Giacomo Leopardi

Sonetti in persona di Ser pecora fiorentino beccaio

 

SONETTO I

     Il Manzo a dimenarsi si sollazza,

Cozza col muro e vi si dicervella,

Con la coda si scopa e si flagella,

Scote le corna e mugge e soffia e razza.

     Con l’unghia alza la polve e la sparnazza;

Bassa ’l capo, rincula e s’arrovella

Stira la corda, strigne la mascella,

E sbalza e salta e fin che può scorrazza.

     Dàlle al muro: oh per certo e gli vuol male

Ve’ come gli s’avventa: animo: guata

Se non par ch’aggia a farne una focaccia.

     Oh gli è pur duro, Manzo, quel rivale.

Va, Coso, e ’l tasta d’una tentennata,

E gli ’nfuna le zampe e glien’allaccia.

     E s’oggi non gli schiaccia

Il maglio quelle corna e quel capone,

Vo’ gir sul cataletto a pricissione.

 

SONETTO II

     Su, scaviglia la corda. Oh ve’, gavazza

E tripudia e ballonzola e saltella:

Non de’ saper che ’l bue qui si macella:

Via, per saggio, lo tanfana e lo spazza;

     Via gli fruga la schiena e gli spelazza:

E’ dà nel foco giù da la padella.

Le corna gli ’mpastoia e gli ’ncappella;

Ammanna la ferriera, e to’ la mazza.

     Su, Cionno, ravvilluppati ’l grembiale,

Gli avvalla il capo, cansa la cozzata,

E giuca de la vita e de le braccia.

     Ve’, s’arrosta e s’accoscia: orsù, non vale:

Gli appicca, Meo, sul collo una bacchiata,

Fa’ che risalti in piede, e gli t’abbraccia,

     E ’l tira, e gli ricaccia

Le corna abbasso, e senza discrezione

Gli accomanda la testa a l’anellone.

 

SONETTO III

     Ve’ che ’l tira, e s’indraca e schizza e ’mpazza:

Dagli ’n sul capo via, che non lo svella;

Su, gli acciacca la nuca e la sfracella.

Ma ve’ che ’l maglio casca e non l’ammazza.

     Oh che testa durissima, oh che razza

Di bestia! i’ vo’ morir s’ha le cervella.

Ma gli trarrò le corna e le budella

S’avesse la barbuta e la corazza.

     Leva ’l maglio, Citrullo, un’altra fiata,

E glien’assesta un’altra badiale,

E l’anima gli sbarbica e gli slaccia.

     Fagli de la cucuzza una schiacciata:

Ve’ che basisce, e dice al mondo, vale;

Suso un’altra, e ’l sollecita e lo spaccia.

     In grazia, Manzo, avaccia:

A ogni mo’ ti bisogna ire al cassone,

Passando per li denti a le persone.

 

SONETTO IV

     E’ fa gheppio. Su l’anca or lo stramazza,

L’arrovescia; e lo sgozza e l’accoltella.

Ve’ ch’ancor trema e palpita e balzella,

Guata che le zampacce in aria sguazza.

     Qua, ché già ’l sangue spiccia e sgorga e sprazza.

Qua presto la barletta o la scodella;

Reca qualcosa, o secchia o catinella

O ’l bugliuolo o la pentola o la cazza:

     Corri pel calderotto o la stagnata,

Dà’ di piglio a la tegghia o a l’orinale;

Presto, dico, il malan, che ti disfaccia.

     Di molto sangue avea quest’animale:

Mo fagli fare un’altra scorpacciata,

E di vento l’impregna e l’abborraccia.

     Istrigati e ti sbraccia:

Mano speditamente a lo schidone:

Busagli ’l ventre, e ’nzeppavi ’l soffione.

 

SONETTO V

     Senti ch’e’ fischia e cigola e strombazza:

Gli è satollo di vento: or lo martella,

E ’l dabbudà su l’epa gli strimpella

E ne rintrona il vicolo e la piazza.

     Ve’ la pelle, al bussar, mareggia e guazza:

Lo spenzola pel rampo a la girella:

Lo sbuccia tutto quanto e lo dipella:

E ’l disangua, lo sbatti e lo strapazza.

     Sbarralo, e tra’ budella e tra’ corata,

Tra’ milza, che per fiel più non ammale,

E l’entragno gli sbratta e gli dispaccia.

     D’uno or vo ch’e’ riesca una brigata:

Gli affetta l’anca e ’l ventre e lo schienale,

E lo smembra, lo smozzica, lo straccia.

     Togliete oh chi s’affaccia:

Ecco carni strafresche, ecco l’argnone:

Vo’ mi diciate poi se saran buone.