Edizione di riferimento: Giovanni Verga, I romanzi brevi e tutto il teatro, Introduzione generale di Giuliano Manacorda, Note introduttive di Giuliano Manacorda, Santino Spartà e Concetta Greco Lanza, Grandi tascabili economici, Newton Compton, Roma 1996
Becerra
Cesari
Scipioni
Negri
Delle Gargantas
Lionelli
Del Rivo
Emma
Virginia
Elvira
La Duchessa delle Gargantas
Un domestico di Becerra
Giulietta
In casa Becerra. Il gabinetto del Marchese.
Cesari, delle Gargantas.
DEL. GARG.: Ebbene?
CESARI: Dov'è Corrado?
DEL. GARG.: E andato a prevenir Biondi e m'ha incaricato d'aspettarti.
CESARI. Non c'è più bisogno di Biondi. Tutto è accomodato.
DEL. GARG.: Adagio, coll'accomodare! Io non son tanto facile ad accomodare le partite dei miei amici. Lionelli ci fa delle scuse.
CESARI. No, dà spiegazioni.
DEL. GARG.: Soddisfacenti?
CESARI: Soddisfacentissime: la contessa era indisposta.
DEL. GARG.: Se c'è chi ci crede!
CESARI. Bisogna crederci, noi per i primi, e farlo credere agli altri.
DEL. GARG.: Gli altri sanno che la contessa Lionelli ha lasciato il ballo per non trovarsi di fronte alla signora Negri. Corrado era il cavaliere delle Negri e...
CESARI: Corrado può ballare colla signora Negri, ma non può battersi per lei.
DEL. GARG.: Scusa, caro Cesari, appunto perché Corrado non può battersi per Madama Negri,... non può lasciarla insultare.
CESARI: Eh! lasciala stare, ché si difende da sé: è la più bella donna di Palermo.
DEL. GARG.: Ma che figura ci fa Corrado?
CESARI: La figura che ci fanno gli altri ad esser discreti, caro Delle Gargantas! La buona creanza insegna a chiudere gli occhi, ed anche le orecchie, sui fatti altrui. Ma è un'inciviltà, far del chiasso come se coloro che chiudono gli occhi e le orecchie fossero ciechi o sordi, perché è lo stesso che costringerli a svegliarsi o a farli passare per complici.
DEL. GARG.: È un caso di coscienza delicatissimo.
CESARI: Del resto tutti sanno che sotto la vendettuccia da beghina della Lionelli ci sia una vecchia ruggine di gelosia. La contessa, prima che Del Rivo ne facesse una puritana, era dei cavalieri. Corrado sarebbe perciò obbligato ad usarle dei riguardi.
DEL. GARG.: Riassumiamo la quistione: il nostro amico trovasi fra il fare torto alla riputazione di una donna, e il fare torto alla riputazione propria. Di qui non si scappa. Se trovi un solo espediente per uscirne tutti con onore senza andare sul terreno, son qua. In caso diverso sarà una disgrazia, ma non so che farci. Non transiggo con l'onore dei miei amici.
CESARI: In tal caso, giacché il tuo amico non può farsi il paladino dell'onore della Negri, avresti dovuto fare quel che ho fatto io.
DEL. GARG.: Cosa?
CESARE. Cercare un pretesto, e sfidare Lionelli per conto proprio.
DEL. GARG.: Eh? Come? Qual pretesto?
CESARI: Io ero il cavaliere della contessa e son responsabile del torto di lei in faccia a Corrado. Lionelli non m'ha fatto delle scuse per sua moglie ed io gliele ho chieste... almeno non passo per essere l'amante della Negri.
DEL. GARG.: E sei l'amico di Corrado! Tò! Un'idea che m'è sfuggita di mente!... Dove l'hai trovata?
CESARI: A casa mia, aspettando i testimoni di Lionelli.
DEL. CARD.: Scommetto d'indovinare.
CESARI: No... non lei, l'avvocato Scipione.
DEL. CARD.: Come c'entra costui?
CESARE. È amico di casa Negri, e avrà interesse che non si faccia del chiasso attorno alla madre di Madamigella Elvira.
DEL. GARG.: Il signor Avvocato non avrebbe il diritto di fare il difficile.
CESARI: Tu non hai il diritto di dirglielo.
DEL. GARG.: Ad ogni modo non si può negare che costui abbia delle idee. Quanto a te, tocca su, se non fossi Delle Gargantas...
CESARI: Non potresti essere altri.
DEL. GARG.: Tutto ben considerato... non c'è d'aversela a male.
Cesari, delle Gargantas, Emma.
DEL. GARG.: Buondì, cugina.
EMMA: Buondì, cugino, buondì signor Cesari.
DEL. GARG.: Son venuto per farvi i miei auguri... anzi i miei complimenti. Cos'altro potrei augurarvi? Siete il più bel fiore del vostro salotto.
EMMA: Grazie (ridendo).
DEL. GARG.: La bella toeletta? È di Worth?
EMMA: No, è della Bossi.
DEL. GARG.: Perché non foste al ballo ier sera?
EMMA: Ero stanca.
DEL. GARG,: Temevo foste indisposta non avendovi vista al Bellini. Era la vostra sera; tutti i cannocchiali vi cercavano. C'era la vostra nuova parente, l'Acardio, una delizia! Verrete almeno sabato dalla zia Principessa?
EMMA: Forse.
DEL. GARG.: Ci saranno tutti i nostri, il fior fiore.
UN DOMESTICO (annunziando): La signora Negri.
Cesari, delle Gargantas, Emma, Virginia.
VIRGINIA: Buondì, cara.
EMMA: Buondì, Virginia.
VIRGINIA: Non ti domando della salute. Sei più bella che mai. Buondì, Cesari. Buondì, Delle Gargantas.
DEL. GARG.: Madama...
VIRGINIA: Non eri al ballo? Se avessi vista l'Acardio al Bellini un onore! (osservando il vestito della marchesa) È della Bossi?
EMMA: Sì.
VIRGINIA: Bellino. No, due minuti soli, all'impiedi. Son venuta per darti un bacio e i miei auguri, ed anche per domandarti un servigio da parte di mio marito. Prima il servigio. Negri ti prega di presentare un suo protetto alla duchessa tua madre.
EMMA: Chi?
VIRGINIA: Il signor Scipioni, l'avrai incontrato dieci volte in casa mia.
EMMA: L'avvocato?
VIRGINIA: Avvocato. Ma uno non se ne avvede. È uomo di spirito e très comme il faut. Negri dice che è di coloro i quali arrivano dove vogliono. Che bel mazzo! Di tuo marito?
EMMA: No.
VIRGINIA: È vero, troppo bello per un marito. A proposito del tuo, digli che diventa impossibile. Ier sera non ho avuto nemmeno il tempo di dirglielo durante li ballo. Ma è un'ora che avrei dovuto andarmene. Addio, a giovedì.
DEL. GARG.: Vuol permettermi d'accompagnarla sino alla sua carrozza?
VIRGINIA: Le permetto tutto quel che vuole. (ad Emma) Conducimi il nostro disertore. (dall'uscio) A proposito; Cesari, se vede Becerra lei ch'è il suo indivisibile gli domandi l'indirizzo del conte Lionelli. M'ha fatto chiedere un invito. Addio, cara, rimani, addio.
Cesari, Emma.
EMMA: Che folletto, la Virginia
CESARI: È un avvocato Scipioni, donna.
EMMA: In che senso?
CESARI: Nel miglior senso. È di quelle che arrivano dove vogliono.
EMMA: Ella è nata arrivata. È una Montereale.
CESARI: Quello che dico io. Non le mancava altro che arrivare a sposare un milionario per essere quella che è; una donna très comme il faut.
EMMA: Si direbbe che le tenete il broncio.
CESARI: Non le ho fatto mai la corte.
EMMA: Per generosità, per scoraggiamento, o per altri riguardi?
CESARI: Per riguardo d'altri...
EMMA (seccamente): Il signor Negri è nel numero dei vostri amici.
CESARI: Nel numero del più.
EMMA: Grazie per mio marito è il vostro Pilade. L'avete visto?
CESARI: Ier sera al Circolo.
EMMA: Perde sempre?
CESARI: Come tutti quelli che hanno altre fortune.
EMMA: Becerra desidererebbe precisamente quella che gli manca.
CESARI: E il fato comune.
EMMA (odorando i fiori): Ho ricevuto i vostri fiori. Bellissimi.
CESARI: Volete permettermi di mandarvene di simili tutti i giorni, giacché vi piacciono?
EMMA: Sì, tutti i giorni in cui ricorrerà il mio onomastico, e vi rammenterete di farmi i vostri auguri.
CESARI: Scusatemi. Non ho dimenticato di farveli.
EMMA (coi fiori in mano): Grazie, e son [...]
CESARI. E soprattutto non c'è il pericolo che perdono la bussola come delle Gargantas.
EMMA (seccamente): Voi avete molto tatto.
CESARI: In che senso? per dire come dite voi.
EMMA: Nel miglior senso. Andrete a questo ballo della Principessa?
CESARI: Se mi promettete la prima contradanza, sì.
EMMA: Da oggi a sabato!... Mi supponete una bella memoria.
CESARI: Non ve la suppongo tanto cattiva!
EMMA: Oh, cattivissima, se non fosse il mio libriccino...
CESARI: Quando si può iscriversi?
EMMA: Dalla principessa.
CESARI: Ci andrete almeno?
EMMA: Io vado a tutti i balli.
CESARI: Che fortuna, per tutti.
EMMA: Mi diverto; è il mio mestiere.
CESARI: Vedete che invece di auguri non ho altro a farvi che delle congratulazioni (pausa).
EMMA: Foste al Bellini?
CESARI: Sì.
EMMA: Molta gente?
CESARI: Molta.
EMMA: Vedeste l'Acardio?
CESARI: Mangiava gli occhi.
EMMA: Che donna è?
CESARI: Una magnifica bruna, con nastri rossi, tipo arabo o granatino.
EMMA: Un bel tipo insomma?
CESARI: Secondo le latitudini.
EMMA: Sembra non sia il vostro.
CESARI: Sì, in Norvegia.
EMMA: Ragion dippiù. So che al Meridiano del Geraci hanno fortuna i tipi delle lontane latitudini.
CESARE Chi ve l'ha detto?
EMMA: Mio marito, parlando d'altri.
CESARI: Vostro marito ha torto di burlarsi degli altri.
EMMA: Si dice che a Firenze l'Acardio abbia fatto furore.
CESARI: Firenze è al Nord.
EMMA: Ed ha fatto parlar di sé.
CESARI: I nastri rossi colà danno nell'occhio.
EMMA: Delle Gargantas ne era entusiasta.
CESARI: Delle Gargantas, l'avrà vista senza nastri.
EMMA: Decisamente... il nostro discorso scorazza per le latitudini.
CESARI (alzandosi): Orsù. Addio.
EMMA: Sans rancume?
CESARI: Sans rancume. Abbiamo parlato del Bellini, dell'Acardio, del ballo, della Negri, me ne vado perché non abbiamo più nulla a dire.
EMMA: A rivederci allora.
CESARI (in piedi): Davvero è una cosa singolare.
EMMA: Che vi dica a rivederci?
CESARI: Che una donna come voi non possa scambiare dieci parole con un uomo come me senza prendere l'attitudine di due avversari. Da un quarto d'ora non facciamo che giocare di scherma.
EMMA: Perché la prendete quest'attitudine voi altri?
CESARI: Perché voi altre prendete quella della difesa prima ancora che vi si attacchi.
EMMA: Siete un impertinente.
CESARI: Ecco!
EMMA: Vi sorprende anche cotesto?
CESARI (serio): Mi sorprende che abbia potuto supporre che vi si parli come alle altre donne.
EMMA: Infatti, m'ero sorpresa anch'io.
CESARI: Avete avuto torto.
EMMA: Scusatemi (ironica).
CESARI: Voi altre siete ingiuste ed irragionevoli, ci accusate di esser leggieri e volgari incapaci di un sentimento schietto e profondo, e allorquando osiamo manifestarvene uno ci ridete in faccia, voltate la cosa in ridicolo, ci obbligate ad assumere quel tono di leggerezza che ci rimproverate.
EMMA: Abbiamo torto anche in questo.
CESARI: Sì, voi più di ogni altra verso di me.
EMMA (suona, il Domestico): La mia carrozza — aspettate, prima. Mettete in ordine quei fiori.
CESARI: Uscite?
EMMA: Sì, ho delle visite.
CESARI: Il giorno della vostra festa?
EMMA: Sarò di ritorno prima delle due.
CESARI (inchinandosi a lei a voce bassa, serio e grave): Io vi amo.
EMMA (tirandosi indietro nuovamente): Oh! (indi rimettendosi ironica) Grazie. È un gran pezzo che mi dovete questo complimento.
CESARI: È un gran pezzo che voi lo sapete, che questo sentimento mi riempie tutto, che questa parola mi viene sulle labbra e mi arde negli occhi... So tutto quello che potreste dirmi, e vi lascio prima che siate obbligata a mettermi alla porta. Addio. Emma. Addio.
EMMA (passeggia agitata pochi istanti, visibilmente indispettita. Fermandosi di botto, al domestico): Cosa fate là.
DOMESTICO: La signora Marchesa mi aveva ordinato...
EMMA: Va bene. Portate via quei fiori (indicando il mazzo di Cesari).
DOMESTICO: Dove?
EMMA: In anticamera, dove volete. Mi danno alla testa.
DOMESTICO: A che ora la signora Marchesa desidera la carrozza?
EMMA: No, non esco più.
DOMESTICO (ma subito ritornando): La signora Duchessa.
Duchessa, Emma.
EMMA (andandole incontro): Mamma!
DUCH.: Tuo marito?
EMMA: Non so. Dammi un bacio tu. Oggi è la mia festa.
DUCH.: Come stai?
EMMA: Benissimo.
DUCH.: Mi sembri un po' pallida.
EMMA: T'inganni, tu piuttosto sei agitata.
DUCA.: Son venuta in fretta. Tuo marito è in casa?
EMMA: Non l'ho ancora visto.
DUCA.: Il dì del tuo onomastico! Ai miei tempi... m'avrebbe sentita il mio signor genero!
EMMA (sorridendo): No, mamma! non ti avrebbe sentito! Del resto tu te ne sei rammentata. Mi basta.
DUCH.: Mi sembra che l'abbiano rammentato anche degli altri.
EMMA: Sì, i mei amici.
DUCH.: Che vuoi, figlia mia, un marito non è un amico.
EMMA: È vero.
DUCH.: Cattiva. Non ho voluto dir questo. Un marito è il migliore degli amici, è come chi dicesse un amico che non ci compromette né con Dio né col mondo. Tuo marito non è obbligato a mettersi i guanti, a giorno fisso, e di darti dei fiori per dirti che ti vuol bene.
EMMA: Mio marito mi dà 12.000 Lire all'anno per i miei spilli.
DUCA.: Tu gli hai portato in dote dieci volte tanto, sia per non detto.
EMMA: Che brutte parole, mamma, ai tuoi tempi non si dicevano.
DUCH.: È vero: anzi non venivano neppure in mente. Del resto sei felice?
EMMA: Sì.
DUCA.: Tuo marito ti vuol bene, voglio dire ti rispetta?
EMMA: Immensamente.
DUCH.: È perfetto gentiluomo. Che Dio vi benedica. Venite a desinare da me oggi. Son venuta a prendervi.
EMMA: Se Corrado non ha altri impegni.
DUCH.: Fallo chiamare.
EMMA (inquieta): Cosa devo dirgli (suonando).
DUCH.: Devi dirgli di venire a desinare da me.
EMMA (al domestico): Domandate se il Marchese è in casa. Dimmi cosa succede per l'amor di Dio.
DUCH.: Cosa vuoi che succeda?
EMMA: Non so, ho paura.
DUCH.: Zitta! C'è stata gente?
EMMA: Sì, Delle Gargantas, Cesari, Virginia.
DUCH.: La signora Negri!
EMMA: Ti sorprende. È un pezzo che non si faceva viva, ma il dì della mia festa... non è un merito.
DUCH.: Cosa t'ha detto Cesari?
EMMA: Perché me lo domandi?
DOM.: Il signor Marchese è uscito.
DUCH.: Da quando?
DOM.: Da un'ora circa.
DUCH.: Solo?
DOM.: Solo.
EMMA: Sta bene, quando sarà di ritorno pregatelo di venir qui. (alla duch.) Corrado si batte?
DUCH.: Cosa ti salta in mente?
EMMA: Giurami che non è.
DUCH.: Cosa vuoi che giuri, quel che non so.
EMMA: Dimmi tutto quel che sai. Sarebbe peggio.
DUCH.: Ma che cosa ti fa immaginare...
EMMA: Non lo so, il mio cuore, i tuoi occhi. Vedo! Dimmi cosa succede a Corrado. Una contesa! non m'ingannare, non sapresti mentire.
DUCH.: Una cosa da nulla, una di quelle cose che accadono tutti i giorni, al giorno d'oggi. Un semplice diverbio che gli amici metteranno in chiaro.
EMMA: Con chi?
DUCH.: Col conte Lionelli.
EMMA: Una quistione di giuoco?
DUCH.: No.
EMMA: Di donne allora?
DUCH.: Questo non è supposizione degna della Marchesa di Becerra.
EMMA: Io non suppongo nulla.
DUCH.: È proprio quel che si dice nulla! Quando verrà tuo marito vedrai tu stessa...
EMMA: Ma non gli dir nulla.
DUCH.: Non vuoi?
EMMA: No. Sarebbe inutile. Mentirebbe.
DUCH.: Lui, Becerra!
EMMA: Cosa vuoi che faccia?
DUCH.: È vero. Lo vedi anche tu! Sei di buon sangue! (l'abbraccia). Capisci anche tu che quando una è moglie del marchese di Becerra bisogna fare la parte del fuoco, vuol dire dell'onore del marito.
EMMA: Credevo che l'onore di mio marito fossi io.
DUCH.: Sì, sì, tu sei il suo orgoglio, la corona del suo stemma. Ma l'onore di un marito non è come quello della moglie.
EMMA: Fortunatamente.
DUCH.: Fortunatamente per loro. Ma che vuoi farci, bambina mia! Gli uomini son gli uomini; e bisogna prenderli come son fatti e non come son fatti nei romanzi. Credi a me che conosco il mondo da 20 anni prima di te. Un marchese di Becerra, sai, non è un marito come un altro, né un amante.
EMMA: Perché?
DUCH.: Perché, perché? Insomma, queste cose non si domandano. Tuo marito è quel che dev'essere e tu sei messa troppo in alto perché possano giungere sino a te i pettegolezzi del mondo.
EMMA: Come si chiama costei?
DUCH.: Chi costei?
EMMA: Non temere ho del coraggio; e mi rispetto. So il mio dovere, come si chiama questa donna.
DUCH.: Non lo so.
EMMA: Lo saprò.
DUCH.: Ma cosa immagini?
EMMA: Nulla.
DUCH.: Sei gelosa di tuo marito?
EMMA: Gelosa! io?
DUCH.: Dimmi tutto. Non son tua madre? Tuo marito ti dà dei dispiaceri?...
EMMA: No.
DUCH.: Corrado è gentiluomo. Del resto, figlia mia, da' retta a me, per mantenere la buona intelligenza nell'intimità, giacché pure bisogna starci, pel mondo, per gli uomini e per Dio, bisogna fare come quando si viaggia in ferrovia, ora che non si usano le buone sedie di posta; se non si trovano posti di rango, e bisogna adattarsi ad essere più d'uno in una carrozza, bisogna tirarsi un po' in qua perché il tuo vicino si tiri altrettanto in là, e se [...] il cristallo, purché non sia quello del tuo lato, bisogna chiudere un occhio, Emma. Del resto tuo marito sa il dover suo.
EMMA (con amarezza): Mio marito è perfetto. Io ho le più ricche toilette, i migliori cavalli, i più bei diamanti, vado al teatro, al ballo, al corso, sola, con chi più mi piace, ricevo i miei amici, sono corteggiata, incensata, mi diverto. Mio marito ne è contento, mi accompagna al ballo se lo desidera, e mi lascia libera di essere felice.
DUCH.: Figlia mia!
EMMA (asciugandosi risolutamente le lagrime con amarezza ed orgoglio): Non gli dir nulla, non voglio aver l'aria di una donna trascurata. Chi è?
Domestico e dette.
DoM.: Il sig. Scipioni.
DUCH.: Chi è costui?
EMMA: Un protetto del Sig. Negri. Virginia mi ha pregato di presentartelo.
DUCH.: Dite che la marchesa non è in casa (domestico via). Dove va a ficcarsi costei! Perché ti ha domandato questa presentazione.
EMMA: Sembra che tu potresti giovar molto a costui.
DUCH.: Lo conosci, tu?
EMMA: L'ho incontrato qualche volta in casa Negri.
DOM. (ritornando): Il signor Scipioni insiste per esser ricevuto, perché ha una comunicazione da far pel Sig. Marchese.
DUCH.: Fate entrare (domestico via).
EMMA: Cosa sarà, mamma!
DUCH.: Ora la sapremo.
Scipioni e dette.
SCIPIONI: Marchesa la prego di perdonarmi se insisto per esser ricevuto. Il Sig. di Becerra aspetta una risposta dal conte Lionelli, urgente a quanto sembra. Il conte vedrà stasera il Sig. di Becerra e gliela darà egli stesso con una stretta di mano.
EMMA: Grazie, signore. Mamma, il Sig. Scipioni.
DUCH.: Siete il benvenuto.
EMMA: Il sig. Lionelli ha detto in qual luogo si troverà con mio marito.
SCIPIONI: Sembra che sia sicuro di trovarlo ad un ballo dove sarà il Sig. Becerra.
EMMA: La sua commissione sarà tosto fatta appena Becerra sarà di ritorno. Mamma il sig. Scipioni è dei miei amici (via).
Scipioni, la Duchessa.
DUCH.: Voi siete un uomo di spirito, signore.
SCIPIONI: Son lieto d'essere arrivato fino a Lei, Duchessa.
DUCH.: Siate il benvenuto ora che ci siete. Come avete indovinato...