarà non amico, ma callido adulatore, e come lui servile in sé, così aesca te a susservire a lui. Nulla legato con vincolo di sua natura debole e fragile, mai si mantiene più tempo con fermezza. El dono per sé in quanto dono non genera benivolenza, ma in quanto e' sia segno de amore tanto eccita amicizia. Giovani, costui vero ama te, quale con summa voluttà usa verso di te quello che si lodi in un buon omo. Sopra tutto fuggite lungi le conversazioni de' viziosi, lascivi, inetti, voluttuosi malefichi. Fu usitato in Grecia che legavano el fieno al corno del bue maligno, acciò ch'e' cittadini lo schifassero. A questi omini pestiferi bisognerebbe che uno salariato publico gridasse dopo loro continuo: “fuggite, o cittadini, fuggite questa contaminazione e pestilenza di questi lascivi scellerati”.
Circa questi ragionamenti forse acade ancora quello che molti stiman primo e precipuo ad acquistarsi grazia: fautori. Non niego e' conviti prestano atto e facile addito a conciliarti salutatori assai. Lodarotti se tu li farai con modo e ragione a fine solo di provocarti con questa civile familiarità onesti amici. Voglio ti piaccino fra gl'invitati più que' che sono modesti, gravi, e per qualche loro eccellenza stimati e onorati, che questi petulanti fabulatori di cose vane e lascive. Raro serà che questi altri dati alle buone arti e dottrine non ascendano col tempo in grado onoratissimo fra' suoi cittadini, onde a te ne risulterà fama e buon successo, arai da loro favore, aiuto, sussidio circa e' tempi tuoi privati e circa le onoranze publiche. Ripreendono e' savi in tutta la vita e ne' conviti lo error di molti, quali o per pompa, o per altro non bene considerato instituto, eccedeno. Dicesi che l'uso vero delle ricchezze sta in spendere el danaio in cose necessarie e utili a lui; vero, agiugni ancora, in adoperarle come instrumento a qualche iocundità e piacere onesto. Quello suntuoso ostentatore le effunde senza modo in cose inutili e superflue, e non gli satisfa se non quello che gli altri non possono avere; e versane tanta copia che, oltre a tutti e' pacchiatori, ancora la turba de' cani in tutto el vicinato se ne satollano. Ben disse quel prudente: la casa di questo prodigo e sollecito apparecchiatore mi pare divenuta osteria piena di gulosi diluviatori. Ma quivi costoro pagherebbono danari e qualche frutto delle fatiche loro, dove qui e' pagano costui d'assentazioni. Paionmi troppo care le blandizie degli ubbriachi, se tu le comperi coll'oro tuo e con lo onore. La mensa civile vuole essere senza escogitato artificio: amici pari a te; l'altre cose nulla sordide, ma tali ch'io invitato possa pari e facile retribuirle. Soleano que' buoni antiqui in cena udire chi cantava le laude di quelli che per sua virtù e beneficio molto meritorono esser nominati e amati. Ottimo instituto, per quale si dimostri gratitudine verso e' passati, e porgasi a chi ora cresce, essemplo a esser pari gloriosi e immortali. A me canti, suoni, festività, alacrità diletterebbono, e insieme qualche sale in una e un'altra risposta non dispiacerebbe, pur ch'ella uscisse in tempo e senza fiele. Questi che pongono ogni studio e premeditazione in pugnere e mordere or questo or quello, solo per esser tediosi, senza niuna occasione di qualche scusa, e godono lasciare come la vespa insieme con qualche susurro, latente el suo veneno, sono maligni, villani, odiosi. Ma che cerchiamo noi, o instrumenti musici, o destrezza d'ingegno altronde? Niuna armonia sarà mai soave pari a' ragionamenti d'un omo prudente ed erudito, qual cose raro si trovano in età non matura. Da costui udirete cose ioconde piene di gravità e piene de amenità. E quello che non poco giova, la presenza degli omini degni di riverenza, modera la licenza quale suole lascivire forse doppo el vino. Dicea quel savio: la prima tazza sia per spegner la sete, la seconda per voluttà, la terza per alacrità; la quarta sia concessa a' vecchi contro la sete poi del dì. Ne' giovani questa ecciterebbe furore. Non voglio sia il convito a fine di crapulare insieme; più tosto per adoperar la iocondità del vivere ragionando e dando insieme l'uno all'altro ogni indizio de amorevolezza. Questo apparecchio e lautizie della mensa ha in sé venerazione, e quasi possiamo dire che la mensa sia come ara sacrata alla umanità, e che 'l convito sia in parte spezie di sacrificio e religiosa comunione a confederarsi con fermissima carità. E per questo dire' io che ne' conviti de' giovani e' vecchi vi bisognassero in luogo del sacerdote, come per altro, sì etiam per ornamento del convito.
PAULO. Non persuaderesti questo oggi al resto della gioventù quale cresce in questa nostra città. In pubblico non riconoscono e' propri padri, non stimano gli omini pregiati, non curano e' primi magistrati. Irreverenti, insolenti, incorrettissimi, reputano biasimo a sé non biasimare in altri ogni modestia e umanità. E tu richiedi che degnino in mensa e in privato la presenza de' vecchi!
BATTISTA. Tanto più mi cresce letizia maravigliosa, quanto io vedo e conosco in questi miei quello che tu e gli altri ottimi e massimi desiderate in loro. E così fate, figliuoli, riconoscetevi e gloriatevi esser quanto noi diciavamo simili a que' che sono lodati e amati per loro costumi e bontà. La natura vi dà che voi siete di presenza e aspetto civile e pieno di dignità. La condizione de' vostri passati adoperò che voi sete fra' nostri cittadini e presso di tutte le nazioni conosciuti nobili. La fortuna vi concede quanto in molta parte basta per satisfare al vivere civile con ozio libero e onesto. El nome della fama e insieme e' vostri portamenti buoni vi congiunse molta parentela con più e più omini primari e prestantissimi. La buona grazia dovuta a' vostri meriti spero darà qui a voi luogo ne' publici onestamenti, pari forse quale riceverono e' nostri avi, omini molto riputati e onorati, fra' quali la virtù, prudenza, perizia e singular dottrina acquistò a non pochissimi di loro summa dignità, molto favore presso de' summi principi, e fama immortale, sino dove chi mai gli vide, onde a voi ne risulta ornamento. Figliuoli, tutte queste cose rare in altri a voi importano e impongono obligo e incitamento a imitare e' gesti, instituti e opere loro. Da questo domestico essemplo accrescerete a voi e a' vostri maravigliosa gloria e felicità. Così desidero facciate, e sì spero farete, massime mossi prima dalla vostra ottima natura e degnissima deliberazione. Vedovi esposti e parati e offirmati a meritare per vostre buone opere laude e grazia. Prossime, ancora mi persuade vi diletterà satisfare alle vostre espettazioni con più prontezza e studio, confortati ed eccitati da' ragionamenti transcorsi qui da noi questo dì. E così credo affermerete in voi che chi contende essere prestante con dignità e autorità, bisogna che sia nulla inferiore né dissimile agli altri eccellenti in virtù. E per questo el primo loro officio fu escludere lungi da sé ed espurgare dall'animo ogni improbità e corruttela de' vizi. Prossime succede che diano opera di formare in sé abitudine d'animo constante, virile, equabile, officioso, retto con ragione e modo di vivere accetto a Dio, grato agli omini, e ben contento di sé stessi, onde poi bene operando vi presentiate atti ad acquistare ancora presso degli altri superiorità e stato.
LIBRO III
BATTISTA. Salve, mi Paule, et vos salvete. Noi eravamo fra' nostri libri, e se io sapevo prima che tu ci fussi, tu ottimo arbitro diffinivi certo dubbio mio qual ti narrerà qui Niccolò. Non dovevi rattenerti, ma venire oltre o farci chiamare.
PAULO. Io trovai qui questi giovani. Fummi voluttà udirli referire fra loro e' ragionamenti intesi oggi da te. Affermano che mai occorse loro più felice dì.
BATTISTA. Felici saranno essi el resto della vita loro, quando si vederanno fatti omini ben culti in dottrina, ornati di buoni costumi, per la loro virtù onorati, amati, adoperati.
PAULO. E che discettazione era la vostra?
NICCOLÒ. Tu, Battista, esplicherai meglio la intenzione tua. Adonque a te rimetto questa opera.
BATTISTA. Dissemi qui Niccolò che in sanato si trattava certa nuova forma e legge censuaria.
PAULO. Vero.
BATTISTA. Vedi quello ch'io dicea: questo immutare ogni dì novo modo e circa e' censi e circa gli altri ordinamenti della terra forse viene da inconsulta levità o forse altronde, e non senza detrimento della republica.
PAULO. Come?
BATTISTA. Dicono ch'egli è meglio continuare osservando gl'instituti antiqui, quando ben fussero non così lodati, che romperli con nuovi ordinamenti. Le nuove opinioni insegnano disubbidire alle antiche leggi. Niuna cosa tanto perniziosa alla republica quanto diminuire la reverenza e timore della legge.
NICCOLÒ. Certo.
BATTISTA. Agiugni, questa città, sempre fu presso di tutte le nazioni riputata degnissima per più rispetti, massime per la singular prudenza e incredibile sapienza de' nostri cittadini, quali omini circunspetti, acutissimi, vigilantissimi, constituirono e adussero in summo grado questa republica. A tanta amplitudine non si perviene senza ottima ragione e ben gastigato modo di vivere. Né troverrete altrove legge e instituti publici da preporli a quelli che indussero e' nostri constitutori. Dirò quello che mi soviene. Parmi non senza arroganza chi produce nuovo instituto e circa obliterare l'ordine già confirmato per uso e per esperienza comprobato. Questo si è un certo ripreendere e vituperare el consiglio e prudenza de' suoi maggiori, se tutti insieme non videro prima, quanto costui solo testé conosce, e' loro errori in cose tante volte riconosciute. E pur fusse in questi eleganti oratori in su quel pulpito qualche ragione o pensiere conveniente e commodo al publico bene!
PAULO. Qual fece tuo avo, Battista, tuo avo messer Benedetto Alberto: la legge chiamata “specchio”.
NICCOLÒ. Sì certo. E così s'afferma per tutti che in quella stia el fermamento in molta parte di questa republica.
BATTISTA. Da questi oggi nulla udirete che nuovo sia, nulla non più volte repetito; se già non dicessi che lo estirpare pecunia delle borse private con l'autorità publica a' suoi cittadini infatto sia pur quel medesimo in questi qual fu ne' prossimi dì sopra, ma per certo palliamento utile in que' pochi forse che trattano le cose, si li muti el nome e chiamisi quando catasto, quando ventina, quando suo altro nome. Non voglio si referischino le parole mie solo circa queste imposizioni censuarie, quanto a simile proposito in tutte le innovazioni produtte in senato da chi le studia e confirmate dalla multitudine. Cosa intollerabile! Come patiscono i padri cupidi della quiete, amatori della patria, che tante agitazioni spesso perturbino questo stato, e insieme qualche volta molestino tutta Italia? Dieci leggi, non più a numero, dopo Moisè, resse tutta la nazione ebrea cento e cento e più volte cento anni con venerazione di Dio e osservazione della onestà, equità e amor della patria. A' Romani bastò per amplificare la sua republica, vendicarsi tanto principato, solo dodeci brevissime tabule. Noi abbiamo sessanta armari pieni di statuti, e ogni dì produchiamo nuovi ordinamenti. Se qualche publica ragione non induce costoro a simili innovazioni, forse gli tira qualche voglia privata. Le voglie, onde elle insurgono ne' nostri animi, si sa ch'elle sono adiritte in costui a fine de accumularsi pecuglio, in quell'altro per satisfare alla voluttà, in voi per acquistare onore e fama. A questi vostri persuasori di cose e legge nuove, ditemi, qual minima parte di tutte queste gli soviene? A me quello che ne risulti loro non è ben noto.
PAULO. E' tempi danno argumento e occasione alle cose, e non rarissimo importano necessità.
BATTISTA. Non confermo e non confuto quel che tu dici. Pur crederrei che la intenzione e proposito del buon cittadino fusse constante e offirmata, e sempre operosa in acrescere e prescrivere tranquillità, amplitudine e maiestà publica. Se fra noi senatori in senato continuo si cerca questo, bene est. Che surridi tu, Niccolò?
NICCOLÒ. Hen!... non altro...
PAULO. Tu accennasti pur voler dire qualche cosa. Sequita.
NICCOLÒ. Più volte notasti fra noi quello che testé m'occorse a mente. Usitata corruttela. Subito che tale o quale sede in magistrato (lasciamo adrieto quanto esso studia, quasi come da una sua bottega, trarsene utilità), dico, pare che quasi intervenga a tutti questo, che sollicita sé e altri immutando, rinovando, introducendo nuove leggi e inaudite consuetudini, solo in mostrarsi faccendoso e sapere e valere troppo più che gli altri. Più tempo desiderai intendere onde sia questa improbità. A te, Battista, che ne pare?
BATTISTA. Parmi che da natura nell'animo dell'omo sia infisso certo appetito d'essere inferiore a niuno. E da certo altro instituto ci diletterebbe essere superiore a tutti. Per questo in qualunque modo sia concesso, al tutto per usurparsi questo frutto della superiorità ello contende imporre agli altri qualche servitù. Le servitù tollerabili sono l'una coniunta alla onestà, e questa si chiami legge; l'altra viene collegata dal premio, e questa chiamera' la equità; la terza servitù tollerabile succede allettala dalla voluttà, e questa chiameremo amore. Trattone adonque la prontezza del gratificare, la iusta retribuzione del premio, la ragion del vivere con onestà, ogni altra ubbidenza sarà miseria intollerabile, e verrà da dominio violento e tirannesco. E quinci errano questi ambiziosi quali contano grandirsi, e non conoscono in che stia l'esser primario cittadino. Dissi, in altro sta, e dico ancora, dico, in altro sta il vero principato che in la servile obbedienza di chi o per temenza o per dapocaggine patisce la inezia e fastidiose saccenterie degli insolenti. Prima sono a noi mortali dal summo principe imposte le vere sempiterne legge alle quali tutti dobbiamo obbedire; e insieme sta diffinito dalla natura quel che l'omo debba temere o fuggire. Ultimo, a questo corrisponde quanto, dove, con chi, e quando e come tu, non maestro, no, ma ministro iudica e' tuoi a questa servitù qual fece te moderatore degli altri.
PAULO. Io scorgo ne' moti e gesti di questi giovani quello che desiderano, e voglio esser loro interprete. A questo che tu dici, Battista, pare che consequiti el resto de' ragionamenti trattati oggi da te. Ciascuno di costoro desidera esser omo prestantissimo e suppremo agli altri. Tu, a seguire quanto essi appetiscono, esplicasti loro qual fu atto instituto e ragion ottima a vivere bene e beato moderando sé stessi; e insieme raccontasti circa il conversare civile onde sia che possino acquistar grazia e benivolenza dagli altri, in qual due cose consiste la eccellenza dell'omo. S'io non erro, qui resterebbe mostrare il modo a farsi al tutto superiore degli altri. Vorrebbono intendere da te in che stia questo vero principato, e qual via sia la più espedita a pervenirvi. Non ti sia grave satisfare al desiderio loro, e insieme alle nostre espettazioni. Qui venimmo solo per udirti.
BATTISTA. Sediamo. Voglio, e piacemi, quanto in me sia, essere ossequentissimo a' desideri loro, e fare ciò che tu mi chiedi: benché questa sia faccenda grave a trattarla, difficile a conducerla. Ma, come io feci disopra, così ora di cosa in cosa, quanto mi sovverrà in mente, recitarò e' detti e ricordi de' savi passati; e sarà frutto e diletto udirli, quando ancora io gli pronunziassi senza ordine alcuno. E' maestri fabricatori dello acquedutto, prima ch'egli aprano onde si riceve l'acqua, curano e determinano per onde sia el suo corso e derivazione atto ed espeditissimo. Così bisognerebbe a noi in questa materia di sua natura amplissima, gravissima, diffusissima, provedere che 'l nostro ragionamento sia non abrutto, non disciolto, non confuso, ma condutto parte in parte con attitudine e facilità non ingrata. Non succederà questo quanto voi vorresti, incolpatene la dottrina: approverrete la intenzione mia in ubbidirvi. Per potere tradurmi in quel che resta, repetirò e' primi ingressi nostri in questa causa. Noi proponemmo che 'l principato avea in sé certa ragione di moderare gli omini, e statuimmo che niuno può esser moderator di molti se non sapea bene aversi con pochi, e che 'l primo officio era moderar se stessi, e di questo moderamento privato trattammo sino a qui. Ora el governo e moderazione degli altri si porge in due modi; l'uno circa molti, come chi fusse proposto rettore d'una città, d'uno essercito, d'una provincia, e simili publici magistrati; l'altro quando fusse primo e superiore a pochi, come sarebbe a un numero d'omini couniti per confederazione, conversazione, consanguinità, e simile. E questo sarà magistrato sì, non però publico; ma sarà officio composto della cura domestica colla sollecitudine publica. Co' ragionamenti nostri quanto io satisfaccia a' pensieri vostri, Niccolò, e tu Paulo, el iudizio starà in voi. Dico a questi giovani: la intenzione e destinazione mia qui non è di referire e' documenti atti al governo publico: altrove fia da disputarne: ma il procedere nostro in esplicare con qual moderazione di vivere colla multitudine simile agli altri privati cittadini, massime fra coniunti e familiari, ciascun di voi diventi primario e pervenga a tanta eccellenza in quello che sia in lui posto, non in la fortuna, che nulla più vi si possa desiderare, onde sequiti che insieme la famiglia tutta si trovi beata, onorata e felicissima. Raro, figliuoli, anzi mai mancherà che tu nato in famiglia nobile, non impotente, non abietta, allevato con ottima disciplina, osservando quanto noi esporremo, e perseverando in ben moderar te stessi, non pervenghi fra' tuoi e in republica a grado eccelso, primo e illustrissimo.
PAULO. E che direte, giovani. È questo quello che voi desideravate?
GIOVANI. Sì.
BATTISTA. Sequirete, adonque, facendo quanto vi disponesti per essere attissimi a tanta felicità.
PAULO. Sequere, Battista.
BATTISTA. Atto principio a questi ragionamenti sarà intendere qual sia proprio quella qual noi chiamiamo famiglia. Quanto m'occorre dalla natura, pare a me che la città com'è constituita da molte famiglie, così ella in sé sia quasi come una ben grande famiglia; e, contro, la famiglia sia quasi una picciola città. E s'io non erro, così l'essere dell'una come dell'altra nacque per congregazione e coniunzione di molti insieme adunati e contenuti per qualche loro necessità e utilità. Le cose in prima necessarie sono quelle senza le quali non si può perseverare bene in vita. E se, come noi tuttora proviamo, dal primo ingresso a questa luce sino all'ultimo fine sempre all'omo sta necessità chiedere aiuto dagli altri omini, certo sempre furono a' mortali utili e necessarie molto le coniunzioni, massime di que' che sono nati e allevati insieme e contenuti da un volere esser l'uno pell'altro salvi e in buono stato. Questo simile uso di vivere insieme e ridursi sotto a un tetto si chiama familiarità; e questo numero d'omini così ridutti insieme si dice famiglia. E forse le coniunzioni familiari legate da consanguinità hanno insieme qualche commodità più necessaria che quella qual ci presta la città, massime quando così sia che la natura per sé pose insieme questi onde s'acrebbe in primo la famiglia. Ma furono poi le città constituite forse a caso, e non per altra ragione che solo per vivere con sufficienza e commodità insieme. E parmi che alla origine della famiglia el primo accesso fu amore, e indi el primario vincolo a contenerli insieme fu pietà e carità e certo officio richiesto dalla natura verso e' suoi. In questi altri della città pare che certo fine, per più conservare sé stessi che per punto benificar gli altri, li congregasse. Quinci forse e non senza ragione affermerete che tu più debbi alla famiglia tua che al resto della città. Ma di questo non acade qui disputarne. Ultimo, quello che contiene l'essere e perseveranza insieme sì delle famiglie sì delle città si è l'uso e sufficienza delle cose necessarie e devute alla natura, qualunque elle siano. Se così è, affermeremo che quella famiglia alla qual mancherà niuna delle cose necessarie e commode, sarà quanto in sé sia come certa compiuta picciola città. E quella in cui abunderanno le cose atte a felicità, che maraviglia s'ella sarà felice?
Tutte le multitudini da natura sono distinte in due ragioni di persone, de' quali alcuni di loro per prudenza, uso e cognizione delle cose, e per autorità sono atti a inducere e reggere gli altri a buono e desiderato fine. Simili omini sempre furono in ogni congregazione rari e pochi, e a costoro si conviene certa opera e officio proprio loro. Al resto indi della moltitudine non così esperta, simile si richiede quello che corrisponde al debito loro: delle qual cose diremo succinte. Ma prima esplicherò quello che a tutti sia comune e richiesto nella università da ciascuno del numero loro, Conviensi presuponere che la famiglia sia un corpo simile a una republica, composto di te e di questo e di tutti voi: e sete alla famiglia come innati instrumenti e membra di questo corpo. El primo debito di qualunque sia parte di questa famiglia, sarà darsi operoso e studioso che invero tutti insieme facciano un corpo bene unito, in quale tutta la massa simile a un corpo animato senta e' movimenti di qualunque sua parte etiam ultima ed estrema mossa da piacere, o vuoi da offensioni. Quello che fa un corpo solido e, come si dice, resonante, non è solo lo adiungere e accostare questo a quello, ma ène el vincolo insolubile in quale l'uno sustenta ed è sustentato dall'altro. Udisti più volte che alle unioni degli omini l'amore fu sempre vincolo della eternità. Adonque, l'officio di tutti insieme sarà colligarsi e astringersi a una intenzione con ferma benivolenza. Prossimo susseguirà adoperarsi con ogni studio, industria, diligenza, quanto sia in qualunque della famiglia, che 'l nome e stato della famiglia sia con molta quiete, tranquillità e fermezza, onestissimo e onoratissimo. Adonque, ciascuno di voi per sé, e tutti insieme, e io con voi, saremo solliciti che né per nostro, né per altrui errore di chi si sia, la famiglia riceva detrimento, etiam in le minime cose sue. Da altra parte daremo ciascuno di noi ogni opera, quanto in noi sarà ingegno e facultà, che ciascuno del nostro nome sia, quanto concede la condizione umana, beato e felicissimo. Con questo sequirà, come el corpo ben sano, e simile ancora la nave ben composta, vale contro molte offensioni e contro molte avversità, e consegue con facilità lo 'ntento suo, così la famiglia bene unita e ben conformata, e in tutte le membre sue ben sana, soffre con buona sicurtà l'impeto delle invidie e le traversie de' tempi, e conducesi a stato desideratissimo. Dicono che quella famiglia sarà ben sana e pertanto beata, quale arà fra' suoi niuno pravo, niuno iniquo, e tutti studieranno satisfare al debito loro. El debito di ciascuno di voi in tutta la vita sempre fu, sempre sarà cercare el vero, seguire el bene, servare l'animo libero, piacere a tutti, amare e' buoni, fuggire ogni biasimo.
Ora sequita referir l'officio de' più atti a inducere e sé e gli altri a fine ottimo e desideratissimo; onde poi depende quanto s'appartiene al resto della multitudine non così esperta. Iterum raffermo quanto io proposi: noi non investigheremo co' nostri ragionamenti quale occasione faccia abbiente e potente alcuno in quelle cose qual concede e priva la fortuna, poste sotto la varietà de' tempi, e mosse più da caso che da ragione. E giovi qui referire quanto m'occorre. Al timone sede colui in verità poco pratico in mare, inerte, nulla intendente, a cui o per sorte o per favore della multitudine fu concesso questa preeminenza. Ivi presso sono alcuni circunspetti, pronti, essercitati in le navigazioni seconde e nelle avverse. Qual di costoro sarà in questa cosa marittima omo più eccellente e prestante, giovani? Direte voi che sia quello fortunato quale sede a luogo primario della nave?
GIOVANI. No.
BATTISTA. Quali adonque, saranno e' veri primari principi in questo?
PAULO. E chi ne dubita? Questi che più conoscono, e meglio sapranno provedere a quello che bisogni.
BATTISTA. Tu dici il vero. E così noi adestreremo ciascuno di costoro in quella eccellenza qual puote la ragione e opera dell'omo ben conseguire, e questo cercheremo, el resto speraremo. In questa causa quanto apartenga a voi, giovani, credo io basterà se al tutto vi disporrete essere fra la moltitudine per bontà nulla inferiori a qualunque prestantissimo, e pari studierete darvi primi fra quelli che siano modestissimi, culti in dottrina, e ornati in virtù, e osservantissimi della religione e de' vostri maggiori; qual cose tutte sono tante in voi quanto voi le vorrete. In quelli che saranno per uso più periti e per età più maturi, questa cosa se io la considera pura, solo in sé, ella mi pare simile a un patrocinio e tutela onesta a chi la tratti, utile a que' che meno sanno e meno vagliono in quello che loro si richiederebbe, e in prima molto e molto necessario alle famiglie. E a voi che ne pare?
PAULO. Parci utile certo e necessario a ogni moltitudine avere chi la governi.
BATTISTA. Vero, e tanto che senza moderazione de' superiori quasi sarà impossibile ch'ella possa vivere altro che dissoluta e perturbata. Se ciascuno per sé facesse el debito suo, sarebbe cosa felice, ma peccano questi per ignoranza, quelli per improbità innata, quegli altri peccano mossi da altra ragione non buona. Pertanto vi bisogna chi vi provegga. In le congregazioni civili a questo in molta parte vi provede la legge, providonvi le constituzioni publiche. In questa nostra tutto il moderamento depende dalla prudenza, diligenza e modo de' più discreti. E porgesi questo nostro patrocinio, composto come noi dicemmo della cura domestica colla publica sollecitudine, in molte cose non simile a quella publica, civile amministrazione. E' principati e signorie delle città non raro se acquistano con insidie, fraude, confederazione, e impeto d'arme, e sono per sé pieni di sospetti, paure, odi, difficultà, pericoli, e stanno sempre esposti a prossima ruina, e reggonsi con violenza, rapine, simulazioni, dissimulazioni, crudelità. Questo nostro continuo s'acquista con simplice e aperta bontà, e pronta benignità e facilità; porgesi iocondo, ameno, suave; rende contro le avversità molta sicurtà e difesa; reggesi con amore, carità e officiosissima gratitudine. Iterum in quello publico principato civile tutte le forze e fermezza sue sono in cose di sua natura volubili, instabili, incerte, più poste in la sequela e perfidia d'altri che in la disposizione sua. Questo nostro fondato in certa generosità d'animo virile, cupido de essere vero principe e ottimo rettore de' movimenti suoi più che di parere agli altri eccellente, sta pieno di fede, pietà, benignità, benificenza, e vive constante, perseverante in le cose oneste e lodate. Adonque, sarà più valido e più stabile. Ecci questo forse, che quanto el nostro è più in sé elegante e degno, tanto vi bisogna modo e diligenza più escogitata.
PAULO. Qual di noi padri non prova quanta bisogni sollecitudine a chi prese aver cura e moderazione sufficiente, non dico degli altri ma solo de' suoi? A me pare questa opera molto laboriosa, molto intricosa.
BATTISTA. Non di sua natura, Paule, ma viene questo da' costumi depravati co' quali cresce la gioventù male custodita. La natura fece l'omo disciplinabile, prono ad umanità. El crescere con dissoluta licenza lo rende contumace. E nasce tanto male più dalla troppa indulgenza de' maggiori che altronde, però che quando e' suoi sono teneri d'età, e' maggiori desidiosi e negligenti non curano e lascianlo' ausarsi a costumi parte leziosi parte provani, onde imparano superare la onestà colle insolenze e caparbità. Degni di biasimo, più studio pongono in accostumare el sparviere alla venazione che in accostumare il figliuolo a virtù. Non nego a questo nostro patrocinio così come nell'altre buone arti, bisogna ragione e modo, e conviensi avere a te non tanto quello che facci allo officio tuo, quanto sapere bene adoperarlo. Altro sarà tenere in mano la squadra, la linea, lo stile; altro adattarlo bene al tuo lavoro. In teatro non si concederebbe che uno imperito in musica fusse duttore de' danzatori. Molto più si conviene darsi a questa nostra opera con maturata professione quanto ella è molto più degna. Mai conducerai gli altri a buono diporto, se a te non sarà la via ben nota. Agiugni che forse come el pesce nato in acqua salsa richiede ancora condimento di più salina, così qui a' precetti vulgari e noti in questa amministrazione ora per ora bisogna adattarvi nuovo temperamento. Preterea, quando ben fusse questa provincia laboriosa, non dovete però voi omini ottimi recusarla. Fuggire la cura de' suoi perché ella è faticosa, viene da lentezza d'animo desidioso; e recusarla forse perché ella viene senza utilità, sentirebbe di villania e sarebbe inumanità. Degnissimo ricordo quello de' nostri maggiori: richieggono e' tempi da te fatica, non la recusare; prendesti questa sollecitudine, reggila con tolleranza e fermezza d'animo, e modera tutto con buon consiglio. Quello che per te gioverà a costui o a quest'altro, ben sai gioverà a tutta la famiglia; e quello che giovi a tutta la famiglia, certò gioverà ancora a te, e in prima el premio dell'opera resulterà proprio a te. Né sarà poco acquisto a uno animo generoso riconoscere ch'e' suoi sono obligati a portarli amore perché fu officioso verso di loro. Ma se tutti insieme sequiranno e' ricordi quali io racconterò, sarà opera più iocunda che difficile.
PAULO. Io intrapresi essere interprete per questi giovani. Ecco, quant'io vedo, el frutto dell'opera perviene a noi più attempati. E piacemi. Seguita.
BATTISTA. Non è dubbio che secondo la natura a que' che più sanno sta come debito curare e conducere que' che sono meno instrutti. Che così sia tuttora vediamo, che noi uniti da innata carità, pronti e non senza imperio, revochiamo quello e quell'altro incauto quale via sotto la ruina del tetto o contro la offensione di qualche fera malefica, e mostrànli el periculo quale esso non scorgeva. E per questo pare che da natura l'officio del moderare la moltitudine stia ne' vecchi, non perché e' siano vivuti molto, ma perché l'uso ed esperienza delle cose qual abisogna non s'acquista senza spazio e processo di tempo ed età. Cosa ridicula in uno omo, se non mostra del vivere suo tratto altro che solo el numero degli anni consumati. Testimone de' giorni bene adoperati voglio che siano la grande cognizione di molte cose, e la maturità, gravità e prudenza acquistata a sé, e insieme l'opere dello ingegno produtte a utilità degli altri. E se questo officio del reggere sarà degnissimo colui qual sarà supremo agli altri nelle cose prestantissime, certo e' buoni e virtuosi in prima saranno attissimi. Nulla si trova prestante sopra la virtù, e per questo ben fu instituito in alcune onoratissime republiche presso de' passati che 'l summo magistrato e imperio s'accomandassi a' virtuosi e integri, e sforzassergli ad essequirlo. Quello onde consentirono e' populi a stare sotto la iuridizione di chi gli regga, fu per vivere insieme senza iniurie e fruttare le cose sue con libertà quieta. A questo potrà niuno conferire più che l'omo savio e virtuoso. Ma qui bisogna che in la famiglia sia non tanto chi mostri e regga con ragione quanto chi pronto ubbidisca senza contumacia. Converrà che questo moderatore si presti tale ch'e' meriti riverenza, e ch'e' suoi lo iudichino degno d'essere ascoltato e ubbidito. Via espeditissima a inducermi ch'io ti ubbidisca sarà che tu mi commandi cosa quale io, etiam senza precetto d'altro, farei e volentieri, se io la conoscessi. E questa qual sarà? Saranno tutte quelle cose quali io intenderò che conferiscano alla salute mia, alla onestà, utilità e contentamento mio, o quelle che tu, omo grave, prudente, integro, amorevole, curioso del ben mio, quale io per amore e carità verso di me reputo in luogo di padre, mi dirai. Crederotti, seguirò ricordi, consigli e amonimenti tuoi, ubbidirotti. E queste medesime cose, benché a me utili e commodissime, se tu le comandassi con temerità e acerbità e con imperiosa arroganza, e dove e quando non si convenisse, forse le ricuserei per non ricevere a me subiezione indegna e servile. Sì che adonque mi pare bisognerà che in questo nostro precettore sia buona cognizione delle cose utili e necessarie a vivere bene e beato, e siavi studio e diligenza in osservare tempi e luoghi atti e oportuni alle faccende, e siavi autorità e bontà e modo acetto a chi lui si porgerà moderatore e direttore. E sopra tutto in costui desidero che sia vero amore e carità verso de' suoi. Non mi basterà s'egli ama te e quello e quegli altri quanto per sé merita ciascuno, ma voglio ami quanto più possa effundere la pietà d'uno vero buono omo. Le condizioni d'uno omo buono, giovani, sono queste: sempre con tutti in ogni movimento suo adopera in bene; ama, favoreggia, aiuta e' simili a sé, e studia in ogni modo essere principio e motore e dar ragione agli altri a diventar pur buoni e a perseverare ne' buoni costumi; supplisce dove bisogna; non resta inducere quelli che lo ascoltano a vivere secondo la virtù con buona grazia; mostra, insegna, apre ogni addito e via di pervenire a onore e felicità; augmenta in bene ciascuno quanto sia in sé; concerta con gli altri e seco stessi in fare ciò che può, sì ch'e' suoi provino e conoscano che la carità sua verso di loro nulla può esser maiore; né desidera essere dissimile dagli altri se non quanto l'opera sua possa molto giovare benificando a tutti. Questo così fatto, quando colla sua vigilanza e circunspezione provederà quello che sia utile e accommodato a qualunque de' suoi, e quando collo studio, diligenza, ello assiduo cercherà rendere beati e' suoi, che dite, giovani, che vi pare, arà costui in sé meriti condegni a quello principato quale voi desiderate? Quello sarà ottimo principato quale contenti e' suoi sudditi tale che non lo chiederebbono migliore.
PAULO. O beata quella città dove in qualunque famiglia sua fusse uno omo tale!
NICCOLÒ. E quanto beata! E se questa nostra republica un tanto numero avesse omini simili, pur dieci, pur sei... Non dico più...
BATTISTA. Or sì, lasciamo le cose publice. Seguiamo el proposito nostro. Di questo nostro, - come lo chiameremo? Pogniàngli nome tolto da' Greci, iciarco: vuol dire supremo omo e primario principe della famiglia sua, - l'officio suo, insumma, sarà avere cura di ciascuno per sé, e intendere quanto ciascuno vaglia e quanto possa ciascuno solo e quanto con gli altri, e indi provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta la famiglia. E sarà sua impresa dare ogni opera d'essere in questo superiore agli altri primi. Quelli saranno qui nel numero de' primi quali sanno e vogliono essere utilissimi a' suoi, e con studio e diligenza curano il bene di tutti gli altri. Adonque, el nostro iciarco riceverà a sé questo obligo, di fare sì che amando e benificando e' suoi, tutti amino lui, e tutti lo reputino e osservino come padre. E porgerassi tale ch'e' suoi aranno lui non solo instruttore e duttore, ma tutti lo miraranno con reverenza, e rallegrarannosi avere costui domestico essemplo a imitarlo per molto meritar colla sua virtù. E in faccenda veruna con più diletto, con più pensiere, con più assiduità e diligenza s'adoperarà, che solo in far gli altri simili a sé, ottimi, costumatissimi, dottissimi e ornatissimi. L'arme ben pulite e le superficie de' corpi tersi bene e mundi d'ogni rozzura rendono splendore, e danno lume apertissimo, diffusissimo. Contro, dell'acqua e vetro sordido e fecciosa non si effunde el razzo illustrissimo del sole. Così l'animo dell'omo puro e ben composto sparge buona grazia, e produce buono effetto; e certo l'animo sordido e turbolento da' suoi vizi, mai potrà in altri quello che non può in sé stessi. Quelli sono fabri che fanno l'opere fabrili, e buoni quando e' le fanno bene. Qualunque non stultissimo facesse professione d'esser musico, a costui diletterebbe adoperarsi in musica, e vorrebbe quanto in sé fusse al tutto esser non inferiore a' musici buoni. Così chi vorrà esser riputato padre buono, integro, e simili, farà l'opere dovute a' padri buoni, integri, e simili. Sarebbe sciocco, inetto, chi credesse che solo il nome facesse me essere padre. L'essere padre sta in avere in sé le cose dovute a' padri, e in aoperarsi come padre. In questa nostra iciarchia la intenzione nostra sarà più circa informare omini dati a noi dalla natura, che circa riceverli datici dalla mamma. Dirà quello da' suoi piccini nati in casa babbo: “costui è mio figliuolo”. E io dirò: “vero; ma tu lo facesti simile agli altri animali nati con due piedi, io lo feci simile per virtù a uno dio terrestre”. Voi giovani, a chi diresti che costui così ornato da me fusse più obligato, al babbo o a me vero e ottimo padre? E non dubitate che mai niuno scalderà te ad amarlo come padre, se in lui non arderanno princìpi di vero amore paterno. E simile con quella ottima ragione qual tu proponesti a te per acquistar virtù, con questa medesima facile conducerai gli altri ad imitarti.
Ma torniamo a proposito. Dicemmo in genere qual sia el nostro iciarco, e quanto si convenga allo officio suo. Ora diremo el modo e opera circa le cose più particulari. La prima cura sua sarà che la famiglia sia senza niuna discordia unitissima. Non esser unita la famiglia circa le cose onde sequiti detrimento, giova, non lo nego; ma non esser unita circa quelle che giovano, nuoce sopra modo molto. E massime alle famiglie sono le domestiche contenzioni ultimo esterminio. Quinci hanno e' nimici a pieno quello che desiderano in te; e tanto più questo, quanto gli amici hanno meno addito a interporvi l'opera sua. L'inimico nostro porgerà favore e aiuto a te, a me conterrassi, quanto e' vedrà poterci nuocere. L'amico nostro comune, quella impresa che pigliarebbe per me contro a uno meno suo familiare, quella medesima fuggirà tentarla contro a te, e stimerà più utile non imminuire la benivolenza tua che raffermare la mia, quando così sia che male possa omo favoreggiare la causa mia senza offendere te, mio avversario. E videsi più volte in più luoghi che la conspirazione e confederazione di pochi superò e condusse lo stato d'una città secondo e' pensieri e voglie loro, contro la volontà di tutti gli altri non bene uniti. Questa coniunzione e consenso alle famiglie fa che ciascuno di loro sta simile a quello Briareo vostro, giovani, quale e' poeti fingono che avea molte mani, molti occhi, qual cosa dissi ch'io desiderava a me. E simile goderò sia l'uno pell'altro in voi. Credo dire el vero, e così affermo: se questa famiglia vostra, giovani, sarà per voi in tempo quello ch'io spero, voi arete tal luogo in questa republica che tutti e' buoni cittadini si rallegreranno della felicità vostra. Mai niuno potrà disturbare lo stato vostro più che voi stessi.
E non sono divise le famiglie solo per le contenzioni e discordie, né saranno unite solo per lo abitare insieme. Alcune altre cose utili a intenderle, danno alle famiglie unione meno che non si converrebbe. Pare che da natura siano le voglie de' giovani dissimili da quelle de' vecchi. E così come la similitudine de' costumi, instituti e studi porge addito prontissimo alla benivolenza, così la dissimilitudine proibisce e recusa quella compiuta unione quale si richiede nel vero amore. S'e' giovani in tutto instituissero essere in ogni costume simili a' vecchi, e contro, e' vecchi pigliassero abito e movimenti giovinili, sarebbe all'uno e all'altro impresa difficile e non ben condegna. Ecci al bisogno nostro questa adattezza competente e conveniente all'uno e all'altro, ch'e' vecchi si ritrovino spesso co' giovani in lieta familiarità, massime alle cene. Non so donde sia che questo trastullo del motteggiare in mensa concili tanta grazia e domestichezza. E qui basterà s'e' giovani aranno quanta modestia richieggono e' buoni costumi e reverenza de' maggiori, e s'e' vecchi deponeranno quella severa gravità loro e porgerannosi umani, facili, affabili, quanto indi apparisca che degnino aguagliarsi alla gioventù senza levità. Meno fatica sarà a uno di noi, Paule, in questa età maturi, repetere la ilarità e festività qual fu in noi in quel fiore della gioventù, massime dove la suavità de' buoni costumi in questi giovani c'inviti a pigliarne voluttà e recrearci, che non sarebbe a questi giovani deponere el gaudio e letizia giovenile e fingere in sé la durezza e tristezza della vecchiaia. Come la osservanza loro verso di noi eccita in noi più ardore di carità, così el fronte, la affabilità, facilità, benignità nostra alletterà questi ad amarci. E dobbiamo desiderare da loro più molto d'esser amati che temuti. Se tu donandomi insegni a me referirti cortesia e merito, certo dandoti a me benigno, ossequente, trattevole e amichevole, riceverai domestichezza pari e amorevolezza. Saranno e' ragionamenti de' vecchi alla gioventù ne' conviti lascivi nulla, ma ben iocosi, ameni, consentani a' diletti iuvenili. Racconteremo casi rari accaduti in la venazione; diremo de' cavagli, de' cani, dello uccello rapace, della piscazione, natazione; loderemo chi si portò nel certame publico in arme con virilità e fermezza; ascolteremo poeti e musici, approveremoli senza assentazione; interporremo qualche discettazione atta a movere onesto riso; reciteremo qualche degna istoria de' tempi nostri. Nel resto darete voi padri ogni indizio ch'e' vostri studi passati vi fecero dotti, l'uso periti, la diligenza cauti circa le cose del vivere. Ma sopra tutto daran più opera e' vecchi in essere conosciuti amorevoli, pieni di fede e di bontà, che di parere molto pesati e circunspetti. Ultimo, cureremo ch'e' minori d'età ardiscano teco esplicare e' pensieri loro e consigliarsi sperando che la fede tua gli giovi non meno che la perizia e sagacità. E tu indi in quelle cose quali e' potrà per sé, li mostrerai reggersi colla ragione e buona discrezione. Quelle che saranno in arbitrio della fortuna vi consiglierete insieme col tempo, e ne' casi dubbi vi reggerete con prudenza. Nelle avversità confermerete all'animo fortitudine; in le cose seconde e prospere adatterete gesti, fatti e parole che siano da ogni parte modestissimi. Egli è molto più difficile reggersi bene nelle cose prospere senza modestia, che nelle avverse colla virtù. Diffiniscono la modestia ch'ella sia certa scienza circa ordinare e collocare detti e fatti a luogo e tempo con ragione. Tale adonque saranno e' vecchi in adattarsi colla gioventù a domestica familiarità. E' giovi qui, Niccolò, dico, e a te, Paulo, giovi motteggiar con questi. E sarà quasi come essemplo atto a questo proposito, massime quando così sia che le cure amatorie siano a questa età molto adiudicate. L'amore, giovani, ha in sé due voluttà e due dolori: l'uno dura breve tempo, e questo mi pare sia el coruccio, e dicesi le risse degli amanti rinuovano l'amore; l'altro dolore dura troppo, e questo si è la gelosia. Delle voluttà, quella quando soli insieme satisfanno al desiderio, dura molto poco; ma quella festività e amenità per quale s'incende el desiderio, porge sollazzo quanto e' buoni costumi e la modestia ben retta gli governa.
PAULO. Eia! E che ridete voi giovani?
NICCOLÒ. Quale eleggeresti voi, o quella breve voluttà, o questo diuturno sollazzo?
BATTISTA. Penseretevi. Or sì, e dicesi spesso: fammi l'uno ricco, l'altro povero, e arai divisa fra loro l'amicizia. Questo, s'e' giovani saranno allevati con disciplina e costumi racconti da noi, e s'e' padri della gioventù adopereranno quanto si richiede, non interverrà nella famiglia, primo perché la povertà non abita se non con la desidia, coll'ozio e inerzia, poi arà in loro più forza la bontà a mantenere l'amore e raffermare el vincolo della confraternità, che non arà forza la inumanità a fastidirsi e odiarsi insieme. Omo allevato con industria e buona civilità non vedo che possa per età esser povero. E dove sarà lo amore, ivi sarà comune ogni altra cosa. Chi desiderasse ricchezza per non benificare a persona, sarebbe peggio ch'una fera immanissima. Le bestie crudelissime quello che avanza loro lo cedono agli altri. E tu a che fine vorresti avere ricchezze se non per bene adoperarle benificando, e a chi vorresti far bene prima che a' tuoi, massime fatti da te simili a te in bontà e virtù? Ma niuna dissimilitudine, niuna disgregazione e alienazione d'animi e volontà mai sarà da natura maiore quanto de' buoni virtuosi mansueti contro a' viziosi ambiziosi rapaci. Gli studi, le voglie, le deliberazioni al tutto fra questi sono opposite e repugnante.
NICCOLÒ. Mala cosa la improbità d'uno, massime concitato da ambizione o da avarizia e cupidità. Quinci le invidie, le iniustizie, risse e ogni perversità.
BATTISTA. Sì, ma non cade questa nequizia negli animi maturi e ben composti, massime fra coniunti. Quale stolto non sente che lo onore e lume posto in qualunque suo propinquo, risplende ancora a sé? Quella emulazione per quale tu cerchi meritar fama e gloria sopra gli altri, viene da prestanza d'ingegno e generosità d'animo, e acquistila non con malignità, ma solo con virtù quale sede in te. E ben disse colui: in che sarà il re de' Persi maiore omo di me, se io sarò iusto più di lui? Brutta iniustizia rapire ad altri quello che tu non li possa restituire. Se 'l nostro iciarco, omo bono e dotto, arà le condizioni richieste in lui, tutti lo ameranno, tutti seguiranno e' vestigi suoi. Niuna invidia vi si avolgerà, niuna mala contenzione vi insurgerà: solo concerteranno a gratificarsi e benificarsi insieme. Questo farà che a ciascuno per sé qualunque degli altri sarà in luogo di padre e di fratello. E tanto sarà nella famiglia questo imperio glorioso quanto chi comanderà, e pari chi ubbidirà sarà migliore.
NICCOLÒ. Non volsi interrumpere il dir tuo. Ed è vero: dove sia integro amore, ivi sarà comune ogn'altro bene. Pur cosa più facile a ragionarne che a ritrovarla oggi fra' nostri costumi. E in tanta dissimilitudine quanta interviene fra questo buono e quello altrove vizioso, concedoti non può essere amore né vincolo fra loro comune che gli contenga in ferma benivolenza: non si può negare. E dicesti quello che doverebbono e' maggiori, e quello che tornerebbe utilissimo a' minori, e molto mi piacque. Ma vediamo; sequi, a fare che niuno de' miei senta povertà, questo che tu contasti, Battista.
BATTISTA. Io e più volte e non poco pensai a questo. E forse affermeresti ch'egli è difficile colla sola bontà superare la fortuna, sì che tu non senta le molestie sue; e vedesi che molti omini pur buoni per vari casi si levorono poveri quali erano posati a letto ricchi. A me veniva questo in mente: s'egli è bello in una famiglia vederli che nel vestire e' paiano fratelli, molto più sarà quando con ogni officio di benivolenza si porgeranno coniuntissimi. E sarebbe indi forse non meno da lodarli quando e' volessero ancora colle cose della fortuna aversi l'uno all'altro pari. El carico delle ricchezze tutto posto da un lato si porta con molto male assetto; e quando le ricchezze pervengono a pochi, raro che questi non diventino superchiosi e contumeliosi. Non però mi pare da privarne chi le possiede. Dicono che quanto io indugio a farti bene, tanto non voglio. Non però manca ch'io non possa domani quel che oggi non volsi. Ma se modo ci è da provedere alla instabilità de' tempi contro la volubilità della fortuna, sarà forse fra gli altri questo: quando la famiglia si trovi in stato fortunato, bisogna provedere quanto sia in te a quello che sogliono apportare e' casi impremeditati. Adonque a me piacerà se tutti insieme constituiranno tanta casa dentro la terra fra' suoi, e tanto terreno altrove in luogo sicuro, che indi si pasca e riposi chi altronde potesse meno.
Ma torniamo al proposito nostro. Sono gli animi e mente degli omini vari e differenti; alcuni sùbiti al coruccio; alcuni più facili a misericordia; alcuni acuti, suspiziosi; alcuni creduli, puri; alcuni sdegnosi, provani, acerbi; alcuni umani, trattevoli, ossequiosi; alcuni festerecci, aperti, goditori; alcuni subdoli, solitari, austeri; alcuni amano esser lodati, soffrano esser ripresi; alcuni contumaci, ostinati a ubbidire niuno altro che la legge; duri nel comandare, crudeli nello sdegno, effeminati ne' pericoli, e simili: sarebbe prolisso raccontarli. Conviene che 'l nostro prudente iciarco esplori, tenti, ricognosca ora per ora costumi, vita e fatti di ciascuno de' suoi, e a ciascuno adoperi ottima e accomodata ragione di comandare. Adonque userà non sempre, non con tutti quello uno medesimo moderamento, ma adatterà la varietà degli imperi alla varietà degli animi. Gl'imperi e ragioni del comandare agli omini si vede palese che sono differenti. E al padre dicono ch'egli ha sopra e' figlioli imperio domestico iusto simile a un re. E confessasi che 'l comandare sia proprio officio del padre, e al figliolo sta debito ubbidire. A' fratelli conviensi il consigliare: el marito impera alla moglie, el precettore a' discipuli, el fratello ancora a' minori; e allo amico par licito in qualche modo comandare. L'architetto comanda a' suoi operari fabbri, el nocchiere in mare agli altri ministri della nave, el medico allo infermo, el duttore dello essercito a' suoi armati, el magistrato a' cittadini. Que' che ubbidiscono a costoro soffrano quella subiezione non per uno solo, ma per vari rispetti. E' figliuoli allevati sotto quella ubbidienza imparon da piccioli ubbidire el padre. La moglie ubbidisce in prima per non imminuire l'amore e grazia del marito. Al precettore, quanto el discipulo più sarà cupido d'imparare, tanto più lo ubbidirà circa le cose onde e' diventi più dotto. E quest'altro, quanto e' più conoscerà essere amato dal fratello o dallo amico, tanto più l'ascolterà e seguirà e' suoi ricordi e amonimenti, massime se crederà che sia bene esperto. Gli operari sono obligati al premio per susservire. Questi altri in mare fanno quanto dice el nocchiero per non pentirsi navigando e per conducersi in porto con secura navigazione. E questi per liberarsi dalle lassitudini e raffermarsi a sanità ubbidiscono al medico. La disciplina militare può sopra e' suoi armati: la severità delle leggi impone maiestà e venerazione al principe.
Tutti questi imperi bisogna che 'l nostro iciarco sappi adoperare in tempo. Di questi niuno da natura perfetto più che 'l paterno. E quando dallo iciarco si richiede, come noi dicemmo, che sia per amore padre a tutti, converrà si porga tale che meriti reverenza paterna. Adonque sarà maturo, grave, moderato; fuggirà ogni suspizione di lascivia, però ch'e' vizi benché minimi sono molto notati negli omini degni: comanderà non come a' servi, ma ecciteralli, comoveralli come carissimi figliuoli a fare quelle cose onde e' siano salvi e beati; e' cercherà in tutti e' modi essere amato da loro, e riceverne in tempo consolazione di vederli per sua opera fatti felici. A questo nulla gioverà quanto farli amatori della onestà e studiosi delle cose lodate. Tanto sarà ogni imperio perfetto, quanto el principe farà bene a' suoi e quanto e' suoi ameranno lui. E tu, quanto chi t'è figliuolo sarà migliore, tanto lo amerai più, e lui pari a te retribuirà vero amore. Con quegli che saranno aspri e ritrosi ed elati, forse perché e' sono più fortunati che gli altri, - qual vizio suole abitare insieme colla improbità femminile, - tu iciarco userai lo imperio del marito, e seguirai mitigando con blandizie più che con rigore di parole, e conducera'li con lusinghe più che con precetti, e aiutera'li mitigare que' suoi costumi inurbani, persuadera'gli che la facilità e umanità, l'essere ossequioso rapporta più utile che l'essere riputato abbiente e potente. A quelli che saranno ventosi e cupidi d'essere appellati splendidi e godono essere acerchiati da molti assentatori, e' dotti e periti nella ragion del vivere mostreranno col raccontare gl'incommodi sequiti agli altri simili malconsigliati, che la vera gloria e degna fama non s'acquista con prodigalità e vane ostentazioni, ma con moderare sé stessi e curare più d'essere iusto, buono, temperato, officioso, che di essere portato in voce de' fabulatori. Con quelli che troppo atribuiscono alle voglie sue e troppo stimano el proprio iudizio suo e sentenza, useremo la licenza concessa a chi te ama: favellaremo aperto, libero, in modo che s'avederanno quanto ci piacerebbe che seguissero instituti e via più atta a intendere el vero delle cose da' suoi principi in acquistar prudenza e sapienza. Con questi simili ingegni voglio quanto sia in te usi ogni diligenza circa e' princìpi onde succedano a' giovani corruttele e alle famiglie perturbazioni. Dicono che 'l principio di molto male sta in permettere ch'e' fanciugli e le femmine s'ausino a mantenere le voglie sue. Da questa dissoluta libertà nasce la insolenza e intemperanza: vizi pessimi, pestiferi alla gioventù. L'omo intemperato e dedicato alla voluttà in molti modi nuoce a sé e nuoce agli altri, e consumando nelle voluttà il suo, non solo rimane inutile a sé e a' suoi, ma seguene che impulso dalle necessità impara appetire gli altri, e diventa iniurioso e dannoso a tutta la famiglia. E può tanto la intemperanza che sendo in uno solo, ella facile vizierà tutto il resto della gioventù quale conversi seco. Adonque bisogna ne' primi cenni e indizi usarvi ogni arte e ragione in eradicarli. Meno faccenda sarà contenere chi ora cominci a correre, che opporsegli nello impeto e furor del corso.
Agli omini liberi dicono che le lode e le vituperazioni sono gli stimoli a concitarli, e in luogo di busse a gastigarli. Di natura sono certe faville nell'animo dell'omo pronte a illuminare la mente co' radî della ragione. Troverai niuno a chi non piaccia el bello e non appetisca il bene. Nulla si trova invero per sé bello quanto la virtù; nulla in tutta la vita comodo quanto la bontà. E agli omini per età non ancora infusi d'alcuna mala impressione, facile accenderà voglia e ardore ad acquistare lode e buona fama, quando tu assiduo lo ecciterai a mirare e riconoscere la carità e splendore che insurge dalla virtù. Adonque in ogni ragionamento, presente e' giovani, si vuol con laude ponere in cielo quello e quell'altro virtuoso e accendere in loro cupidità di gloria. E contro, bisogna insistere mostrando quanto sia brutto, dannoso, detestabile el vizio. Chi impara odiare el vizio acquista in sé in molta parte virtù. Ma quando per la varietà degl'ingegni bisogni adoperare imperio più severo, useremo rimedi simili al medico, quale adopera al bisogno medicamenti mordaci, e saremo, quanto patirà el bisogno delle cose, ancora simili al duttore dello essercito, rigidi osservatori della disciplina atta a' buoni costumi: porgeremo in tempo el fronte imperioso e pieno di maiestà religiosa. Non ogni pianta si può domesticare, né ogni fera si può far mansueta. Questo argentario con questi instrumenti, con questo medesimo artificio e modo non può d'una medesima massa d'oro stampare monete tutte simili finite e da ogni parte perfette. E se vi sarà forse qualcuno quale tu nulla potrai renderlo migliore con arte tua e diligenza, almeno cureremo che non diventi piggiore. Quello che stia prono a ruina e non si può reggere, di necessità perirebbe se qualche opposta forza non li resistesse. Questi tali incorretti si vogliono esterminare lungi dagli altri, non dove e' vivano miseri e abbandonati, ma dove e' dimentichino le delizie e depongano e' vezzi e interlassino le lascivie, e intendino quanto possa la industria a riporgli in miglior vita e stato; e sarà questo non escluderli a servitù, ma sarà un revocarli a salute. E doveratti meno dolere che in mensa sia de' tuoi testé uno meno a numero, che vederlo inutile e da meno che non se li conviene. E sarà molto salutifero in questo modo levarli e alienarli dalla conversazione de' voluttuosi, immodesti, petulanti, insolenti, arroganti, rissosi, temerari, temulenti, però che con questi diventerebbono ogni dì più dannosi a sé, molesti a' suoi, perniziosi alla patria sua.
Niuna cosa tanto pestifera ed eccidiosa a una città quanto sono e' suoi propri cittadini improbi e malcorretti. E sopra tutti e' vizi, se tu lo vedi dedicato e adiudicato a quella bruttissima pravità del giuoco, ponvi rimedio. E bench'ella sia cura più da non la recusare che da sperare sanità, tu pure con ogni arte, studio, diligenza, industria, ancora e ancora e senza intermissione osserva e' gesti e le compagnie sue, cura che si rammendi e ritraisi da tanta perversità. Detestabile cosa el giuoco! Vita inquietissima quella del giucatore, sentina di vizi abominevoli! Non so vedere che 'l giuoco venga altronde che da miserabile avarizia. Gli altri sono avari per serbare e sé e il suo contro a' casi della fortuna: el giucatore con arte buone e non buone, anzi con ogni scellerata malizia e fraude rapisce quello d'altri per esporlo in arbitrio del caso qual può venire nella volubilità d'un dado. E cresce in loro dalla avarizia el furore e rabbia del giucare, e dal giuoco arde l'avarizia. Che maraviglia adonque se uno giucatore s'ausa essere decettore, rubatore, perfido, se non cura la grazia di persona, se non stima onore, s'ello intrapreende ogni biasimo per avere luogo fra gli altri simili a sé, senza e' quali né sa né può vivere né ben contento né mal contento?
Con questi adonque useremo ogni severità coniunta con buona modestia. Del resto bisognerà che tu adatti te allo ingegno di costui quale tu curi. Alcuno metallo si conduce meglio caldo che freddo; alcuno soffera più e più battiture freddo. Dicono che l'altre virtù sono comuni con molti: la prudenza sta propria virtù dovuta al presidente. Qui sarà, come allo artefice, prudenza non solo conoscere la natura della materia in quale e' pone l'opera sua, quanto sarà bene conoscere da sé il modo de adoperarvi gli strumenti suoi. Del nostro iciarco gli strumenti atti alla opera sua sono le parole e autorità. Nulla porge tanta autorità presso la moltitudine quanto essere conosciuto buono e degno d'essere onorato. Manterrete adonque autorità e gravità, ma adatterete le parole e gesti a tempo in modo che non possano riceverle a contumelia, e, quasi come trattassi simile a' fanciugli, abbino da pigliarne da sé sdegno. Non cerco che te ubbidischino come servi, ma che te ascoltino senza fastidio, senza contumacia, e osservino pari a' detti tuoi a sanificar l'error suo, quanto essi osserverebbono e' precetti del medico a sanificare el corpo. Né a te il fine di questa impresa sarà come volere comandando essere al tutto obbedito quasi come solo per satisfare a te; ma el fine dove concorreranno tutte le cure tue sarà in aducere onestà in costui quale tu ami, e indi fermare dignità a tutta la famiglia. E sarà questa cura piena di carità e amore paterno, presa con buona circunspezione, dedutta con prudenza e maturità, condutta con diligenza e perseveranza. Moveremoli adonque persuadendo, e convinceremoli colle ragioni aperte e accommodate. Castigamento severissimo a chi non ubbidisce sarà mostrarli e persuaderli cose onde esso si penta quando e' non le fece. Non però nelle faccende voglio ti commuova sdegno a essere molto austero verso di lui. Quello sviamento qual molto gli piacque non ti credendo, forse ora per l'avvenire gli dispiacerà conoscendo quanto e' sia dannoso. Né con tutti, né sempre, né in ogni luogo, né per ogni cosa si concede alterarsi; sì bene, quando presso de' giovani possa la reverenza e pudore verso e' suoi maggiori, non biasimeremo chi amonendo ed emendando si porgerà contro gli errori meno tollerabili più rigoroso. E forse qualche volta sarà meglio dissimulare e fingere di non vedere che non correggere. E dobbiamo considerare che se in questo sviato fusse più ragione, sarebbe meno lascivia. Ultimo a tutto non mi piace la durezza, né lodo la troppa suspizione. Ben dico che 'l buon medico cessa mai di ovviare e contrastare al male se non quando e' perde ogni speranza dell'arte sua. Noi con molto sforzo consoliamo nel merore gli animi aflitti per imminuire loro el dolore. Per levarli dal vizio dobbiamo con più diligenza affaticarci, e saracci concesso usarvi in tempo qualche obiurgazione e veemenza di reprensione. Ma in noi sarà el fronte, el volto, el spirito delle parole pacato, vacuo d'ogni indizio d'animo perturbato. Più cureremo mostrare che a noi dolga el biasimo suo, che cercare che a lui dolgano le morsure tue. E saranno le nostre reprensioni in secreto senza testimoni; saranno brevissime, più per circuizioni dette e irronia che alla scoperta; saranno non iterate, né più volte repetite, quasi come chi voglia ritrattando la ferita inducervi dolore. Anzi vi agiugneremo qualche scusa in mitigare el concitamento intimo onde egli di fuori troppo arrossisce. Forse sarà chi responderà qualche parola inconsiderata, fastidiosa. Molte cose più fetide e stomacose tratta chi cura el corpo non sano, e ricevene lodo e grazia. Vuolsi quasi non udendo attutare el fervore della sua impazienza e concederli ch'ello sfoghi el bollimento dell'animo onde e' s'infiamma. Raro si coruccia omo se no' gli pare avere ragione. Pertanto saranno più da sofferire le parole dette in qualche sdegno, ch'e' fatti degli insolenti e simili alle bestie perduti nelle voluttà. A comprimere e ritenere la superfluità de' prodighi effessori e gittatori della roba presertim in golosità e lascivia, se li converrà qualche volta esser infesto e molesto riprenditore, ma tutto, come dicemmo, senza cruccio. Ottima e necessaria virtù ne' superiori omini e presidenti sempre fu la pazienza.
Non preterirò qui quello che mi viene in mente circa la suntuosità de' giovani. Officio de' maggiori sarà curare che delle ricchezze si spenda in le cose private e domestiche nulla meno che richiegga el vivere civile, ma tutto con parsimonia e buona moderazione. In le cose onde seguiti onore alla patria, alla famiglia, ameremo esser conosciuti splendidi, magnifici, prontissimi. Ma in questo e in tutte le cose osserveremo che nulla sia troppo in questa o in quella parte, e possa niuno prudente desiderarvi più moderamento. Circa simili errori della gioventù o nel modo racconto o in altro modo qual meglio paresse a' più dotti e prudenti di me, saranno curiosi e operosi direttori e gastigatori quelli della famiglia omini per sapienza e autorità maggiori.
Suole intervenire ch'e' padri fra loro sono in mala concordia, disturbo alle famiglie dannosissimo. Affermano e' fisici che le malattie nate ne' mesi dell'anno atti a sanità vengono da cagione molto potente, e per questo sono di sua natura gravi e quasi incurabili. Così fra gli omini per età maturi non pare che tanto male possa intervenire se non da offensione intollerabile. In simile causa pensai e provai più volte più cose per proibir le gare e revocar l'impeto delle contenzioni. Non so bene donde poco succedesse ogni mio sforzo. Dicesi che la discordia forse giova in quelle cose ove succederebbe danno alla famiglia se tutti consentissero alla voluntà d'uno solo. E pare a' prudenti che in questo bisogni ritrarsi e discordare e repugnare, quando così sia che in qualunque modo uno omo solo potrà più che gli altri, sì la republica, sì la famiglia rimanerà né libera né salva. Ma nell'altre cose sarà molto meglio concordarsi tutti a far bene, che discordarsi per non fare male. Nelle dissensione e contenzioni de' tuoi consigliano alcuni che tu nulla pigli a te altro più che solo el studio di conciliarli e rendere fra loro concordia; e pare a loro più degno in ogni causa esservi come iudicatore che esservi come parte, e meglio conservarsi dignità che imporsi nuova sollecitudine. Gli altri affermano che l'omo virile nato per esser utile a molti, in tutti e' modi debba obsistere alle iniustizie e darsi defensore a chi sia, massime de' suoi, con iniuria oppresso: prima questo per non parere che gli diletti starsi quasi come a uno spettaculo ridendo le miserie altrui, e riputare solo beato sé quando gli altri suoi diventino per quello conflitto loro miseri, dove tanta infelicità doverrebbe, come agli altri buoni, così molto a lui dolere; poi perché l'omo virile, integro, dedicato a magnanimità, sente che l'officio suo aspetta da lui altro che ozio e timidità desidiosa, e richiede che s'adoperi nelle imprese degnissime e pugni per ottenerle e mantenerle. E sono in prima dignissime e sacrosantissime fra' mortali la iustizia e la verità. E quanto la iniustizia sarà maiore, tanto con più fervore l'omo magnanimo aiuterà e difenderà chi sia offeso, e stimerà la roba sua, el sudore, el sangue, la vita, meno che la onestà. Cosa scellerata non resistere alla disonestà ove tu possa reprimerla. E chi permette in altri la iniustizia, in sé non è iusto. E sarà niuna iniustizia maiore quanto molestare e perturbare la quiete di chi ama e osserva mansuetudine e vive contento della industria e parsimonia sua. Tutte le virtù, figliuoli, pugnano per la mansuetudine, massime la integrità e fortitudine. Apresso di niuno abita la felicità quanto presso a' buoni e mansueti. Dio ha cura e tutela de' buoni, favoreggia e' iusti, aiuta e' mansueti.
Dissivi, figliuoli, con che ragione e modo possiate diventare primari, onoratissimi e felicissimi omini. Dissivi quale fia l'officio di questo primario e massimo moderator degli altri, quale vi confesso, persino da quella età che questi mie' capelli eron biondi, persino a questa che ora sono canuti e bianchi, sempre desiderai, sempre quanto in me fu ingegno e attitudine, con ogni studio, fatiche, vigilanza, cercai de essere: non questo tanto per darmivi duttore, quanto per essere in me atto a tanto vostro bene.
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