Chiaro Davanzati
Rime - Canzoni e Sonetti
Edizione di riferimento: Chiaro Davanzati: Rime, a
cura di Aldo Menichetti, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1965
TENZONE CON FRATE UBERTINO
<I a-II>
I
(V CXIX)
FRATE UBERTINO
In gran parole la proferta fama
e in voce comun senno laudato,
se séguita l'afetto, è gran virtute;
sennò, l'om disavanza ed infama
lo laudamento a paragon provato: 5
(.....) onore e le grazze ha perdute.
Vile metallo talfiada è dorato
e prende alto colore,
e poco ha di valore;
la canna prende altezza di bel vana, 10
laidi fa fiori, e nullo frutto grana.
Aprite gli oc<c>hi a no avere sdignanza,
fatevi avanti e non serate porte,
vostro savere aprite a chi lui chere;
di che vedete prendete intendanza,
non divinate altro sen<n>o che aporte, 15
non trasformate le chiarite spere.
A invisibil' cose deste figura,
lo non-sostanzïato
faceste corporato.
Caldo senza fredor non posso usare: 20
proveder si convene al consigliare.
La planeta mag<g>ior di gran potenza,
che in terra segnoreg<g>ia tut<t>a gente,
genera e cresce assai diverse cose;
in molte corpora sta sua valenza 25
e 'n tut<t>e apare assa' isplend<ï>ente,
flori creante con gran spine e rose;
e a tut<t>e dà splend<ï>ente luce
con diversi splendori
insieme operatori; 30
in molte guise varia, chi li guarda.
e molte volte d'abagliar non tarda.
Dolce ha veleno ed amaro mèle,
trestizïa con gaudio insieme ad ora,
languir con gioia, solazzo e lamento; 35
e talor ha pïetanza crudele,
e in u<n> stato ferma non dimora;
dole e dà pianto con alegramento.
Come le piace ti muta colore,
<e> tìrati e alenta, 40
e svolge e atalenta;
e ancor più, che dilett'ha' in pene,
e vai atorno e tieneti in catene.
< . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -eso 45
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ere
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ato
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -eso
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ere
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ato 50
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ondo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ero
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ero
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ate
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ate
I
(V CC)
2
Se l'alta disclezion di voi mi chiama
(per altrui voce, non per mio aprovato)
loda, s'è per sag<g>iar, nonn-ha salute:
ma, qual ch'io sia, lo mio cor si richiama,
per vostro onor seguire e fare a grato, 5
di quanto più avesse in me vertute.
E son certo che siete colorato
d'ambra e di moscato; lo sapore
è d'ogn'altro megliore:
onde s'alegra mia mente e sta sana 10
quando v'adirizzate a mia quintana.
Chi vuole di valor sag<g>io l'usanza
le vie di verità ha tut<t>e acorte:
per altrui fallo sua grazza non père;
e quei conversa ben, chi ha lenza, 15
e 'l confessar ragion no˙lli par forte
ma diletta, chi usa tal mestere.
Dunqua, s'ag<g>io planete a grande altura
e ciascun'ha lo suo corpo formato,
celestïal nomato 20
fu per celestïal tereno usare:
per ciaschedun si salva meo parlare.
Non de' l'om molto dir là ov'è la scienza,
ché breve detto di molti è 'ntendente,
ché lunghe aringherie odo noiose: 25
sapore vene d'amara semenza,
caldo fredur'ha temperatamente,
chi 'l mezzo segue ha gioi' più saporose.
Però chi per planeta si conduce
prenda qual<unqu>e più li dà calori: 30
mag<g>ior è <'n> sol valori;
chi de lo sol veracemente imbarda
in genera<r> calor bo˙no si tarda.
Di grazza tempro, io non m'apello fiele,
né di sapienza non mi gitto fora, 35
né di ciò degno sia d'aver convento;
ma 'nver' di voi in croce ag<g>io le vele;
se fe' figura in terra dimora,
seguite qual più scaldavi talento.
Supercelestïal Dio e Segnore 40
in Suo corpo acontenta
chi·lLui crede; non penta;
dunque tre son li regni ov'E' sostene,
<in> corpo e sustanza, amore e bene.
Assai vi narro, se m'avete inteso 45
onde lo confessar vi de' piacere
che senza intesa no è bon giudicato:
avegna ch'io perdon' vostro ripreso,
e sol di benenanza l'ho tenere,
perché simil costume veg<g>io usato. 50
Onde pensate al primo e al secondo,
e poi, dopo 'l pensiero
non siate menzoniero:
usate propiamente veritate,
se fin pregio volete di bontate. 55
(V CXCVIII)
FRATE UBERTINO
Puro senno e leanza,
alto savere e plena veritate,
ove dimora e grana cupïosa,
non dotto in mia fallanza.
No riprension, ma <'n> buona fé sacc<i>ate 5
inver' voi dissi lauda grazïosa.
Ag<g>io colori umani
e saver d'om mortale,
ma, quanto il mio cor vale
o conosce, in dritta lëaltate 10
vogl'io usare a tut<t>o mio podere.
Del mio poco valore
in poca caonoscenza i' ho usanza,
ma per la tòrta via a taston vado;
ma per zo ch'è onore 15
usar ragione sanza alcuna eranza,
quel che saccio né altro non m'è a grado.
Bona grazza non falla
per fallo d'altra gente,
ma afina valente: 20
io so ben trare sanza vostro segno,
e non m'adritto a <la> vostra quintana.
Me una cosa sola
costringe e sforza e dà caldo e fredore,
e scalda e fred<d>a vertute e talento, 25
e grande porta scola,
e segnoreg<g>ia onne teren segnore,
ed a cui piace dà gioia e tormento:
quel che di sovra al cielo
co l 'oc<c>hio cordïale 30
lo <...> celestïale
<.....................> possa vedere:
non mischiam que<llo> co le cose umane.
Un segnore tereno
comune in ogni regno ha segnoria; 35
lui ubidisco e servo a mia possanza
e sua fé porto in seno;
nullo sopra segnore credo sia
che 'nver' di lui non ag<g>ia <'n sé> mancanza.
Esto teren segnore 40
dimoranza averàe
e perpetuo staràe
<in>fin che fiaro le cose terene
e che sarà <lo> novis<s>imo die.
Giudicar non si puote 45
senz'a<ver> proveduta canoscenza,
ne senza intesa aperta proferere;
de le chiosate note
manifesta si puote avere intenza:
chi nonn-intenda detto de' tacere. 50
Perfetto insegnamento
non s'ha senza dottore
né senza core, amore:
giudice senza leg<g>e sempreterna
falla for<i> misura in sua <s>entenza. 55
II
(V CCI)
Novo savere e novo intendimento,
novel dimando e nova risponsione,
a nuovo fatto, nuovo consigliato:
vertù non par per poco mostramento?
poco dimostro da grande intenzione 5
folle fa sag<g>io, pregio <fa> blasmato?
D'agua ven foco e foco se ne spegne;
tai cose son laudat'e non son degne,
ché 'l poco foco gran sel<v>a divora:
chi troppo parla, credo, invan lavora. 10
Lingua ch'è di parlar molto imbiadata
perde semenza e genera malizza;
sovente grana loglio in sua ricolta:
chi non vuol pregio non ha nominata,
ed omo largo non ama avarizza; 15
l'onesto schifa lo pecar talvolta:
per me lo dico e per voi veramente
ch'avem gra·libro fatto di neiente,
la via de' folli sempre seguitando
salvata rima e sentenze fallando. 20
Per due ragion' le cose intendo care:
perché son rade over per lor vertute;
ma d'este due la lor via non tenete,
ma lo contrado, per certo mi pare:
a far mesione honde scole tenute, 25
poi tra le lode es<s>er voi non volete.
D'avril de l'òra s'ha
gran<de> diletto;
poi ven lo mag<g>io: cala 'l suo afetto
e perde per la troppa soverchianza,
perché di le' è troppa <l'>abondanza. 30
Poi non v'intendo e voi non m'intendete,
così conven si falli l'argomento
da l'una parte per l'altra ac<c>ertire;
io vi dimostro ciò che mi cherete:
or mio è 'l fallo o vostr'è il fallimento? 35
Così non so qual s'ag<g>ia lo gradire.
Vostro segnore assai ave in balia;
chi sua vertute fug<g>e fa follia:
prim'o secondo, fermo in trinitate,
giusta tien parte in pura deïtate. 40
III
(V CCII)
Assai m'era posato
di non voler cantare,
credendo ricelare
la benenanza e l'amoroso stato,
per nonn-adimostrare 5
là ove son tut<t>o dato,
non mi fosse furato
d'alcun malvagio per lo mio parlare.
Or m'ha sì preso amore,
che mi fa risvegliare 10
lo dolze <ri>membrare
ch'aio de lo sapore:
farò canzon di fina rimmembranza,
poi ch'io son tut<t>o ne la sua posanza.
Amor m'ave in podere, 15
distretto in sua balia
a la sua segnoria:
più ch'altra m'è 'n piacere.
Forse <per>ch'io n'avia
<cotanto> in mio podere, 20
non credea pare avere
né che d'amor più sia.
Ma poi, perseverando,
m'ha˙ffatto conoscente
ch'io lo credea neiente 25
apo ch'io trovo amando;
lo primo e 'l mezzo fue neiente a dire
apo la fine, tant'è lo gradire.
Amor, sed io valesse
quanto valer voria 30
o tut<t>a fosse mia
la terra, quanta se ne posedesse,
neiente mi paria,
s'i' da˙llui no l'avesse
o per lui la tenesse, 35
tanto mi par gioiosa gentilia.
Ch'al primo quando amai
di folle amor mi prese;
or son d'amor cortese
più ch'io non coninzai, 40
ed amo la mia donna in veritate
al mondo sag<g>ia e ferma in dietate.
Quat<t>ro son l'aulimenta
ch'ogni animal mantene
ed in vita li tene, 45
onde ciascun per sé vi s'acontenta:
la talpa in terra ha bene,
àleche in agua abenta,
calameon di venta,
la salamandra in foco si mantene. 50
Ed io sono animale,
di ciò vita non prendo,
ma pur d'amor servendo
cresce mio bene e sale:
ch'amore e la mia donna e 'l core mio 55
sono una cosa e hanno uno disio
Mia canzon d'ubidenza
e di gran gechimento,
va' là ov'è il piacimento:
pregio ed aunore tutto vi s'agenza, 60
ed ivi è 'l compimento
di tutta la valenza
senza nesuna intenza;
là ov'è mia donna fa' dimoramento:
dille che mi perdoni 65
s'aggio fallato in dire,
ch'io non posso covrire
ch'io di lei no ragioni:
ch'amore ed essa m'ha˙ffatto credente
che più gioia che i˙llor non sia neiente 70
IV
(V CCIII)
Donna, ciascun fa canto
di gioia per amore:
mostrano ben che 'l core
trovi merzede alquanto;
ma io nonn-ho valore, 5
ca di sospiri e pianto
sovente mi ramanto,
veg<g>endo ch'a voi piace il meo dolore.
Ma non cangio labore,
ché m'è rimaso di voi lo guardare; 10
so che noia vi pare,
ma già furare
da me l'amare
non potete, ch'io non sia servidore.
S'io servo e voi dispiace, 15
veg<g>io ben ch'è follia,
ma d'amare è la via
omo di sua ofesa render pace;
e tut<t>o ciò disia
lo mio cor, s'a voi piace, 20
e com'oro in fornace
ci afina tutavia.
Se voi par villania
da me voi ricepere
lo parlare e 'l vedere, 25
guardate a lo savere,
come valere
po<tesse> donna sanza cortesia.
Cortesia è sofrire
doglia per istagione: 30
tut<t>o ciò vuol ragione,
ch'apresso oltra<ggio> nasce l<o> disire;
s'io misi mia intenzione
in voi per me' gradire,
veg<g>io che v'è languire, 35
partir non pos' la mia openïone.
Ma questa è la cagione
ca tut<t>o ciò ch'io dico m'<è> arivato
in bono usato:
che chi è amato 40
sì è blasmato,
se non ama, <ed> in fallo si ripone.
Ponesi in fallimento
donna senza pietate;
non s'aven protestate 45
là ov'è argogliamento;
la vostra richitate
venne in dibassamento,
se per un'ira cento
ver' me, bella, mostrate. 50
La claritate
de la vostra bellezza
a me dava chiarezza
che la greve ferezza
serà dolcezza, 55
s'io tegno l'umiltate.
L'umiltate mi guida
a una dolze speranza,
ché 'l chieder pïetanza
nesun amante isfida. 60
Visto l'ho per usanza
che lo leon per grida
cresce in vita e rafida
li figli suoi di pic<c>iola possanza:
così i˙lleanza 65
poreste voi di me, bene allegrando:
s'io per usando
merzé chiamando,
uno vostro comando
mi doneria possanza. 70
V
(V CCIV)
La mia vita, poi <ch'è> sanza conforto,
forzatamente ho misa in disperanza,
perché pietanza – non mi val cherere;
tant'è lo gran martiro ched io porto
ch'ogn'altra cosa tegno in obrïanza, 5
ed in crudel pesanza
radoppio meo podere,
pensando ch'io fui ric<c>o oltre misura
e portai gioia com'altro amadore,
poi partio con dolore 10
e l'alegranza mi torna in rancura;
di voi, gentil mia donna, fui gaudente
e presi frutto in vostra degnitate:
ed or v'è niquitate
senza ofension di farmene perdente. 15
Perdente, già per mia comessïone
non fui di voi; néd esser non poria
che tutavïa – di quant'io valesse,
non sia di voi, a farvi subezione,
disiderando sovente la dia 20
ch'a vostra segnoria
lo me' servir piacesse.
Com'io solëa, lasso doloroso,
prendere parte de l<o> vostro regno,
più ch'io non era degno! 25
S'io vi capesse ancor, saria gioioso.
Perciò mag<g>ior dolor deg<g>io portare,
perder la cosa ch'ag<g>io posseduta,
che s'io˙n l'avesse avuta:
seria danno, ma no sì da blasmare. 30
S'io blasmo avesse già per mio follore,
non mi doria di ciò che m'incontrasse,
e s'io merzé chiamasse,
perder ne dovria prova;
poi ch'io non sia maleal servidore, 35
non seria fallo s'io pietà trovasse
e a me s'aumilïasse
il vostro core ed a merzé si muova,
se˙lla manera e l'uso ritenete
dello leone quand'è più adirato, 40
che torna umilïato
a chi merzé li chiere, voi il savete.
E io non fino voi merzé cherendo,
e poria sucitar d'un'acoglienza
di voi meco 'n piagenza, 45
poi fineria lo mio dolor servendo.
Servendo fineria già la mia doglia
e lo penare mi saria alegranza,
sed io saver certanza
potesse de l'ofesa, 50
la qual non feci, e non saria mia voglia:
ma piace tanto a vostra gentilanza
di me dare agrestanza,
ch'io sto contento, no ne fo difesa;
e˙ll'uso del segugio vo' seguire: 55
quando il segnor lo batte più cocente,
se 'l chiama, di presente
e' torna, e mette in gioia lo languire;
se tal manera a me tener non vale,
convene a me stesso es<s>ere nemico: 60
poi non truovo omo amico,
de le mie man' sarònne micidiale.
Ahïmè lasso, che dirà la gente,
se la vostra bellezza è dispietata?
Serà per me blasmata, 65
abiendo pregio, di crudalitate.
Dipo la morte, l'arma mia dolente
di ciò si crederà esser dannata:
perciò sia acomandata
a voi, ch'avete in ciò la libertate: 70
ch'i' odo dir ch'al pulican divene
che sucita li suo figli di morte,
e certo no gli è forte,
ma fug<g>e il suo dolore e 'n gioia rivene:
così poreste surgere e amendare 75
la morte e 'l fallo, e sariavi leg<g>ero,
se per lo mio preghero
doveste solo un'ora aumilïare.
VI
(V CCV)
Lungiamente portai
mia ferita in celato
e fui temente di dir mia doglienza;
tut<t>o in me 'maginai
vostro prencipio stato, 5
credendo in voi campar per ubidenza:
ché la valenza – di voi, donna altera,
fueme pantera – e presemi d'amore
come d'aulore
<che> d'essa <ven> si prende ogn'altra fera: 10
così di voi mi presi inamorando;
mercé chiamando, – istato son cherente,
se fosse a voi piacente,
di dare ancor ciò che dimostro in cera.
Acciò ch'io più celare 15
non posso il mio tormento,
gentil donna, lo dicer mi convene:
tanto mi sforza amare,
ch'io nonn-ho sentimento:
conosco ciò ch'i' ho che da voi vene; 20
e gioia e pene – e quant'ho di possanza
mi veste amanza – più ch'io non so dire.
Del mio ag<g>echire
convene ormai a voi aver pietanza,
ché 'l mio penare a blasmo non tornasse: 25
s'eo più v'adimandasse,
dotto non si paresse ciò ch'io porto:
però voria far porto
del mio lontano ateso in benenanza.
Quando penso ed isguardo 30
la vostra gran bieltate,
in ciascun membro sento li sospiri,
cotanto n'ho riguardo
de lo tardar che fate
non perdan ciò, ond'atendon disiri. 35
Oh i dolzi smiri – e la gaia fazzone!
Del parpaglione – aver mi par natura,
che si mette a l'arsura
per lo chiaror del foco a la stagione:
così m'aven, di voi, bella, veg<g>endo, 40
che mi moro temendo,
cherendo a voi merzede,
ed ancora con fede
che mi doniate, s'ag<g>io in voi ragione.
Per lungo atendimento 45
ogne frutto pervene
veracemente a sua stagione e loco;
al mio coninzamento
simile non avene,
ché, com' più tardo, più dimoro in foco. 50
Se nonn-ha loco – in voi merzé cherere,
non pò parere – in me vita gioiosa,
ma com' fa l'antalosa
conven ch'io facc<i>a a giusto mio podere,
ch'a l'albero là dove più costuma 55
sì si consuma – per lo suo diletto:
ed io simile aspetto:
se non mi date, non posso valere.
Poi che per me non vaglio,
se da voi non proseg<g>io, 60
dunque, s'io prendo, vostr'è la fatura:
piacc<i>avi il mio travaglio,
ché, quant'io più vi veg<g>io,
sento lo core in più cocente arsura:
ed ho paura, – se non provedete, 65
però che voi <'l> volete,
poi ched i' voi non ag<g>io,
esendo in vostro omag<g>io;
ed io mi moro e pietà non avete.
Ben fora ormai stagion, tant'ho soferto 70
di voi amar coverto,
d'avere alcuna gioia
anzi cad io mi moia:
poria campar, se voi mi socorete.
VII
(V CCVI)
Or vo' cantar, e poi cantar mi tene
ch'è 'l merito d'amor con benenanza,
in allegranza – affanno m'è tornato:
mille mercé a l'amoroso bene
che dispietò ver' me con orgoglianza, 5
poi d'umilianza – m'ha rico<r> donato.
A tal m'ha dato – che mi fa parere
gioia la pena e l<o> tormento gioco,
ag<g>end'io parte e loco
nel suo nobil savere; 10
ch'io già per me contare io no 'l savria
la sua bieltade quant'è poderosa,
che l'aira tenebrosa,
s'apare, fa parer di notte dia.
Dunqua, s'io canto, ben ag<g>io ragione: 15
membrando a la sua gaia portatura
ogne rancura – aver deg<>io 'n obrio;
si˙llargamente me ha fatto mesione,
che 'n un voler congiunt'ha sua natura
meco, si ch'io paura 20
non ho di perder mai lo suo disio.
Ma tegno in fio
<da lei> la propietà della mia vita,
perch'io con gioia la presi non forzando,
ma, pur merzé chiamando, 25
degnò di darmi gioiosa compita:
ond'io son ric<c>o da˙llei, conoscendo
che 'l suo valore avanti m'ha corètto
de lo dispetto
dov'era, <pur> pensando, ritemendo. 30
Io portai mia feruta lungiamente
celata, ch'io non volli adimostrare
per non gravar – la sua ferma conscienza:
fe' com'omo salvag<g>io veramente:
quand'ha rio tempo, forza lo cantare 35
co lo sperare
ca 'l buon vegna, ch'abassi sua doglienza.
Così pura credenza
avea tutor nel suo ric<c>o valore,
ch'io non sana dal suo ben dipartito 40
s'io le stesse gechito,
ma avanzerei com'altro servidore:
onde 'l suo pregio m'ha tut<t>o donato
più che medesmo lei non dimandai;
ond'io ringrazzo ormai 45
amore e˙llei e 'l mio dolze aspetato.
Ringrazzo voi, di fin cor merzé rendo:
merzé, mia donna, ancor degno non sia
sì alta segnoria – me aquistare;
e s'io n'avesse parte pur veg<g>endo, 50
sereb<b>e altura di gran gentilia,
non che balia – di voi senz'esser pare.
Perzò laudare
mi converia, ma non son sì sennato
che 'l vostro pregio a me si convenisse; 55
ma, come 'l sag<g>io disse,
chi non pò tut<t>o, alquanto gli è serbato:
però pregio, valore e caunoscenza
in voi sormonta e tut<t>o acompimento
e più ben per un cento 60
ch'io divisar non so per la mia scienza.
VIII
(V CCVII)
Quando mi membra, lassa,
sì com' già fui d'amore,
pensando alore
ben dovrïa languire,
veg<g>endo lo meo sire 5
me non guardare: e' passa
e gli oc<c>hi bassa;
mostra ch'io sia dolore.
Ma io nonn-ho valore
null'altro ma pesanza: 10
veg<g>endo la mia amanza – dipartire,
voria morire
o ritornare a la sua benenanza.
Ben voria ritornare,
quant'i' ho più potenza, 15
e met<t>ere ubidenza,
a ciò ch'io aver potesse ciò ch'io soglio;
non mi saria cordoglio
ma disïo trovare,
vogliendo conservare 20
compiuta sua piagenza.
Poi che di lui servenza
non ho, che deg<g>io fare?
Piangere e sospirare – tutavia,
o la sua segnoria 25
compiuta raquistare.
Eo raquistar non posso,
lassa, già mai diletto,
ch'io fallii 'l suo precetto:
son degna d'aver pena 30
più che donna terena.
Però è 'l meo sir mosso
sì fero ver' me adosso
che non cura meo detto:
dunqua, che ne raspetto? 35
Doglia e maninconia.
Da poi che m'ha 'n obria,
non so che deg<g>ia fare:
pianger e sospirare
tanto ch'amenderag<g>io la follia. 40
Lo mio greve follore,
lassa me dolorosa,
fu quand'io dispetosa
credea ch'egli altra amasse,
o che 'nver' me fallasse 45
lo suo verace amore:
s'io ne sento dolore
ragion'è, poi ched io ne fui vogliosa;
e s'io parto dogliosa
nonn-è già meraviglia. 50
Dunque, se s'asotiglia
di darmi malenanza,
convene con pietanza,
merzé cherendo, che 'nalzi le ciglia;
co le man' giunte avanti, 55
dolze 'l meo sir, piangendo,
umilmente cherendo
del mio fallir perdono:
e s'io colpata sono,
honne sospiri e pianti; 60
li miei dolor' son tanti
ch'io tut<t>a ardo ed incendo:
però, se voi veg<g>endo,
com' solete non fate,
ché moro in veritate, 65
s'io no ritorno a lo prencipio stato
ch'io v'ag<g>ia inamorato,
ubriando la fera niquitate.
IX
(V CCVIII)
Troppo ag<g>io fatto lungia dimoranza,
lasso, ch'ïo non vidi
la dolze speme a cu' i' m'era dato:
sonne smaruto e vivone in pesanza,
ohimè, ché non m'avidi 5
del folle senno mio, che m'ha 'nganato
ed allungiato – da lo suo comando:
però è dritto ch'ogni gioia m'infragna,
poi ch'io m'alungo da la sua compagna;
e come più me ne vo alungiando, 10
men'ho di gioia e più doglio affannando.
Se mia follïa m'inganna e m'aucide
e dà pena e tormenti,
ben è ragion che nullo omo mi pianga,
ch'io sono ben come quei che si vide 15
ne l'agua infino a' denti,
e mor di sete temendo no afranga:
ma no rimanga – io ne lo scoglio afranto.
Così ag<g>‘io per somigliante eranza
smisurata la sua dolze speranza: 20
e so, s'io perdo lei cui amo tanto,
perdut'ho me a gioia e riso e canto.
Tant'aio minespreso feramente,
ch'io˙n mi sao consigliare:
gran ragion'è ch'io perisca a tal sorte, 25
ch'io faccio come 'l cecer certamente,
che si sforza a cantare
quando si sente aprossimar la morte.
E più m'è forte
la pena ov'io son dato, 30
quand'io non veg<g>io quella dolze spera,
che ne lo scuro mi donò lumera:
ohmè, s'io fosse un anno morto stato,
sì doverei a˙llei es<s>er tornato.
Sì come non si puo<t> rilevare, 35
da poi che cade giuso,
lo lëofante, ch'è di gran possanza,
mentre che gli altri co lo lor gridare
vegnon, che˙levan suso
e rendorli il conforto e la baldanza; 40
a tal sembianza,
canzon, vatene in corso
ad ogne fino amante ovunque sede,
che deg<g>iano per me gridar merzede;
ché se per lor non m'è fatto socorso, 45
fra i ternafin' del disperar son corso.
X
(V CCIX)
Gravosa dimoranza
faccio, poi che disparte
convenmi contro a voglia adimorare,
metendo la speranza
là ove non ag<g>io parte 5
altro che solamente tormentare,
da poi non veg<g>io possasi partire
da me punto languire:
più disïando là dov'aio spera,
penando, trovo fera 10
per me pietà e la mercé calare.
Se 'l dimoro ch'eo faccio
col pensier non m'alena,
la mia vita <porà> durare poco;
meglio è la morte avaccio, 15
che vivendo con pena:
forse ch'a l'altro mondo avrag<g>io gioco,
ché lo tormento in esto mondo avere
è per l'altro tenere,
do<v'o>gni bon <sofrente ha bon> membrato 20
secondo io veg<g>io usato:
ma per me, lasso, so ch'è tut<t>o foco.
Dunque voria partire,
se 'l mio cor concedesse,
ricanoscendo meo meglioramento; 25
ma˙nno mi vol seguire,
tant'ha sue voglie messe
in altro loco ond'è 'l suo piacimento.
Però d'amor voria fosse in usanza,
omo quand'ha pesanza, 30
ch'e<lli> trovasse la pietà incarnata,
quando fosse chiamata
secondo opera che desse tormento.
Se 'n disperar dimoro
da tutto meo disio 35
e di tornar non ag<g>io libertate,
de lo talento moro:
ché sanza 'l core mio
non posso dimorare a le contrate.
E la valente, in cui messo ag<g>io intenza, 40
s'eo non veio in presenza,
non pote gioia aver già la mia vita,
ma di crudel ferita
conven morir con fera niquitate.
Ordunque, canzonetta, 45
poi di lontana via
ti convene far <corso> a l'avenente,
dille ch'altro no aspetta
<or> la speranza mia
solo che˙llei vedere di presente; 50
e questo è ciò laond'io riprendo gioia
de la mia pena e noia,
<pur> atendendo a˙llei tosto redire:
se non torna in fallire
lo mio pensero, alegr<er>ò sovente. 55
XI
(V CCX)
In voi, mia donna, misi lo mio core:
ben more
d'amore,
e neiente lo posso dipartire.
Io vivo in gra<n> temenza ed in tremore 5
tutore;
valore
non ag<g>io, ché sento lo cor partire.
Père chi cor non ave,
ma troppo è cosa grave 10
a disturbar la morte,
ch'è forte,
che no la pò om neiente fug<g>ire.
Serrato l'amore ave
lo cor con forte chiave 15
e dentro da le porte
sì forte,
che per voi, bella, volesi morire.
Se lo cor more, morire io non voglio:
cordoglio 20
ch'io soglio
aver, non averia, né nulla pena;
ma quanto vivo sanza cor, più doglio,
e sfoglio
d'orgoglio 25
la mia persona, ché cor no la mena,
però che 'n voi lo misi
e no lo ne divisi:
faccio giusta vendetta
più dritta 30
che s'io morisse, ché vivo in catena.
Non m'alegrai né risi
poi che lo core asisi
in voi, bella, c'ho detta:
più stretta 35
fia la mia vita d'ogn'altra terena.
In doglia con martìri e con penare
istare
mi pare,
poi ch'io pietate in voi, donna, non trovo; 40
e 'mpres'ho la manera e 'l costumare
d'amare:
dottare
ciascuna cosa; ad umiltà mi movo.
In tal or
cominza<i>, 45
già mai
aver non credo abento:
tormento
e doglio <forte>, se˙nno provedete;
da poi ch'io 'namorai, 50
di guai
m'è fatto il nodrimento:
del compimento
non sac<c>io, donna, che talento avete.
S'io pur m'alegro e tegno in voi speranza, 55
pietanza!,
d'amanza,
non s'aumilia inver' me vostro core;
credo che per lontana adimoranza
la benenanza 60
vene in falanza,
e la gran gioia fenisce con dolore.
Dunqua, <poi zo> vedete,
tenete
la via de lo savere: 65
ch'avere
non pote donna pregio veramente,
se gaia e bella sète
e già non provedete
ciò che vi fa valere 70
e dispiacere:
pietate ed umiltate solamente.
Canzonetta, di presente t'invia,
in cortesi<a>,
chi ha balia 75
di consigliare amante disamato;
ché per sua diletosa gentilia
già m'è 'n obria
lor compagnia:
no m'abandoni perch'io sia afondato; 80
ma per me umilmente
<vadane> a l'avenente
ch'è sì dispïetosa,
sì che gioiosa
tornasse inver' di me per sua preghera; 85
che, sì m'ha lungiamente
perdente,
la mia vita dogliosa
e tenebrosa
non fosse sempre di cotal manera.
XII
(V CCXI)
Quand'è contrado il tempo e la stagione
ed omo ha pena contro a suo volere,
co lo pensere – adoppia suo tormento;
ché 'l mal sofrire è 'l dritto paragone
a que' ch'è sag<g>io: quando <ha> lo spiacere, 5
met<t>er piacere – inanzi a <'n>tendimento,
e bon talento – aver, ché tempo vene
che torna in bene – lo gravoso affanno,
e menda danno, – se conforto tene,
chi bona spene – non mette in inganno. 10
Ordunque, sag<g>io di savere ornato
in cui pregio ed onore era e valenza,
la soferenza – gentil cor nodrisce;
mette 'n obrïa ciò dov'ha affannato,
in bona spene mette il core e penza 15
che grave intenza – non dura e rincresce.
E ben sor<t>isce
chi nel male conforta la sua vita:
ch'i' ho in udita
che 'l pulicano sucita di morte, 20
e no gli è forte:
così la pena pò venir gioita,
chi nonn-i<n>vita – pensiero oltre grato.
Ben ho savere al sag<g>io rimembrare
ch'Adammo de lo 'nferno si partio 25
e soferio
la pena ch'amendò lo suo fallire
(non dico certo in voi fosse fallare,
ma sanza colpa giudicò sì Dio);
e tenne in fio 30
dal suo Segnor la mort' e <i> fu disire;
mostrò che lo sofrire
dovesse fare ogn'omo, in suo dolore;
e questo è lo valore,
ch'al mondo nonn-è pena sì cocente 35
che non torni piagente,
chi 'n buona spene mette lo suo core.
XIII
(V CCXII e CCXXXVIII)
Oi lasso, lo mio partire
non pensai che fosse doglia;
credea co l'amor gioire
ed esser tut<t>o a sua voglia:
ed io ne sono alungato 5
e no lo posso vedere;
morag<g>io disconfortato
di tut<t>o il mïo piacere.
Non mi credea, perch'io gisse,
esser con doglia pensoso 10
che lo mio core ismarisse:
com'io lo sento dottoso!
Or vivo in più disperanza
che s'io fosse giudicato:
levata m'è l'alegranza, 15
ch'ag<g>io l'amor mio lasciato.
Ma quest'è lo meo disio:
ca per lungo adimorare
verà in gioia lo voler mio,
sì ch'io porò alegrare; 20
e, s'altro d'amore avene,
non serà pregio a l'amore,
ch'io afino per <mie> pene
a cui sono servidore.
Servire con umiltate 25
a chi 'l fa diven gioioso:
compie la sua volontate
di ciò ch'è stato pensoso.
Ma io non posso servire:
tanto mi sono alungato 30
che non saccio de˙redire:
Amor, voi sia acomandato.
XIV
(V CCXIII)
Gentil donna, s'io canto
non vi deg<g>ia spiacere,
ché lo mi fa volere
il vostro adorno viso e la bieltate
e 'l valore, ch'è tanto 5
ch'ogn'altro dispare<re>
fate; tant'è il piacere,
ch'ogni doglienza in gioia ritornate.
Dunqua lo mio cantare
nasce di tanta altura, 10
che s'io 'l volesse, amor no lo voria:
sì mi stringe e disia,
che vuol ch'io canti sanza ricelare,
conservando l'amare
umilemente, sanza villania. 15
Madonna, rimembrando
ove credo avenire,
non m'è noia languire,
ma disïosa vita veramente:
però mi vo alegrando, 20
so˙nno de lo disire
ch'aio di pervenire
a l'adornezza che 'n voi è piagente:
ché là ove aüsate
non pò parir nebiore, 25
ma tut<t>a claritate e benenanza;
non eb<b>e in voi mancanza,
ma tut<t>a potestate,
ché l'altre riparate
quando tra esse fate dimoranza. 30
Gentil donna amorosa,
il vostro adornamento
ha tanto valimento,
che, s'io non vaglio, sì mi fa valere:
non pote star nascosa 35
la mia voglia e 'l talento:
però fa sentimento;
non ch'eo dimostri quel ch'è da tenere,
ma canto inamorato,
come fedel c'ha gioia, 40
isperando di pervenir davanti
a li disir' cotanti:
che com'i' amo sia da voi amato,
ch'altro non m'è più 'n grato
se no la vostra cera e' be' sembianti. 45
Li be' sembianti e l'amoroso viso
di voi, donna sovrana,
e 'l colore di grana
alegra la mia mente co lo core;
d'ogn'altra son diviso: 50
per voi fiorisce e grana
la mia vita e sta sana,
che senza voi non poria aver valore.
Dunque ag<g>iate voglienza
come l'amor congiunga, 55
ca per troppo tardare omo amarisce,
e gran pena patisce
chi non ha provedenza:
se 'n voi pregio s'agenza,
pietanza è quel ch'avanti lo norisce. 60
Orata donna e sag<g>ia,
assai dicer poria
di vostra gentilia,
ma dotto che per dir non si paresse:
s'amor non v'incorag<g>ia, 65
che vita fia la mia?
Quando serà la dia
ch'a le mie braccia stretta vi tenesse?
Solo per lo pensero
son mo' degno d'avere 70
altro che solo lo vostro disio.
Ben so che già 'n obrio
non mi terà lo vostro viso altero,
ma secondo mestero
de<l> meo servir riceverag<g>io in fio. 75
XV
(V CCXIV)
Quant'io più penso, e 'l pensier più m'incende,
e quando io mi sog<g>iorno di pensare
amore non mi lascia rechïare;
inmantenente tra<r>mi a sé s'imprende:
e vuol ch'io sia servo, ancor ch'io franco sia: 5
e lungiamente io son stato servente,
di crudel' pene umìle e soferente,
voglioso di seguir tut<t>a sua via.
Poi al suo volere acordai lo talento,
e dipartì' quant'ho al suo piacere; 10
ciò fei in quel punto contro a mio volere:
or mi distringe ch'io sia a servimento.
Non m'asicura già di megliorare,
ed io non so quale mi sia il migliore
tra˙llui seguire ed esser servitore 15
od in mia franchitate dimorare.
Lasso, s'io franco met<t>omi a servag<g>io,
abiendo pena e tutor radopiando,
che me ne nasce pur dolor pensando!
E s'io lo scuso, fo contro a corag<g>io: 20
però conven da me venir l'aiuto,
ch'adimandare io non ne so consiglio;
però m'avëo che qualunque eo piglio
già non mi rende gioia né saluto.
Ordunque, se li sag<g>i e li valenti 25
hanno 'n amore la lor voglia misa,
facendone per pena non divisa,
ma seguitando tut<t>i a' suoi argomenti,
se so˙ngannati e intra li sag<g>i sono,
voglio dunque verace amor seguire; 30
e, s'io n'aquisto affanno con martire,
alcun dirà di poi ch'io sïa bono.
XVI
(V CCXV)
1
<Messere>
Io non posso celare né covrire
ciò che m'aduce, donna, il vostro amore,
ed ho temenza, s'io ne fo sentore,
non vi dispiaccia o donivi languire;
però son di merzede cheritore: 5
che s'io fallasse, sia 'n voi 'lo parcire;
ché 'l vostro alegro viso mi fa dire
e poi ch'avete me e lo mio core.
Dunque, madonna, se l'amor mi stringe
ed hami dato al vostro servimento, 10
ben veg<g>io, tale fue 'l cominciamento,
ch'alegro deg<g>io gir là ove mi pinge:
ché 'mprima mi credea l'amore u˙nome,
mentre che 'l viso vostro non m'avinse;
da voi è nato quel che mi costrinse: 15
be˙llo direi, ma ho dottanza come.
Donna, con gran temenza incominzai
non credendo caper nel vostro regno,
ch'io già per me non era tanto degno:
m'a quel ch'io vidi, a ciò mi sicurai, 20
sì che ciò ch<ed> io vaglio da voi tegno,
e non mi credo dipartir già mai:
in tale guisa di voi inamorai,
che nel mio core pur sesto e disegno
perché lo 'ncominzare fue gioioso 25
e poi hanno seguito i be' sembianti.
Quand'io passo veg<g>endovi davanti,
lo cor si parte, a voi vien talentoso
di dicer ciò ch'io sento per amare;
a me non torna, con voi si dimora: 30
così con voi potess'io in quell'ora
es<s>ere in terzo sanza villanare!
Madonna, ben s'alegra la mia mente,
e parte dole ed ha greve dottanza
non perda per la lunga dimoranza 35
che˙molte cose fallane presente;
però conviene a voi aver pietanza
di me, con tutto ch'io non sia cherente.
Non vi dispiacc<i>a: tanto son temente,
che dicer non vi so la mia pesanza. 40
Ma fo fra me medesimo ragione,
se guerir tarda la vostra bieltate
e non avete di me pïetate,
ch'io morò, sì fort'è la condizione:
però, gentil, cortese donna e sag<g>ia, 45
non falli il vostro dolze inconinzare,
ché troppo foria forte il mio penare,
se pietà e merzé non v'incorag<g>ia.
Madonna, ciò ch'io dico è gran follore,
ché sì gran gioia, come di voi atendo, 50
è sì alta cosa che mi va p<a>rendo
che soferirne morte sia valore;
ma tutavia s'io vo merzé cherendo,
sono com' ubidente servitore:
faccio per sollenar lo grande ardore 55
ch'io sento per amar, là ond'io incendo;
ché mante fiate son ch'io mi dispero,
e dico: «Ohi lasso, che vit'è la mia?
Ché non mi movo e vo a la donna mia
e moro avanti a lo suo viso altero?» 60
Poi m'asicuro a la vostra valenza,
che so ch'è tanta, che pietà n'avrete:
merzé, donna; se troppo il mi tenete,
dipo la morte non vi fia a <'n>crescenza.
Donna, sovente dicere ag<g>io audito 65
assai si lauda lo buon cominzato,
ma pur la fine facelo laudato,
lodalo 'l pregio là ov'è l'om salito.
Dunque lo vostro fu dolze aportato,
quando d'amor mi faceste lo 'nvito; 70
e poi nel mezzo avetelo seguito,
lo bon fenir vi de' essere in grato:
ch'io già per me nonn-ag<g>io altro disio,
se non ch'io atendo lo bon compimento:
che si congiunga il vostro piacimento 75
insiemormente co lo voler mio;
ché tempo ven, don<n>a, ch'om pote avere
gioia, e se smarisce il temporale,
lo tempo passa, suo pregio non vale:
s'è tempo, per Dio fatemi gaudere. 80
XVII
(V CCXVI)
2
<Madonna>
Orato di valor, dolze meo sire,
alegra son, se 'l vostro gentil core
canta del fino amore,
vogliendo il mio comincio perseguire:
ch'assai m'è gioia avervi a servidore, 5
e quand'io sento ch'ag<g>iate disire,
obrio ogne martire
e sol di benenanza ag<g>io savore:
ca, voi mirando, amor tut<t>a m'avinge,
sì ch'io ho 'n obrio ogne altro intendimento 10
e se non fosse blasmo che pavento,
io seguirei là ove l'amor mi pinge;
ma lo dolze sperare ag<g>io del pome,
lo qual credo compiér como m'avinse,
che quando cominciai tanto mi vinse, 15
che, pur tempo aspetando, dico: «Oh me!».
Orato sire, quando inamorai
del vostro gran valor, diedivi pegno
lo cor: meco no˙l tegno;
con voi dimora, poi che coninzai, 20
ed ho temenza, s'io più nanti vegno,
non io ag<g>ia destati li miei guai,
perch'io già non amai
né disïai; se 'n su questo m'avegno,
porag<g>io dir ch'amor sia poderoso, 25
e possa me, sì come gli altri amanti,
alegra far di canti,
ed ogne meo sospiro far gioioso:
però fermezza deg<g>iate pigliare
ch'altra voglienza già più non m'incora, 30
se non ch'io atendo l'ora
com'io vi possa alegra gioia donare.
Orato sire, assai odo sovente
ch'amor nonn-è, se non ave dottanza:
chi non sente pesanza 35
non pò di gran valore esser tenente.
Chi bene ama non voglia soverchianza,
ma sostenere in gioia umilemente
ciò c'ha d'amor presente,
e tutora afinando sua speranza, 40
tutor celando la sua openïone,
fug<g>endo blasmo e seguendo umiltate:
credo ben che lo fate,
tant'è la vostra nobil discrezione.
Ed eo medesma, avegna non sia sag<g>ia, 45
lo nostro amor vogliendo ricelare,
assai sento penare,
tempo aspetando a ciò che m'incorag<g>ia.
Orato sire, dolze meo segnore,
confortate, ch'io più di voi incendo, 50
né già vita non prendo
se non solo di pervenire a l'ore
com'io vi possa sodisfar, gaudendo,
di quel laond'io fui cominciatore:
più di voi n'ho dolore, 55
e fra me stessa sospiro piangendo;
e se non fosse ch'io non mi dispero,
pensando de la vostra gentilia,
ché so ch'avete tanta cortesia,
ch'atender tempo non vi fia guerero; 60
e poi direte a me s'io fo fallenza,
e ferma sicurtà di me credete
che, più ch'io non son mia, vostra m'avete,
di quanto più avesse in me potenza.
Orato sire, s'io non v'ho servito, 65
per non-volere già nonn-ho lasciato,
e assai mi fora in grato
che 'l mio talento fossene seguito:
ch'io v'amo ed amerò ed ag<g>io amato
ed ogne altro disïo m'è fug<g>ito; 70
lo vostro fino amor m'è sì agradito,
ch'ogne valore avetemi furato.
Però convien si compia lo disio,
e séguiti lo bon cominciamento:
di ciò prendete da me fermamento 75
che solamente è questo il voler mio,
di perseguire lo vostro piacere
e non tardar già lungo temporale;
però vi priego, se di me vi cale,
che bon conforto sia in vostro pensiere. 80
XVIII
(V CCXVII)
Di cantare ho talento,
membrando ciò ch'amore
m'ha˙ffatto di martìri in gioia tornare;
ma tutora pavento,
sed io faccio sentore, 5
non paia quello ch'io vorei celare.
Ma˙ss'io voglio mostrare
de la mia benenanza,
ché ben saria fallanza
sed io alquanto non mi ralegrasse 10
e con gioia cantasse,
ricelando la mia dolze speranza
laonde nasce tal disio menare.
Disio ho di valenza
quant'è lo mio piacere, 15
ché son ruscito di gran manentia,
e son dato a servenza
là ov'è tut<t>o valere,
pregio ed onor, larghezza e cortesia.
E di mia gran follia 20
certo son commendato,
com'om c'ha disïato
lo suo gravoso danno e disinore,
poi, me' conoscidore,
ritornò al dritto stato 25
seguendo il bene, e lo suo male obria.
Obrïar mi convene
lo tempo c'ho perduto,
e umilemente fino amor seguire;
e lo grande mio bene, 30
ch'el<l>o m'ha conceduto,
gechitamente deg<g>iolo gradire,
come vuole ubidire
segnor valente e sag<g>io:
ch'aver di reo parag<g>io 35
e prender lo suo frutto contrarioso,
cred'omo esser gioioso,
radoppia il suo dannag<g>io;
ma chi ben serve sempre n'ha disire.
Disïat'ag<g>io invano: 40
non ne fui conoscente
di reo segnor la sua openïone:
era gechito e umano,
come buon soferente,
non credendo partir sanza cagione. 45
Or sono al paragone:
laond'io m'alegro e canto,
e 'l mio tormento e pianto
ch'ag<g>io portato, meterò 'n obrio;
ma buon segnore ho <'n> fio 50
non savria dir lo quanto,
tanto m'ha dato e dà più ch'è ragione.
Canzonetta mia fina,
or t'invïa presente
a la sovrana in cui pregio dimora: 55
quella che mi dimina
e fa˙mi gir gaudente
e d'ogni reo sofrir m'ha tratto fora.
Sempre d'amar m'incora
lo suo piagente viso, 60
la boc<c>a e <'l> dolze riso,
l'adornezze compiute ed a ragioni;
dille che mi perdoni
s'al cantar mi son miso,
ché 'l suo fin prèso il fa, tanto m'inora. 65
XIX
(V CCXVIII)
Chi 'mprima disse "amore"
fallò veracemente:
chi˙llui crede presente
puònne dire amarore;
chi lo segue, lo sente 5
ciò che mostra di fore:
nonn-è tale 'l sapore
sì come lo comincio primamente:
ché con piagente isguardo omo innamora;
ciò che mostra di fora 10
già mai no˙l vuol seguire;
con pene e con martìre
lo nodrisce a tutora,
lontan di gioia e presso di finire.
Amore amaro dico, 15
guerra d'affanno e d'ira;
assai forte sospira
quegli che gli è più amico;
chi co˙llui più si smira
fa di dolor notrico; 20
però mi ci fatico,
che l'opera di lui ria mi ci tira.
Ch'assai a' buon' tolle e a' malvagi dona;
a tal mette corona
che no˙lli s'averia, 25
e tal mette in obria
e sovente il cagiona,
che fora degno aver gran segnoria.
Amaro amor, tormento,
dolor d'ogne pesanza, 30
<..............–anza>
primer di piacimento,
e poi tolle allegranza;
segue lo tradimento:
in ciò ferma talento 35
ed ogne poso mette in obrïanza;
e sì come lo foco è colorato,
bello a vedere: usato,
chi lo toc<c>a, è cocente,
e divora presente 40
ciò che gli è dimostrato,
e la grande alegrezza fa dolente.
Amore a che cagione
aquista li serventi?
Credo per far dolenti 45
de la sua openïone.
Ahi Dio, quanti valenti
mort'ha sanza cagione!
Villano amor fellone,
com'ave acorto i venti! 50
Ca ben può dir ch'assai lavori invano
quei che lo serve umano:
e' senza gioia lo tene,
nodriscelo di pene:
ma quei fa ben, chi più li sta lontano 55
e chi la sua amistate poco tene.
Canzonetta, agli amanti
di presente t'invia:
ciascun che 'n pene sia
lo partir fac<ci>a avanti; 60
non seguan la follia
e falsi sguardi tanti:
ciascun d'altro s'amanti,
non entri in sua balia:
ch'amor ninferno <è> d'ogne pena forte 65
e dolor d'ogni morte;
chi più lui cred' e più vi s'afatica
lo suo danno notrica:
ogn'om di lui servir serri le porte.
XX
(V CCXIX)
Greve cosa è l'atendere
quello ch'omo ha 'n disia:
ira, e danno, e maninconia
ave chi ha speranza d'ess'aprendere:
ché˙llunga atesa obrïa disïanza 5
e mette in disperanza
ciò ch'om crede aquistare;
li bon' face bassare
<e> chi più vale, più sente pesanza.
D'un sì lontano ateso 10
donna, vostra impromessa
tardata m'è e dimessa,
ed in me tormentoso foco ha preso,
sì ch'io son più che prima doloroso:
d'impromessa non sono disïoso, 15
ma tutor la pavento:
me' foria per un cento
ch'io fosse come 'mpria ch'era gioioso.
Donna, di voi m'avene
a semblanza del foco 20
che 'mprima pare gioco,
ma chi lo toc<c>a ha pene;
così di voi: quando prima guardai
(e) con voï parlai,
erami in piacimento; 25
seguendo poi, tormento
assai n'ho avuto e radoplati i guai.
Nonn-è verace usanza,
donna, né dritto onore
dar pene a servidore 30
e torerli la sua gran benenanza:
ma si convene a donna c'ha bieltate
modo di veritate,
a pregio mantenere:
promet<t>ere e atenere, 35
ma non torere e donar niquitate.
A voi, donna, s'invia
mia canzonetta adesso,
ch'io non ag<g>io altro messo
lo qual vi dica la mia malatia: 40
se non mi ristorate, io certo pèro,
essend'a me guerero
vostro alegro donato:
piacc<i>avi e siavi a grato
di provedere inverso me, ch'io pèro. 45
XXI
(V CCXX)
Fa˙mi sembianza di sì grande ardire
d'amarmi coralmente
la mia donna, cui mi son tut<t>o dato,
che par ch'io n'ag<g>ia tut<t>o il meo disire;
e credetelo, gente: 5
glorificando me in grande stato,
fate sì come apone
lo savio, sormonando
che, la cera guardando,
lo voler dentro si può giudicare. 10
Ben'è <'n> tut<t>o ragione
che tal chiarore spanda
chent'ha chi la mi manda,
per zo che naturalmente il de' fare.
Nome di re non val senza podere; 15
più vale ascosto bene,
che gran bene pregar l'om che s'imprenda;
chi sta nel foco già non de' volere
ch'altri dica: «Egli ha bene»
e credalo, e non quello che gli afenda: 20
ch'altro sentenza il morto.
Null'uom non è indovino:
ragione <ha> del mischino
che non vuol palesare la sua noia;
de' l'om col male a porto 25
di gran gente venire,
ché tal lo po' sentire
che 'l male c'ha li fa tornare in gioia.
Per pregio di richezze ch'io non hoe
non vo' parer ch'io goda, 30
da che 'l mio cor di pena non si parte;
s'el<l>a mia donna sembra, ch'io diròe
questo ciascheduno oda:
ched io i˙llei nonn-eb<b>i anc<or>e parte.
Forse che ciò ch'io dico 35
non credete neiente,
ma ch'io ne sia dicente
ad arti per torervene credenza;
se no˙l credete, dico
ched ho <o>gni grande cosa 40
veg<g>endo l'amorosa,
incarnata sembianza che m'agenza.
Pensando li sembianti che mi face
tanto forte travaglio,
che come matto vegno dismaruto: 45
sospiro, piango, dico: «Perché 'l face,
già per lei ched io vaglio,
e non mi dona quel ch'ag<g>io servuto?»
Se 'ntenzar vole, soe
che˙la sua vista sembra 50
che tut<t>e le sue membra
si<en com>prese d'amor ver di me amare;
se non m'amasse, soe
che per mia diligione
non vorei far cagione 55
che ne potesse biasimo aquistare.
Sì come audite, a cotal son condotto
che viver né morire,
<sperar> né disperare non mi posso;
lo rallegrare e l<o> prorare dotto: 60
ch'e' non sia, a 'l vero dire,
mi par da tante pene dir lo posso;
non so ched io mi fac<c>ia,
né chente ramo io prenda
che meve no misprenda. 65
A voi, donne e donzelle, ne <ri>ncresca,
tanto che, dove piacc<i>a,
la mia donna pregate
ch'ag<g>ia di me pietate
e secondo ragione gioia m'acresca. 70
XXII
(V CCXXI)
S'esser potesse ch'io il potesse avere,
anzi che grande avere,
tanto vorei savere,
madonna, pur un'ora,
ch'io scrivere sapesse quante <ho> pene, 5
o ch'io il mio core pingere savesse
con quante pene avesse,
in guisa che paresse
chent'è il mal ch'è<i> tutora
per star lontan di voi, dolze mio bene; 10
e zo ch'io dico avendo,
sovrano mi teria co<m'è> ragione,
ché col mio cor non prendo
altro disio, che 'n voi creder mi' doglia,
ed i' questo averia, 15
ch'i' pingere' mi' cor e˙ssua cagione,
e voi lo manderia,
e saria ric<c>o di compiuta voglia.
Creder voglio lo mal c'ho in grazza avere
con tôrmi ogn'altro avere: 20
ed io fac<c>io savere
<non si fe' tale ancora>
che n'avrò gioia e uscerò di pene:
chï<unque> avesse <o>ro e mal savesse
guerir del mal ch'avesse 25
per l'or o non paresse,
folle saria quell'ora:
ché star ne l'or ed arder non è bene.
Oro ed argen<t>o avendo,
non mi toria mia doglia di ragione; 30
or dunque ben m'aprendo
dimandar lo sanar de la mia doglia:
già mai non s'averia
bene per mal cherer, e <a> che cagione
ne l'adimanderia? 35
Del poco di<r> si <pò> discovrir voglia.
* Ognor tal senno non si puote avere,
come per tut<t>o avere
il mi' fantin savere: *
ché 'l fantino spes<s>'ora 40
chere volare, e 'l pregione per pene;
cotali prieghi, chi molti s'avesse,
a chi 'l suo tempo avesse
e matto non paresse?
Fòssi in buona memora 45
conoscer dèi, se fa' pescaia bene.
Non muove bene, avendo
gran disiranza e pene, la ragione:
per zo non mi riprendo
di zo ch'io chero, perché il mi fa doglia; 50
néd altri nonn-avria
di riprender<e> me dritta cagione:
con dritto amanderia
ciò ch'egli ha, po' che doglia mendar voglia.
* Al vento vo' spannar, ch'i' pos<s>'avere, 55
prendendo quello avere
ch'ìo posso e 'l savere,
me<r>tando veder l'òra
e dimorare in foco senza pene.
Pensar vo' pur com'io dire savesse, 60
in guisa sì ch'avesse
lo mio dire paresse
frutto in voi, <'n> cu<i dimo>ra
quanto nel mondo si sembla di bene.
Assai pensato avendo, 65
tal frutto mi par non dir mia ragione
chent'è, s'a dir l'aprendo:
così mi vuol dispera<r> la mia doglia;
ag<g>io udito ch'avria
<a> trovar <pres>to porta la cagione, 70
e ne comanderia:
per zo non vo' disperar la mia voglia.
Isperando ciò che disi<o> avere,
ah quanto mal ch'avere
mi fa lo non-savere! 75
Che crediate ch'ancora
lo core mio, sì come fa per pene,
non mi rimembro che di ben savesse,
per allegrar ch'avesse
mio cor, che gioia paresse. 80
Poi ch'io non vi vidi ora,
membra<r> ch'io ag<g>ia, no n<e> sento
bene.
Pur io gran male avendo
per sovramar, pensando la ragione
veg<g>io ch'io pur aprendo; 85
s'io dorm'o veglio, tutor sento doglia:
e zo perché averia?
aitando non mi cangiate cagione;
forse che manderia
pensiero in vanechiarmi vostra voglia. * 90
XXIII
(V CCXXII)
Allegrosi cantari,
molta merzé vi chero,
ché mi' facc<i>a dimossa,
se de li mie' vi faccio guerïanza,
che, s'io li fo contrari 5
d'esta guisa, per vero
altri l'ave comossa
in me questa gran disaventuranza.
Voria ben per mio grato
fiorire in altro frutto, 10
ma simile disdotto
che 'l zezer fa bernare
mi 'l fa, ed i<n> cantare
com'egli terminar vo' la mia vita.
Esta stagion non vene 15
che mi doni conforto;
di tai cantar' non fino
come zigola infin che morte prova:
ma la fenice avene
che per morte entra in porto 20
molto gioioso e fino,
e <per> zo è che sé tanto rinova:
ond'io morir voria
sanza dimora avere,
s'io dovesse tenere 25
simigliante natura:
ma Deo de la ventura
prego che deami a savere la possa.
Sì ho ferma credenza
che lo mio nascimento 30
fosse in mala pianeta,
che 'l mi' prego tegn'<i>o nave afondata;
e lunga soferenza
di gravoso tormento
in ciò creder m'aqueta; 35
poi che nulla nonn-è per distinata
e tut<t>o ben vi sta,
grave pena sofèro:
ma cagione fa fero
foco de l'aqua uscire: 40
perzò non m'è da dire
ch'io falli, s'a cotal ramo m'aprendo.
Ben è, la mia, gran doglia:
ch'io non posso guerire,
se quei che m'ha feruto 45
non mi sana com' Pelëùs sua lanza;
e diamante sua voglia
paremene a sentire,
ch'al cor mi stea l'aguto
ch'entro gli ha messo la sua disianza. 50
<. . . . . . . . . . . . . . . .>
è lo mal che me mosse,
come d'ugel che fosse
la sua vita cazzato:
però son disperato, 55
non credo mai sentire gioia d'amore.
Non credetti svenire
com'io sono svenuto
tanto crudelemente,
tant'era alto per la vertù d'amore 60
ben era, a lo ver dire,
fiorin d'oro venuto
d'amor, cui son servente:
prendea di lui tutora il frutto e 'l flore:
ca simile m'avene 65
ch'a˙lLuzefer legato,
che tut<t>o il suo gra<n> stato
perdé 'n un movimento.
D'esto dir non m'allento:
che 'n cotal porto provi chi 'l mi dène. 70
XXIV
(V CCXXIII)
Sovente il mio cor pingo
ad amore, ché˙llà
penson' avere avento:
credo incarnare, eo pingo;
nonn-ho vigor ch'ell'ha: 5
così son di gio' avento.
Mando lo cor, non torna;
ma lo corpo ratorna:
non si racorge a loco,
tanto li piace loco. 10
Così perdo che fo:
credo ben far, non fo.
Co la credenza inganno
la mia mente e me stesso:
credo parlare a boc<c>a. 15
Sì come 'l pesce a 'nganno
prende a l'amo se stesso,
così il mio core imboc<c>a
ciò ch'amore li dà:
credene aver, no 'nd'ha: 20
mostrali gioco a punta,
prendelo a taglio e punta.
Son caduto, or m'apiglio:
neiente è ciò ch'io piglio.
Va', mia canzone, al sag<g>io 25
c'ha 'l nome per contraro:
dilli ch'io son turbato,
perché, di valor sag<g>io,
di me intenda il contraro,
ischiari 'l mio turbato: 30
perché il podere e' s'ha,
dicane ciò che sa;
consigli mia gran pena,
che la sostegno apena:
s'io mi posi o sog<g>iorni 35
o vi perda più giorni.
XXV
(V CCXXIV)
Ahi dolze e gaia terra fiorentina,
fontana di valore e di piagenza,
fior de l'altre, Fiorenza,
qualunque ha più saver ti ten reina.
Formata fue di Roma tua semenza 5
e da Dio solo data la dotrina,
ché per luce divina
lo re Fiorin ci spese sua potenza;
ed eb<b>e in sua seguenza
conti e marchesi, prencipi e baroni, 10
gentil' d'altre ragioni:
cesati fuor d'orgoglio e villania,
miser lor baronia
a ciò che fossi de l'altre mag<g>iore.
Come fosti ordinata primamente 15
da' sei baron' che più avean d'altura,
e ciascun puose cura
ver' sua parte, com' fosse più piacente;
da San Giovanni avesti sua figura,
i be' costumi dal fior de la gente, 20
da' savi il convenente;
in planeta di Lëo più sicura,
di villania fuor, pura,
di piacimento e di valore orata,
sana aira e in gioia formata, 25
diletto d'ogni bene ed abondosa,
gentile ed amorosa,
imperadrice d'ogni cortesia.
Ahimè, Fiorenza, che è rimembrare
lo grande stato e la tua franchitate 30
c'ho detta!, ch'è in viltate
disposta ed abassata, ed in penare
somessa, e sottoposta in fedaltate,
per li tuoi figli co˙llo˙rio portare,
che, per non perdonare 35
l'un l'altro, t'hanno messa in basitate.
Ahïmè lasso, dov'è lo savere
e lo pregio e 'l valore e la franchezza?
La tua gran gentilezza
credo che dorme e giace in mala parte: 40
chi 'mprima disse «parte»
fra li tuo figli tormentato sia.
«Fiorenza» non pos' dir, ché se' sf<i>orita,
né ragionar che 'n te sia cortisia:
chi chi non s'aomilia, 45
già sua bontà non puote esser gradita;
non se' più tua, né hai la segnoria,
anzi se' disorata ed aunita
ed hai perduta vita,
ché messa t'ha ciascuno 'n schiavonia. 50
Da l'un tuo figlio due volte donata
per l'altro consumare e dar dolore,
e per l'altro a segnore
se' oramai e donera'gli il fio:
non val chiedere a Dio 55
per te merzé, Fiorenze dolorosa.
Ché è moltipricato in tua statura
asto e 'nvidïa, noia e strug<g>imento
orgoglioso talento,
avarizza, pigrezza e losura; 60
e ciascuno che 'n te ha pensamento
e' studia sempre di volere usura;
di Dio nonn-han paura
ma sieguen sempre disïar tormento.
Li pic<c>iol', li mezzani e li mag<g>iori 65
hanno altro in cor che non mostran di fora:
per contrado lavora
onde 'l Segnore Idio pien di pietate
per Sua nobilitate
ti riconduca a la verace via. 70
XXVI
(V CCXXV)
Quando lo mar tempesta,
per natura che gli ène,
de lo suo tempestare gitta l'onda;
e 'n quella guisa alpesta
è spesso, ché grand'ène 5
la cagion che tempesta <sì> gli abonda.
Vede l'ond'agitare,
già mai non vede posa,
infin che quella cosa
che lo fa tempestare 10
non si parte da˙llui,
perch'è natura i˙llui
di così far, quando i giunge quell'ora.
E per natura getta
la tempesta il maroso, 15
d<ov>unque là ove inchiuder non si pote:
* dunque elli in cui lo getta
fior'è ch'è tempestoso
e che gioie per stagion menare pote.
E da ch'è così certo, 20
bene faria fallanza
chi ponesse fallanza
in ch'io lo metto sper<t>o:
facesse in ciò pur d'una
guisa, com' so, mal sona, 25
ché mare, com' tempesta, l'onda butta. *
Tanto mi par lo dire,
ch'ag<g>io fatto, certano,
che di parlare ancora no ridotto
quel che mi fa languire, 30
ancora che lontano,
m'assai diròllo, come sia condotto.
Ciò natura distina:
sì com'ha sua natura
ciascuna crïatura, 35
ritraie indi gioi' fina;
a quella ch'io avea
traea, da che dovea,
e come pesce per lo mare stava.
Istando più gioioso 40
ne lo mar d'ogni gioia,
ed un'òra crudele cominciòe
a farlo tempestoso,
pur per me donar noia,
ond'ïo morte tosto n'averòe; 45
ché per suo tempestare
mi lasciò smisurato:
con un'onda abutato
lungi m'ha fuor del mare,
e posto in ter<r>a dura 50
e tratto di natura,
<come d'>onde li pesci, ch'indi han vita.
Veggendo ched io sono
di star ne l'aqua fora,
assai isbatuto son per ritornare. 55
Tanto sbatuto sono:
ed ancor non mi fora
per certo dentro mai non <ri>tornare;
ond'è mia vit'a terra
più che non fari' in parte 60
àlbere che si parte,
quand'è verde, da terra:
ma prego sire Deo
che <'n> quella guisa ch'eo
moro, chi morir fa˙mi morir faccia. 65
XXVII
(V CCXXVI)
Chïunque altrüi blasma
per torto che li face,
bene si de' laudare
di chi li fa ragione,
ché 'l ben de' star come 'l male in parvenza. 5
Chi pur lo torto blasma
e 'l ben celar li piace,
ben este da blasmare
d'una falsa cagione,
sì come il falso pien di scanoscenza. 10
E zo credendo la mia canoscenza,
però ch'io son blasmato
plus-or forte d'amore
parendomi ingannato,
or co ragione laudarmene voglio, 15
seguendo nel ben ciò che nel mal soglio;
ed a l'amor cui servo
grazze fo di buon core,
palesandomi servo
sovra gli altri per lungo mer<i>tato. 20
Non vo' far com'han fatto
molti che sono e fuoro,
che, s'u<n> to<r>nò i<n> spiacere,
cento piacer' piagenti
hanno somessi e riputati i˙noia. 25
Tut<t>e doglie in affatto
che per amor mi fuoro
con alegro volere
paleso a tut<t>e genti
dimett<erï>a sol per una gioia. 30
Non potreb<b>e mia vita star sì croia
ch'io mi blasmasse mai
d'amor ch'atanto tegno,
che gioia m'ha dato omai:
tut<t>i li mal' passa in ben che m'ha dato. 35
S'al mio chieder m'avesse sormontato,
tanto alto non sare<i>,
ch'a chi più bassa tegno
apreso mi sarei,
pare<n>dom'esser ne lo som<m>o loco. 40
Sed io fosse sicuro
di regnar quanto il mondo,
non poterei servire
tanto né ringrazzare
amor, che 'l suo gran dono n'avanzasse. 45
Non posso star sicuro
ormai con cor giucondo
inver' d'amor fallire,
tanto saria il fallare
co blasimo di me ch'a amor fallasse. 50
Nanti vorei morir, ch'io pur pensasse
di star d'amor diviso:
ch'amor loco m'ha˙ffatto
nel dolze paradiso,
giungendo ben miei rai con quei del sole, 55
donandomi a servire a tal che vuole
di cui servo mi piace
dimorare intrasatto,
servendola verace
in tut<t>e parti <a> tut<t>o il mio
podere. 60
Non mi fue con gravezza
lo dolze acordamento
ch'ag<g>io co la mia donna:
lo primo sguardo prese,
confortando me star suo amadore; 65
no˙l mi fe' mia bellezza
né grande insegnamento;
né, cortese sovr'onna,
da me non si difese,
sdegnando me per suo grande valore. 70
Quanto di bene i' tegno è dad amore;
senza amar nonn-è bene;
da˙llui quant'è discende:
però chi l'ha 'n ispene
mantegnalo, sperando guiderdono. 75
Non prende servo senza darli dono,
ancor che la mercede
al servidor no rende
sì tosto com'e' crede,
ch'amor lo face provando gli amanti. 80
Pareglia àlbori e fiori
e verdor' de li prati
e de l'agua chiarore
e lume d'ogni spera
quel<l>a che m'ha e tien per suo servente; 85
tratta tut<t>i gli onori;
de li piacenti stati
som<m>'ha il suo gran valore;
natur'ha di pantera:
lo suo dolz<or> prende tut<t>a la gente. 90
Imperïal coron'ha veramente
di tut<t>a la bieltate;
è d'essere cortese,
savia con umiltate:
a lei inchina quant'è di piacere. 95
Così mi fa sperare grande avere,
facendomi d'amare
sembianti, me palese
di tal gioia aquistare
a compimento de lo mio disio. 100
Compimento di frutto
non mi fa rallegrare
né sì lodar d'amore,
perciò ched io no l'ag<g>io,
e zo riman perch'io non so dov'ène: 105
ché 'l suo valore in tutto
è fermo zo me dare:
ma ralegra il mio core
e lod'amor ch'è mag<g>io,
perch'a la som<m>a gioia m'aferma spene. 110
Ché sae guiderdonar l'omo di bene
l'amar, quando s'aprende
aprendersi di tale
ch'altri non ne riprende
ed amor no ne g<r>ava del parere. 115
Ed io ben vorei tanto del savere,
ched io contar savesse
quanto madonna vale
a quel ch'altrui paresse,
ché zo aver gran dono mi teria. 120
Quant'e quale è <'l> valere
che madonna prosiede
dire non <lo> poria
néd istimar con core,
ch'ella smisura come il ciel st<ell>ato; 125
volerlo fa<r> parere
in gran noia mi riede;
così si storberia
mio alegro valore.
A ciò che non si sturbi da vil lato, 130
e' dò consiglio ad ogni 'namorato
che mantien disïanza
<d'amorosa donzella>
che deg<g>ia gire a danza
quel giorno che domenica s'apella: 135
domenica ogni cosa rinovella
sì come primavera,
cotal vertute è 'n ella.
Tut<t>a gioia ch'om <ha> altera
in domenica mi fue conceputa. 140
XXVIII
(V CCXXVII)
Da che mi conven fare
cosa ch'è da biasmare
e da tenere grande fallimento,
donne e donzelle invito;
ch'i' bene si' audito 5
a gl<i> uomini cui ho far parlamento;
e vo' far difensione
del parlare villano
che di me si faria,
se la greve cagione 10
che m'ha dato il cor vano
celar dovesse, che pur loderia.
Amore c'ha semblanza
di fina 'namoranza,
chi lo partisse serìa sconoscente; 15
e ben si può ridire
che fosse a lo ver dire
oltre misura di ciò far fallente;
ed e' così tenuto
serei in ogne parte 20
per non saver lo certo,
ch'anzi vorei feruto
essere in ogni parte,
che tale biasimo in me fosse certo.
Sì come altri amadori 25
che met<t>oro i lor cori
ne le femine amare ben servendo,
coralemente misi
lo mio, né no˙l dimisi,
in una donna, <ed> a˙llei non falendo 30
lungo temp'ho passato.
Certo amor mi tenea
d'ogn'om più altamente:
ed ora m'ha˙ffallato,
ché del propio ch'avea 35
di sé, mi dà d'altro fatto parvente.
Lasso, <era> mia credenza
d'amare <a> som<m>a intenza:
altrui sentenzïando, me lanzava.
Sì com'om non sapiente 40
del fino oro lucente
facëa diligion, piombo avanzava;
era simil di quelli
che vede il busco altrui,
e non sua grande trave. 45
Parmi che nullo ovelli
non de' dir: «son colui
che non ha pari», per gran stato ch'ave.
Se m'avesse commiato
di partire donato, 50
non blasmerei, poi che fallasse:
ché m'era ben gran doglia,
poi ch'e<i> fiore e foglia,
<che> frutto <ancora> di lei <non> pigliasse.
Ma ella mi mostrava 55
di lëalmente amare,
né partir non volea:
ed altro omo amava!
No lo potea celare;
ch'io la vidi che celar lo volea. 60
Forte son lamentato
perché m'ave fallato,
donando sé indel'altrui talento.
Ancora in veritate
più mag<g>ior falsitate 65
m'ha˙ffatta, da blasmare per un cento:
altr'om <a> chi era data
in un'ora che mee
a sé fece venire,
dicendo la spietata: 70
«mïa voglia nonn-èe».
perch'io co˙llui mi dovesse ferire.
Come Cain primero
di far crudele e fero
micidio fu, posso dire che sia 75
el<l>a prima ch'apare
di sì gran fallo fare
in tale guisa, sanza dir bugia.
Dunque saria ragione
che 'n aer e<d> in foco 80
come Caino stesse,
perché <la> tradigione
in ciascheduno loco
similemente pales<at>a stesse.
Ora <ch'>avete audito 85
sì come son tradito,
di ciò ch'io faccio mai non m'incolpate,
ch'io non poria far quella
che degna non foss'ella
a gravezza di lei in veritate: 90
però che l'amava eo
più ch'anche fosse amata
donna da amadore;
tut<t>a gioia c'ha il cor meo
dava a la rinegata, 95
lassa, cui piacean doglie nel mi' core.
Donne ch'onore avete,
donzelle che 'l volete,
intra voi ragionate zo c'ho detto;
<ed> es<s>a biasimate 100
di sì gran falsitate,
ché tenute ne siete per iscritto.
Per non blasmar lo male
molta gente si duole
che già non si doria; 105
tal pensero ancor sale
che lo male far sòle,
che blasmo usato lo ne distoria.
XXIX
(V CCXXVIII)
Or tornate in usanza, buona gente,
di blasimar lo mal quando si face,
se no il mondo perirà in presente,
tanto <ci> abonda la gente fallace
che tutor grana de li frutti rei. 5
Vostro socorso sia sanza fallanza,
a ciò che de lo mal far sia dottanza,
ché non periscan li bon' per li rei.
Lo biasmo date com'è convene<nte>;
ed intendete una gran falsitate 10
che m'ha fatto una donna, cui servente
mio core è stato in molta lëaltate:
mostrandomi d'amar più d'omo nato,
fallito m'ave per altro amadore:
ond'io mi doglio che 'n sì vano core 15
lungo tempo lo mio amore ho dato.
A Giuda ben la posso asumigliare
che baciando ingannò Nostro Segnore;
mai nessuno omo non si può guardare
da quei che vuole ingannar con amore. 20
Vergilio, ch'era tanto sapïente,
per falso amore si trovò ingannato:
così fosse ogne amante vendicato
com'e' si vendicò de la fallente!
Se m'ha fallito, non posso fare altro; 25
io non son lo primero cui avegna:
Salamone ingannato fue, non ch'altro,
ch'era del senno la più somma insegna.
A la grande vendetta mi richiamo,
perch'io spero d'aver grande conforto, 30
guiderdonato chi m'ha fatto torto
più grevemente che non fue Adamo.
Tutto zo che m'ha fatto la mia intenza
era veduta cosa che sareb<b>e:
però quando ella fece <sua> fallenza 35
a lo primiero segnor ched ella eb<b>e,
no˙l conoscea, tant'era compreso:
ingannòmi l'amor come Sansone,
che vide quello per mante stagione
che potea bene creder com' fue preso. 40
XXX
(V CCXXIX)
Uno disio m'è nato
d'amor tanto corale,
che non posso altro ch'ello:
come fuoco stipato,
tutor sormonta e sale, 5
raprendendomi 'n ello.
Or sono al paragone:
che s'amor per ragione
dona mort'e per uso,
ch'io mora senza induso: 10
così forte m'incama
d'àlbore sanza rama.
Se pe-ragion non dàe
né per uso amor morte,
morte m'ho zo cherendo: 15
così l'una daràe
al cor distretta forte,
ond'io morò volendo.
Di morte no spavento,
ché morire in tormento 20
è allegrezza e gioia,
secondo ch'è gran noia
a quell'uomo morire
c'ha stato di gioire.
Gioia nonn-ho né spero, 25
ch'amor mi fa volere
sanza l'ale volare,
ed in tal loco altero
ch'avrei prima podere
d'esto mondo disfare. 30
Così nonn-è con gab<b>o
s'io doglio e 'l mal, dico. ab<b>o:
ch'amore amar mi face
tal che non mi conface,
tal che n'ag<g>io dottanza 35
pur di farle sembianza.
Dotto ed ho paura
di mostrarle cad eo
l'ami come molto amo,
però ch'oltre misura, 40
secondo che veg<g>io eo,
ella sormonta d'amo
tra le donne a miro:
così, quando la miro
me medesmo disdegno, 45
e dico: non son degno
di sì alto montare:
non vi poria andare.
Asdegn<and>ome gesse,
inver' le sue altezze 50
maraviglia no m'ène,
ch'anche pintura in gesse
di cotante adornezze
non si fece néd ène.
A lo sol dà chiarore, 55
ogni sper'ha splendore
da˙llëi, quanta splende;
ogni vertù ne scende;
l'amar la doteria,
tant'ha di segnoria. 60
Così, s'amor comanda
e vuol pur che l'ami io,
ello fa gran pecato
sed ello a˙llei non manda
ne lo core disio 65
d'amor bene incarnato,
che, com'io l'amo, m'ami
e per sembianza chiami
lo mio core e conforti
ched io amor le porti 70
o, com'altri amadori
com' mia donna la 'nori.
Gli amador' tut<t>i quanti,
le donne e le donzelle
che d'amore hanno cura, 75
con sospiri e con pianti
più che non son le stelle
assai oltre misura,
io fo priego di core
che prieghino l'amore 80
che mi trag<g>a d'eranza
ed ag<g>ia˙me pietanza,
ond'io ag<g>ia cagione
d'allegrare in canzone.
XXXI
(V CCXXX)
Molti lungo tempo hanno
de l'amor novellato
e divisatamente
che Amore è e dond'ha nascimento;
ed ancora non hanno 5
propio vero trovato
meravigliosamente:
di zo mi fate lo conoscimento.
Mover mi face in trovare canzone
erro di lor cagione, 10
per diffinir tenzone,
ragion provando ciò ched io diròne.
Dice lo Vangelisto
che Dio fue primamente,
ch'Ello criò quanto èie 15
con grande disider<ï>o d'Amore:
dunque l'Amor è Cristo
e da˙lLui è vegnente,
da che l'Amor non èie
a˙lLui dato per altro criatore. 20
Que' son dal vero Amore inamorati
ch'a Dio son servi dati:
possono esser chiamati
naturalmente da l'Amore amati.
Nonn-este omo <per> vero 25
se d'omo non è nato,
né l'amore non este
disirare, se da l'Amor non vene.
Amore propio e vero
nonn-este di pecato, 30
e de lo pecato este
voler tal donna che sposa no gli ène.
E gli era<n>ti sì dicono ch'è amore
trarla di suo onore,
e l'un l'altro amadore 35
a zo disiderare è apellatore.
Ogni disio carnale
ello è tentamento
che domonïo face,
e˙llo mantene e va<˙lo> sormontanno; 40
e se saver ne sale
e bello portamento
ed altro assai che piace,
suo gegno il fa per covrire lo 'nganno:
<ma> guai a chi si dona a tal disire! 45
L'aquisto del piacere
tornar li fa i˙languire,
com'Adamo ferì, ch'<è as>empro <e> miri.
Nonn-è ragion né bene
che 'l mastro sia levato 50
de la cafera sua
e posto uv'omo ch'è sanza valere.
A cui e' si convene
l'oro de' esser dato,
e 'l piombo, chi più su ha, 55
nonn-è degno che dëa prosedere.
Amore per Amore s'inantisca:
non per Amor fiorisca
né dar pregio gradisca
voler donna com' pecato seguisca. 60
XXXII
(V CCXXXI)
Maravigliomi forte
ch'ag<g>io trovato assai
ch'a l'amor danno blasmo,
che dicon che dà morte
crudel, piena di guai; 5
chi˙ll'ha 'n sé bene blasmo:
e' fo˙ragione fan lo<r> fallimente,
ché nonn-è discendente
di lui altro che bene:
savio e cortese sanza noia vene 10
chi da˙llui è distretto;
e que' ch'è ric<c>o face dispendente,
( . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ente)
e pagato si tiene,
e co˙lli rei non vene: 15
tut<t>i gli ha in dispetto.
Amor fa cui distringe
parlar pensatamente
e dir bon senza reo;
ed omo che ristringe 20
volenterosamente
ogne mal far ten reo;
e sempre l'alte cose disïare
e 'l core umilïare
e servir sanza detto 25
(...........-etto)
e dona guiderdono,
ché dipo servire fa 'mperïare
e del guiderdonare
al servidor perfetto 30
non falla, cotant'è leale e netto,
sommo di tut<t>o bono.
Le doglie a l'omo face
pacïente portare,
né disperar no˙lascia; 35
fino, valente face
cui stringe d'aquistare,
e già mai non s'alascia.
Certa<na>mente non sente d'amore
que' che i pone follore, 40
ch'amor dà ta<l> plagenza,
che mai da˙llui non si vuol far partenza.
Né tanto non si n'hae
come per sogno si crede spesse ore
far zo che non fa fiore: 45
blasmando di fallenza
amor, credo blasm'ha cui fa 'ncrescenza:
di lui bono si n'hae.
Fac<e> amore om leale
e molto vertudioso 50
e buon pregio li dàe.
S'omo 'n tant'er<r>o sale
che parla il contrarioso
a zo che l'amor fae,
amor per zo d'alto loco no scende, 55
né non si ne disprende
nesuno buono amante,
ma da˙lloro è blasmato duramante
e falso è aprovato:
così lor dir medesimo gli ofende, 60
perché ben non comprende
che è a dire 'amante':
è quello che <l'>amore fa possante,
ch'è tut<t>o ben provato.
Tant'è amore a dire 65
quanto pro senza danno,
di tut<t>o ben fontana:
chi dice: «este languire»
<ed amanti sì˙ffanno>,
* non sa ciascun s'ingana; * 70
ché ciascheduno amante sta gioioso,
d'amor disideroso,
e no rifina mai
di dire: «Amor, più mi tien che non hai
ne la tua segnoria»: 75
ché chi d'amor non sente sta doglioso,
senza alcuno riposo;
ha sempre di dir mai:
«dolze amore, di te mi prendo assai
ch'io amante non ti stia». 80
Chi chi non voglie, e' blasmi: *
i' lo lodo, ed invito
amor che mi comprenda
ed i<n> sé umanamente m'incarni,
* sì ch'altr'i' non dimanni; * 85
né mai a nullo dire
non mi rendo, che me voglia partire
da˙llui, amor verace.
XXXIII
(V CCXXXII)
Om <ch>e va per ciamino
e ten verso levante
per giungere al ponente,
nonn-averà rifino
d'andare al suo vivante, 5
perché non fia giungente;
perché, quanto più va, vene lontano
–così grand'è cagione–
sempr'affannando se non trova porto:
così non divereb<b>e prosimano 10
nullo, senza ragione,
a la dritta sentenza di conforto.
Chi non entra per via
che sia dritta, già mai
non troverà l'amore, 15
né sapreb<b>e che sia:
cercar potreb<b>e assai,
e vivere in erore.
A le vere scriture omo dee
ricorrer, per savere 20
le diffinite sentenze e le cose:
per loro sì truova fondo a ciò ch'èe
secondo lor valere,
ché˙ll'ag<g>io ben per ver vertudïose.
Secondo la scrittura 25
verace amore è Deo,
e Deo l'amore ène:
una propia figura,
secondo che veg<g>io eo,
è come il pro c'ha bene. 30
Amore è Deo: senza prencipio fue
<e sarà senza fine,>
sì <che, 'n> cui fede, è sì l'amor verace:
amore è pro, ed anche <se> non fue,
dovunque sta da fine 35
d'ogni reo trae lo core e mette in pace.
Ben è ragion chiarita
co' <'n> natura discese,
ch'amore è, Deo <d'>umano:
ché così sì v'aita 40
l'umanità che prese
per porgerne la mano.
Se, quanto amor è da˙lLui in fori, fosse
tant'ello non saria
che dichinato fosse a zo guerire; 45
dunque perché amar d'amor si mosse,
così dunqu'è la via
infra lo core, chi lo vol servire.
Se per contraro nome
de lo bene <ha> lo male 50
e de lo prode danno,
così ve dice come
nom'ha 'l disi<o> carnale
lo giusto amore e˙ssanno:
e' <d'o>dio ha nome, pien di tut<t>o reo; 55
disces'è da primero
da Lucefero, <e>d egli è l<a>onche desso
dimora e sta: e qual è˙loco seo?
core di mal mestero,
sì com'è Deo dove l'amore è messo. 60
XXXIV
(V CCXXXIII)
Quanto ch'è da mia parte,
di voi mi tegno amico,
credendomi esser di voi ben cangiato;
ed io perciò, fuor parte,
con verità vi dico 5
laonde <di> voi tutora sto gravato:
non perchéd io m'ategna a tal disio,
ma per buona amistate,
sapiando ch'a vo' grava,
riputando lo vostro male mio. 10
De la vostra amistate
non voglio troppo dire:
dëa sentenza il fatto, non parole;
dico a voi che membriate
che non par inantire 15
lo civaliere che 'nantir non vole
a lo torneio, vogliendo cavalcare
ad un'or due civalli:
e zo è ben ragione,
ché ciascun de' avere suo guidare. 20
Ben è fuor di ragione
chïunque far volesse
l'aqua inver<so> del cielo <su>
piog<g>iare,
e grand'è la cagione:
se per zo ch'om volesse, 25
e non potendo, <s'>afondasse <'n> mare,
greve blasimo a tal ben si convene:
ché zascun de' volere
quello ch'aver si pote,
e lasciar quello che già mai non vene. 30
Se om'è da blasmare
che vuol ciò che non dee,
ben sète da blasmare, zo mi sembra,
ché voi volete stare
papa e 'mper<ï>o, ch'èe 35
contra ragione, ed avenir ta' membra.
Prendete l'una de le due richesse,
e pensate ch'augello
mai non avreb<b>e posa,
volando ello, se mai non si ponesse. 40
Non dottate servire
a quella segnoria
che grada voi, perch'<a l'>altra ne gravi;
e di quel ch'avenire
possa, profeterai 45
non fate, ché' pensier' son come navi;
seguite sì come va la ventura
servendo lëalmente
là dov'è il vostro core,
ch'ella vi può dar porto fo˙rancura. 50
XXXV
(V CCXXXIV)
Li contrariosi tempi di fortuna,
il soferire affanno malamente,
dimostrar l'om sac<c>ente – e vigoroso:
ch'alor si pare s'ha bontate alcuna
in met<t>er lo suo core e la sua mente 5
in quel che sia piagente – e corag<g>ioso.
Ché <'n> soferire om gioia ed alegranza
di soverchianza – nonn-è già laudato:
quegli è sag<g>io provato
che ne le pene fa sua temperanza, 10
e mette in ubrïanza
lo rio tempo lo qual no gli este in grato.
Chi non dole non sa che sia allegrare,
ché 'l male è de lo ben meglioramento:
dunque sentir tormento –a la stagione 15
acresce del valente suo pregiare;
s'egli ha di soferenza nodrimento,
nel compimento – è lo suo paragone,
ché nostro padre Dio di suo podere
ne dà tener – per lunga soferenza; 20
chi aserva penitenza
umilemente, sanza suo dolere,
de' om met<t>er pensere
nel ben che vene, ed obrïar doglienza.
Giovan di tempo, sag<g>io di costumi, 25
non falli in voi lo bon savere usato,
ma vi sia ricordato – tutavia
che 'l vostro cor di soferenza alumi;
tempo no sta tutora 'n uno stato:
quant'egli è più turbato, 30
in chiarità s'invia.
Dunque conforti vostro gentil core
di bon savore,– avanti per venire
e perdere languire:
ch'assai val me' chi sofera dolore, 35
<ch'e'> vene a più valore,
che sed ei soferisse pur disire.
Ahi Deo merzé, quant'è più saporoso
il ben che dipo il male ha sua vegnenza
e apura credenza – disïando! 40
ch'essere allegro e avenire doglioso
è perdita da no raver semenza:
ma la valenza – è sol di ben sperando.
Però chi si conforta nel danag<g>io
dici' om c'ha bon corag<g>io 45
ed è fermo e valente:
però siavi piacente
di ciò ben mantener lo dritto usag<g>io,
e non siate salvag<g>io
d'aver conforto dibonairamente. 50
XXXVI
(V CCXXXV)
Talento ag<g>io di dire
ciò che celar voria,
ma l'amorosa via
no˙l mi lascia covrire:
ché lo meo cor disia 5
a voi, dolze meo sire,
sovente ore venire
a dir sua vita ria:
come lontanamente
in voi ho disïato, 10
fedele amor portato
a tutora ubidente;
e di ciò ch'è vogliente
in voi non ha trovato:
perché sì sia incontrato 15
saver no˙l pò neiente.
Meo cor non pò savere,
se dol, perché s'avene;
e ciò ch'egli ave e tene
in voi è lo potere. 20
Quando mi risovene
come non pò capere
in voi per suo valere,
sospiri n'ag<g>io e pene:
ché so che sag<g>io siete 25
in ogne altra scïenza,
ma de la mia ubidenza
contraro vi tenete
e già non provedete:
la mia fedel voglienza 30
in celato e 'n parvenza
con voi sempre movete.
Audit'ag<g>io nomare
che 'n gentil core amore
fa suo porto, e lo core 35
sol si mantien d'amare;
e quando al servitore
piacegli meritare,
no atende dimandare,
ché desto n'è ad ognore. 40
E 'n voi è gentilezza,
credo, senno e misura;
di ciò coreg<g>e e dura
ogne orata richezza:
se 'n voi regna ferezza, 45
parmi contra natura,
o mia disaventura
v'aduce in tale asprezza.
Per lungo temporale
fue la mia vita spesa 50
in voi serv<i>re, intesa
di quanto porta e vale:
non fe' malvagia impresa
nel suo vizzo corale,
perch'ogne altro animale 55
ov'è sua propia atesa,
onde disio ha, tende:
<ed> eo simile l'ag<g>io
nel vostro segnorag<g>io,
se non mi si contende; 60
ma troppo si difende
dal mio fedele omag<g>io:
ch'om nonn-è detto sag<g>io
perch'al suo servo ofende.
Mia canzonetta, adesso 65
t'invia al mio segnore,
che sia comandatore
di ciò c'ho detto ad esso,
e 'l suo nobil valore
già non mi sia dimesso; 70
ch'io non ag<g>io altro messo
che te e lo mio core:
digli ch'io non mi doglio
per voglia di partire,
ch'io no n'avria l'ardire: 75
ma son fedel com' soglio,
e sempre volsi e voglio
compiuto suo disire:
se per meve è 'n fallire,
di ciò è 'l mio cordoglio. 80
XXXVII
(V CCXXXVI)
<MESSERE:>
Donna, la disïanza
ch'ag<g>io di voi veg<g>endo,
vami lo cor prendendo
di fina 'namoranza:
perzò merzé cherendo 5
son voi con umilianza
che n'ag<g>iate pietanza,
ch'io non perd'atendendo:
che se tarda lo fin coninzamento,
lo tempo passa: per tardar non vene 10
alcuna cosa a bene,
m'a fero ismarimento;
ma, s'è perseverato il coninzare,
pòsi la fine in gioia giudicare:
ond'io che spero, atendo compimento. 15
<DONNA:>
Sire, se voi atendete
di me alcuna cosa,
sonne maravigliosa
forte che lo dicete:
ché, poi ch'io fui vogliosa 5
de lo disio ch'avete,
ben so che voi savete
che non m'era noiosa
vostra contigia avere,
ch'assai temp'è ch'io l'ag<g>io disiata; 10
e fue mia coninzata
d'amoroso volere,
e 'l dono chesto al primo vi donai:
volere già di voï non cangiai,
ma da la vostra parte, al mio parere. 15
<MESSERE:>
Donna, lo 'namorare
natura ave del foco,
ch'al primo pare un poco,
poi cresce in breve stare.
Quand'i' fuï ne˙loco 5
là'nd'io atendea alegrare,
presivi a risguardare:
laond'io ne 'ncendo e coco:
che s'io v'adimandai, in parte n'èi,
ma non già sì com'era mia credenza: 10
però feci partenza,
non da li pensier' mei,
ma solamente ch'amor m'incendea;
e ancor lo grande dolore ch'avea,
ch'io non ne presi quando sola v'èi. 15
<DONNA:>
Sire, poi m'aquistaste,
voi me in unitate
di pura volontate,
voi non m'adimandaste;
e per altre fiate 5
a meve ritornaste,
alquanto ne pigliaste:
pia<c>quemi in veritate.
Se alentò da vostra parte amore
mostrando ch'io vi fosse rincresciuta, 10
faceste dipartuta
non di buon servitore.
Or mi cherete di merzé ch'io n'ag<g>ia:
ed io per ciò non vi sarò salvag<g>ia
quando fia 'l tempo seguir vostro core. 15
<MESSERE:>
Donna, sovente è usag<g>io
ch'amor viene 'n obria,
e smarisce la via
di lui lo folle e 'l sag<g>io:
ché quanto om più disia, 5
si mette in più servag<g>io;
talor viene in dannag<g>io
chi più tien cortesia:
ch'amore ha usanza e ven di tal manera,
che nullo ne pote esser conoscente; 10
tal crede esser gaudente
che perde ciò che spera
e<d> amarisce per lungo tardato:
piac<c>iavi e siavi a grato
di proveder lo mio cor che non pèra. 15
<DONNA:>
Sire, 'l mio core vole
e amore m'atalenta
che da me gioia senta
lo vostro cor, se dole;
la mente ci è contenta 5
assai più che non sòle;
e già amor non disvole
gioia che˙no' abenta.
Però vi confortate in bona voglia
ed isperate di me gioia tutora: 10
presente fia quella ora
ch'io vi trarò di doglia
ed in grande baldor farò redire
sovente alcun languire,
e 'l frutto seguirà il fiore e la foglia. 15
XXXVIII
(V CCXXX)
La gioia e l'alegranza,
la voglia e lo talento
che 'nfra lo mio cor sento,
m'ha messo in disianza
di far cominzamento 5
ed i<n> cantar mostranza
per la gioia ch'avanza
l'altre di piacimento,
poi che veduto l'ag<g>io,
lo suo ric<c>o bellore, 10
che luce e dà splendore
più che 'l sole di mag<g>io:
ché tanto ch'om la vede
non poria mal pensare
né mai alcun follore adoperare; 15
e vada a lei veder chi no 'l mi crede.
I' non poria ac<c>ertire
in tut<t>' a sua valenza,
ché de la sua piagenza
mill'altre avrian disire: 20
ché˙llà ove fa aparenza
lo scuro fa chiarire,
e face il sol venire
là ovunque è 'n presenza:
li suoi cavei dorati 25
e li cigli neretti
e vòlti com'archetti,
con due oc<c>hi morati,
li denti minotetti
di perle son serrati; 30
lab<b>ra vermiglia, li color' rosati:
cui mira, par che tut<t>e gioie saetti.
Chi llei non va a vedere
non sa che gioia sia,
chi d'amorosa via 35
vuol pregio mantenere;
ché là ov'è cortesia
adornezze e piacere
de' la bieltà tenere
sovra 'gn'altra che sia. 40
Dunque, amorosi amanti
perché più vi tardate?
perché no l'adorate
giorno e notti davanti
e sempre rimirate 45
li suoi dolzi sembianti?
Gioite ed alegratevi di canti:
sempre le sue bellezze rimmembrate.
Ben credo Dio volesse
quando la fe' in primero, 50
che 'l suo visag<g>io altero
sovr'ogne altro paresse;
e quelli fosse impero
ched i˙llei s'intendesse,
salvo s'a˙llei piacesse 55
la 'ntesa e suo mestero;
a cui donasse amore
avesse la corona,
ed ogne altra persona
tenesselo a segnore. 60
Che val chi no ragiona
sempre del suo valore?
Poco, ché <già> non credo ch'ag<g>ia core
a cui no mette 'n isperanza bona.
Assai ag<g>io lasciato 65
di quel ch'i' non ho detto:
ché nel mio cor l'assetto
c'ha in sé d'onor pregiato,
ma già no la dimetto.
In parte l'ho narrato, 70
ch'io non son sì assenato
che mi fosse concetto.
Di tanto son gioioso,
c'ho visto lo suo viso,
la boc<c>a e 'l dolze riso 75
e 'l parlare amoroso,
che d'altro paradiso
non saria mai voglioso:
però se di cantare ormai riposo,
fo˙l ché <'n> pensar di sua bieltà so˙miso. 80
XXXIX
(V CCXXXIX)
Madonna, lungiamente ag<g>io portato
amore in core, e no˙ll'ho discoverto
per tema non vi fosse a dispiacere;
e ciascun giorno m'è più doplicato,
riguardando lo vostro viso aperto 5
che passa ogne altro viso di piacere
e ave più valere–e 'nsegnamento
che non eb<b>e Morgana né Tisbia;
da voi surge la gioia e 'l compimento:
dunque ben posso dire che 'n voi sia 10
pregio ed onore e tut<t>o valimento.
Ciò ch'ag<g>io detto, e più ch'io non so dire,
madonna, è 'n voi di nobile sembianza.
Dunque non maraviglio s'io dottai,
ché 'l fino amor mi prese, e tolse ardire; 15
mise lo core e me in vostra posanza,
sì ch'io m'apello tut<t>o vostro ormai;
ché in tal or coninzai–in voi amare,
ch'ogn'altra cosa mess'ag<g>io 'n obria:
la mïa vita è sol di voi guardare; 20
però, madonna, in vostra segnoria
di me servente deg<g>iavi membrare.
Rimmembranza, <ma>donna, si convene
da voi aver di me, vostro servente,
a ciò ch'io non perisca in voi amando; 25
ché sì come a lo cervio m'adivene,
che, là dov'è feruto, inmantenente
ritorna al grido <di> chi 'l va cacc<i>ando.
Ed io a voi amando–fo ritorno,
ché di nulla altra cosa ag<g>io valenza, 30
se non veder lo vostro viso adorno;
però, madonna, ag<g>iate provedenza
de lo gravoso affanno ov'eo sog<g>iorno.
Madonna, se la mente m'asicura
a dicer ciò ch'io dico in be' sembianti, 35
e che vi piace ch'i' sia amadore
guardando vostra angelica figura,
tenete a mente, esendo a voi davanti,
parlando asicurastemi d'amore,
avendo voi tremore–che guardata 40
sarete, ed io vedendolo tutora:
e però è la mia gioia prolungata.
Ma no prolunghi, piacciavi ad un'ora
per me guerir, voi esser sicurata.
Ben si conve<n> ardire a chi bene ama, 45
e anti morte a donna aver pietate
a ciò che sia laudata di valenza;
ch'amor che tarda pur disia e brama
e more di compiér sua volontate.
Chi pò donare e tiene fa fallenza, 50
là dov'è convenenza–di donare:
ché non è detto dono render vita,
ma somma d'ogne buono adoperare;
dunque valente, sag<g>ia e norita,
piac<c>iavi me di morte sucitare. 55
XL
(V CCXL)
D'un'amorosa voglia mi convene
cantare alegramente, rimembrando
com'io partivi da la donna mia,
ca dolzemente mi dicea abrazzando:
«Se vai, meo sire, non ag<g>e 'n obria 5
tornare a l'amoroso nostro bene,
ma rimmembra lo nostro fin diporto,
a ciò che di tornare ag<g>e voglienza;
prendi lo core e me ne la tua baglia,
sì che mi porti avanti tua parvenza, 10
pinta in core, com'io sono 'n intaglia:
di simile voler farag<g>io porto».
E io, abrac<c>iando l'amorosa cera,
baciando dolzemente le parlai:
«Gentil mia gioia, in voi è la mia vita: 15
altra speranza non avrag<g>io mai
che solamente de la mia redita
a voi, che siete del mio cor lomera.»
E<d> ella a sé mi strinse inmantenente:
«Dolze meo sire, a Dio sia acomandato: 20
dàmi tua fé presente di tornare»;
ed io lel die', pi<a>ngendo a lo comiato.
Dis<s>ile: «Amore meo, non sconfortare;
membra che la tornata sia presente.»
Così partivi da lo mio diletto. 25
Canto, ché mi sovien de l'amorosa
e doglio forte de lo dipartire,
per tanto che lo so, che m'è gravosa:
così fosse cangiato a uno redire
che fosse in sicurtà de lo dispetto! 30
Per tanto mi soverchia l'alegranza:
membrandomi la gioia ch'avemo insembra:
quand'io verag<g>io a simile disio?
Ché di nul<l>'altra cosa più mi membra
che di tornar colà donde partio: 35
che di gioie torni doppio di speranza.
XLI
(V CCXLI)
La mia fedel voglienza
che nel mio core è stata
gran tempo adimorata
ferma con ubidenza,
molto l'ag<g>io celata, 5
ch'ag<g>io avuto temenza:
ma˙ffatt'ha permanenza
l'amore ogni fiata
nel mio voglioso core,
e sovente invïato 10
a voi corona e pregio di bieltate:
al mio parer passate,
come robino passa di valore
ogn'altra pietra, e voi l'altre d'amore;
ed ei sempre con voi s'è dimorato. 15
Lo core e 'l pensamento,
ogne vertute mia
in vostra segnoria
fatt'ha dimoramento;
ed io mai non ardia 20
mostrarvi il mio talento,
perché avëa pavento
darvi maninconia:
ché di cortese e puro
amor sempre v'amai 25
ed amo, bella, senza villania;
ché vostra cortesia
m'ha fatto come l'antalosa face,
che 'l suo diletto che tanto le piace
l'aduce in parte e loco non sicuro. 30
Sicuro mi rendea,
madonna, mante volte
di vostre ric<c>he acolte,
che da voi, bella, avea;
so˙mi alungiate e tolte 35
là ov'io le vedea;
non sì come credea,
mad i<n> più rade volte.
Di ciò piange la mente
e gli oc<c>hi miei dogliosi, 40
pensando de la vostra dipartenza
che fue per mia doglienza:
ma riconforto a l<o> vostro amonire,
ché diceste, veg<g>endomi languire:
«S'ale<n>' e doli, s<ì> fo similmente». 45
Similemente, io creo,
madonna, m'adivene
come quelli che tene
da buon segnore in feo,
che tant'ha bona spene 50
che conforta lo reo.
Voi siete lo mi' Deo
onde 'l baldor mi vene,
e credomi salvare
per questa deïtate, 55
e commendare ogn'altro mio pecato.
Madonna, se v'è 'n grato
mia fedalia in vostro rimembrare,
nul<l>'altra gioia aver mai non mi pare
che sol a voi servire in veritate. 60
In verità voi siete,
madonna, quella cosa
in cui sempre riposa
lo core e me ch'avete,
tanto siete pietosa; 65
so ben che conoscete
le mie voglie sagrete,
c'ho 'n voi, vertudiosa.
Non son per dirvi oltrag<g>io,
villania o dispregio, 70
ma fac<c>ione oratoro e sagrestia;
credo che l'alma mia
porà aver salvazione in voi sperando:
p<er>ò la mia vertute racomando,
poi non vi veg<g>io, al vostro segnorag<g>io. 75
XLII
(V CCXLII)
Non già per gioia ch'i' ag<g>ia
diletto lo cantare,
ma per molto pensare,
che tanto m'incorag<g>ia
che mi fa travagliare 5
e dà vita salvag<g>ia,
e sovente mi sag<g>ia
di gravoso penare.
Vogliendo ricelare
di mio greve dolore, 10
quel ca dentro ho, di fore
a nullo altro non pare:
con amoroso foco
dentro m'arde ed i<n>cende,
ma di for non displende, 15
anti par ch'ag<g>ia gioco:
e tal mi pregia c'ho vita gioiosa,
che, se 'l savesse, diceria dogliosa.
Lo mal che mi dimena
sol è la rimembranza 20
de la mia disïanza:
altri n'ha gio' e io pena;
prendene <'n> abondanza,
ed io la veg<g>io a pena;
la chiara ara serena 25
per me è 'n discuranza,
ché quei che ll'ha in possanza
n'ha più che non disia,
ed io n'ho carestia
e largo di pesanza. 30
Però, s'ogne altra gioia
avesse in me presente,
pensando in ciò, neiente
prezzeria più che noia:
e la sua dolze cera riguardando, 35
mi faria ric<c>o un sol motto parlando.
Ahi lasso malauroso,
ben m'ha Dio giudicato,
c'ha 'l mio disio sposato
ad altro aventuroso 40
che˙l si tene abrazzato,
ed io ne sto doglioso.
Maladetto sia sposo,
sì˙ll'ho caro acatato!
Ché˙llà dov'è il pregio contato 45
di valore e di bieltate,
altri l'ave in potestate,
ond'io ne moro trapensato;
e non mi creo sì alto regno,
que' che˙ll'ha, aver lo dovesse; 50
dunque mai, s'a Dio piacesse,
di tal gioia non è degno:
ch'âvere io sol di lei un piacere
non curerei mai d'altro avere.
Quando penso meo languire, 55
l'ira e la maninconia,
sì m'asale gilosia
ch'io vorei quasi morire,
rimembrando che ver sia
tut<t>o ciò ch'i' audo dire: 60
ch'altri l'ag<g>ia in suo disire,
quello ond'i' ho carestia:
ché, s'io volesse, non avria
un pel di sua roba che veste:
e tut<t>e le sue gioie son deste 65
dare, chi n'ha la segnoria!
Così per me amore e Dio
son divenuti crudaltate
ed hanno tut<t>a la bieltate
ad un malvagio data in fio: 70
ed io non posso un solo sguardo
da˙llei aver, tant'ha riguardo.
Però, s'io doglio, solamente
la verità mi fa dolere,
quand'i' so ch'altri l'ha 'n podere, 75
la gioia ond'io son sì vogliente;
ché, senza lei, aver lo mondo
ric<c>o già no mi teria,
pensand'io ch'io fosse 'n obria
da lo suo viso giucondo; 80
e solamente un suo guardare
poria di morte me campare.
XLIII
(V CCXLIII)
Novella gioia che porta?
Amante in bene amare
nonn-è detto savere
partir per cagion pena,
ché de l'amor è porta 5
sofrir le cose amare,
perché face savere
quel ch'om soporta apena.
Chi ave gioia sale
in agio più che 'n pregio; 10
chi donna non vol, pregio
come l'amaro in sale;
ma chi ben si compare
quegli è<n>, che de l'afanno
alegra cera fanno, 15
e 'l mal punto non pare.
Adunqua dici om prode
chi d'amor non s'alassa,
e serve umilemente
chi 'n segnoria lo tene. 20
Di nullo bene è prode
chi lo convince e lassa,
però che 'mprimamente
amor prende<r>l'otene:
e de' esser più preso 25
donar, poi c'ha provato,
a ciò che sia aprovato,
di bon laudore apreso,
avegna che conserva
amor di pur servire, 30
ché già per diservire
l'omiltà non s'aserva.
Qualunqu'è quegli ch'ama,
di suo parag<g>io donna
Servir più li convene, 35
ché˙sso a˙llui dimostrare
ch'amante 'l core incama
per poco se<rvir> d'onna
ched all'assai divene.
Poco non pò mostrare 40
lo cor, poi che la voglia,
ché non sarïa amante:
però tu chetamante
più presto si' a tua voglia,
ché quegli è detto sag<g>io 45
che 'n gio' per saver cape,
ché ven dolze più ch'ape
lo frutto poi c'ha 'l sag<g>io.
Quelli che 'mprima amò
dovria primer donare, 50
perché primer sentio
d'amor la sua travaglia:
e chi poi prese l'amo
ancor si de' adonare,
da poi che consentio; 55
voler gioia per travaglia
dunque la donna pare.
Lo don le sia più chesto,
ch'a l'om nonn-è richesto
quel don che non ha pare: 60
ché l'omo prende vita,
la don<n>a onore dona:
chi 'mprima vi s'adona,
più gentil cor lo 'nvita.
Di più mi resto d'ire, 65
ché 'l sag<g>io, quando membra,
coreg<g>e ben le membra
di ciò ch'egli ode dire,
ed io mi credo sia
di bon saver lo nodo: 70
ch'io di bon tanto n'odo
ch'ogn'altro no<n>ca sì ha.
XLIV
(V CCXLIV)
Amore, io non mi doglio
per mie pene sentire,
perch'io voglia partire
da vostra segnoria,
né perché più ch'io soglio 5
doppiato ag<g>ia martire:
ma voglio alquanto dire
mia crudel vita e ria;
ch'i' m'acontai di pria
a voi di fin corag<g>io, 10
perseverando mag<g>io
divenir ch'io non era;
ch'a simil di pantera
faceste per usag<g>io,
ch'ogn'altra fera prende per olore: 15
voi mi prendeste, amore,
lo core e me, veg<g>endo vostra spera.
La spera ch'io guardai,
amor, di voi primero,
fu lo visag<g>io altero 20
ch'io vidi a l'avenente:
di ciò m'inamorai,
ch'u<n> spiro inver' me fero
al cor mi die' pensero,
sì ch'ogne membro presemi e la mente, 25
e fecemi credente
che nonn-è più ch'amare:
ca sol per un guardare
la vita ho mantenuta;
or la sento ismaruta, 30
ché la veg<g>io celare.
È via più la mia pena rindopiata
se la cosa aquista<ta>
io la perdo, che se˙n l'avesse avuta.
Lasso, ché ciò ch'io veo 35
mi par contrara cosa,
da poi che l'amorosa
mi cela il suo bel viso.
Morir conve˙mi, creo,
se più mi sta nascosa; 40
e se nonn-è pietosa
son d'ogne gioia diviso:
ché là dovunque aviso
veder la credo, lasso!
Alor movo lo passo, 45
«omè – dic<end>o forte –
perché pur tarde, morte?»
Già son venuto al passo
che mi conven morire inamorato:
amor, ben fai pecato 50
se d'un veder primer non mi conforte.
Se 'l mio core paresse
di fòri figurato
com'è d'amor gravato
null'omo credo sia, 55
da poi che lo vedesse,
che fosse sì spietato
che ver' lui umiliato
non fosse alcona dia;
e voi, che la balia, 60
amor, di lui avete
e morir lo vedete,
e sempre dispietate;
e regna in voi pietate
nel punto che volete: 65
perché, lasso, adunque m'adivene
che mi consumo in pene
né per merzé non cappio ov'è bieltate?
Lasso, non veg<g>io quando
eo possa gioia avere 70
ché lo dolze vedere
ch'avea, ag<g>io perduto,
per cui vivea alegrando
sanz'a<lcuno > dolere,
tant'era lo piacere 75
ov'io era venuto.
Amor, poi v'è piaciuto
la mia greve doglienza,
or non vi sia increscenza
di me servire un'ora: 80
gite là ove dimora
valore e conoscenza,
e le contate ch'io per essa moro;
se più face dimoro
ch'io no la veg<g>ia, d'ogni ben son fora. 85
XLV
(V CCXLV)
Madonna, di cherere
merzé non fino mai,
a ciò che sia vertate
che regna in gentil core;
né 'l cor nonn-ha valere 5
né poco néd assai,
se nonn-ha in sé pietate
o volontà d'amore.
E 'n voi è 'l cor gentile,
valore e piacimento, 10
di pregio il compimento
più d'in altra vivente:
dunqua, s'io son cherente
merzé a voi, amorosa,
dovete esser pietosa, 15
ché fina donna aiuta suo servente.
Madonna, s'io vichero
umilmente merzede,
or non perda in voi prova
sua nobel segnoria: 20
ché per mercede spero
ciò che 'l core mio crede,
sol che pietà si mova
da vostra gentilia
primero ch'io perisse: 25
ché poi non mi varia
merzé, madonna mia;
di me ag<g>iate pietanza,
ché 'n voi saria fallanza
lasciastemi perire, 30
potendomi guerire
e dandomi alegranza.
Madonna, mag<g>ior pena
non si trova 'n amare,
ch'atender l'om d'avere 35
la cosa che disia:
ché mai no gli solena,
veg<g>endola tardare,
ma radoppia dolere
in gran manenconia. 40
Ed io che pur atendo
come fedele amico,
fate come 'l nemico
ch'a lo suo servo ofende:
perché non si contende, 45
li dà pena e dolore:
così fate al mio core,
che di voi sempre grande gioia n'atende.
Per lungo atendimento,
madonna, ag<g>io veduto 50
ogne frutto avanzare
in sua stagione e loco;
al mio coninzamento
così nonn-è avenuto,
ma per contraro, pare, 55
nodriscemi di foco.
Credo <d'>in ora in ora
in gioia pervenire,
ed io sento languire
ciascun giorno più forte: 60
piacevi la mia morte,
madonna, di vedere?
sono in questo piacere
le vostre voglie acorte?
Cotale usanza tene 65
in voi meo core umano,
che mai più non diletta
ch'a voi merzé chiamare;
a me, <lasso>, adivene
come a l'o<m c'ha> cor <v>ano, 70
che pur penando aspetta
ciò che vede alungiare.
Così in travaglio veo
lo core, e me co˙llui:
se non ne pesa a voi 75
giròmi consumando,
la vita terminando
come 'l cecere face,
che la morte gli piace,
feniscela cantando. 80
XLVI
(V CCXLVI)
Valer voria s'io mai fui validore
o s'unque valsi per saver ben dire,
ch'al punto son che˙llo vorei seguire
e dimostrare a lingua ciò ch'i' ho in core.
Ma dopo l'ausignuolo a suo cantare 5
si leva la corniglia a simiglianza:
lo primo loda, e sé pone in bassanza.
A me ver' vostro dir simile pare,
ma seguo l'uso di que' c'ha talento
di prender, che di sé fa avanzamento. 10
S'io vo' valere e non ho valimento,
convenmi là ov'è il senno fare inchino:
e io il voglio a voi far, mastro aretino
Guitone, in cui di pregio è 'l valimento.
E lo 'nchinar ch'io fo è l'ubidenza 15
con talento di voi sempre servire:
ma dubito nonn-ag<g>ia folle ardire
volere di sì altero benvoglienza;
ma chi lo poco vuol moltipricare
convien che 'mpronti e sappiasi avanzare. 20
Se 'l pregio pregia il non pregiato loco,
que' ch'è laudato de' aver dottanza,
veg<g>endo di se stesso tal eranza
che l'assai gli domanda del suo poco.
Che de' far dunque que' ch'è dimandato? 25
Quel che non ha, per sé non pò donare;
ma bona cera e largo ragionare
sempre d<e'> aver e voglia per usato:
ed io per uso che non so, s'avere
non posso, non manca<i> per <non> volere. 30
S'io ag<g>io audito e odo di voi, sag<g>io,
che mia semenza deg<g>ia far più rada,
e ditemi che molta gente bada
ond'io fornisca tanto fermo usag<g>io
rispondo ch'io non posso, ma voria 35
potere, a ciò ch'io fosse servidore:
ché mia fortuna fa˙mi cheritore
altrui, ond'io vorei aver cortesia;
ma quel ch'io posso fac<c>iol volontieri,
che nonn-è più che parlare e pensieri. 40
XLVII
(V CCXLVII)
Lo mio doglioso core
e l'angosciosa mente
mi fa novellamente
piangendo risentire,
membrando lo dolore 5
ond'io son soferente,
ch'assai voria sovente
più volontier morire,
pensando c'ho smaruto
lo più ric<c>o aquistato, 10
ch'a nullo altr'omo nato
fosse mai conceduto;
e no˙ll'ag<g>io veduto,
lungo tempo è passato,
onde 'l cor m'ha colpato 15
d'<a>ver tal gio' per<d>uto.
S'io piango e mi lamento
od ho vita dogliosa,
non credo nulla cosa
possami rallegrare, 20
ché 'l mio 'namoramento
venne da l'amorosa;
i˙llei sog<g>iorna e posa
la mia voglia e 'l penare:
dunque già non poria 25
per altra gioia avere,
ché sol di lei vedere
era la vita mia.
Deo, che il m<i c>ontraria
non credo il suo savere; 30
forse ch'è 'l non-potere,
c'ha alquanta gelosia.
Lasso, non veg<g>io come
campare possa mai:
cor meo, perché non vai 35
davanti a l'avenente?
Domandala che nome
ave lo mal ched hai,
o se campar porai
per esser buon servente; 40
Ché se da˙llei non vene,
non pòi già mai guerire,
ma ti conven partire
da tut<t>e gioie e bene,
e consumare in pene 45
se non ti degna audire:
or ti renda l'ardire
ch'avei, ché lo ti tene.
Quand'omo ave improntato
ciò ch'egli ha in disïianza, 50
aven che per usanza
non crede mai dolere;
poi s'el vene fallato,
mag<g>ior è la pesanza
che non fu l'alegranza 55
de lo prencipio avere:
dunque è mag<g>ior doglienza
la gioia c'ho smaruta,
che s'io˙n l'avesse avuta
davanti mia parvenza. 60
Per la dolze acoglienza
ch'avea de l'aveduta,
pareami aver tenuta
d'ogne mia benvoglienza.
Ahimè, come ferag<g>io? 65
Morir conve˙mi, lassol
Che val ch'i' mi dilasso
in dire altra ragione?
Campare eo non porag<g>io,
ch'amore, ad ogne passo 70
ch'io fo ver' lui, par lasso
ver' la mia openïone.
Alcun diràmi: «Folle,
perché d'amor t'i<n>speri?»
Dirò: «I tormenti feri 75
amor per me li volle;
l'ag<g>io, ch'e' mi ritolle
li sguardi piagenteri:
piacegli pur ch'io peri,
poi la mi cela e stolle». 80
XLVIII
(V CCXLVIII)
La mia gran benenanza e lo disire
mi stringe di cantare alegramente,
membrando, bella, la vostra bieltate:
ché non pote esser doglia né languire
ma gioia ed alegranza veramente 5
in quella parte là ove dimorate:
ed ogne altra passate–di valore:
di voi risurge e vene l'alegranza;
mirando voi, nonn-è sì gran pesanza
che non torni alegranza con baldore: 10
dunque voi siete spera e viva luce,
per cui ogne adornezza si conduce.
Sì come il sol che schiara ogni nebiore,
quando li rag<g>i manda di sua spera
sormonta in allegrezza ogni scurato, 15
così quando aparite, alente fiore,
in gioia ritorna ogne turbata cera,
ciascuno viso fate inamorato.
Ahi, giorno aventurato–pien di gioia
fue quando Dio formò vostra statura! 20
che non volle che simile figura
di clarità ver' la vostra s'apoia,
ma sola, sanza para d'adornezze,
d'ogni valore orato e di bellezze.
Gentile donna, assai poria laudari 25
e non tanto che 'n voi più ben non sia:
ma dotto per laudar non si paresse;
ché 'l gran ricore non pot'om celare
né gioia d'amore mettere in obria:
ma celare vorïa, s'ïo potesse, 30
a ciò ch'om non vedesse – là dov'amo;
ma la gran gioia ch'è di voi corale
al mio pascor mi fa far l'anovale.
Quant'io più prendo di voi, più ne bramo,
membrando, bella, ch'io di voi sia amante 35
e 'l vostro viso sia per me diamante.
Io non doglio, madonn', a lo partire,
ché 'l vostro fino amore m'asicura
che più gioiosa fia la ritornata:
be˙llo voria cambiare ad un venire; 40
non ch'io ridotti néd ag<g>ia paura,
ma disïoso atendo la fïata,
ch'io v'ag<g>ia 'namorata – e disïando,
quando avenir si possa nostro bene,
che mi doniate, il tempo quando vene 45
de' dolzi sguardi, s'es<s>er può, parlando;
e non metete l'altro 'n obrïanza,
ma rimembrate a ciò che chere amanza.
XLIX
(V CCXLIX)
Amor m'ha dato in ta˙loco a servire
che di contrado viver mi convene
là ove s'avene–gioia ed alegranza,
sì come il cecere quand'è al perire,
che termina cantando le sue pene, 5
contasi in bene – quel che gli è pesanza;
a tal speranza – porto la mia vita,
che di doglienza fo novel cantare,
per dimostrar – ch'i' ag<g>ia gioi in parere;
ma lo sperar d'avere – me nodrisce 10
come agua pesce: – prendone vivanda,
ch'amor comanda – ch'io deg<g>ia sofrire.
S'amor comanda ch'io deg<g>ia sofrire
e pur contarmi lo tormento in bene,
ciò che mi vene – dunqu'è solenanza: 15
ché quanto omo è più forte e ha più ardire,
alora umilità li si convene,
ch'orgoglio tene – amore in ubrianza.
Or dunqu'è amanza – aver gioia la ferita,
da che ciò ch'amor dona è alegrare 20
e me' si pare:– or non deg<g'>io dolere,
ché bene aver – talora altrui rincresce:
dunque riesce – chi sospiri manda
colà dove anda – suo core a gioire.
S'eo mando 'l core e spero di gioire 25
atendendol con gioia, e' no rivene,
ché si contene – di far dimoranza;
piaceli tanto, che poi nonn-ha ardire:
rimandami sospiri, a me non vene;
dico infra mene: – scur'è mia possanza. 30
Per qual sembianza – fueme concedita
* gioia per pene somo di pensare *
che lo 'mparar – de l'orso vie – mi avere,
che per ira tenere – monta e cresce
e si nodrisce – di dolore; quanda 35
in me si spanda – simile nodrire?
L
(V CCL)
Non già per gioia ch'ag<g>ia mi conforto,
ma perch'io veg<g>io un uom morto d'amore
per dritto amare ed esser servidore
a suo poder di donna tutavia:
ch'ormai le donne che 'l vedranno morto 5
ciascuna più pietanza avranno in core,
veg<g>endo per asempro lo dolore
del buono amante, chi 'l tene 'n obria;
ciascuna crederà veracemente
quello onde sono state miscredente, 10
che null'om possa per amor morire:
così fosse piaciuto a l'alto Sire
che la donna per cui mort'è l'amante
fosse morta co˙llui <a l'> av<en>ante,
per che ciascuna fosse poi credente. 15
In tanto posso de l'amor mesdire,
quant'ha morto un per lealmente amare
e no˙ll'ha già voluto acompagnare,
ca se fosse, saria più gioia la morte:
ch'a l'amante faria mag<g>i<o>r disire 20
se la donna co˙llui al trapassare
d'esto secol com'ei vedesse andare:
già lo morir no gli saria sì forte;
e gli amador' che gioia vanno sperando
non viverian languendo pur tardando, 25
ché l'altre donne n'avriano dottanza
e moverian lor cori a più pietanza,
veg<g>endo d'aguaglianza il guiderdone
del danno e 'l pro, là ove amor li pone:
e credo a lor varìa merzé chiamando. 30
Ancor d'un'altra cosa amor riprendo:
da poi due ne congiunge in un piacere˙
l'un pur tormenta e facelo dolere,
e l'altro non costringe di parag<g>io.
E molti n'audo van di ciò dolendo, 35
che non acompie mai lo lor volere:
da poi ch'è morto, che val o<m> pe<n>tere?
Ciò c'ha sperato pot'om dir danag<g>io.
Però, s'âmor piacesse, crederia
che più valore e pregio gli saria 40
s'amendasse di ciò ch'ag<g>io contato,
ancor che gentil cor lungo aspetato
non dispera per lunga soferenza:
ma de l'amor mi credo più valenza
fora il donar, là ove il mistier pur sia. 45
Alcun poràmi dir: «Folle, che˙ffai?
riprendi amor? Nonn˙ha' conoscimento»;
risponderò: sì ha e' valimento
ch'aucide e altoreg<g>ia cui li piace,
ché me fatt'ha sentir de li suoi guai, 50
ma ha ritenuto a sé lo piacimento:
a tal m'ha dato e messo in servimento,
tardando assai, languir forte mi face:
però che <a>lungiare pò mia vita,
se non provede nanti che perita 55
sïa, che mi varà poi <lo> pentere?
Gitto a mio danno 'l parlare e 'l vedere,
e se mia vita regn'a pur languire
e non mi dona, me' foria fallire,
se 'l suo valore di gioia non m'invita. 60
Va', canzonetta, a chi sente d'amore,
che deg<g>ia Dio pregar per l'amadore
ch'è morto e d'esta vita è trapassato,
ch'aiuti lui ed ogni 'namorato,
<e> ch'a le donne umìli lor durezza, 65
ch'a' loro amanti donin più larghezza,
non sempre sia lor vita con dolore.
LI
(V CCLI)
Tut<t>o l'affanno, la pena e 'l dolore
ch'io mai portai in mia vita passata
fue gaudimento, lasso, apo ch'or sento:
ch'anima, mente, volontate e core
ogne vertute mia è consumata 5
in doppio più che non fu già tormento.
Ispre<i>o pensamento di valere,
e s'io unque valsi, maladico l'ora
per quel ch'ogni vertute mi adolora;
gli oc<c>hi di pianger non posso tenere, 10
pensando c'ho fornito altrui di canto
e me<ve>, lasso, di dolore e pianto.
Sempre servi', lasso me, volontieri,
di quel poco poder ch'i' ag<g>io avuto,
a cui piacesse il mio adoperare: 15
talento, forza, volontà e pensieri,
ho messo tut<t>o in ciò ch'ag<g>io potuto
a chi lo m'ha voluto adimandare;
pesami e dole ch'io veg<g>io mentire
per mia disaventura un detto usato 20
che molti savi già l'hanno aprovato:
che già perduto mai non fu servire;
ed io per me lo nego, ch'è fallace
e per me perde sua vertù verace.
Non mio servire, lasso, non mi vale 25
lo diservire in doppia parte e loco;
cui servo non diletta mia amistate:
ahïmè, ch'io non veg<g>io a cui ne cale!
Però se mio servir è lo mio foco,
lo diservire non m'è già bontate: 30
però sospiro e doglio fortemente
e getto in disperanza la mia vita,
ché la veg<g>'io disorata ed aunita,
e per quel ch'altri avanza sì è *perdente.
Dunque se per servir non ha valore, 35
per che porag<g>io dunque avere amore?
Alcun diràmi: «Folle, che hai detto?
Tu argomenti falso il tuo parlare,
ché ciò che di' non pò vertù seguire;
per diservir non vene omo ad afetto, 40
né per villana cosa in buon pregiare,
ch'avanza e monta e sale per servire».
A ciò risponderò ch'a me no avene,
s'avene altrui, cotant'ho più doglienza:
e per quest'è la mia mag<g>ior temenza, 45
che là donde altri ha gioia, ed io n'ho pene;
però di ciò c'ho detto non disdico,
perch'io per me non truovo un dritto amico.
LII
(V CCLII)
Per la grande abondanza ch'ïo sento
di gioia e<d> alegranza al cor venire
per nulla guisa posso soferire
che di cantar non facc<i>a movimento;
ma dubito non mo' possa fornire 5
in profere<r> ciò ch'i' ho in pensamento,
ch'è di tal parte lo 'ncominciamento
ch'a savio om non seria leg<g>er di dire.
Ed io che non son sag<g>io, son temente,
s'io laudo, no 'l mio laudo ag<g>ia valore: 10
ed in far lode sempr'è lo mio core
voglioso, e ne costringe la mia mente,
e vuol ch'io laudi la fior di bieltate,
quella che solamente d'un vedere
ch'om di lei ag<g>ia, sì lo fa pentere 15
d'ogni ria voglia, donagli umiltate.
Per maraviglia fue in terra formata
la gioia del mondo ch'ogni gioia avanza,
e sol la fece Dio per dimostranza
perché da' boni fossene adorata: 20
e chi avesse in sé nulla mancanza
di penitenza ch'avesse fallata,
veg<g>endo lei ch'amenda le pecata,
per quel veder gli è fatta perdonanza;
ed ancor più, che quando omo la vede 25
già mai non pò pensar di cosa ria,
ché nullo n'è £ermato in tal resia
che non tornasse fermo ne la fede:
ché sua bieltà è tanta e lo valore,
lo pregio e lo piacere e l'adornezze, 30
che, se davanti avesse le durezze,
farìale tut<t>e aumilïar d'amore.
Adunque chi disia in tale loco,
ben de' suo core in gioia ralegrare
e la sua disïanza inavanzare 35
sì che possa ad assai venir di poco;
per me lo dico, c'ho messo pensare
in disïar lo suo bel riso e gioco,
e già mai altra segnoria no 'nvoco
che˙llei, sì mi comprese d'un guardare; 40
avegna ciò ch'io dico sia follia,
pensando di mia pic<c>iola posanza
e d'avere sì alta rimembranza
come la sua piagente segnoria.
Ma chi mi rende buona sicuranza 45
che là dov'è piacere è cortesia,
non ten già mai che facc<i>a villania:
chi serve non diletta soverchianza.
Ed io, che di servire son voglioso,
di lepretasso ho presa la natura, 50
che nel suo core già nonn – ha paura,
chi 'l chiama per amore disïoso:
vene a le pene ed a doglia e rancura;
di zo ch'egli ave contasi gioioso;
non è già mai lo suo cor temoroso, 55
ché 'l fedel cor ch'aserva l'asicura:
ond'io che spero non dotto già mai,
ca se natura o mio distin volesse
aducermi colà dov'io potesse
parlare a lei, così com'io guardai, 60
non credo ch'io doglienza mai avesse,
cotanto inamorato cominzai:
ché mai al mio vivente non pensai
che di me alquanto a lei risovenisse.
LIII
(V CCLIII)
Lo 'namorato core,
messere, se paventa,
nonn – è da blasimare,
ché fino amor nonn – è sanza temere:
da poi ch'è nato amore, 5
non par che˙lli consenta
mai che˙llüi pensare,
co rimembranza di sua gioia vedere;
e sforza di valere
che piacc<i>a a se medesimo ed altrui: 10
ch'amor è dato a cui?
a cortesia, a pregio ed a piacere,
e per me<r>zé cherere
passar durezza e divenire umile;
e quest'è cor gentile, 15
sir meo, a render vita a quei che père.
Ed io, che 'namorai
di voi solo veg<g>endo,
ché fino amor costrinse
lo core e la vertute e 'l pensamento, 20
e perciò coninciai
a disïar temendo,
vostra lab<b>ia m'avinse,
volle ch'io mi movesse ad ardimento.
Ond'io ag<g>io pavento, 25
ché greve pò l'amor far permanenza
i˙loco di valenza,
se nonn˙è d'aguaglianza il valimento;
lo vostro asultamento
vegnente è gaio e di magna potenza: 30
se nonn-ha provedenza
ver' me, dunque destai lo mio tormento.
Tormento né pesanza,
non dico ciò mi sia,
madonna, in voi amare, 35
ma <'n> rimembrar la mia propia statura,
che nonn-è d'aguaglianza
con vostra giovania,
né di biltà non pare
in simiglianza di vostra figura. 40
Adunque ag<g>io paura:
ch'io v'amo, sire, sì teneramente,
ch'avendovi presente,
pensando lo partire, ag<g>io rancura:
ch'amore 'l cor mi fura 45
e tut<t>a la vertute e 'l pensamento;
e qual è il mio pavento
non vi smarisca, e la mia morte dura!
Com'a lo cervio avene
voria che m'avenisse, 50
che suo gran temporale
rinuova, secondo ag<g>io audito dire,
e giovane diviene;
le pene i son dimesse
per cibo ch'a lui vale; 55
ma io non posso: quest'è il mio languire;
ca sol per voi servire
voria valer, più che per mia piagenza:
ché a voi è la potenza
de la mia morte e pena, e del disire. 60
Non mi poria avenire
a questo mondo sì alto ricore
sanza lo vostro amore,
che mi piacesse o˙ffossemi a gradire.
La speme e lo disio 65
che sì fedel vi porto,
per la temenza ch'ave
ciò c'ha di voglia non sa proferere:
ma di voi tiene in fio
quant'ha gioia e conforto, 70
né di sua pena grave
non fa mostranza, tant'ave disire:
però de' provedere
vostra nobilità ver' la mia cera,
che˙n ci è alcuna fera 75
che, pur servendo lei, doni dolere,
ma di su' gran potere
contra natura fa suo portamento;
vostro gran piacimento
tegnami a servo, com'io v'ho a mesere. 80
LIV
(V CCLIV)
Amoroso meo core,
Deo, quant'ha' pensamento,
rimemorando al ben c'hai proseduto!
e sovenendo alore
del tuo gran piacimento, 5
tormenti e doli là ove son venuto.
Poi che se' sì lontano
da la tua gioia vedere,
non puoi già mai piacere
ned essere sovrano, 10
se no ritorni a simile diletto:
lasso, che son distretto
di non potervi essere prosimano!
Di gioia e d'alegranza
com'altro innamorato 15
soleva avere e <di> grazza abondosa:
ahimè, quant'ho pesanza,
quand'ag<g>io ben pensato
ch'io son disparte da la più amorosa,
in cui sempre dimora 20
valore e caonoscenza,
bieltate con valenza!
Ogn'altra impar ne fora,
ché là dov<unqu'>ella <suole> apare<re>
non pò doglienza avere: 25
che no la veg<g>io, d'ogni gioia son fora.
Voria che m'avenisse
com'ag<g>io audito dire
de l'orso simigliante <a> sua natura,
che per doglia ch'avesse 30
o per pene o languire
venisse viguroso per rancura;
ma non posso neiente:
pensando mi consumo
e lo mio core allumo, 35
pensando a l'avenente
che mi solea in gioia mantenere
solo di lei vedere:
ed or che no la veg<g>io, son dolente.
La mia spene è divisa, 40
non già di bene amare,
ma di paese ch'ag<g>io, prolungato:
la mente e 'l core è 'n Pisa,
tut<t>o lo mio pensare
davanti a l'avenente in quello lato, 45
cherendole merzede
<che> non metta 'n obria
la dolze 'namoria
di noi, poi non mi vede:
ca due fin' cori esendo inamorati 50
perché siano alungiati,
non partono, ma crescono in più fede.
Poi ch'io non posso avanti
da la mia gioia parlare,
va', mia canzone, e umilmente la 'nchina: 55
dille, se movo a canti,
fo˙llo pe˙rimembrare
del suo valor, ché de l'altre è regina:
ché disperando creo
null'om sia dritto amante; 60
perch'io non sia davante,
sempre v'è il core meo;
e perch'io tardi la dolze veduta.
non fia gioia smaruta,
ché ristorar porag<g>io d'ogni reo.
LV
(V CCLV)
La mia disiderosa e dolze vita,
madonna, è rimembrando il vostro viso
e la compiuta gioia di valenza
c'ho riceputo, che m'è sì gradita
che sono in quella disïanza asiso: 5
voglioso, mai da ciò non fo partenza.
Fo come lepretasso odo che face,
che trag<g>e a chi l'apella per amore:
tant'è di fedel core
che va a morire e pareli verace; 10
e io sospiro e piango, e gioia dimeno:
per non turbare, lo meo mal rafreno.
Non dico che lo cor mio senta male
in voi, gentil mia donna ed amorosa,
per cosa ch'avenire li potesse: 15
ché, com' più pena, tanto più ne vale;
e sempre porta e ave in sé nascosa
la sua gioiosa gioia che non paresse;
ma' che li dole la grande abondanza
de la sagreta vostra vita altera, 20
che gli è fatta guerera
mostrando che˙lle sia greve pesanza;
ma' che mi riconforta lo diletto,
ché 'l gran saver ch'è in voi nonn-ho dispetto.
Li tempi contrariosi son venenti, 25
onde di noi lo terzo fa partire:
di ciò pensando temo e mi rancuro
ed ho pensier' ch'assai mi dan paventi,
perché lo terzo mostrami in suo dire
noia: ma solo in voi mi rasicuro. 30
Così com' si poria l'oc<c>hio levare
che divisasse più ch'una figura,
così saria fortura
da me partir lo vostro fino amare,
ché senza voi già vita non avria, 35
ché la mia gioia è 'n vostra segnoria.
Tant'è la spene e lo disio e 'l talento
che lungiamente d'amor ho portato,
madonna, apo ch'or sento fue neiente:
perciò ag<g>'io via mag<g>iore pavento 40
che qual più ama teme per usato:
dunqu'è temenza de l'amor crescente.
E 'l mio temer, nonn-è che da vo' vegna
alcuna cosa che ne sia damag<g>io;
ma chi mi rende oltrag<g>io 45
al mio temer, ch'io n'ho vista la 'nsegna?
chi m'ha servuto e fattomi gioioso,
mostra talento di farmi doglioso.
Madonna, due congiunti in un volere,
s'un è guerrero <e> impronta aver lor danno, 50
fermezza de' tra loro esser più forte;
ciò che l'un vuole de' l'altro piacere,
e partano lo ben come l'affanno:
non pò l'un senza l'altro sentir morte.
Adunqua, perché il tempo è contrarioso, 55
sormonti e vegna: so ch'è 'n voi fermezza,
onde nostra alecrezza
non partirà nel fino amor gioioso:
però m'alegro e canto e mi conforto
<i>sperando con gioia essere a porto. 60
LVI
(V CCLVI)
Di lungia parte aducemi l'amore
spesso gioia e pena, rimembrando
ch'io son lontan da tut<t>o mio disio;
la mente nonn-è meco né lo core,
ché l'avenente l'ave in suo comando, 5
ed io quant'ag<g>io, tegnol da˙llei in fio:
di che dimeno gioia ed alegranza,
rimembrando de la sua gran bieltate
e che le piace ch'io le sia servente;
e di questo ag<g>io doglia con pesanza, 10
ch'io son disparte di quelle contrate
colà dove dimora l'avenente.
L'avenente e 'l mio cor fan compagnia,
e chiamano la mente e lo 'ntelletto
che vegnano a veder chi segnor n'era 15
e chi per amor prese la balia
del più piagente e nobile diletto
che˙ffosse mai i˙null'altra riviera:
ca manti sono c'han gioia riceputa,
ma non che 'nver' la mia sian di parag<g>io: 20
di ciò più doppiamente ag<g>io doglienza,
che senza pene mi fu conceduta
per umilta<te>, non già per oltrag<g>io,
da l'avenente in cui regna valenza.
Però dogl' ïo, non posso allegrare, 25
che quanto più sent'io di piacimento
cotanto più mi dole la dimora
ch'io son disparte sanza lei parlare:
ché di nulla altra cosa ho pensamento
che lo tornare, quando fia quella ora 30
ch'io raquisti lo tempo c'ho perduto
e metta 'n obrïanza le mie pene
ch'ag<g>io portate per lei non vedere:
ché son di ciò pensando divenuto
natural come 'l ce<ce>ro divene 35
che termina cantando lo spiacere.
Dolze riviera gaia ed amorosa,
diletto sovra tut<t>e la sovrana,
porto di gioie e di valore orata,
d'adornamento e di grazze abondosa, 40
gentil terra sovr'ogne altra pisana,
ove lo pregio compie sua giornata,
perché <son> prolungato, ohimè lasso,
e fàcevi 'l meo core dimoranza
e l'avenente da cui tegno vita, 45
che chiamo lo suo nome ad ogne passo,
e par che ne soleni mia pesanza
pensando solamente la redita?
Di ciò mi riconforto e non dispero:
pensando ne la sua ric<c>a acoglienza 50
che mi de' far, tornandole davanti;
e l'adornezze del suo viso altero
farà redire in gioia la mia doglienza
e li martìri ch'ag<g>io avuti tanti.
Però, mia canzonetta, a˙llei t'invia; 55
inchinala e saluta dolzemente;
dille ch'io credo in gioia ristorare
presente ch'io vedrò sua segnoria:
sovr'ogni amante credo esser gaudente,
onde fra tanto deg<g>ia confortare. 60
LVII
(V CCLVII)
Di lontana riviera
sospirl e pensamento
m'aduce amor, memblando a l'avenente,
de la sua dolce cera
e 'l sag<g>io parlamento 5
ch'io n'avëa, ond'io n'era gaudente;
or che sono alungato,
dimoro sanza core,
sovente travagliando in mia pesanza,
ché di nulla alegranza, 10
lasso, non mi sovene,
se non torna e rivene
la mia bona ventura al primo stato.
S'a la mia gioia non torno,
non posso gioia avere 15
néd alegranza ond'io alegro sia;
e com' più fo sog<g>iorno
più ho greve dolere,
rimembrando la sua gran cortesia,
che non credo Tisbia, 20
Alèna né Morgana
avesson di bieltà tanto valore:
ché 'l suo dolze splendore
rischiara ogni turbato,
e face inamorato 25
chi guarda o mira inver' la gioia mia.
Eo non posso guardare
cogli oc<c>hi corporali,
ma col core le son sempre davanti;
non so mai che pensare: 30
li giorni quanti e quali
avea di gioia, mirando i suo sembianti,
<e> la dolce acoglienza
che mi facea sì dibuonairamente.
Ahimè lasso dolente, com' farag<g>io? 35
Perché vivo ad oltrag<g>io
di me medesmo ognora,
che là ove dimora
la mia gioia, non ag<g>io lecenza?
Sì come il pesce prende 40
in agua la sua vita
né mai non viveria in altro loco,
così l'amor m'ac<c>ende
e al pensare m'invita
e mi comprende d'amoroso foco: 45
ché d'altro non poria
la mia vita durare
che solo rimembrar de l'amorosa,
però ch'è quella cosa
ov'i' ho messo tut<t>o mio disio, 50
e porto e tegno in fio
ciò ch'ag<g>io di vertù o segnoria.
Una dolze speranza
pensando mi conforta
e re<n>demi 'n alquanto viguroso: 55
che quando omo ha pesanza
di suo dolor che porta,
poi ch'ave ben, gli sa più saporoso:
onde poria avenire
procian lo ben ch'io spero, 60
che mi poria del mio mal ristorare,
in breve ritornare
là ond'io sono lontano
ed es<s>er prossimano
di quella in cui è <tutto> mio disire. 65
LVIII
(V CCLVIII)
Madonna, poi m'avete
in vostra segnoria,
perché mi tormentate,
da poi son vostro più ch'io non son mio,
e 'l cor con voi tenete 5
e la speranza mia?
Se˙nnonn-è in voi pietate,
tormento e dico: lasso, com' facc'io?
Ca voi disiderando,
madonna, e voi guardando, 10
sempre ne presi vita:
e ora m'è fallita – la speranza,
ché la dolze impromessa
ch'avea, or m'è dimessa;
l'amoroso sguardare, 15
ché lo veo celare, – honde pesanza.
Pesanza m'è dogliosa,
madonna, ch'io non veo
vostra amorosa cera,
che mi solea di fin cor rallegrare; 20
perché mi sta nascosa,
sì forte ne vaneo
che per nulla manera
eo posso la mia vita confortare;
ma faccio a simiglianza 25
del cecer per usanza,
che ciò che li dispiace
dimostra che li piace – e va cantando:
ed io similemente
canto, e sono dolente: 30
ché sanza voi vedere
gioia non posso aver – né ben pensando.
Pensando, lasso, pèro
perché sia divenuto
che mi state celata, 35
ma credo n' ag<g>ia<n> colpa i mai parlieri;
onde merzé vi chero
ch'amor non sia smaruto
né la spene c'ho data
a voi, perché ci sian fatti guerieri: 40
ca fina donna deve
l'amor tenere in seve
via più distretamente,
se la malvagia gente – ne favella;
chi chi ha 'n sé ricore, 45
lo cela sove<n>t'ore:
però s'è 'n voi temenza,
fa˙llo vostra plasenza – ch'è sì bella.
Bella sovr'ogni sète,
madonna, al mio parere, 50
e più d'ogn'altra cosa
mi fate sovr'ogn'altra ragionare;
tut<t>e adornezze avete
e somma di piacere:
se˙nno˙ffoste pietosa, 55
farestene ciascun maravigliare;
ch'omo c'ha richitate
e usa scarsitate
di quel ch'ave aquistato,
che˙nn'è forte blasmato – malamente 60
e donna c'ha bieltate,
se nonn – ha in sé pietate,
par che ne sia ripresa:
onde di quella intesa – vi stea a mente.
Madonna, disïando 65
vostro amoroso viso,
non posso soferire
la mia voglia d'alquanto dimostrare;
se la dico in cantando,
non son perciò diviso 70
del vostro amor covrire,
ché sempre l'ag<g>io a mente d'oservare;
ma siavi ricordato,
s'io vi son servo dato,
di faremi gioioso; 75
non vi paia noioso – meo cantare;
non ag<g>iate riguardo
da darmi il dolze sguardo
ch'io <ne> solea avere,
che mi facea valere – e gioia menare. 80
LIX
(V CCLIX)
Nesuna gioia creo
che 'n esto mondo sia – ver' cortesia
o pregio di valenza prosedere,
ché per asempro veo,
chi non si amisuria – co maestria, 5
che fina canoscenza non pò avere:
ch'è verità tenere
loco di danno e o<n>ta,
e lo mentire pronta
e vale talfïata: 10
però è più laudata
la gioia ch'omo ave in grato,
che 'l giusto adoperato:
non serve ciò che richiede volere.
Ove dimora e posa 15
cortesia e valore? – In gentil core,
ch'altrove non poria far dimoranza:
ché più è poderosa
la fiam<m>a di splendor – che di calore,
onde lo cor gentil ne prende usanza 20
che fa perseveranza
più di servire e ama
che lo poder non chiama,
ma stringelo misura:
là ove non forza dura 25
lo poco valor vale,
e talfiata svale
sì come l'umiltà per orgoglianza.
Là ove pog<g>ia 'noranza
per cortesia mantene – e monta e vene, 30
come per fiato raviva lo foco;
e per amisuranza
orgoglio cala e pene,– e monta 'n bene
di fina gioia in alturalo poco,
ch'è tale detto gioco 35
in amorosa via
ch'ac<c>ende villania.
Però chi ama senta
ciò che l'amor talenta:
e' sé fa come l'ape 40
che per dolze <si> cape
e per trafitta cac<c>iasi di loco.
Adunque valimento
vale per ubidenza,– com' semenza
che doplica di frutto adoperando: 45
così di placimento
amor nasce ed agenza – in canoscenza,
che sanza ciò di gioia va alungiando;
ché l'agua sogottando
a dura pietra tolle 50
e partela, ch'è molle:
così per soferire
si prosiede disire:
se˙ll'una parte tace,
orgoglio vene in pace; 55
per sì e no si va contrariando.
Sicome per fredura
l'agua in ghiacc<i>a raprende, – già˙n s'arende
cotanto indura per adimorare,
e dove per calura 60
sua durezza rincende, – sì contende
vertù de l'una e l'altra per usare;
così avene d'amare,
che richier gentilezza
e talo<r> con prodezza, 65
e donasi a viltate
chi n'ha gentil<i>tate,
ch'amore <'n> vizi<o> manda
soverchio di vivanda,
se cortesia e ubidire non pare. 70
LX
(V CCLX)
S'io mi parto da voi, donna malvagia,
non parto di cantare;
s'io il volesse celare,
paria mi fosse a noia ciò ch'adagia:
ché molti han gioia, e par loro penare, 5
e ciò che li disagia
dimenano <'n> gran ragia
per erro o per follia d'amore amare.
Ma non son io di simigliante erore,
ch'io sento che 'n amore 10
è via men danno, chi si sa partire,
che <'n pur> seguir – lo malvagio segnore.
Però, malvagia donna, la partenza
m'è gran gioia e disire,
ma mi convien maldire; 15
di ciò mi duole ed ho grave increscenza,
ma so ch'assai è più vostro fallire
che la mia proferenza:
però n'ho percepenza,
visando ch'ogne reo v'este in disire: 20
ca, per vendere altrui vostra bieltate,
assai vi riparate
d'un cor cento voleri e ciascun reo;
e qual è peo, – più lo palesate.
Malvagia donna, ben si converia 25
e 'l folle gastigare
e 'l traditor dannare,
ch'amendar non si può la sua follia;
e veglia in tempo e giovane in trattare
mai non comenderia; 30
queto mai ambieria
caval c'ha bene impreso di trotare:
adunque mala vostra costumanza
fue sempre per usanza,
ma gli oc<c>hi tràiti e la cera e 'l parlare: 35
non pare – ciò c'ha 'l cor di malenanza.
Malvagia donna, folle fui al primero
che 'n voi misi talento,
e lo bel portamento
mi fece talentoso a tal mestero: 40
ché 'l puro om mai non guard'a tradimento
ma 'l falso menzonero
si mostra piacentero
al dritto amico, e poi li dà tormento;
così me dimostraste primamente 45
d'essere benvogliente:
perseverando, sono acompagnato,
ch'al vostro usato – già non puosi mente.
Malvagia donna, già non finerete
* se non cercate comuno * 50
sì che non sia veruno,
che dica d'altra falsa quanto siete;
quintana siete ove fiere ciascuno
ché ric<c>i assai tenete:
così v'invechierete, 55
ancor sia bianco il pel via più che bruno:
per troppo tempo siete rimbambita,
credendo parer zita:
ma li scherniti dan testimonanza,
palesanza – di vostra falsa vita. 60
Ed io, che 'n voi lo tempo ag<g>io perduto,
so˙mi riconosciuto
ch'io mi parto da doglia e da pesanza,
e 'n alegranza – grande son saluto.
LXI
(V CCLXXXV)
A San Giovanni, a Monte, mia canzone,
t'invia inmantenente e non far resto;
di' ch'io gli 'mpianto e 'nesto
al suo stato conforto in mio sermone,
s'è 'n udïenza e d'intendere è desto. 5
Lo savio il dice, ed è ver paragone,
omo in sua passïone
membrar lo scampo, come sïa presto:
ché mal per mal no aleg<gi>a, ché maggiore
aluma foco e ardore, 10
e per sovrabondanza trasnatura
senno e misura, – reo face peggiore;
ma chi nel mal conforta sua natura,
audo che men li idura
che <'n> soferire al mondo omo ricore: 15
caunoscidor – nonn-è sanza rancura.
Di tre richezze intendo l'om compiuto;
chi le possiede interamente ed ave,
no li deve esser grave
non più aver, ché le due son saluto: 20
giovantute, santà è porto e nave,
libertà di ciascuna è l<o> valuto;
non fu omo veduto
comprar potesse l'una per ciò ch'ave.
Dunque gli conta che le due prosiede, 25
perché povertà crede,
se libertà per sua viltà li manca.
Ché ciò lo franca, – se davanti vede:
che 'l validore vale se no stanca
nel mal poggiar la branca 30
e ne lo bene aver speranza e fede:
chi ben provede – di bruna fa bianca.
Isvegli lo gentil buon costumato;
voglia sé non gittare intra li lassi;
spanni sua vita, e passi; 35
lo ben ch'avuto pensi aver sognato;
metta speranza com' più nonn-abassi,
ché 'gnudo fue primeramente nato;
per cui solo alevato?
per lo potente Dio, cui già non lassi, 40
i˙lLui merzé, merzé sempre cherere,
ferm'isperanza avere
ch'apresso il male sia lo ben venente;
allegramente – isforzi di valere,
ca nulla cosa ci è compiutamente 45
a esto mondo vivente,
ché l'alto abassa e veggiolo cadere,
e lo poco valere – e far potente.
Pensa, gli di', che no alletti doglienza
ché tanto lungiamente l'ha chiamata 50
che la s'ha avicinata:
dunque li porta Dio benevoglienza.
Or chiami vita e gioia megliorata,
e benenanza metta in sua intenza:
forse per sua cherenza 55
gli fia come la doglia apresentata.
Non più villano a sé ch'è suto altrui
di Dio lo cor sia lui;
pigli d'Adamo e d'Eva 'sem *pro e miri:
di gran martiri – in gioia fuor trambondui 60
metendo 'n amendar solo disiri
obrïando sospiri:
ché Dio l'ave promesso ad onne è cui:
né son né fui – già mai senza consiri.
Mentre omo è vivo non si de' 'sperare, 65
ch'un buono giorno mille mai ristora;
uno reo punto ed ora
tolle lontana gioia ed alegrare:
ch'i' 'l credo ed ag<g>iolo visto plus-ora
una candela morta ravivare 70
per poco dimenare,
e 'l malato sanar sì che non plora:
ché 'l mondo ad una rota ha simiglianza
che volge per usanza,
che 'l basso monta e l'alto cade giuso, 75
e per lung'uso – non ave mancanza:
e tal si sfata e crede esser confuso
che di gioia vene suso:
dunqua nullo si gitti in disperanza,
ché sempre avanza – chi d'essa fa scuso. 80
Or paia chi già mai fue viguroso
e non sia neghietoso,
ché franco cor pote aquistar tesoro
che non pote oro – far lui valoroso:
però non de' l'om far troppo dimoro 85
in male o' sta 'l laboro:
ché quegli è de lo pregio disioso
che 'l si fa sposo – e non dice: io doloro.
LXI a
(V CCLXXXVI)
MONTE
Or è nel campo entrato tal campione
in mio socorso, che dir posso questo:
lo contrado che vesto
in sua sentenza non pò aver quistione;
conoscenza, savere nonn-ha in presto, 5
ché le prosiede bene in sua magione;
e, chi parla menzone,
dico che 'n amendar lui è richesto.
E poi che non m'è dato dal Fatore
che 'n me sia poco o fiore 10
di sodisfar chi ha 'n me fede pura,
disaventura – è di me guidatore:
a far me' grazze temo ed ho paura,
perch'è gra<n> pagatura
servigi oltrar, no˙llaudar pagatore: 15
sia amendator – de la mia vita dura.
So che per molti si sa ed è creduto
ch'a le vertù del mondo è l'a<uro> chiave;
ha 'n cor porto soave,
di ciascun ha il potere, fa saputo 20
e fa cernir, nonché 'l busco, la trave,
ch'è tesauro di quanto tempo è suto:
cui non è conceduto
dirag<g>io bene a che posta sarave.
Diciam ch'om sia di tut<t>e bontà rede, 25
sano dal capo al pede,
libero, giovan da sedere in panca:
tut<t>o lo sfranca, – e dico a nulla riede
se di ricore è fuori, e peg<g>io anca,
ch'ogne cosa ven manca, 30
suo affetto e labore è a mercede,
e sempre sede – col contrado a banca.
Ben sai, amico, ch'è nel mondo usato
chi si procaccia che ricore amassi
so˙li graditi spassi, 35
valer può, se dal cor è seguitato;
qual in bontà ti dico più trapassi,
se conoscenza no˙ll'ha ubrïato
ha sì mortale istato,
che quanti son li ben' per lui son cassi, 40
s'ha 'l mortal colpo di perdere avere,
poi vedi che 'I potere
di ciascuna vertù fa ben cernente,
ed è n<e>iente – bontà, se ricor père.
Ahi com'è 'gnudo, inodiato da gente, 45
chi è d'aver perdente,
che non pò pervenire in tal podere
* vendetta vedere – possa di lui nocente.
Da poi ch', amico, di me la sentenza
mi credo a te facesse sua giornata, 50
so che ll˙hai aprovata:
che 'n me socorso non sia né guerenza:
più ch'io non disvisai l'ho 'n me formata.
Non pensi come vita ha 'n me potenza,
poi ch'ag<g>io canoscenza 55
alquanta de la vita ch'è 'n me data?
E s'eo lamento ag<g>io fatto plùi,
dico che sol non fui
omo che di vanitate s'adiri;
ma or, meo sir, – son sì nel tut<t>o giùi, 60
convene pur lo contraro a me tiri
là ove volga o giri:
a disperanza aver non son co' lui,
ma son sol cui – son li tormenti smiri.
Mie travers<i>e non poria divisare; 65
sì sono spento, pur conven che mora;
se˙me fece dimora
vertute alcuna da me rallegrare,
d'ogni socorso son sì 'n tut<t>o fora,
che qual m'ha preso più a giudicare, 70
volessemi mostrare,
son certo n'averian pietate ancora.
Conforto non pò avere in me possanza,
ché tant'ho d'abondanza
di contrado, più ch'in meo dir non uso; 75
solo mi cuso – mai no aver speranza.
Amico meo, i˙loco son rinchiuso
ch'io cotanto m'acuso:
cui era la mia vita soperchianza
vede ve<n>gianza – sentenzarvi suso. 80
Chiaro, in te chiaritate fa riposo,
e 'l tuo dir prezïoso
dà gradire a quanti òmini vivoro,
tanto par poro, – fermo e diletoso;
ma ïo, lasso, sol che 'n vita moro, 85
per ch'io tanto mi scoro,
to tuo consiglio fior seguir non oso:
son sventuros<o> – di quanti sono o foro.
Intendi, amico, sed io son ben corso:
<per>ché qui non a forso 90
èmi rimaso che la volontate
e potesta<te> – di conoscer mio corso,
e può la lingua dir c'ha libertate:
quest'è la veritate.
Or chi mi pote fare ormai socorso? 95
Nonn – ho un sorso – de le vertù contate.
1
(V 350)
Qualunque m'adimanda per amore,
com'egli è sag<g>io, vo' ch'i' li risponda.
E' rende altrui giustizza de lo core,
né con martìri più già non confonda: 4
ché molto vale lo sofrir dolore,
ma sì è meglio a cui lo bene abonda;
chi ha donato e˙lui messo il suo valore,
di pic<c>iol fiume vien talor grande onda. 8
D'amore avene sì come del sole:
quando si leva, luce ignogne parte,
e poi si torna là ond'è levato. 11
Così va amore caëndo chi 'l vole:
cui trova bon, di sé li dona parte;
con alegrezza inalzo lo suo stato. 14
2
(V 352)
Ringrazzo amore de l'aventurosa
gioia e d<e l'>allegrezza che m'ha data,
ché mi donò a servir la più amorosa
che non fue Tisbia o Morgana la fata, 4
che la sua bocca aulisce più che rosa,
viso amoroso e gol'ha morganata.
Perché mi sturba la gente noiosa?
Me fanno guerra e lor nonn-è montata. 8
Ma prego quella, a cui merzé i' sono,
che non si deb<b>ia smagare neiente
per la ria gente – che met<t>or lor guarda, 11
ma stea co meco il suo core a bandono
e guardi sì com'io le son servente:
da˙llei presente – la vita ag<g>io in guarda. 14
3
(V353)
Da tut<t>i miei pensier' mi son diviso
e solo in un mi son miso ed acolto,
ed in questo procaccio e son più fiso
che 'l pregione di pene es<s>ere sciolto, 4
che mai non cura solazzo né riso
mentre che quel dolore no gli è tolto:
così son io 'n esto pensiero miso
per lui servire, e d'ogn'altro son vòlto. 8
Fo come quei che molte gioie ha 'n guarda,
e poi nell'una mette suo piacere
e lascia l'altre e d'essa si comprende, 11
ed a sollazzo lo suo cor non tarda:
perch'ag<g>ia pena, afina lo servire,
e cortesia sovente lo difende. 14
4
(V 354)
Così divene a me similemente
com'a l'acel che va e no rivene:
per la pastura che trova piagente
dimora illoco e d'essa si contene; 4
così il meo core a voi, donna avenente,
mando, perché vi conti le mie pene.
con voi rimane, ed io ne son perdente:
tanto li piace, non cura altro bene. 8
Ond'io vi prego, da che lo tenete,
che rimembiate de l'altra persona
come sanz'esso possa dimorare; 11
ben so che tanta canoscenza avete,
se per voi père sanza gioia alcuna,
che fia dispregio al nostro fin amare. 14
5
(V 355)
I' aggio cominciato e vo' far guerra:
chi me nonn-ama, faccia difensione;
e' credo, guerïando, aquistar terra,
perch'io fuor tutto son sanza cagione; 4
e chi m'afende meterò in tal serra
che de l'anor mi renderà ragione;
ch'io non farò sì come que' ch'è 'n erra,
ca per losinghe torna a la stagione. 8
Ca la mia vita è di natura d'orso:
quando om lo batte e tenelo in paura,
alora ingrassa e divene più forte; 11
così ag<g'i>o in guerïar socorso,
e credo che m'aiuta la ventura:
a cui mi piace posso donar morte. 14
6
(V 356)
Sì come il cervio che torna a morire
là ov'è feruto sì coralemente,
e 'l cecero comincia a rispaldire,
quando la morte venire si sente: 4
così facc'io, che ritorno a servire
a voi, madonna, se mi val neiente,
e dicovi: servendo vo' morire,
pur che mi diate la morte sovente; 8
e s'io no˙ll'ho, fo com'omo salvag<g>io,
ca nel cantare tanto si rimbaglia,
quand'ha rio tempo, ch'atende lo bono. 11
A voi, mia donna, lo mio core ingag<g>io:
che lo tegnate, no date travaglia,
ché da voi tegno l'altra vita in dono. 14
7
(V 357)
In tal pensiero ho miso lo mio core,
che 'n amoroso foco arde ed incende
d'una sì fresca ed aulorita fiore,
che quant'io più la guardo, più mi prende; 4
bellezze ed umiltà, fresco colore,
i˙llei tutta bieltà chiarisce e splende;
ahi lasso, ben morag<g>io per suo amore,
se sua pietà inver' me non discende! 8
Ché, quand'io guardo lo suo chiaro viso,
fo <co>me 'l parpaglione a la lumera,
che va morire per sua claritate; 11
ed io, mirando lo suo gioco e riso,
fo come quelli che mira la spera
del sol: sua luce nonn-ha claritate. 14
8
(V 378)
Un sol si vede, ch'ogni luminare
dispare – per lo gran sprendor che rende,
e per li razzi che manda per l'âre
d'inamorare – alcun non si difende, 4
e de le gioie sovra l'altre pare,
col suo mirare – ciascun core ac<c>ende;
di morto vivo fa risucitare
col suo avisare, – tanto ben risplende. 8
Figurato è lo sole o<n>d'ho parlato,
se 'maginato – in vostro cor valente
allegramente – de' star per usato; 11
e nulla pena i de' parer cocente,
ma soferente – d'umile aspetato:
chi fa laudato – amor è 'l buon servente. 14
9
(V 379)
Sì mi distringe il dolce pensamento
di voi, gentil mia donna, rimembrando,
che sovent'ore lo core e 'l talento
non posso ritener di gioia cantando; 4
e poi pavento, s'i' fo mostramento,
per li malvagi che vanno <s>parlando:
ma tanta d'alegrezza e di gioia sento,
che mi conven mostrare a voi parlando: 8
ché 'l gran ricore non pot'om celare,
che non ne facc<i>a alquanto dimostranza,
cotanto vene di fin cor l'amare; 11
onde, s'eo canto, fo˙l pe rimembranza
com'eo parti' da voi con alegrare:
de-ritornare ho via mag<g>io alegranza. 14
10
<V 380>
Io voglio star sovra laudar l'amore
e biasimar la ria gente noiosa:
bene ag<g>ia chi leanza tien tuttore
e quale 'nora sua donna amorosa; 4
e Dio sconfonda chi è sturbatore
a nullo amante ched amar si cosa:
ch'amor si prende e vien di forz'al core,
ed io vi mostro com'è dolze cosa. 8
E chi in amore intende, in gioia s'adorna
e di ben dire avanza suo corag<g>io;
perché sia mag<g>io – suo minore inora; 11
sovente porta cortesia e sog<g>iorna,
alegramente canta per usag<g>io:
mostrato v'ag<g>io – e più vi mostro ancora. 14
11
(V 545)
La spene e lo disio e 'l pensamento,
lo core e la vertute e quanto i' ag<g>io
in segnoria d'amore tutto sento
ed in voglienza di fedele omag<g>io; 4
e vo cercando sol di piacimento,
gridando amor sovr'ogni cosa mag<g>io:
sì sono alegro, nulla doglia sento,
cotant'è disioso il segnorag<g>io, 8
rimembrando ch'io sia fedel donato
de la più ric<c>a gioia ed avenente
ch'unque mai fosse nullo 'namorato, 11
e piace lei ched i' le sia servente:
ond'io son ric<c>o in sì dolze pensato,
che passo gli altri c'han d'amor neente. 14
12
(V 546)
Volete udire in quante ore del giorno
amor mi volge e gira al suo talento?
Ch'al primo ch'io mi movo, miro intorno
de la mia gioia: sed io <no> la sento 4
assettomi 'n u˙lloco e mi sog<g>iorno
piango e sospiro ed ho greve tormento;
e poi rimiro per lo viso adorno:
se 'l veg<g>io, canto, ed ho gran sbaldimento. 8
E poi quando si parte la mia gioia
lo cor mi fura e tutta la vertute:
in quello punto mi è aviso ch'io moia; 11
se si n'aved' e mandami salute,
inmantenente oblìone ogni noia.
Così l'ore del giorno ho compartute. 14
13
(V 547)
Lo disïoso core e la speranza
c'ho di voi, fina donna ed amorosa,
mi fa di canto e di gran benenanza
rinovellar la mia vita gioiosa, 4
poi che di voi non veg<g>io simiglianza
né pari di bieltà sì graziosa:
ch'Isotta né Tisbia per sembianza,
nesuna in gioia fue sì poderosa; 8
come voi bella siete d'adornezze
e di valor compiuta e di savere,
ver' voi ogn'altra par ch'ag<g>ia bassezze: 11
adunque spero per merzé cherere
capere in parte per le vostre altezze
ne lo diletto ond'io ag<g>io volere. 14
14
(V 548)
Guardando, bella, il vostro alegro viso,
lo cor dal corpo mio tosto si parte
e là ove siete sì dimora asiso:
del mondo mai non vuol più gioia né parte. 4
Così da˙llui lo corpo sta diviso:
piacegli il dimorar così in disparte,
ond'io ne perdo gioco e canto e riso,
e non vi so parlar mai che per carte; 8
e per esse ho dottanza tuttavia
non vi dispiaccia: tanto son temente,
che taccio ciò che dicere voria. 11
Onde, madonna, s'io non son cherente,
provedete qual è la vita mia,
se non sète per cera canoscente. 14
15
(V 549)
Gentil mia donna, poi ch'io 'namorai
del vostro adorno viso riguardando,
di nesuna altra cosa non pensai
se non <è> d'ubidir vostro comando; 4
e sempre immaginata vi portai,
come voi siete, nel mi' cor pensando;
e sì dottosamente inconinzai,
ch'ad ogni passo movo sospirando: 8
perché sì magna e diletosa gioia
non s'averia ad om di mio parag<g>io;
ed eo 'l conosco, e non posso partire: 11
amor m'invia, a ciò che vuol ch'io moia:
ma mi sicura il vostro segnorag<g>io,
che per pietà non mi farà morire. 14
16
(V 550)
Partir convienmi, lasso doloroso,
da quella gioia che 'n vita mi mantene
e gire in altra parte, ohimè, pensoso:
lasso, perché la morte non mi vene? 4
Credo per sempre mai viver noioso
ad onta di me stesso, con gran pene,
ch'eo lascio il dolze viso ed amoroso
de l'avenente, e morir mi convene, 8
s'eo non campo per uno sol membrare
che mi dice: «Confortati, amor mio,
e ag<g>i rimembranza di tornare: 11
lo cor tuo lascia, e portine lo mio»;
per questo solo credomi campare,
ma sì mi duol quando le dico adio. 14
17
(V 551)
Tutta la pena ch'io ag<g>io portata,
donna, da vo' istandovi lontano,
grazza di<r> vòi, ché 'n gioia m'è ritornata
da poi ch'io vi son fatto prosimano: 4
ca s'eo dolea per lunga dimorata,
tornato son di gioia via più sovrano,
e or conosco ch'è più 'namorata
la cosa ch'omo aquista per afano. 8
Affano non sofers'io mai neiente
in voi amar, ma disïosa vita:
ch'anti fui ric<c>o, poi vi fui servente: 11
ma s'io mi dolsi per lunga partita,
or che tornato sono, son gaudente,
tanto m'ave 'nalzato la redita. 14
18
(V 552)
Ahi lasso, in quante guise son dolente
ne la dogliosa mia vita pensando!
ch'io pur disio ed amo l'avenente,
ed ella sempre il mio amor va cessando; 4
e cherole merzé umilemente
co le man' giunte avanti le' istando,
ed ella non si cura in ciò neiente:
così convien ch'io pèra disiando. 8
S'io avesse d<e l'>orso la natura,
poria campar, se ver'è quella usanza
che 'ngrassa per tenere in sé rancura: 11
ma non divene a me, ca di pesanza
ag<g>io la morte, e veiola in figura
ver' me venire, e non trovo pietanza. 14
19
(V 553)
Gentil mia donna, sag<g>ia ed avanante,
di me servente ag<g>iate rimembranza:
quand'io passo là dove siete avante,
mostratemi per vista e per sembianza 4
che vi piaccia ch'io sïa vostro amante
o per voi siegua l'amorosa usanza
ché nulla cosa m'è tanto possante
come di ciò averne sicuranza: 8
ch'io sono vostro e per voi porto vita,
e solamente voi disio ed amo
e credo alegra gioia prosedere. 11
Però mia mente e core pur v'invita
che v'allegriate, ch'io altro non bramo
che mi mostrate ch'i' vi sia in piacere. 14
20
(V 554)
Io non son degno, donna, di cherere
a voi la cosa ond'io ag<g>io talento,
ché so che nonn-è-me tanto valere
che 'l vostro core stessevi contento; 4
e s'io lo taccio, greve ag<g>io dolere,
e de lo dire grande ag<g>io pavento:
ma sì mi stringe amore in suo podere
che per penar farag<g>ione ardimento, 8
cherendovi davanti perdonanza
sed io fallasse in ciò d'alcuna cosa,
che 'l mi fareb<b>e dir greve pesanza: 11
la vostra dolce boc<c>a ed amorosa
d'uno baciar mi desse sicuranza;
poi la mia vita ne sarà gioiosa. 14
21
(V 555)
Così gioioso e gaio è lo mio core,
che no˙l savria co lingua divisare:
arimembrando che 'l meo dolze amore
è ritornato, che n'avea penare, 4
sonne montato in sì grande baldore,
che non mi credo di gioia aver pare,
ché l'avenente e 'l suo dolze splendore
sovr'ogni amante mi fa rallegrare, 8
riguardando lo suo amoroso viso,
che passa di bieltate, al mio parere,
ogn'altra donna ch'ag<g>ia in sé valore. 11
Son stato in doglia, ché n'era diviso:
or m'è tornata la doglia in piacere
veg<g>endo ritornato il suo bellore. 14
22
(V 556)
Va', mio sonetto, e˙ssai con cui ragiona?
co l'amorosa c'ha 'l nome di fiore,
quella che di bieltate ha la corona,
lo pregio e l'adornezze e lo valore. 4
Quando le se' davanti a sua persona,
salutala per me suo servidore:
dille che d'altra cosa no ragiona
lo mio intelletto, che del suo amore; 8
e perch'io sia lontan di lei vedere,
lo core ha seco, che le sta davanti
e no le fina di merzé cherere: 11
ond'io le˙racomando per inanti,
infin ch'i' torni al suo dolze piacere
ché 'l dimorar mi dà sospiri e pianti. 14
23
(V 557)
Molti omini vanno ragionando,
dicendo che l'amore è degna cosa,
e face il folle assai gire amendando,
lo scarso, largo con grazza copiosa, 4
lo nescio, ben sac<c>ente sermonando,
lo vile pro' e la noia gioiosa:
ed io nel tutto questo vo negando,
ch'amore è cosa tutta contrariosa, 8
e nonn-ha in sé né senno né misura,
né cosa ch'omo possala laudare,
ma doppio è di tormento e di rancura; 11
chi più lo serve, più lo fa penare,
e già di meritar non mette cura:
dunque è tutto di folle adoperare. 14
24
(V 558)
De la fenice impreso ag<g>io natura,
che s'arde se medesma, per venire
giovane e fresca, e non ca<n>gia figura:
per aver gioia sofera languire; 4
ond'io medesmo d'una gra˙rancura
credo campar per lungo soferire,
e spero in sicurtà de la paura
per ubidenza in gran gioia redire. 8
Ché soferendo gran pene ed afanno,
lo bene n'è di ciò più savoroso
e par che 'n poco tempo mendi danno: 11
ond'io son fatto in ciò aventuroso
e miei voler' come fenici vanno,
ché vo a le pene per esser gioioso. 14
25
(V 559)
Il parpaglion che fere a la lumera
per lo splendor, ché sì bella gli pare,
s'aventa ad essa per la grande spera,
tanto che si conduce a divampare: 4
così facc'io, mirando vostra cera,
madonna, e 'l vostro dolce ragionare,
che diletando strug<g>o come cera
e non posso la voglia rinfrenare. 8
Così son divenuto parpaglione
che more al foco per sua claritate,
e per natura ha 'n sé quella cagione: 11
ed io, madonna, per vostra bieltate,
mirandola, consumo in pensagione,
se per merzé non trovo in voi pietate. 14
26
(V 560)
Come Narcissi, in sua spera mirando,
s'inamorao per ombra a la fontana;
veg<g>endo se medesimo pensando,
ferìssi il core e la sua mente vana; 4
gittòvisi entro per l'ombrìa pigliando,
di quello amor lo prese morte strana;
ed io, vostra bielta<te> rimembrando
l'ora ch'io vidi voi, donna sovrana 8
inamorato son sì feramente
che, poi ch'io voglia, non poria partire,
sì m'ha l'amor compreso strettamente; 11
tormentami lo giorno e fa languire:
com'a Narcis<s>i paràmi piagente,
veg<g>endo voi, la morte soferire. 14
27
(V 561)
Come lo lunicorno, che si prende
a la donzella per verginitate,
e va a la morte, già non si contende
da˙llei, poi che no gl<i> usa veritate; 4
quando l'ha preso al cacciator lo rende
ed el ne face la sua volontate:
così Amor li suoi amanti raprende
d'un disïoso foco a le fiate, 8
che mostra lor piacere e disianza
e donagli a le donne intenditori:
quelle lor danno tormento e pesanza; 11
quando li sente ben fermi amadori,
le pene danno lor per alegranza,
fanoli dimorar sempre in dolori. 14
28
(V 562)
La salamandra vive ne lo foco,
ed ogni altro animale ne perisce;
ed a˙llei sola par sollazzo e gioco,
e solamente dentro si nodrisce; 4
ed io ne sento pur d'amore un poco
del suo incendore: tanto mi gradisce,
ché non m'avampa, ma lo core coco:
disiderando d'esso mi guerisce. 8
Così son salamandra divenuto,
ché ciò ch'omo si conta per danag<g>io
mi pare a me per gioia conceduto: 11
ch'om fug<g>e segnoria per oltrag<g>io,
ed io mi conto per essa aricuto,
e pur diletto stare a vassallag<g>io. 14
29
(V 563)
Sì come la pantera per alore
comprende l'altre fiere di plagenza;
urlando lei, vi trag<g>ono a romore,
ed ella le comprende d'increscenza: 4
a simiglianza poss'io dir d'amore,
ch'aprende i suoi con amorosa lenza
mostrando bei sembianti sovent'ore,
e poi li tiene i˙llunga penitenza; 8
e facegli angosciare disïando,
e nonn-acompie mai lo lor piacere,
ma li nodrisce di pene aspetando; 11
e ta˙l si crede prosimano avere,
che lungiamente dole e va penando:
a me lo fece, lasso, a suo podere. 14
30
(V 564)
Come la tigra nel suo gran dolore
solena ne lo speglio riguardando,
e vede figurato lo colore
de li suoi figli, ch'el<l>a va cercando; 4
per quel diletto obria lo cacc<i>atore,
dimora iloco, no˙l va seguitando:
così chi è compreso ben d'amore
ave la vita sua donna mirando; 8
ché ne solena sua greve doglienza:
intanto che la mira sta gioioso,
credendo vincer lei per ubidenza: 11
la donna nonn-ha lo suo cor pietoso;
passa lo giorno, e falla ciò che penza:
a me divene, lasso doloroso! 14
31
(V 565)
Come il castoro, quando egli è cacc<i>ato,
veg<g>endo che non pote più scampare,
lascia di quello che gli è più 'ncarnato,
e tutto il fa per più in vita regnare; 4
lo cacc<i>ator, presente l'ha trovato,
inmantenente lascia lo cacc<i>are:
così facc'io, che sono inamorato,
che lascio ogn'altra cosa per amare. 8
Ma l'amor, po' ch'io ubrio ogn'altre cose,
no lascia me, ma tienmi disioso
de l'avenente dolze donna mia, 11
che mi porge le gioie diletose;
e son castoro fatto argomentoso,
ca, per campar, diletto segnoria. 14
32
(V 566)
La splendiente luce, quando apare,
in ogne scura parte dà chiarore;
cotant'ha di vertute il suo guardare,
che sovra tutti gli altri è 'l suo splendore: 4
così madonna mia face alegrare,
mirando lei, chi avesse alcun dolore;
adesso lo fa in gioia ritornare,
tanto sormonta e passa il suo valore. 8
E l'altre donne fan di lei bandiera,
imperadrice d'ogni costumanza,
perch'è di tutte quante la lumera; 11
e li pintor' la miran per usanza
per trare asempro di sì bella cera,
per farne a l'altre genti dimostranza. 14
33
(V 567)
Io non posso, madonna, ritenere
la voglia che mi stringe e lo talento,
ch'io no˙l vi mostri alquanto in profere<re>,
avegna che tutora n'ho pavento 4
non dica cosa che vi sia spiacere:
di questo dotto ed honne pensamento;
ma rasicuro, ché 'l vostro savere
al mio follor farà perdonamento. 8
Quello ond'io ag<g>io sì gran disianza,
madonna, è solamente ch'io potesse
per mia merzé trovare in voi pietanza, 11
e per mia cera 'l vostro cor credesse
ciò che lo mio <con>sente di pesanza,
sì che l'amor com'io vi distringesse. 14
34
(V 568)
Tutte le pene ch'io già mai portai
inver' quelle ch'io sento fuor neiente,
ché simigliante già no le provai,
né le provò nesuno altr'om vivente: 4
ché 'n un sol punto ciò ch'i' aquistai
ag<g>io perduto, ohimè lasso dolente,
né raquistar no lo porag<g>io mai:
dunqua, come vivrag<g>io infra la gente? 8
Ch'i' ho perduta donna ed amistate
e avere e gaudimento e benenanza,
contigia de' valenti e mia bontate, 11
e son venuto in doglia ed i<n> pesanza:
la morte saria vita in veritate,
e credo mi saria più consolanza. 14
35
(V 569)
Madonna, sì m'aven di voi pensando
come quelli ch'è in periglioso mare
e vede la tempesta sormontando
e non si turba, tant'ha disïare: 4
là ov'ha il suo diletto memorando,
obrïa, per la spene del tornare,
tutte le pene ch'ave travagliando,
tanto che vene a porto di scampare: 8
sapeli poi lo ben c'ha più gioioso:
ed io, pensando in voi, bella, aquistare,
del mal ch'io ag<g>io non ne son dottoso, 11
ché vivo 'n isperanza megliorare
che 'l vostro gentil cor sarà pietoso,
ond'io porag<g>io in gioia dimorare. 14
36
(V 570)
Io so ch'i' non ho tanta di potenza
ch'io meritar potesse lo donato
c'ho ricevuto da vostra valenza,
sanza penar ch'io non ag<g>io provato; 4
ma, quanto vaglio, in vostra riverenza
dimoro sempre, e di servir vogliato:
però non ve ne faccio proferenza,
perch'io son tutto vostro donicato: 8
ché l'altrui non de' l'omo proferere,
ma de lo suo servir, s'ave valore,
e la via d'ubidenza mantenere: 11
ond'io, madonna, sonvi servidore,
ché 'l vostro amore è sì alto piacere
ch'io presi vita e voi donaste onore. 14
37
(V 571)
Di grazze far, madonna, mai non fino,
né di servire stanco non veria,
pensando il diletoso giorno e fino
ch'io presi frutto in vostra segnoria: 4
ché tanta gio<i>a presi in quel matino,
che non sentirò mai in vita mia:
vo' sempre per voi essere assesino
in tutto ciò che 'l vostro cor disia: 8
perciò, madonna, non vi sia pesanza
s'io canto o mi conforto o gio' dimeno,
pensando c'ho d'amor sì alt'amanza 11
ch'al mio parer passo ogn'altr'o<m> tereno:
onde, s'io canto, è tanta la baldanza,
che per nesuna cosa mi rafreno. 14
38
(V 572)
Non vo' che temi tanto nel tuo core
che di parlare perdi intendimento,
ché stato non se' tanto fallatore
ch'io non ti possa far perdonamento: 4
però domanda, nonn-aver temore,
ché già per dir non sentira' tormento:
ma se tacessi, ti saria peg<g>iore,
ed io n'avria per ciò più pensamento; 8
ca se mi piacerà lo tuo dimando,
i' ne farò ciò ch'a piacer ti fia,
e, se mi spiace, lo girò scusando, 11
ché lo cherer forzar non mi poria.
Per domandare non gire dottando:
donna non fere altrui per diceria. 14
39
(V 573)
Madonna, io temo tanto a voi venire
pensando, tant'è forte la minacc<i>a,
ché mi vi par veder sempre ferire
co li mi' oc<c>hi avanti de la facc<i>a; 4
e non credo mi vaglia lo schermire,
tanto vostra ferezza mi discacc<i>a:
de la venuta è 'l meglio soferire,
ché quelli falla che 'l suo mal s'avacc<i>a. 8
Avegna se la scusa m'ascoltate
e volete la scusa ricepere,
io la vi fo, se voi mi sicurate; 11
non ch'io confessi colpa al mio podere
<se vi fosse, vendetta ne pigliate>,
ma de la morte vo' fidanza avere. 14
40
(V 574)
Chi non teme non pò es<s>ere amante,
ched è l'amor temenza; e lo temere
sì come cortesia è simigliante,
che si coreg<g>e per misura avere; 4
ond'io temente non v'ardisco, avante
a voi, gentil mia donna, di cherere
fé, ubidenza <'n> opera e sembiante:
a voi seguir non cangio a ciò volere; 8
perch'ïo tema, credo meglio amare,
avegna non sia tanto mi' valore
ch'io mi dovesse a voi, bella, acontare; 11
ma seg<u>o l'uso d'umil servidore:
per la gran fé ch'ell'ave in domandare
prende arditanza de lo suo segnore. 14
41
(V 575)
Io porto ciò che porta me pensando,
e tegno chi mi tiene in segnoria,
e chi mi cerca, vo di lui cercando;
di lunga parte comparto la via, 4
e chi mi mena, vo co˙llui parlando,
e tegno in baglia chi m'ave in balia;
sog<g>iorno iloco e vo sempre fugando,
e sono alegro ed ho maninconia; 8
penso ched i<n> pensier segnore n'era
di quella gioia, che di gioia passa
ogn'altra bella, c'ha bieltà neiente: 11
e sto in disparte e son ne la rivera,
là dove lascio il cor che non mi lassa,
e non veg<g>endo, veg<g>io l'avenente. 14
42
(V 576)
Di voi amar, madonna, son temente,
ché non son degno aver sì alta 'ntesa
né di tal segnoria es<s>er servente
e sed io sono, faccio folle impresa; 4
ma l'amor mi distringe feramente
e non mi vale inver' lui far contesa,
ché molti asempri donami sovente
com'omo aquista per lontana atesa: 8
perch'ogni cosa vuol cominciamento,
ché 'l poco vene in gran moltipricare
a quelli che sa fare avanzamento: 11
onde però mi vi convene amare.
Sed io ne faccio in ciò folle ardimento,
per Dio lo mi deg<g>iate perdonare. 14
43
(V 577)
Lo dragone regnando pur avampa,
né greve intenza alcuna no gli è punta;
ver' la spos<s>ata possa quasi giunta
diverso intendimento ch'ognor lampa: 4
manto saver per argomento campa
e per lungo avisar, che par di giunta
per altrui voglia alegri cor e giunta;
agio e tempo <ad> alter loco v'arampa. 8
Ma dritto il pel di corno l'onor porta,
tien fermo poi, suo contrari fug<g>endo,
e la divina possa no va corta: 11
e cui ne duole va il core pungendo,
perché la fiam<m>a al gran foco s'amorta,
a la p<r>edetta profezia giugnendo. 14
44
(V 578)
1
Molto diletto e piacemi vedere
a giovane possente validore
dolze parole e umìle proferere,
e dipo la parola benfatore; 4
largo, e dove s'avene, <ri>tenere,
e mantenere amico e servidore,
e perché serva non deg<g>ia dolere,
né co rimproccio porga suo valore. 8
E sì mi piace di lui dilettare,
in bella donna intender chiusamente,
e ch'ag<g>ia bella cera con usare; 11
e rlverisca ciascuno valente,
ed orgoglioso partirsi d'amare,
e 'l suo costume che sia conoscente. 14
45
<V 579>
2
Molto mi piace veder cavaliero
cortese e savio, e sia ben costumato,
leale e puro e fermo veritero,
in tutto facc<i>a bono <ad>operato; 4
non troppo parli o che sia menzonero
o sforzi altrui per suo ric<c>o aquistato:
ma be' sembianti e' facc<i>a, viso clero
inver' gli amici, e mostrisi invogliato. 8
Ancor mi piace più di lui vedere
di quel che 'mprende s'è buon pugnatore:
perdendo, la ragion facc<i>a valere; 11
e che diletti di volere onore
e ch'ami Dio e 'l prossimo servire,
e del comune suo difenditore. 14
46
(V 585)
3
Ancor mi piace veglio canoscente,
di ciò ch'egli ha fallato ripentuto,
e ritornare a Dio umilemente,
e rimembrar lo tempo ov'è venuto; 4
e che dea belli asempri a tut<t>a gente
e non conti lo mal ch'egli ha veduto,
e meriti chi gli è stato servente,
ed amendi il pecato ov'è caduto. 8
Ancor mi piace suo figlio riprenda
di male adoperare e di mentire,
e che 'l suo avere in vanità no spenda: 11
ed a cui deve sforzi di servire,
e serva là ove deve, e si rac<c>enda
in voler pregio per onor gradire. 14
47
(V 586)
4
Ancor mi piace veder mercatante
ad un sol motto vender su' mercato,
di lëaltate fermo, adoperante
ed istudioso e desto ed ispacc<i>ato, 4
con fermo viso, non molto parlante,
e non diletti lo male infamato,
e giorno e notti veg<g>hi, e sia pensante
in quale guisa possa esser laudato. 8
Ancor mi piace artefice sentito
di su' arte pensare, argomentoso,
fatore, e lo lavoro suo pulito; 11
<a>misurato, e non sia neghietoso,
e quando ha 'l tempo, desto ed amonito,
e facc<i>a suo overier ben vigoroso. 14
48
(V 587)
5
E piacemi e diletto certo assai
veder sergente desto di servire
fator, che non si veg<g>ia stanco mai
di volontà compresa d'ubidire; 4
non garitor né pianga li suoi guai,
piagente ed amoroso con disire;
e quando om l'adomanda: «Dove vai?»,
cortesemente porga lo su' dire. 8
Ancor mi piace segnor poder<oso>,
che tal servente sappia mantenere,
e ch'è di meritarlo benvoglioso. 11
E piacemi donzel che può valere
che vaglia, e sempre sia disideroso
di soferenza e pregio di piacere. 14
49
(V 588)
6
E sì mi piace vedere pulzella,
piana ed umile e con bel reg<g>imento,
bassare gli oc<c>hi suoi quando favella,
poche parole, non gran parlamento; 4
e sì mi piace assai forte ed abella
s'ha be' costumi e 'n sé buon sentimento,
e quando ode di sé bona novella,
ch'adopplichi lo bono in pensamento. 8
E <sì> piacemi ancora a dismisura
a bella donna savio ragionare,
e ch'ag<g>ia in sé avenante portatura, 11
e ciò ch'ama il marito deg<g>i'amare
e se 'n andando fa bella andatura,
ed avenantemente salutare. 14
50
<V 589>
7
Ancor mi piace a vedova pensare
come suoi figli possa mantenere
in bei costumi, e del mal gastigare,
e che mantegna ben lo lor podere; 4
e che non pensi mai di maritare,
ma solamente lor pe' sposo avere;
lor giovantute sappia comportare,
per se medesma castità volere. 8
E piacemi figlio<l> che riverisca
cotal madre e diletti lo suo onore,
e li comandamenti suoi ubidisca; 11
che s'impronti d'aver lo suo amore
e di servirli già mai no rincresca,
ma le rafini sempre servidore. 14
51
(V 590) 8
E sì mi piace padre argomentoso
in mantener suo figlio costumato
di bei costumi, e faccial temoroso;
e che l'aprenda sì che sia laudato, 4
e che lo 'nvii e fac<c>ialo studioso,
di buoni asempri sempre amaestrato;
d'amare e di servire sia voglioso
a Dio, ed agli amici faccia a grato. 8
E piacemi gli dea invïamento,
onde sua vita possa mantenere
con giustizza, e non con fallimento; 11
e veritate in sé deg<g>ia tenere,
e sempre inodi e scacci tradimento,
e con purezza improntisi d'avere. 14
52
(V 591)
9
Ancor mi piace chi suo padre inora
e 'nagialo di ciò che gli è piagente,
e se 'n sua ubidenza ben dimora
e mostrasi di lui servir vogliente; 4
e se per lui servir sempre lavora,
a zo che 'l vesta e tegna orevolmente;
e piacemi di Dio li dica ognora
come lo serva, e sia benivogliente; 8
e che gli dea lecenza di ben fare,
e no l'adiri, ma tegnal gioioso;
e tuttavia lo deg<g>ia confortare, 11
con sue parole farlo baldanzoso,
a ciò che possa l'anima salvare
e 'l corpo suo tener disideroso. 14
53
(V 592)
10
E piacemi vedere rilegioso
casto ed amanito di ben fare,
e che non sia leg<g>iadro e vizïoso,
e de la morte sempre ricordare, 4
e sia d'amare Dio disideroso,
e star gichitamente sovr'altare;
e paia intra la gente vergognoso,
e umilemente porga suo parlare. 8
E piacemi, quand'è a confessïone,
che non guardi nel viso chi gli è avanti,
e che diletti giostizza e ragione, 11
e che non facc<i>a vista né sembianti
che lo ne riprendessor le persone;
e suoi pecati sian nel cor suo pianti. 14
54
(V 593)
Palamidesse amico, ogni vertù
secondo l'overar de l'omo cerne:
savere e maestria assai governe:
dunque, per <che> cagione falli tu? 4
Ben sai che magno pregio fue d'Artù
e gra˙lumera celar per lanterne;
dipo la state pensa ca vern'è,
* primeri c amici fulgli comantu * 8
che disiò corona aver d'alchimia,
per ta<l> speranza amici lasciò aretro
e pensò˙la manera de la scimia. 11
Se non m'intendi ben perch'io t'impetro,
pensa che nonn-è sì pic<c>iola rimia
che non possa valer davanti o retro. 14
55
(V 594)
Chi 'ntende, intenda ciò che 'n carta impetro:
che 'l ben d'amor mi piace, e no m'adagro;
e lo sperar m'avanza, e non m'aretro,
ma pur d'atender mi corono e sagro. 4
E tutor mi ramiro d'amor vetro,
e, chi ne cresce, ch'io pur ne dimagro;
tal condizion no˙l soferia san Petro:
s'amore larga altrui, me è pur agro. 8
Ordunque, amico, qual è la coretta
d'amore gioia, ubrïando le pene,
che sia di lui donata più concetta 11
lo tuo saver so che conosce bene:
co lo vedere amore i suoi ralletta,
e tal vede, ch'amor no li s'avene. 14
56
(V 351 e 595)
L'amore ave natura de lo foco,
ch'al primo par di pic<c>iola possanza,
sormonta e sale in grande altura il poco,
inmantenente fa gioia di pesanza; 4
e tali pene pascele con gioco
che tutto tempo non han solenanza;
abita ne lo core e fa suo loco,
sospiri e pianti rende per usanza. 8
E' ven de lo vedere e d'udïenza,
de lo pensiero ed ancor di sag<g>iare:
fermasi quando vene lo piacere; 11
dunque nonn-ha riparo sua potenza:
però conven ciascuno aumiliare
e star gechito di quant'ha podere. 14
57
(V 596)
Quand'omo aquista d'amor nulla cosa,
molt'è gran senno se ben la mantene;
ché, se la lascia, ripigliar non ne osa
altrui che sé, che non sareb<b>e bene: 4
ond'io ripiglio me, che fui in posa
ed aquistai per poco senno pene,
ed èi lo pruno e non colsi la rosa,
e la bontà ch'audivi già non vene. 11
Però, ciascuno c'ha gioia aquistata
no la diparta da sé per parole,
anzi ne pigli tutto il suo piacere: 14
non facc<i>a sì com'io, ch'eb<b>i privata
la 'namorata gioia che 'l core vuole
e non ne presi, sì la lasciai gire. 14
58
(V 597)
Adimorando 'n istrano paese,
di voi, mia donna, a tutora pensava,
ché mi parea fallire di palese
ché di me novelle non vi mandava; 4
ed ogni giorno mi parea un mese,
pensandomi là dove adimorava;
e nel pensar di me facea marchese
e schiavo: tanto salia e montava. 8
Tuttavia rimembiando la tornata,
ched io venia la sì gran<de> diporto,
lasciava pene e grande pensamento; 11
e discendea, membiando la pensata
ch'lio avea fatta di gire a tal porto,
che venia in fallo e rimanea in tormento. 14
59
(V 598)
Così m'aven com' Paläùs sua lanza,
ca del suo colpo om non potea guerire
mentre ch'un altro a simile sembianza
un'altra fiata non si fea ferire. 4
Così dich'io di voi, donna, i˙leanza
che ciò ch'io presi mi torna i˙languire:
se sumigliante nonn-ag<g>io l'usanza,
di presente vedretemi morire; 8
ché non m'è meraviglia s'io morisse,
pensando a l'alta gioia ched i' ho presa
ch'altre fïate più non vi venisse: 11
ché la fiam<m>a, da poi ch'è bene apresa,
tardi s'astuta, s'entro pur m'ardesse,
così coralement'è, veg<g>io, ac<c>esa. 14
60
(V 599)
Poi so ch'io fallo per troppo volere
sì come impronto che trag<g>e al tegnente
e talor va e prende per cherere,
così del mio conincio similmente: 4
ché tant'ho voglia d'assai proferere
che l'abondanza mi torna a neiente,
sì come quei c'ha gioia in suo podere
e dotta tuttasor d'es<s>er perdente. 8
Così di voi amor poi n'aquistai,
tenere a mente lo vostro ricore
ne la mia mente distretto portai: 11
dunque serie manc'o fallatore,
s'eo vi vedesse in grande oper'asai,
s'io non vi ramentasse ciò ch'è onore. 14
Non ch'a me si convegna
tanta vostra screzione
di me, pic<c>ola 'nsegna
a sì alto barone. 18
61
(V 600)
In ogni cosa vuol senno e misura
perché valor pregiato insegna fare:
ché non è l'om laudato pe˙ricura,
ma per i<s>forzo di ben costumare; 4
e 'n tutte cose si conven paura,
perché 'gli è forte cosa il coninzare:
ché 'l mal conincio tardi, veio, dura:
però convien dinanti l'om pensare; 8
ma chi si move ben tardi si pente,
se d'altrui o da sé è consigliato
e ne' gran fatti non vi sia corente, 11
che˙llo diritto senno sie blasmato.
Però n'ag<g>iate cura, voi valente,
ch'onor richiere lo bon costumato. 14
Però se carta impetro,
per Dio or intendete:
se con voi è san Pe<t>ro,
al suo detto credete. 18
62
(V 601)
Non dico sia fallo, chi 'l suo difende
o chi del dritto fa bona posanza;
ché la ragion sentenz'a dritto atende,
e 'n ciò conven che l'omo ag<g>ia speranza; 4
e dimostrar franchigia, chi 'l contende,
misurato di senno co leanza.
Que<st'è> il valor che lo valente prende:
ma non conven si gitti in disperanza 8
e scorra per ardor di niquitate
e facc<i>a torto di quel c'ha ragione:
ch'io l'odo blasimar per le fïate; 11
ché 'l vano assalto face il parpaglione
bassare a lume per la chiaritate;
così divien di quell'openïone. 14
63
(V 602)
Com' forte vita e dolorosa, lasso,
pate chi è 'n altrui forza e balia!
ché tutto suo pensier ritorna in asso
e face mille morti notte e dia: 4
per me 'l dico, che sono a simil passo,
fedele schiavo in altrui segnoria,
sì ch'io la morte chero ad ogne passo,
e s'io l'avesse, so che 'l me' saria. 8
Chi segnoreg<g>ia no˙ll'auso nomare,
ché più viltà saria di me ancora:
ned io sofrir non posso né cessare. 11
A Dio piace che 'l mio segnor labora,
ed io non credo possasi salvare
chi ha ciò ch'io, così ne foss'io fora! 14
Tant'ho dis<a>ventura,
credo per mio pecato,
che la divina altura
verà per me spietato. 18
CONTRASTI CON MADONNA
PRIMA TENZONE CON MADONNA
64
(V 722)
1
<MESSERE>
Madonna, perch'avegna novitate
in opera od in vista ed in sembianza,
non cangio il cor da vostra fedaltate
ma fac<c>iol per a<ve>re più inoranza: 4
ché sempre porto in cor vostra bieltate
ed i˙null'altra metto mia speranza,
ma ne rafino meglio in volontate
quanto de l'altre più prendo acontanza: 8
ché voi siete del mio cor tramontana
ché non si muta da voi la mia vita
e voi amando la mente mi sana: 11
ed èmi sì vostra bieltà gradita,
che mai non parto, sì mi par sovrana,
ma corro a ciò com' ferro a calamita. 14
65
(V 723)
2
<MADONNA>
Vostra merzé, messere, se m'amate,
ch'i' amo voi a tutta mia possanza
ed ag<g>io amato, e so che lo pensate,
e di questo son certa per leanza; 4
ma or convien che voi da ciò mutiate
la mente e 'l core e la vostra speranza,
e d'altra donna ag<g>iate libertate
ed ella in voi verace disïanza: 8
e convien che sia amor sanza partire.
Ed io non me ne doglio˙nulla guisa
e no lo conto vostro lo fallire: 11
ma nostra gioia convien che sia div<i>sa,
ma non da la mia parte lo disire
del diletto laond'i' era presa. 14
66
(V 724)
3
<MESSERE>
Madonna, i'ag<g>io audito sovent'ore
che nulla cosa dipartir poria
uno perfetto ed incarnato amore,
né la sua gioia mettere in obria. 4
Ed io, che v'ag<g>io AMato a fedel core
ed amo, bella, più ch'altra che sia,
da che potreb<b>e nascer questo erore
ch'io mutasse da voi la spene mia? 8
Non già per cosa ch'avenir potesse:
ché d'ogni bella aprendo asempro e miro,
para di voi non veg<g>io al mio parere: 11
però non credo d'altra mai prendesse;
e perciò non gitatene sospiro,
ché da voi non poria cangiar volere. 14
67
<V 725>
4
<MADONNA>
Messere, omo vol cosa talfïata
che non n'è la voglienza da laudare,
ma tra la gente n'è forte blasmata,
e dipo il biasmo non si può amendare: 4
onde la nostra gioia è tanto stata
che la potemo ormai far riposare
e fa˙ragion che mai non fosse stata
se non di bei sembianti con guardare; 8
ch'ormai avete donna, ed io segnore:
nonn-è più degna cosa di volere
intra noi due amar di folle amore 11
ma di cortes'e puro, e di piacere.
Ma cosa che tornasse a disinore
non vo' che mai pensiate possedere. 14
68
(V 726)
5
<MESSERE>
Madonna, s'io credesse veramente
ciò che voi dite, meco ragionando
che fosse verità veracemente
i' credo ch'io m'aucideria, pensando 4
che voi da me cangiaste core o mente
o 'l fino amor da voi gisse calando:
i' partiria da donna e d'altra gente
e gir del mondo non voria parlando. 8
Ma, perché mi 'l diciate, no lo creo
e però non m'i<n>spero per lo dire,
ma voglio più davanti confortare. 11
E se volete, parta il voler meo
di prender donna che mi tegn'a sire
inanti ch'io perdesse il vostro amare. 14
69
(V 727)
6
<MADONNA>
E' no mi piace, sire, la partenza
da vostra fina donna ed amorosa
ma piacemi le stiate ad ubidenza
sì come buon segnor de' far a sposa- 4
e ciò che vole sia vostra voglienza,
e la non-volontà vi sia noiosa;
e di questo mi fate gran pracenza,
e s'altro fosse, ne saria cruc<c>iosa. 8
Ma dipartiamo il vano intendimento
ch'è stato fra noi due aoperando,
che si congiunse di carnal talento: 11
la vostra donna sempre gite amando
<ed io lo mio segnore a piacimento>
e dolzi motti tra voi due parlando. 14
70
<V 728>
7
<MESSERE>
Madonna, or veg<g>io che poco vi cale
di me, che vostro servo sono stato:
sì diletate forte lo mio male
come nemico fossevi colpato. 4
Ché la mia vita sanza voi non vale:
dunque, se mi fallite, son passato
di questo mondo, 've gio' son mortale:
da poi che piace a voi, so˙ne invogliato. 8
Ma avanti ch'io di donna m'apigliasse,
savete, donna, ch'io v'adimandai
se 'l vostro amore per ciò mi fallasse; 11
diceste: «Cresceràne più che mai»
e di quella credenza non dottasse:
presi dunque consiglio de' miei guai. 14
71
(V 729)
8
<MADONNA>
Io v'ag<g>io amato, sire, e voglio amare
ed unque non cangiai di ciò talento
e per inanzi no lo credo fare,
né di ciò nonn-ag<g>iate pensamento: 4
ché più mi sa di buon vostro parlare
che d'alcuno altro avere servimento.
Da che mi piace deg<g>iasi posare
lo frutto de lo vostro piagimento, 8
e' non vo' che pensiate ch'io diletti
vostro travaglio o pena i˙nulla guisa
né disperiate già per li miei detti, 11
né ch'io facc<i>a da voi final divisa:
ma vo' che 'l vostro core si rassetti
d'amare la donna che avete prisa. 14
72
(V 730)
9
<MESSERE>
Madonna, io l'amerag<g>io sag<g>iamente
in tutto ciò ch'a donna si convene,
e servirò a˙llei gichitamente
di quel piacere onde l'amor mantene: 4
sì ch'ella, credo, mi terà a servente
sì come cosa ch'assai l'apertene;
ma non ch'io cangi mio core né mente
dal vostro amor, che mi saria gran pene. 8
Ma vo' di lei semana e mesi fare,
e di voi Pasqua e giorno d'alegranza
come la gioia del mondo sanza pare. 11
E di questo mi date sicuranza,
madonna, ond'io mi possa rallegrare
ed in voi sempre aver buona speranza. 14
73
(V 731)
10
<MADONNA>
In un regno convenesi un segnore,
e se più ve n'avesse, è disnorato,
secondo ch'ag<g>io udito sovente ore;
ed è da' savi lungo asempro dato 4
che quelli ch'ama e serv'è d'amore
da lo propinquo ch'ama sia amato,
e se per altro muta mente o core
dipartesi da l'amoroso usato. 8
Adunque, sire, non si converia
che voi aveste donna disposata
e manteneste amica in segnoria; 11
ma si conven che la sposa si' amata
e l'opera di noi messa 'n obria
e<d> amistà cortese rafermata. 14
74
(V 732)
11
<MESSERE>
Ahimè lasso dolente, che farag<g>io,
madonna, poi la mia morte vi piace,
e talentate ch'io viva ad oltrag *g>io
di me e de lo vostro cor verace, 4
e quanto più vi fo fedele omag<g>io
di mia preghera, tanto più vi spiace?
Non si rimembra lo vostro corag<g>io
la pena e lo travaglio che mi face, 8
dicendo ch'io diparta lo mio core
dal vostro amor, ch 'n vita mi mantene,
e segua d'altra per aver dolore? 11
Ma senza voi nesuna gioia mi vene:
voi siete quella cui son servidore,
onde rinasce e surge lo mi' bene. 14
75
(V 733)
12
<MADONNA>
Io son certa, messer, che voi m'amaste
di pura ed incarnata benvoglienza,
e sovra tutte cose disïaste
a me servire e stare ad ubidenza: 4
ed io amai voi, e del mio amar pigliaste
in tutto ciò che fu vostra plagenza,
e nulla˙cosa, credo, riserbaste
ch'io no la desse 'n la vostra potenza. 8
Ed or ch'avete d'altra segnoria,
non mi dispiace certo, ma talenta,
ché 'l vostro onor n'acresce tuttavia: 11
ma lo mio cor non par che m'aconsenta
ch'io v'ami più per nulla villania:
di quel ch'è suto non vuol ch'io mi penta. 14
76
(V 734)
13
<MESSERE>
Madonna, or provedete ad una cosa,
ché lungiamente l'ag<g>io udito dire,
che buono amor non fu néd essere osa
s'unque già mai da˙llui na<c>que partire: 4
onde, se voi di me foste amorosa
ed io di voi, e presine disire,
greve pena con morte dolorosa
volete <a> quella gioia convenire? 8
Ch'al primo ch'altra donna disposasse,
richiesine primier vostra lecenza;
dissi che 'l vostro cor, bella, pensasse: 11
mostraste che non vi fosse a spiagenza;
parve perciò lo mio s'asicurasse:
però, s'io pec<c>o, fue vostra fallenza. 14
77
(V 735)
14
<MADONNA>
Io non dico, messer, che voi pechiate
per vostra donna amare e riverire,
né v'amonisco che da me partiate
lo vostro amor, ma solo lo disire 4
del frutto, che più aver no lo pensate
perch'io fallar più voglia a lo mio sir
né voi a vostra donna˙lealtate:
ma buono amor cortes'è da gradire. 8
E tanto v'ho d'amarvi intendimento
che d'altro non mi piace es<s>ere amata
se non dal vostro dolze piacimento; 11
e poria esser ch'alcuna fïata
il nostro amore avria congiungimento
secondo nostra amanza ricelata. 14
78
(V 736)
15
<MESSERE>
Grazze e merzé, madonna, sempre sia
al vostro dolze ed amoroso core,
c'ha fatta rallegrar la mente mia
ch'era montata in sì fero dolore. 4
Or m'ha chiarito vostra cortesia
di quella cosa ond'io era 'n erore:
voglio ubidir la vostra segnoria
di quanto piace e m'adomanda amore, 8
e vo' celare e <di> dir ritenere
quanto disia e vuole vostra mente,
fin che vi piace ch'io deg<g>ia tacere, 11
e rinovarmi a voi, donna, servente,
ché mai non credo per altra valere
se no, madonna, per voi solamente. 18
SECONDA TENZONE CON MADONNA
79
<V 737>
1
<MESSERE>
Gentil mia gioia, in cui mess'ho mia 'ntenza,
in cui regna bieltà e cortesia,
ché sovr'ogne altra val vostra valenza,
e più mi par ch'ag<g>iate segnoria, 4
onde s'alegra mi' core ed agenza
pensando ch'i' vostro servente sia,
s'io dotto di veder vostra presenza,
verace amor nonn-ho messo 'n obria; 8
ma più che mai, fedel vi so' ubidente
di quanto più avesse in me valore,
che 'l fino amor – di ciò mi fa vogliente: 11
avegna che avete altro segnore,
per temenza ch'a voi non sia spiacente,
io son temente – più di far sentore 14
80
(V 738)
2
<MADONNA>
Dolze meo sire, assai m'è gran placenza
pensando ch'ed i' v'ag<g>ia in mi' balia,
e d'altro che di voi 'l meo cor non penza:
alegra son s'eo vi veg<g>io la dia; 4
però non vi sia noia né 'ncrescenza
come solete o più seguir la via,
e no lasciate perch'altr' a temenza
mi tegna in baglia ed ag<g>ia in segnoria: 8
ché non è cosa ond'io sia più vogliente
che con vo' solo conversar d'amore,
prender savore – ch'a voi sia piagente: 11
però ne prego voi e vostro core
che voi deg<g>iate a me venir sovente
come d'i<m>primamente – servidore. 14
TERZA TENZONE CON MADONNA
81
(V 739)
1
<MESSERE>
Assai aggio celato e ricoverto
madonna, il mio talento dimostrare,
e per temenza me ne son soferto
non vostro cor facessene gravare: 4
ma sì forte mi stringe e dole certo
ch'io no lo posso, lasso, più celare
ch'io no lo dica a voi davanti aperto:
per Dio vi piaccia al fallo perdonare; 8
ché sì mi stringe e mi combatte amore
che, poi ch'io voglia, no˙l posso tacere.
Però vi chero, come servidore, 11
che mi doniate, bella, uno piacere:
cioè tanta arditanza nel mio core
che vi possa contar lo suo volere. 14
82
(V 740)
2
<MADONNA>
Se ricelato lungo tempo siete,
sire, di non mostrar vostro talento,
s'è contro a mio onor, certo facete
sì come saggio c'ha buon sentimento: 4
chi non teme nonn-ama, ben savete,
ond'è temenza d'amor fermamento:
però credo che ciò che mi dicete
vegna da fino amor lo nascimento: 8
e perciò vostro dono adimandato
dòllovi da mia parte volontieri
quando aggia tempo e loco non blasmato: 11
e che guardiate de li mai parlieri,
che sovent'ore d'amore inarrato
procac<c>iansi di dar tormenti feri. 14
83
(V 741)
3
<MESSERE>
Io non posso, madonna, ritenere,
quando ci passo, ched io non vi miri,
ché 'l cor mi batte ed ha tanto volere
che fa bagnare gli oc<c>hi di sospiri; 4
s'io no gli 'nalzo a voi, bella, vedere,
ogni mio membro par ch'a doglia tiri;
e piangono con tanto dispiacere
che ciascuno ver' l'altro par s'adiri; 8
e catun pare spirito incarnato
con intelletto che meco favelli
e dica: «Guarda 'l viso dilicato». 11
Alor mi pare che 'l cor mi tempelli:
riguardo là ove siete in quello lato,
de' mai parlier' dottando sempre d'elli. 14
QUARTA TENZONE CON MADONNA
84
(V 742)
1
<MESSERE>
A guisa di temente incominzai
vostra amorosa cera riguardando,
madonna, tanto ch'io m'inamorai
ond'io son preso poi perseverando: 4
l'asempro de la tigra non guardai,
ca ne lo speglio mira trapassando,
ristà alquanto, ubria li suoi guai;
lo cacc<i>atore intanto va fugando, 8
e scampa per ingegno e maestria
ed a la tigra lascia il mal doglioso:
onde possiede quello che disia. 11
Voi siete il cacc<i>atore viguroso,
la tigra è amore, e io son la follia
che vo cercando il mal ch'è periglioso. 14
85
(V 743)
2
<MADONNA>
Foll'è chi follemente si procacc<i>a
e chi pensiero mette in suo danag<g>io,
e se ben sede, s'elli imprende cacc<i>a
la qual non crede giungere a passag<g>io; 4
e' perde quanto <'s>impronta ed avacc<i>a
e de la spene nonn-ha segnorag<g>io;
per te lo dico: poi se' tratto i˙llacc<i>a
per un guardar, dimora al suo servag<g>io, 8
ché non facesti come sag<g>io amante
che pone spene i˙loco d'iguaglianza
ed ivi impronta quanto puote avante; 11
ma tu non seguitasti quella usanza,
volesti in grande altura esser posante:
ragion'è che ne senti malenanza. 14
86
(V 744)
3
<MESSERE>
Madonna, amor non chere gentilezza
né grande massa ch'omo ag<g>ia d'avere,
ma ponesi colà dov'ha bellezza:
in basso e 'n alto segue lo piacere; 4
e nonn-ischifa d'om sua picolezza,
però ch'è ne lo cor lo suo podere:
ché tal di for non par, c'ha 'n sé franchezza
largo, cortes' e pien di buon volere. 8
E veggio, cui ventura vol atare,
che 'n breve tempo va 'n alto gioioso
se sape il poco c'ha moltipricare: 11
ché d'agua veg<g>io il foco vigoroso,
ed odo che contro a natura pare:
così poria avenir, s'io son voglioso. 14
87
(V 745)
4
<MADONNA>
La voglia c'hai non ven di sag<g>io loco
ché foll'è chi s'impronta di volere
l'altera cosa sottoporre al poco
ed in sua propietà ferma tenere: 4
ché chi non dole non sa che sia gioco,
ma chi dispiace sente lo piacere:
chi pur guardasse e non tocasse il foco
non crederia potessegli nocere. 8
Onde tu, che guardando inamorasti,
prendesti il foco 'nanti a lo sprendore:
se 'ncendi è ben ragion, ché non pensasti; 11
s'io sono amanza d'altero valore
e tu se' basso, male t'impigliasti
credendome conquider per amore. 14
88
(V 746)
5
<MESSERE>
Madonna, al primo fui ben conoscente
ca degna cosa a me già non saria
ch'io di parag<g>io amar fosse credente
o di voi fermamente aver balìa: 4
ma per servire ed essere ubidente
gichitamente a vostra segnoria,
credetti mi teneste per servente
e credo ancor per vostra cortesia. 8
S'io fe' follia, Amor mi ci codusse,
e non son io lo primo 'namorato
a cui Amor le suo vertute adusse. 11
Là ov'è altezza e 'l pregio sì locato,
non pò durar, se pietà no l condusse:
io per merzé poria esser campato. 14
89
(V 747)
6
<MADONNA>
Non mi bisogna né talenta tanto
lo tuo mestiere, ch'io ne sia vogliosa
che per cherer merzé t'acolga acanto,
ond'io fra l'altre fosse vergognosa; 4
non credo che di me ti doni vanto
fra gli altri ch'io di te fosse amorosa,
né che di mio piacer possi far manto
di gioia che ti fosse talentosa, 8
ché quelli ch'ama non vol disinore
di quella parte ov'ha lo 'ntendimento,
ma sempre si procac<ci>a de l'onore: 11
onde lo tuo è vano intendimento,
credendo tu avermi per amore
ed arivarmi a tanto abassamento. 14
90
(V 748)
7
<MESSERE>
Madonna, i' ag<g>io audito spessamente,
chi serve un basso, ch'ène più laudato
che s'e' servisse un alt<er>o, potente,
di gran valore, aposto in alto lato: 4
ché de l'altero dicene la gente
che 'l fa perché ne sia tosto cangiato
over perché di lui siane temente,
sì che ridotta del suo magno stato; 8
ma chi socorre un basso bisognoso
aquista lui a servo ed hanne onore,
e la gente lo tien più grazïoso: 11
ch'i' ag<g>io udito dicer sovente ore:
megli'è far bene a un pover vergognoso,
ch'a quelli che lo chere per ogne ore. 14
91
(V 749)
8
<MADONNA>
E' son servigi, ch'è ben degna cosa
che 'l bisognoso siane proveduto;
chi per Dio chiere ed ha lingua pietosa
alegramente deve essere uduto; 4
e gentil c'ha sua vita bisognosa,
chi pote li dovria donare aiuto:
ma la tua chesta è folle ed orgogliosa,
pensando ciò che chiedere ha' voluto. 8
E fo˙mi maraviglia ch'amor sia
sì dibasato, che regni in tuo core,
che dice om ch'ave tanta gentilia; 11
ed e' sostene in sé tanto follore
che vuol che tu domandi segnoria,
per un tuo sguardo, di tut<t>o mio onore. 14
92
(V 750)
9
<MESSERE>
Il vostro onor non chero dibassando,
madonna, per mia volontà seguire,
ma solo per segnore l'adomando,
ed io come ubidente per servire; 4
ed altra cosa non vo disïando
che solamente voi, bella, ubidire,
ché fino amor mi prese, voi mirando,
sì ch'io non posso, poi voglia, partire. 8
Adunque mi conven, merzé cherendo
co le man' giunte a vostra segnoria,
sempre, valente donna, dimandare: 11
ch'io moro amando, voi, bella, veg<g>endo,
e del mio cor nonn-ag<g>io la balia,
ca voi l'avete, a me non vuol tornare. 14
93
(V 751)
10
<MADONNA>
Se del tuo core nonn-ha' segnoria,
dunque come lo mio poresti avere,
ché ciò che tu talenti contraria
a me, e di neient' eo ci ho volere? 4
Se quel che teni non hai in balia,
credi dunque l'altrui per forza avere?
Non certo, ché grande torto saria
ed unque a Dio già non dovria piacere. 8
Però ti parti di cotal voglienza,
ch'aquistar non ci puoi alcuna cosa,
ch'io dibassar non voglio mia valenza; 11
e tua forza nonn-è sì poderosa
ched io la dotti od ag<g>iane temenza,
né per amor già non ne son vogliosa. 14
94
(V 752)
11
<MESSERE>
Madonna, unque per forza non dimando
vostra gentil persona a segnorag<g>io,
ma per merzé tutora a voi chiamando,
ed io fedele sempre al vostro omag<g>io: 4
ca se l'amor mi prese riguardando,
io non posso quetar lo suo folag<g>io
che mise il core e me in vostro comando:
dunque, s'io pec<c>o, nonn-è mio l'oltrag<g>io, 8
ma solamente amor<e> ne 'ncolpate,
<però> che mi distringe a ciò volere
ed hami messo in vostra potestate. 11
Non vi talenta? Deg<g>iavi piacere
che lo mio core voi mi ridoniate:
forse mi rimarò di più cherere. 14
95
(V 580 e 753)
12
<MADONNA>
I' mi disdico ch'i' non ho tuo core,
e s'io l'avesse, io lo ti renderia;
ma poi no˙ll'ho, richerilo ad amore,
a cui lo desti per la tua follia; 4
e se mi se' oferto servidore,
io non ti voglio per mia villania;
ma quando fosse in servigio d'onore,
i' son certa ch'assai mi piaceria. 8
Ma tu mi cheri cosa ch'io non voglio,
e tu medesmo so ben che lo credi:
dunque l'amenda solo il disvolere. 11
Ed uno esempro dicere ti voglio
(se se' sentito, pensalo e provedi):
ch'esser non pò amor sanza piacere. 14
96
(V 581 e 754)
13
<MESSERE>
Madonna, a l'amor piace, ed i' 'l diletto,
disïanza d'amore fedelmente,
e dunque in disperanza non mi getto,
ch'io vist'ho d'una pietra solamente 4
cominciar ponte e venire ad affetto,
ed un voglioso basso esser potente:
ond'io medesmo gioia m'imprometto
né disperar già non mi vo' neiente; 8
ché quando piog<g>ia e 'l tempo è nuvoloso,
in poca d'ora veg<g>iolo schiarare
e divenire umìle l'adiroso. 11
Però non vo' partir da voi amare,
ch'amor lo vostro cor pò far pietoso
sì come ha messo il mio in disïare. 14
97
(V 582 e 755)
14
<MADONNA>
L'om pote in sé aver tal disïanza
ch'affanna tutto tempo e non v'aviene,
e foria me' s'avesse temperanza
al primo che giungesse ne le pene: 4
onde la tua mi par vana speranza
voler la cosa che non t'apertene,
ché, chi ha 'l torto, lo chieder perdonanza
i˙nulla guisa no˙lli si convene. 8
Ond'io non deg<g>io il mio segnor fallire
per nullo altr'apiacere o far a grato,
ma sempre mai lo suo onor seguire. 11
Se tu morissi, nonn-è mio il pecato,
ma è gran colpa del tuo folle ardire
che 'n sì ma]vagio loco t'ha arivato. 14
98
(V 583 e 756)
15
<MESSERE>
Madonna, io nonn-udivi dicer mai
che la merzé fallisse ad omo ancora:
ed io con cor la chiamo e la chiamai,
non me ne gitto in disperanza fora; 4
ché, se l'amor pecò ed i' pecai,
lo core è messo che sempre v'adora
cherendovi perdon sed io fallai,
ché pïetà so che con voi dimora: 8
ché˙llà dov'è bieltate e piacimento,
pregio ed onore e modo di savere
ben de' merzé trovarvi umìl talento. 11
Ond'io che v'amo di fedel volere
piac<c>iavi ch'io non mora in tal tormento
ch'io perda il corpo e l'arma e lo piacere. 14
99
(V 584 e 757)
16
<MADONNA>
Per sodisfar lo tuo folle ardimento
ti voglio alquanto dare di speranza,
non già perché mi piacc<i>a o sia 'n talento,
ma per quetar la tua gran malenanza: 4
e quel ch'io ti largisco ed aconsento
è ch'io ti dono alquanta d'intendanza,
ché far potresti ben tal portamento
che 'l tuo mistier mi seria in disïanza. 8
Però propensa a ciò che ti bisogna,
ché per mercé amor fura lo core
ed entravi sì come agua 'n ispugna: 11
ma chi si scovre, nonn-è detto amore,
ché face sì come quelli che sogna,
che crede posseder lo suo ricore. 14
QUINTA TENZONE CON MADONNA
100
(V 758)
1
<MESSERE>
Vostro piagente viso ed amoroso,
madonna, m'ha di sé sì 'namorato,
che giorno e notte son di ciò pensoso
e sì 'n travaglio, ch'io non trovo lato 4
ov'io di ciò trovar possa riposo,
se da voi, bella, non sono aiutato:
che mi facciate d'un piacer gioioso,
d'un bel sembiante che mi sia mostrato, 8
che vi piaccia tenermi a servidore,
umìle, sanza villania volere,
amando voi di cortese amore: 11
e questa vita più fiami a piacere,
che se del mondo fossene segnore:
credendo a ciò non senteria dolere. 14
101
(V 759)
2
<MADONNA>
Sì m'abelisce vostro parlamento
de l'adimando, sire, che facete,
che buonamente ci ag<g>io lo talento
in aservare quello che dicete; 4
ma solo d'una cosa ag<g>io pavento:
non sia vertate ciò che proferete
d'amor sanza villano intendimento:
ché, s'egli è vero, certo mi piacete. 8
E vogliovi tenere in amistate
in quanto piacc<i>a a voi che sia mio onore:
di ciò prendete da me sicurtate, 11
salvo che non vi sia villano amore;
e se vi fosse, sì ve ne cessate:
non diletate lo meo disinore. 14
102
(V 760)
3
<MESSERE>
Lo vostro disinore io no˙l diletto
e no lo dilettai al mio vivente;
e questo è verità, ben v'imprometto:
ché sempre de l'onore fui vogliente, 4
né quel volere già mai non dimetto,
ma sempre di servire son cherente
néd altra gioia mai più nonn-aspetto
ca sol di voi servire umilemente. 8
E questo in cortesïa vi domando,
madonna: ch'io sia vostro donicato
e nulla altra speranza vo cercando. 11
E di questo mi pare aver fallato,
sì alta chesta fare a voi parlando:
non poria per me esser meritato. 14
103
(V 761)
4
<MADONNA>
Assai mi piace, sire, tua acontanza
ed amola e disïo fortemente;
sì porgi lo tuo dir con gran pietanza,
che m'hai del tuo voler fatta vogliente: 4
e vo' che tu ne prende sicuranza
ch'io ti diletto ed amo per servente
ed amerag<g>io con pura leanza,
sol che tu guardi al biasmo de la gente: 8
ché sovente ore vanno indovinando
l'altrui talento, per noia donare
a quei che s'aman di verace amore; 11
quel che nonn-è vertà vanno parlando:
ond'io ti priego deg<g>eti guardare,
sì ch'io veg<g>ia avanzar lo tuo valore. 14
TENZONI
I
TENZONE CON MONTE E CON MAESTRO RINUCCINO
(104-108 d)
104
(V 633)
1
Di pic<c>iolo alber grande frutto atendo,
ed in bona speranza mi riposa
ch'io sono in guerra e pur pace contendo
e guerra far neiente m'è noiosa; 4
dal meo guerrero, colpo non difendo,
perch'io veg<g>io del pruno uiscir la rosa;
tant'è lo mio martoro ch'io m'arendo,
avegna che la guerra m'è gioiosa. 8
Però consiglio a voi, Monte, dimando,
s'amor per astio cresce i˙nulla guisa
o per pensare, o s'è servir megliore; 11
o se l'usare amor e co˙llui stando
guerra talora se ne fa divisa,
o quale aferma prencipale amore. 14
104 a
(V 634)
2
MONTE
Di quello frutto onde fai atendo,
se 'l conquidi per guerra, fai gran cosa,
però ch'amor egli <'n>d'ha per difendo,
ch'altrui dà 'l pruno ed a sé tien la rosa; 4
se tu ricevi il colpo, no riprendo,
cotant'è la via d'amor perigliosa;
soferir ti convien morte veg<g>endo,
e chi v'è preso ancora 'n essa posa; 8
e non ti vale, amico, fare arendo,
convien ti paia sua guerra gioiosa.
E tu m'ha' fatto de l'amor domando: 11
lo primo nascimento, chi ben visa,
è lo vedere, e quel concria amore;
ma 'l fermamento è lo piacere usando, 14
e non si ferma amore in altra guisa,
e questo move ad amare lo core. 16
104 b
(V 635)
3
MONTE
Questo saria, amico, it mio consiglio:
inver' l'amore star pur da la larga.
Non vo' ti facc<i>a di ciò maraviglio,
però che le sue pene a doppio varga; 4
di tutte l'altre fa mag<g>iore apiglio,
sol per un bene cento mal' ti targa;
voreb<b>e esser mastro più che volpiglio
a cui amor mostrasse sua via larga: 8
cioè di gioie, di che amore ripiglio:
tegnol<o> morto in cui amor si sparga.
Per tant'ha getosia ov'e' sormonta 11
e doglie e pene co' 'n un foco ac<c>eso:
così guernisce amore e dà pensiero.
E vo' tu credi questo per lo vero, 14
però che d'esti mali i' sono apreso:
non ab<b>ie voglia de l'amor far monta. 16
105
(V 636)
4
Se per onore a voi grazze rendesse,
porial ben far per ciò ch'i' veg<g>io e sento;
ma seria fallo, se lo ver tacesse:
eo lodo, se mia loda è crescimento. 4
Dotto ca non-intesa v'aprendesse
al mio domando far rispondimento:
se bene aviso, io creo che dicesse
s'amor crescea per poco d'astiamento, 8
o se gradire fa guerra guardare,
o fa montar – servente ver' segnore:
in questo tegno ciò ch'io domandai. 11
Pensate non v'inganni lo rimare,
ca l'amendare – dà poi bon atore:
di ciò <'n>d' amendo io non aric<c>o mai. 14
106
(V 637)
5
Bono sparver non prende sanza artiglio,
e chi ben cacc<i>a prender non si larga;
chi dona il cor per un levar di ciglio
è uno proverbio ch'usan quei da Barga; 4
quand'om per non far guerra è 'n gran periglio,
in gran bonac<ci>a i' non v<ò>i <st>are a
larga,
ca per tempesta l'u<l>timo consiglio
si de' serbare, e 'l senno in ben si sbarga. 8
Perzò chi trova no˙l si tegna ad onta
i-nulla guisa se fosse ripreso,
perch'ogn'om parla per lo suo pensero; 11
ché molti son che sentenz'ha<n> non conta
se non di con<in>ciar lor dire inceso:
aucel di buono ailar nonn-è lanero. 14
106 a
(V 638)
6
MONTE
A fare onor qual omo s'aprendesse,
lo suo pregio de' stare in montamento,
e non mi piace chi 'l fallo covrisse,
di tale guisa fora il fallimento. 4
A zo che 'I vostro detto ïo <'n>tendesse
di quale guisa era il nascimento,
eo non mi parto ch'io il ver non dicesse
di quel che chiuse il vostro finimento, 8
e non m'ingannò rima ch'io vedesse:
non sia ripreso sanza il falimento.
Ma or vi piace altro dimandare, 11
ché chiude il vostro detto in tal tenore,
che 'n tal sentenza ancor non mi fermai.
Pensando, sì divisato è l'amare: 14
per astio e per far guerra me è 'l
peg<g>iore:
gli altri amanti io non sentenzo mai. 16
106 b
(V 639)
7
MONTE
L'om poria prima cercar tutto il mondo
che 'l cuor d'un uomo a quello che s'atende:
se del suo affanno amore te n'ha mondo
e di sua gioia nel tutto t'aprende, 4
lo mio consiglio mettilo in perfondo,
ch'io ti mostrava quello ove me stende
per farti sag<g>io del suo greve pondo:
così di se medesmo l'omo ofende! 8
Da poi che de l'amor tu tieni 'l fondo,
tegnolo folle chi teco contende.
Ma tegno sia la mia gran maraviglia, 11
ché sofro de l'amore pur lo peg<g>io,
ca messo m'ha in due vie e tie˙mi fermo.
De lo detto proverbio assai fo schermo: 14
dunque, se per forza d 'amor mi reg<g>io,
fa torto qual amante mi ripiglia. 16
107
(V 640)
8
Omo . c auene . a bene . e po sauere
quant<o> . ai dir<e> chiaro . chiaro . jn tuo
cor<e> sag<g>io
como . Si uene . e mene . lo ciascire
<jn>canto . ch e suaro . l aro . per oltrag<g>io 4
como . n a pene . mene . e lo spiaciere
canto . cafaro . jnparo . a dur<e> passag<g>io
pomo . di pene . ene . cio e a dire
pianto . se paro . taro . gir<e> pur ag<g>io 8
<J> trouo chui facie . pacie . po che sente
partte jn male . quale . n_ propone
amor<e> m a preso . meso . pur a scolglio 11
vostro cor<e> faci e . e facie . me gaudente
le uostre cartte . jn artte . la ntenzone
se pur di riso . diuiso . m acolglio 14
108
(V 641 e 776)
9
Lo pensamento – fa salire amore
come lo fiato ch'ac<c>ende lo foco,
e l'usamento – li dà gran valore,
ché tene i˙rimembranza quello gioco; 4
adastiamento – il ben mette 'n erore
e fa più caro assai <lo> vile loco;
agradimento – fa piacer segnore
ed avanza ed adoppia tosto 'l poco. 8
Pensare, usare, astiar tiene <'n> membranza,
gradire astringe e guerra fa guardare,
e tutte vanno e per sé ciascheduna: 11
l'amore in tale guisa s'inavanza.
Omai dicete ciò ch'a voi ne pare,
ca 'l mio domando più gio' nonn-ha alcuna. 14
così sale l'amore e s'inavanza
ed io piglio quello che più mi pare:
servire a grado è me' di cosa alcuna. 17
108 a
(V 642)
10
MONTE
Del vino greco levat'ag<g>io
sag<g>io,
ma 'l parlare non ag<g>io ancora conto:
però risposta, amico, non farag<g>io
perché di grande altura fatt'hai smonto, 4
ché rinovato m'hai novel linguag<g>io;
ben ti puoi rimaner di tale sconto;
s'è onor caduto, ond'io t'avea per
sag<g>io?
Ché mi credea il tu' dire avesse monto; 8
e 'l tuo dimando eo per nulla ag<g>io:
ne lo fenire perdi nel buon punto,
ché lasci il pieno ed hai presa la crosta: 11
così hai porto il tuo parlare invano
di ciò ch'a lo dirieto mi mandasti,
ca di nulla sentenza non usasti. 14
Non vidi mai così detto <i>strano:
divisata coverta fatt'ha' rosta. 16
108 b
(V 645)
11
MAESTRO RINUCCINO
Tu che di guerra colpo nonn-atendi
e vivi pur ad amorosa spene,
questo consiglio, se ti piace, intendi,
ch'ad ogni dritto amante si convene: 4
lo male e 'l ben con ubidenza prendi,
piacere e dispiacere, e noia e pene,
e pur con soferenza ti difendi.
Lo scudo leva quando il colpo vene, 8
ché contro a fino amor non val difesa
né guernigione alcuna né fortezza,
ca˙ssuoi colpi non hanno provedenza: 11
però se l'amorosa via hai presa,
l'umilitate ti porà 'n altezza
ed averai d'amor dritta sentenza.
108 c
(V 644)
12
MAESTRO RINUCCINO
Se 'l ner non fosse, il bianco non saria,
né 'l ben per mal non perde benenanza;
ma ciò che˙ll'uno a l'altro contraria
ciascun ne cresce in forza per usanza. 4
S'ombra non fosse, il sol no luceria,
né di splendor non avriano acordanza;
dunque i contradi tegnon questa via:
ch'apresso posti cresce lor baldanza. 8
Perciò l'amor piacere e noia porta,
ca si nodrisce e ferma in piacimento,
ma, se di noia s'ac<c>ende, più gradisce: 11
adunqua vedi pe˙ragione acorta
perché 'n amore fanno acordamento
piacere e noia, e l'un l'altro seguisce. 14
108 d
(V 643)
13
MAESTRO RINUCCINO
Amore ha nascimento e fiore e foglia,
poi ven lo frutto ch'è lungo aspetato;
piacer gli dà esenza, fior è in doglia
ed i˙noiosi affanni poi ch'è nato;
con guerra pace par che 'n esso acoglia,
e 'l mezzo da la fine è varïato:
perzò chi vive 'n amorosa voglia
di due contrari veste per usato.
Amor con pace vene e cresce in guerra,
come per agua fred<d>a monta foco;
ma l'amorosa guerra vuol misura:
dunque, se la mia mente non <è 'n> erra
amor di guereg<g>iare ha tempo e loco,
ma in piacere ritorna per natura.
TENZONE CON PACINO
DI SER FILIPPO ANGIULIERI
(109-113)
109
(V 670)
1
L'alta discrezïone e la valenza
di voi valente facemi voglioso,
avegna ch'io coninzi con temenza
ca non vi paia il mio cheder noioso: 4
ma uso è al savio che spande semenza
nel folle, perch'avegna argomentoso;
ed io com'altri sono a differenza,
udendo dire all'om, quand'è amoroso: 8
«Ahi Deo d'amor, merzé ag<g>e e pietate!»;
de le suo pene ciascun si richiama,
ac<c>ertando che Dio l'amore sia. 11
Ed io ve n'adimando veritate,
s'egli è o no così como si chiama,
ché la certezza in ciò saver voria. 14
109 a
(V 671)
2
PACINO
Cortesemente fate proferenza
del vostro dir piacente ed amoroso,
ond'io m'alegro, sì forte m'agenza:
ché fortemente son stato pensoso 4
ed è verace e certa mia credenza,
ed i˙neiente non ne son dottoso,
che 'n voi regna savere e canoscenza:
però alquanto son maraviglioso 8
de lo dimando, amico, che mi fate,
poi tra la gente n'è aperta fama
che Dio d'amore nonn-ha segnoria; 11
ed io vi dico la mia volontate,
che quate amante più coralmente ama
né dicer ciò né creder non dovria. 14
110
(V 672)
3
Vostro consiglio ch'audo asai m'abella,
ché so che 'n fede lo m'avete dato,
secondo ch'io vi dissi la novella,
per consigliarmi con sotil pensato: 4
ma la sentenza, nonn-ispero 'n ella,
perch'io ridotto non voi siate errato;
come 'l nochier che smarisce la stella
navica con temenza al tempestato, 8
così credo che l'erro simigliante
<in voi> sia nato per ismarimento
d'altro pensiero che vi stringe avante: 11
ch'amore è Dio, e Dio è fermamento:
dunque chi crede sue vertute tante,
chi chiama Dio d'amor, non ha pavento. 14
110 a
(V 673)
4
PACINO
Ben trae a segno ta vostra marella
com'omo ch'altre volte n'è usato;
tutora aprende chi con voi favella,
sì siete di parlare amaestrato; 4
se 'l vero usare da voi si rubella,
so che 'l soperchio d'amor v'ha ingannato:
ché quale Dio d'amor crede od apella
parmi da veritate svarïato. 8
E 'n ciò non erro, ma erra l'amante,
qual è quelli ched ag<g>ia intendimento
ca Dio d'amore sia segnore stante 11
o che sua forza ag<g>ia valimento:
ca˙ss'elli fosse Dio vero posante,
i˙llui nonn-averebbe fallimento. 14
111
(V 674)
5
Quando l'arciere avisa suo guardare,
fa˙llo per ben colpir dirittamente,
poi, s'elli falla, nonn-è da laudare,
se 'l colpo nonn-ag<g>iunge veramente; 4
così del sag<g>io per troppo parlare
aven ch'a dritto nonn-è conoscente,
poi si ritorna il senno a non-pregiare,
sì ch'al di poi <dis>parlane la gente. 8
Così, valente, lo pensier vi fura
d'amor sua segnoria e 'ntendimento,
ch'amore e Dio è tutta una figura: 11
se ciò non fosse, non fia salvamento;
amar convien, chi valentia vol pura.
Dunque d'amore Dio fue nascimento. 14
111 a
(V 675)
6
PACINO
L'arcier ch'avisa per più dritto trare
i' l<o> ne lodo assai ne la mia mente:
poi che pur falli, nonn-è da blasmare
come quei che˙ss'afretta per neiente; 4
e pe˙ragione de' omo sperare
che quelli che 'n trarre è troppo corente
più tosto falla là ove crede dare:
credo ch'avene voi similemente. 8
Tutto che siate di sag<g>ia natura,
errar vi face lo non-pensamento
che Dio verace ha sua propia statura 11
ed è di ciascun bene il compimento;
ma già del vano amor non mette cura,
ca più disama ch'ami per un cento. 14
112
(V 676)
7
Assai v'ho detto e dico tuttavia
<se m'intendete non sacc<i>o neiente>
ch'amore è Dio e Dio è la sua via:
e voi ve ne mostrate discredente. 4
Amore insegna altrui la cortesia,
e chi non vale sì lo fa valente;
da sé diparte orgoglio e villania
chi è donato a fino amor servente. 8
Dunqu'è segnor con tanta libertate
che˙ll'omo segnoreg<g>ia e dona pregio;
sì potem dire: i˙llui è deitate. 11
Lo confessare a me no mi è dispregio
ché quegli è sag<g>io ch'usa veritate:
or provedete ben ciò ch'è valegio. 14
112 a
(V 677)
8
PACINO
Io so ben certo che si può trovare
in deïtà amor verace e vero;
però che regna i˙lLui sanza mancare
perfettamente, secondo ch'i' spero: 4
ma già con Dïo nonn-ave che fare
quel vano amore ch'è 'l vostro penzero
ch'ag<g>iunger non si può sanza pecare
perch'è volere di carnal mestero. 8
E dunque, com'è vostro intendimento
che regni in deïtà simile amore
ch'è generato di carnal talento? 11
Tacetelo di dir per vostro aonore,
ch'al vostro pregio è gran dibassamento
trovarsi in voi sì aperto erore. 14
Partire voglio ormai di questo gioco,
poi ch'io v'ho detto assai del mio parere
e 'nteso ag<g>io da voi il vostro volere:
la verità rimagnasi in su' loco. 18
113
(V 678)
9
Da che savete, amico, indivinare
ciò ched io penso dentro dal mio core
tutto m'avete fatto trapensare
cad io non sacc<i>a, o voi ne siete fore: 4
ché vanità già non pote regnare
in quella parte ov'abita l'amore:
misura e senno è cosa da pregiare,
orgoglio e villania rendengli ardore. 8
Ché 'l Padre mise prima amor nel Figlio
e poi gli diede deità amando:
«Di vanità, gli disse, non far piglio», 11
e quei seguio perfetto il suo comando.
E 'l Guagnelista dicene consiglio
ch'amore e Dio sono 'n u˙loco stando. 14
Rispondo a ritornello
ch'è 'n su' logo ragione:
la sentenza no apello
ma vad'a so<r>gozzone. 18
TENZONE CON MONTE ANDREA
(114-114 a)
114
(V 690)
1
Ben hai memora e scïenza divina
a tale corso, amico, se' coretto:
ché molto è da laudare tua dotrina
tal argomento porti fra lo petto: 4
ché vòi prender d'amor la via latina
e cessar morte verso suo progetto:
chi non è nato a simile distina
si par che svari di cotale detto, 8
ch'al primo nascimento como vene
di pianto con doglienza fa sentore
e di presso atend'omo alegrare: 11
la cara cosa aquistasi con pene,
se 'ntra le care si può dire amore:
dunqu'è valenza sua pena portare. 14
114 a
(V 691)
2
MONTE
La vostra lauda è 'nver' me tanto fina
ch'a voi grazze mai render non dimetto;
coreg<g>e 'l meo labor pungente spina,
per che del vostro consiglio son netto: 4
ma 'l corpo e 'l core e l'arma mia tapina
in tutt'è fuor d'ogni verace affetto:
e cui distringe amore in questo inchina;
tener sua via non v'ha altro diletto. 8
Certo non credo sia mai più roina
ched è l'amore, cui ha ben distretto;
poi ch'e<lli è> nato, pur sormonta, e tene 11
gelosia, affanno e mortale dolore:
dal prencipio a la fine questo apare;
caro acatta chi 'n su tal punto vene: 14
fuor è di sé, e quanto vale onore
per degna cosa non sa giudicare. 16
IV
TENZONE CON MONTE ANDREA
<115 a-115>
115 a
(V 768)
1
MONTE
Sì come ciascun om può sua figura
veder, lo quale ne lo speglio smira,
similmente voria ca per natura
d'ogn'om, là ove sua opera tira, 4
o 'n bene o 'n male, si cernisse pura,
guardando in viso; poi saria fuor d'ira:
ché chi riprend e falso a dismisura,
esendo ciò, tosto se ne partira. 8
Da che 'l contradio pur nel secol dura,
vada in perfondo quanto il mondo gira:
cad io non ci conosco più rimedio, 11
poi ch'astio e 'nvidïa ed orgoglio e male,
chi più v'afina, quegli è 'n maggior sedio;
montar si crede in segnoria reate. 14
Così fosse oggi ciò ched io concedio,
e 'l ciel tenesse la via altretale.
115
(V 769)
2
Come 'l fantin ca ne lo speglio smira
e vede a propietà la sua figura,
sì gli abelisce, di presente gira,
parte per quel veder da sé rancura; 4
vole pigliare, per trarersi d'ira,
non val neiente a contastar paura;
prende lo speglio e frangelo per ira:
alora adoppia più danno e arsura. 8
E ciò divien, ché 'l concedette Dio,
e rendé tutte cose in temporale,
e noi da˙lLui le prosediamo in fio. 11
Dunque chi vole contro ad animale
che fu ed è e fia, como di rio
sarà blasmato, rimprocciandol male. 14
V
TENZONE CON MONTE ANDREA
(116 a-116)
116 a
(V 770)
1
MONTE
Lo nomo ca per contradio si mostra
a dritta mostra, – secondo ch'i' odo
(vo' m'ac<c>ertir de la potenza vostra),
sed egli è in vostra – guida, tanto lodo. 4
In vanitate il folle spesso giostra:
soprendo giostra – eo di tale modo;
la generaz<ï>one umana nostra
natura 'nostra, – ché 'l folle fa nodo; 8
lega sé e turba co<me> mar a l'ostra:
poi tra' lo strale il sag<g>io ch'è
disnodo:
così ciascun conven che maestro ab<b>ia; 11
val poco lab<b>ia–di bie<l>tate
ch'ag<g>ia:
ch'ello non cag<g>ia, – ciò no l'amaestra.
Uno volere è 'n me che mo' m'adestra: 14
saver ch'adestra – fin pregio e lo
sag<g>ia.
Saver v'asag<g>ia – che di ciò mi
scab<b>ia. 16
116 b
(V 771)
2
MONTE
So<l> volontà mi porta s'io
folleg<g>io,
e poco senno, ché ne son dischesto,
ed ancor molto male ch'io posseg<g>io:
ma chi 'l senn' a<ve>, colui è richesto, 4
che per usanza amico tutor veg<g>io:
chi non sa si riduce a buon maesto,
ed io per me di tal voler mi reg<g>io:
ed aprendeami a voi di saver questo: 8
quel che sormonta e mantene in seg<g>io
fin pregio, e a ciò volere sì aresto.
D'amaestrarmi in ciò non v'è agradito, 11
lo qual mi credo sia sol per disdegno
pensando voi ch'i' sia nel tutto aunito:
ma chi posiede in sì alt<er>o regno 14
com' fate voi, secondo ch'ag<g>io audito,
no l de' celar, ma di rispondr'è degno. 16
116
(V 772)
3
Certo io vi dico in pura veritate
ch'io feci impiutamente la 'mbasciata
la qual mi deste, e dissigli in bontate
di quella chesta de l'altra fiata. 4
Mostrò talento di vostra amistate,
ma di risponder fatt'ha sua giornata;
donòvi pregio di gra˙richitate,
di gran saver ch'avete per usata, 8
ma 'l suo ricor tiene ancora amassato:
in anno in anno dona in temporale,
e tene e vole tutto suo trovato; 11
ma nominanza aver non vol corale;
quello che dice vol tener celato:
dotta che 'l vostro saver lo suo sale. 14
VI
TENZONE CON SER CIONE
(117-117 c)
117
(V 773)
1
Io vo sanza portare a chi mi porta,
e porto amore ed io non son portato;
non dico nulla ed ho la lingua acorta,
s'io dico nulla, sì son ripigliato; 4
ed ho il cor vivo e la persona morta,
e non son preso e trovomi legato;
anzi ch'io mova, grido e sto a la porta,
e non veg<g>endo, sono inamorato; 8
e son menato e sto tutora iloco,
e servo son d'amor veracemente,
e vo parlando con quei che mi mena; 11
e son ne l'aqua ed ardo tutto in foco,
e s'io guadagno, trovomi perdente:
ser Uguic<c>ion, vedete s'egli è pena. 14
117 a
(V 774)
2
SER CIONE
Al tempestoso mar lo buon conforto
conduce 'l marinaro a la speranza;
ché mante fiate è l'omo a rio porto
ché sbigotisce, e quest'è la perdanza; 4
<e> chi per lo pensiero è preso e morto,
la buona udienza donali alegranza:
per voi lo dico, dottori, ch'è torto
ch'a me non date in vostro dir baldanza. 8
Ché questo è 'l sag<g>io pregio ed
insegnato:
chi è 'n altura e 'nora suo minore
par che si mova da gentil corag<g>io; 11
e la leg<g>e lo mostra in suo ditato:
la cosa che non danna e fa valore,
nullo pensier vi de' esser salvag<g>io. 14
117 b
(V 775)
3
SER CIONE
Grazza ed alegrezza insiemormente
som<m>a di gra˙ricore ha 'n
potestate;
farne due parti, megtior veramente
non so qual sia <né> ch'ag<g>ia più
bontate: 4
ch'avere omo alegrezza in core e 'n mente
certo la tegno grande richitate,
ed essere ingrazzato infra la gente
molt'è gran cosa ed anche in dïetate. 8
In erro son di queste due vertute,
se son partute, – e lo prim'ho ratento:
e lo talento – avria esserne certo; 11
e le cu' lode son meglior' tenute
o son credute – più per sapimento,
dimandamento – fo, chi n'è più 'sperto. 14
117 c
(V 777)
4
SER CIONE
Consiglio bene chi si dà ad amare
<che> guardi prima a ciò che˙lli
s'avene,
e non s'adiri, prima che 'l penare
sormonti i˙llui, o biasimi le pene: 4
ché l'ira è folle per isconfortare,
e quegli è amante che doglia sostene:
per umilfà si può amore aquistare
co la mercé: unque altro non convene, 8
se non essere umìle e disïoso
ed astetar con molta dubitanza
e far piacer, chïunque lo domanda. 11
Così pot'omo divenir gioioso,
ch'amor nonn-è se non pur disianza:
da que' ch'è amato t'amador lo manda. 14
VII
TENZONE CON PACINO DI SER FILIPPO ANGIULIERI
(118-118 a)
118
(V 791)
1
Imparo – m'è pervenire a l'amore;
amor – mi pinge, sì ched io non paro;
imparo – getto, s'io penso l'amore;
amor – mi prende com'Alèna Paro. 4
S'aparo, – no ritegno, perch'amore
d'amor – nasce: s'i' ho be<n>, bene sparo.
Raparo – a la contrada là ov'è amore:
amor – mi scaccia, sì ch'io no v'aparo. 8
Vorei no amar – né poter dire: «i' amo»,
ch'Adamo – fu 'ngannato per amare;
me sono amare – tutte gioie, se amo; 11
com' pesce ad amo – od omo rotto a mare
d'amar è – la fortuna. Di cui amo
s'i' n'ho amo, – valente, che te˙n pare? 14
118 a
(V 792)
2
PACINO
Imparo – sempre condizion' d'amore;
d'amor – son più ched in vista non paro;
non paro – credo aver servo d'amore:
d'amore – amare eo pur sono for paro, 4
e paro – di color mi tene amore,
ch'amor – tormenta senza alcun riparo;
già paro – non fo contra de l'amore:
s'amor – mi colpa, pur lo scudo paro. 8
E pur amare – vo' quella cui amo,
ch'ad amo – m'ave sì preso l'amare:
più ch'altro amare – lei diletto ed amo. 11
Poi ched io amo – voi di bono amare,
d'amar – consiglio che 'mbochiate l'amo:
in camo – detto v'ho quel che mi pare. 14
VIII
TENZONE FRA MONTE E SER CIONE, SER BEROARDO,
FEDERIGO GUALTEROTTI, CHIARO, MESSER LAMBERTUCCIO FRESCOBALDI
(119 a-119)
119 a
(V 882)
1
MONTE
Se ci avesse alcuno segnor più campo
che speri di volere essere al campo
con que' c'ha 'l giglio ne l'azzurro campo,
quanto li piace e vuol prenda del campo 4
e là ove più li agrada tenda il campo
e lo fornisca auro più ch'agua c'ha 'n Po:
di sé né di sua gente non fia campo,
se non come contro a leone can pò. 8
Tal frutto rende e renderà suo campo,
chi sementa, perch'e' non dice: "i'
campo",
ma sempre ver' li suoi nemici ha cor so, 11
e già no stanca né riman nel corso:
lo ver cernisce, com' ciascuno è corso.
Palamidesse, ch'al Merlin dai corso, 14
s'altro ne speri che quello ch'or so,
cerniscilme, ché già non so l'ocorso. 16
119
(V 886)
2
Con adimanda magna scienza porta
m'avete, amico, per <i>scritta porta,
di quei che ne l'azzurro giglio porta:
venut'è al campo segnor che lo sporta, 4
ché lo profeta Merlin ne raporta;
vermiglio il campo, l'agulia i<n> su porta
ha d'oro que' c'ha aperta già la porta
e de la 'mpresa molto si diporta; 8
e dice che verà di qua da Po,
ed ancor più, ché ne dimostra po':
ver' lui nesuno contastar no pò. 11
Concede il Papa e l'altro non dispò:
per forza frange sì che Carlo po'
del campo poco tener per suo pò. 14
IX
TENZONE CON DANTE <DA MAIANO?>
<120 a-121>
120 a
1
DANTE
Tre pensier' aggio, onde mi vien pensare,
ed hovvi inctuso tutto 'l mio sapere;
e ciaschedun per sé mi dà penare,
communemente fannomi morere. 4
L'uno m'afferma pur ch'io deggia amare
la bella a cui donato aggio 'l volere;
ed io 'l consento, e no l voglio obliare,
ché non potria senz'ello gioia avere. 8
Negli altri due non so prender fidanza:
l'un meco ardisce e fammi coraggioso
ch'io d'amor<e> richieda la mi' amanza; 11
l'altro mantiene il cherir temoroso.
Ond'io ti prego, Chiaro, per tua orranza,
che mi consigli del men dubitoso. 14
120
2
Per ver'esperïenzia di parlare
sento ch'avete nello cor podere
di signoria d'amore desiare
e d'esser servo a donna con piacere; 4
per che le tre nomate cose, pare,
le due dottando, fannovi dolere:
ma ciò facendo vien da fermo amare,
ch'amor non fora bon senza temere. 8
Però consiglio vostra desïanza
metter avanti ciò, che, 'l cor voglioso
servendo, richiedesse vostr'amanza: 11
ché nulla for<a> di cor sì orgoglioso,
s'un suo servent'è pien d'umilïanza,
che 'l cor suo non fa<ce>sse piatoso. 14
121 a
3
DANTE
Già non m'agenza, Chiaro, il dimandare,
ma' che m'agenza amare e non cherere
ché nullo uom deve sua donna pregare
di cosa che può lei danno tenere, 4
ma desïoso nel desïo stare
d'ora d'amor, e in ciò mai permanere
ché lo desio fa l'uomo megliorare,
che 'l più malvagio isforza di valere; 8
e quel che viene in su la dilettanza
è di valer non mai sì desïoso:
perciò in cherir non fermo mia speranza. 11
Ciò prova augel che più canta amoroso:
s'i vien che compia la sua desïanza
sì <'n>d'è 'l cantar, che sembia altrui
noioso. 14
121
4
Se credi per beltate o per sapere
la donna ch'ami sia d'amor sì accesa
ch'ella ti dica 'sì' senza cherere,
di ciò ch'i' ho ditto mi puoi far ripresa; 4
e s'el ti piace pur star a vedere,
non faccio a ciò c'hai detto mai contesa;
ma era mia credenza fermo avere
ch'amassi, come gli altri, a buona attesa, 8
credendo, per mercé capere in essa
o per servire, che facessi tanto
che lei, cherendo, fussi d'aver degno: 11
ché buona donn'a Dio s'ène demessa,
l'amanza d'uom carnal è di tal planto;
a null'altra l'amor non è <'n> disdegno. 14
X
TENZONE CON DANTE DA MAIANO
<122 a-122>
122 a
1
DANTE DA MAIANO A DIVERSI COMPOSITORI
Provedi, saggio, ad esta visïone
e per mercé ne trai vera sentenza.
Dico: una donna di bella fazzone,
di cui el meo cor gradir molto s'agenza, 4
mi fe' d'una ghirlanda donagione,
verde, fronzuta, con bella accoglienza;
appresso mi trovai per vestigione
camicia di suo dosso, a mia parvenza. 8
Allor di tanto, amico, mi francai
che dolcemente presila abbracciare:
non si contese, ma ridea la bella. 11
Così ridendo, molto la baciai:
del più non dico, ché mi fe' giurare.
E morta, ch'è mia madre, era con elta. 14
122
2
Amico, proveduto ha mia intenzione
a ciò che mi narrasti per tua scienza:
saggia la mi porgesti per ragione,
ma non ne so ben trar vera sentenza. 4
Intanto che ti diè, mi par cagione
a lo tuo cor di g<i>oia e di plagenza;
prendesti, seguitando il parpiglione:
la spera per piacer non ha <'n> temenza. 8
Così facesti a lei per dolzi rai,
quando avisò col suo dolze mirare
che fu crarore <a> te più che di stella: 11
verrà di fatto, s'amor siguirai.
Di tua madre ti guarda da pensare,
ch'altra tua cosa s'avverrà con ella. 14
RIME DUBBIE E ATTRIBUZIONI
D. 1 a
1
Chi giudica lo pome ne lo fiore
e non sa di che àlbore s'è nato,
non sa che l'ape dinanti ha dolzore
e dietro porta l'ago avelenato, 4
né che lo foco ag<g>ia in sé catore
veg<g>endolo lucente ed ismerato.
ma se provato avesse lo suo ardore,
be˙lli paria del viso tracangiato. 8
Similemente quelli che 'mprimero
per sleal simiglianza disse ‘amore',
non seppe qual si fosse il compimento; 11
ma se provato avesse com'è fero
avreb<b>e detto che fosse amarore
ed ogni fior fosse sanza aulimento. 14
D. 1
(V 680)
2
Disidero lo pome ne lo fiore
<per>ché conosco l'àlbore ond'è nato;
nonn-ha semblanza d'ape fino amore,
non avelena l'omo 'namorato; 4
e nonn-ave lo foco in sé dolzore
come l'amor cu' l'hai asimigliato:
tu hai openïon di grand'erore,
sì come mostra l'asempro c'hai dato. 8
Chi nonn-ha de l'amore 'sperienza,
già de l'amore briga non si dea
e con fini amador' nonn-ag<g>ia intenza, 11
ché 'n tut<t>e parti il piato perderia
e non poria apellar de la sentenza,
se ne domandi Prïamo e Tisbia. 14
D. 2 a
(V 681)
3
Conosco il frutto e 'l fiore de l'amore
e saccio sua natura e dond'è nato
e posso giudicar lo pome e 'l fiore,
ché sono in tal natura naturato: 4
e saccio ben che amoroso dolzore
non nasce d'animale avelenato,
e dotcemente incende il suo calore:
per zo lo dico che˙ll'ag<g>io
provato. 8
Molt'è contrarïosa simiglianza
da quel che dolze rende sanz'amaro
a quel ca di ciascun'ha misticanza. 11
Acatta lo mercato molto caro
l'om che di mercatar nonn-ha intendanza,
ca per lo do<l>ze compera l'amaro. 14
D.2
(V 682)
4
Di penne di paone e d'altre assai
vistita, la corniglia a corte andau;
ma no lasciava già per ciò lo crai,
e, a riguardo, sempre cornigliau; 4
gli aucelli, che la sguàrdar, molto splai
de le lor penne, ch'essa li furau:
lo furto le ritorna scherne e guai,
ché ciascun di sua penna la spogliau. 8
Per te lo dico, novo canzonero,
che ti vesti le penne del Notaro
e vai furando lo detto stranero: 11
sì co' gli agei la corniglia spogliaro,
spoglieriati per falso menzonero,
se fosse vivo, Iacopo notaro. 14
D. 3
(V 358)
Non saccio a che coninzi lo meo dire,
di sì gran gioia face movimento,
ca per un cento de lo meo servire
ho ricevuto doppio pagamento; 4
a pena pote il mio cor soferire,
tanto gli abonda fino piacimento,
a dimostrare como il meo disire
ha di tutta alegrezza compimento. 8
E tanto inanzi dire non poria
quanto mi tegno sovrameritato,
membrando il giorno ch'io v'eb<b>i in balia 11
ed i' vi presi ciò che mi fu a grato,
abrac<c>iando e baciando, donna mia,
lo vostro chiaro viso inamorato. 14
D. 4
(V 359)
Non me ne maraviglio, donna fina,
se 'ntra l'alt<e>re mi parete il fiore,
o se ciascuna bieltate dichina
istando presso del vostro valore: 4
ca la stella ch'apare la matina
mi rasomiglia lo vostro clarore;
com' più vi sguardo, più mi <si> rafina
lo vostro dritto natural colore. 8
Ond'io credente sono, ogni fïata
ch'io bene aviso vostra claritate,
che voi non s<i>ate femina incarnata, 11
ma penso che divina maestate
a semiglianza d'angelo formata
ag<g>ia per certo la vostra bieltate. 14
D. 5
(V 360)
Donzella gaia e sag<g>ia e canoscente,
in cui dimora tutora ed avanza
bontà e senno e valore valente
e bieltà tanta, ch'io credo in certanza 4
che Dio co le suo mani propiamente
formasse voi d'angelica sembianza,
ché non si truova tra l'umana gente
bieltà nesuna a vostra somiglianza; 8
e qual è quella che più bella pare,
istando di voi presso (chi ciò vede,
mirabil cosa sembra), sì dispare. 11
Ond'io son tutto in <la> vostra merzede:
potendo vostro servo dimorare,
più paradiso lo mio cor non crede. 14
D. 6
(V 361)
Lo <mio> folle ardimento m'ha conquiso,
che mi tramise ad essere servente
di voi, avenente ed amoroso viso,
per cui sospiro e doglio spessamente. 4
Ubrïar non vi posso, ciò m'è aviso,
sì m'ha vostro bellor fatto ubidente:
così a voi mi son dato e dò, priso
per forza di bellezze veramente. 8
Ché similmente vostra gran bieltate
seguir mi face la folle natura
del parpaglione che fere lo foco, 11
ché vede i˙llui sì grande chiaritate,
che girando si mette 'n aventura,
ov'ha morire credendo aver gioco. 14
D. 7
(V 362)
Gentil e sag<g>ia donzella amorosa
in cui è tutto bono insegnamento,
la vostra cera angelica gioiosa
è som<m>a d'afinato compimento: 4
adunque ben è certo degna cosa,
da poi ch'avete ogn'altro valimento,
che ver' di me non siate disdegnosa:
mercede ag<g>iate de lo mio tormento, 8
sì ch'eo non pèra, dolze amore meo,
ché ne dibasseria lo vostro stato
in questo mondo ed ancora apo Deo: 11
e certo prender ve ne de' pecato,
ché saracino non son né giudeo,
ma vostro fedel servo dimorato. 14
D. 8
(V 363)
Qualunque donna ha pregio di bieltate
consiglio che da voi, bella, si guarde;
che non vegna a lo loco là ove siate,
ca se ci vene, non fia chi la sguarde. 4
Come candela ha pic<c>iola chiartate
a gra˙lumera, quando apresso l'arde,
così l'altre vi sono asomigliate:
però di starvi apresso son codarde. 8
Qualunque bella donna vi cortea
sa ben che non ha pregio là ove sete,
ma non si può tener che non vi vea: 11
le donne come gli omini ferite,
e voi medesma fer' e inamorea
la vostra cera, quando la vedete. 14
D. 9
(V 364)
Tanto sono temente e vergognoso
a tutte l'ore ch'io vi sto davanti,
che non dico laond'io son disioso
e non m'ardisco pur di far sembianti; 4
asai fiate mi movo corag<g>ioso
di dirvi, come dicon gli altri amanti:
poi ch'io son nanti a voi, viso amoroso,
li miei pensier' di parlar sono afranti. 8
Cotant'è la temenza che m'abonda
di voi, madonna, ch'io non vi dispiacc<i>a,
che mi ritegno e non dico neiente: 11
e lo tenere par che mi confonda,
ch'assai più temo la vostra minacc<i>a
che l'altrui ferita<te> duramente. 14
D. 10
1
S'i' fussi andanico e 'l cor di diamante
e di cuoio di balena il vestimento,
a non poder soffrir pene <co>tante
sì dovrïe giovar consumamento, 4
ché nonn-è al mondo cosa sì pesante
ch'i' no gli truovi contro amovimento;
ma non porrie contar né dire quante
si<en> pur le mie gran pene e˙llo tormento; 8
e però parto da˙cciò mia 'ntenzione,
ché˙ffar no ne porrie conto né dire
né per sembianti farne dimostranza: 11
ma˙sse ll'amor vi movesse piatanza,
volendo a˙mme lo core e li oc<c>hi avrire,
alquanto ve ne scuopre mia fazione. 14
D. 11
2
Dacché parlar non possovi celato,
cantando vi diraggio mio volere,
cherendovi merzé che vi sie grato
secondo mie gran pene provedere: 4
ché˙sson per voi in sì gravoso stato,
ch'apena posso vita sostenere;
piango, sospiro, doglio e sto infiammato
del vostro amor, che tanto m'è 'n piacere 8
ch'ogni altro c'ho ver' vo' mi par nïente,
cotant'è in vo' biltade e cunoscenza,
in tutte membra gaia ed avenente: 11
ché di Morgana avete la scïenza
e d'Elena bellezza al mio par<v>ente:
ben dimostrò Dio in voi la sua potenza. 14
D. 12
3
Sì come 'l sol che tra l'altura passa
e sempre alluma sua clarita spera
e 'nver' di noi giammai nïente abassa
ed è nel mondo de li occhi lumera; 4
così vo' siete d'ogni beltà massa
e di valor sovr'ogni donn'altera,
sì che di voi guardar nessun non cassa,
là dov'appare vostr'adorna cera. 8
Ed eo, lasso, guardando 'nnamorai,
ché mmi discese al cor vostra figura
per li occhi, come ven dal sol li rai 11
e sempre di piacer nodrisce e dura:
ond'eo d'amor non mi lamento mai
per pena ch'io ne senta o per rancura. 14
D. 13
4
Non credo al mondo più <gran> gioia sia
che fermamente per amore amare
ed acquistar di lui la signoria
e più d'ogni altra cosa disïare; 4
ond'i' che˙sson donato in sua balia
lo dico, perché verità mi pare;
però chi segue l'amorosa via
di lui pensando deggiasi allegrare: 8
ch'amore è gioia somma di <om> valente,
e chi d'amor non sente nulla vale
e quello è alto ch'è di lui servente; 11
lo 'nnamorato vol gire sanz'ale:
quando li 'mmembra di sua gioia piacente,
non crede avere al mondo alcun<o> male. 14
TENZONE TRA PACINO DI SER FILIPPO E UN ANONIMO
D. 14
(V 793)
5
Lo nome a voi si face, ser Pacino,
ch'avete, e megliorar non si poria,
ché noi vedemo il mondo andare al chino
perché la pace nonn-ha segnoria: 4
in gran boce venuto è 'l ghebellino,
onde la terra abissar ne dovria,
ché morto e divorato hanno il giardino,
da poi che venne ne la lor balia: 8
còlte ne son le rose e le viuole
ed èvi nata cota e coreg<g>iuola.
Certo ben credo vi paia pecato; 11
maraviglia mi fo, se non vi duole
di quei che vivon d'imbolìo di suola
ed han fatto ciascun di sé casato. 14
D. 14 a
(V 795)
2
PACINO
Lo mio risposo invio a lo camino
là dove siete per la dritta via
a voi ch'a sumiglianza del Merlino
parlate sag<g>io, a la scienza mia; 4
e, credo, grazze del Segnor divino
avete di trovare maestria.
Sac<c>iate ch'amor m'ave sì 'n dimino
ch'ogn'altra cosa n'ho messa in obria; 8
di parte non travaglio, ché non vuole
amor, che m'ha nodrito a la sua scola,
ch'assai ne poria dir per lungo stato; 11
e del passato tempo ch'esser suole
e del presente lo cor mi s'imbola,
quando di dire mi venisse in grato. 14
D. 15
(V 794)
3
Audit'ho dire che mante persone
credon veracemente al distinato,
per ch'io rinuovo mia intenzione
di ciò ch'a lo prencipio fue formato; 4
ch'ïo non trovo incontro a la ragione
perché lo detto lor non sia aprovato;
a me medesmo nat'è una cagione,
ch'io so per certo ch'io non sono erato: 8
e dunque, s'argomento alcuno avete
che contro al distinato voglia dire,
io sono aparechiato a la dife<n>za. 11
Il mio nome per scritto non vedete,
ca per temenza no˙l vi fo sentire:
se 'ndovinatel, tenete credenza. 14
D. 15 a
(V 796)
4
PACINO
Poi ch'io son tutto a la giu<ri>dizione
d'amore, a cui sog<g>etto son donato,
e˙llui non piace facc<i>a risponsione
a ciò che voi m'avete adimandato, 4
vo' che vi piaccia che disfinigione
ne facc<i>a un od altro in chericato,
ch'a˙lloro si convene esta tenzone;
cad io non son di ciò amaestrato, 8
ma sono dato, sì como intendete,
e messo tutto in amore servire
<con> corpo, core, senno ed iscienza; 11
e se 'ntramet<t>er tenzon mi volete
d'amor che fa li suoi amanti gioire,
chiudete in un sonetto vostra intenza. 14
D.16
(V 799)
5
Amore m'ha sì vinto e ricreduto
che ben non so che sia del giorno un'ora,
e sì coralemente m'ha feruto
che chi 'l savesse n'averia rancura; 4
ed hami in questo tanto <ri>tenuto
ch'a contare saria una smisura;
avuto nonn-ho da˙llui altro aiuto,
se non ciò ch'io vi conto pe scritura: 8
ond'io vorei consiglio a questo fatto
da te, Pacin amico, co' sapiente,
e mandalomi a dire ad ogni patto: 11
di quella cosa, che m'è sì cocente
che da la gente son tenuto matto,
sed io mi part'o sia pur lui tenente. 14
D. 16 a
(V 800)
6
PACINO
Io v'ag<g>io inteso, poi che v'è piaciuto,
a ciò ch'avete detto, e posto cura:
rispondovi, poi che ne son tenuto,
secondo che conosce mia natura: 4
<e> dico che l'amore ha conceduto
a˙ssui amanti pena forte e dura
per mag<g>iormente merito compiuto
dare a colui c'ha bene fede pura; 8
e dunque quei che serve a questo patto
non de' sentir che sia pena neiente,
atendendo di far sì ric<c>o acatto: 11
perciò consiglio che siate ubidente,
d'amor servire non faliate tratto,
ché guicterdon n'avrete certamente. 14
D. 17
Io son tanto temioso e vergognoso
a tutte l'ore ch'io vi so' davanti;
spesse volte io mi muovo coraggioso
per fare e dire quel che fan gli amanti: 4
quand'io <so'> avanti a voi, viso amoroso,
el parlare e' pensier' mi sono afranti,
e 'l fino amar mi tien sì dubitoso,
ch'io non so far né atti né sembianti. 8
Ma io faraggio come lo sparvero,
ch'a lo incominciamento è dubitoso
quando è co gl<i> agellet<t>i a la foresta, 11
e poi diventa ardito e manero:
da che cominci diviene argogl<i>oso
e della caccia mena gran tempesta. 14
D. 18
Aggio talento di parlar con voi
e vo'vi dire tutto el convenente:
di voi so' preso più ch'io mai non fui,
pur raguardando voi, donn'avanente; 4
e già non posso innamorar d'altrui,
tanto mi strigne amor coral<e>mente:
però pensate entro al cor vostro <plui>,
sì-cch'io non muora, o donna <mia> valente. 8
Ma s'io mi muoio per voi, bella, amando,
a me adiviene come a l'uom se<l>vaggio:
quando ha 'l maltempo, canta e sta in giuoco, 11
pur el buono che venga <r>aspettando;
così di voi aspetto: tant'ho <'n> aggio,
c'ho, festa per aver, diletto <fuoco>. 14