XXXVII
Tu vuoi saper s'io vado,
Tu vuoi saper s'io resto:
Sappi, ben mio, che questo
Non lo saprai da me.
5 Non che il pudor nativo
Metta alla lingua il morso,
O che impedisca il corso
Quel certo non so che.
Vuoi ch'io dica perché non lo dico?
10 Non lo dico, oh destino inimico!
Non lo dico, oh terribile intrico!
Non lo dico, perché non lo so.
Lo chieggo alla madre
Con pianti ed omei:
15 Risponde: Vorrei
Saperlo da te.
Se il chieggo alla sposa:
Decidi a tuo senno,
Risponde: un tuo cenno
20 È legge per me.
Se il chieggo a me stesso
. . . . . . . . .
XXXVIII
[1814?]
Conte Giovio tanto visse
Ch' a' suoi versi sopravvisse.
XXXIX
ODE [BURLESCA]
[Per la Lettera
semiseria di Grisostomo]
[1816]
Vidi (credi, se il vuoi, volgo profano!)
Vidi là dove innalzasi
E nel Lario si specchia il Baradello
Il Delfico calar Nume sovrano,
5 E su la torre aerea
Ristar dell'antichissimo Castello.
Gli spirava dal volto ira divina,
E da la chioma odor d'ambrosia fina.
Sperai che, quale in su la rupe Ascrea
10 O sul giogo Parnasio,
Almo suono ei trarria da la sua cetra;
Ma il Nume che tutt'altro in testa avea.
Piegando il braccio eburneo,
Stese la man sul tergo a la faretra:
15 Tolse uno stral, su l'arco d'oro il tese;
Lungo e profondo mormorio s'intese;
Ove su l'ampio verdeggiar dei prati
Sacra a le belle Najadi,
Sorge l'alta Milan, la mira ei volse.
20 Me prese alto terror pei Lari amati,
E da le labbra tremule
La voce a stento ad implorar si sciolse:
“Ferma! che fai? Deh non ferir, perdona,
Santo figlio di Giove e di Latona!”
25 Al dardo impaziente il vol ritenne,
E a me rivolto, in placido
Sembiante, a dir mi prese il dio di Delo:
“Fino a noi da que' lidi il grido venne
D'uom che sfidare attentasi
30 Tutti gli Dei, tutte le Dee del cielo,
E l'audacia di lui resta impunita?
Pera l'empia città che il lascia in vita!”
“Deh! per Leucotoe”, io dissi, “e per Giacinto,
Per la gentil Coronide,
35 Per quella Dafne più di tutte amata,
De la cui spoglia verde il capo hai cinto,
Poni lo sdegno orribile,
Frena la furia de la destra irata;
Pensa, o signor di Delfo, almo Sminteo,
40 Che se enorme è la colpa, un solo è il reo.
Un solo ha fatto ai numi vostri insulto,
Spinto da l'atre Eumenidi;
Egli è il solo fra noi che non vi adora;
Non obliar per lui degli altri il culto:
45 Vedi l'are che fumano,
Vedi il popolo pio che a voi le infiora,
Ascolta i preghi, odi l'umil saluto,
Che il Cordusio ti manda e il Bottonuto.
Tutto è pieno di voi. Qual rio cultore,
50 Non invocata Cerere,
I semi affida a l'immortal Tellure?
Ad ardua impresa chi rivolge il core,
Se a la Cortina Delfica
Non tenta il velo de le sorti oscure?
55 Quale è il nocchier che sciolga al vento i lini,
Pria di far sacrificio ai Dei marini?
Voi, se Fortuna a noi concede il crine
O volge il calvo, amabile
E perenne argomento ai canti nostri:
60 Così le Greche genti e le Latine
Voi Signori cantavano
E degli Olimpj e dei Tartarei chiostri:
E noi, che in voi crediamo al par di loro,
Non sacreremo a voi le cetre d'oro?
65 Figlio di Rea, tu faretrato arciero,
De la donzella Sicula
Buon rapitor, che regno hai sopra l'ombre,
Tu che dal suolo uscir festi il destriero,
Marte, Giunone e Venere,
70 Tu che il virgineo crin d'ulivo adombre,
Io per me mi protesto, o Numi santi,
Umilissimo servo a tutti quanti.
Fa' luogo, o biondo Nume, al mio riclamo:
Non render risponsabile,
75 Per un sol che peccò, tutto un paese;
Lascia tranquilli noi che rei non siamo;
E le misure energiche
Sol contra l'empio schernitor sian prese”.
Tacqui, e m'accorsi dal placato aspetto
80 Che il biondo Dio gustava il mio progetto.
Lo stral ripose nel turcasso, e disse:
“Poi che quest'empio attentasi
Esercitar le nostre arti canore,
Queste orribili pene a lui sien fisse:
85 Lunge dai gioghi aonii
Sempre dimori e dalle nove suore;
Non abbia di Castalia onda ristauro,
Ne mai gli tocchi il crin fronda di lauro.
Giammai non monti il corridor che vola,
90 Ma intorno al vero aggirisi,
Viaggiando pedestre il vostro mondo.
Non spiri aura di Pindo in sua parola:
Tutto ei deggia da l'intimo
Suo petto trarre e dal pensier profondo,
95 E sia costretto lasciar sempre in pace
L'ingorda Libitina e il Veglio edace.
E perché privo d'ogni gioja e senza
Speme si roda il perfido,
Lira eburna gli tolgo e plettro aurato”.
100 Un gel mi prese alla feral sentenza;
E, sbigottito e pallido,
Esclamai: “Santi Numi, egli è spacciato!
E come vuoi che senza queste cose
Ei se la cavi?”. “Come può”, rispose.
105 Tacque, e ristette il Nume, simigliante
A la sua sacra immagine
Che per Greco scalpel nel marmo spira,
Dove negli atti e nel divin sembiante
Vedi la calma riedere,
110 E sul labbro morir la turgid'ira:
Spunta il piacer de la vittoria in viso,
Mirando il corpo del Pitone anciso.
XL
[1816-1817]
Dunque il tuo Lesbio per l'estinta Nice
Va su' tumuli erbosi a sparger
pianti
Veracemente come in versi il dice?
Oh, che mi narri di siffatti vanti
5 Sentimentali che a bandir lor nome
Spandon cotesti pazzi sonettanti?
Poi gridan che ahi! gli è indarno offrir le chiome
Alla Tartarea Giuno, e abbracciar l'are
Dell'Eumenidi pie per vincer, come
10 Pur non fu dato al Tracio Orfeo, le avare
Fauci dell'atra Dite, e all'aureo sole
Ricondur le rapite anime care.
E sentono costoro? e in lor parole
Dolor tu forse, o amor, od altro senti
15 In mezzo al ghiaccio di cotante fole?
Male il Poeta ti pingesti in mente,
Diletto Giulio, e il tuo veder fallace
S'accusa in tal subbietto anco ebbramente.
Come i versi lodar puoi del dicace
20 Spensierato Berillo, ond'è schernita
Del buon Pacomio la vista verace
Perché incerto è nell'opre, ed ogni ardita
Sentenza il punge, e fugge i crocchi, e gode
Trar taciturna e solitaria vita?
25 Poi veggo il duolo che ti cruccia e rode
Se la scola t'ingiunge altra lettura
Che poemetti, canzoncine ed ode.
. . . . . . . . . . . . .
XLI
DRAMMA
[1817]
Interlocutori:
ARMIDA - RINALDO
- UBALDO - CARLO
La scena
rappresenta gli orti di Armida.
Scena I
RINALDO solo
(col ventaglio in
mano, all'ombra).
Oh! che caldo fa
in questo paese!
Un più forte
giammai non m'accese;
Nemmen quello del Nume d'Amor.
E
quand'ho la camicia sudata,
5 Non v'è alcun che
me l'abbia cambiata;
Mi s'asciuga sul
corpo il sudor.
Dacché
mi trovo in questo
Non so se
labirinto ovver palazzo
Rotondo, e di
figura irregolare,
10 Giammai non vidi un
uomo a cui parlare:
Tutto lo spasso
mio
Fu il contar le
colonne; e son seimila,
Ma l'architetto
non le ha messe in fila.
Potessi almen sapere
15 Quel che fa Armida
dentro il suo casotto!
Vi sta dalle otto
del mattino alle otto
Della sera: ma
zitto... appunto è dessa;
Dessa la sola fiamma del cor mio;
Ma è troppo
giusto, ché son solo anch'io.
Scena
II
ARMIDA e DETTO
ARMIDA
20 Che fai, bell'idol mio?
RINALDO
Il solito, o mia stella:
In questa parte e
in quella
Vado portando il
piè.
E tu che fai, mio
bene?
25 Se la domanda è
onesta.
ARMIDA
(accennando il
casotto).
Da quella parte a questa
Ho già portato il
piè.
Vedi,
mio bel guerriero,
Quanto io feci
per te? Ti addussi in questo
30 Solitario ritiro, e
ne raccolsi
Quanto di bel sa
far natura ed arte,
Se avvien che la natura
Co' suoi d'imitazion tratti più
arditi
“L'imitatrice sua
scherzando imiti”.
35 E perché nulla al
sommo piacer manchi
Il popolai di
bella
E scelta
compagnia,
Orsi, tigri,
leoni, aquile, e serpi:
E quel ch'è più
di tutti, un papagallo
40 Che nel periodar
non fé mai fallo.
RINALDO
Ma pur qualche
vivente
Che parlasse per
uso, e non per caso,
Non farebbe
difetto.
ARMIDA
Quando l'esser soletto
45 Con l'adorata donna
Spiacque ad
amante mai?
RINALDO
Quando s'annoja.
ARMIDA
Deh! non dir tal parola, o cara gioja.
RINALDO
Se 'l dissi, ad arte e non a caso il fei:
Se non dicessi il
resto io creperei.
ARMIDA
50 Ohimè! che vuol dir
questo?
RINALDO
Vuol dir: panico pesto. È tempo alfine
Ch'io parli, e tu
m'ascolti; e se finora
Fui di poche
parole...
Basta: so quel
che dico:
55 La colpa non fu
mia, ma d'un amico.
È quello il modo,
insomma,
Di trattare un
guerriero innamorato?
Lasciarlo sempre
solo
A parlar con le
belve e colle piante:
60 “Se non quando è
con te romito amante”?
Cangiarlo in cacclator senza fucile?
Cangiarlo in giardinier senza badile?
So che un certo
Ruggiero,
Che fu antenato
mio, trovossi un giorno
65 In questo
contingente, in ch'io mi trovo;
Vedete che il
trovato non è nuovo!
Ma quei si stava
in festa,
A caccia, a
giostre, a danze, ed a conviti
In mezzo ad una
bella compagnia.
70 Ed io solo così convien che stia!
Che invenzioni son queste?
Non si tratta
così con casa d'Este.
ARMIDA
E vorresti, o degenere superbo,
Metterti con
Ruggiero?
75 Non sei degno di
fargli il cameriero.
Quello era un uom famoso in tutto il mondo,
Amato dalle
donne, riverito
Dai guerrieri
nell'arme più lodati:
E tu degno non
sei
80 Di comandare a
quattro venturieri;
Se Goffredo, quel
re dei galantuomini,
Sa conoscere il
merito degli uomini.
Ma... finiamola;
io voglio pettinarmi,
E far cent'altre cose...
RINALDO
85 Saranno al tuo fedel sempre nascose?
ARMIDA
Solo al Tasso io le rivelo,
Al mio fido
consigliere.
Quello è un uom che sa tacere,
E a nessuno le
dirà.
RINALDO
90 Basta, basta... Mi
rimetto.
Di saperle non
m'affretto:
Se voi fate
qualche cosa,
Qualche cosa si
vedrà.
Ma
questo estraneo arnese
95 Certo per nulla al
fianco mio s'appese!
Questo cristallo
netto,
Che nell'argenteo
rivo
Ripete l'oro fin
della tua chioma,
Guardar non lo
dovresti;
100 Ma guàrdati nei specchi, almi, celesti.
ARMIDA
No, mio fedel:
favellami sul sodo.
RINALDO
(a parte).
Oh quanto di parlare un poco io godo!
ARMIDA
Se fosse proprio
vero
Quel complimento
che tu m'hai suonato,
105 Il venditor di specchi è rovinato.
RINALDO
Scusa se in geroglifico io favello,
Amabile
fanciulla,
Per dire il vero,
anch'io ne intendo nulla.
ARMIDA
Dunque facciamo fine.
RINALDO
110 Ahimè! che nuova è
questa?
Caro mio ben,
t'arresta...
ARMIDA
Non posso, in verità.
RINALDO
M'ucciderò, crudele,
Se tu mi volgi il
tergo...
ARMIDA
115 Torno all'usato
albergo...
(Rinaldo vuol
seguirla, ma Armida,
accennandogli di
star fermo, dice:)
Più innanzi non si va!
Scena I
RINALDO solo
(Ubaldo e Carlo in
disparte).
Quanto è dolce in erma parte
Sospirar per un
bel volto,
Per un crin dorato e sciolto,
120 Per li gigli di un
bel sen!
Quest'è
quel che fa felice
L'oziosa vita
mia;
Ma un tantin di compagnia
Mi darebbe un
gran piacer.
125 Quanto è
dolce, allor che tenero
In me volge
Armida il guardo,
Dirle: - O cara,
un dolce dardo
M'ha ferito in
seno il cor!
Il
mio cor, che ovunque il giri,
130 Fuor di te nulla desia! -
Ma un tantin di compagnia
Mi darebbe un
gran piacer.
Ed
allora che allo specchio
Ella ha vòlto il suo bei viso,
135 Dirle: - Io vedo un
paradiso
In un vetro piccolin.
Questi
detti son del core
Vero indizio e
vera spia! -
Ma un tantin di compagnia
140 Mi darebbe un gran
piacer.
Dirle:
- Son gl'incendi miei
Un ritratto in
miniatura;
Quale è donna
tanto dura
Che a tal dir
resisterà!
145 Amator
di me più fervido
Mai non fu,
giammai non fia! -
Ma un tantin di compagnia
Mi darebbe un
gran piacer.
Scena
II
UBALDO, CARLO e DETTO
UBALDO
(a Carlo).
Udisti?
CARLO
Udii:
non sembra mal disposto.
UBALDO
150 Dunque
mostriamoci...
RINALDO
Oh Dei!
Ecco esauditi
alfine i vóti miei:
Che buon vento vi
guida?
UBALDO
Siam mandati
Dal pio
Goffredo...
RINALDO
Appunto: cosa fa?
UBALDO
Ove tu lo lasciasti ancora sta:
155 Seda sedizioni col
mostrarsi;
E poi fa quel che
fanno i Genovesi.
RINALDO
Mal ti spiegasti, o pure io mal t'intesi.
UBALDO
Dirò: venne un'arsura
Che diseccò ogni fonte ed ogni roggia...
RINALDO
Oh Dio! com'è finita?
UBALDO
Colla
pioggia.
Il pio Goffredo
la lasciò cadere,
Affrettandola un
po' colle preghiere.
RINALDO
E il solitario Piero
Comandava gli
eserciti frattanto?
UBALDO
165 Credo non
combattessero in quel canto.
Fu bruciata una
macchina stupenda,
Talché non si
poté più dar l'assalto.
RINALDO
Me ne rallegro!
UBALDO
E per rifarne un'altra
Siam venuti a
chiamarti.
RINALDO
170 Io sono
avventuriero,
Non inventor di macchine: che parli?
UBALDO
È ver: ma è duopo
per tagliare un bosco,
Che sol nell'Asia
tutta
Ha legname che
possa in uso porse,
175 D'un uom della tua schiena:
Ecco l'alta cagion che qui ci mena.
RINALDO
Carlo, Ubaldo, voi tutti, ospiti amici,
Guerrieri,
pellegrini,
Ditemi: al campo
non vi son Trentini?
180 Quando
lo venni in Gerosolima,
Mi diceva il
signor Padre:
“A fugar le
ostili squadre
Io ti mando, o
mio figliuol”.
Non mi disse: “O
mio figliuolo,
185 Io ti mando a
spaccar legna”.
UBALDO
Deh! pietà di noi ti vegna;
Ché ci puoi
salvar tu sol.
RINALDO
Io vengo, oh giubbilo!
Son fuor d'intrico:
190 Verrei, vi dico,
Tutto quel bosco
Anche a segar.
UBALDO
Ei viene, oh giubbilo!
Che dici, oh
Carlo?
CARLO
Per me, non parlo:
195 Tu
déi parlar.
UBALDO
Presto, dunque, fuggiam.
RINALDO
Che fretta avete?
UBALDO
Se qualcuno ci scopre...
RINALDO
200 Eh! che non v'è
nessuno...
Se per caso non
fosse il pappagallo.
UBALDO
Ecco Armida che viene.
RINALDO
Or siamo in ballo.
Scena
III
ARMIDA e DETTI
ARMIDA
Il musico gentile
Pria che la
lingua snodi,
Sussurra in bassi
modi
205 Un bel ge - sol - re - ut.
Tal
l'infelice Armida
Or che pregar ti
deve
Forma un concento
breve
Per prepararti il
cor.
210 Attenti,
miei signori, ed incomincio.
“Non aspettar...”
RINALDO
Signora, altro
non chiedo:
Me n'andava.
ARMIDA
Oh! ch'io preghi, volea dire:
Deh! non m'interrompete
almen l'esordio.
È la metà
dell'opra un bel primordio!
215 Non aspettar ch'io
preghi che tu resti:
Solo ti prego,
ingrato,
Che mi lasci
venire ove tu vai;
Ti potrò far
servigio, lo vedrai.
Io ti starò
dinnanzi:
220 “Barbaro forse non
sarà sì crudo,
Che ti voglia
ferir per non piagarmi”.
RINALDO
Dite davvero, o fate per burlarmi?
ARMIDA
Anzi ti faccio una proposta in forma.
RINALDO
Vedete, amici cari?
225 Parla la bella
donna, e par che dorma.
ARMIDA
Scudiero o scudo,
Col petto ignudo
Ti coprirò.
RINALDO
Non farem nulla:
230 Un Turco crudo,
Bella fanciulla,
Ti piglierà.
E ti
dirà:
“Signore scudo,
235 Signor scudiere,
Venga al
quartiere
Di Mustafà”.
ARMIDA
Tu non sei nato
In casa d'Este:
240 Nelle foreste
Ti fece il mar,
Allor che il Caucaso
(La cosa è piana)
Coll'onda insana
245 Si maritò.
Vattene
pur, crudele;
Vattene, iniquo,
omai:
Me ignoto spirto a tergo
Eternamente
avrai.
RINALDO
250 Non me ne importa un
corno,
Perché non ti
vedrò.
ARMIDA
Ma cado tramortita, e mi diffondo
Di gelato sudor.
RINALDO
Poter
del mondo!
Cara
Armida! oimè! che fai?
255 Non mi senti e non
mi vedi?
Ma pur gli ultimi
congedi
Per pietade io prenderò.
Oh! crudel, tu non rispondi?
Non mi dici: “Schiavo,
cane!”
260 Sta' pur lì fino a dimane;
Ch'io per me già
me ne vo.
XLII
[Sonetto beroldinghiano]
[1° marzo 1819]
Lingua mendace che invoca gli Dei
Essendo in suo cuore ateo mitologico,
Tu credesti ingannare i sensi miei
Con stile affettatamente pedagogico.
5 Del qual giammai creduto io non avrei
Che mi stimassi tanto cacologico
Da non discerner sensi buoni e rei
Sotto il velame del linguaggio anfibologico.
Falso avvocato ne fingesti difensore
10 Per tirare in rovina il tuo cliente.
O stelle! o numi! chi vide un tale orrore?.
E per tradire ancor più impunemente
Pigliare un nome caro all'alme Suore
Come la tua inizial spergiura e mente!
XLIII
[1° marzo 1819]
On badée, che voeur fa da sapienton,
El se toeu subet via par on badée;
Ma on omm de coo, che voeur parè mincion,
El se mett anca lù in d'on bell cuntée.
XLIV
L'AUTORE
[1822?]
Già vivo al guardo la tua man pingea
Un che in nebbia m'apparve all'intelletto:
Altra or fugace e senza forme idea
Timida accede all'alto tuo concetto:
5 Lieto l'accoglie, e un immortal ne crea
Di maraviglia e di pietade oggetto;
Mentre aver sol potea dal verso mio
Pochi giorni di spregio, e poi l'oblio.
XLV
[Agosto 1827]
Prole eletta dal Ciel, Saffo novella
Che la prisca Sorella
Di tanto avanzi in bei versi celesti
E in santi modi onesti,
5 Canti della infelice tua rivale,
Del Siculo sleale
Nello scoglio fatal, m'attristi; ed io
Ai numeri dolenti
T'offro il plauso migliore, il pianto mio.
10 Ma tu credilo intanto ad alma schietta,
Che d'insigne vendetta
L'ombra illustre per te placata fora,
Se il villano amator vivesse ancora.
XLVI
[1828]
Salve, o divino, cui largì Natura
Il cor di Dante e del suo Duca il canto!
Questo fia il grido dell'età futura;
Ma l'età
che fu tua tel dice in pianto.