XXXII. [XXXIII] Poi che detta fue questa canzone, sì venne a me uno, lo quale, secondo li gradi de l'amistade, è amico a me immediatamente dopo lo primo; e questi fue tanto distretto di sanguinitade con questa gloriosa, che nullo più presso l'era. E poi che fue meco a ragionare, mi pregoe ch'io li dovessi dire alcuna cosa per una donna che s'era morta; e simulava sue parole, acciò che paresse che dicesse d'un'altra, la quale morta era certamente: onde io, accorgendomi che questi dicea solamente per questa benedetta, sì li dissi di fare ciò che mi domandava lo suo prego. Onde poi, pensando a ciò, propuosi di fare uno sonetto, nel quale mi lamentasse alquanto, e di darlo a questo mio amico, acciò che paresse che per lui l'avessi fatto; e dissi allora questo sonetto, che comincia: Venite a intender li sospiri miei. Lo quale ha due parti: ne la prima chiamo li fedeli d'Amore che mi intendano; ne la seconda narro de la mia misera condizione. La seconda comincia quivi: li quai disconsolati.

Venite a intender li sospiri miei,
oi cor gentili, ché pietà 'l disia:
li quai disconsolati vanno via,
e s'e' non fosser, di dolor morrei;
però che gli occhi mi sarebber rei,
molte fiate più ch'io non vorria,
lasso!, di pianger sì la donna mia,
che sfogasser lo cor, piangendo lei.
Voi udirete lor chiamar sovente
la mia donna gentil, che si n'è gita
al secol degno de la sua vertute;
e dispregiar talora questa vita
in persona de l'anima dolente
abbandonata de la sua salute.

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