Folgore
da San Gimignano
Sonetti
Sonetti per l'armamento di un cavaliere
I
(Introduzione)
Ora si fa un donzello cavalieri;
e' vuolsi far novellamente degno,
e pon sue
terre e sue castell'a pegno
per ben fornirsi di ciò ch'é mistieri:
annona, pane e vin
dà a'forestieri,
manze, pernici e cappon
per ingegno;
donzelli e servidori
a dritto segno,
camere e letta, cerotti e doppieri;
e pens'a
molti affrenati cavagli,
armeggiatori e bella compagnia,
aste, bandiere, coverte
e sonagli;
ed istormenti
con granbaronia,
e giucolar
per la terra guidàgli,
donne e donzelle per ciascuna via.
II
Prodezza
Ecco Prodezza, che tosto lo spoglia
e dice: «Amico, e' convien che tu mudi,
per ciò ch'i' vo'
veder li uomini nudi
e vo' che
sappi non abbo altra voglia;
e lascia ogni costume che far soglia,
e nuovamente t'affatichi e sudi;
se questo fai, tu sarai de' miei drudi
pur che ben far non t'incresca né
doglia».
E quando vede le membra scoperte,
immantinente sì le reca in braccio
dicendo: «Queste carni m'hai
offerte;
i' le ricevo e
questo don tifaccio,
acciò che le tue
opere sien certe:
che ogni tuo ben far già mai non
taccio».
III
Umiltà
Umilità dolcemente
il riceve,
e dice: «Punto non vo' che ti gravi,
ch'e' pur convien
ch'io ti rimondi e lavi,
e farotti
più bianco che la neve;
e intendi quel ched
io ti dico breve,
ch'i' vo'
portar dello tuo cor le chiavi,
ed a mio modo converrà che navi,
ed io ti guiderò sì come meve.
Ma d'una cosa far tosto tispaccia,
ché tu sai che soperbia
m'è nimica:
che più con teco dimoro non faccia.
I' ti sarabbo così fatta amica
ch'e' converrà ch'a tutta gente
piaccia;
e così fa chi di me si notrica».
IV
Discrezïone
Discrezïone incontanente
venne
e sì l'asciuga d'un bel drappo e
netto,
e tostamente sì 'l mette in sul
letto
di lin, di
seta, coverture e penne;
or ti ripensa: infino
aldì vi 'l tenne
con canti, con sonare e con diletto;
accompagnollo, per farlo
perfetto,
di nuovi cavalier,
che ben s'avvenne.
Poi disse: «Lieva
suso immantinente,
ch'e' ti convien
rinascere nel mondo,
e l'ordine che prendi tieni a
mente».
Egli ha tanti pensier,
che non ha fondo,
del gran legame dov'entrar si sente,
e non può dire: «A questo mi
nascondo».
V
Allegrezza
Giunge Allegrezza con letizia e festa,
tutta fiorita che pare un rosaio;
di lin, di
seta, di drappo e di vaio
allor li porta
bellissima vesta,
vetta, cappuccio con ghirlanda in
testa,
e sì adorno l'ha che pare un maio;
con tanta gente che trema il solaio;
allor sì face
l'opra manifesta.
E ritto l'ha in calze ed inpianelle,
borsa, cintura inorata
d'argento,
che stanno sotto la leggiadra pelle;
cantar, sonando ciascuno stormento,
mostrando lui a donne ed a donzelle
e quanti sono a questo
assembramento.
Sonetti della «Semana»
VI
(Dedica)
I' ho pensato
di fare un gioiello,
che sia allegro, gioioso ed ornato,
e sì 'l vorrei donare in parte e
lato,
ch'ogn'uomo
dica: «E' li sta ben, è bello!»
E or di nuovo ho trovato un donzello
saggio, cortese e ben ammaestrato,
ché li starebbe me'
l'imperïato
che non istà
la gemma nell'anello:
Carlo di misser
Guerra Cavicciuoli,
quel ch'è valente ed ardito e
gagliardo,
e servente, comandi chi che vuoli;
leggero più che lonza o lïopardo,
e mai non fece dei denar figliuoli,
ma spende più che 'l marchese
lombardo.
VII
Lunidie
Quando la luna e la stella dïana
e la notte si parte e 'l giorno
appare,
vento leggero, per polire l'are
e far la gente stare allegra e sana;
il lunedì, per capo di semana,
con istormenti
mattinata fare,
ed amorose donzelle cantare,
e 'l sol ferire per la meridiana.
Lèvati sù,donzello,
e non dormire,
ché l'amoroso giorno ti conforta
e vuol che vadi
tua donna a servire.
Palafreni e destrier
sieno alla porta,
donzelli e servitor con bel vestire:
e poi far ciò ch'Amor comanda e
porta.
VIII
Martidie
E 'l martedì li do un nuovo mondo:
udir sonar trombetti
e tamburelli,
armar pedon,
cavalieri e donzelli,
e campane a martello dicer: «don do»;
e lui primiero
e li altri secondo,
armati di loriche e di cappelli,
veder nemici e percuotere ad elli,
dando gran colpi e mettendoli a
fondo;
destrier vedere
andare a vuote selle,
tirando per lo campo lor segnori,
e strascinando fegati e budelle;
e suonare a raccolta trombatori
e sufoli, flaùti e ciramelle,
e tornare alle schiere i feritori.
IX
Mercoredie
Ogni mercoredì
corredo grande
di lepri, starne, fagiani e paoni,
e cotte manze ed arrosti capponi,
e quante son
delicate vivande;
donne e donzelle star per tutte bande,
figlie di re, di conti e di baroni,
e donzellette e giovani garzoni
servir portando amorose ghirlande;
coppe, nappi, bacin
d'oro ed'argento,
vin greco di
riviera e di vernaccia,
frutta, confetti quanti li è 'n
talento,
e presentarvi uccellagioni e caccia;
e quanti sono a suo ragionamento
sì sieno
allegri e con la chiara faccia.
X
Giovedie
Ed ogni giovedì tornïamento,
e giostrar cavalier
ad uno ad uno,
e la battaglia sia 'n luogo comuno,
a cinquanta e cinquanta, e cento e
cento.
Arme, destrieri e tutto guarnimento,
sien d'un
paraggio addobbati ciascuno;
da terza a vespro, passato 'l
digiuno:
allora si conosca chi ha vento.
E poi tornare a casa alle lor vaghe,
ove seranno
i fin letti soprani;
e' medici fasciar percosse e piaghe,
e le donne aitar
con le lor mani;
e di vederle sì ciascun s'appaghe,
che la mattina sien
guariti e sani.
XI
Venerdie
Ed ogni venerdì gran caccia e forte:
veltri, bracchetti,
mastini e stivori,
e bosco basso miglia di staiori,
là ove si troven
molte bestie accorte,
che possano veder, cacciando,scorte:
e rampognare insieme i cacciatori,
cornando a caccia
presa i cornatori:
ed allor vemgan molte bestie morte.
E poi recogliere
i cani e la gente,
e dicer:
«L'amor meo manda a cotale».
«Alle guagnele,
serà bel presente!»
«Ei par che i nostri cani avesser ale!»
«Te', te', Belluccia, Picciuolo e Serpente,
ché oggi è 'l dì della caccia reale!»
XII
Sabato die
E 'l sabato diletto ed allegrezza
in uccellare e volar di falconi,
e percuotere grue,
ed alghironi
iscendere e salire in
grand'altezza;
ed all'oche ferir per tal fortezza
che perdan
l'ale, le cosce e' gropponi;
corsieri e palafren
mettere a sproni,
ed isgridar
per gloria e per baldezza.
E poi tornare a casa e dire al cuoco:
«To'
queste cose e acconcia per dimane,
e pela, taglia, assetta e metti a' fuoco;
ed abbie
fino vino e bianco pane,
ch'e' s'apparecchia di far festa e
giuoco:
fa che le tue cucine non sian vane!»
XIII
Domenica die
Alla dimane,
all'apparer del giorno
venente, che
domenica si chiama,
qual più li piace, damigella o dama,
abbiane molte che
li sien d'attorno;
in un palazzo dipinto ed adorno
ragionare con quella che più ama;
qualunche cosa che desia e brama,
venga in presente senza far
distorno.
Danzar donzelle, armeggiar cavalieri,
cercar Firenze per ogni contrada,
per piazze, per giardini e per
verzieri;
e gente molta per ciascuna strada,
e tutti quanti il veggian volentieri:
ed ogni dì di ben in meglio vada.
XIV
(Dedica alla brigata)
Alla brigata nobile e cortese,
in tutte quelle parti dove sono,
con allegrezza stando sempre dono,
cani e uccelli e danari per ispese,
ronzin portanti e
quaglie a volo prese,
bracchi levar, correr veltri a bandono:
in questo regno Nicolò incorono,
perch'elli è 'l fior
della città sanese;
Tingoccio e Min di
Tingo edAncaiano,
Bartolo e Mugàvero
e Fainotto,
che paiono figliuol
del re Prïàno,
prodi e cortesi più che Lancilotto,
se bisognasse, con le lance in mano
farian tornïamenti a Camellotto.
XV
Di gennaio
I' doto voi
del mese di gennaio
corte con fuochi di salette accese,
camere e letta d'ogni bello arnese,
lenzuol di seta e copertoi di vaio,
treggea, confetti e
mescere arazzaio,
vestiti di doagio
e di racese;
e 'n questo modo stare alle difese,
muova scirocco, garbino e rovaio;
uscir di fuor alcuna volta il giorno,
gittando della neve
bella e bianca
alle donzelle che saran d'attorno;
e, quando la compagna fosse stanca,
a questa corte facciasi
ritorno,
e sì riposi la brigata franca.
XVI
Di febbraio
E di febbraio vi dono bella caccia
di cerbi, cavrïuoli e di cinghiari,
corte gonnelle con grossi calzari,
e compagnia che vi diletti e
piaccia;
can da guinzagli e segugi da traccia,
e le borse fornite di danari,
ad onta degli scarsi e degli avari,
o chi di questo vi dà briga e 'mpaccia;
e la sera tornar co'
vostrifanti
carcati della molta
salvaggina,
avendo gioia ed allegrezza e canti;
far trar
del vino e fumar la cucina,
e fin al primo sonno star razzanti;
e poi posar infin'
alla mattina.
XVII
Di marzo
Di marzo sì vi do una peschiera
di trote, anguille, lamprede e
salmoni,
di dentici, dalfini
e storïoni,
d'ogn'altro
pesce in tutta la riviera;
con pescatori e navicelle a schiera
e barche, saettìe
e galeoni,
le qual vi portino a tutte stagioni
a qual porto vi piace alla primiera:
che sia fornito di molti palazzi,
d'ogn'altra
cosa che vi sie mestiero,
e gente v'abbia di tutti sollazzi.
Chiesa non v'abbia mai né monistero:
lasciate predicar i preti pazzi,
ché hanno assai bugie e poco vero.
XVIII
D'aprile
D'april vi
dono la gentil campagna
tutta fiorita di bell'erba
fresca;
fontane d'acqua, che non vi
rincresca,
donne e donzelle per vostra
compagna;
ambianti palafren, destrier di Spagna,
e gente costumata alla francesca
cantar, danzar alla provenzalesca
con istormenti
nuovi d'Alemagna.
E d'intorno vi sian
molti giardini,
e giacchito
vi sia ogni persona;
ciascun con reverenza adori e 'nchini
a quel gentil, c'ho dato la corona
de pietre prezïose, le più fini
c'ha 'l Presto Gianni o 'l re di Babilona.
XIX
Di maggio
Di maggio sì vi do molti cavagli,
e tutti quanti sieno
affrenatori,
portanti tutti, dritti corritori;
pettorali e testiere di sonagli,
bandiere e coverte
a molti intagli
e di zendadi di tutti colori;
le targe a
modo delli armeggiatori;
vïuole e rose e
fior, ch'ogn'uom v'abbagli;
e rompere e fiaccar bigordi e lance,
e piover da finestre e da balconi
in giù ghirlande ed in su melerance;
e pulzellette
e giovani garzoni
baciarsi nella bocca e nelle guance;
d'amor e di goder vi si ragioni.
XX
Di giugno
Di giugno dovvi
una montagnetta
coverta di
bellissimi arbuscelli,
con trenta ville e dodici castelli
che sieno
intorno ad una cittadetta,
ch'abbia nel mezzo una sua fontanetta;
e faccia mille rami e fiumicelli,
ferendo per giardini e praticelli
e rifrescando
la minuta erbetta.
Aranci e cedri, dattili e lumìe
e tutte l'altre frutte
savorose
impergolate sieno per le vie;
e le genti vi sien
tutteamorose,
e faccianvisi
tante cortesie
ch'a tutto 'l mondo sieno grazïose.
XXI
Di luglio
Di luglio in Siena, in su la Saliciata,
con le piene inguistare
de' trebbiani;
nelle cantine li ghiacci vaiani,
e man e sera mangiare in brigata
di quella gelatina ismisurata,
istarne arrosto e
giovani fagiani,
lessi capponi e capretti sovrani,
e, cui piacesse, la manza e l'agliata.
Ed ivi trar
buon tempo e buona vita,
e non uscir di fuor per questo
caldo;
vestir zendadi di bella partita;
e, quando godi, star pur fermo e saldo,
e sempre aver la tavola fornita,
e non voler la moglie per castaldo.
XXII
D'agosto
D'agosto sì vi do trenta castella
in una valle d'alpe montanina,
che non vi possa vento di marina,
per istar
sani e chiari come stella;
e palafreni da montare insella,
e cavalcar la sera e la mattina;
e l'una terra all'altra sia vicina,
ch'un miglio sia la vostra giornatella,
tornando tuttavïa verso casa;
e per la valle corra una fiumana,
che vada notte e dì traente e rasa;
e star nel fresco tutta meriggiana;
la vostra borsa sempre a bocca pasa,
per la miglior vivanda di Toscana.
XXIII
Di settembre
Di settembre vi do diletti tanti:
falconi, astori, smerletti
e sparvieri,
lunghe, gherbegli
e geti con carnieri,
bracchetti con
sonagli, pasti e guanti;
bolze, balestre
dritte e benportanti,
archi, strali, pallotte
e pallottieri;
sianvi mudati girfalchi ed astieri
nidaci e di
tutt'altri uccel volanti,
che fosser
buoni da snidar e prendere;
e l'un all'altro tuttavia donando,
e possasi
rubare e non contendere;
quando con altra gente rincontrando,
le vostre borse sempre acconce a
spendere,
e tutti abbiate l'avarizia in bando.
XXIV
D'ottobre
D'ottobre nel contado ha buono stallo:
e' pregovi,
figliuol, che voi v'andiate;
traetevi buon tempo e uccellate
come vi piace, a piede ed a cavallo;
la sera per la sala andate a ballo,
e bevete
del mosto e inebrïate,
ché non ci ha miglior vita, in veritate;
e questo è ver
come 'l fiorino è giallo.
E poscia vi levate la mattina,
e lavatevi 'l viso con le mani;
l'arrosto e 'l vino è buona
medicina.
Alle guagnele,
starete più sani
che pesce in lago o 'n fiume od in
marina,
avendo miglior vita che cristiani.
XXV
Di novembre
E di novembre a Petrïuolo,
al bagno,
con trenta muli carchi di moneta:
le rughe sien
tutte coperte a seta;
coppe d'argento, bottacci di stagno;
e dare a tutti stazzonier
guadagno;
torchi e doppier
che vengan di Chiareta,
confetti con cedrata di Gaeta;
bia ciascuno e
conforti 'l compagno.
E 'l freddo vi sia grande e 'l fuoco
spesso;
fagiani, starne, colombi e mortiti,
levori e cavriuoli arrosto e lesso;
e sempre avere acconci gli appetiti;
la notte 'l vento e 'l piover a ciel messo,
e siate nelle letta ben forniti.
XXVI
Di dicembre
E di dicembre una città in piano:
sale terrene e grandissimi fuochi,
tappeti tesi, tavolieri e giuochi,
torticci accesi e
star co' dadi in mano;
e l'oste inebrïato e catelano,
e porci morti e finissimi cuochi;
e morselli
ciascun, bèa e manuchi;
le botti sien
maggior che San Galgano.
E siate ben vestiti e foderati
di guarnacche,
tabarri e di mantelli
e di cappucci fini e smisurati;
e beffe far de'
tristicattivelli,
de' miseri
dolenti sciagurati
avari: non vogliate usar con elli.
XXVII
(Commiato)
Sonetto mio, a Nicolò di Nisi,
colui ch'è pien
di tutta gentilezza,
di' da mia parte con molt'allegrezza
ch'io son
acconcio a tutti suoi servisi;
e più m'è caro chenon
val Parisi
d'avere sua amistade
e contezza;
sed ello avesse imperïal ricchezza,
starieli me' che San Francesco in Sisi.
Raccomendami a lui tutta
fïata
ed alla sua compagna ed Ancaiano,
ché senza lui non è lieta brigata.
Folgòre vostro da
San Giminiano
vi manda, dice e fa
quest'ambasciata:
che voi n'andaste con suo cuor in
mano.
Sonetti politici emoraleggianti
XXVIII
Più lichisati
siete ch'ermellini,
conti pisan,
cavalieri e donzelli,
e per istudio
de' vostri cappelli
credete vantaggiare i fiorentini;
e franchi fate stare ighibellini
in ogni parte, o cittadi
o castelli,
veggendovi sì osi e sì
isnelli:
sotto l'arme, parete paladini.
Valenti sempre come lepre in caccia
a riscontrare in mare i genovesi,
e co' lucchesi non avete faccia;
e come i can dell'ossa son cortesi,
se Folgore abbia cosa che gli
piaccia,
siate voi contro a tutti li foresi.
XXIX
Eo non ti
lodo, Dio, e non ti adoro,
e non ti prego, e non ti rengrazio,
e non ti servo: ch'eo ne son più sazio
che l'anime di stare in purgatoro;
perché tu hai messi i guelfi a tal martoro
ch'i ghibellini ne fan beffe e
strazio;
e se Uguccion
ti comandasse il dazio,
tu il pagaresti
senza perentoro.
Ed hanti
certo sì ben conosciuto,
tolto t'han
San Martino ed Altopasso
e San Michele e 'l tesor ch'hai perduto;
ed hai quel popol
marcio così grasso,
che per soperbia
cherranti ' tributo:
e tu hai fatto 'l cor che par d'un
sasso.
XXX
Così faceste voi o guerra o pace,
guelfi, sì come siete in devisione,
ché in voi non regna ponto di ragione,
lo mal pur cresce e 'l ben s'ammorta
e tace.
E l'uno contra
l'altro isguarda e spiace
lo suo essere e stato e condizione;
fra voi regna il pugliese e 'l Ganellone,
e ciascun soffia nel fuoco penace.
Non vi ricorda di Montecatini,
come le mogli e le madri dolenti
fan vedovaggio
per gli ghibellini?
E babbi, frati, figliuoli e parenti,
e chi amasse bene i suoi vicini,
combatterebbe ancora a stretti
denti.
XXXI
Guelfi, per fare scudo delle reni,
avete fatto i conigli leoni,
e per ferir sì forte di speroni,
tenendo vòlti
verso casa i freni.
E tal perisce in malvagi terreni,
che vincerebbe a dar con gli spontoni;
fatto avete le pùpule
falconi,
sì par che 'vento ve ne porti e
meni.
Però vi do conseglio
che facciate
di quelle del pregiato re Roberto,
e rendetevi in colpa e perdonate.
Con Pisa ha fatto pace, quest'è
certo;
non cura delle carni malfatate
che son remase a' lupi in quel deserto.
XXXII
Cortesia cortesia
cortesia chiamo
e da nessuna parte mi risponde,
e chi la dèe mostrar, sì la
nasconde,
e perciò a cui bisogna vive gramo.
Avarizia le genti ha preso all'amo,
ed ogni grazia distrugge e confonde;
però se eo
mi doglio, eo so ben onde:
di voi, possenti, a Dio me ne
richiamo.
Ché la mia madre cortesia avete
messa sì sotto il piè che non si
leva;
l'aver ci sta, voi non ci rimanete!
Tutti siem
nati di Adamo e di Eva;
potendo, non donate e non spendete:
mal ha natura chi tai figli alleva.
Sonetti di dubbiaattribuzione
XXXIII
Amico caro, non fiorisce ogni erba,
né ogni fior che par, frutto non
porta;
e non è vertudiosa,
ogni verba,
né ha vertù
ogni pietra ch'è orta;
e tal cosa è matura e pare acerba,
e tal se par doler che se conforta;
ogni cera che par, non è soperba,
cosa è che getta fiamma e che par
morta.
Però non se convien
ad uomo saggio
volere adesso far d'ogn'erba fasso,
né d'ogni pietra caricarsi 'l dosso,
né voler trar
d'ogni parola saggio,
né con tutta la gente andare a
passo:
senza ragione a dir ciò non son mosso.
XXXIV
Quando la voglia segnoreggia
tanto,
che la ragion non ha poter né loco,
ispesse volte ride
l'uom di pianto
e di grave doglienza
mostra gioco;
e ben seria di buon savere affranto
chi fredda neve giudicasse fòco;
simil son que', che gioi'
mostrano e canto
di quel, onde doler devriano un poco.
Ma ben si può coralmente dolere
chi sommette ragione a voluntade
e segue senza freno suo volere;
che non è già sì ricca podestade
com' se medesmo
a dritto mantenere,
seguire pregio, fùgger
vanitade.
XXXV
Fior di virtù sì è gentil coraggio,
e frutto di virtù sì è onore,
e vaso di virtù sì è valore
e nome di virtù è uomo saggio;
e specchio di virtù non vede
oltraggio
e viso di virtù, chiaro colore,
ed amor di virtù, buon servitore,
e dono di virtù, dolce lignaggio.
E letto di virtù è conoscenza,
e seggio di virtù, amor leale,
e poder di
virtù è sofferenza;
e opera di virtù, esser leale,
e braccio di virtù, bella
accoglienza:
tutta virtù è render ben per male.