LIRICHE POLITICHE
CANZONI E ODI CIVILI

  Alessandro Manzoni (1814-1821)

 

XXII

[APRILE 1814]

[22 Aprile 1814]

 

                        Fin che il ver fu delitto, e la Menzogna

            Corse gridando, minacciosa il ciglio:

            “Io son sola che parlo, io sono il vero”,

            Tacque il mio verso, e non mi fu vergogna,

5          Non fu vergogna, anzi gentil consiglio;

            Ché non è sola lode esser sincero,

            Né rischio è bello senza nobil fine.

            Or che il superbo morso

            Ad onesta parola è tolto alfine,

10        Ogni compresso affetto al labbro è corso;

            Or s'udrà ciò che, sotto il giogo antico,

            Sommesso appena esser potea discorso

            Al cauto orecchio di privato amico.

                        Toglier lo scudo de le Leggi antique

15        E le da lor create, e il sacro patto

            Mutar come si muta un vestimento;

            O non mutate non serbarle, e inique

            Farle serbar benché segrete, e in atto

            Di chi pensa, tacendo, al tradimento;

20        E novi statuir padri alla legge,

            E, perché amici ai buoni,

            Sperderli a guisa di spregiato gregge:

            Questi de' salvatori erano i doni;

            Questo dicean fondarne a civil vita;

25        Qual se Italia, al chiamar d'esti Anfioni

            Fosse dei boschi e de le tane uscita.

                        Anzi, fatta da lor donna e reina

            La salutaro, o fosse frode o scherno:

            D'armi reina, io dico, e di consigli;

30        Essa che ai piè de la imperante inchina

            Stavasi, e fea di sue ricchezze eterno

            Censo agli estranei, e de gli estrani al figli;

            Che regger si dovea con l'altrui cenno;

            Che ogni anno il suo tesoro

35        Su l'avara ponea lance di Brenno.

            È ver; tributo nol dicean costoro,

            Men turpe nome il vincitor foggiava.

            Ma che monta, per Dio! Terra che l'oro

            Porta, costretta, allo straniero, è schiava.

40                    E svelti i figli al genitor dal fianco,

            E aprir loro le porte, ed esser padre

            Delitto, e quasi anco i sospir nocenti;

            E tratti in ceppi, e noverati a branco,

            Spinti ad offesa d'innocenti squadre

45        Con cui meglio starieno abbracciamenti.

            Oh giorni! oh campi che nomar non oso!

            Deh! per chi mai scorrea

            Quel sangue onde il terren vostro è fumoso?

            O madri orbate, o spose, a chi crescea

50        Nel sen custode ogni viril portato?

            Era tristezza esser feconde, e rea

            Novella il dirvi: un pargoletto è nato!

                        Né gente or voglio cagionar de' mali

            Che lo stesso bevea calice d'ira,

55        Né infonder tosco ne le piaghe aperte;

            Ma dico sol ch'è da pensar da quali

            Strette il perdono del Signor ne tira,

            Perché sien maggior grazie a Lui riferte.

            Ché quando eran più l'onte aspre ed estreme,

60        E al veder nostro, estinto

            Ogni raggio parea d'umana speme;

            Allor fuor de la nube arduo ed accinto,

            Tuonando, il braccio salvator s'è mostro;

            Dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto;

65        Che a ragion si rallegra il popol nostro.

                        Bel mirar da le inospiti latebre

            Giovin raminghi al sospirato tetto

            Correr securi, ed a le braccia pie;

            E quei che in ferri astrinse ed in tenebre

70        L'odio potente, un motto od un sospetto

            Al soavi tornar colloquj e al die;

            E un favellar di gioja e di speranza,

            E su le fronti scolta

            De' concordi pensier l'alma fidanza;

75        E il nobil fior de' generosi a scolta

            Durar ne l'armi e vigilar, mostrando

            Con che acceso voler la patria ascolta

            Quando libero e vero è il suo dimando;

                        E quel che a dir le sue ragioni or chiama

80        Lunge da basso studio e da contesa,

            Parlar per lei com'ella è desiosa,

            E l'antica far chiara itala brama;

            Che sarà, spero, a quei possenti intesa

            Cui par che piaccia ogni più nobil cosa.

85        Vedi il drappello che al governo è sopra,

            Animoso e guardingo,

            Al ben di tutti aver rivolta ogni opra;

            E i ministri di Dio dal mite aringo

            Nel dritto calle ragunar la greggia.

            Molte e gran cose in picciol fascio io stringo;

            Ma qual parlar sì belle opre pareggia?

 

 

XXIII

IL PROCLAMA DI RIMINI

Frammento

[5] Aprile 1815

 

                        O delle imprese alla più degna accinto,

            Signor che la parola hai proferita,

            Che tante etadi indarno Italia attese;

            Ah! quando un braccio le teneano avvinto

5          Genti che non vorrian toccarla unita,

            E da lor scissa la pascean d'offese;

            E l'ingorde udivam lunghe contese

            Dei re tutti anelanti a farle oltraggio;

            In te sol uno un raggio

10        Di nostra speme ancor vivea, pensando

            Ch'era in Italia un suol senza servaggio,

            Ch'ivi slegato ancor vegliava un brando.

                        Sonava intanto d'ogni parte un grido,

            Libertà delle genti e gloria e pace!

15        Ed aperto d'Europa era il convito,

            E questa donna di cotanto lido,

            Questa antica, gentil, donna pugnace

            Degna non la tenean dell'alto invito:

            Essa in disparte, e posto al labbro il dito,

20        Dovea il fato aspettar dal suo nemico,

            Come siede il mendico

            Alla porta del ricco in sulla via;

            Alcun non passa che lo chiami amico,

            E non gli far dispetto è cortesia.

25                    Forse infecondo di tal madre or langue

            Il glorioso fianco? o forse ch'ella

            Del latte antico oggi le vene ha scarse?

            O figli or nutre, a cui per essa il sangue

            Donar sia grave? o tali a cui più bella

30        Pugna sembri tra loro ingiuria farse?

            Stolta bestemmia! eran le forze sparse,

            E non le voglie; e quasi in ogni petto

            Vivea questo concetto:

            Liberi non sarem se non siam uni;

35        Ai men forti di noi gregge dispetto,

            Fin che non sorga un uom che ci raduni.

                        Egli è sorto, per Dio! Sì, per Colui

            Che un dì trascelse il giovinetto ebreo

            Che del fratello il percussor percosse;

40        E fattol duce e salvator de' sui

            Degli avari ladron sul capo reo

            L'ardua furia soffiò dell'onde rosse;

            Per quel Dio che talora a stranie posse,

            Certo in pena, il valor d'un popol trade;

45        Ma che l'inique spade

            Frange una volta, e gli oppressor confonde;

            E all'uom che pugne per le sue contrade

            L'ira e la gioia de' perigli infonde.

                        Con Lui, signor, dell'Itala fortuna

50        Le sparse verghe raccorrai da terra,

            E un fascio ne farai ne la tua mano

            .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

 

XXIV

MARZO 1821

ODE

 

Alla illustre memoria

di

TEODORO KOERNER

poeta e soldato

della indipendenza germanica

morto sul campo di Lipsia

il giorno XVIII d'Ottobre MDCCCXIII

nome caro a tutti i popoli

che combattono per difendere

o per riconquistare

una patria.

 

[marzo 1821]

 

                        Soffermati sull'arida sponda,

            Vòlti i guardi al varcato Ticino,

            Tutti assorti nel novo destino,

            Certi in cor dell'antica virtù,

5          Han giurato: Non fia che quest'onda

            Scorra più tra due rive straniere;

            Non fia loco ove sorgan barriere

            Tra l'Italia e l'Italia, mai più!

                        L'han giurato: altri forti a quel giuro

10        Rispondean da fraterne contrade,

            Affilando nell'ombra le spade

            Che or levate scintillano al sol.

            Già le destre hanno stretto le destre;

            Già le sacre parole son porte:

15        O compagni sul letto di morte,

            O fratelli su libero suol.

                        Chi potrà della gemina Dora,

            Della Bormida al Tanaro sposa,

            Del Ticino e dell'Orba selvosa

20        Scerner l'onde confuse nel Po;

            Chi stornargli del rapido Mella

            E dell'Oglio le miste correnti,

            Chi ritogliergli i mille torrenti

            Che la foce dell'Adda versò,

25                    Quello ancora una gente risorta

            Potrà scindere in volghi spregiati,

            E a ritroso degli anni e dei fati,

            Risospingerla ai prischi dolor:

            Una gente che libera tutta,

30        O fia serva tra l'Alpe ed il mare;

            Una d'arme, di lingua, d'altare,

            Di memorie, di sangue e di cor.

                        Con quel volto sfidato e dimesso,

            Con quel guardo atterrato ed incerto,

35        Con che stassi un mendico sofferto

            Per mercede nel suolo stranier,

            Star doveva in sua terra il Lombardo;

            L'altrui voglia era legge per lui;

            Il suo fato, un segreto d'altrui;

40        La sua parte, servire e tacer.

                        O stranieri, nel proprio retaggio

            Torna Italia, e il suo suolo riprende;

            O stranieri, strappate le tende

            Da una terra che madre non v'è.

45        Non vedete che tutta si scote,

            Dal Cenisio alla balza di Scilla?

            Non sentite che infida vacilla

            Sotto il peso de' barbari piè?

                        O stranieri! sui vostri stendardi

50        Sta l'obbrobrio d'un giuro tradito;

            Un giudizio da voi proferito

            V'accompagna all'iniqua tenzon;

            Voi che a stormo gridaste in quei giorni:

            Dio rigetta la forza straniera;

55        Ogni gente sia libera, e pera

            Della spada l'iniqua ragion.

                        Se la terra ove oppressi gemeste

            Preme i corpi de' vostri oppressori,

            Se la faccia d'estranei signori

60        Tanto amara vi parve in quei dì;

            Chi v'ha detto che sterile, eterno

            Saria il lutto dell'itale genti?

            Chi v'ha detto che ai nostri lamenti

            Saria sordo quel Dio che v'udì?

65                    Sì, quel Dio che nell'onda vermiglia

            Chiuse il rio che inseguiva Israele,

            Quel che in pugno alla maschia Giaele

            Pose il maglio, ed il colpo guidò;

            Quel che è Padre di tutte le genti,

70        Che non disse al Germano giammai:

            Va’, raccogli ove arato non hai;

            Spiega l'ugne; l'Italia ti do.

                        Cara Italia! dovunque il dolente

            Grido uscì del tuo lungo servaggio;

75        Dove ancor dell'umano lignaggio

            Ogni speme deserta non è;

            Dove già libertade è fiorita,

            Dove ancor nel segreto matura,

            Dove ha lacrime un'alta sventura,

80        Non c'è cor che non batta per te.

                        Quante volte sull'Alpe spiasti

            L'apparir d'un amico stendardo!

            Quante volte intendesti lo sguardo

            Ne' deserti del duplice mar!

85        Ecco alfin dal tuo seno sboccati,

            Stretti intorno a' tuoi santi colori,

            Forti, armati de' propri dolori,

            I tuoi figli son sorti a pugnar.

                        Oggi, o forti, sui volti baleni

90        Il furor delle menti segrete:

            Per l'Italia si pugna, vincete!

            Il suo fato sui brandi vi sta.

            O risorta per voi la vedremo

            Al convito de' popoli assisa,

95        O più serva, più vil, più derisa

            Sotto l'orrida verga starà.

                        Oh giornate del nostro riscatto!

            Oh dolente per sempre colui

            Che da lunge, dal labbro d'altrui,

100      Come un uomo straniero, le udrà!

            Che a' suoi figli narrandole un giorno,

            Dovrà dir sospirando: io non c'era;

            Che la santa vittrice bandiera

            Salutata quel dì non avrà.

 

 

XXV

IL CINQUE MAGGIO

 

[17-19 luglio 1821]

 

 

                        Ei fu. Siccome immobile,

            Dato il mortal sospiro,

            Stette la spoglia immemore,

            Orba di tanto spiro,

5          Così percossa, attonita

            La terra al nunzio sta,

                        Muta pensando all'ultima

            Ora dell'uom fatale;

            Né sa quando una simile

10        Orma di piè mortale

            La sua cruenta polvere

            A calpestar verrà.

                        Lui folgorante in solio

            Vide il mio genio, e tacque;

15        Quando con vece assidua

            Cadde, risorse, e giacque,

            Di mille voci al sonito

            Mista la sua non ha:

                        Vergin di servo encomio

20        E di codardo oltraggio,

            Sorge or commosso al subito

            Sparir di tanto raggio;

            E scioglie all'urna un cantico

            Che forse non morrà.

25                    Dall'Alpi alle Piramidi,

            Dal Manzanarre al Reno,

            Di quel securo il fulmine

            Tenea dietro al baleno;

            Scoppiò da Scilla al Tanai,

30        Dall'uno all'altro mar.

                        Fu vera gloria? Ai posteri

            L'ardua sentenza; nui

            Chiniam la fronte al Massimo

            Fattor, che volle in lui

35        Del creator suo spirito

            Più vasta orma stampar.

                        La procellosa e trepida

            Gioia d'un gran disegno,

            L'ansia d'un cor che indocile

40        Serve, pensando al regno;

            E il giunge, e tiene un premio

            Ch'era follia sperar;

                        Tutto ei provò: la gloria

            Maggior dopo il periglio,

45        La fuga e la vittoria,

            La reggia e il tristo esiglio:

            Due volte nella polvere,

            Due volte sull'altar.

                        Ei si nomò: due secoli,

50        L'un contro l'altro armati,

            Sommessi a lui si volsero,

            Come aspettando il fato;

            Ei fe' silenzio, ed arbitro

            S'assise in mezzo a lor.

55                    E sparve, e i dì nell'ozio

            Chiuse in sì breve sponda,

            Segno d'immensa invidia

            E di pietà profonda,

            D'inestinguibil odio

60        E d'indomato amor.

                        Come sul capo al naufrago

            L'onda s'avvolve e pesa,

            L'onda su cui del misero,

            Alta pur dianzi e tesa,

65        Scorrea la vista a scernere

            Prode remote invan;

                        Tal su quell'alma il cumulo

            Delle memorie scese!

            Oh quante volte ai posteri

70        Narrar sé stesso imprese,

            E sull'eterne pagine

            Cadde la stanca man!

                        Oh! quante volte, al tacito

            Morir d'un giorno inerte,

75        Chinati i rai fulminei,

            Le braccia al sen conserte,

            Stette, e dei dì che furono

            L'assalse il sovvenir!

                        E ripensò le mobili

80        Tende, e i percossi valli,

            E il lampo de' manipoli,

            E l'onda dei cavalli,

            E il concitato imperio,

            E il celere ubbidir.

85                    Ahi! forse a tanto strazio

            Cadde lo spirto anelo,

            E disperò; ma valida

            Venne una man dal cielo,

            E in più spirabil aere

90        Pietosa il trasportò;

                        E l'avviò, pei floridi

            Sentier della speranza,

            Ai campi eterni, al premio

            Che i desideri avanza,

95        Dov'è silenzio e tenebre

            La gloria che passò.

                        Bella immortal! benefica

            Fede ai trionfi avvezza!

            Scrivi ancor questo, allegrati;

100      Ché più superba altezza

            Al disonor del Golgota

            Giammai non si chinò.

                        Tu dalle stanche ceneri

            Sperdi ogni ria parola:

105      Il Dio che atterra e suscita,

            Che affanna e che consola,

            Sulla deserta coltrice

            Accanto a lui posò.