INNI SACRI

  Alessandro Manzoni

 

XXVI

LA RISURREZIONE

[Aprile-23 giugno 1812]

 

                        È risorto: or come a morte

            La sua preda fu ritolta?

            Come ha vinto l'atre porte,

            Come è salvo un'altra volta

5          Quei che giacque in forza altrui?

            Io lo giuro per Colui

            Che da' morti il suscitò.

                        È risorto: il capo santo

            Più non posa nel sudario;

10        È risorto: dall'un canto

            Dell'avello solitario

            Sta il coperchio rovesciato:

            Come un forte inebbriato

            Il Signor si risvegliò.

15                    Come a mezzo del cammino,

            Riposato alla foresta,

            Si risente il pellegrino,

            E si scote dalla testa

            Una foglia inaridita,

20        Che, dal ramo dipartita,

            Lenta lenta vi risté:

                        Tale il marmo inoperoso,

            Che premea l'arca scavata

            Gittò via quel Vigoroso,

25        Quando l'anima tornata

            Dalla squallida vallea,

            Al Divino che tacea:

            Sorgi, disse, io son con Te.

                        Che parola si diffuse

30        Tra i sopiti d'Israele!

            Il Signor le porte ha schiuse!

            Il Signor, l'Emmanuele!

            O sopiti in aspettando,

            È finito il vostro bando:

35        Egli è desso, il Redentor.

                        Pria di Lui nel regno eterno

            Che mortal sarebbe asceso?

            A rapirvi al muto inferno,

            Vecchi padri, Egli è disceso:

40        Il sospir del tempo antico,

            Il terror dell'inimico,

            Il promesso Vincitor.

                        Ai mirabili Veggenti,

            Che narrarono il futuro,

45        Come il padre ai figli intenti

            Narra i casi che già furo,

            Si mostrò quel sommo Sole,

            Che, parlando in lor parole,

            Alla terra Iddio giurò;

50                    Quando Aggeo, quando Isaia

            Mallevaro al mondo intero

            Che il Bramato un dì verria;

            Quando assorto in suo pensiero

            Lesse i giorni numerati,

55        E degli anni ancor non nati

            Daniel si ricordò.

                        Era l'alba; e, molli il viso,

            Maddalena e l'altre donne

            Fean lamento sull'Ucciso;

60        Ecco tutta di Sionne

            Si commosse la pendice,

            E la scolta insultatrice

            Di spavento tramortì.

                        Un estranio giovinetto

65        Si posò sul monumento:

            Era folgore l'aspetto,

            Era neve il vestimento:

            Alla mesta che 'l richiese

            Diè risposta quel cortese:

70        È risorto; non è qui.

                        Via co' palii disadorni

            Lo squallor della viola:

            L'oro usato a splender torni:

            Sacerdote, in bianca stola,

75        Esci ai grandi ministeri,

            Tra la luce de' doppieri,

            Il Risorto ad annunziar.

                        Dall'altar si mosse un grido:

            Godi, o Donna alma del cielo;

80        Godi; il Dio, cui fosti nido

            A vestirsi il nostro velo,

            È risorto, come il disse:

            Per noi prega: Egli prescrisse

            Che sia legge il tuo pregar.

85                    O fratelli, il santo rito

            Sol di gaudio oggi ragiona;

            Oggi è giorno di convito;

            Oggi esulta ogni persona:

            Non è madre che sia schiva

90        Della spoglia più festiva

            I suoi bamboli vestir.

                        Sia frugal del ricco il pasto;

            Ogni mensa abbia i suoi doni;

            E il tesor, negato al fasto

95        Di superbe imbandigioni,

            Scorra amico all'umil tetto,

            Faccia il desco poveretto

            Più ridente oggi apparir.

                        Lunge il grido e la tempesta

100      De' tripudi inverecondi:

            L'allegrezza non è questa

            Di che i giusti son giocondi;

            Ma pacata in suo contegno,

            Ma celeste, come segno

105      Della gioia che verrà.

                        Oh beati! a lor più bello

            Spunta il sol de' giorni santi;

            Ma che fia di chi rubello

            Torse, ahi stolto! i passi erranti

110      Nel sentier che a morte guida?

            Nel Signor chi si confida

            Col Signor risorgerà.

 

XXVII

IL NOME DI MARIA

[9 novembre 1812-19 aprile 1813]

 

                        Tacita un giorno a non so qual pendice

            Salia d'un fabbro nazaren la sposa;

            Salia non vista alla magion felice

            D'una pregnante annosa;

5                      E detto: “Salve” a lei, che in reverenti

            Accoglienze onorò l'inaspettata,

            Dio lodando, sclamò: Tutte le genti

            Mi chiameran beata.

                        Deh! con che scherno udito avria i lontani

10        Presagi allor l'età superba! Oh tardo

            Nostro consiglio! oh degl'intenti umani

            Antiveder bugiardo!

                        Noi testimoni che alla tua parola

            Ubbidiente l'avvenir rispose,

15        Noi serbati all'amor, nati alla scola

            Delle celesti cose,

                        Noi sappiamo, o Maria, ch'Ei solo attenne

            L'alta promessa che da Te s'udia,

            Ei che in cor la ti pose: a noi solenne

20        È il nome tuo, Maria.

                        A noi Madre di Dio quel nome sona:

            Salve beata! che s'agguagli ad esso

            Qual fu mai nome di mortal persona,

            O che gli vegna appresso?

25                    Salve beata! in quale età scortese

            Quel sì caro a ridir nome si tacque?

            In qual dal padre il figlio non l'apprese?

            Quai monti mai, quali acque

                        Non l'udiro invocar? La terra antica

30        Non porta sola i templi tuoi, ma quella

            Che il Genovese divinò, nutrica

            I tuoi cultori anch'ella.

                        In che lande selvagge, oltre quei mari

            Di sì barbaro nome fior si coglie,

35        Che non conosca de' tuoi miti altari

            Le benedette soglie?

                        O Vergine, o Signora, o Tuttasanta,

            Che bei nomi ti serba ogni loquela!

            Più d'un popol superbo esser si vanta

40        In tua gentil tutela.

                        Te, quando sorge, e quando cade il die,

            E quando il sole a mezzo corso il parte,

            Saluta il bronzo, che le turbe pie

            Invita ad onorarte.

45                    Nelle paure della veglia bruna,

            Te noma il fanciulletto; a Te, tremante,

            Quando ingrossa ruggendo la fortuna,

            Ricorre il navigante.

                        La femminetta nel tuo sen regale

50        La sua spregiata lacrima depone,

            E a Te beata, della sua immortale

            Alma gli affanni espone;

                        A Te che i preghi ascolti e le querele,

            Non come suole il mondo, né degl'imi

55        E de' grandi il dolor col suo crudele

            Discernimento estimi.

                        Tu pur, beata, un dì provasti il pianto,

            Né il dì verrà che d'oblianza il copra:

            Anco ogni giorno se ne parla; e tanto

60        Secol vi corse sopra.

                        Anco ogni giorno se ne parla e plora

            In mille parti; d'ogni tuo contento

            Teco la terra si rallegra ancora,

            Come di fresco evento.

65                    Tanto d'ogni laudato esser la prima

            Di Dio la Madre ancor quaggiù dovea;

            Tanto piacque al Signor di porre in cima

            Questa fanciulla ebrea.

                        O prole d'Israello, o nell'estremo

70        Caduta, o da sì lunga ira contrita,

            Non è Costei, che in onor tanto avemo,

            Di vostra fede uscita?

                        Non è Davidde il ceppo suo? Con Lei

            Era il pensier de' vostri antiqui vati,

75        Quando annunziaro i verginal trofei

            Sopra l'inferno alzati.

                        Deh! a Lei volgete finalmente i preghi,

            Ch'Ella vi salvi, Ella che salva i suoi;

            E non sia gente né tribù che neghi

80        Lieta cantar con noi:

                        Salve, o degnata del secondo nome,

            O Rosa, o Stella ai periglianti scampo,

            Inclita come il sol, terribil come

            Oste schierata in campo.

           

 

XXVIII

IL NATALE

[13 luglio-29 settembre 1813]

 

                        Qual masso che dal vertice

            Di lunga erta montana,

            Abbandonato all'impeto

            Di rumorosa frana,

5          Per lo scheggiato calle

            Precipitando a valle,

            Batte sul fondo e sta;

                        Là dove cadde, immobile

            Giace in sua lenta mole;

10        Né, per mutar di secoli,

            Fia che riveda il sole

            Della sua cima antica,

            Se una virtude amica

            In alto nol trarrà:

15                    Tal si giaceva il misero

            Figliol del fallo primo,

            Dal dì che un'ineffabile

            Ira promessa all'imo

            D'ogni malor gravollo,

20        Donde il superbo collo

            Più non potea levar.

                        Qual mai tra i nati all'odio,

            Quale era mai persona,

            Che al Santo inaccessibile

25        Potesse dir: perdona?

            Far novo patto eterno?

            Al vincitore inferno

            La preda sua strappar?

                        Ecco ci è nato un Pargolo,

30        Ci fu largito un Figlio:

            Le avverse forze tremano

            Al mover del suo ciglio:

            All'uom la mano Ei porge,

            Che si ravviva, e sorge

35        Oltre l'antico onor.

                        Dalle magioni eteree

            Sgorga una fonte, e scende,

            E nel borron de' triboli

            Vivida si distende:

40        Stillano mèle i tronchi

            Dove copriano i bronchi,

            Ivi germoglia il fior.

                        O Figlio, o Tu cui genera

            L'Eterno, eterno seco;

45        Qual ti può dir de' secoli:

            Tu cominciasti meco?

            Tu sei: del vasto empireo

            Non ti comprende il giro:

            La tua parola il fe'.

50                    E Tu degnasti assumere

            Questa creata argilla?

            Qual merto suo, qual grazia

            A tanto onor sortilla?

            Se in suo consiglio ascoso

55        Vince il perdon, pietoso

            Immensamente Egli è.

                        Oggi Egli è nato: ad Efrata,

            Vaticinato ostello,

            Ascese un'alma Vergine,

60        La gloria d'Israello,

            Grave di tal portato:

            Da cui promise è nato,

            Donde era atteso uscì.

                        La mira Madre in poveri

65        Panni il Figliol compose,

            E nell'umil presepio

            Soavemente il pose;

            E l'adorò: beata!

            Innanzi al Dio prostrata,

70        Che il puro sen le aprì.

                        L'Angel del cielo, agli uomini

            Nunzio di tanta sorte,

            Non de' potenti volgesi

            Alle vegliate porte;

75        Ma tra i pastor devoti,

            Al duro mondo ignoti,

            Subito in luce appar.

                        E intorno a Lui, per l'ampia

            Notte calati a stuolo,

80        Mille celesti strinsero

            Il fiammeggiante volo;

            E accesi in dolce zelo,

            Come si canta in cielo,

            A Dio gloria cantar.

85                    L'allegro inno seguirono,

            Tornando al firmamento:

            Tra le varcate nuvole

            Allontanossi, e lento

            Il suon sacrato ascese,

90        Fin che più nulla intese

            La compagnia fedel.

                        Senza indugiar, cercarono

            L'albergo poveretto

            Que' fortunati, e videro,

95        Siccome a lor fu detto,

            Videro in panni avvolto,

            In un presepe accolto,

            Vagire il Re del Ciel.

                        Dormi, o Fanciul; non piangere;

100      Dormi, o Fanciul celeste:

            Sovra il tuo capo stridere

            Non osin le tempeste,

            Use sull'empia terra,

            Come cavalli in guerra,

105      Correr davanti a Te.

                        Dormi, o Celeste: i popoli

            Chi nato sia non sanno;

            Ma il dì verrà che nobile

            Retaggio tuo saranno;

110      Che in quell'umil riposo,

            Che nella polve ascoso,

            Conosceranno il Re.

           

 

XXIX

LA PASSIONE

[3 marzo 1814-15 ottobre 1815]

 

            O tementi dell'ira ventura,

            Cheti e gravi oggi al tempio moviamo,

            Come gente che pensi a sventura,

            Che improvviso s'intese annunziar.

5          Non s'aspetti di squilla il richiamo;

            Nol concede il mestissimo rito:

            Qual di donna che piange il marito,

            È la veste del vedovo altar.

                        Cessan gl'inni e i misteri beati,

10        Tra cui scende, per mistica via,

            Sotto l'ombra de' pani mutati,

            L'ostia viva di pace e d'amor.

            S'ode un carme: l'intento Isaia

            Proferì questo sacro lamento,

15        In quel dì che un divino spavento

            Gli affannava il fatidico cor.

                        Di chi parli, o Veggente di Giuda?

            Chi è costui che, davanti all'Eterno,

            Spunterà come tallo da nuda

20        Terra, lunge da fonte vital?

            Questo fiacco pasciuto di scherno,

            Che la faccia si copre d'un velo,

            Come fosse un percosso dal cielo,

            Il novissimo d'ogni mortal?

25                    Egli è il Giusto, che i vili han trafitto,

            Ma tacente, ma senza tenzone;

            Egli è il Giusto; e di tutti il delitto

            Il Signor sul suo capo versò.

            Egli è il santo, il predetto Sansone,

30        Che morendo francheggia Israele;

            Che volente alla sposa infedele

            La fortissima chioma lasciò.

                        Quei che siede sui cerchi divini,

            E d'Adamo si fece figliolo;

35        Né sdegnò coi fratelli tapini

            Il funesto retaggio partir:

            Volle l'onte, e nell'anima il duolo,

            E l'angosce di morte sentire,

            E il terror che seconda il fallire,

40        Ei che mai non conobbe il fallir.

                        La repulsa al suo prego sommesso,

            L'abbandono del Padre sostenne:

            Oh spavento! l'orribile amplesso

            D'un amico spergiuro soffrì.

45        Ma simìle quell'alma divenne

            Alla notte dell'uomo omicida:

            Di quel Sangue sol ode le grida,

            E s'accorge che Sangue tradì.

                        Oh spavento! lo stuol de' beffardi

50        Baldo insulta a quel volto divino,

            Ove intender non osan gli sguardi

            Gl'incolpabili figli del ciel.

            Come l'ebbro desidera il vino,

            Nell'offese quell'odio s'irrita;

55        E al maggior dei delitti gl'incita

            Del delitto la gioia crudel.

                        Ma chi fosse quel tacito reo,

            Che davanti al suo seggio profano

            Strascinava il protervo Giudeo,

60        Come vittima innanzi a l'altar,

            Non lo seppe il superbo Romano;

            Ma fe' stima il deliro potente,

            Che giovasse col sangue innocente

            La sua vil sicurtade comprar.

65                    Su nel cielo in sua doglia raccolto

            Giunse il suono d'un prego esecrato:

            I Celesti copersero il volto:

            Disse Iddio: Qual chiedete sarà.

            E quel Sangue dai padri imprecato

70        Sulla misera prole ancor cade,

            Che, mutata d'etade in etade,

            Scosso ancor dal suo capo non l'ha.

                        Ecco appena sul letto nefando

            Quell'Afflitto depose la fronte,

75        E un altissimo grido levando,

            Il supremo sospiro mandò:

            Gli uccisori esultanti sul monte

            Di Dio l'ira già grande minaccia,

            Già dall'ardue vedette s'affaccia,

80        Quasi accenni: Tra poco verrò

                        O gran Padre! per Lui che s'immola,

            Cessi alfine quell'ira tremenda;

            E de' ciechi l'insana parola

            Volgi in meglio, pietoso Signor.

85        Sì, quel Sangue sovr'essi discenda;

            Ma sia pioggia di mite lavacro:

            Tutti errammo; di tutti quel sacro -

            santo Sangue cancelli l'error.

                        E tu, Madre, che immota vedesti

90        Un tal Figlio morir sulla croce,

            Per noi prega, o regina de' mesti,

            Che il possiamo in sua gloria veder;

            Che i dolori, onde il secolo atroce

            Fa de' boni più tristo l'esiglio,

95        Misti al santo patir del tuo Figlio,

            Ci sian pegno d'eterno goder.

           

 

XXX

LA PENTECOSTE

[21 giugno-2 ottobre 1817]

 

 

            Madre de' Santi, immagine

            Della città superna,

            Del sangue incorruttibile

            Conservatrice eterna;

5          Tu che, da tanti secoli,

            Soffri, combatti e preghi,

            Che le tue tende spieghi

            Dall'uno all'altro mar;

                        Campo di quei che sperano;

10        Chiesa del Dio vivente,

            Dov'eri mai? qual angolo

            Ti raccogliea nascente,

            Quando il tuo Re, dai perfidi

            Tratto a morir sul colle,

15        Imporporò le zolle

            Del suo sublime altar?

                        E allor che dalle tenebre

            La diva spoglia uscita,

            Mise il potente anelito

20        Della seconda vita;

            E quando, in man recandosi

            Il prezzo del perdono,

            Da questa polve al trono

            Del Genitor salì;

25                    Compagna del suo gemito,

            Conscia de' suoi misteri,

            Tu, della sua vittoria

            Figlia immortal, dov'eri?

            In tuo terror sol vigile,

30        Sol nell'obblio secura,

            Stavi in riposte mura,

            Fino a quel sacro dì,

                        Quando su te lo Spirito

            Rinnovator discese

35        E l'inconsunta fiaccola

            Nella tua destra accese;

            Quando, segnal de' popoli,

            Ti collocò sul monte,

            E ne' tuoi labbri il fonte

40        Della parola aprì.

                        Come la luce rapida

            Piove di cosa in cosa,

            E i color vari suscita

            Dovunque si riposa;

45        Tal risonò moltiplice

            La voce dello Spiro:

            L'Arabo, il Parto, il Siro

            In suo sermon l'udì.

                        Adorator degl'idoli,

50        Sparso per ogni lido,

            Volgi lo sguardo a Solima,

            Odi quel santo grido:

            Stanca del vile ossequio,

            La terra a Lui ritorni:

55        E voi che aprite i giorni

            Di più felice età,

                        Spose, che desta il subito

            Balzar del pondo ascoso;

            Voi già vicine a sciogliere

60        Il grembo doloroso;

            Alla bugiarda pronuba

            Non sollevate il canto

            Cresce serbato al Santo

            Quel che nel sen vi sta.

65                    Perché, baciando i pargoli,

            La schiava ancor sospira?

            E il sen che nutre i liberi

            Invidiando mira?

            Non sa che al regno i miseri

70        Seco il Signor solleva?

            Che a tutti i figli d'Eva

            Nel suo dolor pensò?

                        Nova franchigia annunziano

            I cieli, e genti nove;

75        Nove conquiste, e gloria

            Vinta in più belle prove;

            Nova, ai terrori immobile

            E alle lusinghe infide,

            Pace, che il mondo irride,

80        Ma che rapir non può.

                        O Spirto! supplichevoli

            A' tuoi solenni altari,

            Soli per selve inospite,

            Vaghi in deserti mari,

85        Dall'Ande algenti al Libano,

            D'Erina all'irta Haiti,

            Sparsi per tutti i liti,

            Uni per Te di cor,

                        Noi T'imploriam! Placabile

90        Spirto, discendi ancora,

            A' tuoi cultor propizio,

            Propizio a chi T'ignora;

            Scendi e ricrea; rianima

            I cor nel dubbio estinti;

95        E sia divina ai vinti

            Mercede il vincitor.

                        Discendi Amor; negli animi

            L'ire superbe attuta:

            Dona i pensier che il memore

100      Ultimo dì non muta;

            I doni tuoi benefica

            Nutra la tua virtude;

            Siccome il sol che schiude

            Dal pigro germe il fior;

105                  Che lento poi sull'umili

            Erbe morrà non còlto,

            Né sorgerà coi fulgidi

            Color del lembo sciolto,

            Se fuso a lui nell'etere

110      Non tornerà quel mite

            Lume, dator di vite,

            E infaticato altor.

                        Noi T'imploriam! Ne' languidi

            Pensier dell'infelice

115      Scendi piacevol alito,

            Aura consolatrice:

            Scendi bufera ai tumidi

            Pensier del violento;

            Vi spira uno sgomento

120      Che insegni la pietà.

                        Per Te sollevi il povero

            Al ciel, ch'è suo, le ciglia;

            Volga i lamenti in giubilo,

            Pensando a Cui somiglia;

125      Cui fu donato in copia,

            Doni con volto amico,

            Con quel tacer pudico,

            Che accetto il don ti fa.

                        Spira de' nostri bamboli

130      Nell'ineffabil riso;

            Spargi la casta porpora

            Alle donzelle in viso;

            Manda alle ascose vergini

            Le pure gioie ascose;

135      Consacra delle spose

            Il verecondo amor.

                        Tempra de' baldi giovani

            Il confidente ingegno;

            Reggi il viril proposito

140      Ad infallibil segno;

            Adorna le canizie

            Di liete voglie sante;

            Brilla nel guardo errante

            Di chi sperando muor.

           

XXXI

[OGNISSANTI]

Frammenti

              ...in omnibus Christus.

                                    PAUL, Col., III, 11.

              Multa quidem membra, unum autem corpus.

                                       Cor., 1, XII, 20.

              Omnes enim vos estis Unum in Christo Jesu.

                                          Gal., III, 28.

            [1821 (Parenti); novembre 1830 (Busetto); 1847 (Lesca)]

 

     .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

                        Cercando col cupido sguardo,

            Tra il vel della nebbia terrena,

            Quel sol che in sua limpida piena

            V'avvolge or beati lassù;

5                      Il secol vi sdegna, e superbo

            Domanda qual merto agli altari

            V'addusse; che giovin gli avari

            Tesor di solinghe virtù.

                        A Lui che nell'erba del campo

10        La spiga vitale ripose,

            Il fil di tue vesti compose,

            Del farmaco i succhi temprò;

                        Che il pino inflessibile agli austri,

            Che docile il salcio alla mano,

15        Che il larice ai verni, e l'ontano

            Durevole all'acque creò;

                        A Quello domanda, o sdegnoso,

            Perché sull'inospite piagge,

            All’alito d'aure selvagge,

20        Fa sorgere il tremulo fior,

                        Che spiega dinanzi a Lui solo

            La pompa del candido velo,

            Che spande ai deserti del cielo

            Gli olezzi del calice, e muor.

25                    E voi che, gran tempo, per ciechi

            Sentier di lusinghe funeste

            Correndo all'abisso, cadeste

            In grembo a un'immensa pietà;

                        E come l'umor, che nel limo

30        Errava sotterra smarrito,

            Da subita vena rapito,

            Che al giorno la strada gli fa,

                        Si lancia, e seguendo l'amiche

            Angustie con ratto gorgoglio,

35        Si vede d'in cima allo scoglio

            In lucido sgorgo apparir;

                        Sorgeste già puri, e la vetta,

            Sorgendo, toccaste, dolenti

            E forti, a magnanimi intenti

40        Nutrendo nel pianto l'ardir;

                        Un timido ossequio non veli

            Le piaghe che il fallo v'impresse:

            Un segno divino sovr'esse

            La man, che le chiuse, lasciò.

45                    Tu sola a Lui festi ritorno

            Ornata del primo suo dono;

            Te sola più su del perdono

            L'Amor che può tutto locò;

                        Te sola dall'angue nemico

50        Non tocca né prima né poi;

            Dall'angue, che appena su noi

            L'indegna vittoria compiè,

                        Traendo l'oblique rivolte,

            Rigonfio e tremante, tra l'erba,

55        Sentì sulla testa superba

            Il peso del puro tuo piè.

            .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

 

XXXII

[DIO NELLA NATURA]

 

            Tu sì che a noi t'ascondi:

            L'occhio ti cerca invano;

            Ma l'opre di tua mano

            Ti svelano, o Signor.

5                      Tutto del tuo gran nome

            In terra, in ciel, favella;

            Risplende in ogni stella,

            È scritto in ogni fior.

            .  .  .  .  .  .  .  .  .