eri e tra il volgo;
e ordisti quel clamore
dell'armi.
ULISSE
... Mio... nè il negherò fu in parte.
Ma e Teucro ov'era? in assemblea nol vidi.
AGAMENNONE
Teucro! – Non v'era?
ULISSE
Ei no. Ben il Locrese
Aiace armato di tutte armi e ritto
stavasi i voti subornando. E ombrati
già sul poter tuo troppo erano molti,
e aveano eletto in lor pensiero Aiace.
E i suoi guerrieri, e i Tessali quel nome
acclamavano. A un tratto il nome mio
gridar odono i prenci; e i Salamini
insultar gli Itacensi: e vider l'aste
de' Mirmidoni balenar sul capo
alle Argive tue squadre. Muto stava
Calcante: e incerta fu dei re la mente. –
Allor partito necessario estremo...
ULISSE
Preaccennato io te l'avea...
Sagace a te, ma poco regio parve...
AGAMENNONE
Che agli stranieri prigionier la lite
si deferisca? – Arti non mie. Me dunque,
me primo, e solo omai giudice avrete.
Che re? che schiere? che profeti? Atride
alfin voi tutti acqueterà: e voi primi,
voi nelle vostre ambizion discordi,
voi che movete il volgo, indi il temete;
ei se ne avvede.
ULISSE
Aiace spegni... e Ulisse
dunque: incitate abbiam le schiere entrambi.
Sei tu sì forte? A' tuoi nemici in preda
bensì puoi darmi, e contro me la turba
ch'io per te mossi irriteranno. Oh! speri
senza il volgo domarli, e che te solo
il volgo segua finchè gli altri ammira?
Intempestiva autorità palesi,
o re, se a un tratto la sentenza annulli. –
A' prigionieri occulto un cenno ingiungi:
miseri sono, e obbediranno.
AGAMENNONE
Abbietto
partito... – e piacque?
ULISSE
A tutti no. Ma quete
così vedean le risse. Indizio n'ebbe
da me Nestorre; ed egli in ciò non vide
che amor di pace: ed il partito ei stesso
commendando propose. Ebbe l'assenso
dei più.
ULISSE
Non l'udiva: a lui
più tempo innanzi susurrò il Locrese
non so che detti. Egli balzando in cocchio
precipitò i destrieri alle sue tende. –
... Tumultuar odi qui presso?...
AIACE
(di dentro)
Vili,
prostratevi.
AGAMENNONE
La voce odo d'Aiace?
ULISSE
I tuoi custodi atterra.
SCENA IV
AGAMENNONE, ULISSE, AIACE.
AGAMENNONE
E chi il ribelle?
Chi il furibondo che meco imperversa?
AIACE
Io. – Le schiere mi togli; e il cor pretendi
togliermi e il ferro?... – Ecco il ripongo. Udirmi
spero e insieme rispondermi vorrai.
Teucro dov'è?
AGAMENNONE
Ciò ch'ei tramasse, io tosto
saprò.
ULISSE
Suo duce e suo fratel non sei?
AIACE
Pur a te venne, o Atride, ei su le prime
ore del dì, mentr'io stava con pochi
all'Ellesponto. Trapassando il campo
mi soffermai qui teco, indi in consesso,
senza veder le tende mie, chè Teucro
ivi io credea. Gli mandai tosto un messo
che nol rinvenne.
ULISSE
Fra le turbe forse
non l'indagava.
AIACE
Fra le turbe stava
la calunnia e il tumulto. – In parlamento
talun mi disse che da lunge il vide,
quando il sol giunto a sommo il ciel non era,
solo e sul lito deserto ai Numi
sacrificar, quasi a mortal periglio
si accingesse. Volai. Tutti partiti
celatamente eran con lui gli arcieri.
AGAMENNONE
... Ulisse... seco rimanevi.
ULISSE
E a' motti
che a te presente saettò, rimasi.
Or chi non sa che adulator tuo primo
seminator di scandali mi chiama
altamente? Costretto o persuaso
esser potea da me chi tanto m'odia;
chi mai verun, tranne il fratel, non ode?
Ma e quando pur... a che inviarlo? e dove
che omai tu, o re, nol risapessi? e ch'ei
nol ridicesse al fratel suo? Devoto
stavasi il grande Aiace al monumento
del dio Pelide. Ma il minore Aiace,
più che fratel sublime amico, forse
l'avria ignorato anch'egli?
AIACE
Ove pur sia
mal si accusa di trame: egli? – e tradirvi
senza tradir me e la sua patria insieme
potria?
ULISSE
Tradir te, il fratel tuo!... – ma e sempre
udirmi sdegni? e sì m'abborri?...
AIACE
Il nome
tuo sempre sdegno io proferir: – ti spregio.
ULISSE
Non vile tuo commiliton m'avesti
spesso; e pur or tu il confessavi.
AGAMENNONE
E tacqui
che a te rifugio fu il mio scudo spesso.
Pur co' Teucri sei prode e vil tra noi.
Non raggiravi oggi vilmente il volgo
e più vilmente i re? Tua non fu l'arte
che li sedusse a deferir la lite
a' prigionieri? Qui tornando il seppi.
Della cieca sentenza il fine astuto
scerno. Que' prenci che oltraggi e catene
difendendo i lor numi, hanno mertato,
sgomentati, ingannati, strascinati
fien al voler di chi sarà sì basso
da deludere i miseri, e sì crudo
da perseguirli, e ritorcere in essi
l'astio del volgo. Ah fien difesi! e il grida
dal suo trono infernale a me il tremendo
Eaco del mio gran padre avo e d'Achille;
e più tremenda la pietà mel grida. –
ULISSE
E chi librar, chi giudicar può i merti
de' vincitor meglio che i vinti? Alcuni
da me fur presi, altri dal forte Aiace.
Di sette prenci prigionieri, due
fratelli sono di Tecmessa; è l'altro
suo genitor: suborneranno il quarto.
Tolta ad Achille fu dal re la schiava
e a prevenir egual periglio festi
moglie la tua: i figli tuoi fien pari
a Teucro in ciò; madre troiana avranno.
Scudo così farti dicevi allora,
oggi il ridici, a' miseri: e tu il dei.
Diè guerra all'Asia il padre tuo; già un tempo
fu vincitor; ma poi d'ospizio accolse
pegni, e di pace: ed ebbe iliache spose.
A rivedere i suoi congiunti a Troia
finchè spiri la tregua occultamente
Teucro n'andò: seco gli arcieri ha quindi.
AIACE
Tacito io penso se lasciarti io deggio
te, di fraudi vestito e d'impudenza
al vituperio a cui tu vivi; o dentro
nel cor tuo negro ove l'invidia rugge
le calunnie rispingere e i sospetti
col ferro.
ULISSE
E brando v'ha che meglio uccida
un greco re? Non hai d'Ettore il brando?
AIACE
Ahi fatal dono! E il mio ti diedi, o forte
Ettore, il mio, sul campo ove leale
nemico egregio contro me pugnavi.
Ti valse almeno a morir per la tua
patria, e cadesti lagrimato e sacro!
Ma io?... vedi... le furie mi strascinano
a bagnarlo di sangue, di quel sangue
che tu abborrivi, e ch'io finor difesi.
AGAMENNONE
Ed io finor tacito veggio in uno
sospetti indegni, empio furor nell'altro.
Necessità di alto severo quindi
imperio veggio. – Aiace; di me pensa
che vuoi; non mento perchè nessun temo.
Le tue schiere sviarti o menomarle
non curo. Teucro e i suoi senza mio cenno
nè indizio mio, se pur son lunge, il campo
abbandonaro: usati modi; ogni uomo
qui si fa duce, e divezzarvi intendo.
S'anco tornasse vincitor, punito
il vo' ch'egli più ch'altri impaziente
è d'ogni legge, ei d'ogni applauso sempre
avido: ei primo e temerario sempre.
Che s'ei tradisse... io te fidar più a lungo
potrei?... – Cessa la tregua. Ebbro il troiano
di sua vittoria noi tremanti estima
da che spense l'eroe; s'accorga ei dunque
se Atride vive. Fin dall'alba indissi
però l'assalto ad innoltrata notte,
sì volli, e il voglio perchè il volli. E spenta
pria nel mio campo ogni discordia voglio.
Giudici sien, poco rileva, i prenci
stranieri. Io il dissi; odilo ancora: Troia
mai non cadrà, mai per l'acciar d'Achille.
AIACE
Pari alle tue, pacate odi parole. –
Nessun di noi l'armi, per esse, pregia.
Te ambizion, me libertà sospinge,
livor costui: ardon le brame; e incerto
sovrasta evento; onde temiam noi tutti.
E tu più ch'altri, a cui temenza detta
l'imperioso favellar. – D'altrui
schermo in battaglia ebbe mai d'uopo Aiace?
Sol contro te che a tirannia prorompi
l'armi bramo di lui che i feri moti
della superba anima tua gelava.
Minor di posse, e pari d'alma, vedi
me, alle tue mire ambiziose inciampo;
vedi d'Achille adoratori i Greci
chè amor gli stringe e meraviglia e l'alta
religion de' suoi avi celesti.
Ma il lungo imperio tuo molti fea queti
al giogo, quindi fu protratto ognora
lo sterminio di Troia; e tuo d'altronde
l'utile e il vanto ne bramavi. Spento
alfin è Achille e avvilir vuoi la fama
d'Achille e me. La meraviglia tutta
poi che l'amor non puoi, tendi in te solo
trar della Grecia; e guidarla a trionfi
col tuo valore o a sempiterne guerre,
finchè di forti vedovata e lassa
da te pace ed onore abbia e catene. –
Me vile fa d'un vile oggi la gara:
e ov'ei deturpi del Pelide il brando,
creduto opra divina, anche gli Dei
fien vano scudo a libertà: costui
spregi, ma allenti alle sue trame il freno.
S'ei me tradisca, e te ad un tempo, ignoro.
Teucro da lui credo aggirato; e certo
i frigi prenci ingannerà se forse
nol fe'. Me non vedranno. Inviolato
servar giurai dell'assemblea il decreto.
Stolto decreto; e giuramento, ahi! stolto:
ma rivocarlo ella può sempre. – Intanto
non però cessa oggi la lite vera,
e magnanima sia: apertamente
dimmi se re son io? se a Telamone
il valor mio frutterà infamia e ceppi?
Ma bada, o re, che a terminar tal lite
a noi non resta che la sorte, e il volgo.
Tu col terrore; io con l'amor; costui
con fraudi nuove, lo trarremo al sangue.
AGAMENNONE
Udir detti ribelli, e a tuoi furori
libero abbandonarti, a te sia prova
se Agamennon t'avanza. Odine i cenni. –
I re prigioni fien giudici, e tosto. –
L'armi, e le ottenga chi si vuol, fien vili. –
Nè più a contender di parole, accolti
fien d'oggi innanzi a pugnar meco i duci;
e all'intimata pugna fra brev'ora
mi seguiran. – Di Teucro, ove non rieda,
mi sarà pegno il figlio tuo. – Chi sia
qui re il saprai. – Seguimi Ulisse.
(Agamennone e Ulisse partono)
SCENA V
AIACE.
Oh infausto
Ilio, di qual mai scempio oggi godrai!
(parte)
ATTO IV
SCENA I
AGAMENNONE.
Ma e che? Son io signor di me? Da quanti
oggi non pendo! – O incerte ore!... Nè il mondo
lasci alla notte, e a che più tardi, o Sole? –
O! a chi dar leggi io voglio. – Io?... che ad Aiace
dir pur or non osai: cedi il tuo scettro,
snuda il brando e per me pugna, e t'immola.
Io che onore e possanza e pace aspetto
or da un Ulisse... – Ah no! la pace mia
fin ne' miei tetti, e sparì col sorriso
della mia figlia: all'angoscia, al terrore,
al parricidio io la mia casa educo. –
Ch'io qui riposi almen per or.
(siede)
– Qui assiso,
o Agamennone, il tuo tranquillo aspetto
incodardisce questi avvezzi al sangue
regnatori superbi... E non ardiva
qui il mio regal paludamento un uomo,
un uomo sol quasi strapparmi? e rabbia
e vendetta e stupor e la vergogna
del simular, e la tomba che Aiace
si spalanca... ma più quel terreo, immoto
volto d'Ulisse, mi fean muto quasi,
e in me scorrea gelato un sudor lento... –
Ecco già notte. E Ulisse aspetto io sempre! –
Vil alma, audace a un tempo, infida, fredda
sortì colui. Gli uomini, i casi, i tempi
attrae scaltro, invisibile, e avviluppa
tutto me in essi. Io m'agito: trascorro
strascinato... e li guida ov'io più bramo:
sa ch'egli splende di mia luce, e fida
come se a un tratto ei spegnerla potesse.
Già mi ha divelto ogni segreto mio,
quindi io sospetto...
(s'alza)
– Ma non più. Si sappia
che sin la Grecia vo' regnare io solo. –
Ardan le faci, il campo mio risplenda.
Il re de' regi s'apparecchia all'armi.
(i soldati illuminano il campo di faci. Due araldi portano uno scettro, l'altro l'elmo di Agamennone, e si piantano vicino al sedile)
SCENA II
AGAMENNONE, ULISSE.
ULISSE
Pertinaci più sempre i frigi prenci
dall'assegnar l'armi contese, tutti
ritraggonsi. – Di Teucro altro non sanno
gli esploratori tuoi, se non ch'ei tenne
d'Ilio il sentier lungo la spiaggia; e innanzi
ch'ei si partisse, uscia mesto dal vallo
de' prigionieri. – Tuttavia Tecmessa
quivi è col figlio, ed all'araldo il niega.
AGAMENNONE
Oh mia stolta fidanza! – A me si tragga
Tecmessa.
ULISSE
L'altro messaggero a' suoi
accampamenti il Telamonio, ritto
seguiva; e intesi ambi trovò gli Aiaci
a squadronar le schiere, a cui frementi
tutti d'Achille i Tessali s'uniro.
AGAMENNONE
O Menelao, superba alma ondeggiante
nè a virtù, nè a viltà nata nè al regno!
Ardi s'io teco sono; ov'io ti manchi
tepido torni.
ULISSE
Nè premio nè legge
valse, nè il nome tuo con que' perversi
abborritori degli Atridi; e al tuo
fratel negando d'obbedire, in guerra
seguir vogliono Aiace. A lui Taltibio
della fede di Teucro ostaggio il figlio
chiese. Il padre tacea. Ma il re de' Locri
additò quelle schiere; e il fero cenno
mostrò all'araldo del tornar la via.
AGAMENNONE
Pronti son gli altri alla battaglia?
ULISSE
Tutti. –
Perfido Teucro stiman molti; e ordita
o conosciuta dal fratel li fuga.
Nestore solo e il re Cretese, noto
bramano a te, che se a civil conflitto
si mova, ritrarranno essi lor armi.
AGAMENNONE
Odi Euribate.
(Euribate s'accosta; Agamennone gli parla all'orecchio; Euribate parte)
Fra non molto aperti
i miei disegni avrete: e qual pur deggia
esser la pugna, imparerà il vegliardo
che il vincitor obbedirà chi mira
le altrui battaglie immoto; e Idomeneo
vedrà se orgoglio senza ardir gli giovi.
Tu va. Silenzio tra le file regni.
Tutti i fuochi s'estinguano.
(le guardie spengono le faci)
Sul piano
per diversi sentier dietro a quel colle
sien congregati con le schiere i duci. –
(Ulisse parte)
SCENA III
AGAMENNONE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE, ARALDO.
AGAMENNONE
Vien ch'io ti veggia, o sposa del sublime
propugnator di libertà. Fra queste
donne io ti scerno alla gemmata zona.
A me ti appressa. – Muta tremi? Il velo
togli. Ribrezzo il tuo pudore accresce;
chè greco io sono, e tu moglie d'Aiace. –
Or di'; perfette son le trame? e saldi
stanno vieppiù contro il decreto mio
gli eroi prigioni? Udisti altra novella
di Teucro, da che teco egli e co' tuoi
pria di partir, venne a consiglio? – Parla.
Ma domestico vezzo è il non udirmi. –
E ov'è il tuo figlio? A' Tessali il mostravi
teco stamane, e ne frenasti l'ire,
poichè stanza ad Aiace omai son fatte
le frigie tende. – E immobile persisti?
E più nel velo ti ravvolgi? – Schiava
svelati.
TECMESSA
O Sante Deità de' nostri
distrutti altari, ah m'aiutate!
TECMESSA
... Da che all'urna d'Achille il signor mio
andò, nol vidi;... ohimè! ben aspre cure
dovean vietargli il rivedermi. E scorta
egli mi fu quando ier l'altro io venni
consolatrice a' miei congiunti afflitti.
Teucro sol vidi: tacito improvviso
abbracciò il figliuol mio, quasi abbracciarlo
più non dovesse mai: parlar volea;
ma fuggì ratto e mi lasciò in affanni. –
Odo tumulti; il campo freme; il mio
padre e i fratelli di terror confusi;
venir, andar, tornar vedo i tuoi messi...
Misera! e solo il signor mio non vedo.
Prieghi mando ed avvisi; ei mi risponde
che perigliosa è l'ora e ch'io nel cielo
fidi. – Soletta con le ancelle mie,
fra le spade e le tenebre m'accinsi
a rivederlo. Al limitar l'araldo
tuo ne rattenne: altro non so. Paterno
rito e l'amor de' nostri lari tiene
divise noi dal viril sesso; e noto
soltanto è a me delle battaglie il lutto:
vedo appena i guerrieri; e il tuo sembiante
talor da lunge io riguardai tremando.
AGAMENNONE
Ma non tremavi trafugando il tuo
figlio.
TECMESSA
Già in salvo egli era.
TECMESSA
Ah forse..,
signor tu non sei padre.
AGAMENNONE
... Io?... fui padre.
SCENA IV
AGAMENNONE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE, ARALDI, CALCANTE.
CALCANTE
O re de' re, corri a battaglia, e i numi
del popol tuo teco non hai? nè l'aure
suonan di canti a presagir trionfi?
E a qual vittoria tendi? orrendamente
dal silenzio e da tenebre ravvolti
accelerar s'odon gli armati... O donna
desolata d'Aiace!... ah! l'ostia forse
tu sei che il nostro re pria della pugna
offre agli Dei; – ma non morrai tu sola.
AGAMENNONE
Tua morte a me, nè tua vita rileva.
Gl'Iddii presenti il mondo teme. A voi
le sue minaccie diè l'olimpio Giove,
ed a me le sue folgori. Alle turbe
tuonar auguri, o degli Dei codardo
adorator, più non t'udrò. Riposa,
e manda gl'inni al vincitor.
SCENA V
AGAMENNONE, CALCANTE, TECMESSA, DONZELLE. ARALDI, AIACE preceduto da un araldo.
TECMESSA
O padre
del figlio mio!... pur ti riveggio.
AIACE
... Oh iniqui! ...
Tu qui! – Ben posso io trartene... ma... loco
ove salvarti a me non resta. – Atride;
ti sta intorno l'esercito, parato
a ferir ove accenni. Io co' miei pochi
e co' Locri, e co' Tessali vi aspetto:
tranne quella di Troia, ogni altri via
precideremo a voi. N'avrai nemici
o federati; eleggi. Ma tua fede
sola non basti: me la diè in tuo nome
Euribate; qui a dir venni e ad udire
sensi di pace: e mentre io fra' prigioni
finchè il giudizio fosse dato, l'orme
non pongo, inerme la dolente mia
donna lasciando; tu svellerla ardivi
da' domestici Dei; tu la tua fede,
appena data, rompi.
AGAMENNONE
A voi le trame
romper intendo; ma da voi fur pria
sì ben conteste, ch'io veder non posso
se non che siete traditor voi tutti. –
Un dì alla tregua rimaneva, e in campo
non eri tu; ma i tuoi soldati il campo
con prodigi atterrivano. Bastava
il frigio sangue a' Mirmidoni; e un grido
di feminetta contro noi li volge.
Frattanto i numi parlano più arditi
dando la gloria de' trionfi a un'ombra;
mentre il volgo sommosso arma te solo
successore d'Achille; e obbedienza
audacemente il fratel tuo m'impone.
Tu i re chiami a licenza, e ti professi
vindice a' Greci e d'Asia domatore;
mentre l'ora, e le vie di trucidarmi
insegna Teucro in Troia. Ostaggio io chiedo;
costei non vedi; ma chi tolse a lei
il figliuolo lattante, e chi più arditi
fe' gli schiavi? Tu sol. Tu che ribelli
fai teco i Locri e i Tessili, e mi sfidi;
e quando? Or che prorompono i Troiani
dalle lor rocche: or che novello sangue
spargerem noi per la vittoria. – Torna
a' magnanimi detti onde tu velo
festi alle insidie; or te conosco: trema.
AIACE
Tremi colui, che sogna fraudi; trema
tu che a' rimorsi e al terror che in te provi,
indur vorresti ogni alto core.
TECMESSA
Oh Aiace!... –
Tu che pur gemi all'altrui pianto, i miei
occhi in amare lagrime nuotanti
non vedi? e dispietato ahi! con me sola
con me che forse t'amo unica al mondo
sarai? – Potessi almen perir io sola!
CALCANTE
Dir parole di pace era pensiero
vostro, e agl'insulti trascorrete? Aperte
le greche tende all'assalto e alla fiamma
vedrà il troiano, e forse unico scampo
vi saran l'onde ed un ritorno infame
dopo tante speranze. Unico scampo!
Che spero? Il vincitor fatto più ardito
all'atterrito esercito la via
precluderà dell'Oceano. Indarno
le spose, i padri, i figli vostri indarno
nella lusinga de' trionfi vostri
cercan ristoro dell'incerta amara
lontananza protratta: abbandonati
eternamente, appena l'ossa e l'urna,
nè l'urna forse rivedran di voi!
AIACE
Ascolta dunque, o Agamennon. Tradito
o traditore esser dee Teucro; quindi
te seguir non poss'io, nè tu a notturna
pugna puoi muover con fidanza. Al giorno
sia differita. A Pirro ed a Peleo
l'infauste spoglie sien retaggio omai
e conforto nel lutto. Alla mia tenda
torni Tecmessa. Al re de' Locri e a' miei
tu manda ostaggio Menelao; che inerme
teco io starò pegno di Teucro. Il sole
le trame scopra, e il campo acheo non veda
di fraterni cadaveri profano.
AGAMENNONE
Non nel mio padiglione, in campo il sole
mi mostri estinto, o tal, che mai più meco
nessun da re favelli. Odil tu primo:
poi la vittoria il manifesti agli altri. –
L'Asia i greci oltraggiò poi che s'accorse
quanti discordi avidi re tiranni
si sbranavan la Grecia; e lor fu esempio
la schiatta vostra, Eacidi superbi
predatori di regni. A voi traeste,
sol con le sette e volgo e fama e cielo;
e, spenti ancor, resta alle vostre spoglie
la perfidia e la rissa. Abbia la Grecia
vendicator de' numi suoi me solo;
moderator, dominator me solo.
Vili ed innocue alfin palesi Ulisse
l'armi vostre. Tu prostrati: o a' Troiani
numi impotenti, a cui pace giurava
il padre tuo; a cui l'infame Teucro
consacra il figlio della schiava, io stesso,
a strugger tutti d'Eaco i nepoti,
lo svenerò.
AIACE
Perchè io mi prostri, devi
evocar la tua figlia e ricomporre
le ossa che a cena orrenda il padre tuo
teco imbandiva al suo fratel Tieste.
CALCANTE
O forsennati, forsennati! io veggio
l'inespiata ira d'Iddio chiamarvi
a scontar con novelle orride colpe
le iniquità de' padri. Entro quell'urne
voi le mani sacrileghe cacciando
sangue e fiele mescete all'esecrate
ceneri. – O Agamennon! gli avi tuoi crudi
e gli Dei che tu provochi, al tuo letto
vigili stanno; e tu li vedi; e serpe
negli occhi tuoi fra le lagrime il sonno
finchè il terror ti desti. Empio non sei;
ebbro d'orgoglio sei. Della tua vera
gloria deh! ascondi il tumulo d'Atreo;
con le regali tue virtù la terra
consola; e il cielo alfin placa e te stesso. –
E tu, mio figlio (o a me più assai che figlio!)
obbliar vuoi che sei mortale; alzarti
oltre la inferma, sventurata, cieca
nostra natura? Splendida si mostra
virtù; ma i petti umani arde funesta
quanto è più schietta; e appena un raggio scende
tra noi. S'innalza; già tutta rapita
al ciel l'hai tu; già del tuo lume splende
l'universo... Mi stride dall'Olimpo
la folgore, e l'obblio teco e la lunga
notte travolve chi agli Dei s'agguaglia. –
Ma che parlo? Feroci i lumi al suolo
questi crudeli fuggono. Tu indarno
morente quasi dal marito implori
pietà, e le voci ti soffoca il pianto.
Qui presso è un colle ed un altar... Mi segui.
TECMESSA
A me ti volgi, o signor mio; deh porgi
a me la destra, che mi trasse un giorno
di mezzo al sangue, alle rovine, al foco
de' miei tetti paterni... – Ove mi lasci?...
chi mi consola?... Ohimè! corri; in periglio
forse è il mio figlio...
AIACE
Serva d'altri io mai
vederti meco! – ...
TECMESSA
Il figlio mio...
AIACE
Di tutti
noi solo, o donna, il figliuol tuo fia salvo.
AGAMENNONE
Guardie, traete a voi la schiava.
AIACE
A voi
dunque traete il signor vostro esangue...
CALCANTE
Non profanate gli occhi miei di sangue,
empi! o ch'io torco in voi l'ire de' Greci. –
Della vostra regina, o sventurate,
reggete i passi. – Ecco la sacra benda
stendo sul capo all'innocente donna. –
Vieni: sull'are di dolor morremo.
(parte Tecmessa, Calcante e le Troiane, e vanno nel Tempio)
SCENA VI
AGAMENNONE, AIACE.
AGAMENNONE
Va; la mia fè ti giovi. Il campo io movo
ver le dardanie rocche; e sarà face
al sentier mio l'incendio delle tende
de' prigionieri.
AIACE
O crudelmente astuto!
ben fuggi il sol; ben nella notte fidi!
Ma non osi assalirmi; e vuoi ch'io stesso
abbandonando i miei congiunti a morte,
mi palesi tuo servo; o che la plebe
me traditor sospetti, ov'io col greco
scempio i frigi difenda. Or di': non pende
sui guerrier nostri che tien Priamo avvinti
la scure e il foco? E me divider pensi
dall'onor, dalla sposa e dal mio soglio
con le fiamme e i cadaveri? Vien dunque
poi che per mari d'innocente sangue
nuoti al sommo poter, vieni e la tua
fama, e la patria, e te sommergi. – Vedi
a terra il balteo e la vagina. Ignudo
sempre a' tuoi sguardi questo acciar baleni
finchè sicura e libera non sia
la Grecia meco.
AGAMENNONE
Il loco ove perisse
Agamennone atterrirà voi tutti
ed i figli e i nepoti. – A me il mio scettro.
(gli araldi gli presentano l'elmo e lo scettro, egli calcandosi l'elmo dice l'ultimo verso e parte)
– Tu Ifigenia reggi i destrieri e l'ira.
SCENA VII
AIACE.
O Teucro! e dove è il brando tuo? sì vile
mi credi tu che a vendicarmi corri
agli agguati? sei tu perfido o insano?
L'oscurità dell'Erebo è diffusa
anche su gli astri: io tra l'insidie e l'ombre
chi sa in che petto immergerò il mio ferro!
Teucro, ove sei? – Teucro! mi fai codardo. –
T'odo, Bellona! Il tuo urlo spaventa
la notte. Vengo, o fera Dea: vedrai
s'io placherò la tua rabbia di stragi.
Ma tu perdona agl'innocenti almeno!
SCENA VIII
AIACE, ULISSE.
ULISSE
Pur ti trovo: t'arresta. Al tuo disprezzo
è pari alfin la mia vendetta. O Aiace,
mi spregiasti; e più vil tu mi credevi
poi che potendo aver tomba d'eroe,
da te sostenni esser io salvo. Ah! vissi;
infame; e vivo; ma per farti infame. –
Te ammiri tu! Nessuno ammiro io mai,
tranne chi proprie fa le forze altrui.
Il tuo valore è mio; lo traggo io solo
a insane guerre: i mutui sdegni vostri
o Greci re, son miei; mia la delira
credulità de' popoli; l'amore
de' tuoi congiunti, è mio; mia di Calcante
la pietà che abborrendo Agamennone
darti i suoi Dei non osa. Io la fortuna
sol con le vostre passioni affretto;
ed oggi amica, oltre ogni speme, apparve.
Atride regni. Palamedi e Achilli
e nuovi Aiaci io gli apporrò, che Ulisse
rispetteranno. Ilio conquisti; e vinca,
s'ei può lo spettro di sua figlia e il muto
terror della vendetta onde la moglie
già gli circonda il talamo. Vacilla
quel trono ognor che su le tombe posa.
Ma per lui posso or assalirti. In campo
t'aspetta, o Aiace, il vincitor di Reso.
Dubbia è mia morte e la tua infamia è certa. –
Il cor dentro ti rugge... mi trafiggi
più traditor parrai...
(Aiace lo guarda con sprezzo e parte)
Gli apro l'abisso
lo vede, e freme; e più mi spregia ei sempre.
(parte)
ATTO V
SCENA I
CALCANTE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE.
CALCANTE
Fuggi, misera... Scendi.
CALCANTE
Dall'orrendo
spettacolo, voi donne, a piè dei colle
sottraetela.
TECMESSA
Il foco ahi! li divora. –
(scendendo)
E ripercosse quelle fiamme io sento
sovra il mio volto. – O padre mio!... beato
re di beati popoli ti vidi:
chi ti strappò la tua corona? Aiace
struggea la sede de' tuoi numi; Aiace
t'incatenò: pianse il crudele; e a Greci
ti strascinò di cenere cosperso
nè mi fe' moglie sua, nè ti difende
che ad innasprir contro di noi l'iniqua
insanguinata alma d'Atride... – O Aiace
tu almen ti salva dall'incendio. Invano
spegnerlo vuoi; vidi crollar fumando
il carcere de' miei; io con questi occhi
dagli armati carnefici in quel rogo
vidi scagliar vivo co' figli il padre...
Ohimè! spirano ardendo... ed esecrando
la lor sorella. O padre mio, mio padre
non maledirmi tu.
Silenzio
Ma, e voi... non siete
misere dunque al par di me? me sola
piangete forse?... E che? pianger potete! –
Meco tornate su quell'erta: udremo
delle vittime i gemiti: il mio padre
mi chiama... io manco... – o terra, ecco io t'abbraccio;
coprimi.
(cade e viene soccorsa)
Silenzio
Aiace, vien; mira la tua
moglie prostesa ove tu dianzi il forte
provocavi, o superbo, ed obbliasti
ch'io periva... Ma posso io non amarti?
Morir poss'io finchè il tuo figlio vive? –
E sì curvo alla valle, e che più guarda
l'atterrito profeta?... Odi, Calcante;
volgiti, deh!... al mio ultimo priego
rispondi. Vedi tu forse nei campi
illuminati dall'iniquo rogo
cader Aiace?... Ah! gridagli che seco
corre a perir la moglie sua.
CALCANTE
Rimane
languida vampa all'arse tende; e il fumo
ogni veder mi toglie. Atride, o figlia,
s'arretra; chè appressarsi a noi la pugna
intendo. Sorge in liete voci all'aura
d'Aiace il nome. – Odi feroce un grido?
«Io col mio brando ferirò Bellona».
Dell'aspro figlio d'Oileo è il grido.
Voi difendete l'are vostre, o Numi!...
Ma e questa donna a un tempo udite.
TECMESSA
Ah i numi
da che infelice io fui, più non m'udiro!
Patria e pace mi han tolto, e padre... tutto
m'han tolto: sposo mi torranno e figlio. –
Torni il sorriso al mio pallido volto,
il ciel non ama i miseri. Versate
fior sul mio grembo; a me i profumi e l'arpa
come quando l'allegro inno suonava
nella mia reggia. Allor m'udiva il cielo;
allor ch'io non gemeva!
CALCANTE
O desolata
giovine! oppressa dal cordoglio immenso
delira.
TECMESSA
E oh quante vergini guidavano
meco le danze; e zefiro sciogliea
le lor treccie odorate; ed i miei passi
e il mio sembiante illuminava il sole,
quando in Lirnesso i candidi corsieri
e l'aureo cocchio risplendeano e l'armi
de' frigi re!... Su via: date all'argiva
Elena il regio peplo, a lei le rose
e l'amoroso canto, a lei che il mare
empiea di navi a desolarmi. Intanto
fra i morti, il sangue, i gemiti e la notte
andrò errando se mai l'ossa de' miei
trovassi; e tutta consecrar sovr'esse
la mia chioma recisa; e sotterrarle
nelle rovine dell'avita reggia.
CALCANTE
O sanguinosa alba tu sorgi!
TECMESSA
Orrenda
del sacro vecchio odo la voce!
CALCANTE
L'asta
del Telamonio, o re de' re, ti giunge;
tu vacillando nel tuo cocchio a terra
cadi; ma sul tuo capo ecco protesi
cento scudi d'eroi. Muto stupore
al tuo cadere i popoli confonde.
Stanno attoniti, immobili. Percote
Aiace invan lo scudo ampio col brando
a rinfiammar i suoi guerrieri. – O Aiace,
solo tu pugni; e contro il ciel. Volava
l'aquila intorno alla tua culla, e Alcide
entro la pelle d'un leon sanguigna
ti ravvolgeva infante. Ah non ti tolse
l'esser mortal; ritratti: eterno è il fato;
le Parche ti circondano. E un iddio,
manifesto un iddio serba la vita
d'Agamennone a più funeste mani! –
Ecco il carro d'Ulisse; a rivi il sangue
dal rotto usbergo gli prorompe; a stento
regge le briglie; ma col guardo pugna
e con la voce moribondo. Rapide
le sue ruote sorvolano i cadaveri
di schiera in schiera. A' Tessali si mesce
e a' Salamini inerme; e l'odon tutti,
torcendo ad Ilio furibondi il volto. –
TECMESSA
...Spaventoso silenzio!... E non fremea
di minacce, di carri e di omicidi
la terra intorno?... Appena odo da lunge
il burrascoso muggito del mare. –
O! vi siete tra voi svenati tutti!
CALCANTE
Rapido il campo su le vie di Troia
s'affretta. – Aiace,... Aiace solo a noi
torce i destrieri a disperato corso. –
Odi il fragor delle sue ruote... Ei giunge.
SCENA II
CALCANTE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE, AIACE.
TECMESSA
O signor mio!... tu vivi; unico vivi...
AIACE
Nella mia nave è il figliuol nostro; al mare
fuggi; solingo è il campo: avrai fidata
scorta l'auriga, e celeri i destrieri.
I tristi antichi genitori miei
conforta e di' che tu non hai più padre,
nè congiunti... che sei madre del figlio
d'Aiace... ch'io la reggia tua distrussi,
che t'amai... che gemendo io ti lasciava...
di' che la gloria mia... – Ahi non m'intende
e in me tien fitta l'arida pupilla.
... Breve ed incerta ora m'avanza!
CALCANTE
Al fato
il lutto in parte, e solo in parte, il lutto
che a noi prepara or pagheremo!
AIACE
... Sorge
sorge, o Calcante, a' Greci il dì supremo.
L'incendio e l'alba fer palese a Troia
la civil pugna. Immensa onda d'armati
sul vallo acheo del monte Ida prorompe
e Teucro ei stesso li precorre. Ulisse,
che di sue colpe ha complici le furie,
de' saettieri le faretre addita,
e i noti elmi e i cimieri. Io li conobbi
co' nemici da lunge e nella mia
min tremò il ferro e sol vorrei fumante
trarlo dal sen del perfido fratello.
E ancor, ahi stolto! perfido nol credo,
nè so scolparlo. Ad una voce il campo
fellone il grida; e ogn'uom mi accusa e fugge.
Dell'empia strage de' prigioni inermi
già s'esalta il tiranno: a lui sue schiere
Nestore manda; e per l'achea salute
gemendo afferra Idomeneo la lancia.
Mi sospettano i Tessali, esecrando
Teucro insieme e gli Atridi; e le funeste
armi d'Achille chiedono a recarle
al patrio lido, e abbandonar gli Argivi
all'Iliaca vendetta. Unico il sire
de' Locri, ancor fido mi resta... ah forse
il mio verace unico amico è oppresso!
Che regi e plebe e numi affronta. – Omai
che fia non so: tutti siam noi traditi.
E solo tu, forse tu solo...
AIACE
Tu va... deh! spento è il nostro sangue
se tardi.
AIACE
Io? – vado ove andar deggio:
tu starai forse senza me gran tempo.
TECMESSA
Gran tempo!...
Silenzio
Aiace... tu d'una regina
felice un dì, misera poscia, spesso
tu mi parlavi lagrimando, e il tuo
cuore accusando, che canuta e assisa
su le tombe de' suoi, l'abbandonasti
sordo a' suoi lunghi prieghi. Era tua madre
quella regina; e ancor vive e t'aspetta,
e sventurato t'amerà, e con noi
lagrimerà di men amaro pianto.
A crescer meco disumano il nostro
figlio da te, deh! non impari. Torna
meco al tuo regno. Ahi! se tu mai non torni,
me d'ogni tua sciagura incolperanno
i genitori tuoi; della straniera
figlio fia detto il figlio tuo... – Qui teco
ch'io resti almen: nè ricordar m'udrai
ch'io per te più non ho padre e fratelli;
te piangerò, te seguirò sotterra.
AIACE
... Mi rivedrai,... se il rivedersi a' giusti
non è conteso. Ma il più starti meco
fia periglioso, or che i mortali e i numi
voglion punita la mia gloria. E Teucro...
ei che noi sempre amò felici... ei forse
perseguirà il mio figlio! Asilo in Troia
non ti sperar; se mai da' greci ha scampo
oppressa fia dalle sue colpe: e i tuoi
parenti omai nè il ciel potria ridarti.
Abbi rifugio a' miei: pietosi afflitti
sono, e innocenti, e a te simili in tutto.
Me difender poss'io, me solo; e tolto
forse dagli altri or ti sarei, se indugi.
Addio... t'amai; t'amo, Tecmessa...
TECMESSA
Or quando
tremò, come or, la tua man nelle mie!...
AIACE
Cedi a' miei prieghi... lasciami... – Mi prostri
il cor. Non far che i miei detti infelici
sieno comandi.
TECMESSA
A queste fide ancelle
e a' Dei del mar commetterò il mio figlio:
tu, padre mio, deh tu alquanto rimani.
Ratta io qui riedo. Al fero duol ch'ei preme,
e m'atterrisce, alcun sollievo forse
fia l'amor mio.
AIACE
Tal v'ha dolor, cui nulla
dolcezza val che ad innasprirlo.
(Tecmessa e le donzelle partono)
SCENA III
AIACE, CALCANTE.
CALCANTE
Io tremo:
che degg'io far? tu, che rivolgi in mente?
AIACE
Non gloria a me, nè libertà, nè speme,
tranne il mio brando e questo petto ov'io
piantarlo possa, a me nulla più resta.
Va, di' ch'io muoio, e fia tronca ogni rissa,
CALCANTE
Oh ciel!... Tu dunque rapirai i tuoi giorni
al voler degli Dei!... Tu d'inaudita
colpa agli Achei primo darai l'esempio!
AIACE
Fellone io sembro, e viver deggio? – dove? –
per chi? Fu vano tanto sangue offerto
a libertà; vinto fu Atride, e pugna.
Posso domarlo io più? Trarrò alla rissa
i pochi amici della mia sventura
or che il furor de' barbari sovrasta
al popol nostro?... Affronterò i Troiani?
Ma non gli affida il fratel mio? Già i Greci
la mia difesa abborrono. Nè posso
pugnar se il mio fratello io non uccido,
onde recar poscia alla patria i miei
ceppi e l'obbrobrio e il lutto. – O se vedessi
tu come l'infortunio in sì poche ore
m'ha trasmutata l'alma!... Io... quel fratello
ch'ebbi sì caro, e tuttavia fedele
stimo... io talor d'atri disegni accuso.
Sgombrarsi il mio trono paterno ei tenta.
Forse... e s'ei vince svenerà il mio figlio.
In sì bassi, tremanti, orridi sensi
or la vita io protraggo! – Se di noi
han cura i numi, e mi han dannato a tristi
servili dì, non mi dorrò dell'alta
ingiusta legge; eluderla ben posso. –
Va, riconcilia e salva i Greci; in tempo
sei forse.
CALCANTE
... Teco noi trafiggi... e mentre
l'evento ignori de' consigli eterni
tu lo precidi. Indugia almen... per poco
spera...
AIACE
Se il figlio orfano mio distormi,
nè quella ch'io morendo amo più sempre,
non può; tu certo nol potrai. Ben sento
freddo un orror nel perdere la luce
del giorno: odo ulular i disperati
miei genitor nel funereo deserto
delle mie case... – Il suo materno seno
m'apre intanto la terra; ed altro asilo
che in quelle sacre tenebre non trovo. –
Deh vola; salva con Atride i Greci,
fa santo il scettro del tiranno; il mio
capo e di Teucro al Tartaro consacra;
reca al volgo i suoi numi; uniche vie
a ricondurlo alla comun difesa
fien oggi: va... Se mai cedano i Teucri
avvisa i re che su la Grecia pende
l'ambizion d'Agamennone, pende
sovr'essi il ferro e la calunnia e Ulisse.
Di', che del morir mio solo conforto
m'è il ridestarli omai... Se rammentarmi
sdegnano, almen di Palamede, almeno
di Filottete vittime d'Atride
giovi il tremendo esempio... – Tu i miei fati
rispetta.
CALCANTE
...Ohimè – che all'orrido proposto
ti lasci!... Almen...
AIACE
E tu abbracciarmi, o giusto,
potresti? Vedi di che sangue io grondo.
Or di Lete la sacra onda lavarmi
dovrà. Ben tu l'esangue Aiace ignudo
amerai sempre. A quegl'iniqui invola
il cadavere mio: l'ascondi dove
nessun m'insulti e gridi: Ecco la fossa
d'un traditor.
CALCANTE
E così dunque inganni
la moglie tua, che a te, misera! torna?
AIACE
Poichè tu il brami, l'empio Ilio trionfi;
tu inorridisci intanto...
(per ferirsi)
CALCANTE
Arresta –... Addio.
AIACE
Men infelice di me vivi! – Addio.
CALCANTE
Gl'iniqui e i giusti un fulmin solo atterra.
(parte)
SCENA IV
AIACE.
Gli ultimi passi miei verso la morte,
giudice vera di noi tutti, alfine
libero e forte io volgerò. La speme
più non m'illude; e certa è la mia pace. –
Fortune umane tenebrose! Questa
spada, a' Greci fatale, Ettore diemmi;
la mia si cinse; e col mio balteo il vidi
legato esangue e strascinato. Or questa
spada, sul lito a cui guerra io giurai,
presso la tenda ove sdegnai curvarmi,
mi prostra: ed invisibile un fratello
esplora forse se più il cor mi batte,
per regnar poscia. – O Telamone, solo
regna, e nella tua pira ardi quel scettro.
Tu, o madre mia, abbraccia e mostra ai Greci
l'unico figlio di tuo figlio. Un empio
nato dall'abborrita tua rivale
tel rapirà... – Ahi tornano frementi
le umane cure e m'abbandona l'alta
sicurtà della morte. Aiace, fuggi
ove più non vedrai nè traditori
nè tiranni nè vili; ove imitarli
più non dovrai nè calunniar chi forse
or per te more. – O uomini infelici
nati ad amarvi e a trucidarvi, addio! –
O Salamina patria mia, paterne
are, da me non profanate mai,
campi difesi dal mio sangue, addio!
Ch'io veggia e adori quella sacra luce
del sol prima ch'io mora. Oh come s'alza
splendida, e il mio occhio avvilito insulta!
Ah, se rivive la mia fama, allora
o glorioso, eterno lume, o sole!
sovra il sepolcro mio versa i tuoi raggi.
Or ti guardo dall'Erebo, e ti fuggo,
e nell'ignota oscurità m'immergo
inorridito!... – Ahi l'infelice donna
m'insegue; io l'odo... Morir non mi veda.
(parte)
SCENA V
TECMESSA.
Salvati, Aiace... Ove sei tu?... T'insegue
stuol d'armati a gran passi... – Aiace! Aiace!
Ah m'hanno ucciso il signor mio... – Chi vedo?
Teucro!
SCENA VI
TECMESSA, CALCANTE, TEUCRO, AIACE, GUERRIERI.
CALCANTE
È perduto! – e ogni soccorso è vano.
TECMESSA
Dal suol ripiglia il ferro tuo... mi svena,
o fratricida; e nell'onde il mio figlio
insegui, e sovra il padre suo lo svena.
AIACE
(di dentro)
O morte!... amara or sei... Ah!
TECMESSA
Ahi! chi t'uccide,
o sposo mio...?
CALCANTE
Deh!... statti...
TECMESSA
Ohimè! sul brando
si sorregge e vacilla. – O Aiace mio
vieni; sul petto mio spira... io ti seguo.
AIACE
Ah!... – del mio cor la via... non trovò il ferro.
E a tanto lutto or qui rimani... – L'elmo
lasciami, armato io morirò... Il mio scudo
serba al mio figlio... Ah!... non obblii che è mio
figlio... ma troppo nol rammenti... – E dove
mi posi tu?... Questo è d'Atride il seggio.
TEUCRO
Nè a me un guardo rivolge... O mio fratello,
non esecrarmi! Laverò col mio
sangue le tue ferite; io che t'uccisi
e per salvar gl'ingrati Achei.
AIACE
Gli hai salvi!
Tu!... o mi deludi anche sull'urna?... Or dove
eri?... e quai genti ti seguian?
TEUCRO
Gran turba
di prigioni, e d'Ulisse eran le squadre.
Meco ei dovea sul monte Ida mostrarsi
a sviar verso noi l'armi nemiche
mentre alle rocche tu co' Greci avresti
dato l'assalto.
AIACE
Ah!... Ben nell'empia pugna
pochi scontrai degli Itacensi.
TEUCRO
Attesi
In van sino alla prima ora notturna
l'armi d'Ulisse: e mentre io dubitando
di sue promesse, già volea dar volta,
gran stuol d'armati traversò la selva
tacitamente. Eran novelli aiuti
che a' Dardani guidava il Licio Sire.
Pugnai; fuggì Glauco ferito; e i suoi
dall'ombre esterrefatti e dall'assalto
si arresero. Io tornava. A sommo il monte
da' precursori miei seppi che il campo
si congregava in ordinanza; e tutti
unirsi a' miei vidi i guerrier d'Ulisse.
Ei lor duce mi fea, poi che la pugna
il venir gli contese; e che in agguato
stessi a infestar l'oste nemica a tergo,
che a guerreggiarvi dalle porte uscia. –
Sicura io tenni la vittoria e conscio
te, Aiace mio, del loco ond'io pugnava,
ch'io fin d'ier t'inviava a darti avviso
Medonte nostro. A mezza via sul lito
mel recar l'onde a' piedi; a mezza via
fu trucidato e in mar sospinto...
AIACE
O quanti
fedeli amici... io trassi meco... a morte!
TEUCRO
Spesso l'afflitta mia mente presaga
mi consigliò il ritorno. Ah tardi io mossi
poi che m'accorsi dell'incendio. Vidi
che pria distormi dal congresso volle
il traditore; e quando arse la rissa
mandò i guerrieri e t'impedì il soccorso.
Mentr'io già tocco il vallo, gl'Itacensi
il mio drappel trafiggono alle spalle.
E con le guardie Argive Ulisse a un tempo
precorre il campo, e m'investe. Indifeso
cado ed oppresso, e te invocando, o Aiace.
Trattanto i Lici prigionier, cogliendo
i nostri dardi, tentano la fuga;
li cinge Ulisse, e a' popoli che omai
accorrean con gli Atridi: «Ecco, gridava,
ecco quali armi il traditor notturno
traea contro voi tutti» – Gl'Itacensi
la calunnia ripetono, e la plebe
liberatore Ulisse acclama; e tolte
l'armi d'Achille dall'altar, ne veste
quel traditor, che anelante ed esangue
non domo ancor dalle ferite esulta.
CALCANTE
L'empio nei nembi ravvolgete, o venti!
Deserta il pianga la sua casa! All'empio,
o mari, le carpite armi togliete!
Recatele alla sacra urna d'Aiace!
AIACE
Al tuo fratel gl'iniqui dubbi, o mio
Teucro, perdona... reggimi, Tecmessa,
ch'io l'abbracci. – O fratello! io non ti lascio
esecrandoti... io più vile non moro...
E tu sei salvo.
TEUCRO
Mi togliea dall'empie
spade il sire de' Locri; ei la tua fama
difende ancor,... e il delirante volgo
disingannar solo potea Calcante.
Ma qui, mia scorta io il trassi... Ohimè! salvarti
più non poss'io. – O Salamini, o soli
di tanti forti, o sciagurati avanzi,
chi più vi resta omai? viver degg'io?
Morite almen col nostro re; struggete
la tenda e il trono del tiranno.
CALCANTE
O figlio!
Qui i tutelari Dei stanno e le leggi
del popol nostro; il popolo a più atroci
colpe strascini...
AIACE
Ah! il civil sangue... basti,
o Teucro,... teco ogni sostegno a questa
donna rapisci e a' tuoi... Vano è il tuo brando
se sta ne' fati che d'Atreo la stirpe
regni... – Io manco... Addio, Teucro... su questa
tremante destra... e questo estremo priego
reca al duca de' Locri – o Teucro giura
che lascierai le mie vendette... al cielo...
SCENA ULTIMA
AIACE, TECMESSA, TEUCRO, CALCANTE, AGAMENNONE, ARALDO, GUERRIERI.
AIACE
Deh! vieni, coprimi col tuo
velo, Calcante, coprimi... che l'occhio
dell'oppressor... non contamini almeno
il morir mio. – Sotterra t'aspetto,
o re de' re!
(muore)
TECMESSA
Ahi miseri! O mio figlio
più non hai padre!
CALCANTE
Dell'eroe sopiti
ecco gli errori, e le virtù del giusto.
AGAMENNONE
O grande anima! – o a te funesta e a noi!
TECMESSA
Piangi? Fu poco di tua figlia il sangue
alla porpora tua. Tingila in questo
nè ti basti mai lagrima che il lavi,
ma il sangue tuo sparso da' tuoi.
AGAMENNONE
Più forte,
e più esecrato, e più infelice io sono. –