XXII
[22 Aprile 1814]
Fin che il ver fu delitto, e la
Menzogna
Corse gridando, minacciosa il
ciglio:
“Io son sola che parlo, io sono il
vero”,
Tacque il mio verso, e non mi fu
vergogna,
5 Non fu vergogna, anzi gentil
consiglio;
Ché non è sola lode esser sincero,
Né rischio è bello senza nobil fine.
Or che il superbo morso
Ad onesta parola è tolto alfine,
10 Ogni compresso affetto al labbro è
corso;
Or s'udrà ciò che, sotto il giogo
antico,
Sommesso appena esser potea discorso
Al cauto orecchio di privato amico.
Toglier lo scudo de le
Leggi antique
15 E le da lor create, e il sacro patto
Mutar come si muta un vestimento;
O non mutate non serbarle, e inique
Farle serbar benché segrete, e in
atto
Di chi pensa, tacendo, al
tradimento;
20 E novi statuir padri alla legge,
E, perché amici ai buoni,
Sperderli a guisa di spregiato
gregge:
Questi de' salvatori erano i doni;
Questo dicean fondarne a civil vita;
25 Qual se Italia, al chiamar d'esti
Anfioni
Fosse dei boschi e de le tane
uscita.
Anzi, fatta da lor donna
e reina
La salutaro, o fosse frode o
scherno:
D'armi reina, io dico, e di
consigli;
30 Essa che ai piè de la imperante inchina
Stavasi, e fea di sue ricchezze
eterno
Censo agli estranei, e de gli
estrani al figli;
Che regger si dovea con l'altrui
cenno;
Che ogni anno il suo tesoro
35 Su l'avara ponea lance di Brenno.
È ver; tributo nol dicean costoro,
Men turpe nome il vincitor foggiava.
Ma che monta, per Dio! Terra che
l'oro
Porta, costretta, allo straniero, è
schiava.
40 E svelti i figli al genitor
dal fianco,
E aprir loro le porte, ed esser
padre
Delitto, e quasi anco i sospir
nocenti;
E tratti in ceppi, e noverati a
branco,
Spinti ad offesa d'innocenti squadre
45 Con cui meglio starieno abbracciamenti.
Oh giorni! oh campi che nomar non
oso!
Deh! per chi mai scorrea
Quel sangue onde il terren vostro è
fumoso?
O madri orbate, o spose, a chi crescea
50 Nel sen custode ogni viril portato?
Era tristezza esser feconde, e rea
Novella il dirvi: un pargoletto è
nato!
Né gente or voglio
cagionar de' mali
Che lo stesso bevea calice d'ira,
55 Né infonder tosco ne le piaghe aperte;
Ma dico sol ch'è da pensar da quali
Strette il perdono del Signor ne
tira,
Perché sien maggior grazie a Lui
riferte.
Ché quando eran più l'onte aspre ed
estreme,
60 E al veder nostro, estinto
Ogni raggio parea d'umana speme;
Allor fuor de la nube arduo ed
accinto,
Tuonando, il braccio salvator s'è
mostro;
Dico che Iddio coi ben pugnanti ha
vinto;
65 Che a ragion si rallegra il popol
nostro.
Bel mirar da le inospiti
latebre
Giovin raminghi al sospirato tetto
Correr securi, ed a le braccia pie;
E quei che in ferri astrinse ed in
tenebre
70 L'odio potente, un motto od un sospetto
Al soavi tornar colloquj e al die;
E un favellar di gioja e di
speranza,
E su le fronti scolta
De' concordi pensier l'alma fidanza;
75 E il nobil fior de' generosi a scolta
Durar ne l'armi e vigilar, mostrando
Con che acceso voler la patria
ascolta
Quando libero e vero è il suo
dimando;
E quel che a dir le sue
ragioni or chiama
80 Lunge da basso studio e da contesa,
Parlar per lei com'ella è desiosa,
E l'antica far chiara itala brama;
Che sarà, spero, a quei possenti
intesa
Cui par che piaccia ogni più nobil
cosa.
85 Vedi il drappello che al governo è
sopra,
Animoso e guardingo,
Al ben di tutti aver rivolta ogni
opra;
E i ministri di Dio dal mite aringo
Nel dritto calle ragunar la greggia.
Molte e gran cose in picciol fascio
io stringo;
Ma qual parlar sì belle opre
pareggia?
[5] Aprile 1815
O delle imprese alla più degna
accinto,
Signor che la parola hai proferita,
Che tante etadi indarno Italia
attese;
Ah! quando un braccio le teneano
avvinto
5 Genti che non vorrian toccarla unita,
E da lor scissa la pascean d'offese;
E l'ingorde udivam lunghe contese
Dei re tutti anelanti a farle
oltraggio;
In te sol uno un raggio
10 Di nostra speme ancor vivea, pensando
Ch'era in Italia un suol senza
servaggio,
Ch'ivi slegato ancor vegliava un
brando.
Sonava intanto d'ogni
parte un grido,
Libertà delle genti e gloria e pace!
15 Ed aperto d'Europa era il convito,
E questa donna di cotanto lido,
Questa antica, gentil, donna pugnace
Degna non la tenean dell'alto
invito:
Essa in disparte, e posto al labbro
il dito,
20 Dovea il fato aspettar dal suo nemico,
Come siede il mendico
Alla porta del ricco in sulla via;
Alcun non passa che lo chiami amico,
E non gli far dispetto è cortesia.
25 Forse infecondo di tal madre
or langue
Il glorioso fianco? o forse ch'ella
Del latte antico oggi le vene ha
scarse?
O figli or nutre, a cui per essa il
sangue
Donar sia grave? o tali a cui più
bella
30 Pugna sembri tra loro ingiuria farse?
Stolta bestemmia! eran le forze
sparse,
E non le voglie; e quasi in ogni
petto
Vivea questo concetto:
Liberi non sarem se non siam uni;
35 Ai men forti di noi gregge dispetto,
Fin che non sorga un uom che ci
raduni.
Egli è sorto, per Dio!
Sì, per Colui
Che un dì trascelse il giovinetto
ebreo
Che del fratello il percussor
percosse;
40 E fattol duce e salvator de' sui
Degli avari ladron sul capo reo
L'ardua furia soffiò dell'onde
rosse;
Per quel Dio che talora a stranie
posse,
Certo in pena, il valor d'un popol
trade;
45 Ma che l'inique spade
Frange una volta, e gli oppressor
confonde;
E all'uom che pugne per le sue
contrade
L'ira e la gioia de' perigli
infonde.
Con Lui, signor,
dell'Itala fortuna
50 Le sparse verghe raccorrai da terra,
E un fascio ne farai ne la tua mano
.
. . .
. . .
. . .
. . .
XXIV
ODE
Alla illustre memoria
di
TEODORO KOERNER
poeta
e soldato
della
indipendenza germanica
morto
sul campo di Lipsia
il
giorno XVIII d'Ottobre MDCCCXIII
nome
caro a tutti i popoli
che
combattono per difendere
o
per riconquistare
una patria.
[marzo 1821]
Soffermati sull'arida sponda,
Vòlti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell'antica virtù,
5 Han giurato: Non fia che quest'onda
Scorra più tra due rive straniere;
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l'Italia e l'Italia, mai più!
L'han giurato: altri forti a quel giuro
10 Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell'ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
Già le sacre parole son porte:
15 O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suol.
Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell'Orba selvosa
20 Scerner l'onde confuse nel Po;
Chi stornargli del rapido Mella
E dell'Oglio le miste correnti,
Chi ritogliergli i mille torrenti
Che la foce dell'Adda versò,
25 Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor:
Una gente che libera tutta,
30 O fia serva tra l'Alpe ed il mare;
Una d'arme, di lingua, d'altare,
Di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
Con quel guardo atterrato ed incerto,
35 Con che stassi un mendico sofferto
Per mercede nel suolo stranier,
Star doveva in sua terra il Lombardo;
L'altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato, un segreto d'altrui;
40 La sua parte, servire e tacer.
O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia, e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
Da una terra che madre non v'è.
45 Non vedete che tutta si scote,
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
Sotto il peso de' barbari piè?
O stranieri! sui vostri stendardi
50 Sta l'obbrobrio d'un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito
V'accompagna all'iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
55 Ogni gente sia libera, e pera
Della spada l'iniqua ragion.
Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de' vostri oppressori,
Se la faccia d'estranei signori
60 Tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v'ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell'itale genti?
Chi v'ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v'udì?
65 Sì, quel Dio che nell'onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio, ed il colpo guidò;
Quel che è Padre di tutte le genti,
70 Che non disse al Germano giammai:
Va’, raccogli ove arato non hai;
Spiega l'ugne; l'Italia ti do.
Cara Italia! dovunque il dolente
Grido uscì del tuo lungo servaggio;
75 Dove ancor dell'umano lignaggio
Ogni speme deserta non è;
Dove già libertade è fiorita,
Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lacrime un'alta sventura,
80 Non c'è cor che non batta per te.
Quante volte sull'Alpe spiasti
L'apparir d'un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
Ne' deserti del duplice mar!
85 Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
Stretti intorno a' tuoi santi colori,
Forti, armati de' propri dolori,
I tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni
90 Il furor delle menti segrete:
Per l'Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convito de' popoli assisa,
95 O più serva, più vil, più derisa
Sotto l'orrida verga starà.
Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
Che da lunge, dal labbro d'altrui,
100 Come un uomo straniero, le udrà!
Che a' suoi figli narrandole un giorno,
Dovrà dir sospirando: io non c'era;
Che la santa vittrice bandiera
Salutata quel dì non avrà.
XXV
[17-19 luglio 1821]
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore,
Orba di tanto spiro,
5 Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all'ultima
Ora dell'uom fatale;
Né sa quando una simile
10 Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio, e tacque;
15 Quando con vece assidua
Cadde, risorse, e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
20 E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio;
E scioglie all'urna un cantico
Che forse non morrà.
25 Dall'Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
30 Dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
L'ardua sentenza; nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
35 Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d'un gran disegno,
L'ansia d'un cor che indocile
40 Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch'era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
45 La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
50 L'un contro l'altro armati,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe' silenzio, ed arbitro
S'assise in mezzo a lor.
55 E sparve, e i dì nell'ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d'immensa invidia
E di pietà profonda,
D'inestinguibil odio
60 E d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
L'onda s'avvolve e pesa,
L'onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
65 Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Tal su quell'alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
70 Narrar sé stesso imprese,
E sull'eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh! quante volte, al tacito
Morir d'un giorno inerte,
75 Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
80 Tende, e i percossi valli,
E il lampo de' manipoli,
E l'onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
85 Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò; ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
90 Pietosa il trasportò;
E l'avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desideri avanza,
95 Dov'è silenzio e tenebre
La gloria che passò.
Bella immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
100 Ché più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
105 Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.